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Document 61993CC0392

    Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 28 novembre 1995.
    The Queen contro H. M. Treasury, ex parte British Telecommunications plc.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice, Queen's Bench Division - Regno Unito.
    Domanda pregiudiziale - Interpretazione della direttiva 90/531/CEE - Telecomunicazioni - Trasposizione in diritto nazionale - Obbligo di risarcimento in caso di non corretta trasposizione.
    Causa C-392/93.

    Raccolta della Giurisprudenza 1996 I-01631

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1995:408

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    GIUSEPPE TESAURO

    presentate il 28 novembre 1995 ( *1 )

    1. 

    I quesiti pregiudiziali posti alla Corte dalla Queen's Bench Division vertono sull'interpretazione dell'art. 8, n. 1, della direttiva del Consiglio 17 settembre 1990, 90/531/CEE, relativa alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni ( 1 ) (nel prosieguo: la «direttiva»).

    In particolare, il giudice nazionale chiede quale sia la corretta interpretazione della norma in questione e, nel caso di errata trasposizione da parte del legislatore nazionale, se sussistano le condizioni perché l'impresa danneggiata possa chiedere allo Stato il risarcimento dei danni subiti ( 2 ).

    Il contesto normativo comunitario e nazionale

    2.

    La direttiva, conformemente al suo tredicesimo ‘considerando’, non si applica «alle attività degli enti in questione che si svolgono al di fuori dei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti o delle telecomunicazioni, o che, pur rientrando in questi settori, sono nondimeno esposte alla concorrenza in mercati il cui accesso non è limitato».

    La norma di cui è qui richiesta l'interpretazione, l'art. 8, n. 1, costituisce per l'appunto una deroga alle disposizioni della direttiva, sottraendo al suo campo di applicazione gli appalti relativi ad acquisti destinati a consentire servizi di telecomunicazione, sempreché nel settore in questione vi sia una situazione concorrenziale. Più precisamente, l'art. 8 dispone quanto segue:

    «1.

    La presente direttiva non si applica agli appalti che gli enti aggiudicatoti che esercitano un'attività descritta all'articolo 2, paragrafo 2, lettera d), assegnano per acquisti esclusivamente destinati a permettere loro di assicurare uno o più servizi di telecomunicazione, qualora altri enti siano liberi di offrire gli stessi servizi nella stessa zona geografica e a condizioni sostanzialmente identiche.

    2.

    Gli enti aggiudicatoli comunicano alla Commissione, su sua richiesta, i servizi che essi considerano esclusi in virtù del paragrafo 1. La Commissione, a titolo d'informazione, può pubblicare periodicamente nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee l'elenco dei servizi che essa considera esclusi. A tale riguardo, la Commissione tiene debitamente conto del carattere commerciale “riservato” a cui gli enti aggiudicatori possono richiamarsi allorché trasmettono dette informazioni».

    3.

    Il menzionato art. 2, n. 2, lett. d), ricomprende, tra le attività che rientrano nel campo di applicazione della direttiva, la «messa a disposizione o gestione di reti pubbliche di telecomunicazioni o prestazione di uno o più servizi pubblici di telecomunicazioni». Ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b), la direttiva si applica anche agli enti aggiudicatori che «non essendo autorità pubbliche o imprese pubbliche annoverano tra le loro attività una o più attività tra quelle di cui al paragrafo 2 e operano in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi loro dall'autorità competente di uno Stato membro». Il successivo n. 3, lett. a), dello stesso art. 2 specifica poi che, ai fini dell'applicazione del n. 1, lett. b), un ente aggiudicatore fruisce di diritti speciali o esclusivi in particolare quando, «per la costruzione delle reti o per l'installazione delle strutture di cui al paragrafo 2, tale ente ha il diritto di avvalersi di una procedura di espropriazione per pubblica utilità o dell'imposizione di una servitù, o ha il diritto di utilizzare il suolo, il sottosuolo e lo spazio sovrastante la pubblica via per installare gli impianti della rete». Conformemente all'art. 2, n. 6, «gli enti aggiudicatori di cui agli allegati da I a X rispondono ai criteri sopra specificati». L'allegato X, relativo appunto alla «Gestione delle reti di telecomunicazioni od offerta di servizi di telecomunicazioni», per quanto riguarda il Regno Unito menziona, tra le altre, la British Telecommunications plc (nel prosieguo: la «ricorrente»), la Mercury Communications Ltd (nel prosieguo: la «Mercury») e la City of Kingston upon Hull (nel prosieguo: «Hull pic»).

    Va infine ricordato che, conformemente all'art. 33, n. 1, lett. d), gli enti aggiudicatori conservano, in merito ad ogni appalto, le informazioni atte a permettere loro, in una fase successiva, di giustificare le decisioni riguardanti, tra l'altro, la mancata applicazione delle disposizioni di cui ai titoli II, III e IV (disposizioni relative ai criteri e alle procedure da rispettare nell'aggiudicazione degli appalti), in virtù delle deroghe previste dal titolo I, tra cui è ricompresa, per quanto qui rileva, quella di cui all'art. 8, n. 1.

    4.

    Il Regno Unito ha dato attuazione alla direttiva con l'«Utilities Supply and Works Contracts Regulations 1992». In particolare, le disposizioni della direttiva che limitano, così come precisato nel suo tredicesimo considerando, l'applicazione della stessa alle ipotesi in cui siano aggiudicati appalti finalizzati esclusivamente a consentire all'ente erogatore di svolgere una delle attività enumerate nella stessa direttiva, sono recepite negli artt. 5 e 6, lett. a), della legge in questione.

    L'art. 7, n. 1, di tale legge, con cui si è inteso dare attuazione all'art. 8, n. 1, della direttiva, concerne invece le esclusioni specificamente riguardanti il settore delle telecomunicazioni e costituisce pertanto la norma contestata dalla ricorrente. Esso stabilisce che «Le presenti disposizioni non si applicano all'assegnazione di appalti da parte di un ente specificato nell'allegato 2 al fine esclusivo di permettere ad esso di assicurare uno o più servizi di telecomunicazione specificati nella parte dell'allegato 2 nella quale l'ente è menzionato».

    Il menzionato allegato 2 è composto da due parti. La parte A riguarda tutti i concessionari di servizi pubblici di telecomunicazione diversi dalla ricorrente e dalla Hull plc. Per questi operatori i servizi esclusi dall'applicazione della legge sono espressamente «tutti i servizi pubblici di telecomunicazioni». La parte B, per contro, riguarda esclusivamente la ricorrente e la Hull plc, nei cui confronti i servizi menzionati sono «tutti i servizi pubblici di telecomunicazioni, se prestati all'interno dell'area geografica per la quale il fornitore è autorizzato come concessionario di servizi pubblici di telecomunicazioni, diversi dai seguenti servizi: servizi di base di telefonia (vocale), servizi di base di trasmissione dati, fornitura di circuiti privati in locazione e servizi marittimi».

