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Document 61988CC0202

    Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 13 febbraio 1990.
    Repubblica francese contro Commissione delle Comunità europee.
    Concorrenza nei mercati di terminali di telecomunicazione.
    Causa C-202/88.

    Raccolta della Giurisprudenza 1991 I-01223

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1990:64

    61988C0202

    Conclusioni dell'avvocato generale Tesauro del 13 febbraio 1990. - REPUBBLICA FRANCESE CONTRO COMMISSIONE DELLE COMUNITA EUROPEE. - CONCORRENZA SUI MERCATI DI TERMINALI DI TELECOMUNICAZIONI. - CAUSA C-202/88.

    raccolta della giurisprudenza 1991 pagina I-01223
    edizione speciale svedese pagina I-00097
    edizione speciale finlandese pagina I-00109


    Conclusioni dell avvocato generale


    ++++

    Signor Presidente,

    Signori Giudici,

    1. Il presente ricorso investe l' ormai nota direttiva della Commissione 16 maggio 1988, 88/301/CEE (1), relativa alla concorrenza nel mercato degli apparecchi terminali di telecomunicazione, la cui base giuridica è l' art. 90, n. 3, del Trattato CEE. Si tratta della seconda applicazione data dalla Commissione alla disposizione in parola al fine di adottare una direttiva, dopo quella, altrettanto nota, della c.d. direttiva "trasparenza", che ha poi condotto alla vostra sentenza del 6 luglio 1982, Francia, Italia e Regno Unito/Commissione (2). E che il ricorso all' art. 90, n. 3, del Trattato sia tutt' altro che pacificamente accettato dagli Stati membri si rileva non solo dall' adesione di ben quattro governi (belga, greco, italiano e tedesco) alla posizione dello Stato membro ricorrente, ma anche dall' opposizione - sottolineata a più riprese dalla stampa - degli Stati e del Consiglio ad un' ulteriore direttiva in materia di telecomunicazioni, che riguarda in particolare i servizi, emanata dalla Commissione a distanza di qualche mese da quella che ci occupa e non ancora notificata.

    E' evidente che la presente controversia offre alla nostra Corte l' occasione di apprezzare e risolvere un problema di diritto di sicuro rilievo, anche istituzionale, sulla portata degli obblighi incombenti agli Stati membri quanto all' esistenza e al modo di operare di imprese pubbliche o concessionarie di diritti esclusivi o speciali, nella specie nel settore dei terminali di telecomunicazione; e soprattutto sulla definizione delle competenze della Commissione (e implicitamente anche delle altre istituzioni) rispetto agli interventi pubblici nell' economia degli Stati membri. In sostanza, si chiede alla Corte una lettura dell' art. 90, in particolare dei nn. 1 e 3, che consenta di superarne la chiara ... oscurità.

    L' oggetto della controversia

    2. Sia dalla fase scritta, sia e soprattutto in udienza, è risultato che la preoccupazione principale degli Stati che contestano la direttiva non ha tanto ad oggetto il contenuto materiale dell' atto impugnato, quanto in realtà la competenza della Commissione a disciplinare tale fattispecie in base all' art. 90, n. 3, ed altresì le modalità del suo esercizio. Ciò non significa evidentemente che tutti gli Stati siano d' accordo con la Commissione nel riconoscere che il mantenimento dei diritti esclusivi o speciali attribuiti agli organismi operanti nel settore delle telecomunicazioni nei rispettivi ordinamenti è in contrasto con il Trattato; ma soltanto che, chi più apertamente, chi in maniera più circospetta, ognuno di essi ha lasciato intendere che l' istanza di liberalizzazione del mercato dei terminali di telecomunicazione che è alla base dell' azione della Commissione non lo lascia indifferente. Tuttavia, quanto alle modalità, alla procedura e alla base giuridica utilizzate dalla Commissione, tutti gli Stati - ricorrente e intervenienti - sembrano echeggiare il dantesco: "... il modo ancor m' offende ...".

    3. Vediamo quindi e la sostanza e il "modo". Per quanto la relazione d' udienza esponga esaurientemente i fatti, il quadro normativo e gli argomenti delle parti, non mi sembra superfluo riassumere brevemente la causa del contendere.

    4. Punto di partenza dell' azione della Commissione è la constatazione che, grazie allo sviluppo tecnologico ed in particolare agli effetti che l' informatica ha esercitato nel settore delle telecomunicazioni, la situazione attuale nel mercato in oggetto è insoddisfacente. Per consentire la realizzazione del grande mercato interno appare quindi necessario progredire verso una forma di più estesa liberalizzazione, in particolare per quanto concerne i terminali di accesso alla rete di telecomunicazioni. In altri termini, se la Commissione sembra - almeno per ora - riconoscere l' ineluttabilità della persistenza di strutture monopolistiche a carattere pubblico nel settore delle reti di telecomunicazione, essa considera che gli eventuali diritti speciali o esclusivi attribuiti dagli Stati alle imprese concessionarie per quanto riguarda l' importazione, la commercializzazione, l' allacciamento, l' installazione e la manutenzione dei terminali di telecomunicazione non sono più accettabili. Il nucleo centrale della direttiva impugnata consiste quindi proprio nell' imposizione fatta agli Stati membri, all' art. 2, di sopprimere tali diritti e di comunicare alla Commissione le misure adottate ed i progetti presentati a tal fine.

