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Document 61988CC0303

Conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven del 11 ottobre 1990.
Repubblica italiana contro Commissione delle Comunità europee.
Aiuti statali alle imprese del settore tessile/abbigliamento.
Causa C-303/88.

Raccolta della Giurisprudenza 1991 I-01433

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1990:352

61988C0303

Conclusioni dell'avvocato generale Van Gerven dell'11 ottobre 1990. - REPUBBLICA ITALIANA CONTRO COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE. - AIUTI DI STATO A IMPRESE DEL SETTORE TESSILE/ABBIGLIAMENTO. - CAUSA C-303/88.

raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-01433
edizione speciale svedese pagina I-00115
edizione speciale finlandese pagina I-00127


Conclusioni dell avvocato generale


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Signor Presidente,

Signori Giudici,

1. Con il presente ricorso la Repubblica italiana (in prosieguo: la "ricorrente") chiede l' annullamento della decisione della Commissione 26 luglio 1988, 89/43/CEE, relativa agli aiuti concessi dal governo italiano a ENI-Lanerossi (1) (in prosieguo: la "decisione impugnata"). La decisione impugnata della Commissione (in prosieguo: la "convenuta") è fondata sull' art. 93, n. 2, primo comma, del Trattato e così dispone:

"Articolo 1

Gli aiuti concessi tra il 1983 e il 1987 a ENI/Lanerossi sotto forma di iniezioni di capitale a favore delle aziende del gruppo operanti nel settore del capospalla è pari a 260,4 miliardi di Lit sono illegali in quanto corrisposti in infrazione alle disposizioni dell' articolo 93, paragrafo 3, del Trattato CEE. Inoltre sono incompatibili col mercato comune ai sensi dell' articolo 92 del Trattato.

Articolo 2

Tali aiuti debbono essere oggetto di recupero.

Articolo 3

Il governo italiano informa la Commissione entro due mesi a decorrere dalla data di notifica della presente decisione delle misure adottate per conformarsi alla decisione stessa".

Si tratta, in altre parole, di aiuti di Stato che sono stati concessi sotto forma di iniezioni di capitali a favore di aziende in difficoltà.

Antefatti e programma di ristrutturazione

2. Dalla decisione impugnata emerge che nel 1962 la Lanerossi SpA era stata assorbita dall' Ente nazionale idrocarburi (ENI) - società italiana, holding di Stato - al fine di risolvere i problemi economici e finanziari di talune società private del settore tessile e dell' abbigliamento le quali a tale scopo erano state a loro volta assorbite dalla Lanerossi (2). Risulta inoltre che grazie a radicali ristrutturazioni, talune di dette società controllate della Lanerossi tornavano ad essere efficienti dopo anni, ma che, in particolare, quattro società controllate del sottosettore dell' abbigliamento maschile (Lanerossi Confezioni, Intesa, Confezioni di Filottrano e Confezioni Monti) continuavano a subire perdite e continuavano a fruire di aiuti pubblici sotto forma di conguaglio delle perdite (3).

Dopo che le perdite di esercizio di dette quattro imprese erano salite, tra il 1974 e il 1979, da 2 miliardi a 39 miliardi di LIT, la convenuta, con lettera 26 giugno 1980 comunicava alla ricorrente che gli interventi a favore di dette imprese dovevano essere considerati aiuti e che potevano essere adottati in deroga all' art. 92, n. 1, solo qualora gli aiuti fossero concessi per un periodo limitato e alla condizione che al programma di ristrutturazione che era stato presentato alla Commissione fosse data attuazione con l' obiettivo di ridurre la capacità produttiva delle imprese interessate e di ripristinare la loro efficienza e la loro autonomia finanziaria nel corto periodo (4).

Con lettera 20 maggio 1983, la convenuta dichiarava che i piani di ristrutturazione, per quanto riguarda le quattro menzionate imprese, non avevano dato alcun risultato negli anni passati. Le perdite tra il 1980 e il 1982 erano salite considerevolmente al di sopra dei 150 miliardi di LIT e non era da attendersi alcuna rapida ripresa (5). Inoltre, la convenuta faceva notare che la ricorrente le aveva sottoposto un programma di ristrutturazione per gli anni 1983-1986 e che era dato di constatare che, nel contesto di detto programma, le imprese considerate avrebbero continuato a fare affidamento in misura sostenuta sugli interventi dello Stato e sui fondi pubblici per sanare le loro perdite (6). Tenuto conto dell' importanza sociale e regionale di tali imprese, la convenuta non aveva mosso obiezioni nei confronti degli aiuti concessi sino alla fine del 1982, ma esprimeva riserve quanto alla possibilità di poter considerare in futuro gli aiuti concessi da pubbliche istituzioni e destinati a coprire le perdite di esercizio compatibili con l' ordinato funzionamento del mercato comune (7). La Commissione si mostrava così molto scettica nei confronti del programma di ristrutturazione per gli anni 1983-1986. Nella medesima lettera 20 maggio 1983 la convenuta ricordava alla ricorrente il suo obbligo di informare la Commissione a norma dell' art. 93, n. 3. Con telex 24 giugno 1983 la ricorrente prometteva che avrebbe notificato qualsiasi intervento futuro a favore di dette quattro imprese (8).

Con lettera 22 luglio 1983, la Commissione ricordava che tutti gli ulteriori aiuti a favore di dette imprese, considerati i precedenti e la situazione in cui versava il mercato, non avrebbero più potuto essere considerati compatibili con il mercato comune (9). Con lettera 2 novembre 1983 la ricorrente comunicava alla convenuta che non erano previsti altri aiuti; i dirigenti dell' ENI-Lanerossi consideravano le imprese non ristrutturabili ed erano del parere che non si sarebbe neppure dovuto dare corso al programma di ristrutturazione per gli anni 1983-1986 (10).

In base ad informazioni stampa secondo le quali le imprese considerate continuavano a subire perdite e - per evitare il fallimento - avrebbero probabilmente dovuto ottenere nuovi aiuti di Stato, la convenuta chiedeva ripetutamente alla ricorrente informazioni circa la reale situazione. Con lettera 30 agosto 1984 la ricorrente ammetteva di aver accordato per il 1983 conguagli per ripianare le perdite e contemporaneamente trasmetteva alla convenuta un prospetto sintetico di un nuovo programma di ristrutturazione. Da detto prospetto sintetico è risultato chiaro che anche in futuro si sarebbe reso necessario ripianare delle perdite (11). Quanto all' attendibilità di questo programma di ristrutturazione, non possono esservi dubbi, dato che dalla stessa lettera emergeva che la direzione dell' ENI-Lanerossi continuava ancora a ritenere le imprese non ristrutturabili.

3. Dopo che la convenuta aveva avviato la procedura di cui all' art. 93, n. 2, 1* comma, la ricorrente, con lettera 28 maggio 1985, a mo' di prima replica, assieme ad una richiesta di proroga del termine per presentare le sue osservazioni, comunicava alla Commissione che il personale delle imprese interessate era stato ridotto, che le ristrutturazioni non potevano portare a breve termine ad una situazione di efficienza delle imprese visto lo stato nel quale versavano al momento del loro assorbimento da parte dell' ENI-Lanerossi (questo avvenne nel 1962) e che, avendo ora constatato che queste imprese erano con tutta probabilità non ristrutturabili, occorreva riconvertirle verso altre attività. Questo sarebbe tuttavia un periodo di tempo tale da richiedere ulteriori interventi da parte di pubbliche istituzioni (12). Nel corso di una riunione bilaterale del 21 giugno 1985, la ricorrente preannunciava informazioni supplementari sul nuovo programma "di ristrutturazione di alcune parti degli stabilimenti in questione e di riconversione di altre" e indicava che tale programma avrebbe portato a breve termine ad una soluzione definitiva (13).

C' è voluto fino al 5 febbraio 1986 perché la convenuta ricevesse le informazioni promesse, le quali, per di più, erano parziali (14). Nel corso di una riunione bilaterale tenuta il 12 giugno 1986, la ricorrente confermava che le imprese considerate avevano ricevuto 78 miliardi di LIT nel 1983, 56,8 miliardi di LIT nel 1984 e 42,2 miliardi di LIT nel 1985 come aiuti da parte di pubbliche istituzioni sotto forma di compensazione delle perdite e confermava altresì che le imprese sarebbero state privatizzate o riconvertite ad altre attività (15). Veniva così nuovamente affermato che una definitiva soluzione avrebbe richiesto tuttavia tempo. Avendo la Commissione richiamato l' attenzione sul fatto che mancavano ancora certune informazioni per un completo esame del caso, la ricorrente con lettera 8 settembre 1986 forniva informazioni supplementari, ma pur sempre ancora lacunose; ulteriori dati venivano forniti nel corso di una riunione bilaterale tenuta il 7 novembre 1986 (16). Dal fatto che la ricorrente nel corso della riunione dichiarava che una definitiva soluzione sarebbe stata rapidamente trovata e che ne avrebbe comunicato alla convenuta tempestivamente i dettagli, era dato di dedurre che la ricorrente non aveva a quell' epoca adottato nessuna decisione in merito al progetto di ristrutturazione che era stato preparato, di cui aveva annunciato l' esistenza nel 1984/1985 (v. supra, n. 2, ultimo capoverso, e n. 3, primo capoverso).

