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Document 61993CC0043
Opinion of Mr Advocate General Tesauro delivered on 1 June 1994. # Raymond Vander Elst v Office des Migrations Internationales. # Reference for a preliminary ruling: Tribunal administratif de Châlons-sur-Marne - France. # Freedom to provide services - Nationals of a non-member country. # Case C-43/93.
Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 1 giugno 1994.
Raymond Vander Elst contro Office des migrations internationales (OMI).
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal administratif di Châlons-sur-Marne - Francia.
Libera prestazione dei servizi - Cittadini di un paese terzo.
Causa C-43/93.
Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 1 giugno 1994.
Raymond Vander Elst contro Office des migrations internationales (OMI).
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal administratif di Châlons-sur-Marne - Francia.
Libera prestazione dei servizi - Cittadini di un paese terzo.
Causa C-43/93.
Raccolta della Giurisprudenza 1994 I-03803
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1994:216
Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 1 giugno 1994. - RAYMOND VANDER ELST CONTRO OFFICE DES MIGRATIONS INTERNATIONALES. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: TRIBUNAL ADMINISTRATIF DE CHALONS-SUR-MARNE - FRANCIA. - LIBERA PRESTAZIONE DEI SERVIZI - CITTADINI DI UN PAESE TERZO. - CAUSA C-43/93.
raccolta della giurisprudenza 1994 pagina I-03803
edizione speciale svedese pagina I-00059
edizione speciale finlandese pagina I-00059
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Signor Presidente,
Signori Giudici,
1. La presente procedura concerne una fattispecie che la Corte ha già avuto modo di esaminare nella sua precedente giurisprudenza in tema di prestazione di servizi. L' ipotesi è quella di un' impresa stabilita in uno Stato membro, che effettui una prestazione di servizi in un altro Stato membro, utilizzando a tal fine propri lavoratori aventi la nazionalità di paesi terzi. In una simile ipotesi, la prestazione di servizi si accompagna necessariamente ad un distacco temporaneo di lavoratori di paesi terzi nello Stato membro dove la prestazione deve essere eseguita (1). Ne consegue che, se il paese ospitante, in applicazione della propria normativa in materia di lavoro, impone condizioni che possono in qualche modo ostacolare il distacco dei lavoratori, tali condizioni, di riflesso, finiscono per intralciare altresì l' attività di prestazione di servizi effettuata dall' impresa da cui i lavoratori dipendono.
La normativa nazionale di cui trattasi
2. E' su questo sfondo che vengono a collocarsi le questioni formulate dal giudice nazionale nell' ambito della presente procedura. Il problema sollevato riguarda invero taluni aspetti specifici della normativa francese che disciplina l' accesso al lavoro sul territorio nazionale da parte di cittadini di paesi terzi. Tale normativa ° in parte già considerata dalla Corte nella sentenza Rush Portuguesa (2) ° può essere descritta nei termini che seguono.
3. L' art. L. 341-2 del codice del lavoro francese stabilisce che:
"Per entrare in Francia al fine di esercitarvi un' attività di lavoro subordinato, lo straniero deve presentare, oltre ai documenti e visti richiesti dalle convenzioni internazionali e dai regolamenti in vigore, un contratto di lavoro vistato dall' autorità amministrativa ovvero un permesso di lavoro ed un certificato medico".
4. A questi obblighi, posti a carico dei lavoratori stranieri che intendano esercitare attività subordinate in Francia, fa poi riscontro uno specifico obbligo, posto a carico dei datori di lavoro. Ai sensi dell' art. L. 341-6, primo comma:
"E' fatto divieto a chiunque di assumere o di mantenere in servizio uno straniero non munito del titolo che lo autorizza ad esercitare un' attività di lavoro subordinato in Francia, qualora il possesso di tale titolo sia richiesto in virtù sia di disposizioni legislative o regolamentari sia di trattati o accordi internazionali".
5. L' applicazione di tali disposizioni rientra nell' ambito delle competenze dell' Office des Migrations Internationales (OMI). L' OMI, organismo di diritto pubblico, strettamente collegato al ministero del lavoro, ha essenzialmente il compito di gestire l' attività di collocamento dei lavoratori stranieri intenzionati a venire a lavorare in Francia e dei lavoratori, francesi e non, già residenti in Francia ed intenzionati ad andare a lavorare all' estero. La legge riconosce all' OMI il monopolio di tale attività (3). Ai sensi dell' art. L. 341-9 del codice del lavoro infatti:
"Con riserva degli accordi internazionali, le operazioni di assunzione in Francia e l' ingresso sul territorio metropolitano dei lavoratori originari dei territori d' oltremare e degli stranieri, di assunzione in Francia dei lavoratori di qualsiasi nazionalità per l' estero sono affidate a titolo esclusivo all' Office des migrations internationales.
