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Document 61990CC0208

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 23 aprile 1991.
Theresa Emmott contro Minister for Social Welfare e Attorney General.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court - Irlanda.
Parità di trattamento in materia di previdenza sociale - Prestazione d'invalidità - Efficacia diretta e termini di ricorso nazionali.
Causa C-208/90.

Raccolta della Giurisprudenza 1991 I-04269

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1991:164

61990C0208

Conclusioni dell'avvocato generale Mischo del 23 aprile 1991. - THERESA EMMOTT CONTRO MINISTER FOR SOCIAL WELFARE E ATTORNEY GENERAL. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: HIGH COURT - IRLANDA. - PARITA DI TRATTAMENTO IN MATERIA DI PREVIDENZA SOCIALE - PRESTAZIONE D'INVALIDITA - EFFICACIA DIRETTA E TERMINI DI IMPUGNAZIONE NAZIONALI. - CAUSA C-208/90.

raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-04269
edizione speciale svedese pagina I-00393
edizione speciale finlandese pagina I-00411


Conclusioni dell avvocato generale


++++

Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. La questione pregiudiziale che costituisce oggetto delle presenti conclusioni ci è stata posta dalla High Court d' Irlanda nell' ambito di una controversia provocata dalla mancata trasposizione nei termini da parte dell' Irlanda della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale (1), che avrebbe dovuto essere trasposta entro il 23 dicembre 1984 e che in effetti è stata trasposta solo con il Social Welfare Act del 16 luglio 1985. Tuttavia le disposizioni di tale legge sono entrate in vigore solo in varie date che si collocano nel 1986.

2. La sig.ra Emmott, ricorrente nella causa principale, è una donna coniugata che ha beneficiato dal dicembre 1983 di una prestazione d' invalidità in base alla normativa irlandese in materia di sicurezza sociale. Fino al 18 maggio 1986 ella ha percepito tale prestazione all' aliquota ridotta che si applicava in tale periodo a tutte le donne coniugate. Un primo adeguamento di tale prestazione sulla base della nuova normativa, adottata in esecuzione della direttiva, è avvenuto il 19 maggio 1986; a partire da tale data la sig.ra Emmott ha percepito la prestazione d' invalidità all' aliquota applicabile ad un uomo che non ha né un adulto né un figlio a carico. A decorrere dal 17 novembre 1986 la prestazione è stata maggiorata a titolo dei suoi tre figli a carico. Nel mese di giugno 1988 veniva effettuato un terzo adeguamento.

3. Sembra che la sig.ra Emmott ignorasse l' esistenza della direttiva fino al momento in cui essa ha avuto conoscenza, tramite la stampa, dell' entrata in vigore della normativa irlandese che ne ha assicurato la trasposizione.

4. Tuttavia, solo dopo la vostra sentenza 24 marzo 1987 (2), McDermott e Cotter (in prosieguo: la "sentenza McDermott e Cotter I"), essa sembra avere avuto conoscenza del fatto che la direttiva le avesse conferito un diritto alla parità di trattamento che essa era legittimata ad esercitare dal 23 dicembre 1984. Alcuni giorni dopo tale sentenza, essa dava corso ad uno scambio di corrispondenza con il Minister for Social Welfare per ottenere il beneficio delle disposizioni della direttiva con effetto dal 23 dicembre 1984. Le autorità irlandesi hanno risposto facendo presente che finché la High Court non avesse risolto la questione della retroattività delle prestazioni al 23 dicembre 1984 nella causa McDermott e Cotter, nessuna decisione poteva essere adottata nel suo caso; contemporaneamente esse lasciavano intendere che la sua domanda sarebbe stata esaminata appena la causa pendente fosse stata risolta.