4. Nel corso di una riunione bilaterale tenuta l' 11 settembre 1987 risultò che la privatizzazione delle imprese e la riconversione verso altre attività erano state avviate, ma non ancora compiute (17). Finalmente la ricorrente comunicava alla convenuta, nel corso di una riunione del 26 gennaio 1988, che per il marzo 1988 l' ENI-Lanerossi avrebbe trasferito tutte le imprese al settore privato il che, peraltro, si verificò e veniva confermato con telex 5 marzo 1988 e con lettera 22 luglio 1988 (18). La ricorrente informava altresì la convenuta che le perdite ripianate ammontavano a 45,9 miliardi di LIT nel 1986 e a 37,5 miliardi di LIT nel 1987. Come già comunicato nel corso della riunione del 26 gennaio 1988, la ricorrente confermava che in conseguenza dei vari trasferimenti, dei 3 563 dipendenti occupati nel 1983, il 38% sarebbe stato prepensionato, il 25% sarebbe stato trasferito al settore privato delle confezioni maschili (civili), il 20% sarebbe stato trasferito al settore privato delle confezioni maschili (militari) e il 17% sarebbe stato trasferito ad altri comparti dell' industria tessile dell' abbigliamento e in altri rami dell' industria, come, ad esempio, quello delle calzature (18) . Secondo la ricorrente, la capacità produttiva era stata ridotta e trasferita in pari modo e misura (19). Secondo la Commissione non era per nulla certo che la capacità di produzione fosse stata effettivamente ridotta del 55%, come sostenuto dalla ricorrente (20).

5. Da questa lunga esposizione dei fatti, che non è contestata dalla ricorrente, emerge, a mio avviso, che la ricorrente, per il periodo 1983-1987 al quale si riferisce la decisione impugnata, ha sottoposto alla Commissione prima un progetto di ristrutturazione per gli anni 1983-1986 a proposito del quale essa stessa ammetteva a posteriori che non poteva portare al risanamento e, successivamente, presentava un progetto di ristrutturazione il quale, nella migliore delle ipotesi, era stato soltanto adottato e/o doveva ancora essere messo in concreto in esecuzione, e questo nonostante che dal 1983 le imprese fossero considerate dalla direzione stessa non ristrutturabili. Cionondimeno, la ricorrente continuava, nonostante le promesse fatte e senza informare correttamente la Commissione, a riconoscere considerevoli conguagli di perdite che pareggiavano o addirittura superavano il fatturato delle imprese (21).

Rispondendo al quesito rivoltole dalla Corte di indicare tutti i punti essenziali del programma di ristrutturazione, di precisare in quale modo questi programmi hanno eliminato o ridotto la sovraccapacità tra il 1979 e il 1987 e di fornire elementi comprovanti la diminuzione della capacità produttiva, la ricorrente non è stata in grado di presentare nessun altro programma di ristrutturazione che quello già qui soprammenzionato. La ricorrente si limitava a descrivere a posteriori una serie contorta di operazioni societarie dove i vari stabilimenti delle quattro società considerate cambiavano proprietà (senza che fosse tuttavia chiaro il perché di queste operazioni) e a fare una panoramica, in base ai fatti, delle variazioni del personale (il 40% in meno tra il 1983 e il 1990), del fatturato (il 38% in meno tra il 1980 e il 1985), della capacità produttiva (il 30% in meno tra il 1983 e il 1987), delle superfici occupate da stabilimenti ed uffici (il 20% in meno tra il 1983 e il 1987) e delle attrezzature produttive eliminate (il 25% in meno). Quand' anche si dovesse prendere per buono il modo di calcolo di questi dati, il che non è accettato dalla Commissione, questi dati non dimostrano ancora l' esistenza, per il periodo considerato, di un preesistente programma di ristrutturazione in corso. Analoghe riduzioni possono anche presentarsi presso imprese in crisi che non hanno costituito oggetto di ristrutturazioni. In altre parole, la ricorrente non è riuscita a provare alcun evidente nesso tra le diminuzioni constatate a posteriori e concrete misure di ristrutturazione precedentemente messe in atto.

Sulla base di questi dati, mi pare che la convenuta possa giustamente affermare che gli aiuti che erano stati concessi nel corso del periodo 1983-1987 sotto forma di conguaglio delle perdite alle quattro imprese considerate non rientravano in un programma o in una serie di concreti precedenti programmi coordinati di ristrutturazione dalle ragionevoli probabilità di successo. Questo è un importante elemento che emerge dai fatti sottostanti e di cui si deve tenere conto nel valutare gli argomenti di diritto dedotti dalla ricorrente.

Aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma

6. Ai sensi dell' art. 92, n. 1, del Trattato CEE, gli "aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma (...)" sono incompatibili con il mercato comune quando siano idonei a (minacciare di) falsare la concorrenza, favorendo talune imprese o talune produzioni e a incidere in modo sfavorevole sul commercio intracomunitario. Tratterò dei presupposti relativi all' incidenza sfavorevole in prosieguo (ai nn. 17 e seguenti), dopo aver esaminato le condizioni che falsano (o minacciano di falsare) la concorrenza (ai nn. 8 e seguenti).

La formulazione del Trattato "concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma" ha indotto la Corte ad una interpretazione lata. Nella sentenza 30 gennaio 1985, Commissione / Francia (22), la Corte ha affermato "come si desume dalla stessa lettera dell' art. 92, n. 1, la sovvenzione non deve necessariamente essere finanziata col denaro dello Stato perché si tratti di una sovvenzione statale". Non si deve, del resto, operare alcuna distinzione a seconda che la sovvenzione "sia attribuita direttamente dallo Stato ovvero da enti pubblici o privati che esso istituisca o designi per amministrare la sovvenzione stessa".

Nella recente sentenza 2 febbraio 1988 (23) la Corte ha inoltre affermato che la concessione di un vantaggio pecuniario ai consumatori di energia mediante agevolazioni tariffarie (e quindi mediante rinuncia al guadagno) da parte di un' impresa di diritto privato il cui capitale è per il 50% nelle mani dello Stato, il quale nomina anche la metà degli amministratori, deve essere considerato aiuto di Stato, dal momento che, del resto, è risultato che l' impresa non agiva in "piena autonomia", ma sotto il controllo e secondo le direttive di pubbliche istituzioni.

7. Nel caso di specie si tratta di aiuti di Stato, messi in atto e finanziati dall' ENI tramite la sua società controllata al 100%, Lanerossi SpA.

L' ENI è una holding di Stato, costituita dalla ricorrente, la quale vi ha apportato il capitale e che viene gestita da amministratori di nomina governativa (24). L' ENI ha numerose caratteristiche che la differenziano profondamente dalle società di diritto privato: è costituita in forza di legge ed è organizzata come società di diritto pubblico (art. 1), lo Stato esercita uno stretto controllo su tutti gli organi (artt. 11-17) e nell' adozione di importanti decisioni (artt. 4, 8, 10, 21, 23), dispone del potere di far espropriare a proprio favore (art. 23), detiene diritti di monopolio (art. 2), ecc. (...) (25). Da questa struttura organizzativa emerge, a mio avviso, con sufficiente chiarezza, che l' ENI e le sue società controllate al 100% sono, ai sensi dell' art. 92, n. 1, enti di Stato attraverso i quali vengono canalizzati aiuti da parte delle pubbliche istituzioni.

Il capitale dell' ENI è completamente nelle mani dello Stato, cioè della ricorrente. Detto capitale è denominato "fondo di dotazione" (26), pone l' ENI in grado di ottenere prestiti sul mercato finanziario e svolge un ruolo analogo a quello del capitale di rischio nelle imprese private (27). Per di più, a questo riguardo è dato di osservare che i fondi che l' ENI raccoglie sul mercato finanziario per accrescere i propri strumenti finanziari operativi in aggiunta al capitale sono ottenuti non senza aiuti da parte di pubbliche istituzioni. Nel 1985 l' ENI prendeva infatti in prestito, previo parere favorevole della ricorrente ai sensi dell' art. 21 della legge sull' ENI, e, a quanto pare, con la sovvenzione degli interessi da parte della medesima, 51,7 miliardi di LIT sul mercato finanziario per ripianare perdite nel settore tessile (28).

