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Document 61989CC0312
Joined opinion of Mr Advocate General Van Gerven delivered on 22 November 1990. # Union départementale des syndicats CGT de l'Aisne v SIDEF Conforama, Société Arts et Meubles and Société Jima. # Reference for a preliminary ruling: Tribunal de grande instance de Saint-Quentin - France. # Interpretation of Articles 30 and 36 of the EEC Treaty - National legislation prohibiting the employment of workers in retail shops on Sundays. # Case C-312/89. # Criminal proceedings against André Marchandise, Jean-Marie Chapuis and SA Trafitex. # Reference for a preliminary ruling: Cour d'appel de Mons - Belgium. # Interpretation of Articles 3 (f), 5, 30 to 36, 59 to 66 and 85 of the EEC Treaty - National legislation prohibiting the employment of workers in retail shops on Sundays after 12 noon. # Case C-332/89.
Conclusioni riunite dell'avvocato generale Van Gerven del 22 novembre 1990.
Union départementale des syndicats CGT de l'Aisne contro Sidef-Conforama e altri.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Saint-Quentin - Francia.
Interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE - Normativa nazionale che vieta il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati negli esercizi commerciali al dettaglio.
Causa C-312/89.
Procedimento penale contro André Marchandise e altri.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour d'appel de Mons - Belgio.
Interpretazione degli artt. 3, lett. f), 5, 30-36, 59-66, e 85 del Trattato CEE - Normativa nazionale che vieta l'impiego di lavoratori negli esercizi commerciali al dettaglio la domenica dopo le ore 12.
Causa C-332/89.
Conclusioni riunite dell'avvocato generale Van Gerven del 22 novembre 1990.
Union départementale des syndicats CGT de l'Aisne contro Sidef-Conforama e altri.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de grande instance de Saint-Quentin - Francia.
Interpretazione degli artt. 30 e 36 del Trattato CEE - Normativa nazionale che vieta il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati negli esercizi commerciali al dettaglio.
Causa C-312/89.
Procedimento penale contro André Marchandise e altri.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour d'appel de Mons - Belgio.
Interpretazione degli artt. 3, lett. f), 5, 30-36, 59-66, e 85 del Trattato CEE - Normativa nazionale che vieta l'impiego di lavoratori negli esercizi commerciali al dettaglio la domenica dopo le ore 12.
Causa C-332/89.
Raccolta della Giurisprudenza 1991 I-00997
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1990:418
CONCLUSIONI RIUNITE DELL'AVVOCATO GENERALE VAN GERVEN DEL 22 NOVEMBRE 1990. - UNION DEPARTEMENTALE DES SYNDICATS CGT DE L'AISNE CONTRO SIDEF CONFORAMA, SOCIETE ARTS ET MEUBLES E SOCIETE JIMA. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: TRIBUNAL DE GRANDE INSTANCE DE SAINT-QUENTIN - FRANCIA. - CAUSA C-312/89. - PROCEDIMENTO PENALE A CARICO DI ANDRE MARCHANDISE, JEAN-MARIE CHAPUIS E SA TRAFITEX. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE: COUR D'APPEL DE MONS - BELGIO. - CAUSA C-332/89.
raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-00997
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Signor Presidente,
Signori Giudici,
1. Il Tribunal de grande instance di Saint-Quentin e la Cour d' appel di Mons vi hanno posto alcune questioni pregiudiziali relative alla compatibilità col diritto comunitario di una normativa nazionale che vieta il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati. Stante l' analogia delle norme nazionali controverse nei due procedimenti a quo e in considerazione del fatto che i due rinvii pregiudiziali prospettano in buona parte identiche questioni di diritto comunitario, tratterò entrambe le cause nelle medesime conclusioni.
Antefatti
2. Nella causa principale di cui al procedimento C-312/89, l' Union départementale des syndicats CGT de l' Aisne chiede in via cautelare che all' impresa Conforama, che vende mobili per arredamento ed elettrodomestici, venga fatto divieto, sotto pena di ammende, di tenere aperti i propri esercizi la domenica. L' azione cautelare è fondata su un determinato numero di norme figuranti nel titolo II, capitolo I, del codice francese del lavoro, in forza delle quali il giorno di riposo settimanale dei lavoratori subordinati deve corrispondere, in linea di principio, alla domenica (v. il combinato disposto dell' art. L.221-5 e degli artt. L.221-2 e L.221-4). Tale regola di principio incontra tre tipi di deroghe. In primo luogo, il divieto non vige per un determinato numero di settori tassativamente enumerati nel codice del lavoro, quali i ristoranti, gli ospedali, le imprese giornalistiche e di informazione, ecc. (v. art. L.221-9 del codice del lavoro). In secondo luogo, una deroga può essere concessa per le imprese il cui personale lavori a turni; l' applicazione di tale deroga dipende, di massima, dalla stipulazione di un accordo collettivo di lavoro (v. artt. L.221-5-1 e L.221-10 del codice del lavoro). Infine, talune deroghe possono essere concesse dalle autorità locali, previa richiesta e per un periodo limitato (v. artt. L.221-5, L.221-7 e L.221-19 del codice del lavoro).
Sembra pacifico che le resistenti nella causa principale non possono avvalersi di alcuna delle deroghe anzidette. Esse hanno tuttavia eccepito, a propria difesa, che il divieto di far lavorare i dipendenti di domenica previsto dal codice del lavoro è da reputare incompatibile con gli artt. 30 e 85 del Trattato CEE. Il giudice proponente, il Tribunal de grande instance di Saint-Quentin, ha accolto la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte, limitando tuttavia la questione da sottoporre all' interpretazione dell' art. 30 del Trattato CEE. Tale questione è così formulata:
"Se la nozione di 'misura d' effetto equivalente' ad una restrizione quantitativa all' importazione, così come definita all' art. 30 del Trattato, possa applicarsi ad una norma avente portata generale da cui discenda un divieto del lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati in un settore come la vendita al pubblico di mobili per arredamento, tenendo presente che
1) questo settore si avvale in larga misura di prodotti importati provenienti, soprattutto, da paesi della CEE;
2) una quota rilevante del giro d' affari delle imprese operanti in tale settore viene realizzata la domenica, qualora dette imprese contravvengono alle norme di diritto interno;
3) la chiusura domenicale può determinare una contrazione del giro d' affari e, di conseguenza, del volume delle importazioni provenienti dai paesi della Comunità;
4) infine, l' obbligo di concedere ai dipendenti il riposo settimanale la domenica non è riscontrabile in tutti gli Stati membri.