    L'art. 7, n. 2, della stessa legge prevede poi che tutti gli operatori figuranti nell'allegato 2 sono tenuti ad inviare al Ministro, su sua richiesta e per un ulteriore invio alla Commissione, una relazione nella quale siano descritti i servizi pubblici di telecomunicazioni da essi prestati e che essi ritengono appartenenti a quelli elencati nella parte dell'allegato 2 in cui gli stessi operatori ricadono. Tale norma costituisce dunque attuazione dell'art. 8, n. 2, della direttiva.

    Va infine ricordato che, in applicazione dell'art. 33 della direttiva, l'art. 25, n. 1, della legge nazionale in questione prevede che, se un ente aggiudicatore decide di non applicare le disposizioni relative ad esclusioni contenute, tra l'altro, nell'art. 7 della stessa legge, esso è tenuto a fornire informazioni adeguate e sufficienti a giustificare una siffatta decisione, per quanto riguarda gli appalti assegnati secondo modalità diverse da quelle previste dal regime di appalti.

    I fatti, i quesiti pregiudiziali

    5.

    La ricorrente è una società per azioni a reponsabilità limitata, istituita il 1o aprile 1984, in virtù del British Telecommunications Act del 1984 (legge sulle telecomunicazioni del 1984). In capo ad essa sono stati trasferiti la proprietà, nonché tutti i diritti ed obblighi della precedente società di diritto pubblico, anch'essa denominata British Telecommunications, a sua volta subentrata, in virtù del British Telecommunications Act del 1981, al Post Office, che aveva fino a tale data detenuto il monopolio esclusivo della gestione dei sistemi di telecomunicazione.

    La legge sulle telecomunicazioni del 1984 prevede che chiunque intenda gestire un sistema di telecomunicazioni nel Regno Unito, in conseguenza dell'abolizione del monopolio, deve ottenere una licenza, nella quale devono essere tassativamente specificate le attività il cui svolgimento viene contestualmente autorizzato. In applicazione di tale disposizione, il Secretary of State for Trade and Industry rilasciava alla ricorrente, nel giugno 1984, una licenza della validità di 25 anni. Tale licenza, in base alla quale la ricorrente è designata come «concessionario di servizi pubblici di telecomunicazione», le consente di gestire sistemi pubblici di telecomunicazione in tutto il territorio del Regno Unito, fatte salve le limitazioni geografiche riguardanti la zona nella quale è concessionaria la Hull plc. In particolare, essa è tenuta a fornire servizi di telefonia vocale a chiunque ne faccia domanda, indipendentemente dalla circostanza che l'insufficienza della domanda le consenta o no di coprire i costi. A ciò si aggiunga che la ricorrente è la sola, tra i titolari di licenze, ad essere sottoposta ad una disciplina relativa alle variazioni delle sue tariffe («price cap»). Va infine precisato che lo Stato ha progressivamente ceduto, entro il luglio 1993, il pacchetto azionario detenuto nel capitale della ricorrente.

    6.

    La notevole apertura del mercato resa possibile dalla legge sulle telecomunicazioni del 1984 ha portato alla concessione di più di 600 licenze relative a diverse attività nel settore ed al riconoscimento di circa 110 «concessionari di servizi pubblici di telecomunicazione». Tuttavia, il contenuto delle licenze era notevolmente differenziato. Infatti, nel campo dei servizi di telecomunicazione di segnali mediante collegamenti fissi (tra i quali rientra la telefonia vocale con terminali non mobili), il governo britannico aveva concesso le relative licenze unicamente alla ricorrente e alla Mercury, cui, in particolare, veniva concesso di collegarsi ai sistemi di telecomunicazioni della ricorrente. In tal modo aveva inizio, nello specifico settore dei collegamenti fissi, una situazione di duopolio.

    L'inizio degli anni novanta ha poi portato ad un abbandono, anche in tale settore, della politica di duopolio, questa volta a favore di una politica apertamente concorrenziale. Di conseguenza, tutte le domande di licenza da parte di imprese private che soddisfino dei criteri obiettivi e trasparenti sono considerate alla luce di una generale presunzione che ne garantisce l'accoglimento, salvo i casi nei quali un rigetto possa essere giustificato sulla base di «specifici motivi». Alla necessità di assicurare la funzionalità di un sistema così complesso, in cui operano una molteplicità di operatori riconosciuti, la legge del 1984 ha provveduto disponendo un obbligo per i «concessionari di servizi pubblici di telecomunicazione» di consentire il collegamento alle loro reti dei sistemi propri di altri concessionari che ne facciano richiesta. Ciò rende possibile ai clienti di un operatore l'accesso alle reti gestite da altri concessionari e quindi, in definitiva, le comunicazioni con utenti che usufruiscano dei servizi forniti da questi ultimi.

    7.

    La legislazione nazionale di attuazione della direttiva, come si è già detto, esclude dall'obbligo di adempiere alla direttiva stessa, per quanto riguarda gli appalti finalizzati esclusivamente a permettere di fornire servizi di telecomunicazione, quasi tutti gli operatori del settore, ivi compresa la Mercury, che pure figura nell'allegato X della direttiva. Restano invece soggetti alle norme della direttiva unicamente la ricorrente e la Hull plc, sia pure limitatamente ai servizi di base di telefonia (vocale), ai servizi di base di trasmissione dati, alla fornitura di circuiti privati in locazione e ai servizi marittimi.

    Sono appunto tali norme di attuazione della direttiva ad essere state impugnate dinanzi al giudice nazionale dalla ricorrente. Quest'ultima sostiene infatti che il Regno Unito non avrebbe dovuto esso stesso procedere alla determinazione dei servizi e degli operatori sottratti all'applicazione della direttiva, atteso che un tale compito spetterebbe, conformemente all'art. 8, n. 1, della direttiva, agli stessi enti aggiudicatori. Nelle sue conclusioni la ricorrente chiede altresì il risarcimento delle perdite che asserisce di aver subito in ragione della non corretta trasposizione della norma in questione.

    8.

    Per risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente, il giudice nazionale ha pertanto ritenuto opportuno effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte. Esso chiede:

    «1)

    Se, alla luce di una corretta interpretazione della direttiva del Consiglio 90/531/CEE, rientri nel margine discrezionale riconosciuto ad uno Stato membro in forza dell'art. 189 del Trattato CEE, in sede di attuazione dell'art. 8, n. 1, della suddetta direttiva, la facoltà di individuare esso stesso i servizi di telecomunicazioni, forniti da ciascun ente aggiudicatore, rispetto ai quali l'esclusione contemplata in questo articolo sia o no applicabile.

    2)

    a)

    Se l'espressione “qualora altri enti siano liberi di offrire gli stessi servizi nella stessa zona geografica e a condizioni sostanzialmente identiche”, figurante nell'art. 8, n. 1, sottintenda soltanto una “libertà” e delle “condizioni” di natura legislativa o amministrativa.

    b)

    In caso di soluzione negativa del secondo quesito, sub a):

    i)

    a quali altre nozioni la suddetta espressione faccia riferimento;

    ii)

    se rilevi in proposito la posizione di un ente aggiudicatore sul mercato di un determinato servizio di telecomunicazioni;

    iii)

    in caso di rilevanza di questa posizione, in quale modo essa sia rilevante e, in particolare, in quali casi essa abbia un carattere decisivo.

    e)

    Se sulle soluzioni dei quesiti sub b), punti ii) e iii), influisca la circostanza che l'ente soggiace a vincoli amministrativi e, in caso affermativo, entro quali limiti tale circostanza sia influente.

