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Document 61991CC0181

    Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs del 16 dicembre 1992.
    Parlamento europeo contro Consiglio delle Comunità europee e Commissione delle Comunità europee.
    Aiuto d'urgenza - Prerogative del Parlamento - Disposizioni in materia di bilancio.
    Cause riunite C-181/91 e C-248/91.

    Raccolta della Giurisprudenza 1993 I-03685

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1992:520

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    F. G. JACOBS

    presentate il 16 dicembre 1992 ( *1 )

    Signor Presidente,

    Signori Giudici,

    1. 

    In queste cause il Parlamento chiede l'annullamento, a norma dell'art. 173 del Trattato CEE (in prosieguo: il «Trattato»), di una decisione adottata nel corso di una sessione del Consiglio e mirante alla concessione di un aiuto speciale al Bangladesh (causa C-181/91), e dei provvedimenti adottati dalla Commissione per l'esecuzione di detta decisione (causa C-248/91). Le due cause sollevano la questione di principio consistente nello stabilire se una decisione dei rappresentanti degli Stati membri riuniti nell'ambito del Consiglio possa essere contestata a norma dell'art. 173 del Trattato.

    Antefatti

    2.

    La controversia trae le sue origini da un ciclone che ha devastato il Bangladesh nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1991. A seguito di tale ciclone, la Commissione ha concesso immediatamente al Bangladesh un aiuto di 10 milioni di ECU (in prosieguo: «MECU») e definito un piano per un aiuto speciale di 60 MECU. Il piano è stato dapprima esaminato dai ministri delle Finanze degli Stati membri, riuniti ufficiosamente in Lussemburgo I'11 maggio 1991. Il piano della Commissione è stato esaminato dal Consiglio (Affari generali) nel corso di una sessione ordinaria tenutasi a Bruxelles il 13 e il 14 maggio 1991, alla quale hanno partecipato i ministri degli Affari esteri degli Stati membri. Il piano non figurava tuttavia all'ordine del giorno ufficiale della sessione. Il 14 maggio, durante una colazione di lavoro alla quale partecipavano i ministri e un membro della Commissione, è stata adottata la decisione di fornire un aiuto speciale di 60 MECU al Bangladesh, secondo il piano della Commissione. Tale decisione ha costituito oggetto di un comunicato stampa dal titolo «Aiuto al Bangladesh — Conclusioni del Consiglio» [riferimento: 6004/91 (Presse 60-C)], che recitava:

    «Gli Stati membri riuniti in sede di Consiglio hanno deciso, sulla scorta di una proposta della Commissione, di assegnare un aiuto speciale di 60 MECU al Bangladesh nel quadro di un'azione comunitaria.

    La ripartizione tra gli Stati membri avverrà secondo il criterio del PNL.

    Questo aiuto verrà integrato nell'azione generale della Comunità a favore del Bangladesh.

    L'aiuto viene fornito direttamente dagli Stati membri oppure attraverso un conto gestito dalla Commissione.

    La Commissione assicura il coordinamento globale dell'aiuto speciale di 60 MECU».

    Questo testo compare anche nel progetto di verbale della riunione del Consiglio sotto la voce «Varie — Aiuto al Bangladesh».

    3.

    A seguito della decisione di accordare l'aiuto, la Commissione ha aperto un conto speciale presso una banca belga ed ha invitato gli Stati membri a trasferirvi la loro quota. La Grecia ha versato la sua quota di 716775,45 ECU sul predetto conto speciale. Gli altri Stati membri hanno invece versato il loro contributo direttamente, nell'ambito dell'aiuto bilaterale. La quota della Grecia è stata inglobata nel bilancio comunitario secondo la seguente procedura: il direttore della direzione «Entrate», in seno alla direzione generale «Bilancio» della Commissione, ha iscritto l'importo di 716775,45 ECU nell'art. 900 (entrate diverse) del bilancio generale delle Comunità per l'esercizio 1991. Ai sensi delle disposizioni del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee (testo aggiornato pubblicato nella GU C 80, 1981, pag. 1), è stata aperta una linea supplementare nella parte «Spese» del bilancio (voce B7-3000: cooperazione finanziaria e tecnica con paesi in via di sviluppo dell'Asia e dell'America latina). Da una lettera del 2 agosto 1991, inviata dalla Commissione al presidente del comitato per il controllo di bilancio del Parlamento europeo, emerge che la linea supplementare era presentata e controllata separatamente nei conti. La citata lettera conteneva inoltre il seguente brano:

    «[la linea supplementare] è soggetta alle norme generali applicabili ai sensi del regolamento finanziario (utilizzo deciso dall'ordinatore competente, approvazione da parte del controllore finanziario, pagamenti effettuati dal contabile e controllo della corretta esecuzione da parte della Corte dei conti e dell'autorità di bilancio)».

    4.

    Con il ricorso proposto contro il Consiglio il Parlamento chiede l'annullamento della decisione di accordare un aiuto speciale di 60 MECU al Bangladesh. Il Parlamento sostiene che, sebbene nel comunicato stampa l'atto sia definito come una decisione presa dagli «Stati membri riuniti in sede di Consiglio», si tratta in realtà di una decisione del Consiglio. La decisione, fa notare il Parlamento, ha delle implicazioni di bilancio e avrebbe dovuto essere adottata nel rispetto della procedura prevista dall'art. 203 del Trattato, cosa che avrebbe consentito al Parlamento di far pesare maggiormente il suo ruolo. Pur sottolineando di essere favorevole alla concessione di un aiuto comunitario in casi del genere, il Parlamento osserva che il Consiglio, non adempiendo l'obbligo di adottare la decisione a norma dell'art. 203, non ha rispettato le sue prerogative.