    Oltre all' art. 2, costituiscono oggetto di impugnazione da parte del governo ricorrente gli artt. 6, 7 e 9 della direttiva. L' art. 6: in quanto prevede la separazione delle funzioni di regolamentazione tecnica e di commercializzazione di beni e/o servizi. L' art. 7: in quanto prevede che gli Stati membri hanno l' obbligo di adottare le norme necessarie per rendere possibile la risoluzione, con preavviso massimo di un anno, dei contratti d' affitto o di manutenzione di apparecchi terminali che alla data della loro stipula erano oggetto di diritti esclusivi o speciali concessi a determinate imprese. L' art. 9: in quanto prevede l' obbligo di trasmettere ogni anno una relazione che consenta alla Commissione di constatare che le disposizioni della diretiva sono state rispettate.

    Per quanto concerne invece gli altri articoli, che sono considerati come dissociabili da quelli impugnati, il governo francese ritiene che essi potrebbero essere mantenuti, in quanto, a suo avviso, non sono riscontrabili nei loro confronti gli stessi vizi inerenti agli articoli contestati.

    Le tesi a confronto

    5. I mezzi sollevati dal governo ricorrente, e ripresi dai governi intervenuti, consistono nell' incompetenza della Commissione, nella violazione delle forme sostanziali che si concretizzerebbe in un' insufficienza di motivazione, nella violazione del principio generale di proporzionalità ed infine nello sviamento di procedura.

    6. Va posto bene in rilievo, tuttavia, che, quale che sia l' articolazione e la qualificazione dei motivi, il problema centrale sottoposto all' esame della Corte risulta quello della competenza della Commissione. Proprio per questo è bene chiarire sin d' ora che la lamentata incompetenza viene riferita a profili distinti.

    In una prima configurazione, il vizio d' incompetenza viene più specificamente ad assumere anzitutto i contorni della falsa applicazione di una norma sostanziale e precisamente dell' art. 90, n. 1. Ciò che essenzialmente si contesta è che la Commissione, con l' atto impugnato, abbia dichiarato l' illegittimità (e di conseguenza chiesto la soppressione) dei diritti speciali ed esclusivi, allorché la legalità di questi ultimi è postulata dall' art. 90, n. 1. L' istituzione avrebbe, in altri termini, compiuto una falsa applicazione di tale norma, nella misura in cui avrebbe identificato la concessione dei diritti speciali ed esclusivi - che risulterebbe lecita anche alla stregua dell' art. 37 - con l' adozione di misure contrarie alle norme del Trattato, comportamento, questo sì, vietato dall' art. 90, n. 1. Pertanto, l' apprezzamento che la Commissione avrebbe potuto (e dovuto) svolgere, se avesse voluto mantenersi nei limiti materiali sanciti dalla norma, avrebbe dovuto riguardare esclusivamente l' esercizio dei diritti in parola, onde verificarne la compatibilità con le altre norme sostanziali del Trattato.

    A ben vedere, poi, a questa fondamentale questione di principio si ricollega il motivo della violazione del principio di proporzionalità, per aver la Commissione utilizzato un mezzo - l' abolizione dei diritti - palesemente sproporzionato rispetto al fine di contenerne l' esercizio nei limiti stabiliti dal Trattato.

    Inoltre, anche ad ammettersi che la Commissione non abbia superato i limiti materiali dell' art. 90, n. 1, essa avrebbe in ogni caso superato i limiti posti dall' art. 90, n. 3, che non consentirebbero l' adozione di una direttiva in funzione di "repressione" di un' infrazione in alternativa alla procedura ex art. 169: di qui anche il vizio di sviamento di procedura.

    Infine, la Commissione avrebbe esercitato male anche il contestato potere repressivo, atteso che nessuna puntuale indicazione sarebbe stata fornita circa le ragioni per cui i diritti in parola avrebbero dato luogo a situazioni discriminatorie o comunque incompatibili con le norme sulla concorrenza ed il mercato comune: e dunque sussisterebbe anche il vizio di difetto di motivazione.

    7. Ma il ricorso della Repubblica francese così come le osservazioni degli altri Stati intervenienti non si limitano a questa problematica. L' incompetenza della Commissione viene infatti lamentata anche sotto un altro profilo, e questa volta è da intendersi come incompetenza in senso proprio. La Commissione, violando il principio delle competenze di attribuzione di cui all' art. 4 del Trattato, avrebbe eluso la difficoltà e l' obbligo di accertare caso per caso se nei vari Stati membri esistessero discriminazioni nei confronti delle apparecchiature terminali importate, adottando un atto generale di natura normativa il cui scopo sarebbe in sostanza di regolamentare tutto un settore dell' economia. Ora, un tale atto si collocherebbe evidentemente al di fuori della sfera dei poteri (il potere-dovere di vigilanza) che l' art. 90, n. 3, le riconosce ed avrebbe al più potuto formare oggetto di una proposta al Consiglio sulla base dell' art. 100 A.

    8. La Commissione contesta naturalmente l' incompetenza allegata dalla ricorrente sotto i due aspetti precedentemente messi in rilievo.

    In primo luogo, la convenuta nega che l' art. 90, n. 1, presupponga il mantenimento di tutti i diritti speciali o esclusivi. Esisterebbero in certi casi dei diritti la cui stessa esistenza è inscindibile dal loro esercizio ed il solo modo per evitarne l' illegittimo esercizio sarebbe l' abolizione del diritto stesso. In secondo luogo, la Commissione, dopo aver ribadito che l' atto incriminato non è una semplice decisione mirante a porre fine a misure contrarie al Trattato, ma una "direttiva che prende in considerazione la struttura globale dei mercati dei terminali di telecomunicazione nei vari Stati membri e definisce, sulla base di un approccio globale e di un' analisi particolareggiata delle situazioni negli Stati membri, i mezzi da adottare perché gli Stati membri possano conformarsi alle regole del Trattato che sono loro applicabili" - in tal senso si è espresso anche in udienza l' agente della Commissione -, sostiene che la direttiva de qua non costituirebbe l' esercizio di un potere di regolamentazione che travalica i limiti della vigilanza o della sorveglianza, né, tanto meno, rappresenterebbe la disciplina di un intero settore dell' economia. La realtà sarebbe molto più semplice: si tratterebbe da un lato di rimediare a delle infrazioni esistenti, dall' altro di prevenire delle infrazioni future, l' una e l' altra finalità rientrando a pieno titolo nella competenza attribuita alla Commissione dall' art. 90, n. 3, del Trattato.