    3)

    In caso di soluzione affermativa al primo quesito:

    a)

    in caso di controversia tra un ente aggiudicatore e le autorità nazionali preposte all'attuazione dell'art. 8, n. 1, in base a quali canoni il giudice nazionale investito della controversia deve accertare la corretta applicazione dei criteri di esclusione di cui all'art. 8, n. 1, e in particolare se esso debba sostituire la propria valutazione su tale applicazione a quella effettuata dalle autorità nazionali preposte all'attuazione dell'art. 8, n. 1;

    b)

    se, nell'ipotesi in cui il giudice nazionale ritenga che le definizioni di alcuni servizi di telecomunicazioni adottate dalle autorità nazionali preposte all'attuazione dell'art. 8, n. 1, al fine di stabilire se un determinato servizio sia o no interessato dall'esclusione, rendono impossibile all'ente aggiudicatore stabilire se un determinato servizio rientri o meno nella sfera della suddetta esclusione, sussista violazione della direttiva 90/531/CEE o di un principio generale del diritto comunitario, in particolare del principio della certezza del diritto;

    e)

    se uno Stato membro, nel definire determinati servizi di telecomunicazioni, abbia facoltà di adottare definizioni basate sulla descrizione dei mezzi tecnici grazie ai quali il servizio è fornito, anziché su una descrizione del servizio medesimo.

    4)

    Se, in caso di erronea attuazione dell'art. 8, n. 1, della direttiva del Consiglio 90/531/CEE, lo Stato membro interessato sia responsabile, sotto il profilo del diritto comunitario, per i danni cagionati ad un ente aggiudicatore in conseguenza delle perdite subite da quest'ultimo per via del suddetto errore di attuazione e, in caso affermativo, entro quali limiti una tale responsabilità possa essere fatta valere».

    Il primo quesito

    9.

    Con il primo quesito viene dunque chiesto alla Corte se nel trasporre una direttiva nell'ordinamento nazionale gli Stati membri siano autorizzati, tenuto conto dei margini di discrezionalità di cui essi godono in virtù dell'art. 189 del Trattato, a definire e individuare i servizi di telecomunicazione che l'art. 8, n. 1, della direttiva, ricorrendo determinate condizioni, consente di escludere dalla stessa ovvero se una tale determinazione spetti agli stessi enti aggiudicatoli.

    A tal fine, è opportuno anzitutto far riferimento al tenore letterale della norma in questione, al contesto in cui si colloca, nonché alla ratio della stessa.

    10.

    Orbene, dalla formulazione letterale dell'art. 8, n. 1, della direttiva non emerge alcun elemento tale da avvalorare la tesi secondo cui gli Stati membri avrebbero la facoltà di determinare essi stessi i servizi e gli operatori esclusi dal campo di applicazione della direttiva. La norma in questione, infatti, si limita ad escludere dal campo di applicazione della direttiva gli appalti che gli enti aggiudicatoli assegnano per acquisti esclusivamente destinati a permettere loro di assicurare uno o più servizi di telecomunicazioni, sempreché altri enti siano liberi di offrire gli stessi servizi alle stesse condizioni.

    L'assenza di ogni riferimento agli Stati membri sembra pertanto deporre nel senso che siano gli stessi enti aggiudicatori, gli unici menzionati nella norma, a dover procedere alla determinazione degli appalti esclusi. Una tale conclusione è, quantomeno a prima vista, confortata dalla circostanza che altre disposizioni della direttiva, pure collocate nel titolo I della stessa, dunque relative alle deroghe autorizzate, prevedono in modo espresso e preciso il ruolo affidato agli Stati membri nella definizione degli appalti che beneficiano delle deroghe di cui si tratta ( 3 ).

    11.

    A ciò si aggiunga che, conformemente al n. 2 dello stesso art. 8, è agli enti aggiudicatori che è affidato il compito di comunicare alla Commissione, su richiesta di quest'ultima, i servizi che essi «considerano esclusi in virtù del paragrafo 1». Sarà poi la Commissione a pubblicare sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, serie C, sia pure a titolo solo informativo, l'elenco dei servizi che «essa considera esclusi».

    Ora, se, come sostenuto dal governo del Regno Unito, spettasse agli Stati membri decidere quali servizi siano, in virtù dell'art. 8, n. 1, da considerare esclusi dal campo di applicazione della direttiva, non sarebbe agevole comprendere perché il n. 2 dello stesso art. 8 imponga agli enti aggiudicatori, e non agli Stati, di comunicare i servizi ritenuti esclusi. A meno di non volere ritenere che si tratti di una disposizione priva di qualsiasi utilità, deve infatti riconoscersi che l'art. 8, n. 2, ha una sua ragion d'essere nella misura in cui siano gli stessi enti aggiudicatori a decidere quali dei servizi da essi prestati sono tali da poter beneficiare dell'esclusione contemplata dall'art. 8, n. 1.

    12.

    Un'ulteriore conferma di tale punto di vista è data dall'art. 33 della direttiva, in base al quale, lo ricordo, gli enti aggiudicatori conservano in merito ad ogni appalto «le informazioni atte a permettere loro, in una fase successiva, di giustificare le decisioni riguardanti (...) d) la mancata applicazione delle disposizioni di cui ai titoli II, III e IV in virtù delle deroghe previste dal titolo I».

    Emerge dalla norma appena citata, con ogni evidenza, che il legislatore comunitario, per il tramite delle norme nazionali, ha inteso rivolgersi direttamente agli enti aggiudicatori, assegnando loro la responsabilità delle decisioni di esclusione prese sulla base dell'art. 8, n. 1, della direttiva, nonché l'onere di dimostrarne l'esistenza dei presupposti.

    13.

    Tutto ciò premesso, ricordo poi che, conformemente ad una costante giurisprudenza della Corte in materia, la libertà di scegliere il modo ed i mezzi destinati a garantire l'attuazione della direttiva, quale lasciata agli Stati membri dall'art. 189, terzo comma, del Trattato, «nulla toglie all'obbligo, per ciascuno degli Stati destinatari, di adottare, nell'ambito del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari per garantire la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue» ( 4 ). Ciò significa che gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte quelle misure necessarie ad assicurare piena efficacia alle disposizioni della direttiva e dunque a garantire il risultato da esse prescritto. Aggiungo poi che, come precisato dalla stessa Corte, le disposizioni di una direttiva devono essere attuate «con efficacia cogente incontestabile (...), precisione e chiarezza necessarie (...) per garantire pienamente la certezza del diritto» ( 5 ).

    All'evidenza, tali affermazioni implicano, da un lato, che la discrezionalità lasciata agli Stati membri, nel trasporre una direttiva nell'ordinamento nazionale, non può comunque essere utilizzata in modo tale da compromettere lo scopo perseguito dalla direttiva di cui si tratta; dall'altro, che ciò che conta è appunto un tale risultato, con la conseguenza che deve ritenersi corretta la trasposizione di una direttiva che, pur non riprendendo pedissequamente le sue disposizioni nel testo nazionale di attuazione ( 6 ), consenta comunque di raggiungere lo scopo da essa perseguito.