E' fatto divieto a qualsiasi individuo od associazione diversa da tale Office di svolgere tali operazioni".
A questo nucleo essenziale di attività dell' OMI, l' art. R. 341-9, introdotto da un decreto del 1975, ha aggiunto la facoltà di svolgere "ogni operazione connessa relativa all' accoglienza, all' informazione, all' adattamento sociale e professionale, nonché all' ausilio da offrire eventualmente al rimpatrio dei lavoratori migranti".
6. Per il finanziamento delle sue attività, l' OMI dispone, in virtù dell' art. R. 341-25, oltre che di sovvenzioni pubbliche e dei proventi di atti di liberalità, di canoni rappresentativi delle spese sostenute ("redevances représentatives de frais") o di contributi forfettari ("contributions forfaitaires") corrisposti dai "datori di lavoro beneficiari della manodopera" assunta tramite l' intermediazione dell' OMI.
7. La violazione di tali disposizioni è sanzionata, fra l' altro, con un' apposita ammenda amministrativa. Ai sensi dell' art. L. 341-7 del codice del lavoro:
"Senza pregiudizio delle azioni giudiziarie che potranno essere promosse nei suoi riguardi, il datore di lavoro che abbia assunto un lavoratore straniero in violazione delle disposizioni dell' art. L. 341-6, primo comma, sarà tenuto a versare un contributo speciale all' Office des migrations internationales. L' ammontare di tale contributo speciale non potrà essere inferiore a 500 volte il tasso orario del minimo garantito previsto dall' art. L. 141-8".
I fatti
8. Il signor Vander Elst, di nazionalità belga, è titolare, in Belgio, di un' impresa specializzata in attività di demolizione. Fanno parte del personale dell' impresa, oltre a lavoratori di nazionalità belga, anche taluni lavoratori di nazionalità marocchina. Questi ultimi risultano occupati presso l' impresa Vander Elst continuativamente da diversi anni; essi risiedono legalmente in Belgio, sono muniti, in quel paese, di regolare permesso di lavoro e sono titolari di un regolare contratto di lavoro subordinato.
9. Nell' aprile 1989, per l' esecuzione di lavori da effettuarsi in Francia, a Reims, il signor Vander Elst ha inviato una squadra di otto persone, composta di quattro lavoratori di nazionalità belga e di quattro lavoratori di nazionalità marocchina.
E' acquisito che i quattro lavoratori marocchini facevano parte del personale abituale dell' impresa ed avevano ottenuto, presso il consolato di Francia a Bruxelles, il visto richiesto per l' ingresso ed il soggiorno, sul territorio francese, per il periodo necessario alla realizzazione dei lavori.
10. In occasione di un controllo effettuato sul cantiere, a Reims, da parte dell' ispettorato francese del lavoro, è emerso che i quattro lavoratori marocchini di cui sopra erano privi del permesso di lavoro richiesto dall' art. L. 341-6 del codice del lavoro ed erano stati assunti, per l' esecuzione della loro prestazione in Francia, senza rispettare le procedure speciali di collocamento contemplate dall' art. L. 341-9 del codice stesso.
Per le irregolarità constatate, è stato imposto al signor Vander Elst il pagamento, ai sensi dell' art. L. 341-7, di un contributo speciale pari a 121 520 FF, successivamente ridotto a 30 380 FF.
Il quesito pregiudiziale
11. Nel quadro dell' azione giurisdizionale avviata dal signor Vander Elst avverso tale provvedimento, il tribunale amministrativo di Châlons-sur-Marne ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte due quesiti pregiudiziali, il cui oggetto può essere rappresentato nei termini seguenti:
Nell' ipotesi in cui un' impresa di uno Stato membro effettui un' attività di prestazione di servizi in altro Stato membro, distaccando, a tal fine, lavoratori, aventi la nazionalità di paesi terzi, regolarmente ed abitualmente occupati presso l' impresa stessa, gli artt. 59 e seguenti del Trattato si oppongono all' applicazione di una normativa nazionale, quale la normativa francese dianzi descritta, che, per un verso, subordina l' utilizzazione di tali lavoratori a condizioni quali:
° l' obbligo di rivolgersi ad un organismo nazionale, cui la legge riconosce il monopolio del collocamento dei lavoratori di paesi terzi, per ottenere il rilascio del permesso di lavoro;
° l' obbligo di versare a tale organismo un corrispettivo per il servizio reso;
e che, per altro verso, sanziona con un' ammenda amministrativa l' impiego di tali lavoratori, nell' ipotesi in cui questi non abbiano ottenuto il suddetto permesso di lavoro?