5. Nel gennaio 1988, la ricorrente si rivolgeva infine a taluni avvocati che ottenevano nel mese di luglio l' autorizzazione ad avviare un' azione dinanzi alla High Court, con riserva del diritto delle parti convenute di far valere il mancato rispetto dei termini procedurali. Avendo queste ultime fatto uso di tale possibilità, il giudice nazionale ci pone la seguente questione:

"Se la sentenza della Corte di giustizia 24 marzo 1987, McDermott e Cotter (causa 286/85, Racc. pag. 1453), nella quale la Corte, risolvendo le questioni sottopostele ai sensi dell' art. 177 del Trattato CEE dalla High Court in ordine all' interpretazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, ha affermato che:

' 1) l' art. 4, n. 1, della direttiva del Consiglio 19 dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa al divieto di discriminazione fondata sul sesso in materia previdenziale, poteva essere fatto valere, non essendo stata attuata la direttiva, a decorrere dal 23 dicembre 1984 per far disapplicare qualsiasi norma nazionale non conforme allo stesso art. 4, n. 1;

2) in mancanza di provvedimenti di attuazione dell' art. 4, n. 1, della direttiva, alle donne spetta il diritto di fruire dello stesso regime applicato agli uomini nella stessa situazione, regime che rimane, se non viene attuata detta direttiva, l' unico sistema di riferimento' ,

debba essere interpretata nel senso che, in un giudizio promosso dinanzi ad un giudice nazionale da una donna coniugata al fine di ottenere, facendo assertivamente valere l' art. 4, n. 1, di detta direttiva, la parità di trattamento e la corresponsione di importi integrativi alla luce di una pretesa discriminazione subita per non esserle state applicate le stesse norme che valgono per un uomo nelle stesse condizioni, sia in contrasto con i principi generali dell' ordinamento comunitario il fatto che le competenti autorità di uno Stato membro facciano valere norme procedurali nazionali, in particolare quelle relative ai termini di decadenza, nel resistere a tale domanda così da limitare o negare tale integrazione".

6. Giustamente la Commissione fa osservare che la soluzione di tale questione non deve essere ricercata nell' interpretazione della sentenza menzionata. Infatti, questa riguarda il diritto conferito in quanto tale e non la questione se uno Stato membro possa basarsi su una norma procedurale nazionale, in particolare una norma sui termini, per evitare di dare seguito ad una domanda basata sul diritto comunitario, cosa che costituisce il problema posto nella presente fattispecie.

7. Le parti concordano nel ritenere che la norma nazionale di cui trattasi è la sezione 84, art. 21, n. 1, del regolamento di procedura dei tribunali superiori del 1986, che disciplina le pratiche e procedure della High Court e della Supreme Court irlandesi, che è così formulata:

"l' autorizzazione a presentare un ricorso per revisione dev' essere chiesta con sollecitudine e, in ogni caso, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui gli elementi su cui essa si basa sono apparsi per la prima volta o entro sei mesi se il risarcimento viene chiesto mediante 'certiorari' , a meno che il tribunale non ritenga che esistano buoni motivi per prolungare il termine durante il quale il ricorso può essere presentato".

8. Devo quindi esaminare

- se lo Stato irlandese possa legittimamente opporre un qualsiasi termine alla sig.ra Emmott,

- e, in caso affermativo, quale possa essere la durata di tale termine e da quale momento esso possa cominciare a decorrere.

9. La sig.ra Emmott ritiene che il fatto di consentire alle autorità competenti irlandesi di eccepire la tardività della presentazione del suo ricorso giurisdizionale equivale a dare a queste autorità la possibilità di trarre profitto dai loro propri inadempimenti.

10. Essa sostiene che un' altra ragione per la quale i convenuti non dovrebbero poter invocare il carattere tardivo della presentazione del ricorso da parte della ricorrente risiede nel fatto che procedere in tal modo equivarrebbe a non applicare il principio di parità di trattamento tra uomini e donne. Durante il periodo 23 dicembre 1984 - 18 novembre 1986, tutti gli uomini coniugati hanno beneficiato di un' aliquota più elevata e di un trattamento più favorevole a titolo delle persone a loro carico rispetto alle donne coniugate. Il Minister for Social Welfare ha concesso agli uomini coniugati un tale trattamento senza che questi ultimi fossero costretti ad avviare una procedura per ottenerlo; i convenuti intendono ora ottenere che tale trattamento sia applicabile alle donne coniugate solo se hanno effettuato immediatamente i passi necessari per ottenere un tale trattamento. Consentire ai convenuti di sostenere con successo una tale posizione equivarrebbe ad imporre alle donne coniugate una condizione preliminare difficile da soddisfare, cioè la necessità di avviare procedure immediatamente se vogliono ottenere la parità di trattamento. Tale concezione consentirebbe al convenuto e allo Stato irlandese di trattare queste donne coniugate in maniera discriminatoria.