    Esso rinvia alla sentenza della Corte di giustizia nella causa C-70/88 Parlamento europeo/Consiglio (Race. 1990, pag. I-2041), nella quale la Corte ha dichiarato, al punto 27, quanto segue:

    «(...) il Parlamento è legittimato ad agire dinanzi alla Corte con ricorso per annullamento avverso un atto del Consiglio o della Commissione, purché il ricorso sia inteso unicamente alla tutela delle sue prerogative e si fondi soltanto su motivi dedotti dalla violazione di queste. Con questa riserva, il ricorso per annullamento proposto dal Parlamento è soggetto alle regole dei Trattati sul ricorso per annullamento delle altre istituzioni».

    5.

    Con il ricorso proposto contro la Commissione il Parlamento chiede l'annullamento degli atti adottati dalla Commissione per l'esecuzione della decisione di accordare un aiuto speciale al Bangladesh. Il Parlamento sottolinea che il bilancio generale per l'esercizio 1991, così come è stato adottato (GU 1991, L 30), non prevedeva un aiuto speciale al Bangladesh. Iscrivendo nella parte «Entrate» e nella parte «Spese» del bilancio un importo equivalente alla quota della Grecia per l'aiuto al Bangladesh senza aver presentato un bilancio suppletivo o rettificativo, la Commissione non ha rispettato le prerogative del Parlamento ai sensi dell'art. 203, nn. 5, 6 e 7, ed ha violato l'art. 205 del Trattato nonché l'art. 22 del regolamento finanziario.

    6.

    Con ordinanza 15 ottobre 1992, la Corte ha deciso di riunire i ricorsi proposti contro il Consiglio e la Commissione, a norma dell'art. 43 del regolamento di procedura. Prenderò in esame i due ricorsi uno di seguito all'altro.

    Il procedimento contro il Consiglio (causa C-181/91)

    7.

    Il Consiglio ha sollevato un'eccezione di irricevibilità per il motivo che l'atto impugnato non è stato adottato dal Consiglio, bensì dagli Stati membri e non poteva pertanto essere oggetto di un procedimento di annullamento dinanzi alla Corte. Esso ha chiesto alla Corte di statuire su detta eccezione senza impegnare la discussione nel merito. La Corte ha tuttavia deciso di esaminare la questione della ricevibilità congiuntamente alle questioni di merito.

    8.

    A sostegno della sua tesi, secondo la quale la decisione impugnata sarebbe un atto del Consiglio, il Parlamento deduce una serie di argomenti. In primo luogo, fa notare che l'atto è denominato «conclusioni del Consiglio» ed è stato adottato nel corso di una sessione ordinaria del Consiglio alla quale hanno partecipato i ministri degli Affari esteri di tutti gli Stati membri. In secondo luogo, sottolinea che l'atto è stato adottato in base a una proposta della Commissione e dichiara che, in forza dell'art. 149 del Trattato, è soltanto il Consiglio a poter decidere su una proposta presentata dalla Commissione. Come terzo argomento, il Parlamento fa notare che l'aiuto speciale deve essere ripartito fra gli Stati membri secondo il criterio del prodotto nazionale lordo (PNL) degli stessi, e ciò rappresenta un'ulteriore prova del fatto che l'atto è stato adottato nell'ambito della procedura di bilancio, atteso che il PNL degli Stati membri è un concetto comunitario. Esso costituisce uno dei fondamenti delle risorse proprie della Comunità in virtù dell'art. 2, n. 1, lett. d), della decisione del Consiglio 88/376/CEE relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità (GU 1988, L 185, pag. 24), ed è definito nella direttiva del Consiglio 89/130/CEE, relativa all'armonizzazione della fissazione del prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato (GU 1989, L 49, pag. 26).

    9.

    Il Parlamento sottolinea che, secondo il comunicato stampa, l'aiuto speciale fa parte integrante dell'azione comunitaria a favore del Bangladesh e deve essere gestito dalla Commissione. Esso puntualizza che, a norma dell'art. 155, quarto trattino, del Trattato, solo il Consiglio ha il potere di conferire alla Commissione il compito di integrare l'aiuto speciale nell'aiuto comunitario globale al Bangladesh. Come risulta da una lettera del 22 maggio 1991 inviata dalla Commissione al Parlamento, la Commissione intendeva dare attuazione all'atto impugnato iscrivendo le somme versate dagli Stati membri nel bilancio della Comunità. Dalla predetta lettera emerge altresì che le operazioni finanziarie di gestione dell'aiuto speciale dovevano essere integrate nell'attuazione del bilancio ed esaminate dal Parlamento e dalla Corte dei conti. Il Parlamento sostiene che, in forza dell'art. 206 bis e dell'art. 206 ter del Trattato, la Corte dei conti e il Parlamento esaminano i conti della Comunità e non già quelli degli Stati membri e conclude che il controllo finanziario cui deve essere sottoposto l'aiuto costituisce un'ulteriore indicazione del fatto che la decisione impugnata è un atto del Consiglio.

    10.

    Il Parlamento dichiara che la questione dell'aiuto al Bangladesh è stata nuovamente sollevata nel corso di una sessione del Consiglio del 27 maggio 1991, a seguito della quale è stato diffuso un comunicato stampa indicante che «il Consiglio fa il punto sullo stato di attuazione del programma» d'aiuto al Bangladesh. Secondo il Parlamento, il fatto che in questo comunicato stampa si citi il «Consiglio» in luogo de «gli Stati membri riuniti in sede di Consiglio» costituisce la prova che il Consiglio stesso considerava l'atto impugnato come un proprio atto.

    11.