Alla luce di queste circostanze non può, a mio parere, essere contestato che i fondi che l' ENI ha indirettamente fornito, tramite la sua controllata Lanerossi SpA, sono aiuti di Stato e sono stati concessi mediante risorse statali secondo l' ampia accezione datane dalla giurisprudenza della Corte. E' del tutto inconsistente, come la ricorrente aveva ancora sostenuto all' udienza, chiedere che sia data la prova di una specifica "earmarking" (destinazione) di fondi dello Stato o di uno specifico mandato conferito dallo Stato in via ufficiale e previa pubblicazione all' ENI di provvedere al salvataggio delle quattro società controllate Lanerossi considerate. Questo toglierebbe ogni effetto utile alle norme sugli aiuti contemplate dal Trattato CEE e ne renderebbe oltremodo semplice l' elusione.

Aiuti di Stato che falsano o minacciano di falsare la concorrenza

8. Passo così a trattare la questione se la convenuta abbia giustamente considerato nella decisione impugnata che l' aiuto concesso sia incompatibile con il mercato comune, perchè "favorendo talune imprese o talune produzioni falsa o minaccia di falsare la concorrenza". A questo riguardo si richiama alla constatazione che i conguagli di perdite realizzati tramite le iniezioni di capitali si sono prodotti in circostanze che non sarebbero state ammissibili per un investitore privato in una economia di mercato (29).

La convenuta in data 17 settembre 1984 dava agli Stati membri comunicazione di un documento in cui veniva illustrato il suo punto di vista generale in merito alle partecipazioni di pubbliche istituzioni nel capitale di imprese alla luce dell' art. 92 (30). In questa comunicazione la Commissione assumeva il criterio adottato da un investitore privato come criterio di valutazione decisivo:

" 3.3. Si tratta (...) di aiuti di Stato quando, in occasione di apporti di capitale nuovo nelle imprese, tale apporto si effettua in circostanze che non sarebbero accettabili per un investitore privato operante nelle normali condizioni di un' economia di mercato.

Questo caso si ha quando:

la situazione finanziaria dell' impresa ed in particolare la struttura ed il volume dell' indebitamento sono tali da far apparire ingiustificata la previsione di un rendimento normale (in dividendi o in valore) dei capitali investiti entro un termine ragionevole di tempo; (...)".

9. Dopo che la Corte ha affermato, nella sentenza Intermills, che "non si può fare una distinzione di principio a seconda che un aiuto venga concesso sotto forma di prestiti o sotto forma di partecipazione al capitale delle imprese" (31), si è pervenuti ad un completo riconoscimento del criterio del prudente investitore privato nella sentenza Leeuwarder Papierwarenfabriek (32), il cui passaggio cruciale è così formulato:

" Per quanto riguarda anzitutto l' esistenza di un aiuto statale, ai sensi dell' art. 92, n. 1, del Trattato, dal preambolo della decisione risulta che la Commissione parte dal principio che il divieto relativo a siffatti aiuti possa applicarsi anche ai conferimenti di capitale effettuati dagli enti pubblici che dipendono dall' autorità dello Stato (punto 8). Nel caso di specie, il carattere di aiuto della partecipazione controversa è stato accertato in base alla mancanza di possibilità di finanziamento sul mercato privato dei capitali, in funzione di tre fattori, e cioè la struttura finanziaria dell' impresa, il fatto che questa aveva urgente bisogno di effettuare investimenti di sostituzione e l' eccedenza di capacità produttiva nel settore della trasformazione del cartone, fattori che, secondo la Commissione, rendevano poco verosimile per l' impresa la possibilità di reperire sul mercato privato dei capitali il finanziamento indispensabile alla propria sopravvivenza (punto 9)" (punto 20 della motivazione).

Questa motivazione soddisfa le esigenze dell' art. 190 del Trattato, in quanto consente alla Corte di esercitare il proprio controllo e agli interessati di far opportunamente conoscere il proprio punto di vista circa l' esistenza e la rilevanza dei fatti e delle circostanze allegati" (punto 21 della movitazione).

10. Nella più recente giurisprudenza della Corte, questa linea viene accolta consequenzialmente, specialmente nella causa Meura, dove detto criterio viene messo in relazione con circostanze quali le dimensioni delle perdite, il persistere di sovraccapacità nel settore e, in particolare, la mancanza di un programma di ristrutturazione attendibile (33). Data l' analogia con la presente fattispecie, cito per esteso i seguenti punti:

" Onde accertare se un siffatto provvedimento abbia la natura di aiuto statale, è opportuno applicare il criterio indicato nella decisione della Commissione e, del resto, non contestato dal governo belga, che si basa sulle possibilità per l' impresa di procurarsi le somme in questione sul mercato privato dei capitali. Nell' ipotesi dell' impresa la quasi totalità del cui capitale sociale sia nelle mani delle pubbliche autorità, si deve in particolare valutare se, in circostanze analoghe, un socio privato, basandosi sulle possibilità di reddito prevedibile, astrazion fatta da qualsiasi considerazione di carattere sociale o di politica regionale o settoriale, avrebbe effettuato un conferimento di capitale del genere (punto 14 della motivazione).

Come il governo belga ha sostenuto, il socio privato può ragionevolmente conferire il capitale necessario per garantire la sopravvivenza dell' impresa che sia temporaneamente in difficoltà, ma che, eventualmente, previa riorganizzazione, sia in grado di ridivenire redditizia. Tuttavia nella fattispecie si tratta di un' impresa la quale, al momento del conferimento, subiva da vari anni perdite molto rilevanti rispetto al fatturato, la cui sopravvivenza aveva già richiesto alle pubbliche autorità vari conferimenti di capitale onde ricostituire il capitale sociale esaurito e i cui prodotti dovevano essere smerciati su un mercato caratterizzato da un eccesso di capacità (punto 15 della motivazione).

Poiché il governo belga deduce che il conferimento di capitale era concesso a un progetto di riorganizzazione dell' impresa, è opportuno sottolineare che la legittimità della decisione impugnata dev' essere valutata alla luce delle informazioni di cui poteva disporre la Commissione quando l' ha adottata. Orbene, benché le autorità belghe abbiano effettivamente accennato ad un progetto di riorganizzazione nella loro corrispondenza con la Commissione, il contenuto di questo progetto non è stato trasmesso alla Commissione durante il procedimento contemplato dall' art. 93 del Trattato (punto 16 della motivazione).

Da quanto precede discende che, tenuto conto degli elementi di informazione dei quali poteva disporre la Commissione a quell' epoca, con ragione essa ha ritenuto poco verosimile che l' impresa potesse procurarsi sul mercato dei capitali privati le somme necessarie per la sua sopravvivenza e, per questo motivo, ha considerato un aiuto dello Stato l' ulteriore conferimento di capitale da parte della SRIW" (punto 17 della motivazione).

Anche in cause più recenti la mancanza di un programma di ristrutturazione attendibile e realistico ha costituito un elemento centrale ai fini della qualificazione della partecipazione al capitale come aiuti di Stato (34).

11. Da quanto precede emerge chiaramente che il criterio del prudente investitore privato è stato accolto dalla Corte e messo in relazione con la mancanza di un attendibile programma di ristrutturazione. La Commissione ha voluto applicare detto criterio anche nella decisione impugnata come fattore decisionale (35).

12. Nell' ottica di questa giurisprudenza la ricorrente afferma che le quattro imprese controllate considerate sono state effettivamente oggetto di un' operazione di ristrutturazione, la quale, però, è durata più a lungo del previsto e che gli apporti di capitale effettuati in questo contesto erano necessari per la sopravvivenza delle imprese. Per questo essi debbono essere considerati ammissibili dato che, secondo logica, sarebbero stati effettuati anche da un investitore privato.

Mi sembra essere questa un' affermazione fuori luogo. Le società controllate considerate, tuttavia, erano, già fin dal momento dell' assorbimento della Lanerossi da parte dell' ENI (nel 1962), oggetto di ristrutturazione e di aiuti finanziari ad essa accompagnantisi. Un periodo di 20-25 anni può difficilmente essere considerato come un ragionevole periodo di ristrutturazione. Inoltre, dall' esposizione dei fatti che precede (v. n. 2 e seguenti) è emerso che per il periodo 1983-1987, che qui rileva, non esisteva alcun programma di ristrutturazione attendibile e che la direzione dell' ENI-Lanerossi aveva giudicato, a partire dal 1983, le imprese considerate come non ristrutturabili. Ritengo perciò che anche la valutazione di merito della Commissione possa essere condivisa.

Disparità di trattamento tra imprese pubbliche e private

13. Ricollegandosi a quanto precede, l' attenzione deve essere ancora posta sul concetto di parità di trattamento tra imprese pubbliche e private. I partecipanti al procedimento sono a questo proposito concordi nel ritenere che tanto l' art. 90 quanto l' art. 222 del Trattato CEE richiedano la parità di trattamento. Secondo la ricorrente, la convenuta avrebbe ingiustamente perso di vista il fatto che una holding pubblica come l' ENI deve poter trasferire, nel contesto di una strategia a lungo termine, fondi da una società controllata ad un' altra.