In caso di soluzione affermativa, se sia possibile ritenere che le caratteristiche del settore di cui trattasi corrispondono ai criteri di cui all' art. 36 del Trattato".
3. Nella seconda causa (C-332/89) gli imputati sono, in primo luogo, l' amministratore delegato della società Trafitex, che esercisce un grande magazzino, e, in secondo luogo, il gestore di quest' ultimo. Su richiesta del pubblico ministero, essi sono stati condannati il 1º luglio 1988 dal Tribunal correctionnel di Charleroi a pene pecuniarie e, in via sussidiaria, reclusive, per aver contravvenuto alle disposizioni della legge belga 16 marzo 1971 relativa al lavoro; il giudice proponente, la Cour d' appel di Mons, è stato investito dell' appello proposto avverso tale condanna.
L' art. 11 della legge belga relativa al lavoro vieta il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati. Anche questa disposizione incontra numerose deroghe. L' art. 3, n. 1, della legge esclude l' applicazione del divieto per un determinato numero di categorie di lavoratori (in particolare per i dipendenti dello Stato, per le persone occupate in imprese familiari e per il personale di bordo delle imprese di pesca). Ulteriori deroghe sono previste dagli artt. 12 e seguenti della legge e riguardano in particolare la sorveglianza e i lavori di pulizia e manutenzione dei locali adibiti ad impresa, il lavoro a turni, ecc. L' art. 13 della legge prevede che con regio decreto può essere stabilito un elenco di imprese e di lavori per i quali i lavoratori subordinati possono prestare lavoro la domenica. Per gli esercizi commerciali al dettaglio nei quali non sia consentito in base a tale elenco il lavoro domenicale del personale, l' art. 14, n. 1, della legge dispone che essi possono impiegare i dipendenti la domenica mattina dalle 8 alle 12.
L' addebito mosso agli imputati nella causa principale è, più esattamente, quello di far lavorare il personale dipendente la domenica dopo le ore 12, in violazione della disposizione sopra richiamata. Dinanzi alla Cour d' appel costoro hanno sostenuto che il suddetto divieto è incompatibile sia con le disposizioni del Trattato CEE relative alla libera circolazione delle merci e dei servizi sia con l' art. 85 del Trattato. Il giudice proponente, ritenendo i loro argomenti prima facie non manifestamente infondati, vi ha posto una questione pregiudiziale con la quale mira a conoscere:
"se le disposizioni degli artt. 1, 11, 14, n. 1, 53, 54, 57, 58 e 59 della legge 16 marzo 1971, modificata in particolare dalla legge 20 luglio 1978 e dal regio decreto 23 ottobre 1978, n. 15, costituiscano violazione degli artt. 3, lett. f), 5, 30-36, 59-66 e 85 del Trattato di Roma del 25 marzo 1957".
Tale questione dev' essere intesa nel senso che il giudice di rinvio chiede alla Corte un' interpretazione delle richiamate disposizioni del Trattato che gli consenta di valutare la compatibilità col diritto comunitario delle norme nazionali citate (1).
Interpretazione dell' art. 30 del Trattato
4. Ai fini della soluzione delle questioni pregiudiziali relative all' art. 30 del Trattato sottopostevi nelle presenti cause, assume grande rilievo la sentenza pronunciata dalla Sesta Sezione della Corte il 23 novembre 1989, Torfaen Borough Council / B & Q plc, causa C-145/88 (in prosieguo: la "sentenza B & Q") (2). La Cwmbran Magistrates' Court aveva deferito alla Corte la questione se una normativa nazionale, contenente un divieto di principio di vendere determinate merci la domenica, potesse essere considerata incompatibile con l' art. 30 del Trattato CEE. In quella causa, la Corte ha dichiarato:
"L' art. 30 del Trattato CEE va interpretato nel senso che il divieto da esso sancito non si applica ad una normativa nazionale che vieti l' apertura domenicale di esercizi commerciali al minuto, qualora gli effetti restrittivi sugli scambi comunitari che ne possono eventualmente risultare non eccedano il contesto degli effetti caratteristici di una normativa di tal genere".
5. Prima di analizzare più dettagliatamente questa sentenza, vorrei segnalare l' analogia esistente tra le norme nazionali oggetto del procedimento pregiudiziale C-145/88 e quelle attualmente sottoposte all' esame della Corte.
Mentre nella causa C-145/88 trattavasi di un divieto di principio di effettuare operazioni commerciali la domenica, le presenti controversie vertono su un divieto di far lavorare i lavoratori subordinati la domenica. A mio parere, tale differenza è irrilevante: in ordine all' applicazione dell' art. 30 del Trattato, l' effetto sugli scambi intracomunitari derivante dai due tipi di normative è assai simile. Nella causa C-145/88, il giudice a quo aveva infatti accertato che il divieto di effettuare operazioni commerciali la domenica aveva provocato una riduzione del totale delle vendite dell' impresa, che circa il 10% delle merci offerte dall' impresa provenivano da altri Stati membri e che quindi doveva risultarne un calo corrispondente delle importazioni da altri Stati membri. Nelle presenti cause, i giudici nazionali sembrano trovarsi di fronte ad una fattispecie analoga. Nella questione pregiudiziale di cui alla causa C-312/89, il giudice a quo fa espressamente menzione di tre circostanze: le convenute operano in un settore di attività che si avvale in larga misura di prodotti importati, in buona parte, da altri paesi della CEE, una quota rilevante del giro d' affari delle imprese operanti in tale settore viene realizzata la domenica e la chiusura domenicale può determinare una contrazione del volume del giro d' affari e, di conseguenza, del volume delle importazioni provenienti da altri Stati membri.