    Il Parlamento sostiene che, essendo esauriti i fondi disponibili nell'ambito del bilancio generale per l'esercizio 1991, era necessario adottare un bilancio suppletivo e rettificativo per fornire l'aiuto previsto. Secondo l'art. 15, n. 2 del regolamento finanziario applicabile al bilancio generale delle Comunità europee, i bilanci suppletivi e rettificativi vanno adottati secondo la procedura prevista dall'art. 203 del Trattato CEE e secondo le corrispondenti disposizioni degli altri Trattati. Ai sensi dell'Accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio e sul miglioramento della procedura di bilancio (GU 1988, L 185, pag. 33), l'adozione di tale bilancio avrebbe comportato un adeguamento delle prospettive finanziarie per l'esercizio 1991. Il Parlamento sostiene che taluni Stati membri non erano disposti ad approvare questo adeguamento. Sebbene, a norma dell'art. 12 dell'Accordo interistituzionale, sia possibile adottare una decisione di adeguamento delle prospettive finanziarie con una votazione a maggioranza qualificata, gli Stati membri non erano disposti a procedere in tal senso. È per questo motivo, a quanto pare, che hanno fatto ricorso alla procedura contestata. A sostegno del proprio argomento, il Parlamento invoca le dichiarazioni rese dal presidente del Consiglio in carica in un'allocuzione al Parlamento in data 14 maggio 1991.

    12.

    Il Consiglio contesta le osservazioni del Parlamento e dichiara che il tenore del comunicato stampa, che non riveste carattere ufficiale e non esercita alcun effetto giuridico nei confronti di terzi, non determina la natura della decisione. Sebbene, secondo il comunicato stampa, l'atto impugnato sia stato adottato su proposta della Commissione, il Consiglio sostiene che tale formulazione non è del tutto corretta e che sarebbe più esatto parlare di un atto adottato dal Consiglio di comune accordo con la Commissione.

    13.

    Il Consiglio sostiene che la ripartizione dell'aiuto in base al criterio del PNL degli Stati membri rappresentava una soluzione pratica e di facile applicazione. L'utilizzo del PNL come criterio di ripartizione non trasforma la decisione impugnata in un atto della Comunità. Secondo il Consiglio, il fatto che la decisione di concedere l'aiuto non fosse un atto comunitario non ha impedito alla Commissione di procedere al coordinamento e alla gestione dell'aiuto. La Commissione ha assolto compiti analoghi in passato ed ha accumulato molta esperienza e cognizioni specializzate. Il Consiglio aggiunge che la Commissione non ha ricevuto istruzioni dagli Stati membri, ma ha proceduto volontariamente al coordinamento dell'aiuto.

    14.

    Secondo il Consiglio, sia gli Stati membri che la Commissione hanno agito, non già nell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario, ma in funzione di bisogni contingenti per dare una risposta rapida ed efficace ad una situazione di crisi. Il Consiglio sostiene che in materia di concessione di un aiuto umanitario la Comunità non ha una competenza esclusiva e che gli Stati membri restano liberi di agire collettivamente o singolarmente, in margine all'azione comunitaria.

    15.

    Replicando alle osservazioni del Consiglio, il Parlamento riconosce che la competenza della Comunità in materia di concessione di aiuti umanitari ai paesi terzi non ha carattere esclusivo, ma sostiene che, ove gli Stati membri intendano accordare un aiuto nell'ambito della Comunità, essi non possono farlo se non attraverso il Consiglio e nel rispetto della procedura comunitaria in materia di bilancio. E aggiunge che, nel caso in specie, sarebbe stato del tutto possibile procedere in tal modo. In primo luogo, l'aiuto in questione era destinato a progetti a lungo termine che richiedevano del tempo per essere avviati. In secondo luogo, il Parlamento era stato un energico fautore del principio della concessione di un aiuto al Bangladesh e aveva precisato di essere disposto ad accelerare l'iter di una qualunque proposta presentata in materia dalla Commissione, nell'ambito della procedura prevista dal Trattato.

    16.

    È da notare prima di tutto che, nel determinare quali misure siano soggette al sindacato giurisdizionale previsto dall'art. 173 del Trattato, la Corte ha adottato un'interpretazione ampia, basata su considerazioni di sostanza e non di forma. Nella causa 22/70, Commissione/Consiglio (AETS, Race. 1971, pag. 263), la Corte ha dichiarato quanto segue, ai punti 38-42 della sua sentenza:

    «(...) a norma dell'art. 173, la Corte esercita il sindacato di legittimità “sugli atti del Consiglio (...) che non siano raccomandazioni o pareri”;

    (...) gli Stati membri e le istituzioni non possono impugnare per annullamento le “raccomandazioni e pareri” — i quali, a norma dell'art. 189, ultimo comma, non sono vincolanti — mentre invece rimangono impugnabili tutti i provvedimenti adottati dalle istituzioni e miranti a produrre effetti giuridici;

    (...) l'impugnazione è destinata a garantire, in conformità al disposto dell'art. 164, il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato;

    (...) sarebbe in contrasto con questa finalità l'interpretare restrittivamente i presupposti di ricevibilità dell'azione, limitandone l'esercizio alle categorie di atti contemplate dall'art. 189;

    (...) l'azione d'annullamento deve quindi potersi esperire nei confronti di qualsiasi provvedimento adottato dalle istituzioni (indipendentemente dalla sua natura e dalla sua forma) che miri a produrre effetti giuridici (...)».

    Basandosi sull'argomentazione sopra citata, la Corte ha riconosciuto che la deliberazione del Consiglio 20 maggio 1972, relativa alla negoziazione e alla conclusione, da parte degli Stati membri, dell'Accordo europeo relativo ai trasporti su strada, costituiva un atto soggetto al sindacato giurisdizionale. L'argomentazione svolta in proposito ha trovato conferma in altre cause, tra cui, ad esempio, la causa 114/86, Regno Unito/Commissione (Race. 1988, pag. 5289), la causa C-366/88, Francia/Commissione (Race. 1990, pag. I-3571). La Corte ha riconosciuto inoltre che le risoluzioni del Parlamento europeo miranti a produrre effetti giuridici verso i terzi sono anch'esse soggette al sindacato giurisdizionale: v., ad esempio, la causa 294/83, «Les Verts»/Parlamento europeo (Race. 1986, pag. 1339). Essa ha ritenuto altresì che anche una decisione verbale può essere oggetto di un'azione di annullamento: v. cause riunite 316/82 e 40/83 Kohler/Corte dei conti (Race. 1984, pag. 641).