    14.

    Rispetto al caso che ci occupa, ciò significa che, sebbene il tenore letterale della norma in questione, nonché il contesto in cui essa si colloca, induca alla conclusione che dovrebbero essere gli stessi enti aggiudicatoli ad individuare i servizi da essi prestati che devono ritenersi esclusi dal campo di applicazione della direttiva, resta pur sempre da verificare se le misure di attuazione adottate dal Regno Unito siano comunque tali da assicurare il risultato voluto dalla direttiva, in particolare dal suo art. 8, n. 1.

    Ritengo che la risposta ad un tale interrogativo non possa che essere negativa. La definizione preventiva dei servizi «esclusi», nei termini prima ricordati, è infatti tale, a mio avviso, da porsi in contrasto con la stessa ratio della norma in discussione. E ciò essenzialmente perché una siffatta determinazione aprioristica, nel rappresentare la situazione esistente in uno Stato membro in un determinato momento, non tiene conto dell'evoluzione suscettibile di verificarsi nel settore in questione né della circostanza che, rispetto ad uno stesso operatore, i servizi esclusi possono variare. Allo stesso tempo, tale modo di procedere impedisce alla Commissione di esercitare quel controllo che la stessa direttiva le affida in materia.

    15.

    Se è vero, infatti, che gli enti aggiudicatoti comunicano alla Commissione, su richiesta di quest'ultima, gli appalti che considerano esclusi e che la stessa Commissione ne cura la pubblicazione a scopo informativo, è altresì vero che la lista così pubblicata comprende unicamente quei servizi che la stessa Commissione «considera esclusi». Ciò implica che all'istituzione in questione spetta il compito di verificare se i servizi comunicati dagli enti aggiudicatori rispondano effettivamente ai criteri stabiliti nell'art. 8, n. 1, al fine di beneficiare dell'esclusione.

    Ora, è fin troppo evidente che la trasposizione effettuata dal Regno Unito impedisce alla Commissione una tale verifica, atteso che gli elenchi ad essa comunicati, da parte degli enti aggiudicatori tramite le competenti autorità nazionali ( 7 ), non potranno non coincidere con quelli di cui all'allegato 2 della legge nazionale in questione. In tal modo viene pertanto disconosciuto, rispetto agli operatori e ai servizi relativi al Regno Unito, quel ruolo di monitoraggio attribuito alla Commissione dall'art. 8, n. 2, della direttiva.

    16.

    Il governo britannico, nel difendere il modo in cui ha proceduto all'attuazione della direttiva nell'ordinamento interno, ha tuttavia sostenuto che non sarebbe stato opportuno lasciare agli stessi enti aggiudicatori il potere di identificare gli appalti beneficiari dell'esclusione, in quanto ciò avrebbe comportato, con tutta probabilità, valutazioni contrastanti in relazione a casi simili ed avrebbe irrimediabilmente compromesso l'esigenza di certezza del diritto.

    Al riguardo, mi limito ad osservare che la funzionalità del sistema concepito dalla direttiva, così come qui interpretato, risulta sufficientemente garantita dall'attività di monitoraggio che la direttiva stessa affida alla Commissione, anche, e soprattutto, in merito ai possibili abusi cui fa riferimento il governo del Regno Unito. A ciò si aggiunga che, nella misura in cui la decisione di esclusione sia presa dagli stessi enti aggiudicatoli e non invece dagli Stati membri, eventuali contestazioni potranno essere fatte valere conformemente alle disposizioni nazionali adottate per dare attuazione alla direttiva 92/13/CEE ( 8 ), relativa ai mezzi di ricorso. Tale direttiva, ai sensi del suo art. 1, si applica infatti alle «decisioni prese dagli enti aggiudicatoti».

    17.

    Infine, non può non osservarsi che l'interpretazione fin qui fornita dell'art. 8, n. 1, della direttiva evidenzia che si tratta di una norma che attribuisce ai singoli, nella specie agli enti aggiudicatori, diritti che essi possono far valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali. Si tratta, cioè, di una norma provvista di effetto diretto. In tale prospettiva, deve riconoscersi che una definizione preventiva e dettagliata dei servizi esclusi, quale operata dal legislatore nazionale, si risolve necessariamente in un contrasto col risultato perseguito dalla direttiva stessa.

    In definitiva, ritengo che l'art. 189 del Trattato impone agli Stati membri di dare attuazione all'art. 8, n. 1, della direttiva in modo tale che gli enti aggiudicatori siano autorizzati ad applicare essi stessi i criteri definiti in tale norma e dunque a stabilire quali siano i servizi di telecomunicazioni da essi forniti da escludere dal campo di applicazione della direttiva stessa.

    Il secondo quesito

    18.

    Con il secondo quesito, sub a), il giudice nazionale chiede alla Corte di precisare se l'espressione «qualora tali enti siano liberi di offrire gli stessi servizi nella stessa zona geografica e a condizioni sostanzialmente identiche», espressione figurante all'art. 8, n. 1, sia da interpretare nel senso che la libertà di cui altri enti aggiudicatori devono godere e le condizioni in questione siano di natura legislativa ovvero amministrativa.

    In sostanza, occorre stabilire se, al fine di poter beneficiare dell'esclusione di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva, la libertà «di offrire gli stessi servizi nella stessa zona geografica» e l'esistenza di «condizioni sostanzialmente identiche» vadano accertate solo in diritto, come sostenuto dalla ricorrente, o anche in fatto.

    19.

    Nel primo caso sarebbe sufficiente, è appena il caso di rilevarlo, che disposizioni legislative o regolamentari garantissero la possibilità di una libera concorrenza nel settore interessato. In altre parole, occorrerà che siano rimosse, laddove esistano, disposizioni che impediscono la libertà di concorrenza, vuoi attraverso l'attribuzione di diritti speciali o esclusivi, vuoi rendendo in qualunque altro modo impossibile o difficoltoso l'accesso al mercato stesso.

    È questa la tesi della ricorrente, a sostegno della quale essa adduce che la direttiva si rivolge, oltre che alle autorità pubbliche ed alle imprese pubbliche che svolgono attività nei settori ricompresi nella direttiva, anche a quelle entità che comunque godono, nell'esercizio delle loro attività, di diritti speciali o esclusivi concessi dalle competenti autorità degli Stati membri. La ratio di tale estensione si fonderebbe appunto, ad avviso della ricorrente, sul presupposto che la concessione di tali diritti comporta la chiusura del mercato alla concorrenza, facendone un mercato «riservato». Ne conseguirebbe che, qualora un atto normativo interno sia intervenuto per abrogare tali diritti speciali o esclusivi, ciò che sarebbe avvenuto nel sistema britannico mediante il British Telecommunications Act del 1984, la direttiva non avrebbe più ragione di applicarsi, in virtù della stessa esclusione di cui al suo art. 8, n. 1. Il mercato in questione, infatti, non sarebbe un mercato «riservato», ai sensi dell'art. 2, n. 3, della direttiva, bensì sarebbe un mercato liberalizzato, aperto cioè alla concorrenza di una molteplicità di operatori.