Nell' ordinanza di rinvio di cui alla causa C-332/89 non figurano analoghe indicazioni, tuttavia risulta dal fascicolo che da una perizia disposta dal Tribunal correctionnel di Charleroi è emerso che tra il settembre 1986 e il dicembre 1987 il 22% circa del giro d' affari dell' impresa è stato realizzato la domenica e che, nell' ipotesi in cui il giorno di chiusura settimanale fosse fissato la domenica anziché il martedì, la conseguenza sarebbe un calo del giro d' affari di circa il 13% (3). Stando agli accertamenti del giudice nazionale devo inoltre presupporre che la contrazione del giro d' affari riguardi del pari i prodotti importati da altri Stati membri. Diversamente, saremmo di fronte ad una situazione che, in difetto di qualsiasi elemento transnazionale, apparterrebbe in toto alla sfera interna di uno Stato membro, alla quale l' art. 30 non si applica (4).
Come vedremo in seguito, un' importante analogia sussiste altresì, per quanto riguarda le cause giustificative che possono rendere legittime le rispettive norme nazionali, tra la normativa sulla quale è intervenuta la sentenza pronunciata nella causa C-145/88 e quelle controverse nella fattispecie. La pertinenza della sentenza pronunciata nella causa prima citata ne risulta perciò maggiore.
6. Nella sentenza B & Q, pronunciata nella causa C-145/88, la Corte ha considerato che la normativa controversa in quella causa era indistintamente applicabile ai prodotti importati ed a quelli nazionali (punto 11 della motivazione). Va segnalato che la normativa in questione trovava indistintamente applicazione non soltanto sul piano formale, ma anche sul piano concreto: dall' ordinanza di rinvio evincevasi che la produzione o lo smercio di prodotti importati non erano resi più difficili rispetto a quelli dei prodotti nazionali. Richiamandosi alla sentenza Cinéthèque (5), la Corte ha dichiarato che la compatibilità di una normativa di questo tipo, neutrale rispetto ai prodotti importati e nazionali, con il diritto comunitario, è subordinata ad un duplice presupposto: da un lato, occorre verificare se la normativa persegue uno scopo legittimo con riguardo al diritto comunitario e, dall' altro, se gli ostacoli derivantine per gli scambi intracomunitari non vadano al di là di quanto necessario per garantire il raggiungimento dello scopo perseguito (v. punto 12 della motivazione della sentenza) (6). Con ciò la Corte ha implicitamente, ma incontrovertibilmente, ammesso che alla normativa in questione si applicava prima facie il principio enunciato nella sentenza Dassonville, ossia che essa era da considerare come "normativa commerciale (...) che può ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari" (7).
Sul punto occorre fare due rilievi. Nelle conclusioni da me presentate nella causa C-145/88 avevo suggerito di limitare in qualche modo la portata di tale massima applicando, nei confronti di normative commerciali non discriminatorie tra prodotti importati e nazionali, il criterio della compartimentazione del mercato applicato nelle cause relative alla concorrenza (8). Nella sentenza B & Q la Corte non ha accolto questo suggerimento ed ha implicitamente preferito attenersi al criterio generale enunciato nella sentenza Dassonville. Per il caso in cui essa intenda ora percorrere un' altra via, desidero far richiamo a quelle conclusioni. Nel caso in esame, devo presupporre che la Corte abbia definitivamente optato per il criterio della sentenza Dassonville e considero quest' ultimo come punto di partenza ai fini delle presenti conclusioni. Ciò non significa che l' effetto di compartimentazione del mercato, che una normativa nazionale può comportare, non possa né debba essere preso in considerazione, allorché, nel valutare se determinati ostacoli vadano o meno al di là di quanto è necessario, si tratti di porre a confronto gli effetti e le finalità della normativa in esame (v. il successivo punto 12).
Un secondo rilievo riguarda le conseguenze del criterio Dassonville per il giudice a quo. Benché di massima incomba a quest' ultimo accertare se la normativa nazionale esaminata possa di fatto ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari, la regola sancita dalla Corte nella sentenza Dassonville e altresì ripresa nella sentenza B & Q è talmente ampia da abbracciare qualsiasi normativa la quale, per scopo ed effetti, contenga un qualsiasi elemento transnazionale. Dalla giurisprudenza della Corte si rileva che anche le normative che possono determinare ostacoli alle importazioni effettuate da un unico esercente commerciale (9) rientrano, in linea di principio, nel criterio enunciato dalla sentenza Dassonville (10), sempreché la Corte consideri tale evenienza sufficientemente probabile per ricercare eventuali cause giustificative ai sensi degli artt. 30 o 36 (11). Solo quando la normativa non abbia incidenza sullo smercio del prodotto considerato allo stadio rilevante per gli scambi intracomunitari (12) oppure non riguardi altre forme di smercio del prodotto medesimo (13), o permanga la possibilità di smercio di tale prodotto attraverso canali alternativi (14), essa è estranea all' ambito dell' art. 30 (15).
7. Poiché nella sentenza B & Q la Corte ha riconosciuto l' applicabilità in linea di principio del divieto ex art. 30 ad un obbligo di chiusura domenicale degli esercizi commerciali al dettaglio, identica conclusione s' impone, tenuto conto delle analogie dianzi segnalate (al punto 5), in ordine ai divieti controversi nei casi in esame di far lavorare la domenica i lavoratori subordinati, se non altro perché in entrambi i casi il giudice nazionale ha accertato che la normativa può determinare potenziali ostacoli alle importazioni, ai sensi della sentenza Dassonville.
Senonché non posso limitarmi a tale constatazione, in quanto così facendo trascurerei un punto essenziale al quale grande attenzione la Commissione ha consacrato nelle sue osservazioni. Nella sentenza B & Q, la Corte dichiara, in definitiva, che la questione se gli effetti di una determinata normativa nazionale rimangono effettivamente nell' ambito (come richiede la sentenza: v. sopra al punto 6) di una normativa commerciale per ipotesi giustificata pertiene alla valutazione dei fatti, la quale spetta al giudice nazionale (punto 16 della motivazione della sentenza).
La Commissione osserva che la valutazione della necessità e della proporzionalità di una normativa determinata non può essere rimessa ai giudici nazionali e su tale punto avanza argomenti che ritengo convincenti. Indubbiamente non spetta alla Corte, nell' ambito di un procedimento ai sensi dell' art. 177 del Trattato, pronunciarsi sulla validità di una normativa nazionale; cionondimeno la Corte ha sempre sottolineato che in forza della collaborazione con le autorità giudiziarie nazionali istituita dalla suddetta disposizione essa è competente a determinare gli elementi di diritto comunitario la cui interpretazione sia necessaria per consentire al giudice nazionale di risolvere, in conformità alle norme comunitarie, la lite dinanzi ad esso pendente (16). Solo tale metodo consente di salvaguardare il principale obiettivo del procedimento pregiudiziale, che è quello di garantire l' uniforme applicazione delle norme comunitarie nella Comunità, onde evitare che i loro effetti varino a seconda dell' interpretazione datane nei vari Stati membri (17).