14. A me risulta che, sotto detto punto di vista, le imprese pubbliche e private non operano in modo fondamentalmente diverso. Il passo della sentenza Meura, dove viene affermato che le pubbliche istituzioni debbono essere messe a confronto con un azionista privato che, in analoghe circostanze, adotta una decisione di apporto di capitali "basandosi sulle possibilità di reddito previdibile, astrazion fatta da qualsiasi considerazione di carattere sociale o di politica regionale o settoriale" (36), è, a mio avviso, senz' altro conciliabile con il principio della parità di trattamento. Le parole "astrazion fatta da qualsiasi considerazione di carattere sociale o di politica regionale" non possono, tuttavia, essere intese alla lettera, nel senso che nel caso di un investitore privato non si possa tener conto di alcuna considerazione di natura sociale o di politica regionale o settoriale. In un' economia mista, dove l' importanza del settore pubblico e quella del settore privato sono strettamente connesse e gli interessi dei prestatori di lavoro vengono tenuti senz' altro presenti, neanche un' importante società-holding privata potrà restare insensibile di fronte alle opportunità di lavoro e allo sviluppo economico nella regione dove essa è attiva. Anche in considerazione di quanto precede, sarà pronta a trasferire i suoi mezzi da un' impresa controllata ad un' altra per contribuire a coprire le perdite temporanee. Tuttavia essa verrebbe meno ai suoi obblighi nei confronti degli azionisti, dei finanziatori e dei dipendenti, se essa dovesse coprire le perdite di imprese operanti in un settore con sovraccapacità e ivi accumulare perdite che ammontano ad una grande parte o perfino alla totalità del loro fatturato, senza aver messo in atto un serio piano di ristrutturazione che tenti di renderle efficaci nel miglior modo possibile.

Nelle circostanze del caso di specie, la convenuta ha potuto, a mio avviso a ragione, ritenere che un prudente investitore del settore privato, anche tenendo conto di ragioni di politica sociale e regionale, non avrebbe prorogato alcun aiuto di durata pluriennale, né tantomeno decennale (senza aiuti da parte delle pubbliche istituzioni espliciti o dissimulati, che per loro natura potrebbero essere ricondotti sotto l' art. 92), tanto più che dopo il decorso di un periodo non eccessivamente lungo emerge che la ristrutturazione è impossibile, come viene riconosciuto anche dalla direzione delle imprese. Mi pare che il comportamento di una holding pubblica non debba essere giudicato in modo fondamentalmente diverso. E' vero, una siffatta holding deve tenere in speciale considerazione motivi sociali e politici, ma proprio in ragione di questa analogia di principio tra imprese pubbliche e private, non può e non deve sconfessare le leggi dell' economia di mercato. La tesi della ricorrente, che fa riferimento agli artt. 90 e 222, deve pertanto essere disattesa anche sulla base delle circostanze del caso di specie.

Per la stessa ragione mi sembra che neppure le osservazioni del governo spagnolo siano compatibili con le circostanze di fatto del caso di specie. L' argomento secondo cui una holding può accettare perdite temporanee di gestione di una società controllata al fine di realizzare una strategia a lungo termine di massimalizzazione dei profitti è un argomento che, nel caso di specie, non si concilia coi fatti. L' argomento secondo il quale una holding privata non deve permettere che la reputazione del gruppo venga messa in discussione da un fallimento va in una duplice direzione. In un determinato caso concreto può anche tornare a sfavore della serietà di una holding, sia essa pubblica o privata, il fatto di operare indefinitamente il salvataggio di imprese controllate che continuano a registrare perdite così elevate quanto il loro fatturato.

Sviluppo regionale

15. Mi soffermo ancora sull' argomento dello sviluppo regionale che la ricorrente ha dedotto per giustificare la compatibilità degli aiuti con il mercato comune. Secondo la ricorrente almeno uno degli stabilimenti delle quattro imprese controllate considerate è localizzato in una provincia che, in base al regolamento (CEE) del Consiglio n. 219/84 (37), risulta presa in considerazione ai fini dell' aiuto comunitario; per questo motivo, i conguagli delle perdite dovrebbero essere dispensati ai sensi dell' art. 92, n. 3, lett. a).

La Commissione replica, in generale, di aver tenuto conto nella sua decisione di considerazioni regionali e sociali e di non essersi opposta alla concessione di aiuti fino alla fine del 1982 (38). La Commissione considera invero il richiamo al regolamento n. 219/84 ingiustificato, dal momento che il regolamento fa riferimento a speciali programmi di aiuti per la riconversione di determinate regioni e non ad aiuti per il salvataggio di singole imprese.

16. Questo punto di vista della Commissione è, a mio avviso, corretto. Sin dalla pronuncia della sentenza Philip Morris, viene riconosciuto che la Commissione dispone di un ampio margine discrezionale per la concessione di deroghe ai sensi dell' art. 92, n. 3, del Trattato CEE (39); in altre parole, non sussiste alcun diritto tassativo, e meno ancora avente efficacia diretta, a deroghe per misure nazionali motivate da considerazioni di politica regionale. Nella decisione impugnata la Commissione ha inconfutabilmente fatto presente (parti VII e VIII) che le istruzioni precedentemente da lei comunicate agli Stati membri in merito agli aiuti nel settore tessile, ovvero in merito al salvataggio, non sono state rispettate dalla ricorrente. Il fatto che nell' ambito del programma comunitario del Fondo europeo di sviluppo regionale sussista la possibilità di concedere aiuti non attribuisce agli Stati membri alcun potere di concedere, di propria autorità e senza preavviso, aiuti al di fuori di detto programma comunitario.

D' altra parte, dagli artt. 1, 3, 4 e 5 del regolamento n. 219/84 emerge che la Commissione può approvare per le zone interessate dalla ristrutturazione dell' industria tessile e dell' abbigliamento una specifica azione nel cui contesto, assieme ad altre misure per il risanamento delle zone interessate, possono essere concessi aiuti per investimenti nelle aziende medio-piccole. Questo aiuto è destinato a contribuire alla creazione di nuove imprese o ad adattare la produzione delle imprese esistenti. Il suo carattere integrativo emerge dal fatto che esso viene riconosciuto sotto la forma di contributo al capitale oppure di abbuono di interessi, e che l' aiuto della Comunità, che ammonta al 50% dell' aiuto previsto per l' investimento può ammontare solo al 10% delle spese di investimento per la durata massima di quattro anni. Dall' art. 6, n. 2, emerge infine che lo Stato membro interessato deve, alla fine di ogni anno, presentare una relazione sullo stato di avanzamento del programma speciale dove, come detto, vengono prese in considerazione misure diverse dagli aiuti. Nel caso di specie la ricorrente non ha dedotto in alcuna fase del procedimento di aver soddisfatto condizioni formali e materiali per far rientrare gli aiuti concessi in un programma speciale del Fondo europeo per lo sviluppo regionale che avrebbe dovuto essere approvato dalla Commissione nel contesto del regolamento n. 219/84.

Influenza sul commercio tra gli Stati membri

17. Secondo la ricorrente, nella decisione impugnata la convenuta non ha sufficientemente motivato che sussisterebbero le condizioni contemplate dall' art. 92, n. 1, del Trattato a proposito dell' influenza sugli scambi tra gli Stati membri. Una siffatta influenza, a suo dire, non ricorre, considerata la modesta quota di mercato delle quattro imprese considerate nell' ambito del settore italiano dell' abbigliamento maschile e considerata la quota relativamente modesta della produzione delle quattro imprese esportata verso gli altri Stati membri.

La convenuta respinge in primo luogo la censura relativa all' insufficienza della motivazione, facendo a tal proposito presente che le parti da VI a X della motivazione impugnata sono in gran parte dedicate a dette condizioni. A questo proposito è stato fatto copioso uso di dati statistici. Anche a me sembra che sia stato ottemperato al dovere di motivazione, qualora risulti che i dati esposti nella decisione impugnata siano conferenti e confortino la valutazione effettuata dalla Commissione circa la sussistenza delle menzionate condizioni dell' art. 92. Passo ora ad esaminare questo aspetto.