    17.

    Tenuto conto della giurisprudenza citata, la questione volta a sapere se l'atto impugnato sia o no soggetto a sindacato giurisdizionale dipende dal contenuto e dagli effetti all'atto stesso, e non dal modo in cui esso è definito nel comunicato stampa e nel progetto di verbale della sessione nel corso della quale è stato adottato.

    18.

    È vero che, al contrario di quanto avviene nella presente causa, nelle cause succitate il punto in questione non era l'identità dell'istituzione che aveva adottato l'atto, bensì gli effetti dell'atto stesso. Nella causa AETS, in particolare, risulta dal verbale della sessione del Consiglio del 20 maggio 1972 che la decisione di cui la Commissione contestava la validità era stata adottata dal Consiglio (v. conclusioni dell'avvocato generale Dutheillet de Lamothe, Race. 1971, pagg. 285 e 286). Nel caso in specie, al contrario, l'atto impugnato viene definito decisione degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. Esiste, ovviamente, una differenza fondamentale fra le decisioni del Consiglio (che, ai sensi dell'art. 146 del Trattato, è composto dai rappresentanti degli Stati membri) e le decisioni degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. Per contro, non pare sussistere differenza deliberata o necessaria fra l'espressione «gli Stati membri riuniti in sede di Consiglio» e l'espressione «i rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio». Quest'ultima compare negli Atti di adesione; l'art. 3, n. 1, dell'Atto relativo alle condizioni di adesione alle Comunità europee del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito prevede infatti quanto segue:

    «I nuovi Stati membri aderiscono con il presente atto alle decisioni e accordi conclusi dai rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. Essi s'impegnano ad aderire dal momento dell'adesione a ogni altro accordo concluso dagli Stati membri originari relativo al funzionamento delle Comunità o che sia connesso alla loro azione».

    Disposizioni analoghe compaiono negli Atti relativi all'adesione di Grecia, Spagna e Portogallo alle Comunità europee. Da esse si evince che le decisioni degli Stati membri riuniti nell'ambito del Consiglio non costituiscono un aspetto dell'ordinamento giuridico comunitario in senso stretto, ma fanno comunque parte del patrimonio giuridico della Comunità. Come emerge dalla loro stessa denominazione, esse hanno un carattere ibrido.

    19.

    In ogni modo, è ovvio che, adottando atti di questa natura, i rappresentanti degli Stati membri non agiscono in veste di membri del Consiglio, bensì di rappresentanti dei rispettivi governi, esercitando collettivamente i poteri degli Stati membri. Ne consegue che, in linea di principio, tali atti non sono atti delle istituzioni comunitarie.

    20.

    Pur tuttavia, a mio parere nulla impedisce alla Corte di accertare la validità di una decisione qualificata come decisione degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio. Ritengo infatti che la Corte abbia il potere di esaminare il contenuto e gli effetti di un atto e di appurare se la Comunità avesse la competenza esclusiva ad adottarlo, onde stabilire se l'atto di cui trattasi, pur essendo stato apparentemente adottato sotto forma di atto degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, non sia in realtà un atto del Consiglio stesso.

    21.

    Questo modo di affrontare il problema è compatibile con l'impostazione funzionale adottata dalla Corte nel definire il concetto di atto impugnabile ai fini dell'applicazione dell'art. 173. Per contro, la tesi opposta sarebbe tale da ostacolare il conseguimento degli obiettivi di cui all'art. 164 del Trattato. Se bastasse semplicemente qualificare una decisione come decisione degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio per escluderla dal campo di applicazione dell'art. 173, ne conseguirebbe che la Corte non potrebbe sindacarne la legittimità, pur restando possibile che la decisione in questione, alla luce delle circostanze in cui è stata adottata, sia considerata una decisione del Consiglio. A mio avviso, sostenere in tal caso che l'atto non è soggetto a sindacato giurisdizionale sarebbe incompatibile con l'obiettivo contemplato dall'art. 164. Nella causa 294/83, «Les Verts»/Parlamento europeo, la Corte ha dichiarato, al punto 23 della sua sentenza, quanto segue:

    «Si deve anzitutto sottolineare che la Comunità economica europea è una comunità di diritto nel senso che né gli Stati che ne fanno parte, né le sue istituzioni sono sottratti al controllo della conformità dei loro atti alla carta costituzionale di base costituita dal Trattato».

    Secondo me, si violerebbe questo principio fondamentale se si ammettesse che un atto non è soggetto al controllo dell'autorità giudiziaria solo perché viene qualificato come atto degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio.

    22.

    È pacifico che, se gli Stati membri adottassero una decisione collegiale in violazione del diritto comunitario, la Commissione potrebbe esperire contro di essi un'azione ex art. 169 del Trattato volta ad assicurare il rispetto degli obblighi loro incombenti. Tuttavia, è evidente che tale ipotesi non potrebbe verificarsi in un caso come quello di specie, nel quale esiste un accordo tra la Commissione e gli Stati membri. In ogni caso, l'esperibilità di tale rimedio giuridico non costituirebbe comunque una garanzia sufficiente in un caso in cui la decisione impugnata lede assertivamente le prerogative del Parlamento. Nella causa C-70/88, Parlamento europeo/Consiglio (Race. 1990, pag. I-2041), la Corte ha dichiarato, al punto 19 della sua sentenza:

    «(...) se è vero che la Commissione è tenuta a vigilare sul rispetto delle prerogative del Parlamento, questo compito non può avere una portata tale da imporle di far propria la posizione del Parlamento e di proporre un ricorso d'annullamento che essa ritenga mal fondato».