Sintesi della giurisprudenza in materia di circolazione dei servizi
12. E' pacifico che il caso di specie riguarda un' ipotesi di prestazione di servizi rilevante ai sensi degli artt. 59 e seguenti del Trattato. L' attività di cui trattasi è infatti un' attività economica prestata, contro remunerazione, da un' impresa stabilita in uno Stato membro diverso da quello dove la prestazione deve essere effettuata (4).
13. Ciò stabilito, e prima di esaminare se la normativa francese controversa comporti un ostacolo incompatibile con i diritti garantiti ai singoli dagli artt. 59 e seguenti, è opportuno richiamare brevemente gli elementi essenziali della giurisprudenza della Corte in subiecta materia.
Al riguardo, va anzitutto ricordato che la Corte ha più volte avuto modo di precisare che la ratio propria di tali disposizioni va essenzialmente colta nell' esigenza di promuovere la piena integrazione del mercato europeo mediante la rimozione delle misure statuali suscettibili di intralciare gli scambi transfrontalieri di servizi. In questa prospettiva la Corte ha sottolineato che l' art. 59 ° non diversamente del resto dall' art. 48 ° mira a facilitare ai cittadini comunitari l' esercizio di attività economiche di qualsivoglia natura in tutto il territorio della Comunità e osta a qualsiasi normativa nazionale che li ostacoli qualora desiderino estendere le loro attività al di fuori del territorio di un unico Stato membro (5).
14. In coerenza con tale finalità, la Corte ha poi proceduto a definire, progressivamente, la portata dei diritti risultanti dagli artt. 59 e seguenti. Secondo una costante giurisprudenza, l' art. 59 del Trattato vieta, anzitutto, sia le discriminazioni palesi, fondate sulla nazionalità, sia qualsiasi forma di discriminazione dissimulata che, mediante il ricorso ad altri criteri distintivi, abbia in pratica le stesse conseguenze (6).
15. Inoltre, la Corte ° ribadendo, in materia di prestazione di servizi, i principi del mutuo riconoscimento e di proporzionalità, già da tempo affermati in materia di circolazione delle merci ° ha statuito che la libera circolazione dei servizi, garantita dagli artt. 59 e seguenti, implica altresì l' eliminazione delle restrizioni che possono risultare dall' applicazione al prestatore di servizi, stabilito in uno Stato membro, delle normative, indistintamente applicabili, vigenti nello Stato membro in cui la prestazione deve essere eseguita.
In effetti, come sottolineato nella più recente giurisprudenza (7), in mancanza di armonizzazione delle norme in materia di servizi, e anche di un regime di equivalenza, la libertà garantita dal Trattato in questo settore può risultare limitata dall' applicazione di normative nazionali, concernenti chiunque sia stabilito sul territorio nazionale, ai prestatori stabiliti sul territorio di un altro Stato membro che già debbono soddisfare i requisiti delle normative di tale Stato.
Siffatti limiti rientrano nel divieto di cui all' art. 59 qualora l' applicazione della legge nazionale ai prestatori stranieri non sia giustificata da esigenze imperative connesse all' interesse generale, ovvero quando le esigenze sottese a detta normativa già siano tutelate dalle norme imposte ai prestatori nello Stato membro in cui sono stabiliti. In tale prospettiva, dev' essere dimostrato che l' applicazione delle normative nazionali (ai prestatori stabiliti in altri Stati membri) dev' essere atta a garantire il conseguimento dello scopo con esse perseguito e non può eccedere quanto necessario a tal fine; in altre parole, occorre che lo stesso risultato non possa essere ottenuto mediante provvedimenti meno incisivi (8).