18. Nella decisione impugnata la convenuta da un lato si sofferma a più riprese sulla capacità di produzione eccedentaria presente nel settore considerato (40), un elemento riconosciuto rilevante dalla Corte nella causa Meura in funzione della prova dell' incidenza sugli scambi comunitari (41), e dall' altro fa altresì puntualmente riferimento all' intensa concorrenza esistente nel settore (42). Essa insiste quindi sul fatto che le quattro imprese considerate, vista la dimensione media delle imprese nel settore dove queste operano, sono imprese importanti (43). A suo parere, di questo va tenuto conto nel valutare la quota di esportazione. La decisione impugnata pone inoltre l' accento sul fatto che, se le stesse quattro imprese sovvenzionate esportano solo una quota relativamente modesta della loro produzione (14%), tuttavia partecipano attivamente al commercio intracomunitario nel settore considerato, che è intensivo e di importanza crescente (44). Infine, la decisione espone che nel commercio intracomunitario del settore tessile e dell' abbigliamento, in particolare in quello dell' abbigliamento maschile, la produzione e l' esportazione italiana occupano un ruolo importante (45) e che quest' industria ha ricevuto tramite gli aiuti censurati un vantaggio tale da influire sfavorevolmente sugli scambi tra Stati membri (46).

19. La ricorrente, a mio avviso, non è stata in grado di dimostrare che la Commissione non poteva affermare che dagli aiuti censurati poteva derivare una conseguenza sugli scambi tra Stati membri. Gli argomenti da lei dedotti si limitano soprattutto a far leva sulla piccola quota individuale delle quattro imprese negli scambi intracomunitari dei prodotti considerati. Questo invero, conformemente alla giurisprudenza della Corte, non è sufficiente a ribattere gli elementi della decisione impugnata sopra riportati.

Così la convenuta nella sua controreplica si richiama a ragione alla sentenza della Corte 11 novembre 1987 (47), dove i ristretti margini di guadagno in un dato settore (connessi con un eccesso di capacità produttiva) facevano ricadere aiuti di portata relativamente esigua nel divieto dell' art. 92, e soprattutto alla sentenza 13 luglio 1988 pronunciata nella causa SEB, dove veniva sostenuta la tesi che un' impresa, che non partecipa essa stessa all' esportazione verso altri Stati membri, può, a seguito di aiuti alla sua produzione da parte dello Stato, produrre cionondimeno la conseguenza che altre imprese di altri Stati membri possano esportare meno di quanto avrebbero potuto se non vi fossero stati aiuti. Persino quando nel settore considerato non si fosse in presenza di alcun eccesso di capacità produttiva, è tuttavia possibile che nel mercato comune la concorrenza possa essere falsata a vantaggio di produttori nazionali (48). Questo è proprio quanto emerge dalla motivazione fornita nella decisione impugnata, dove il ruolo del settore produttivo nazionale interessato nell' ambito del mercato comunitario viene evidenziato dall' intenso commercio e dell' accentuata concorrenza.

Evitare che la concorrenza resti falsata a favore di un intero settore economico nazionale è un obiettivo dell' art. 92, che diventa sempre più importante nella misura in cui gli Stati membri, non potendo fare ulteriormente ricorso ad altri strumenti di politica economica per favorire i propri produttori, cadono maggiormente nella tentazione di concedere aiuti di Stato. Contemporaneamente, con il procedere dell' integrazione del mercato, gli espedienti volti a falsare la concorrenza vengono posti in essere con metodi sempre più raffinati (49).

Il fatto che il requisito della motivazione dell' influenza sugli scambi tra Stati membri conosca nella sentenza SEB toni attenuati deve a mio avviso collocarsi in questa prospettiva. Data l' importanza che a questo proposito assume l' evoluzione della giurisprudenza della Corte (50), cito integralmente i passaggi pertinenti:

" A tal proposito, il governo francese sostiene che il prestito controverso non può considerarsi incidente sugli scambi tra Stati membri e sulla concorrenza. Fa valere inoltre che la decisione non contiene alcun elemento che consenta di comprendere il ragionamento seguito a tal proposito dalla Commissione" (punto 17 della motivazione).

"Va osservato che la decisione impugnata contiene un esame del mercato della birra in Francia. Dopo aver rilevato che il consumo annuo per abitante, nel corso del periodo 1975-1985, era in ristagno nella maggior parte degli Stati membri, e in leggera diminuzione in Francia, nella decisione si osserva che la Francia importa tradizionalmente dagli Stati membri poco più del 10% del suo fabbisogno. Le esportazioni francesi verso questi Stati avrebbero registrato una leggera contrazione durante lo stesso periodo e rappresentato solo l' 1,5% circa della produzione francese. L' impresa beneficiaria del prestito contestato sarebbe controllata nella misura del 100% da un gruppo francese la cui produzione di birra supera il 50% della produzione totale francese e che partecipa al commercio infracomunitario di birra. L' impresa stessa detiene il 20% circa del mercato francese" (punto 18 della motivazione).

"Tali circostanze di fatto non sono state contestate dal governo francese. Esso ha fatto tuttavia osservare che la Commissione non ha rilevato un eccesso di capacità nel settore della birra, né indicato la quota che l' impresa beneficiaria detiene nelle esportazioni verso altri Stati membri. Tuttavia, un aiuto ad un' impresa può essere idoneo ad incidere sugli scambi tra gli Stati membri ed a falsare la concorrenza anche se quest' impresa si trova in concorrenza con prodotti provenienti da altri Stati membri senza partecipare essa stessa alle esportazioni. Una situazione simile può presentarsi anche quando non vi sia eccesso di capacità nel settore di cui trattasi. Infatti, quando uno Stato membro concede un aiuto ad un' impresa, la produzione interna può risultarne invariata o aumentare, con la conseguenza che, nelle condizioni quali quelle accertate dalla Commissione, le possibilità delle imprese con sede in altri Stati membri di esportare i loro prodotti nel mercato di questo Stato membro ne sono diminuite. Un aiuto siffatto è quindi idoneo ad incidere sul commercio tra Stati membri ed a falsare la concorrenza" (punto 19 della motivazione).

Da questi punti della motivazione emerge implicitamente, ma inconfutabilmente, che, laddove una impresa aiutata è operativa in un mercato di prodotti dove i produttori dei vari Stati membri sono effettivamente in concorrenza l' uno con l' altro, la Commissione può, a rigore di logica, ritenere che sia soddisfatta la condizione "della sfavorevole influenza sugli scambi tra gli Stati membri". Una siffatta situazione, come affermato dalla Corte, può prodursi persino quando nel settore considerato non si è, a differenza del caso di specie, in presenza di alcun eccesso di capacità produttiva. A questo proposito, a mio avviso, emerge che solo nei mercati di prodotti dove, in ragione dei costi di trasporto molto elevati o di altre particolari circostanze, non si sviluppa alcun commercio internazionale è ancora possibile immaginare, allo stato attuale dell' integrazione di mercati, aiuti che non integrano la condizione dell' influenza sugli scambi commerciali.

20. Alla luce di questa giurisprudenza, mi sembra che il mezzo dedotto dalla ricorrente resti soccombente. A tale considerazione nulla tolgono i dati forniti, su richiesta della Corte: per l' intero settore tessile e delle confezioni la quota di mercato dei produttori italiani era cresciuta dal 27,1 al 29,1% tra il 1983 e il 1987; per le quattro categorie di abbigliamento maschile, che sono considerate in questa causa, la loro quota di mercato media tra il 1983 e il 1987 rimaneva pressocché stabile a un livello elevato, tra il 35 e il 40%. Giungo così alla conclusione che la Commissione, nel motivare la decisione impugnata, è rimasta entro i limiti del suo potere discrezionale di valutazione, anche con riferimento alla condizione dell' influenza sugli scambi interstatali.

L' art. 93, n. 3, e la mancata comunicazione della concessione degli aiuti

21. Secondo la ricorrente, l' art. 93, n. 3, è stato da lei sostanzialmente rispettato. La convenuta ha sempre avuto tempestivamente occasione di formulare le sue osservazioni. Gli interventi sarebbero stati eseguiti semplicemente in assenza di una presa di posizione da parte della convenuta nel corso di quattro anni. Considerata l' importanza della sopravvivenza delle imprese, la Commissione doveva, se del caso, reagire prima.

Il motivo dedotto dalla ricorrente secondo il quale questa avrebbe osservato l' art. 93, n. 3, viene smentito dai fatti, considerato che dopo il 1* gennaio 1983 non si è avuta alcuna comunicazione ufficiale degli aiuti concessi, nonostante che con telex 24 giugno 1983 la ricorrente avesse dato assicurazione che avrebbe comunicato tutti i futuri interventi (v. supra, n. 2) (51). Solo molto tempo dopo i fatti - e dopo ripetute richieste da parte della Commissione, i cui sospetti erano andati crescendo a seguito di notizie stampa - la convenuta veniva messa ufficialmente al corrente del fatto che erano stati ancora concessi aiuti per gli anni 1983 e seguenti. Questo basta da solo ad attestare che l' obbligo di comunicazione vigeva per qualsiasi operazione di ripianamento delle perdite che fosse avvenuta dopo il 1* gennaio 1983. Considerato che la convenuta aveva chiaramente fatto presente che non potevano più essere erogati aiuti dopo la fine del 1982 e che a tutto il novembre 1983 la ricorrente aveva comunicato alla Commissione che le imprese considerate venivano ritenute dalla direzione non ristrutturabili, la ricorrente poteva presumere che non avrebbe ricevuto nessuna autorizzazione per la concessione di siffatti aiuti. Questo non costituisce pertanto alcuna scusante per sottrarsi all' obbligo di comunicazione, anzi, tutt' altro.