    Essa ha aggiunto, nel punto 23 della stessa sentenza:

    «La Corte, cui spetta secondo i Trattati di assicurare il rispetto del diritto nella loro interpretazione ed applicazione, deve quindi poter garantire la conservazione dell'equilibrio istituzionale e, di conseguenza, il sindacato giurisdizionale del rispetto delle prerogative del Parlamento, qualora quest'ultimo l'adisca a tal fine ricorrendo ad un mezzo di impugnazione adeguato allo scopo perseguito».

    A mio avviso, queste considerazioni sono del tutto valide anche nella fattispecie. Ne consegue che occorre esaminare la competenza dell'autorità che ha adottato la decisione impugnata nonché il contenuto e gli effetti di tale decisione, per poter risolvere la questione volta a stabilire se la decisione di cui trattasi non costituisca in forma dissimulata un atto del Consiglio.

    23.

    Non ritengo che si debba attribuire grande importanza al fatto che in un comunicato stampa si parli di una «proposta» della Commissione. Ciò non significa che esista davvero una proposta in debita forma ai sensi dell'art. 149 del Trattato. Certamente, il termine «proposta» rischia di ingenerare confusione: rilevo che lo stesso punto è già stato oggetto di dibattito nel 1966: v. Gerhard Bebr, «Acts of representatives of the Governments of Member States» (14 SEW, 1966, pagg. 529-545, v. pag. 539). È prassi corrente che la Commissione partecipi all'elaborazione delle decisioni dei rappresentanti degli Stati membri riuniti nell'ambito del Consiglio, ed è fuor di dubbio che di frequente tali decisioni si possano basare su iniziative ufficiose della Commissione. Ma, in ogni caso, la forma precisa dell'iniziativa della Commissione non può determinare il carattere giuridico dell'atto che ne risulta: ciò significherebbe far prevalere, a torto, le questioni di forma su quelle di merito.

    24.

    Nella fattispecie, è evidente a mio avviso che, a prescindere dalla natura del piano presentato dalla Commissione, l'autore della decisione ha inteso adottarla sotto forma di un atto degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio e non come atto del Consiglio. Se ho inteso correttamente la sua argomentazione, il Parlamento non contesta il fatto che l'atto sia stato presentato come atto degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, bensì che l'atto possa essere regolarmente adottato da altri che il Consiglio, e sostiene che in realtà è il Consiglio ad averlo adottato.

    25.

    Purtuttavia, è pacifico che nel campo degli aiuti umanitari la competenza della Comunità non è esclusiva, ma parallela a quella degli Stati membri. Ne consegue che gli Stati membri conservano il potere di agire singolarmente o collegialmente, a loro discrezione, per fornire un aiuto finanziario ai paesi terzi colpiti da calamità naturali.

    26.

    A mio parere, contrariamente alle osservazioni del Parlamento, la partecipazione della Commissione per il coordinamento dell'aiuto speciale al Bangladesh non attesta che la decisione impugnata sia, in realtà, un atto della Comunità. È vero che, se la Commissione, come lascia intendere il Parlamento nel suo ricorso contro di essa, non può in alcun caso agire al di fuori dell'ambito dei Trattati comunitari, la sua partecipazione costituisce un argomento solido a favore della tesi che la decisione impugnata sarebbe un atto della Comunità. Tuttavia, anche accettando la tesi secondo la quale la Commissione non potrebbe agire fuori dell'ambito comunitario, ne può conseguire che l'intervento della Comunità è illegittimo e non che la decisione impugnata sia un atto della Comunità. Pertanto, non è forse strettamente necessario esaminare questa tesi, ma, secondo me, non se ne può accettare la fondatezza. Nella pratica, la Commissione partecipa regolarmente, come già accennato, alle attività dei rappresentanti degli Stati membri riuniti nell'ambito del Consiglio. La sua partecipazione ha attinenza alla natura, che ho definito ibrida, delle sue attività. Il Consiglio ha citato nel presente procedimento altre attività della Commissione analoghe al suo intervento nella presente causa. Il Consiglio sottolinea infatti come il Fondo europeo di sviluppo sia finanziato direttamente dagli Stati membri e gestito dalla Commissione. Il Consiglio dichiara altresì che la Commissione può procedere, su richiesta del Consiglio, degli Stati membri o anche di terzi, al coordinamento dell'azione collettiva. Ne è esempio recente il coordinamento, da parte della Commissione, dell'azione decisa di comune accordo dalla comunità internazionale a favore dei paesi dell'Europa centrorientale. Argomenti analoghi sono dedotti dalla Commissione nell'ambito del procedimento avviato dal Parlamento contro di essa. A mio parere, questi argomenti sono convincenti. Nei casi in cui gli Stati membri decidono di agire singolarmente o collettivamente in un campo di loro competenza, nulla osta in linea di principio a che essi affidino alla Commissione il compito di assicurare il coordinamento della loro azione. Spetta alla Commissione decidere se accettare o rifiutare tale compito sempreché, beninteso, lo espleti in modo compatibile con gli obblighi che le derivano dai Trattati comunitari. Stabilire se la Commissione abbia agito in questo modo nella fattispecie è un punto sollevato nell'azione esperita dal Parlamento contro la Commissione. Ferma tale riserva, nulla, secondo me, può ostare a che la Commissione, essendo essa stessa un'istituzione politica, accetti dei compiti esulanti dall'ambito dei Trattati comunitari, nella misura delle responsabilità politiche della Comunità. Nello svolgimento di tali compiti, gli atti della Comunità saranno soggetti al sindacato della Corte in caso di impugnazione per illegittimità alla luce dei Trattati. Tuttavia, la partecipazione della Commissione non farà, sotto altri profili, rientrare le attività di cui trattasi nell'ambito di competenza della Corte o nel campo di applicazione dei trattati comunitari.