    La Commissione refuta inoltre l' argomento secondo cui l' obiettivo che essa ha inteso realizzare con la direttiva controversa ex art. 90, n. 3, avrebbe dovuto costituire l' oggetto di una direttiva del Consiglio ex art. 100 A. L' ambito d' applicazione delle due disposizioni sarebbe diverso. L' art. 100 A avrebbe infatti per obiettivo di eliminare gli ostacoli che risultano dall' esistenza di legislazioni o regolamentazione nazionali, mentre l' art. 90, n. 3, attribuirebbe alla Commissione un dovere di sorveglianza sul rispetto da parte degli Stati membri degli obblighi imposti loro dall' art. 90, n. 1, con il conseguente potere di adottare le decisioni e le direttive all' uopo necessarie.

    Rilievi generali

    9. Prima di prendere posizione sulle tesi a confronto, vorrei premettere talune considerazioni.

    a) Sull' art. 90

    10. In primo luogo, rilevo che la giurisprudenza della Corte, se di certo offre più spunti interessanti, non consente di risolvere tutti i problemi che oggi ci occupano. E' ben vero che la sentenza sulla direttiva "trasparenza", in particolare, nonché la più recente sentenza 30 giugno 1988, Commissione / Grecia (3), hanno chiarito in parte la portata del potere della Commissione ex art. 90, n. 3, del Trattato, nella misura in cui hanno confermato che "le direttive e le decisioni contemplate da detta disposizione del Trattato appartengono alla categoria generale delle direttive e delle decisioni contemplate dall' art. 189" (punto 11 della motivazione, sentenza pronunciata nella causa 226/87).

    Tuttavia, mentre il quesito sulla legittimità dell' esercizio del potere ex art. 90, n. 3, in funzione "repressiva" è rimasto irrisolto nella sentenza Commissione / Grecia, il vivace dibattito rivelato dalla presente controversia è significativo dell' incertezza che ancora sussiste quanto alla natura ed ai limiti del potere della Commissione ex art. 90, n. 3, sia tra gli Stati membri che tra le istituzioni.

    11. Sotto un più generale profilo, osservo poi che la chiara oscurità dell' art. 90, cui si è dianzi fatto cenno (così come l' oscura chiarezza attribuita da tempo e autorevolmente all' art. 37, entrambe le disposizioni accomunate dalla stessa origine e collocazione nell' art. 28 del progetto di Trattato), non è certamente dovuta al caso o ad una improvvisa difficoltà di penna, bensì all' oggettiva difficoltà di conciliare l' idea stessa di un monopolio o di un' impresa beneficiaria di diritti esclusivi con un regime di libera concorrenza e di mercato comune.

    Tale difficoltà risale a mio avviso alla contraddizione di fondo dell' intero disegno comunitario così come consegnato nel Trattato, tra la previsione puntuale di un mercato comune e di un regime di libera concorrenza, da un lato, e il mantenimento delle scelte di politica economica in capo agli Stati membri, salvo coordinamento, dall' altro. La contraddizione in parola ha prodotto in termini formali gli artt. 222, 37 e 90, per quanto qui specificamente rileva, ma anche, passando ad altro, ad esempio la maggior "cautela" delle norme sulla libera circolazione dei capitali rispetto alle altre libertà o anche le particolarità e i ritardi consentiti nel settore delle banche e delle assicurazioni. In termini sostanziali, poi, il disegno liberalizzatore del Trattato, quanto più investe da vicino le scelte lasciate all' autonomia ed alla responsabilità degli Stati membri, tanto più non può farlo se non "nella misura" che si riveli indispensabile alla sua realizzazione. In proposito, mi sia consentito di accomunare nella stessa evidenziata dimensione logica l' espressione "nella misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune", che definisce e limita nell' art. 67 il dovere degli Stati membri di sopprimere le restrizioni ai movimenti di capitali, la prudenza dell' art. 90, n. 2, che sottopone le imprese incaricate della gestione di servizi d' interesse economico generale alla disciplina del Trattato "nei limiti in cui l' applicazione di tali norme non osti all' adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata", e l' affermazione della Corte, nella sentenza sulla direttiva "trasparenza", che la competenza attribuita alla Commissione dall' art. 90, n. 3, "si limita alle direttive e alle decisioni che sono necessarie all' assolvimento, in una maniera efficace, del dovere di sorveglianza imposto dallo stesso paragrafo" (punto 13 della motivazione sentenza citata).

    b) Due chiavi di lettura della direttiva

    12. In secondo luogo, emerge con sufficiente chiarezza dal dibattito sviluppatosi tra le parti, cui hanno fatto eco - peraltro al di fuori della presente procedura - alcune prese di posizione di altre istituzioni comunitarie, che l' apprezzamento della controversia si colloca su due livelli distinti, in quanto la direttiva impugnata può essere - ed in fatto è stata - interpretata e valutata secondo due diverse chiavi di lettura.