22. La ricorrente e la convenuta hanno inoltre preso posizione in merito ad una questione che non è determinante ai fini della soluzione della presente controversia, cioè se la mancata comunicazione sia di per sé sufficiente a rendere gli aiuti in contrasto con il Trattato. Su tale questione la Corte ha fornito una importante indicazione nella sentenza 14 febbraio 1990 relativa alla causa C-301/87, Francia / Commissione (Boussac) (52). In questa sentenza la Corte ha affermato che la violazione dell' obbligo di comunicazione non rende necessariamente superflua ogni indagine sulle condizioni di base: solo qualora lo Stato membro avesse considerato nullo e non avvenuto uno specifico ordine della Commissione di fornire informazioni su un caso di mancata comunicazione di aiuti, la Commissione potrebbe chiedere il recupero degli aiuti senza una (approfondita) indagine delle condizioni per concedere la deroga alle disposizioni dell' art. 92, nn. 2 e 3 (v. punto 22).

Come detto, questa questione non è qui rilevante, considerato che gli aiuti, nel caso di specie, sono stati effettivamente esaminati con riferimento alle condizioni di base contemplate dall' art. 92.

Recupero degli aiuti - Legittimo affidamento

23. La ricorrente si avvale di vari argomenti per affermare che il recupero, ordinato dalla Commissione, degli aiuti non approvati è illegittimo. In primo luogo, tratta un argomento che deduce il legittimo affidamento. In secondo luogo, la ricorrente espone che non vi è alcuna possibilità di recuperare le somme che hanno ripianato le perdite, dal momento che la possibilità di recupero non avrebbe potuto essere presa in considerazione al momento della fissazione delle condizioni di vendita delle quattro imprese controllate al settore privato. In terzo luogo, la ricorrente afferma che il recupero presuppone l' esercizio di un potere discrezionale di valutazione, che deve essere motivato, il che, nella specie, non si potrebbe verificare e che non è chiara l' identità delle persone che debbono eseguire l' ordine di restituzione.

Dirò dapprima qualcosa su quest' ultimo argomento: la Commissione su questo punto replica che dalla formulazione complessiva dell' art. 93, n. 2, del Trattato - che contiene disposizioni relative alla soppressione (o modifica) degli aiuti - emerge chiaramente che non è necessaria alcuna specifica motivazione per l' ordine di recupero. Già dalla sentenza pronunciata nella causa 70/72 può dedursi che la motivazione che la Commissione deve dare alle sue decisioni fa riferimento alla incompatibilità degli aiuti con il Trattato (53); non appena questa è motivata, la Commissione può senz' altro chiederne il recupero. Questo modo di vedere mi sembra giusto: una tale soppressione, o modifica di aiuti e, di conseguenza, il loro recupero qualora siano stati conferiti per intero è, infatti, la "logica conseguenza" (54) che il Trattato ricollega ad una accertata incompatibilità del provvedimento, che trova la sua motivazione negli argomenti relativi all' incompatibilità degli aiuti. Infatti, una volta che si è accertato che gli aiuti concessi hanno prodotto perturbazioni sulla concorrenza e conseguenze sfavorevoli sul commercio tra Stati membri, gli aiuti, qualora effettivamente versati, hanno prodotto il loro effetto incompatibile col Trattato e ne può essere ordinato il recupero, indipendentemente da ulteriori circostanze.

La Commissione deve senza dubbio indicare più precisamente possibile il soggetto a carico del quale gli aiuti devono essere recuperati. Di norma questi è il destinatario dell' aiuto, cioè, nel caso di specie, così come appare all' art. 1 della decisione impugnata, l' "ENI-Lanerossi", intendendosi con tale denominazione le imprese sovvenzionate, la casa-madre (Lanerossi SpA) e la società holding di appartenenza (ENI). In una situazione di fatto, quale quella in esame, dove la concessione di aiuti non è stata previamente comunicata, e che è lungi dall' essere trasparente, una siffatta indicazione è sufficiente. Come dirò in seguito (n. 27) spetta d' altronde allo Stato membro interessato fare eventualmente proposte alla Commissione in merito alle modalità di recupero e, quindi, anche circa i soggetti dai quali la restituzione può essere richiesta. Il primo argomento dedotto dalla ricorrente deve essere pertanto disatteso.

24. Mi soffermo ora sull' argomento relativo al legittimo affidamento. Secondo la ricorrente, nel caso di specie, deve trovare applicazione la sentenza pronunciata dalla Corte il 24 novembre 1987 nella causa RSV (55). In detta sentenza viene affermato che la Commissione avrebbe violato le norme di sana amministrazione facendo trascorrere più di ventisei mesi prima di concludere la procedura di cui all' art. 92; alla luce del fatto che il settore interessato necessitava prima degli aiuti concessi, la lentezza della Commissione poteva far sorgere un legittimo affidamento che rendeva illegittima la ripetizione degli aiuti. Secondo la ricorrente, l' applicabilità di questa pronuncia della Corte emerge dal fatto che nel caso di specie non è stata introdotta alcuna formale procedura prima del dicembre 1984.

25. Come la convenuta giustamente sostiene, questo mezzo della ricorrente non può essere accolto. Dalla sequenza cronologica degli avvenimenti, quale risulta dalla decisione impugnata e non contestata in alcun modo dalla ricorrente, emerge chiaramente che un' eventuale mancanza di tempestività da parte della convenuta nell' instaurare una procedura doveva essere essenzialmente attribuita alla lentezza della ricorrente nel fornire informazioni e nella violazione da parte sua dell' obbligo di comunicazione che aveva tuttavia assicurato che avrebbe rispettato.

Quanto sopra emerge dal fatto che la ricorrente con telex 24 giugno 1983 promise di comunicare tutti i futuri interventi relativi alle quattro imprese controllate interessate (56). La Corte ha chiesto alla ricorrente di produrre una copia di questo telex; a tutt' oggi non vi è stato provveduto. Siccome la convenuta veniva informata del fatto che le quattro imprese continuavano a subire pesanti perdite, in data 22 luglio 1983 redigeva una lettera di richiamo (57). Con lettera 2 novembre 1983, la ricorrente rispondeva affermando che, per quanto riguarda le quattro imprese controllate considerate, non sarebbero stati concessi ulteriori aiuti (58). La ricorrente non ha potuto esibire neppure questa lettera. Con lettera 7 dicembre 1983 veniva preso atto di questo impegno della ricorrente (59).

Il 14 dicembre 1984, tre mesi dopo la seconda conferma da parte della ricorrente che per gli anni 1983 e seguenti non sarebbero stati concessi aiuti senza preventiva comunicazione e accordo, la convenuta chiedeva ufficialmente alla ricorrente di presentare osservazioni nel contesto di una procedura ai sensi dell' art. 93, n. 2, primo comma (60). Questo periodo di tre mesi è così lungo da ingenerare nella ricorrente un legittimo affidamento circa la compatibilità degli aiuti di Stato con il Trattato? Non lo penso assolutamete, sulla base delle circostanze concrete del caso di specie. A differenza della causa RSV, la convenuta ha in questo caso chiaramente ed a più riprese fatto capire che gli aiuti che dovessero essere eventualmente concessi dopo il 1982 sarebbero stati, con tutta probabilità, illegittimi. Dal suo canto, la ricorrente non si è attenuta alla sua formale promessa di dare comunicazione dei nuovi aiuti, ai quali aveva cionondimeno preannunciato di porre termine. A questo proposito, su richiesta di spiegazioni da parte della convenuta a seguito di notizie stampa, la ricorrente, nell' agosto del 1984 presentava uno schema di un nuovo programma di ristrutturazione che doveva essere logicamente esaminato dalla convenuta al fine di formarsi un giudizio completo. A prescindere da tutto ciò, è di per sé estremamente dubbio se uno Stato membro, che viola l' obbligo di comunicazione, possa ancora fare appello al legittimo affidamento (61). Deve inoltre essere a tal proposito rilevato che solo con lettera 30 agosto 1984 la convenuta veniva messa al corrente dell' ammontare (enorme) delle perdite ripianate per il 1983 (62) e questo, malgrado le ripetute richieste della convenuta di comunicare i risultati di esercizio verso la fine dell' anno.