16. Alla stregua dei richiamati criteri, può affermarsi, in sintesi, che una determinata normativa nazionale è applicabile alla prestazione di servizi resa da un' impresa stabilita in un altro Stato membro a condizione:
i) che detta normativa non comporti alcuna discriminazione, formale o materiale, del prestatore stabilito in altro Stato membro
ii) e che, qualora si tratti di una normativa concernente indistintamente qualsiasi prestatore operante sul territorio nazionale, l' applicazione del regime nazionale:
a) risponda ad esigenze imperative giustificate dall' interesse generale
b) e non possa essere sostituita da misure meno restrittive per gli scambi.
Le restrizioni alla libera circolazione dei servizi provocate dalla normativa controversa
17. Nella specie, è evidente che la normativa nazionale di cui trattasi comporta degli effetti restrittivi sulla libertà di circolazione dei servizi nell' ambito comunitario. Come si è detto, la Corte ha già esaminato, nella sentenza Rush Portuguesa, le norme francesi che impongono alle imprese di altri Stati membri che intendono prestare servizi in Francia, distaccandovi propri lavoratori, l' obbligo di rivolgersi all' OMI e di richiedere un permesso di lavoro per i dipendenti distaccati. Al riguardo, la Corte ha affermato che:
"Gli artt. 59 e 60 del Trattato ostano (...) a che uno Stato membro vieti ad un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di spostarsi liberamente nel suo territorio con tutto il suo personale, ovvero a che detto Stato membro sottoponga lo spostamento del personale di cui trattasi a condizioni restrittive quali una condizione di assunzione in loco o un obbligo di permesso di lavoro. Infatti, il fatto di imporre tali condizioni al prestatore di servizi di un altro Stato membro discrimina questo prestatore rispetto ai suoi concorrenti stabiliti nel paese ospitante che possono avvalersi liberamente del proprio personale, e pregiudica per giunta la capacità dello stesso di fornire la prestazione" (il corsivo è mio).
Il ragionamento della Corte muove dalla premessa che le imprese stabilite in uno Stato membro che ° come l' impresa Rush Portuguesa o Vander Elst ° intendono prestare servizi in un altro Stato membro, trasferendovi all' uopo propri lavoratori, hanno già eseguito, nel paese di stabilimento, le procedure legali prescritte per l' assunzione di manodopera (straniera e non) ed hanno già sopportato i relativi oneri amministrativi e finanziari. Tali imprese dunque, nella misura in cui impiegano proprio personale regolare, non hanno alcun bisogno di rivolgersi agli organismi di collocamento del paese ospitante e di sottoporsi alle relative procedure: imporre loro il contrario ° così come previsto dalla normativa francese controversa ° si configura quindi come una duplicazione di oneri e formalità del tutto priva di giustificazione e suscettibile di svantaggiarle nella concorrenza con i prestatori nazionali.
18. Tali effetti restrittivi non possono poi che essere accentuati dalla circostanza ° non considerata dalla Corte nella sentenza Rush Portuguesa ° che, ai sensi dell' art. R. 341-25 del codice del lavoro francese, il datore di lavoro debba corrispondere all' OMI un compenso per l' attività di collocamento svolta e che, ai sensi dell' art. L. 341-7 del codice medesimo, sia prevista l' applicazione di un' ammenda amministrativa ai datori di lavoro che, in violazione del monopolio del collocamento dell' OMI, utilizzino dipendenti privi del permesso di lavoro prescritto.
Detti oneri ° e in particolare il compenso di cui all' art. R. 341-25 ° potrebbero giustificarsi qualora l' OMI prestasse effettivamente all' impresa il servizio di collocamento di manodopera straniera per il quale dispone di monopolio legale. Ma ciò non si verifica nel caso di imprese che ° come l' impresa Vander Elst ° si limitano a distaccare temporaneamente in Francia propri dipendenti: tali imprese, non dovendo assumere alcun lavoratore sul mercato francese del lavoro, non ricevono dall' OMI alcun servizio e non violano alcun monopolio.
19. I governi intervenuti nella presente procedura hanno tuttavia sottolineato che la valutazione espressa dalla Corte nella sentenza Rush Portuguesa non potrebbe essere estesa alla presente fattispecie. In Rush Portuguesa infatti i lavoratori distaccati erano di nazionalità portoghese e, benché all' epoca dei fatti i lavoratori portoghesi non beneficiassero ancora, in forza di uno specifico regime transitorio, di tutte le prerogative riconosciute ai lavoratori comunitari, il semplice fatto che essi avessero la nazionalità di uno Stato membro della Comunità poteva giustificare una più ampia tutela del diritto alla libera prestazione di servizi dell' impresa da cui dipendevano.