    27.

    Ritengo altresì che la citazione, nel comunicato stampa, del PNL degli Stati membri non comporti che l'atto impugnato sia per sua stessa natura un atto del Consiglio. È chiaro che, in occasioni in cui gli Stati membri accettino collettivamente obblighi finanziari al di fuori dell'ambito comunitario, il criterio del PNL può costituire un mezzo conveniente per la ripartizione di tali obblighi fra di essi.

    28.

    Inoltre, il fatto che l'aiuto speciale debba essere integrato nell'azione generale della Comunità a favore del Bangladesh è un elemento privo d'importanza. Poiché la Comunità e gli Stati membri hanno competenze comuni, deve esser loro consentito di coordinare i loro interventi.

    29.

    Resta da risolvere la questione dell'uso del bilancio comunitario. È forse necessario esaminare, nell'ambito dell'azione esperita contro la Commissione, il punto se fosse legittimo utilizzare il bilancio comunitario come strumento per il versamento dell'aiuto accordato al di fuori dell'ambito della Comunità. Risulta però dal comunicato stampa che la decisione di fornire un aiuto speciale non comportava necessariamente l'uso delle procedure finanziarie comunitarie, né tanto meno l'uso del bilancio comunitario come mezzo per il versamento dell'aiuto. Al contrario, si evince dal comunicato che la decisione di accordare l'aiuto, quale concepita dal suo autore, poteva essere attuata senza ricorrere ad alcun meccanismo comunitario. L'atto impugnato prevedeva che gli Stati membri potessero versare la loro quota nell'ambito dell'aiuto bilaterale oppure attraverso la Commissione. Pertanto, tutti gli Stati membri avrebbero potuto versare la loro quota nell'ambito dell'aiuto bilaterale. Inoltre, l'atto impugnato non indicava la procedura che la Commissione doveva seguire per gestire l'aiuto nel caso in cui uno Stato membro decidesse di versare la sua quota attraverso la Commissione, ma parlava semplicemente di un conto gestito da questa. Come emerge dalla lettera della Commissione datata 2 agosto 1991, è stata la Commissione a decidere di utilizzare un determinato metodo di attuazione. La Commissione avrebbe potuto dare attuazione alla decisione di accordare l'aiuto senza inserire le quote degli Stati membri nel bilancio generale. È chiaro che il metodo adottato dalla Commissione per dare attuazione all'aiuto può incidere sulla validità delle misure di esecuzione senza pregiudicare la validità della decisione impugnata nella causa C-181/91.

    30.

    Concludendo, il Parlamento non è riuscito a provare che, contrariamente alla sua forma e alle apparenti intenzioni del suo autore, l'atto impugnato sia un atto del Consiglio. Di conseguenza, il ricorso del Parlamento contro il Consiglio deve essere dichiarato irricevibile.

    Il procedimento contro la Commissione (causa C-248/91)

    31.

    Nell'atto introduttivo il Parlamento chiede l'annullamento degli atti adottati dalla Commissione e dai suoi servizi per l'esecuzione della decisione impugnata con il ricorso esperito contro il Consiglio. Il Parlamento chiede, in particolare, l'annullamento della decisione d'iscrivere la somma di 716775,45 ECU all'art. 900 (Entrate diverse) della parte «Entrate» del bilancio generale delle Comunità per l'esercizio 1991 e della corrispondente decisione del 13 giugno di aprire una linea supplementare per lo stesso importo nella parte «Spese» del bilancio (voce B7-3000: Cooperazione finanziaria e tecnica con paesi in via di sviluppo dell'Asia e dell'America latina). Infine, il Parlamento chiede l'annullamento degli altri atti di esecuzione del bilancio di oggetto identico, ma di cui esso non era a conoscenza alla data di deposito dell'atto introduttivo.

    32.

    Il Parlamento deduce sostanzialmente tre argomenti, che tratterò in un ordine diverso da quello in cui esso li ha presentati. In primo luogo, il Parlamento deduce l'illegittimità con riguardo all'art. 184 del Trattato. Esso sostiene che la decisione di accordare un aiuto speciale al Bangladesh è una decisione del Consiglio, la quale costituisce violazione delle disposizioni finanziarie del Trattato e lede i suoi poteri in materia di bilancio, ed è pertanto nulla. Ne consegue, secondo il Parlamento, che i provvedimenti impugnati, adottati dalla Commissione in esecuzione di tale decisione, sono anch'essi nulli. In secondo luogo, il Parlamento sostiene che la Commissione può esercitare unicamente le competenze che le sono conferite dal Trattato. Pertanto, ove la decisione di accordare un aiuto speciale al Bangladesh non fosse un atto del Consiglio, ma un atto degli Stati membri, la Commissione avrebbe dato esecuzione, nell'ambito del bilancio comunitario e secondo le modalità di gestione e di controllo previste dal Trattato, ad un atto non comunitario. I provvedimenti adottati dalla Commissione per l'esecuzione dell'atto in questione sono pertanto da annullare. In terzo luogo, il Parlamento sottolinea che il bilancio generale per l'esercizio 1991, così come adottato, non prevedeva un aiuto speciale al Bangladesh. Iscrivendo nella parte «Entrate» e nella parte «Spese» del bilancio un importo pari a quello della quota della Grecia per l'aiuto al Bangladesh senza presentare un bilancio rettificativo e suppletivo, la Commissione non ha rispettato le prerogative del Parlamento ai sensi dell'art. 203, nn. 5, 6 e 7, ed ha violato l'art. 205 del Trattato nonché l'art. 22 del regolamento finanziario.