26. E' anche difficilmente sostenibile che la durata stessa della procedura ufficiale, dalla sua apertura, nel dicembre 1984, fino alla notifica della decisione impugnata, nell' agosto 1988, possa in un qualche modo costituire un argomento a favore della ricorrente. La panoramica cronologica di questo lasso di tempo contenuta nella decisione impugnata evidenzia pertanto un' impressionante serie di fattori ritardanti: domande di proroga dei termini, risposte incomplete o mancanti, progetti sempre nuovi di ristrutturazione per l' immediato futuro presentati come definitivi, approcci sempre differenti: prima la ristrutturazione, poi la riconversione, infine la privatizzazione. Infine, solo sul finire del 1987 - inizio 1988 venivano comunicate tutte le informazioni che la convenuta per tutto il tempo aveva richiesto (63) e sulla cui base adottava in data 26 luglio 1988 la decisione qui impugnata. E' quanto basta a respingere anche per detto periodo un qualsiasi richiamo al principio del legittimo affidamento. Ad abundantiam può anche essere sostenuto che la ricorrente ancora dopo l' apertura della procedura, nel dicembre 1984, concesse aiuti di cui non era stata data comunicazione.

Infine, la ricorrente non può neppure invocare il legittimo affidamento per giustificare la mancata esecuzione della decisione (di recupero degli aiuti). Nella sentenza 2 febbraio 1989, pronunciata nella causa 94/87, viene precisato che il legittimo affidamento non può essere invocato da uno Stato membro per eludere l' esecuzione di una decisione in materia di aiuti; può essere opposta soltanto l' assoluta impossibilità di esecuzione e, in tal caso, lo Stato membro deve ancora prendere contatto con la Commissione onde ricercare una soluzione a questi problemi (64).

"Impossibilità" del recupero dopo l' alienazione

27. Resta ancora la questione se l' obbligo dell' autorità di recuperare gli importi degli aiuti debba essere integralmente eseguito anche qualora le imprese che hanno fruito degli aiuti siano vendute, eventualmente per stabilimenti o in parti più piccole, e nelle condizioni di vendita non siano previste le conseguenze di un possibile recupero. Questo problema sollevato dal governo italiano va collocato nel suo giusto contesto.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, il recupero degli aiuti illegittimamente concessi, in assenza di specifiche disposizioni di diritto comunitario, deve avvenire principalmente secondo le pertinenti norme di diritto processuale nazionale, sia pure con la riserva che dette disposizioni non debbano essere applicate in modo da rendere praticamente impossibile il recupero disposto in base al diritto comunitario (65). Ai fini del recupero, la Commissione e gli Stati membri debbono cooperare, in base all' art. 5 del Trattato CEE, lealmente, nel totale rispetto delle disposizioni del Trattato - specie quelle relative a misure di aiuti - onde superare le difficoltà che si pongono in proposito e, se necessario, lo Stato membro deve proporre "appropriate modifiche della decisione stessa" (66).

Da questa giurisprudenza emerge chiaramente che spetta allo Stato membro interessato che, del resto, meglio conosce le norme processuali nazionali comunicare alla Commissione come intende procedere a proposito del recupero. E' quindi anche comprensibile che nell' art. 3 della decisione impugnata la Commissione faccia obbligo alla ricorrente di metterla al corrente entro due mesi a decorrere dalla data di notifica delle misure che detta ricorrente ha adottato in esecuzione dell' obbligo di recupero. La questione che in questo procedimento di annullamento viene in considerazione è quella di sapere se la Commissione ha fatto corretto uso dei suoi poteri, imponendo allo Stato membro un obbligo di recupero formulato in termini generici, non specificamente motivato, e rimettendo, per il resto, allo Stato membro la scelta del modo secondo il quale dovrà dare esecuzione al recupero. Nel presente caso, per contro, non viene in considerazione se gli strumenti impiegati dallo Stato membro per il recupero siano o no sufficienti ai fini dell' adempimento dei suoi obblighi di fronte al diritto comunitario. Una simile valutazione trova eventualmente posto nel contesto di una procedura ai sensi dell' art. 169. In un caso siffatto, salva l' ipotesi di assoluta impossibilità di dare corretta esecuzione all' ordine di recupero, la negligenza dello Stato membro risulterà accertata qualora detto Stato non abbia effettuato alcuna comunicazione entro i termini fissati dalla Commissione dei provvedimenti adottati (67) e/oppure qualora emerga che non abbia intrapreso la benché minima iniziativa per il recupero e non abbia fatto alla Commissione la benché minima proposta per superare le difficoltà emerse (68).

Nella causa oggi in esame, come detto, non siamo ancora a questo punto. Nel contesto del procedimento di annullamento importa solo sapere se l' ordine di recupero che la convenuta ha impartito alla ricorrente nella decisione impugnata costituisca un corretto esercizio del potere. Per tutte le menzionate ragioni (v. n. 23, supra) tale questione, a mio avviso, va risolta in senso affermativo: una volta che la Commissione ha accertato che gli aiuti sono incompatibili con l' art. 92, essa può ordinarne il recupero senza una particolare motivazione. Secondo la giurisprudenza della Corte sopra ricordata, spetta dunque allo Stato membro ricercare il modo secondo il quale il recupero può aver luogo nel miglior rispetto delle disposizioni nazionali e nei confronti di chi deve essere esperito il relativo procedimento (69), tenere informata in proposito la Commissione e, eventualmente, proporre rettifiche della decisione. Nella fase del procedimento di annullamento, come affermato dalla Corte nella causa C-142/87 (70), eventuali difficoltà di esecuzione, procedurali o di altra natura non possono, pertanto, esercitare alcuna influenza sulla validità della decisione impugnata. Anche questo mezzo dedotto dalla ricorrente deve dunque essere disatteso.

Conclusione

28. Sulla base di quanto precede suggerisco alla Corte di respingere il ricorso in toto e di porre le spese di causa a carico della ricorrente, sottolineando chiaramente che la ricorrente è ed era tenuta, conformemente all' art. 5 del Trattato, a sperimentare le procedure di diritto nazionale per dare corso al recupero e a concertarsi con la Commissione per quanto riguarda il modo con cui poter superare eventuali difficoltà che si frappongano al recupero.

(*) Lingua originale: l' olandese.

(1) GU 1989, L 16, pag. 52.

(2) V. decisione impugnata, parte I, primo capoverso.

(3) V. decisione impugnata, parte I, secondo e terzo capoverso.

(4) V. decisione impugnata, parte I, terzo e quarto capoverso.

(5) V. decisione impugnata, parte I, sesto capoverso. Va notato che la convenuta nella stessa lettera ha comunicato alla ricorrente che un' altra società controllata dalla Lanerossi operante nel sottosettore dell' abbigliamento maschile, la Lebole SpA, la quale pure aveva fruito di aiuti sotto forma di conguaglio delle perdite, ha dato effettivamente corso a una ristrutturazione concreta e da realizzare a breve scadenza e che perciò l' aiuto concesso era stato preso in considerazione ai fini della deroga contemplata nell' art. 92, n. 3, lett. c) (v. decisione impugnata, parte I, quinto capoverso).

(6) V. decisione impugnata, parte I, sesto capoverso.

(7) V. decisione impugnata, parte I, settimo capoverso.

(8) V. decisione impugnata, parte I, ottavo capoverso.

(9) V. decisione impugnata, parte I, nono capoverso.

(10) V. decisione impugnata, parte I, decimo capoverso.

La ricorrente non è finora riuscita a produrre, su richiesta della Corte, una copia di detta lettera e non ne ha neppure contestato il contenuto, sicché deve considerarsi acquisito quanto affermato in merito dalla Commissione.

(11) V. decisione impugnata, parte II, primo e secondo capoverso.

(12) V. decisione impugnata, parte III, primo capoverso.

(13) V. decisione impugnata, parte III, terzo capoverso.

(14) V. decisione impugnata, parte III, quarto e quinto capoverso.

(15) V. decisione impugnata, parte III, sesto capoverso.

(16) V. decisione impugnata, parte III, ottavo capoverso.

(17) V. decisione impugnata, parte III, nono capoverso.

(18) V. decisione impugnata, parte III, decimo e dodicesimo capoverso.

(19) V. decisione impugnata, parte III, decimo capoverso.

(20) V. decisione impugnata, parte IX, quarto capoverso.

(21) V. decisione impugnata, parte III, sesto e dodicesimo capoverso e parte VII, settimo, decimo, undicesimo e dodicesimo capoverso.

(22) V. causa 290/83, punto 14 della motivazione, Racc. 1985, pag. 439. V. altresì sentenza 7 giugno 1988, Grecia / Commissione, punto 12 della motivazione (causa 57/86, Racc. 1988, pag. 2855).

(23) Sentenza 2 febbraio 1988, Van der Kooy, punti 36 e 37 della motivazione (cause riunite 67/85, 68/85 e 70/85, Racc. 1988, pag. 263).