L' obiezione non appare assolutamente fondata. Anzitutto, da un punto di vista generale, va rilevato che nella presente causa ° così come nella causa Rush Portuguesa ° non si discute di diritti propri dei lavoratori, bensì di diritti delle imprese da cui i lavoratori dipendono. A questo riguardo, la Corte ha già stabilito, in linea di principio, che:
"uno Stato membro non può servirsi dei poteri di controllo che esercita sull' impiego di cittadini di paesi terzi per imporre un onere discriminatorio ad un' impresa di un altro Stato membro, che gode della libertà di prestazione di servizi in forza degli artt. 59 e 60 del Trattato" (9).
Sotto questo profilo, dunque, eventuali differenze circa lo statuto giuridico dei lavoratori distaccati ° risultanti assertivamente dalla circostanza che, in un caso, si tratta di lavoratori di uno Stato membro in regime transitorio e, nell' altro, di lavoratori di paesi terzi ° appaiono del tutto ininfluenti. Ciò che conta è stabilire se, e in che misura, l' applicazione delle norme nazionali in materia di (accesso al) lavoro comporta restrizioni ingiustificate dei diritti garantiti alle imprese comunitarie dagli artt. 59 e seguenti del Trattato.
20. Ciò rilevato, va poi aggiunto, per completezza, che, se si fa riferimento alle norme francesi controverse, non risulta alcuna vera differenza fra la situazione dei lavoratori portoghesi, di cui si trattava nella causa Rush Portuguesa, ed i lavoratori marocchini, di cui si tratta nella presente procedura: rispetto all' applicazione delle norme controverse ° in particolare, rispetto all' obbligo di assunzione di manodopera straniera tramite l' OMI ed al divieto di assumere personale non munito di permesso di lavoro ° gli uni e gli altri si trovano invero nella stessa posizione.
I lavoratori portoghesi erano difatti soggetti ad un regime transitorio che li privava delle prerogative riconosciute agli altri lavoratori comunitari dagli artt. 1-6 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all' interno della Comunità (10); segnatamente, tali lavoratori non godevano della parità di trattamento nell' accesso all' impiego (sancito dall' art. 1 del regolamento) e potevano pertanto essere sottoposti a "procedure di reclutamento di manodopera speciali per gli stranieri" [ai sensi dell' art. 3, n. 2, lett. a), del regolamento]; i lavoratori stessi beneficiavano viceversa pienamente della parità di trattamento nell' esercizio dell' impiego (segnatamente, condizioni di retribuzione, licenziamento, reintegrazione professionale, vantaggi sociali e fiscali ecc.) contemplata dagli artt. 7 e seguenti del regolamento medesimo. Proprio perché sottratti alle regole enunciate negli artt. 1-6 del regolamento, i lavoratori in discorso non potevano vantare alcun diritto originario alla non applicazione nei loro confronti delle disposizioni del codice del lavoro francese inerenti all' obbligo di assunzione tramite l' OMI ed all' obbligo di ottenere il permesso di lavoro; essi potevano nondimeno vantare un diritto derivato in tal senso, a condizione che ° come verificatosi nel caso esaminato dalla Corte ° fossero dipendenti di un' impresa stabilita in un altro Stato membro.
Analogamente, i lavoratori marocchini impiegati dall' impresa Vander Elst non godono di alcun diritto alla parità di trattamento, rispetto ai cittadini comunitari, per quanto riguarda le condizioni e le procedure di accesso all' impiego. Essi beneficiano soltanto, ai sensi degli artt. 40 e 41 dell' accordo di cooperazione fra la Comunità ed il Regno del Marocco (11), della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione e le condizioni di sicurezza sociale.
Dal punto di vista dell' applicazione delle norme francesi sull' accesso al lavoro degli stranieri, lo statuto dei dipendenti marocchini dell' impresa Vander Elst si presenta dunque del tutto simile a quello dei dipendenti portoghesi dell' impresa Rush Portuguesa.
In entrambi i casi era perfettamente compatibile con lo statuto di tali lavoratori che le autorità francesi ne controllassero e ne limitassero l' accesso al lavoro; in entrambi i casi, tuttavia, l' applicazione delle stesse norme nazionali poteva porsi in conflitto con gli artt. 59 e seguenti del Trattato, nella misura in cui i lavoratori medesimi erano temporaneamente distaccati in Francia, per la realizzazione di prestazioni di servizi, da imprese stabilite in altri Stati membri.