Più concretamente, ciò significa che nell' ambito dell' esame svolto dal giudice nazionale per valutare la legittimità di una normativa nazionale al giudice di rinvio sono forniti criteri sufficientemente precisi per metterlo in grado di vagliare la conformità della normativa nazionale al diritto comunitario (18). Nella sua giurisprudenza in tema di libera circolazione delle merci, la Corte si è sempre scrupolosamente attenuta a questo principio (19), il che mi induce a suggerirle risolutamente di mantenere tale orientamento.
Nelle cause attualmente all' esame della Corte sussiste, indubbiamente, una minore necessità di dettare precisi criteri, posto che in seguito alla sentenza B & Q la questione può trovare agevole soluzione. Nondimeno si rende necessario anche in casi semplici collocarne la soluzione in un quadro generale. Diversamente, si profilerebbe il rischio di creare una casistica discordante, la quale non potrebbe certo essere di ausilio al giudice nazionale.
8. Nella mia ricerca di criteri generali esaminerò, anzitutto, attenendomi al ragionamento seguito nella sentenza B & Q, quando possa ritenersi che una normativa nazionale che, come quella sottoposta al vostro esame nella presente causa, è assolutamente neutrale sia nei confronti dei prodotti importati sia di quelli nazionali persegua uno scopo legittimo con riguardo al diritto comunitario, per poi approfondire il punto se gli eventuali ostacoli che le normative determinano per gli scambi non trascendano quanto è necessario per garantire il raggiungimento dello scopo perseguito.
Ciò presuppone un triplice esame, ossia l' esame della legittimità o meno dello scopo perseguito dalla normativa (successivi punti 9-11), quello della natura degli ostacoli che essa determina (punto 12) e infine quello della necessità di tali ostacoli (punti 13 e 14).
9. Occorre anzitutto esaminare se la normativa de qua persegua uno scopo legittimo con riguardo al diritto comunitario. Nelle osservazioni presentate alla Corte non si è in nessun punto cercato di ricondurre la normativa ad una delle cause giustificative enumerate nell' art. 36, né ciò è avvenuto nella sentenza B & Q. Correttamente, a mio parere, posto che l' unico motivo che potrebbe ragionevolmente accogliersi attiene alla tutela della sanità pubblica. Orbene, il divieto del lavoro domenicale prestato dai dipendenti, se indubbiamente favorisce il riposo dei lavoratori e quindi "la salute (...) delle persone", persegue tuttavia un diverso obiettivo, come preciserò in seguito, allo stesso modo che un divieto di tenere aperto la domenica imposto a esercenti commerciali autonomi (20).
Diverso è il caso delle "esigenze imperative" riconosciute nella giurisprudenza "Cassis de Dijon" (21). La protezione dell' ambiente di lavoro (espressamente richiamata dall' art. 100 A del Trattato) e il benessere dei lavoratori ad essa collegato possono senza alcun dubbio essere considerati alla stregua di un' esigenza imperativa. Tuttavia, nessuna di queste esigenze è da sola sufficiente, in quanto, come hanno sostenuto le resistenti nella causa C-312/89, esse non giustificano sufficientemente l' imposizione di un giorno determinato, vale a dire la domenica, per tale riposo settimanale dei lavoratori. Una normativa che vieta il lavoro domenicale prestato dai dipendenti può giustificarsi solo se si ritenga compatibile col diritto comunitario il fatto che uno Stato membro opti per un divieto di far lavorare i dipendenti o di tenere aperto un esercizio commerciale la domenica allo scopo di permettere per quanto possibile ai singoli di fruire di un uguale giorno di riposo, consentendo in tal modo lo svolgimento di ogni tipo di attività comuni (familiari, religiose, culturali, sportive) extralavorative. Il che significa, tuttavia, che il novero delle esigenze imperative viene ad estendersi ad una nuova causa giustificativa.
10. Su tale punto, la sentenza B & Q testimonia un' evoluzione degna di nota. Essa fa infatti richiamo, anzitutto, alla sentenza Oebel del 1981 (22), nella quale la Corte ha dichiarato - sia pure non direttamente in sede di valutazione di un' eventuale causa giustificativa - che un divieto di lavorare prima delle quattro del mattino nel settore della panetteria e della pasticceria in Germania
"(...) costituisce, come tale, una legittima scelta di politica economica e sociale, conforme agli obiettivi di interesse generale perseguiti dal Trattato. Tale divieto è infatti inteso a migliorare le condizioni di lavoro in un settore notoriamente delicato, caratterizzato, dal punto di vista del processo produttivo, da peculiarità attinenti tanto alla qualità dei prodotti quanto alle abitudini dei consumatori" (punto 12 della motivazione della sentenza).
Riprendendo tale ragionamento nella sentenza B & Q, stavolta nell' esaminare effettivamente una causa giustificativa, la Corte ha dichiarato che:
"Identica considerazione deve farsi per le normative nazionali che disciplinano gli orari di vendita al minuto. Siffatte normative sono infatti espressione di determinate scelte politiche ed economiche in quanto sono intese a garantire una ripartizione degli orari di lavoro e di riposo rispondente alle peculiarità socioculturali nazionali o regionali la cui valutazione spetta, nella fase attuale del diritto comunitario, agli Stati membri (...)" (punto 14 della motivazione della sentenza) (23).
In questa e in altre sentenze (24) può riscontrarsi una certa propensione della Corte a riconoscere, oltre alle cause giustificative "classiche" tratte dalla giurisprudenza "Cassis de Dijon" (come la tutela dei consumatori, la garanzia della correttezza delle operazioni commerciali e, in combinato con le due precedenti, l' obiettivo della trasparenza del mercato, l' efficacia dei controlli fiscali, la protezione dell' ambiente e del luogo di lavoro) - delle quali alcune hanno nel frattempo trovato ingresso nel Trattato CEE all' art. 100 A -, ulteriori "esigenze imperative" nonché a riunirle, con o senza quelle precedenti, sotto un unico denominatore. Tale denominatore potrebbe essere, ad esempio: tutte le normative nazionali la cui attuazione comporti scelte di politica culturale e/o socioeconomica rientrano nell' ambito degli obiettivi di interesse generale perseguiti dal Trattato (come quelli richiamati nell' art. 100 A) e/o adattati alle particolarità socioculturali o altre, nazionali o regionali, la cui valutazione spetta, nella fase attuale del diritto comunitario, agli Stati membri.