(24) Art. 12 della legge 10 febbraio 1953, n. 136, che istituisce l' ENI (GURI del 27.3.1953), più volte modificata, tra l' altro, con legge 14 novembre 1967, n. 1153 (GURI n. 310 del 13.12.1967).

(25) Nella causa Meura (sentenza 10 luglio 1986, Belgio / Commissione, causa 234/84, Racc. 1986, pag. 2263) non viene neppure una volta messo in discussione il ruolo svolto dalla società pubblica d' investimento SRIW come canale per aiuti di Stato sotto forma di compartecipazione al capitale.

(26) Art. 7 della citata legge n. 136.

(27) Relazione della commissione parlamentare di esperti sulle partecipazioni statali (nota come "commissione Chiarelli"), punto 19, secondo capoverso, pubblicata sul Foro amministrativo II, 1975, paragrafo 653, pag. 666.

(28) Nel corso della fase scritta del procedimento e durante l' udienza la convenuta ha fatto riferimento alla pubblicazione, nella GURI n. 6 del 9 gennaio 1986, pag. 40, della decisione 28 novembre 1985 del Comitato interministeriale per la programmazione economica. La ricorrente si è opposta alla discussione di detto documento, perché questo non figura menzionato nella decisione impugnata ed è venuto in considerazione solo durante la fase scritta del procedimento. Questo dato non può tuttavia essere negato.

(29) V. la parte IV della decisione impugnata.

(30) Bollettino delle CE 9-1984, pag. 93-94; rinvio alla Quattordicesimo Relazione sulla politica della concorrenza (1984), punto 198.

(31) Sentenza 14 novembre 1984, Intermills, punto 31 della motivazione (causa 323/82, Racc. 1984, pag. 3809).

(32) Sentenza 13 marzo 1985, Leeuwarder Papierwarenfabriek (cause riunite 296/82 e 318/82, Racc. 1985, pag. 809).

(33) Sentenza 10 luglio 1986, Belgio / Commissione (Meura), punti 14-17 della motivazione (causa 234/84, Racc. 1986, pag. 2263).

(34) V. sentenza 21 marzo 1990, Belgio / Commissione, punti 26-30 della motivazione (causa C-142/87, Racc. pag. I-959) e sentenza 14 febbraio 1990, Francia / Commissione, punti 38-41 e 54 della motivazione (causa C-301/87, Racc. pag. I-307).

(35) V. parte II della decisione impugnata.

(36) V. sentenza 10 luglio 1986, Belgio / Commissione, punto 14 della motivazione (causa 234/84, Racc. 1986, pag. 2263).

(37) Regolamento del Consiglio 18 gennaio 1984, n. 219, che istituisce un' azione comunitaria specifica di sviluppo regionale per contribuire ad eliminare gli ostacoli allo sviluppo di nuove attività economiche in talune zone colpite dalla ristrutturazione dell' industria tessile e dell' abbigliamento (GU L 27, pag. 22).

(38) V. decisione impugnata, parte I, settimo capoverso.

(39) Sentenza 17 settembre 1980, Philip Morris Holland BV / Commissione, punti 16-17 e 24 della motivazione (causa 730/79, Racc. 1980, pag. 2671), e sentenza 21 marzo 1990, Belgio / Commissione, punto 56 della motivazione (causa C-142/87, Racc. pag. I-959).

(40) Quarto capoverso della parte VI, terzo trattino della parte VIII, penultimo capoverso della parte VIII; anche secondo capoverso della parte X e ottavo capoverso della parte XI, sotto la forma di pressione economica sulle imprese per dare attuazione a riduzioni di capacità produttiva.

(41) Sentenza 10 luglio 1986, Belgio / Commissione, punto 22 della motivazione (causa 234/84, Racc. 1986, pag. 2263). Rinvio all' ultimo capoverso della parte VIII della decisione impugnata.

(42) Primo capoverso della parte VIII e secondo capoverso della parte VI.

(43) Terzo capoverso della parte VI e undicesimo capoverso della parte VII.

(44) Terzo capoverso della parte VI della decisione impugnata.

(45) Secondo capoverso della parte VI della decisione impugnata.

(46) Decimo capoverso della parte VI della decisione impugnata.

(47) Francia / Commissione, punto 24 della motivazione (causa 259/85, Racc. 1987, pag. 4393).

(48) Sentenza 13 luglio 1988, Francia / Commissione, punto 19 della motivazione (causa 102/87, Racc. 1988, pag. 4067).

(49) In questo senso, v. Diciottesima Relazione sulla politica della concorrenza (1988), punto 164, terzo capoverso.

(50) Nelle sentenze 17 settembre 1980, Philip Morris, punto 11 della motivazione (causa 730/79, Racc. 1980, pag. 2671), e 11 novembre 1987, Francia / Commissione, punto 16 della motivazione (causa 259/85, Racc. 1987, pag. 4393), ripreso nel punto 43 della motivazione della sentenza 21 marzo 1990, Belgio / Commissione (Tubemeuse) (causa C-142/87, Racc. pag. I-959), viene a tal proposito precisato che le suddette dimensioni dell' impresa sovvenzionata o dell' aiuto non escludevano la possibilità di influire sul commercio tra Stati membri. La sentenza SEB, invero, è andata ancora oltre.

(51) Ottavo capoverso della parte I della decisione impugnata sopra evocata nel paragrafo 2. La ricorrente finora non è stata in grado di produrre, su richiesta della Corte, una copia di detto telex e non ne ha neppure contestato il contenuto, sicché deve considerarsi acquisito quanto affermato dalla Commissione.

(52) Racc. pag. I-307.

(53) Sentenza 12 luglio 1973, Commissione / Germania, punto 20 della motivazione (causa 70/72, Racc. 1973, pag. 813).

(54) V. sentenza 21 marzo 1990, Belgio / Commissione, punto 64 della motivazione (causa C-142/87, Racc. pag. I-959) con riferimento alla sentenza 24 febbraio 1987, Deufil (causa 310/85, Racc. 1987, pag. 901).

(55) Sentenza 24 novembre 1987, RSV / Commissione (causa 223/85, Racc. 1987, pag. 4617).

(56) V. ottavo capoverso, parte I, della decisione impugnata.

(57) V. nono capoverso, parte I, della decisione impugnata.

(58) V. decimo capoverso, punto I, della decisione impugnato.

(59) V. allegato III del controricorso della Commissione.

(60) V. settimo capoverso della parte II della decisione impugnata, dove 19 dicembre figura al posto di 14 dicembre.

(61) Nello stesso senso le conclusioni dell' avvocato generale Jacobs nella causa C-301/87, Francia / Commissione, paragrafi 21 e 22 (Racc. 1990, pag. I-307).

(62) V. primo capoverso, parte II, della decisione impugnata.

(63) V. parte III della decisione impugnata.

(64) Sentenza 2 febbraio 1989, Commissione / Repubblica federale di Germania, punto 9 della motivazione (causa 94/87, Racc. 1989, pag. 175), e sentenza 15 gennaio 1986, Commissione / Belgio, punto 16 della motivazione (causa 52/84, Racc. 1986, pag. 89). Nella recente sentenza 20 settembre 1990, Commissione / Germania, punti 17 e 18 della motivazione (causa C-5/89, Racc. pag. I-3437), viene ancora una volta energicamente confermato che uno Stato membro di norma non può avvalersi del legittimo affidamento.

(65) V. sentenza 21 marzo 1990, Belgio / Commissione, punto 61 della motivazione (causa C-142/87, Racc. pag. I-359), nonché sentenza 20 settembre 1990, Commissione / Germania, punto 12 della motivazione (causa C-5/89, già citata). V. pure sentenza 21 settembre 1983 (cause riunite 205/82-215/82, Racc. 1983, pag. 2633).

(66) V. sentenze menzionate nella nota 65, in particolare il punto 16 della sentenza relativa alla causa 52/84.

(67) V. sentenza 15 gennaio 1986, già menzionata nella nota 65, punto 15 della motivazione.

(68) V. sentenza 2 febbraio 1989, già menzionata nella nota 65, punto 10 della motivazione, e le due altre sentenze ivi menzionate.

(69) Come sopra già notato (n. 23) questi è di norma il destinatario finale, cioè l' impresa agevolata. In determinate circostanze possono forse esservi obbligati anche altri soggetti, ad esempio la società madre la quale ha rilevato le attività e le passività dell' impresa nel contesto di una liquidazione, oppure che ha ottenuto altrimenti "plusvalenze" confluite nell' impresa per effetto dell' aiuto. Tale problematica è trattata in un' altra causa pendente dinanzi alla Corte, v. Italia / Commissione (Alfa Romeo) (causa C-305/89).

(70) V. sentenza 21 marzo 1990, già menzionata nelle note 55 e 66, punto 63 della motivazione.

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