    20.

    La tesi in questione non è a mio avviso condivisibile. Anzitutto, dal tenore letterale della disposizione in parola non si evince affatto che essa è limitata agli ostacoli determinati da disposizioni legislative o regolamentari. La libertà, per gli altri enti aggiudicatori, di poter offrire gli stessi servizi in condizioni sostanzialmente identiche è infatti affermata in termini generali, né potrebbe essere diversamente, tenuto conto della ratio della norma in questione e del sistema complessivamente considerato. A ciò si aggiunga che il tredicesimo ‘considerando’della direttiva, cui si è più volte fatto riferimento, afferma espressamente che l'esclusione dal campo di applicazione della direttiva è subordinata alla condizione che le attività degü enti in questione siano «direttamente esposte atta concorrenza in mercati il cui accesso non è limitato» ( 9 ).

    Insomma, non è certo sufficiente che l'accesso al mercato non sia precluso per legge; occorre anche che la concorrenza sia effettiva. I criteri menzionati all'art. 8, n. 1, della direttiva vanno pertanto interpretati nel senso che devono essere soddisfatti non solo de jure ma anche de facto. La prima condizione sussiste allorché altri enti, diversi dall'ente aggiudicatore di cui si tratta, sono legittimati ad operare nel mercato dei servizi in questione, il cui accesso non è limitato per legge. La seconda può invece considerarsi soddisfatta qualora gli enti in questione siano non solo formalmente legittimati, ma altresì effettivamente in grado di fornire i servizi di cui si tratta alle stesse condizioni dell'ente aggiudicatore.

    21.

    In definitiva, l'espressione qui in discussione va interpretata nel senso che si riferisce ad una serie di elementi di natura tecnica ed economica, oltreché giuridica. Occorrerà quindi che la «libertà» di offrire i servizi sia attuale e non potenziale, cioè possibile solo in astratto. In quest'ultimo caso, infatti, sarebbe pur sempre un solo soggetto, l'ente aggiudicatore, ad operare effettivamente nel mercato in questione.

    Spetta dunque all'ente aggiudicatore, allorché ritenga di dover essere esentato dall'applicazione delle norme della direttiva, provare, sulla base degli artt. 8 e 33 della direttiva, che altri soggetti sono in grado di svolgere le stesse attività in «condizioni sostanzialmente identiche».

    22.

    Con i punti sub b) e e) del secondo quesito, il giudice nazionale chiede poi alla Corte quali siano gli elementi di cui occorre tener conto per valutare se la situazione del mercato delle telecomunicazioni sia effettivamente concorrenziale rispetto ad un determinato servizio.

    In particolare, esso chiede, per l'ipotesi in cui sia necessario valutare la situazione del mercato anche sulla base di elementi di fatto, se sia a tal fine rilevante l'eventuale posizione dominante di cui l'ente aggiudicatore in questione gode sul mercato di un determinato servizio di telecomunicazioni; quale consistenza debba avere tale posizione dominante per essere decisiva nel senso che qui interessa; infine, se assume una qualche rilevanza la circostanza che l'ente aggiudicatore soggiace a dei particolari vincoli amministrativi.

    23.

    La ricorrente anzitutto contesta di detenere una posizione dominante sul mercato ( 10 ), producendo una serie di dati che confermerebbero l'effettività della concorrenza in molteplici attività del settore. In secondo luogo, essa, da un lato, respinge la tesi secondo cui il solo fatto di detenere una posizione dominante sarebbe rilevante ai fini della direttiva sui pubblici appalti; dall'altro, nega che l'esistenza di una tale posizione possa essere provata solo mediante un'analisi delle quote di mercato.

    Altri sono gli elementi che, a suo avviso, dovrebbero essere presi in considerazione nel valutare la sua posizione di mercato; in particolare dovrebbe tenersi conto dei vincoli normativi al cui rispetto, diversamente da quanto accade per la maggior parte degli altri titolari di licenze, essa è tenuta ( 11 ).

    24.

    Ritengo che la Corte non abbia in questa sede né la competenza né gli strumenti per poter valutare l'effettiva sussistenza, nel caso che ci occupa, di tutti gli elementi di fatto o di diritto che assicurerebbero la piena esplicazione della deroga enunciata all'art. 8, n. 1, della direttiva. Si tratta invero di un compito che spetta al giudice nazionale e, nella generalità dei casi, corrisponde esattamente a quella verifica che la norma in questione affida agli enti aggiudicatoli e, in ultima analisi, all'attività di monitoraggio della Commissione.

    Basti pertanto qui rilevare che la decisione volta a riconoscere o no a determinati servizi la possibilità di beneficiare dell'esclusione, nel rispetto delle condizioni (di fatto e di diritto) di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva, non può che essere presa caso per caso. In particolare, occorrerà a tal fine tener conto: di tutte la caratteristiche dei servizi interessati, dell'esistenza di servizi sostitutivi, delle condizioni di prezzo, delle posizioni di mercato dei concorrenti, dell'esistenza di vincoli normativi del tipo di quelli appena descritti, nonché di ogni altra condizione che si assuma in concreto rilevante.

    Il terzo quesito

    25.

    Con il terzo quesito, a sua volta suddiviso in tre diversi punti, viene chiesto alla Corte di pronunciarsi, in sostanza, sul ruolo del giudice nazionale, allorché questi sia chiamato a verificare la corretta applicazione, da parte delle autorità nazionali, dei criteri di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva. E ciò, in particolare, nel caso di una controversia tra ente aggiudicatore e autorità nazionali in merito alla corretta applicazione dei criteri di esclusione di cui alla norma in parola; nonché nel caso in cui lo stesso giudice nazionale pervenga alla conclusione che i suddetti criteri sono stabiliti in modo tale da precludere all'ente aggiudicatore la possibilità di stabilire se un determinato servizio rientri o no nell'esclusione.

    Tale quesito, all'evidenza, è stato posto dal giudice nazionale per l'ipotesi in cui la Corte risponda affermativamente al primo quesito, riconosca cioè che gli Stati membri hanno la facoltà di designare essi stessi i servizi da ritenersi esclusi dal campo di applicazione della direttiva, in virtù dell'art. 8, n. 1, della stessa. Tenuto conto della conclusione cui sono pervenuto al riguardo, ritengo superfluo fornire una risposta a tale quesito.

    Il quarto quesito

    26.

    Con il quarto quesito viene riproposto alla Corte il problema della responsabilità e dell'obbligo risarcitorio dello Stato nei confronti dei singoli che abbiano subito danni derivanti da una violazione del diritto comunitario, problema al centro delle cause Brasserie du Pêcheur e Factortame III ( 12 ), nonché Dillenkofer e altri ( 13 ), relativamente alle quali presento le conclusioni in data odierna. Nella prima, lo ricordo, la violazione imputata allo Stato membro consiste nell'aver applicato leggi nazionali in contrasto con norme del Trattato; nella seconda si tratta invece, così come in Francovich ( 14 ), della mancata trasposizione di una direttiva nel termine all'uopo previsto.