In realtà si tratta - se si assume come punto di partenza l' ampia formula della sentenza Dassonville - di riunire al meglio sotto un' espressione generale, ma cionondimeno tassativa, le innumerevoli cause giustificative potenziali. Il tentativo prima esperito dimostra che un simile intendimento, data la vaghezza delle nozioni che essa contiene, non potrebbe costituire un solido filo conduttore. Esso possiede tuttavia un certo valore orientativo. E' chiaro, ad esempio, che la fissazione di un giorno di riposo generale la domenica rientra in tale nozione, del resto conforme all' auspicio espresso dalla Corte nella sentenza B & Q: l' imposizione di un giorno di riposo settimanale minimo è indubitabilmente una scelta politica attinente all' ambito della protezione dell' ambiente di lavoro e della salute delle persone, ossia di obiettivi riconosciuti dal Trattato; il fatto di fissare tale giorno la domenica costituisce una scelta adeguata alle particolarità socioculturali dello Stato membro.
11. La difficoltà di reperire un solido filo conduttore per quanto riguarda le cause giustificative rende ancor più importante il mantenimento di una corretta ripartizione delle competenze tra i giudici nazionali e la Corte. Spetta sicuramente al giudice nazionale, in primo luogo, verificare la conformità col diritto comunitario di una specifica normativa nazionale e accertare se essa possa trovare fondamento in una causa giustificativa, tenendo pure conto, tuttavia, della giurisprudenza della Corte. Ciò significa, a mio avviso, che, quando una causa giustificativa invocata per una normativa nazionale dinanzi ad un giudice nazionale non sia riconducibile ad uno dei motivi già espressamente enunciati dalla Corte, il giudice dovrà investire quest' ultima di una questione pregiudiziale. Spetterà allora alla Corte statuire se la nuova causa giustificativa invocata possa essere accolta.
Nell' ipotesi affermativa, il giudice nazionale sarà competente a stabilire se la normativa nazionale, così come concepita e applicata, persegua effettivamente l' obiettivo enunciato dalla Corte ritenuto conforme al Trattato, ovvero venga utilizzata per altri scopi. Così ad esso spetta altresì valutare se vadano in qualche modo accolte le censure, come quelle avanzate dai convenuti nelle cause principali, in ordine all' inconsistenza e all' applicazione episodica o disuguale delle normative in questione. Nei limiti in cui una simile applicazione non pregiudichi l' ammissibilità della normativa alla stregua del diritto comunitario, non compete alla Corte pronunciarsi al riguardo.
12. Qualora possa ammettersi l' esistenza di una causa giustificativa per la normativa nazionale esaminata, occorrerebbe accertare la natura e la portata degli ostacoli che da essa derivano. Risulta dalla giurisprudenza che anche al riguardo la Corte, pronunciandosi in via interpretativa, formula orientamenti dei quali il giudice nazionale deve tener conto.
Sotto tale profilo, si deve anzitutto constatare che la normativa nazionale trova indistintamente applicazione ai prodotti importati e nazionali e inoltre non ha per effetto di rendere lo smercio dei prodotti importati più difficile rispetto a quello dei prodotti nazionali. Posto che la normativa nazionale non è discriminatoria né sul piano formale né sul piano del contenuto, va poi accertato se essa sia intesa "a disciplinare i flussi di scambi tra Stati membri" (25). Una normativa che preveda una limitazione delle ore di apertura degli esercizi o del lavoro prestato dai dipendenti la domenica e che, in altri termini, disciplini una modalità di esercizio di un' attività commerciale non imperniata su un prodotto determinato non può considerarsi a tale stregua.
Anche in quest' ipotesi resta però da verificare se la normativa non sia idonea a produrre un effetto "indesiderato" sugli scambi intracomunitari, nel senso ampio attribuito a tale nozione nella giurisprudenza Dassonville. Tale sarebbe sicuramente il caso se la normativa ostacolasse, in un modo o nell' altro, l' integrazione dei mercati nazionali all' interno del mercato comune, ad esempio se inducesse a rafforzare la compartimentazione di un mercato all' interno di uno Stato membro, rendendo così più difficoltoso (più oneroso) o meno attraente (non redditizio) l' accesso al mercato nazionale per i produttori o venditori di merci importate da altri Stati membri (26). Neppure ciò può normalmente imputarsi ad una normativa che vieta il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati.
13. A seconda che l' esame degli effetti della normativa riveli l' esistenza di ostacoli più o meno gravi per gli scambi intracomunitari, potrà più o meno agevolmente ammettersi che la stessa normativa, per riprendere i termini della sentenza B & Q (punto 12 della motivazione), "((non va)) al di là di quanto necessario a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito e ((che)) questo scopo ((è)) legittimo con riguardo al diritto comunitario". Talché una normativa che determini una palese compartimentazione dei mercati, ancorché non diretta a disciplinare i flussi di scambi tra gli Stati membri, andrà assai rapidamente al di là di quanto è strettamente necessario per garantire il raggiungimento dell' obiettivo con essa perseguito (27).
Normative del tipo di quelle esaminate nella presente causa, che non sono intese a disciplinare i flussi di scambi tra gli Stati membri né provocano la compartimentazione del mercato, potranno invece facilmente reputarsi al di qua dei limiti di quanto è necessario.