Le ragioni invocate a giustificazione della normativa controversa
21. I governi intervenuti nella presente procedura hanno altresì sostenuto che l' applicazione delle norme francesi in discorso sarebbe comunque necessaria per tutelare talune esigenze d' interesse generale, attinenti, in particolare, al controllo dei movimenti delle persone aventi la cittadinanza di paesi terzi, al buon funzionamento del mercato del lavoro ed alla protezione dei lavoratori e della concorrenza fra le imprese.
° Sul controllo dei movimenti delle persone aventi la cittadinanza di paesi terzi
22. A questo riguardo, va anzitutto rilevato che le norme francesi controverse, che impongono l' intermediazione dell' OMI e l' obbligo del permesso di lavoro (nonché il versamento del relativo corrispettivo e le sanzioni per la violazione degli obblighi stessi), rientrano nell' ambito della disciplina delle condizioni di accesso all' impiego e non appaiono finalizzate al controllo dell' ingresso e del soggiorno, sul territorio nazionale, di cittadini di paesi terzi.
23. Ma, anche prescindendo da tale considerazione, va comunque sottolineato che gli Stati membri dispongono di altri strumenti per controllare, sul proprio territorio, gli spostamenti di cittadini di paesi terzi. Le esigenze di ordine pubblico e di pubblica sicurezza ° espressamente contemplate dagli artt. 48, n. 2, e 56, n. 1, del Trattato ° consentono infatti agli Stati membri di subordinare i movimenti di tali soggetti a specifici controlli ed autorizzazioni, imponendo, in particolare, il rilascio di visti d' ingresso ed autorizzazioni di soggiorno. E' in questa prospettiva, del resto, che le autorità francesi hanno previsto il rilascio obbligatorio del visto per i cittadini di vari paesi terzi, fra cui segnatamente i cittadini marocchini (nel caso di specie, inoltre, è acquisito che i lavoratori di nazionalità marocchina dipendenti dell' impresa Vander Elst abbiano chiesto ed ottenuto, presso le competenti autorità consolari, il visto prescritto per l' ingresso ed il soggiorno in Francia per il periodo necessario all' esecuzione dei lavori).
Ne consegue che, anche sotto questo profilo, le norme controverse non farebbero che introdurre un' inutile duplicazione di controlli già efficacemente attuati mediante altri, e più appropriati, strumenti.
° Sulle esigenze di tutela del mercato nazionale del lavoro
24. Sia il governo francese sia il governo tedesco hanno fatto valere che consentire ad un' impresa stabilita in uno Stato membro di distaccare, per la prestazione di servizi in altri Stati membri, propri lavoratori aventi la nazionalità di paesi terzi potrebbe provocare turbative sul mercato del lavoro del paese ospite.
L' obiezione tuttavia non appare fondata. Come dianzi rilevato, e come sottolineato dalla Commissione, l' impresa che utilizzi i propri lavoratori per prestare un servizio in altro Stato membro non accede affatto al mercato del lavoro del paese ospitante. In una simile ipotesi, infatti, i lavoratori vengono assunti nello Stato membro di stabilimento, secondo le procedure ivi vigenti, e vengono soltanto temporaneamente distaccati nel paese dove la prestazione è eseguita. Tali valutazioni, del resto, trovano conferma nella sentenza Rush Portuguesa, in cui la Corte, riferendosi appunto al "trasferimento temporaneo di lavoratori inviati in un altro Stato membro per effettuarvi lavori", ha rilevato che tali lavoratori tornano "nel loro paese d' origine dopo aver svolto il loro compito, senza mai accedere al mercato del lavoro dello Stato membro ospitante".
25. Sempre sotto questo profilo, è stato fatto valere, in secondo luogo, che, nell' ipotesi in cui si ammetta che gli artt. 59 e seguenti conferiscono alle imprese stabilite in uno Stato membro di distaccare temporaneamente in altri Stati membri i propri lavoratori al fine di eseguire prestazioni di servizi, dovrebbe comunque riconoscersi alle autorità del paese ospitante la facoltà di controllare che l' impresa di cui trattasi non abusi del diritto riconosciutole in forza del Trattato. In particolare, le autorità del paese ospitante dovrebbero poter verificare che l' impresa non si avvalga di tale diritto al fine esclusivo di trasferire il proprio personale in un altro Stato membro per poi collocarlo ovvero per metterlo a disposizione di altre imprese.