11. Ci si può effettivamente chiedere se non risulti dalla vostra sentenza 13 marzo 1991, Cotter e McDermott (causa C-377/89, Racc. pag. I-1155, in prosieguo: la "sentenza McDermott e Cotter II"), che lo Stato irlandese non può giustamente opporre nessun termine alla sig.ra Emmott, indipendentemente dalla data a partire dalla quale tale termine comincia a decorrere. Si può infatti leggere al punto 19 di tale sentenza che

"se, a decorrere dal 23 dicembre 1984, un uomo sposato ha fruito automaticamente di indennità supplementari per persone così dette a carico, senza dover provare che tali persone erano effettivamente a suo carico, la donna coniugata che si trovava nella stessa situazione di detto uomo aveva anch' essa diritto a dette maggiorazioni, senza che potesse essere richiesto nessun ulteriore requisito, specificamente per le donne coniugate".

12. Avete già ritenuto che tale norma dovesse essere applicata con un automatismo assoluto, anche se doveva comportare un doppio versamento, cioè l' assegnazione contemporanea delle indennità per persona a carico al marito e alla moglie.

13. Se tale non fosse il caso, avete aggiunto, ciò consentirebbe alle autorità nazionali di basarsi sul loro proprio comportamento illegittimo per annullare il pieno effetto dell' art. 4, n. 1, della direttiva.

14. E' quindi possibile che voi riteniate che imponendo il rispetto di un termine alle donne coniugate, lo Stato irlandese viola questi principi.

15. Non posso tuttavia decidermi a ritenere che l' applicazione delle norme di procedura nazionali abbia un carattere discriminatorio. Queste regole si applicano infatti indipendentemente dal sesso del ricorrente e sono anche applicate ad un uomo che ha una controversia con i convenuti poiché egli ritiene di non aver ricevuto quanto dovuto. Inoltre, sarebbe a mio parere incompatibile con il principio della certezza giuridica obbligare i giudici irlandesi ad accogliere ancora entro dieci o venti anni domande di pagamento relative al periodo 23 dicembre 1984 - 16 novembre 1986.

16. Unitamente alle autorità irlandesi convenute, ai governi olandese e del Regno Unito e alla Commissione, ritengo che sia possibile applicare nella fattispecie la vostra giurisprudenza costante relativa alla ripetizione dell' indebito. Quest' ultimo riguarda anch' esso situazioni in cui uno Stato membro aveva commesso, per azione o per omissione, un inadempimento al diritto comunitario. Ciò non vi ha tuttavia impedito di ritenere che i singoli dovessero sottoporsi alle regole di procedura nazionali, comprese quelle in materia di termini, se volevano ottenere quanto il diritto comunitario concedeva loro.

17. Tra le numerose sentenze che sono state menzionate nel corso del presente procedimento (3) è probabilmente la sentenza Rewe del 16 dicembre 1976 che esprime nel modo più esplicito la vostra dottrina in materia; mi permetto pertanto di menzionare un ampio passo del punto 5 di tale sentenza:

"secondo il principio della collaborazione, enunciato dall' art. 5 del Trattato, è ai giudici nazionali che è affidato il compito di garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi efficacia diretta;

conseguentemente, in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l' ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta, modalità che non possono, beninteso, essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale;

gli artt. 100-102 e 235 del Trattato consentono, eventualmente, di adottare i provvedimenti necessari per ovviare alle divergenze fra le relative disposizioni legislative regolamentari o amministrative dei vari Stati membri, qualora tali divergenze risultassero atte a provocare distorsioni o a nuocere al funzionamento del mercato comune;

in assenza di siffatti provvedimenti di armonizzazione, i diritti attribuiti dalle norme comunitarie devono essere esercitati, dinanzi ai giudici nazionali, secondo le modalità stabilite dalle norme interne;

una diversa soluzione sarebbe possibile soltanto qualora tali modalità e termini rendessero in pratica impossibile l' esercizio di diritti che i giudici nazionali sono tenuti a tutelare;

ciò non si verifica nel caso della fissazione di ragionevoli termini d' impugnazione, a pena di decadenza;

la fissazione di termini del genere, per quanto riguarda le impugnazioni in materia fiscale, costituisce infatti applicazione del fondamentale principio della certezza del diritto, a tutela sia del contribuente, sia dell' amministrazione interessata".