14. Pervengo per tale via ai criteri classici di necessità e di proporzionalità applicati dalla Corte. Benché nella giurisprudenza della Corte i due criteri vengano spesso esaminati congiuntamente, in un' analisi strettamente articolata sulla concreta situazione giuridica e di fatto (28), le due nozioni non coincidono (29). L' intendimento della necessità presuppone due circostanze: in primo luogo, che la normativa nazionale considerata sia realmente pertinente con riguardo all' obiettivo perseguito, in altri termini, che esista almeno potenzialmente un nesso causale tra la misura adottata e lo scopo perseguito; in secondo luogo, che non vi sia un' alternativa alla normativa in questione che sia altrettanto efficace, ma implichi minori ostacoli per gli scambi intracomunitari (criterio dell' alternativa meno restrittiva). Per criterio di proporzionalità si intende invece che una misura, quand' anche sia pertinente e costituisca l' alternativa meno restrittiva, è nondimeno incompatibile con l' art. 30 (e va pertanto esclusa o sostituita da una normativa meno efficace) allorché gli ostacoli che ne derivano per gli scambi intracomunitari siano sproporzionati in relazione allo scopo perseguito.
Il criterio applicato nella sentenza B & Q, secondo cui gli eventuali ostacoli agli scambi intracomunitari non possono andare al di là di quanto è necessario a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito, esprime a mio avviso i due aspetti del criterio di necessità che si sono dianzi richiamati: la normativa nazionale restrittiva è pertinente rispetto all' obiettivo perseguito, essendo necessaria all' attuazione di tale obiettivo ed a ciò preordinata; essa non può trascendere i limiti di quanto è necessario a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito, il che postula che non vi siano alternative meno restrittive. Il criterio di proporzionalità non è tuttavia implicito in tale nozione, posto che in forza di tale criterio una normativa, pur essenziale per il raggiungimento dello scopo e cioè non esorbitante rispetto a quanto è necessario, deve tuttavia essere esclusa dallo Stato membro.
Significa ciò che nella sentenza B & Q la Corte ha rinunciato all' esame della proporzionalità, discostandosi in tal modo dalla giurisprudenza anteriore? A mio parere no: la Corte non aveva bisogno di far ricorso al criterio di proporzionalità nella causa C-145/88 - e nemmeno nelle presenti cause - in quanto era di immediata evidenza, come lo è pure nella fattispecie in esame, che gli ostacoli derivanti dalle normative nazionali controverse non erano certo tali da costringere gli Stati membri a rinunciare ad una misura necessaria per conseguire un obiettivo giustificato. Per contro, se gli ostacoli fossero stati tali da compromettere la realizzazione del mercato comune, ci si sarebbe potuti seriamente chiedere se esse fossero ancora proporzionate rispetto all' obiettivo, in sé legittimo, perseguito dalla misura. Ritengo, pertanto, che non si possa attribuire fondamentale importanza al mancato richiamo, nella sentenza B & Q, al criterio di proporzionalità e che tale mancato richiamo fosse unicamente dovuto alle circostanze concrete del caso di specie, dalle quali emergeva che gli "eventuali" ostacoli derivanti per gli scambi non erano di rilevanza apprezzabile.
Per completezza, vorrei far rilevare che la Corte stessa, allorché è chiamata ad interpretare in via pregiudiziale l' art. 30 o l' art. 36 in relazione ad una concreta normativa nazionale, procede a tale valutazione dello scopo e degli ostacoli sulla scorta sia del criterio di necessità sia di quello di proporzionalità (30). Nel dubbio, il giudice nazionale può quindi rivolgersi alla Corte in via pregiudiziale.
15. Applicando i rilievi che ho sopra svolto in ordine all' interpretazione dell' art. 30 del Trattato ai regolamenti nazionali controversi nel caso di specie, giungo alla conclusione che una normativa nazionale come quella sottoposta al vostro esame, la quale prevede un (limitato) divieto di far lavorare il personale dipendente la domenica, può, stando agli accertamenti effettuati dal giudice di rinvio, ostacolare il commercio tra gli Stati membri nel senso ampio attribuito a tale nozione nella sentenza Dassonville; che l' obiettivo perseguito da tali normative -quello di concedere un unico e identico giorno di riposo ai lavoratori, ossia la domenica - può considerarsi scopo legittimo con riguardo al diritto comunitario; che le controverse normative, in quanto neutrali rispetto alle merci importate, non sono intese a disciplinare i flussi di scambi tra gli Stati membri, né risulta, sempre alla luce degli accertamenti dei giudici nazionali, che gli ostacoli da esse derivanti per gli scambi intracomunitari siano tali da compromettere la realizzazione del mercato comune; che, stando così le cose, nulla autorizza a ritenere che gli ostacoli causati agli scambi vadano al di là di quanto è necessario a garantire il raggiungimento dello scopo perseguito o siano sproporzionati rispetto a tale scopo.
Di conseguenza, ritengo che le suddette normative nazionali siano compatibili con l' art. 30.
Interpretazione dell' art. 34 del Trattato
16. Nell' ordinanza di rinvio di cui alla causa C-332/89, è stata altresì proposta alla Corte in relazione a un divieto di far lavorare i dipendenti la domenica una questione d' interpretazione dell' art. 34. Tale questione mira infatti a che la Corte dichiari se un simile divieto possa configurarsi come restrizione quantitativa alle esportazioni incompatibile col Trattato.
Per risolvere la detta questione, è sufficiente richiamare la giurisprudenza costante della Corte sull' art. 34 del Trattato. Nella sentenza Groenveld del 1979, la Corte ha affermato che:
"Questa norma ((l' art. 34)) riguarda i provvedimenti nazionali che hanno per oggetto o per effetto di restringere specificamente le correnti di esportazione e di costituire in tal modo una differenza di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro ed il suo commercio di esportazione, così da assicurare un vantaggio particolare alla produzione nazionale od al mercato interno dello Stato interessato, a detrimento della produzione o del commercio di altri Stati membri. Tale non è il caso di un divieto (per i fabbricanti di salumi di lavorare carne equina e di detenerne scorte), che si applica oggettivamente alla produzione di merci di un determinato genere, senza distinguere fra quelle destinate al mercato interno e quelle destinate all' esportazione" (punto 7 della motivazione della sentenza).
Tale massima è stata, successivamente, più volte ribadita dalla Corte (31); essa esclude che normative commerciali che trovano indistintamente applicazione (in altri termini, normative che non hanno né per scopo né per effetto di restringere specificamente le esportazioni) debbano reputarsi incompatibili con l' art. 34. Tale soluzione deve parimenti valere per una normativa indistintamente applicabile come quella di cui trattasi: come si è rilevato, essa non mira a disciplinare i flussi di scambi tra gli Stati membri né risulta che renda la produzione o lo smercio di beni destinati all' esportazione più difficile rispetto ai beni destinati al mercato nazionale.