    13. Con la prima, si ha di fronte una direttiva che in sostanza dichiara l' incompatibilità con il Trattato (in particolare con gli artt. 37, 59 e 86) di un regime di diritti esclusivi in vigore nella maggior parte degli Stati membri nel settore dei terminali di telecomunicazione e ne impone l' abolizione all' insieme degli Stati membri, oltre a prescrivere misure accessorie e conseguenziali. In tale ottica, la contestata competenza della Commissione appare esercitata attraverso un (normale) controllo di legittimità del comportamento degli Stati membri rispetto alla disciplina del mercato comune (merci e servizi) e della concorrenza. La stessa Commissione ha rivendicato, nella fase contenziosa, sostanzialmente in questi termini la propria competenza, anche se non mancano alcune affermazioni di segno diverso in risposta a precise deduzioni dello Stato ricorrente e di quelli intervenuti nel giudizio.

    14. Con la seconda chiave di lettura, viceversa, ci troviamo di fronte ad una direttiva che rivela l' esercizio di un potere normativo in senso proprio e diciamo pure ampio, nella misura in cui la Commissione, sul presupposto di una definizione degli obblighi incombenti agli Stati membri in virtù degli artt. 30, 37, 59 e 86 del Trattato, ha inteso disciplinare il settore dei terminali di telecomunicazione in modo diverso rispetto ad un certo modello, presente nella maggior parte degli Stati membri in ordine ad alcuni o a tutti gli apparecchi terminali in discorso. In tale ottica, l' atto non è più collocabile su di un piano di stretto controllo di legittimità, ma si pone sostanzialmente come scelta di opportunità, tipica dell' esercizio di un potere normativo in senso proprio e che beninteso non esclude sia dettata anche dall' esigenza di "reprimere" e/o "prevenire" eventuali violazioni del Trattato. E' questa, invero, la prospettiva che emerge anche dall' indicazione alternativa dell' art. 1OO A come legittima base giuridica di un atto avente le finalità della direttiva litigiosa, avanzata sia dallo Stato ricorrente che da quelli intervenuti nel giudizio (in particolare il governo belga), nonché - in altra sede - dal Parlamento europeo (4) e dal Consiglio (5); ma che in fatto si può rilevare anche nel taglio stesso della direttiva ed in particolare della sua motivazione, nonché nella circostanza che la Commissione ne aveva preannunciato l' adozione come momento rilevante di una serie di iniziative di tipo legislativo dirette a "sviluppare" il mercato dei terminali e dei servizi di telecomunicazione (6).

    15. Tanto premesso in via generale, le valutazioni che seguono investiranno in successione (rispettivamente i punti da 16 a 41 e da 42 a 55) entrambe le ipotesi da ultimo evidenziate, poiché ritengo che la Corte non possa evitare di fornire quella risposta completa ai quesiti che le parti reclamano e che nella specie s' impone.

    Sulla falsa applicazione dell' art. 90, n. 1

    16. Occorre anzitutto verificare se una direttiva che impone agli Stati membri l' abolizione del regime di diritti esclusivi nel settore dei terminali di telecomunicazione, perché in contrasto con determinate disposizioni del Trattato, sia in armonia con i limiti di sostanza e di procedura sanciti dall' art. 90.

    17. Considerato che il potere della Commissione ex art. 90, n. 3, è limitato nel suo oggetto dall' art. 90, n. 1, ritengo che in primo luogo occorra rispondere al quesito se la semplice esistenza di un regime di diritti esclusivi a favore di determinate imprese possa farsi rientrare tra le "misure" contrarie al Trattato che agli Stati è precluso di "emanare" e "mantenere" e sulle quali il potere di vigilanza si esercita. Come si è rilevato, infatti, lo Stato ricorrente sostiene che l' abolizione di un monopolio o di un regime di diritti esclusivi non sarebbe previsto, indipendentemente dal merito, da alcuna norma del Trattato; al contrario, in particolare l' art. 90 si fonderebbe proprio sul presupposto della legittimità della loro esistenza.

    18. Sul punto, la Corte ha avuto più occasioni di pronunciarsi, tanto che le parti non hanno mancato d' invocare alcune sentenze significative. Nel caso Manghera (7), ad esempio, la Corte, dopo aver rilevato, quanto all' art. 37, che "pur senza esigere l' abolizione di tali monopoli, il predetto articolo ne impone un riordinamento che assicuri, alla scadenza del periodo transitorio, la completa soppressione delle discriminazioni in oggetto" (punto 5 della motivazione ), ha infine affermato che "l' art. 37, n. 1, del Trattato CEE va allora interpretato nel senso che, non più tardi del 31 dicembre 1969, ogni monopolio a carattere commerciale avrebbe dovuto essere riordinato in modo tale da abolire il diritto esclusivo di importazione dagli altri Stati membri" (punto 13 della motivazione).

    19. Il principio enunciato dalla Corte nel caso Manghera sembra dunque andare nella direzione voluta dalla Commissione. Tuttavia, mentre non va trascurato che in quella fattispecie - a differenza di quella in esame - il beneficiario del diritto esclusivo d' importazione era anche produttore, sì che la discriminazione nei confronti di altri operatori comunitari ben poteva presumersi, va altresì rilevato che la ricordata pronuncia è limitata al diritto esclusivo d' importazione e non è detto che le statuizioni ivi contenute valgano allo stesso modo per gli altri diritti esclusivi o speciali. Non manca di significato al riguardo la precisazione contenuta nella citata sentenza, secondo cui l' art. 37 non esige l' abolizione dei monopoli commerciali, che vengono considerati legittimi, ma solo l' eliminazione delle discriminazioni, queste ultime risultanti, nella fattispecie, dalla mera esistenza di un diritto esclusivo d' importazione (punti 10-13 della motivazione).