18. L' applicazione di questi principi alla fattispecie dà luogo alle seguenti osservazioni.

19. Ai sensi dell' art. 173 del Trattato CEE, il termine entro il quale le persone fisiche e giuridiche possono presentare un ricorso dinanzi alla Corte è di due mesi. Il termine di tre mesi previsto dalla normativa irlandese è quindi certamente un "termine ragionevole" ai sensi della vostra giurisprudenza. Ma l' art. 21, n. 1, del regolamento di procedura irlandese prevede che "l' autorizzazione a presentare un ricorso per revisione deve essere richiesta con sollecitudine e, in ogni caso, entro tre mesi (...)". Se ciò significa che una domanda, presentata meno di due mesi dopo la data in cui gli elementi sui quali essa è basata sono apparsi per la prima volta, può tuttavia essere respinta, in tal caso tale possibilità è incompatibile con il criterio del "termine ragionevole".

20. In secondo luogo, secondo la giurisprudenza menzionata, le modalità procedurali del diritto nazionale che si applicano ai ricorsi giudiziari destinati ad assicurare la salvaguardia dei diritti che i singoli derivano dall' efficacia diretta del diritto comunitario non devono essere meno favorevoli di quelle relative a ricorsi analoghi di diritto interno.

21. Poiché la sezione 84, art. 21, n. 1, del regolamento di procedura dei tribunali superiori irlandesi del 1986 sembra applicarsi indistintamente ai ricorsi di natura interna ed ai ricorsi basati sul diritto comunitario, non dovrebbe esservi problema al riguardo. Spetta pertanto al giudice nazionale verificare se non esistano in diritto nazionale tipi di ricorso aventi una portata analoga a quello della sig.ra Emmott, i quali non sono assoggettati all' osservanza di un termine. All' udienza sono state fatte valere a tal riguardo talune rivendicazioni basate direttamente sulla Costituzione.

22. In terzo luogo, le modalità e i termini previsti dalla normativa nazionale non devono pervenire a rendere praticamente impossibile l' esercizio dei diritti che i giudici nazionali hanno l' obbligo di tutelare. In tal caso, le autorità competenti irlandesi non potrebbero giustamente invocarli e, soprattutto, il giudice nazionale non potrebbe a buon diritto applicarli. La Corte non ha quindi ammesso l' applicazione pura e semplice, senza alcuna restrizione, del diritto nazionale, ma ha tenuto a sottolineare che questo diritto si applica unicamente in quanto non rende impossibile in pratica la salvaguardia dei diritti che i singoli derivano dall' efficacia diretta del diritto comunitario. Questa condizione è fondamentale in quanto dimostra che è il principio dell' effetto utile del diritto comunitario che è alla base della giurisprudenza di cui trattasi che deve ispirare la soluzione alla questione posta. L' importanza di questo principio in materia di applicazione delle direttive è del resto stata posta dalla Corte nella sentenza Grad (4).

23. Ora, la possibilità o l' impossibilità di esercitare questi diritti dipende in larga misura dalla data a partire dalla quale il "termine ragionevole" comincia a decorrere. E' sorprendente che i convenuti nella causa principale, che vogliono far valere l' eccezione basata sulla norma nazionale che prevede un termine, non precisano affatto quale sarebbe tale data. Inoltre, essi non menzionano, nella soluzione che propongono per la questione pregiudiziale, la condizione secondo cui la norma nazionale non deve rendere praticamente impossibile l' esercizio dei diritti che derivano dal diritto comunitario.