    Il caso che ci occupa ripropone lo stesso problema rispetto alla diversa ipotesi di una non corretta, ancorché tempestiva, trasposizione nell'ordinamento nazionale delle disposizioni di una direttiva ( 15 ). La ricorrente chiede infatti il risarcimento dei danni che pretende di aver subito a causa della non corretta trasposizione dell'art. 8, n. 1, della direttiva. Tali danni sono da essa identificati con i costi supplementari sopportati per conformarsi alla (non corretta) normativa nazionale di attuazione della direttiva, normativa che peraltro le avrebbe impedito di concludere operazioni redditizie; nonché con gli svantaggi subiti sul piano commerciale e della concorrenza in ragione dell'obbligo, al quale non sono invece tenuti gli altri operatori del settore, di pubblicare sulla Gazzetta ufficiale i suoi progetti in materia di appalti e contratti di fornitura ( 16 ).

    27.

    Anche rispetto a tale ipotesi, così come in quelle ricordate al punto precedente, il punto di partenza non può non essere la sentenza Francovich, in cui la Corte, è appena il caso di ricordarlo, ha affermato l'obbligo risarcitorio dello Stato per mancata trasposizione di una direttiva, precisando le condizioni sufficienti, in quella ipotesi, a far sorgere un diritto al risarcimento a favore dei singoli.

    Nel presente procedimento, si tratta dunque di stabilire: a) se il principio della responsabilità patrimoniale dello Stato si estenda all'ipotesi di tempestiva ma non corretta trasposizione di una direttiva; b) se le condizioni individuate dalla Corte in Francovich siano sufficienti a determinare un obbligo risarcitorio a carico dello Stato membro anche rispetto all'ipotesi qui rilevante, ovvero se occorra un quid in più; e) se le condizioni siano nella specie soddisfatte.

    28.

    Atteso che alcuni dei profili appena evocati sono stati da me ampiamente sviluppati nelle già citate conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortame III), ritengo opportuno rinviare, per i necessari approfondimenti, a tali conclusioni. Mi limito pertanto in questa sede a brevi ed essenziali osservazioni di carattere generale, soffermandomi in modo più puntuale solo sugli aspetti peculiari all'ipotesi qui in discussione.

    29.

    In primo luogo, rilevo che l'obbligo di risarcire i danni non può essere limitato all'ipotesi di mancata trasposizione di direttive, ma va invece esteso all'ipotesi, che è quella di specie, in cui il danno subito dal singolo derivi dall'applicazione di una normativa nazionale di attuazione di una direttiva, che si riveli non corretta e che dunque ben poteva, in quanto tale, essere direttamente contestata dinanzi al giudice nazionale. In altre parole, la circostanza che il singolo possa in tale ipotesi ottenere la tutela del diritto vantato dinanzi al giudice nazionale non è di per sé tale da far escludere ogni possibilità di tutela patrimoniale ( 17 ).

    Al riguardo, ricordo poi, in particolare, che nella pronuncia Francovich ( 18 ) la Corte, richiamati i caratteri fondamentali del sistema comunitario, è pervenuta alla conclusione che «il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato» (punto 35). Si tratta, all'evidenza, di un'affermazione di carattere generale e di principio, dunque valida per qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario e non solo rispetto al caso di mancata trasposizione di direttive ( 19 ). Rispetto a quest'ultima ipotesi, la Corte ha solo precisato che il diritto al risarcimento si rivela «particolarmente indispensabile», appunto perché altrimenti l'individuo sarebbe sfornito di qualsivoglia tutela, a dispetto dei diritti ad esso attribuiti dalla direttiva. Una tale precisazione non esclude tuttavia la risarcibilità di danni derivanti da altro tipo di violazioni, tant'è vero che la stessa Corte ha poi rilevato che le condizioni del diritto al risarcimento dipendono dalla natura della violazione del diritto comunitario che è all'origine del danno provocato (punto 38).

    30.

    D'altra parte, come sottolineato nelle conclusioni relative alle cause riunite Brasserie du Pêcheur e Factortame III, annullare l'atto illegittimo o disapplicare la legge incompatibile rispetto ad un parametro superiore di legittimità a volte può non essere sufficiente. Al fine di rendere reale ed effettiva la tutela, può infatti rivelarsi necessario riportare in equilibrio anche il contenuto patrimoniale del diritto leso e dunque garantire il ristoro del danno.

    Il principio della responsabilità patrimoniale dello Stato deve trovare applicazione come rimedio sia alternativo che aggiuntivo rispetto alla tutela sostanziale; esso deve pertanto trovare applicazione rispetto alla violazione sia di norme sprovviste di effetto diretto, nel senso di norme non direttamente invocabili dinanzi ai giudici nazionali, sia di norme che invece danno tale possibilità ( 20 ). E ciò, beninteso, anche nell'ipotesi, che qui rileva, di non corretta trasposizione di una direttiva.

    31.

    Passando alle condizioni che determinano la responsabilità patrimoniale dello Stato, vale anzitutto ricordare che, come rilevato nelle conclusioni qui citate a più riprese, affinché la tutela risarcitoria sia assicurata in tutti gli Stati membri in modo — se non proprio uniforme — almeno omogeneo, è indispensabile che sia lo stesso diritto comunitario a stabilire le condizioni minime che determinano il diritto al risarcimento, in particolare i criteri secondo i quali tali condizioni vanno accertate, nonché i limiti «comunitari» imposti alle condizioni «nazionali» relative al risarcimento, siano esse procedurali o no.

    È questa, peraltro, la soluzione adottata dalla Corte, sia pure con qualche peculiarità legata al caso di specie, nella sentenza Francovich. Non vi è motivo di ritenere che una tale soluzione si applichi unicamente al caso di mancata trasposizione di direttiva e non anche alla violazione di norme provviste di effetto diretto ovvero al caso di non corretta trasposizione di una direttiva.

    32.

    Nella sentenza Francovich, lo ricordo, la responsabilità dello Stato è stata dalla Corte riconosciuta previa verifica della sussistenza delle tre seguenti condizioni: «La direttiva deve avere lo scopo di attribuire diritti a favore dei singoli. Deve essere poi possibile individuare il contenuto di tali diritti sulla base delle disposizioni della direttiva. Infine deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito» ( 21 ). La Corte ha peraltro chiarito che tali condizioni sono «sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto ad ottenere un risarcimento, che trova il suo fondamento nel diritto comunitario» ( 22 ). Lo Stato membro cui è imputabile la mancata trasposizione di una direttiva è dunque in ogni caso, sempreché le condizioni indicate dalla Corte risultino soddisfatte, tenuto a risarcire il danno subito dal singolo.

    Una tale conclusione si impone anche rispetto all'ipotesi qui rilevante, in cui non si tratta della mancata trasposizione di una direttiva nel termine all'uopo previsto, bensì di una non corretta trasposizione? In altre parole, le condizioni sufficienti a far sorgere l'obbligo risarcitorio dello Stato membro inadempiente sono le stesse o invece sono diverse nelle due ipotesi in questione?

    33.