26. Al riguardo, va ricordato che in Rush Portuguesa la Corte ha riconosciuto la legittimità di controlli a ciò destinati. La Corte ha tuttavia precisato che:
"Controlli del genere devono però rispettare i limiti posti dal diritto comunitario, e in particolare quelli derivanti dalla libera prestazione di servizi che non può essere vanificata e il cui esercizio non può essere sottoposto alla discrezionalità dell' amministrazione".
27. Nella presente procedura, la Corte può, a mio avviso, specificare ulteriormente la portata dell' affermazione appena citata. In proposito, ritengo si possa affermare che:
° perché detti controlli siano utili, l' autorità nazionale debba essere informata preventivamente dei distacchi temporanei di lavoratori di paesi terzi sul proprio territorio e possa, a tal fine, prescrivere che l' impresa che procede al distacco ottenga il rilascio di un documento (permesso di lavoro o altro documento analogo) che attesti che i lavoratori di cui trattasi sono titolari di regolare contratto di lavoro subordinato nel paese di stabilimento;
° la verifica all' uopo svolta debba avere carattere formale e non debba mettere capo ad un apprezzamento di tipo discrezionale; il che significa che, una volta accertata l' esistenza di un regolare contratto di lavoro, l' autorizzazione al distacco dei lavoratori deve essere concessa automaticamente;
° detta verifica debba essere condotta tempestivamente e sulla base "della documentazione e delle garanzie già presentate dal prestatore di servizi per quel che riguarda l' esercizio della sua attività nello Stato membro dove è stabilito" (12).
° Sulla tutela dei lavoratori e della concorrenza
28. E' stato infine affermato che le norme nazionali sarebbero necessarie a tutelare i lavoratori e ad evitare distorsioni di concorrenza fra le imprese e ciò in quanto, in mancanza di controlli svolti da organismi quali l' OMI, vi sarebbe il rischio che le imprese di altri Stati membri si avvalgano di lavoratori di paesi terzi, applicando loro trattamenti salariali o altre condizioni di lavoro meno favorevoli di quelle comunemente garantite dalla legislazione del paese ospitante.
29. A questo riguardo, va in primo luogo osservato che tale obiezione è già stata presa in considerazione, e superata, dalla Corte nelle sentenze Seco e Rush Portuguesa. In particolare, la Corte ha statuito, nella sentenza Seco, che:
"E' assodato che il diritto comunitario non osta a che gli Stati membri estendano le loro leggi o i contratti (...) conclusi tra lavoratori e datori di lavoro, per quanto concerne le retribuzioni minime, a qualsiasi persona che svolga attività lavorativa subordinata, anche di carattere temporaneo, nel loro territorio, quale che sia il paese in cui è stabilito il datore di lavoro; del pari il diritto comunitario non vieta agli Stati membri di imporre il rispetto di queste norme con mezzi adeguati".
30. In secondo luogo, e per completezza, va sottolineato che il problema non dovrebbe comunque porsi nel caso di specie, atteso che i lavoratori marocchini dipendenti dell' impresa Vander Elst sono titolari di un regolare contratto di lavoro, retto dal diritto belga, e che, conformemente ai già ricordati artt. 40 e 41 dell' accordo di cooperazione fra la Comunità ed il Regno del Marocco, i lavoratori di nazionalità marocchina godono, negli Stati membri, della parità di trattamento rispetto ai lavoratori comunitari per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di retribuzione e le condizioni di sicurezza sociale. Ne consegue che, indipendentemente dalla possibilità di applicare ai lavoratori temporaneamente distaccati in Francia le norme nazionali di ordine pubblico che disciplinano i diversi aspetti del rapporto di lavoro, dovrebbe ritenersi che l' applicazione del conferente regime belga sia comunque tale da escludere rischi sensibili di sfruttamento dei lavoratori e di alterazione di concorrenza fra le imprese.