    20. In altre occasioni, esprimendosi in termini più generali, la Corte ha affermato che "l' art. 90, n. 1, non vieta agli Stati membri di attribuire a determinate imprese diritti speciali e esclusivi ((...)). Tuttavia, nell' adempimento dei loro compiti, questi enti restano soggetti al divieto di effettuare discriminazioni, e ad essi si applicano le disposizioni richiamate dall' art. 90 per le imprese pubbliche e le imprese cui gli Stati riconoscono diritti speciali o esclusivi. L' interpretazione del combinato disposto degli artt. 86 e 90 porta a concludere che l' esistenza di un monopolio a favore di un' impresa cui uno Stato membro abbia conferito determinati diritti esclusivi non è di per sé incompatibile con l' art. 86. Lo stesso deve dirsi, perciò, dell' estensione dei diritti esclusivi, conseguente ad un nuovo intervento di detto Stato" (8) (punto 14 della motivazione). E la Corte ha lasciato al giudice nazionale di accertare di volta in volta la compatibilità di singoli comportamenti con le norme materiali del Trattato.

    21. Nel caso Hansen (9), la Corte ha ribadito che "l' art. 37 non impone l' abolizione totale dei monopoli nazionali di carattere commerciale, ma solo il loro riordinamento, in modo che venga esclusa, per quanto riguarda le condizioni relative all' approvvigionamento e allo smercio, qualsiasi discriminazione tra i cittadini degli Stati membri", e, significativamente, che "l' art. 37 continua ad applicarsi tutte le volte che, anche dopo il riordinamento prescritto dal Trattato, l' esercizio da parte di un monopolio pubblico dei suoi diritti di esclusiva comporti una discriminazione o una restrizione vietata da tale articolo;" (punto 8 della motivazione).

    22. Ora, fondandosi in particolare sulla ricordata affermazione della Corte nel caso Manghera, secondo cui ogni monopolio commerciale doveva essere riordinato in modo da abolire il diritto esclusivo d' importazione dagli altri Stati membri, la Commissione perviene alla conclusione che il fatto stesso di mantenere, a beneficio delle imprese titolari di diritti esclusivi quanto alla rete di telecomunicazioni, un diritto esclusivo d' importazione, commercializzazione, allacciamento, messa in funzione e assistenza quanto ai terminali costituisce una misura ai sensi dell' art. 90, n. 1, e che l' esistenza stessa di tali diritti esaurisce l' infrazione, atteso che è proprio dal diritto esclusivo in sé che nasce la discriminazione e l' abuso (v. in particolare la controreplica, pag. 11).

    Non mi sembra di poter condividere tale posizione, in quanto costituisce un' interpretazione arbitraria del principio enunciato dalla Corte nel caso Manghera, nella misura in cui estende la portata della pronuncia al regime di diritti esclusivi nel suo insieme, non importa se riferiti a merci o servizi e comunque non solo al diritto d' importazione; e trascura altresì di considerare le ulteriori precisazioni al riguardo fornite dalla stessa sentenza Manghera e dalla giurisprudenza successiva, da noi ricordata, da cui emerge con sufficiente chiarezza un orientamento complessivo di segno diverso da quello indicato dalla Commissione.

    23. Invero, al di là delle enunciazioni legate alle singole fattispecie, ritengo che dalla ricordata giurisprudenza della Corte emerga un orientamento di fondo inequivocabile e coerente. Da un lato, si rileva l' esigenza di dare un senso alla formulazione dell' art. 37 e dell' art. 90, n. 1: non può sfuggire l' insistenza (anche nella sentenza Manghera, punto 5 della motivazione) nell' escludere che un monopolio commerciale o un regime di diritti esclusivi sia di per sé contrario al Trattato (artt. 37 e 86) e che dunque ne sia imposta l' abolizione in quanto tali. D' altro lato, si rileva anche l' esigenza di verificare in concreto - ma senza limiti né pregiudiziali - la compatibilità dei regimi nazionali con il Trattato e di demandare all' occorrenza tale verifica al giudice nazionale (10). Ad esempio, nella sentenza 7 giugno 1983, Commissione / Italia (11), la Corte, dopo aver ribadito, richiamando la sentenza Manghera, che l' art. 37 "non impone l' abolizione assoluta dei monopoli nazionali" (punto 11 della motivazione), ha aggiunto che "trattandosi di una normativa da applicare indifferentemente ai prodotti nazionali ed a quelli importati, va quindi considerato se la normativa di causa sia cionondimeno atta ad avere effetti discriminatori, a falsare la concorrenza riducendo le importazioni di tabacchi lavorati e ad ostacolare in tal modo il commercio intracomunitario" (punto 12 della motivazione).

    24. Più in generale, la circostanza che un monopolio o un regime di diritti esclusivi o speciali possa non essere in perfetta sintonia con un sistema fondato sulla libera concorrenza è fin troppo palese; ma per ciò stesso è una circostanza che il costituente comunitario non poteva non avere ben presente.

    E' dunque chiaro che il Trattato, se si vuole per coerenza con l' art. 222 e con il disegno comunitario complessivo, ha inteso "tollerare", considerandoli "in sé" legittimi, i monopoli ed i regimi di diritti esclusivi o speciali, attribuendo tuttavia alla Commissione il compito di fare in modo che si pervenga comunque al necessario rispetto della disciplina relativa al mercato comune di merci e servizi e della libera concorrenza e fatta salva l' eventuale deroga di cui all' art. 90, n. 2.

    In tal modo si spiega la formulazione apparentemente oscura, ma opportunamente equilibrata, sia dell' art. 37 che dell' art. 90, n. 1, ed, in particolare, il "riordinamento" dei monopoli commerciali voluto dall' art. 37, attraverso lo strumento di impulso della raccomandazione, ed i poteri di vigilanza conferiti alla Commissione dall' art. 90, n. 3, nonché, "ove occorre", la possibilità di utilizzare gli strumenti in ipotesi più incisivi della direttiva e della decisione, sempre al fine di meglio esercitare il proprio dovere di vigilanza.