Interpretazione degli artt. 59 e seguenti del Trattato
17. Nella sentenza di rinvio di cui alla causa C-332/89, viene posta la questione se gli artt. 59 e seguenti del Trattato, concernenti la libera circolazione dei servizi, ostino a un divieto di far lavorare il personale dipendente la domenica. La soluzione di tale questione va a mio parere desunta dal primo comma dell' art. 60 del Trattato, il cui tenore è:
"Ai sensi del presente Trattato, sono considerate come servizi le prestazioni fornite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone" (il corsivo è mio).
Poiché nella controversia in esame si deve riconoscere, sulla scorta della sentenza pronunciata nella causa C-145/88, che la normativa controversa è una normativa commerciale che rientra nella sfera dell' art. 30, ad essa non sono applicabili le disposizioni relative alla libera circolazione dei servizi.
Interpretazione degli artt. 3, lett. f), 5 e 85 del Trattato
18. Infine, resta ancora da esaminare la questione dell' eventuale applicazione delle regole di concorrenza del Trattato a normative come quelle di cui trattasi nei casi in esame. In entrambi i procedimenti, i convenuti hanno sollevato detto punto dinanzi ai giudici nazionali. Solo il giudice a quo nella causa C-332/89 lo ha formulato alla Corte, in ciò richiamandosi, apparentemente, all' argomento addotto dai convenuti nella causa principale secondo cui le normative contestate "alterano la concorrenza", onde uno Stato membro che le adotti o mantenga in vigore violerebbe le regole di concorrenza sancite dal Trattato. Senonché non è una perturbazione alla concorrenza di questo tipo che viene considerata negli artt. 3, lett. f), e 85: queste disposizioni riguardano infatti il mantenimento della concorrenza all' interno del mercato comune, tuttavia in riferimento a un divieto di accordi e pratiche concordate tra imprese, idonei a falsare il gioco della concorrenza. Nella controversia dinanzi al giudice di rinvio, non risulta che siano intervenuti accordi o pratiche concordate di tal genere.
La Corte ha certo ritenuto che dal combinato disposto degli artt. 3, lett. f), 5 e 85 del Trattato CEE discende che i principi sanciti dall' art. 85 devono essere altresì rispettati dagli Stati membri. Più esattamente, la Corte ha dichiarato che gli Stati membri hanno l' obbligo di non adottare né mantenere in vigore provvedimenti che possono eliminare l' efficacia pratica dell' art. 85 del Trattato CEE. Ciò avverrebbe in particolare nell' ipotesi in cui uno Stato membro favorisse la stipulazione di intese incompatibili con l' art. 85 o ne rafforzasse gli effetti (32). Dagli atti di causa tuttavia non risulta alcun elemento che consenta di affermare che tale ipotesi ricorra nel caso delle normative contestate dinanzi ai giudici nazionali.
Conclusione
19. A conclusione di quanto sopra ho esposto, propongo alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali nel seguente modo:
"Nella causa C-312/89:
gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE devono essere interpretati nel senso che il divieto in essi previsto non si applica ad una normativa nazionale che vieti il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati, qualora tale normativa, che non è intesa a disciplinare le correnti di scambi tra gli Stati membri, non renda lo smercio dei beni importati più difficile rispetto a quello dei prodotti nazionali e il mercato meno accessibile per i prodotti importati. In tal caso, gli effetti restrittivi sugli scambi intracomunitari eventualmente derivanti dalla normativa di cui trattasi non vanno al di là di quanto è necessario per garantire il raggiungimento dello scopo perseguito né sono sproporzionati rispetto a tale scopo.
Nella causa C-332/89:
gli artt. 30 e 36 del Trattato CEE devono essere interpretati nel senso che il divieto in essi previsto non si applica ad una normativa nazionale che vieti il lavoro domenicale prestato dai lavoratori subordinati, qualora tale normativa, che non è intesa a disciplinare le correnti di scambi tra gli Stati membri, non renda lo smercio dei beni importati più difficile rispetto a quello dei prodotti nazionali e il mercato meno accessibile per i prodotti importati. In tal caso, gli effetti restrittivi sugli scambi intracomunitari eventualmente derivanti dalla normativa di cui trattasi non vanno al di là di quanto è necessario per garantire il raggiungimento dello scopo perseguito né sono sproporzionati rispetto a tale scopo. Né gli artt. 59-66 né il combinato disposto degli artt. 3, lett. f), 5 e 85 sono applicabili ad una normativa di tal genere".
(*) Lingua originale: l' olandese.
(1) V. sentenze 20 aprile 1988, Bekaert, punto 5 della motivazione (causa 204/87, Racc. pag. 2029), e 7 marzo 1990, Krantz / Ontvanger der Directe Belastingen, punti 7 e 8 della motivazione (causa C-69/88, Racc. pag. I-583).
(2) Racc. pag. 3851.
(3) V. allegato 2 alle osservazioni degli imputati nella causa principale.
(4) Il principio è stato enunciato in termini generali (sia pure nel contesto della libertà di stabilimento) nella sentenza 8 dicembre 1987, Gauchard, punti 11 e 12 della motivazione (causa 20/87, Racc. pag. 4879); v. anche, per una recente applicazione di tale principio in materia di libera circolazione dei servizi, sentenza 3 ottobre 1990, Nino e a., punti 10 e 11 della motivazione (cause riunite C-54/88, C-91/88 e C-14/89, Racc. pag. I-3537).
(5) Sentenza 11 luglio 1985, in particolare punto 22 della motivazione (cause riunite 60/84 e 61/84, Racc. pag. 2605).
(6) Tale formulazione mi pare più precisa di quella, riportata al punto 4 delle presenti conclusioni, figurante nel dispositivo della sentenza e nella quale non si fa riferimento a "quanto necessario", ma soltanto agli "effetti" caratteristici di una normativa di tal genere. Il criterio della "necessità" ha un contenuto normativo che non è presente in quello degli "effetti".
(7) Sentenza 11 luglio 1974, punto 5 della motivazione (causa 8/74, Racc. pag. 837).
(8) Conclusioni presentate all' udienza del 29 giugno 1989, punti 13-15 (Racc. pag. 3865).