Conclusione
31. Alla luce di tali considerazioni, propongo di rispondere al giudice nazionale nei seguenti termini:
"Nell' ipotesi in cui un' impresa di uno Stato membro effettui un' attività di prestazione di servizi in altro Stato membro, distaccando, a tal fine, lavoratori, aventi la nazionalità di paesi terzi, regolarmente ed abitualmente occupati presso l' impresa stessa, gli artt. 59 e seguenti del Trattato si oppongono all' applicazione di una normativa nazionale, quale la normativa francese dianzi descritta, che, per un verso, subordina l' utilizzazione di tali lavoratori a condizioni quali:
° l' obbligo di rivolgersi ad un organismo nazionale, cui la legge riconosce il monopolio del collocamento dei lavoratori di paesi terzi, per ottenere il rilascio del permesso di lavoro;
° l' obbligo di versare a tale organismo un corrispettivo per il servizio reso;
e che, per altro verso, sanziona con un' ammenda amministrativa l' impiego di tali lavoratori, qualora questi non abbiano ottenuto il suddetto permesso di lavoro".
(*) Lingua originale: l' italiano.
(1) - Si ricordi che l' ipotesi del distacco temporaneo di lavoratori (comunitari) è stata presa in considerazione dal legislatore comunitario in materia di sicurezza sociale. L' art. 14, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 1971, n. 1408, relativo all' applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all' interno della Comunità [v. nella versione codificata dal regolamento (CEE) del Consiglio 2 giugno 1983, n. 2001 - GU L 230, pag. 6], stabilisce in proposito che:
1. a) La persona che esercita un' attività subordinata nel territorio di uno Stato membro presso un' impresa dalla quale dipende normalmente ed è distaccata da questa impresa nel territorio di un altro Stato membro per svolgervi un lavoro per conto della medesima, rimane soggetta alla legislazione del primo Stato membro, a condizione che la durata prevedibile di tale lavoro non superi i dodici mesi e che essa non sia inviata in sostituzione di un' altra persona giunta al termine del suo periodo di distacco .
(2) - Sentenza 27 marzo 1990, causa C-113/89 (Racc. pag. I-1417).
(3) - V. Lamy social, 1994, punto 29: en principe, tout étranger désirant travailler en France, doit entrer le cadre de la procédure dite d' introduction organisée par l' OMI. Cet organisme détient en effet le monopole des opérations de recrutement et de l' introduction en France des étrangers. La violation de ce monopole est sanctionnée pénalement . Sulle conseguenze, anche finanziarie, risultanti dalla violazione del monopolio dell' OMI, v. ibid., punti 52 e ss..
(4) - Sulla nozione di servizio ai sensi degli artt. 59 e seguenti, v. da ultimo sentenza 24 marzo 1994, causa C-275/92, Schindler (Racc. pag. I-0000).
(5) - V. sentenza 17 dicembre 1981, causa 279/80, Webb (Racc. pag. 3305); sentenza 7 luglio 1988, causa 143/87, Stanton (Racc. pag. 3877), e sentenza 20 maggio 1992, causa C-106/91, Ramrath (Racc. pag. I-3351).
(6) - V. sentenza 3 giugno 1992, causa C-360/89, Commissione/Italia (Racc. pag. I-3401), e sentenza 5 dicembre 1989, causa C-3/88, Commissione/Italia (Racc. pag. 4035). Entrambe le sentenze riguardavano ipotesi di discriminazione indiretta, fondate cioè su criteri che, pur non riposando sulla nazionalità del prestatore, conducevano poi, de facto, ad un risultato equivalente: nel primo caso, trattavasi di una quota riservata, negli appalti pubblici di lavori, alle imprese aventi sede nella regione di esecuzione dei lavori; nel secondo caso, trattavasi di una quota riservata, negli appalti pubblici di forniture, alle società a prevalente o totale partecipazione statale.
(7) - V., in particolare, sentenza 25 luglio 1991, causa C-288/89, Gouda (Racc. pag. I-4007), e sentenza 25 luglio 1991, causa C-353/89, Commissione/Paesi Bassi (Racc. pag. I-4072).
(8) - V. sentenza 26 febbraio 1991, Commissione/Francia, causa C-154/89 (Racc. pag. I-659); sentenza 26 febbraio 1991, causa C-180/89, Commissione/Italia (Racc. pag. I-709), e sentenza 26 febbraio 1991, causa C-159/89, Commissione/Grecia (Racc. pag. I-691).
(9) - V. sentenza 3 febbraio 1982, cause riunite 62/81 e 63/81, Seco e Desquenne (Racc. pag. 223).
(10) - GU L 257, pag. 2.
(11) - Accordo firmato a Rabat il 27 aprile 1976 e concluso in nome della Comunità con regolamento (CEE) del Consiglio 26 settembre 1978, n. 2211 (GU L 264, pag. 1).
(12) - V. sentenza Webb, già citata.