    25. In astratto, pertanto, mi sembra che la mera esistenza di un monopolio o di un regime di diritti esclusivi non sia "di per sé" contraria al Trattato. Ma questa risposta è appunto astratta.

    26. In concreto, l' esame della singola fattispecie può suggerire una risposta diversa. La sostanza reale dell' art. 90, letto in trasparenza e con l' ausilio della giurisprudenza della Corte, è che esso mira ad impedire che gli Stati, liberi di operare una scelta sociale di politica economica e di istituire o mantenere un regime di monopolio o di diritti esclusivi in questo o quel settore, siano poi altrettanto liberi di farlo sottraendo completamente l' impresa pubblica o concessionaria di diritti esclusivi alle regole del gioco, in particolare quanto al mercato comune di merci e servizi ed alla libera concorrenza. E ciò al pari dell' art. 37 che, secondo la Corte, "mira a garantire l' osservanza del principio fondamentale della libera circolazione delle merci in tutto il mercato comune ed a mantenere in tal modo normali condizioni di concorrenza fra le economie dei vari Stati membri qualora, nell' uno o nell' altro di detti Stati, un determinato prodotto sia soggetto ad un monopolio nazionale di carattere commerciale" (sentenza Commissione / Italia, citata, punto 11 della motivazione).

    27. Se ciò è vero, allora non si può del tutto escludere, invocando la lettera dell' art. 90 e dell' art. 37, che già nella creazione della situazione giuridica, già nell' attribuzione di diritti speciali o esclusivi si riscontri una violazione del Trattato e dunque si rientri nel divieto di cui all' art. 90, n. 1. Anzi, proprio in questa ipotesi non sarà necessario che lo Stato adotti altre "misure" perché si manifesti una contrarietà al Trattato e si versi dunque nel campo di applicazione dell' art. 90, n. 1 (e per ciò stesso dell' art. 90, n. 3). Né la Corte si è finora pronunciata espressamente sul quesito se l' art. 37 o l' art. 90 comportino l' eliminazione delle discriminazioni c.d. potenziali, cioè della mera possibilità di discriminazioni risultanti dall' esistenza di diritti esclusivi, nonostante abbia avuto più sollecitazioni in questo senso (v. le conclusioni dell' avvocato generale Warner nel caso Manghera e la stessa domanda pregiudiziale del giudice nazionale).

    28. In definitiva, ritengo che nella previsione della disposizione che ci occupa possa farsi rientrare anche l' ipotesi, per usare l' espressione ricorrente in questa procedura, di contrarietà "di per sé" del monopolio o del regime di diritti esclusivi o speciali.

    Tuttavia, sono altrettanto convinto, soprattutto alla stregua della ricordata giurisprudenza della Corte, ivi compresa la sentenza Manghera, che alla conclusione della contrarietà al Trattato della semplice concessione di diritti esclusivi non si possa pervenire che attraverso una puntuale verifica del modo di essere e di operare, delle finalità e delle implicazioni dell' introduzione o del mantenimento della situazione giuridica che interessa rispetto al mercato comune di merci e servizi e alla libera concorrenza. La risposta deve darsi in concreto, insomma, e non può essere data in astratto.

    29. Aggiungo che alla diretta e trasparente relazione tra l' art. 90 e l' art. 222 del Trattato, senza scomodare la filosofia stessa cui si ispira il Trattato e cui prima si accennava, consegue con chiarezza l' esistenza almeno di una forte presunzione di legittimità a favore dell' impresa pubblica o beneficiaria di diritti esclusivi come tale. Questa, invero, mi sembra una chiave di lettura utile e ragionevole dell' art. 90, n. 1, rispettosa e dell' art. 222 e delle norme poste a tutela del mercato comune e della concorrenza. Fermarsi alla sola lettera dell' art. 90, per ricavarne in astratto l' impossibilità assoluta e radicale che tra le ipotesi di contrarietà al Trattato rientri anche la sola esistenza di un regime di diritti esclusivi, come sostenuto dal governo francese, mi sembra francamente una prospettiva parziale e in parte riduttiva dell' "effetto utile" dell' art. 90. Del pari sarebbe errato discostarsi totalmente dalla formulazione non certo casuale dell' art. 90, nonché trascurare il suo collegamento con l' art. 222 e negare che l' esistenza o l' introduzione di una situazione del tipo che ci occupa sia assistita almeno in principio da una presunzione di legittimità.

    In questi limiti, l' argomento dello Stato ricorrente va dunque disatteso.

    Sullo sviamento di procedura

    30. Il successivo (e subordinato) quesito posto dalla presente controversia, e sotto un certo profilo collegato a quello appena considerato, è se la Commissione abbia il potere, in virtù dell' art. 90, n. 3, in particolare con lo strumento della direttiva, di dichiarare che l' esistenza di un regime di diritti esclusivi costituisce un' infrazione, in luogo di attivare il meccanismo predisposto in via generale dall' art. 169 del Trattato. Come già rilevato, sia lo Stato ricorrente che quelli intervenuti nel giudizio negano che al fine di imporre l' abolizione dei regimi di diritti esclusivi la direttiva ex art. 90, n. 3, costituisca un' alternativa legittima al procedimento ex art. 169; né mancano le prese di posizione in tal senso nella dottrina.