    33.

    Quanto al primo argomento dedotto dal Parlamento, rinvio alle mie osservazioni sul ricorso proposto dal Parlamento contro il Consiglio. Emerge da tali osservazioni che la decisione di accordare un aiuto speciale al Bangladesh è stata adottata dagli Stati membri che agivano collettivamente al di fuori dell'ambito del diritto comunitario e che non si è trattato dunque di un atto del Consiglio. In assenza di un atto del Consiglio, l'argomento dell'illegittimità dell'atto stesso non può essere accettato. Il primo argomento del Parlamento deve dunque, a mio parere, essere respinto.

    34.

    Passiamo all'esame del secondo e del terzo argomento del Parlamento.

    35.

    La Commissione sostiene che il ricorso è irricevibile per due motivi. Primo, i provvedimenti impugnati non sono soggetti a sindacato giurisdizionale; secondo, nessuno di tali provvedimenti ha leso le prerogative del Parlamento.

    36.

    Quanto al primo motivo d'irricevibilità, la Commissione sostiene che, ai sensi dell'art. 19 dello Statuto della Corte e ai sensi dell'art. 38 del regolamento di procedura della Corte, il ricorrente deve definire con esattezza nel ricorso gli atti di cui chiede l'annullamento. Ne consegue, secondo la Commissione, che il ricorso è irricevibile in quanto il Parlamento impugna, senza identificarli, «gli altri atti di esecuzione del bilancio». In ogni caso, aggiunge la Commissione, non vi sono stati altri atti oltre a quelli di cui il Parlamento è a conoscenza. La Commissione dichiara altresì che ai fini di un procedimento d'annullamento non si può fare distinzione fra gli atti di un'istituzione comunitaria e quelli dei suoi servizi. La Commissione deduce inoltre che l'iscrizione del contributo della Grecia all'aiuto speciale nelle apposite linee del bilancio ha carattere di operazione contabile tecnica, non suscettibile di esercitare effetti giuridici nei confronti di terzi. Secondo la decisione di accordare un aiuto speciale al Bangladesh, gli Stati membri potevano versare il proprio contributo in forma diretta oppure attraverso la Commissione. La decisione d'iscrivere l'importo nel bilancio della Comunità non ha prodotto alcun effetto giuridico verso il governo greco. Infine, la Commissione sostiene di non aver agito nell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario, bensì in virtù di un mandato conferitole dagli Stati membri al di fuori dell'ambito delle sue funzioni d'istituzione comunitaria. Ne consegue che le misure impugnate non erano atti comunitari soggetti al sindacato giurisdizionale ai sensi dell'art. 173.

    37.

    Quanto al secondo motivo d'irricevibilità, la Commissione osserva che, anche qualora l'adozione dei provvedimenti impugnati configurasse un mancato rispetto del bilancio, questa irregolarità sarebbe stata commessa all'atto dell'esecuzione del bilancio. Secondo la Commissione, il Trattato riconosce al Parlamento il diritto di partecipare all'adozione del bilancio. Per contro, in forza dell'art. 205 del Trattato e dell'art. 22 del regolamento finanziario, l'esecuzione del bilancio compete esclusivamente alla Commissione. Non vi sono disposizioni del Trattato che prevedano la partecipazione del Parlamento in sede di esecuzione del bilancio. Ne consegue, secondo la Commissione, che quand'anche avesse agito in modo irregolare, essa non avrebbe comunque leso le prerogative del Parlamento. La Commissione aggiunge che, ove si accettasse il principio che ogni atto illegittimo della Comunità comporta spregio delle prerogative del Parlamento, quest'ultimo avrebbe, in virtù dell'art. 173 del Trattato, una legittimazione attiva di portata ben più estesa di quella che la giurisprudenza della Corte gli ha riconosciuto.

    38.

    Le questioni della ricevibilità sono strettamente legate a quelle di merito, che esaminerò per prime.

    39.

    La Commissione contesta l'argomento del Parlamento secondo il quale essa avrebbe agito in modo illegittimo. Essa sostiene che, pur avendo ricevuto la quota della Grecia al di fuori dell'ambito dell'ordinamento giuridico comunitario, essa ha eseguito le scritture contabili di cui è causa nell'interesse di una gestione finanziaria sana e trasparente. Pur riconoscendo di non avere il potere di modificare il bilancio, essa sostiene che le scritture contabili per l'iscrizione dell'aiuto della Grecia non sono state effettuate nel bilancio stesso, bensì nella contabilità di bilancio; tali scritture sarebbero delle semplici operazioni contabili.

    40.

    La Commissione assume di aver applicato, per analogia, l'art. 4, nn. 2 e 3, del regolamento finanziario e di aver proceduto al versamento dell'aiuto con modalità analoghe a quelle vigenti per l'esecuzione del bilancio. In deroga al principio secondo il quale l'insieme delle entrate copre l'insieme degli stanziamenti per pagamento, l'art. 4, n. 2, contiene un elenco di entrate da destinarsi unicamente a scopi particolari. La Commissione dichiara che, sebbene l'elenco delle entrate stabilito da tale disposizione non preveda espressamente il caso del versamento di un contributo speciale da parte di uno Stato membro per uno scopo particolare, come nella fattispecie, esso non è tassativo. Essa era dunque autorizzata ad applicare tale articolo per analogia, e ne conclude che non vi è stata violazione delle disposizioni finanziarie del Trattato, non costituendo la gestione dell'aiuto un aspetto dell'esecuzione del bilancio.

    41.