24. Mi chiedo se nella fattispecie la data in cui i motivi della domanda sono apparsi per la prima volta potrebbe essere la data a decorrere dalla quale la direttiva avrebbe dovuto essere trasposta. La sentenza McDermott e Cotter I mi dice infatti che le donne hanno diritto alla parità di trattamento a decorrere dal 23 dicembre 1984. Il giudice nazionale del resto fa specificamente allusione a tale data. Mi chiedo se occorra concluderne che le donne che si ritengono vittime di una discriminazione avessero dovuto presentare un ricorso prima del 23 marzo 1985 o per lo meno entro tre mesi dal primo rifiuto di concedere loro la parità di trattamento dopo il 23 dicembre 1984.

25. Ritengo da parte mia che il termine possa decorrere dalla data in cui la direttiva avrebbe dovuto essere trasposta solo nel caso in cui si può dimostrare sufficientemente al giudice nazionale che la ricorrente era consapevole, fin da tale momento, del fatto che il principio di parità di trattamento di cui all' art. 4 di quest' ultima poteva essere direttamente fatto valere da essa.

26. In caso contrario, ritengo che la natura stessa della direttiva si opponga a che sia presa in considerazione tale data. Infatti, il principio secondo cui "nessuno è ritenuto ignorare la legge" non può essere opposto ai singoli per quanto riguarda una direttiva non ancora trasposta. Una direttiva vincola solo lo Stato membro; essa non era rivolta ai singoli. Non si possono quindi dedurre dalla direttiva in quanto tale obblighi per i singoli (5). Pertanto essa non può nemmeno far decorrere un termine di ricorso opponibile a questi ultimi.

27. Si può anche ricordare a tal riguardo che la pubblicazione delle direttive sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, che è stata fatta valere all' udienza dai convenuti, è fondamentalmente diversa da quella di cui costituiscono oggetto gli atti obbligatori per i singoli. Non si tratta di una "pubblicazione legale", avente effetti giuridici, come nel caso dei regolamenti, ma solo di una pubblicazione per informazione.

28. Non è poi senza interesse rilevare che il testo della direttiva pubblicata non consente ai singoli di conoscere con esattezza la data limite della trasposizione di quest' ultima. Infatti, tale testo menziona unicamente l' esistenza di un termine entro il quale lo Stato membro, destinatario della direttiva, dovrà averla trasposta nonché il fatto che tale termine comincia a decorrere dalla data della notifica della direttiva allo Stato membro. Ora, tale data non vi figura e non esiste alcuna ragione di supporre che essa sia conosciuta dai singoli.

29. Inoltre, se è vero che l' interpretazione data dalla Corte in una pronuncia in via pregiudiziale ha un effetto retroattivo in quanto essa indica come la norma interpretata avrebbe dovuto essere intesa fin dall' origine, è tuttavia anche indiscutibile che prima che la Corte abbia risolto la questione, non è certo che la direttiva, o uno o l' altro dei suoi articoli, abbia un' efficacia diretta.

30. Si pone pertanto la questione di accertare da quale momento sarebbe opportuno che il termine cominciasse a decorrere. Come la Commissione, ritengo che in tutta equità tale momento non possa collocarsi prima di quello in cui il richiedente avrebbe ragionevolmente dovuto aver conoscenza dell' efficacia diretta della disposizione di cui egli reclama il beneficio e, se occorre, della portata esatta di questa, quando quest' ultima non era evidente. Nella fattispecie si pongono infatti due problemi diversi, cioè quello della concessione delle prestazioni dovute con effetto retroattivo al 23 dicembre 1984 (risolto dalla sentenza McDermott e Cotter I) e quello dei diritti delle donne coniugate alle prestazioni per persone a carico o ai versamenti transitori (risolto dalla sentenza McDermott e Cotter II, intervenuta solo il 13 marzo 1991).

31. Tale soluzione trova del resto un parallelo nell' art. 173, terzo comma, del Trattato CEE, che stabilisce che il termine per presentare il ricorso per annullamento comincia a decorrere dal giorno in cui il ricorrente ha avuto conoscenza dell' atto impugnato.

32. La sig.ra Emmott ha anche ricordato la sentenza Adams (6), al punto 50 della quale avete dichiarato, a proposito del termine di prescrizione di cinque anni che figura all' art. 43 dello Statuto della Corte, che "la prescrizione non può essere eccepita nei confronti della vittima del danno che abbia potuto avere conoscenza del fatto che lo ha causato solo con ritardo, e non abbia quindi potuto disporre di un termine ragionevole per esperire l' azione e presentare la domanda prima della scadenza del termine di prescrizione".