    Il problema, già nei suoi termini astratti, alimenta non poche perplessità; d' altra parte, esso non appare risolto neppure dalla sentenza Commissione / Grecia, atteso che in quella procedura la Corte non doveva stabilire se la Commissione avesse fatto un uso legittimo del potere ex art. 90, n. 3, adottando una decisione "repressiva" di un' infrazione, ma soltanto se tale decisione avesse gli stessi effetti di una decisione ex art. 189.

    31. Com' è noto, il Trattato ha predisposto, per l' ipotesi che uno Stato "abbia mancato ad uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del presente Trattato", un meccanismo generale di repressione, fondato sulla formale contestazione dell' addebito da parte della Commissione e successivamente sul ricorso alla Corte perché riconosca l' esistenza di un' infrazione. All' interno di tale procedimento sussiste in fatto una precisa garanzia di rispetto, già prima della fase contenziosa, del principio del contraddittorio e dei diritti degli Stati in senso ampio, garanzia che non è espressamente prefigurata nell' art. 90, n. 3. Inoltre, se è vero che lo schema logico del procedimento ex art. 169 soffre già alcune eccezioni, risultando sostanzialmente invertito ad esempio nell' art. 93, è anche vero che le deroghe all' art. 169 sono espressamente prefigurate dal Trattato: nell' art. 93, n. 2, ma anche negli artt. 100 A e 225. Né si può trascurare la circostanza che in tema di violazione delle regole di concorrenza è, sì, la Commissione a dichiarare l' infrazione, ma nel rispetto del principio della contestazione degli addebiti e del contraddittorio al riguardo nella fase precontenziosa; così come del resto è previsto nell' art. 93, n. 2.

    Né tale previsione, né una deroga espressa figurano nell' art. 90, n. 3, come ha dovuto riconoscere la stessa Commissione per giustificare l' assenza, nella specie, di un reale contraddittorio preventivo (controricorso, pag. 33).

    32. Mi domando inoltre se un' ulteriore difficoltà non derivi anche dal tipo di atto utilizzato dalla Commissione. Se già non è del tutto pacifico che una decisione ex art. 90, n. 3, possa costituire un' alternativa congrua e legittima alla procedura ex art. 169, ancor meno proprio appare l' uso della direttiva, strumento già per sua natura poco adatto a mettere fine ad un' infrazione, tanto più in quanto, come nella specie, l' atto è rivolto agli Stati membri collettivamente considerati.

    Non appare illuminante la spiegazione fornita al riguardo dalla Commissione, che si è limitata ad affermare di aver preferito la strada dell' art. 90, n. 3, a quella dell' art. 169, in quanto quest' ultima non avrebbe "lo stesso effetto diretto e immediato" della prima (controricorso, pag. 12); e neppure l' assicurazione di avere nella specie svolto preventive consultazioni con gli Stati membri e le altre istituzioni. L' uno e l' altro rilievo non mi sembrano infatti sufficienti per superare la mancanza di un' esplicita deroga all' art. 169 e delle garanzie minime di contraddittorio presenti nei procedimenti di tipo sanzionatorio.

    Ritengo, pertanto, che in linea di principio la Commissione non possa ricorrere allo strumento della direttiva previsto dall' art. 90, n. 3, in funzione "repressiva" e in alternativa all' art. 169.

    Sulla motivazione

    33. D' altra parte, nel presente giudizio l' apprezzamento della Corte può forse più opportunamente concentrarsi sul punto essenziale, inerente alla motivazione dell' atto impugnato, rinviando magari ad occasioni più propizie la soluzione "di principio" del problema. Trattandosi di una procedura d' infrazione, per giunta diretta nella specie a rimuovere una situazione giuridica la legittimità della cui esistenza in sé è presunta dal Trattato, sarebbe stato infatti in ogni caso necessario un accertamento specifico e analitico dell' infrazione stessa da parte della Commissione.

    34. Nel caso di specie questa verifica della Commissione, necessaria in un procedimento che si pretende di tipo "repressivo" e che in ogni caso deve consentire alla Corte il definitivo controllo di legittimità, mi sembra già a prima lettura carente: e ciò riguarda non soltanto gli artt. 2 e 7 della direttiva, necessariamente e strettamente collegati, ma anche l' art. 6, che in ipotesi potrebbe ricevere una valutazione parzialmente autonoma sotto gli altri profili considerati.

    In particolare, rispetto all' art. 30 del Trattato, si considera che il regime di diritti speciali o esclusivi d' importazione e commercializzazione "può portare, e porta sovente, nella pratica, a degli ostacoli alle importazioni" (terzo "considerando"). Rispetto all' art. 37 del Trattato, si considera che i diritti in questione "sono esercitati in modo da sfavorire, in pratica, gli apparecchi provenienti da altri Stati membri, in particolare impedendo agli utenti di scegliere liberamente gli apparecchi di cui hanno bisogno in funzione del prezzo e della qualità, quale che sia la loro provenienza e che l' esercizio di questi diritti è pertanto incompatibile con l' art. 37 in tutti gli Stati membri" (quinto "considerando").

    35. Non mi sembra che affermazioni lapidarie di questo tipo possano costituire una base per l' accertamento di un' infrazione; sicuramente non è così quando, come nella specie, si pretende che l' esistenza stessa del regime di diritti esclusivi esaurisca l' infrazione. Le stesse formule utilizzate (il monopolio che "generalmente" si realizza con l' attribuzione di diritti esclusivi, diritti che "frequentemente" investono i terminali, "possono portare e sovente portano nella pratica" ad ostacolare le importazioni, fino a sfavorirle "in pratica") sono ben poca cosa rispetto all' esigenza di particolare rigore che nella specie s' impone, trattandosi di superare la presunzione di legittimità in sé del regime di diritti speciali o esclusivi che è contenuta nell' art. 90, n. 1 (e così nell' art. 37). In altri termini, ripetiamo, che il monopolio sia suscettibile - frequentemente, in pratica, aut similia - di pregiudicare il buon funzionamento del mercato comune e la libera concorrenza è un fatto che i compilatori del Trattato ben hanno considerato e ciò nonostante hanno tollerato, sì che la direttiva della Commissione, da una parte, non scopre nulla di nuovo; e, dall' altra, abolendo puramente e semplicemente il monopolio o il regime di diritti esclusivi, senza darsi carico di motivare adeguatamente, altera radicalmente il quadro di fondo consegnato nell' art. 90, n. 1.