    A mio parere, gli argomenti sopra riferiti non possono essere accolti. Secondo l'arti, n. 1, del regolamento finanziario, il bilancio delle Comunità europee è l'atto che prevede e autorizza preventivamente, ogni anno, le entrate e le spese prevedibili delle Comunità. Si evince da questo articolo, letto nel contesto degli artt. 199 e 202 del Trattato e delle equivalenti disposizioni degli altri Trattati, che in linea di principio non può essere validamente raccolta alcuna entrata né può essere validamente stanziata alcuna spesa a nome delle Comunità se non nella misura prevista dal bilancio. Allo stesso modo, emerge con chiarezza dagli artt. 199 e 202 del Trattato e dalle equivalenti disposizioni degli altri Trattati che solo le entrate e le spese delle Comunità possono essere iscritte a bilancio. Ove la Commissione proceda alla gestione di un aiuto accordato dagli Stati membri a paesi terzi al di fuori dell'ambito delle Comunità, essa non può utilizzare il bilancio comunitario per la gestione di tale aiuto. La Commissione sostiene che l'aiuto della Grecia non è stato iscritto nel bilancio stesso, bensì nei conti di esecuzione del bilancio. A mio avviso, la distinzione è priva d'importanza. Risulta chiaramente dall'art. 205 e dall'art. 205 bis del Trattato che, nell'esecuzione del bilancio e nel redigere i conti, la Commissione deve restare entro i limiti del bilancio, quale è stato adottato. L'argomento della Commissione, secondo il quale essa avrebbe applicato per analogia l'art. 4, n. 2, del regolamento finanziario, non è convincente. Una siffatta applicazione per analogia non giustifica l'inserimento nel bilancio dell'aiuto accordato dagli Stati membri al di fuori dell'ambito comunitario.

    42.

    La mia conclusione è che la Commissione non aveva il diritto d'iscrivere nelle parti «Entrate» e «Spese» dei conti di esecuzione del bilancio della Comunità per l'esercizio 1991 il contributo della Grecia all'aiuto speciale a favore del Bangladesh.

    43.

    Passiamo ora alla questione della ricevibilità. A mio avviso, l'argomento della Commissione secondo il quale i provvedimenti impugnati non erano che operazioni tecnicocontabili prive di effetti obbligatori non è fondato. Dalla lettera del 2 agosto 1991 risulta che l'iscrizione della quota della Grecia nei conti di bilancio corrispondeva ad una presa di posizione della Commissione circa la procedura corretta da seguire per l'utilizzo di tale quota e circa la vigilanza su tale utilizzo, e che l'iscrizione, ammesso che fosse legittima, ha di fatto prodotto gli effetti che la Commissione si proponeva di attribuirle. Essa comportava il ricorso alle procedure comunitarie di vigilanza da parte della Corte dei conti e dell'autorità di bilancio. Non era stata dunque priva di conseguenze giuridiche e, in linea di principio, essa è soggetta al sindacato della Corte.

    44.

    Cionondimeno, secondo la giurisprudenza della Corte, il Parlamento è legittimato a proporre un ricorso d'annullamento avverso il Consiglio o la Commissione solo laddove il ricorso sia inteso a tutelare le sue prerogative e si fondi sulla pretesa violazione di queste: v. causa C-70/88, Parlamento/Consiglio (summenzionata, punto 27 della motivazione); causa C-65/90, Parlamento/Consiglio (sentenza 16 luglio 1992, Race, pag. I-4593, punto 13 della motivazione). Si tratta quindi di stabilire se le misure adottate dalla Commissione in questo caso abbiano violato le prerogative del Parlamento in modo tale da legittimarlo a proporre ricorso d'annullamento. La giurisprudenza della Corte non ha finora affrontato la questione delle prerogative del Parlamento se non nel quadro dell'elaborazione della legislazione.

    45.

    Per quanto riguarda il bilancio, non v'è dubbio, a mio parere, che il Parlamento sia legittimato ad agire dinanzi alla Corte ove un'altra istituzione comunitaria leda il suo diritto di partecipare all'adozione del bilancio, ai sensi delle disposizioni del Trattato. Per quanto riguarda l'esecuzione del bilancio, è la Commissione ad averne la responsabilità esclusiva a norma dell'art. 205 del Trattato. Tuttavia, il Parlamento ha l'obbligo di vegliare sull'esecuzione del bilancio e di dare scarico alla Commissione in forza dell'art. 206 ter del Trattato e dell'art. 89 del regolamento finanziario. Si può sostenere che i poteri del Parlamento in materia di scarico siano di per sé sufficienti a garantire che le sue prerogative non siano in alcun modo lese da un qualunque atto compiuto dalla Commissione nell'esecuzione del bilancio. Ne conseguirebbe che il Parlamento non ha titolo in alcun caso per impugnare atti di esecuzione con un ricorso d'annullamento. Questo è forse un argomento fondato ma è inutile statuire su questo punto nella presente causa. Non è da escludersi che, in determinati casi, il Parlamento possa chiedere l'annullamento di atti di esecuzione, ad esempio se essi siano tali da alterare il bilancio fino a renderlo sostanzialmente diverso da quello adottato nel rispetto delle procedure previste dal Trattato. In ogni modo, non è questo il punto nella fattispecie. Il Parlamento non è stato in grado d'individuare, nel caso dell'iscrizione impugnata, il benché minimo effetto suscettibile di ledere anche minimamente le sue prerogative. In realtà, l'unico effetto potenziale, per quanto riguarda il Parlamento, è stato quello di dargli la possibilità di vigilare sulla destinazione dell'importo in questione. A mio avviso, l'iscrizione non era indicata, ma non ha in alcun modo leso le prerogative del Parlamento.

    46.

    Di conseguenza, il ricorso del Parlamento contro la Commissione è, secondo me, irricevibile.

    Conclusione

    47.

    Sono pertanto del parere che

    1)

    i ricorsi proposti dal Parlamento contro il Consiglio e contro la Commissione debbano essere respinti e che

    2)

    il Parlamento debba essere condannato alle spese.


    ( *1 ) Lingua originale: l'inglese.

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