(9) Tale ipotesi non ricorrerebbe nel caso di specie qualora risulti che, per il prodotto considerato, l' esercente compensa integralmente durante gli altri giorni della settimana il calo del giro d' affari conseguente al divieto del lavoro domenicale prestato dai dipendenti.
(10) V. sentenza 16 maggio 1989, Buet, punti 7 e 9 della motivazione (causa 382/87, Racc. pag. 1235), nonché sentenza B & Q.
(11) Ciò si verifica palesemente nel caso della sentenza B & Q, in cui l' esistenza di una causa giustificativa viene ricercata avendo riguardo agli effetti sugli scambi intracomunitari che eventualmente potrebbero risultare dalla normativa nazionale in esame: v. il dispositivo della sentenza.
(12) Sentenza 14 luglio 1981, Oebel, punti 19 e 20 della motivazione (causa 155/80, Racc. pag. 1993). V. altresì sentenza 25 novembre 1989, Forest, punto 19 della motivazione (causa 148/85, Racc. pag. 3449).
(13) Sentenza 31 marzo 1982, Blesgen, punto 9 della motivazione (causa 75/81, Racc. pag. 1211).
(14) V. sentenza 11 luglio 1990, Quietlynn, punto 11 della motivazione (causa C-23/89, Racc. pag. I-3059).
(15) Dalle due ultime ipotesi si evince che la Corte ammette la possibilità di compensare il calo del giro d' affari subito da un esercente con le ulteriori vendite realizzate da altri esercenti in uno stesso Stato membro. La Corte si fonda al riguardo su mere possibilità attinenti alla sfera di applicazione della normativa considerata (v. ad esempio, sentenza Oebel, citata alla nota 12, punto 19 della motivazione), senza far riferimento a dati statistici, per reperire i quali del resto incontrerebbe difficoltà pratiche.
(16) V., ad esempio, sentenze 13 marzo 1984, Procedimento penale contro Prantl (causa 16/83, Racc. pag. 1299), e 14 ottobre 1980, Burgoa, in particolare punto 13 della motivazione (causa 812/79, Racc. pag. 2787).
(17) V., ad esempio, sentenza 20 settembre 1990, Sevince / Staatssecretaris van Justitie, punto 11 della motivazione (causa C-192/89, Racc. pag. I-3461).
(18) La circostanza che la sentenza B & Q lasci su tale punto più di una questione aperta è segnalata nella causa C-304/90, recentemente iscritta nel ruolo della Corte, nella quale la "Reading and Sonning Magistrates' Court" pone una serie di dettagliate questioni vertenti sull' interpretazione della sentenza e, in particolare, sull' applicazione del controllo di proporzionalità (v. la seconda questione pregiudiziale nella causa richiamata).
(19) V., ad esempio, sentenze 11 luglio 1985, Cinéthèque, citata alla nota 5, punti 22 e 23 della motivazione, e 14 luglio 1988, Drei Glocken e a. / USL Centro-Sud e a., punti 12-27 della motivazione (causa 407/85, Racc. pag. 4233). V. altresì sentenza 7 marzo 1990, GB-Inno-BM (causa C-362/88, Racc. pag. I-667).
(20) Se il divieto fosse posto a tutela della salute delle persone, non potrebbe giustificarsi l' esigenza di un identico giorno obbligatorio di riposo: v. oltre nel testo.
(21) Instaurato con sentenza 20 febbraio 1979, Rewe, punto 8 della motivazione (causa 120/78, Racc. pag. 649).
(22) Sentenza 14 luglio 1981 (citata alla nota 12).
(23) V. altresì il prosieguo di tale passo al successivo punto 12.
(24) V. in particolare sentenza 11 luglio 1985, Cinéthèque (citata alla nota 5).
(25) V. sentenza B & Q, punto 14 della motivazione, ultimo rigo. La stessa espressione appare anche in altre sentenze: v., ad esempio, sentenza Quietlynn, citata alla nota 14, punto 11 della motivazione, sentenza Krantz, citata alla nota 1, punto 11 della motivazione, e sentenza Cinéthèque, citata alla nota 5, punto 21 della motivazione (nella quale la Corte ha affermato che ciò si verificava in tutti i regimi indistintamente applicabili ai prodotti nazionali e importati).
(26) V., sul punto, i dettagliati rilievi nelle conclusioni da me presentate nella causa C-145/88, punti 17-25 della motivazione, citati alla nota 8.
(27) Essa può quindi essere eventualmente considerata "restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri" ai sensi dell' art. 36, ultima frase, nel qual caso non potrebbe invocarsi alcuna causa giustificativa ai sensi dell' art. 30 né ai sensi dell' art. 36. Cfr. sentenza 3 dicembre 1981, Pfizer / Eurim-Pharm (causa 1/81, Racc. pag. 2913), nella quale la Corte ha dichiarato che l' art. 36 osta a che l' esercizio di un diritto al marchio si risolva in una compartimentazione artificiale dei mercati nell' ambito della Comunità (v. altresì le conclusioni dell' avvocato generale Capotorti nella stessa causa, in particolare pag. 2935).
(28) V., ad esempio, sentenze 20 maggio 1976, de Peijper, punti 21 e 22 (causa 104/75, Racc. pag. 613), e 8 febbraio 1983, Commissione / Regno Unito, punto 16 della motivazione (causa 124/81, Racc. pag. 203). V. altresì sentenza Buet, punti 11, 12 e 15 della motivazione (citata alla nota 10).
(29) V. altresì le conclusioni da me presentate nella sentenza 23 maggio 1990, Gourmetterie van den Burg, punto 8 e seguenti della motivazione (causa C-169/89, Racc. pag. I-2143).
(30) V. la giurisprudenza citata alla nota 19.
(31) V., ad esempio, oltre alla sentenza Oebel (citata alla nota 12), sentenze 15 dicembre 1982, Oosthoek (causa 286/81, Racc. pag. 4575), 10 marzo 1983, Interhuiles (causa 172/83, Racc. pag. 555), e 7 febbraio 1984, Jongeneel Kaas (causa 237/82, Racc. pag. 484).
(32) V., ad esempio, sentenza 1º ottobre 1987, Vereniging van Vlaamse Reisbureaus, in particolare punti 9 e 10 della motivazione (causa 311/85, Racc. pag. 3801).