    Al riguardo, le risposte fornite nel corso della presente procedura sono state ampiamente divergenti. Secondo la maggior parte dei governi intervenuti, le condizioni enunciate dalla Corte in Francovich non sarebbero sufficienti a determinare la responsabilità dello Stato. Occorrerebbe invece che siano soddisfatte le stesse condizioni applicate in materia di responsabilità extracontrattuale delle istituzioni comunitarie ( 23 ) ovvero ancorare la responsabilità dello Stato al requisito della colpa.

    Di diverso avviso è stata la Commissione, secondo cui le condizioni sancite dalla Corte in Francovich sarebbero sufficienti, atteso che l'art. 189 del Trattato non opera alcuna distinzione tra mancata e non corretta trasposizione di una direttiva. In altre parole, ad avviso dell'istituzione, nell'un caso come nell'altro ciò che rileva sarebbe l'inosservanza, da parte dello Stato membro, dell'obbligo di risultato prescritto dalla direttiva.

    34.

    Dirò subito che non condivido tale posizione. Peraltro, essa non mi sembra neppure coerente con quella affermata dalla stessa istituzione nelle cause riunite C-46/93 e C-48/93. In queste ultime, lo ricordo, la Commissione ha infatti suggerito l'applicazione, quale standard minimo, delle stesse restrittive condizioni elaborate dalla Corte nella giurisprudenza ex art. 215.

    Ora, se è ben vero che la direttiva impone un obbligo di risultato, lasciando allo Stato margini di discrezionalità solo in relazione al modo e ai mezzi destinati a garantirne l'attuazione, è pur vero, a mio avviso, che tale ipotesi costituisce una caratteristica comune di molte norme comunitarie, del Trattato e non. Non mi sembra, ad esempio, che possa legittimamente negarsi che l'art. 30 del Trattato imponga agli Stati membri un obbligo di risultato; eppure la posizione della Commissione al riguardo è nel senso che, per aversi obbligo risarcitorio dello Stato, non solo occorre una violazione, ma è necessario che sia anche grave e manifesta.

    35.

    Il problema, dunque, non può essere risolto unicamente sulla base del tipo di obbligo previsto, in particolare se si tratti o no di un obbligo di risultato. Deve invece ammettersi, a mio avviso, che un elemento decisivo, al fine di individuare dei limiti alla possibilità di tradurre l'illegittimità in responsabilità, è costituito, oltre che dalla discrezionalità di cui gli Stati eventualmente godano nel settore di cui si tratta, dalla maggiore o minore precisione dell'obbligo imposto, in definitiva dalla possibilità di individuare con sufficiente determinazione il contenuto del diritto vantato dal singolo rispetto alla misura ovvero al comportamento all'origine del pregiudizio. Sono tali elementi, come ampiamente rilevato nelle conclusioni relative alle cause riunite Brasserie du Pêcheur e Factortame III ( 24 ), a qualificare una violazione come manifesta e grave. Viceversa, non assume alcuna rilevanza, al fine di configurare una situazione di responsabilità dello Stato membro inadempiente, la colpa intesa come componente soggettiva del comportamento illegittimo imputato allo stesso Stato ( 25 ).

    In questa prospettiva, la circostanza che nella pronuncia Francovich non si rinvenga alcuna precisazione in relazione ai criteri per definire l'illegittimità del comportamento dell'autore del danno non implica affatto che ogni violazione del diritto comunitario che incida sulla sfera patrimoniale di un soggetto titolare di una posizione giuridica vantata in forza della norma comunitaria violata comporti di per sé ed in modo automatico un diritto al risarcimento ( 26 ). Molto più semplicemente, invece, nella specie ben si trattava di una violazione manifesta e grave.

    36.

    Più in generale, come già precisato nelle conclusioni relative alle cause riunite Brasserie du Pêcheur e Factortame III ( 27 ), può parlarsi di violazione manifesta e grave quando:

    a)

    non siano osservati obblighi dal contenuto chiaro e preciso in ogni loro elemento;

    b)

    la giurisprudenza della Corte abbia già chiarito sufficientemente, vuoi attraverso l'interpretazione in via pregiudiziale, vuoi mediante sentenza ex art. 169, situazioni giuridiche dubbie identiche o comunque analoghe a quella in ipotesi rilevante;

    e)

    l'interpretazione delle norme comunitarie di cui si tratta, quale operata dalle autorità nazionali nell'attività (o inattività) normativa, risulti manifestamente erronea.

    37.

    Orbene, rispetto all'ipotesi qui in discussione non mi sembra possano nutrirsi dubbi, tenuto conto dell'interpretazione fornita dell'art. 8, n. 1, della direttiva, che la relativa attuazione nell'ordinamento nazionale, da parte dello Stato membro interessato, non può definirsi manifestamente erronea. La circostanza che il Regno Unito abbia esso stesso determinato i servizi esclusi dal campo di applicazione della direttiva, in virtù di una norma (l'art. 8, n. 1) il cui contenuto è lungi dal poter essere qualificato come chiaro ed univoco, mi induce pertanto alla conclusione che nella specie non si tratta di una violazione manifesta e grave.

    Il caso Francovich, sotto tale profilo, era indubbiamente diverso. Lo Stato membro in questione non aveva affatto trasposto la direttiva di cui si trattava nel termine all'uopo prescritto, termine rispetto al quale non aveva certo alcun margine di discrezionalità; ed è appunto tale aspetto a rendere quella violazione, di per sé, grave e manifesta ( 28 ).

    38.

    Quanto alla circostanza, pure evidenziata nel corso del presente procedimento, che con un tale approccio si finirebbe per «promuovere» trasposizioni si tempestive, ma del tutto scorrette, basti rilevare che la soluzione qui suggerita è tale da evitare abusi, peraltro da ritenersi improbabili, da parte degli Stati membri. Resta, infatti, che rispetto a trasposizioni manifestamente erronee ovvero, se si preferisce, a norme chiare ed univoche trasposte in modo non corretto, dovrebbe comunque concludersi che si è in presenza di una violazione manifesta e grave, dunque tale da determinare la responsabilità patrimoniale dello Stato membro in questione.

    Su riserva delle valutazioni del caso da parte del giudice nazionale, in base ai criteri qui specificati, ritengo in definitiva che la violazione dell'art. 8, n. 1, della direttiva, nei termini prima indicati, non costituisca una violazione manifesta e grave e pertanto non sia tale da determinare la responsabilità patrimoniale dello Stato membro interessato nei confronti dell'ente aggiudicatore per i danni ad esso eventualmente provocati dalla non corretta attuazione della norma in questione.

    39.

    Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo pertanto alla Corte di rispondere come segue ai quesiti posti dal giudice di rinvio:

    «1)

    L'art. 8, n. 1, della direttiva 90/531/CEE deve essere interpretato nel senso che la determinazione dei servizi di telecomunicazione, forniti da ciascun ente aggiudicatore, rispetto ai quali l'esclusione in esso contemplata sia o no applicabile, deve essere effettuata dagli stessi enti aggiudicatori.

    2)

    L'espressione “qualora altri enti siano liberi di offrire gli stessi servizi nella stessa zona geografica e a condizioni sostanzialmente identiche”, figurante all'art. 8, n. 1, della direttiva 90/531/CEE, va interpretata nel senso che gli enti in questione devono essere non solo formalmente legittimati ad operare nel mercato dei servizi di cui si tratta, il cui accesso non è limitato per legge, ma altresì effettivamente in grado di fornire i servizi di cui si tratta alle stesse condizioni dell'ente aggiudicatore.