33. Vi è beninteso un momento in cui il ricorrente non può più ragionevolmente sostenere di aver sempre ignorato i diritti che gli conferisce la disposizione di cui trattasi. Tale momento sarà necessariamente variabile a seconda dei fatti della causa e spetterà quindi al giudice nazionale di determinarlo in considerazione delle circostanze.

34. Rimane infine da esaminare un ultimo aspetto del problema sul quale la Commissione ha molto insistito, e ciò giustamente, cioè che non dovrebbe essere consentito all' autorità competente, che ha fatto presente di non essere ancora in grado di pronunciarsi sulla domanda e che ha lasciato intendere che una decisione sarebbe intervenuta solo quando il giudice adito del problema si sarebbe pronunciato in materia, di eccepire successivamente un termine quando l' interessato si decide infine ad adire i tribunali.

35. In una lettera del dipartimento irlandese degli Affari sociali in data 26 giugno 1987 allegata all' ordinanza di rinvio, si può leggere infatti che

"no action can be taken on anyone' s claim as the Directive is still the subject of High Court Proceedings.

When a decision is given by the High Court, the necessary action will be taken to deal with it, and your case will be dealt with immediately".

("Nessuna azione può essere avviata su reclamo di una qualsiasi persona quando la direttiva è ancora soggetta ad un procedimento dinanzi alla High Court.

Quando una decisione viene adottata dalla High Court, sarà intrapresa l' azione necessaria per conformarsi ad essa, e il suo caso sarà trattato immediatamente").

36. Spetta al giudice nazionale statuire sulla portata di tale lettera e sull' insieme dello scambio di corrispondenza intervenuto.

37. Messe da parte le considerazioni di diritto irlandese che potrebbero entrare in causa, il diritto comunitario può fornire la soluzione del problema nel senso che il comportamento dell' amministrazione può essere stato tale da rendere praticamente impossibile l' esercizio dei diritti della sig.ra Emmott.

38. Per tutte queste ragioni propongo di risolvere nel modo seguente la questione posta:

"Nel contesto di un' azione quale quella descritta nella questione sottoposta, le autorità competenti di uno Stato membro non violano il diritto comunitario invocando le norme di procedura nazionale, in particolare quelle relative ai termini, in quanto gli stessi termini si applicano alle azioni di analoga portata intentate in forza del diritto interno. Occorre inoltre che questi termini abbiano una durata ragionevole, siano calcolati solo a decorrere dal momento in cui l' interessato abbia ragionevolmente dovuto avere conoscenza dei suoi diritti e l' esercizio, da parte di quest' ultimo, dei suoi diritti non sia stato reso praticamente impossibile dall' atteggiamento delle autorità competenti".

(*) Lingua originale: il francese.

(1) - GU 1979, L 6, pag. 24.

(2) - Sentenza 24 marzo 1987, McDermott e Cotter (causa 286/85, Racc. pag. 1453).

(3) - V. sentenza 19 dicembre 1968, Salgoil (causa 13/68, Racc. pag. 662); sentenze 16 dicembre 1976, Rewe (causa 33/76, Racc. pag. 1989) e Comet (causa 45/76, Racc. pag. 2043); sentenze 27 marzo 1980, Denkavit (causa 61/79, Racc. pag. 1205), 9 novembre 1983, San Giorgio (causa 199/82, Racc. pag. 3595), 2 febbraio 1988, Barra (causa 309/85, Racc. pag. 355), 29 giugno 1988, Deville (causa 240/87, Racc. pag. 3513) e 9 novembre 1989, Bessin e Salson (causa 386/87, Racc. pag. 3551).

(4) - Sentenza 6 ottobre 1970, Grad (causa 9/70, Racc. pag. 825).

(5) - V. sentenza 26 febbraio 1986, Marshall (causa 152/84, Racc. pag. 723).

(6) - Sentenza 7 novembre 1985, Adams / Commissione (causa 145/83, Racc. pag. 3539, in particolare pag. 3591).

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