    La decisione volta a riconoscere o no a determinati servizi la possibilità di beneficiare dell'esclusione, nel rispetto delle condizioni di fatto e di diritto di cui all'art. 8, n. 1, della direttiva 90/531/CEE, deve tener conto di tutte le caratteristiche dei servizi interessati, dell'esistenza di servizi sostitutivi, delle condizioni di prezzo, delle posizioni di mercato dei concorrenti, nonché dell'esistenza di eventuali vincoli normativi.

    3)

    Lo Stato membro interessato non è tenuto a risarcire i danni eventualmente subiti da un ente aggiudicatore a causa della non corretta attuazione dell'art. 8, n. 1, della direttiva 90/531/CEE, atteso che nella specie la violazione non è qualificabile come manifesta e grave».


    ( *1 ) Lingua originale: l'italiano.

    ( 1 ) GU L 297, pag. 1.

    ( 2 ) Rispetto a tale ultimo profilo il presente procedimento si collega dunque alle cause Brassene du Pêcheur e Factortame (cause riunite C-46/93 e C-48/93), nonché alla causa Dillenkofer a altri (cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94), in cui le relative conclusioni sono anch'esse presentate in data odierna.

    ( 3 ) V., in particolare, artt. 3 e 10.

    ( 4 ) Sentenzi 10 aprile 1984, causa 14/83, Von Colson (Race. pag. 1891, punto 15).

    ( 5 ) Sentenza 30 maggio 1991, causa C-59/89, Commissione/ Germania (Race. pag. I-2607, punto 24).

    ( 6 ) V, ad esempio, sentenza 9 aprile 1987, causa 363/85, Commissione/Italia (Race. pag. 1733).

    ( 7 ) V. art. 7, n. 2, della normativa nazionale di attuazione.

    ( 8 ) Direttiva del Consiglio del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all'applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni (GU L 76, pag. 14).

    ( 9 ) Il corsivo è mio.

    ( 10 ) Di opposto avviso è il governo britannico. Dalle osservazioni presentate dal governo francese, non contestate, risulta peraltro che nel settore dei collegamenti fìssi le quote di mercato sarebbero così suddivise: 90% alla ricorrente, 7% alla Mercury; 3% agli altri operatori.

    ( 11 ) Come ben specificato nell'ordinanza di rinvio, la ricorrente ha infatti l'obbligo di garantire a chiunque ne faccia richiesta l'interconnessione alle sue reti; ha inoltre l'obbligo di prestare servizi universali, vale a dire servizi di telefonia in qualsiasi zona del Regno anche qualora la domanda non sia sufficiente a coprire i costi; infine, unica tra tutti i tiolari di licenze, è tenuta al rispetto della regola del «price cap», in base alla quale le tariffe da essa praticate non possono essere variate se non nei casi e nei limiti fìssati per legge.

    ( 12 ) Cause riunite C-46/93 e C-48/93.

    ( 13 ) Cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94.

    ( 14 ) Sentenza 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich (Racc. pag. I-5357).

    ( 15 ) Diversamente dalla già ricordata causa C-48/93 (Factortame III), in cui la violazione del diritto comunitario è imputabile al legislatore, nella specie la normativa di attuazione della direttiva è costituita da un atto dell'esecutivo. Le condizioni estremamente rigorose affermate dalla giurisprudenza inglese ai fini della responsabilità patrimoniale dello Stato per attività normativa rendono tuttavia, anche in tale ipotesi, estremamente difficile il riconoscimento del diritto al risarcimento per i singoli che abbiano subito un danno a seguito di una violazione del diritto comunitario. Per una ricognizione essenziale della giurisprudenza nazionale in materia di responsabilità dello Stato per attività normativa della pubblica amministrazione, in particolare rispetto alle diverse ipotesi in cui il risarcimento è ammesso nel sistema inglese, v. punto 7 delle mie conclusioni relative alla causa sopra citata.

    ( 16 ) La ricorrente ha anche chiesto al giudice nazionale un provvedimento provvisorio di sospensione dell'applicazione delle norme nazionali controverse, provvedimento che le è stato negato.

    ( 17 ) Su tali aspetti, v. punti 23-34 delle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pécheur) e C-48/93 (Factortame III).

    ( 18 ) Per quanto riguarda rilievi specifici concernenti il caso Francovich, nonché il fondamento e la portata del principio della responsabilità e dell'obbligo risarcitorio dello Suto membro inadempiente, quali si evincono da tale pronuncia, rinvio alle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pécheur) e C-48/93 (Factortame), in particolare punti 15-22.

    ( 19 ) V., in particolare, i punti 33, 35 e 37 della sentenza in questione.

    ( 20 ) In questo senso, peraltro, depone la sentenza 12 luglio 1990, causa C-188/89, Foster (Racc. pag. I-3313, punto 22), in cui la Corte ha affermato che 1 art. 5, n. 1, della direttiva 76/207/CEE, norma provvista di effetto diretto, «può essere invocato per ottenere il risarcimento dei danni nei confronti di un organismo» incaricato di prestare un servizio pubblico.

    ( 21 ) Le tre condizioni in questione, individuate dalla Corte in Francovich (punto 40), sono tuttavia qui testualmente riportate così come ribadite e sintetizzate dalla stessa Corte nella sentenza 14 luglio 1994, causa C-91/92, Faccini Dori (Racc pag. 3325, punto 27). V. inoltre sentenza 16 dicembre 1993, causa C-334/92, Wagner Miret (Racc. pag. I-6911, punti 22 e 23). In quest'ultimo caso, sebbene si trattasse di una direttiva, la stessa di Francovich, già trasposta nell'ordinamento nazionale, il problema si poneva in ragione della mancata presa in considerazione, nelle conferenti norme nazionali, di una determinau categoria di lavoratori, rispetto ai quali, dunque, essa risultava non attuata.

    ( 22 ) Sentenza Francovich, citata, punto 41.

    ( 23 ) La giurisprudenza in questione, o meglio i criteri in essa elaborati dalla Corte, sono trattati, per gli aspetti che qui rilevano, ai punti 61-69 delle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortame III).

    ( 24 ) V., in particolare, punti 74-84 di tali conclusioni.

    ( 25 ) V., al riguardo, punti 85-90 delle stesse conclusioni.

    ( 26 ) V., in particolare, punti 55-60 delle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortame III), nonché punto 28 delle conclusioni relative alle cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94 (Dillenkofer e altri).

    ( 27 ) V., in particolare, punto 84 di tali conclusioni.

    ( 28 ) V., al riguardo, punto 81 delle conclusioni relative alle cause riunite C-46/93 (Brasserie du Pêcheur) e C-48/93 (Factortame III); nonché le conclusioni relative alle cause riunite C-178/94, C-179/94, C-188/94, C-189/94 e C-190/94 (Dillenkofer e altri), cause che corrispondono, per quanto qui rileva, all'ipotesi Francovich.

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