    La carenza di motivazione è ancor più palese ove si consideri, in primo luogo, la circostanza che in una direttiva rivolta a tutti gli Stati membri e che, a dire della Commissione, mira a reprimere infrazioni, non è nemmeno specificato che tutti gli Stati hanno commesso tali infrazioni, né attraverso quali disposizioni legislative o prassi. Il che era tanto più necessario, in quanto dal tenore dei "considerando" e più ancora dagli atti di causa, ivi comprese le difese della Commissione, si rileva che in alcuni Stati il regime di monopolio o di diritti esclusivi è solo parziale rispetto ai tipi di terminali considerati o addirittura vige un regime di assoluta libertà, come sembra essere il caso, paradossalmente, anche dello Stato ricorrente (v. documento 3 allegato alla memoria della Commissione); mentre in altri tale regime non ostacola affatto gli scambi o non è discriminatorio o è rispettoso delle norme sulla concorrenza (v., ad esempio, le osservazioni del governo italiano, pag. 9, non contestate dalla Commissione). Né, in secondo luogo, appare irrilevante in proposito la circostanza che lo Stato ricorrente abbia contestato la riconducibilità alla libertà di circolazione delle merci dell' insieme dei diritti speciali o esclusivi in causa, almeno alcuni dei c.d. terminali ben potendo rimanere indistinti dalla rete di telecomunicazioni e comunque rientrare più propriamente tra i servizi.

    36. Tutto ciò ci dà la misura anche delle possibilità di controllo offerte alla Corte, i cui parametri di valutazione devono preesistere alla fase contenziosa e non possono essere individuati ex post. Basti pensare che la Corte non è stata messa in grado di conoscere se le pretese infrazioni sono state commesse da tutti o soltanto da alcuni Stati membri, se relativamente a tutti gli apparecchi terminali o solo ad alcuni, e quale sia il modus operandi che specificamente si pretende in contrasto con il Trattato, al di là della mera esistenza di un regime di diritti (non si sa neppure se) esclusivi o speciali.

    37. Né a risultati diversi mi sembra conduca l' altro assunto della direttiva, vale a dire la contrarietà di per sé dei diritti speciali o esclusivi al divieto di abuso di posizione dominante di cui all' art. 86 del Trattato. La Commissione rileva anzitutto (tredicesimo "considerando") che "gli organismi di telecomunicazioni detengono un monopolio individualmente o congiuntamente sulla rete nazionale di telecomunicazioni" e che le reti costituiscono altrettanti mercati; e che da ciò deriva che tali organismi detengono una posizione dominante su una parte sostanziale del mercato. Inoltre, la Commissione rileva che i diritti esclusivi o speciali attribuiti agli organismi in parola hanno per effetto di imporre "la locazione degli apparecchi terminali" (senza precisare quali), laddove l' utente potrebbe trovare più conveniente acquistarli, il che si sostanzia in una imposizione di prestazioni supplementari; nonché di limitare gli sbocchi e il progresso tecnico, ai sensi dell' art. 86, lett. b) e d) (senza specificare sotto quale profilo).

    Come si vede, e senza che sia neppure necessario entrare nei labili meandri del merito delle censure, ancora una volta ci troviamo di fronte ad una chiara petizione di principio, dunque non ad una motivazione analitica quale nella specie, lo ripeto, s' imponeva, ma ad affermazioni tanto lapidarie quanto scontate. Basti solo pensare a quanto si richiede per una decisione della Commissione che contesta un abuso di posizione dominante da parte di un' impresa e quanto analitiche, specifiche e dettagliate siano state le motivazioni che la stessa Commissione ha ritenuto di dover porre a base delle decisioni ex art. 90, n. 3, dirette a reprimere altrettante infrazioni della Grecia (12), della Spagna (13), nonché, più recentemente, dell' Olanda (14).

    38. In definitiva, la direttiva che ci occupa si limita ad enunciare il quid demonstrandum, deducendolo genericamente dalla stessa esistenza di un regime di diritti esclusivi o speciali nell' insieme degli Stati membri nel settore (anch' esso considerato nel suo insieme) degli apparecchi terminali di telecomunicazione. Sottoscrivere tali enunciazioni costituirebbe per la Corte non già il risultato di un apprezzamento di elementi di fatto e di diritto e di un controllo sulla legittimità dell' atto impugnato, bensì un vero e proprio atto di fede: che in ogni caso non ritengo di poter io suggerire alla Corte.

    39. Né può fondatamente opporsi che "In una direttiva, che per sua natura è un atto generale indirizzato a tutti gli Stati membri, non occorre fare un esame circostanziato di tutte le situazioni particolari" (controricorso della Commissione, pag. 27). Ciò può valere in via generale e quando si tratta di una direttiva ... "normale": non quando, come si è finora ipotizzato nella specie, si tratta di un atto con il quale si pretende di constatare un' infrazione al Trattato.

    40. Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, mi sembra di poter trarre una prima conclusione. Se la direttiva della Commissione mirava, così come ha reiteratamente sottolineato nelle difese scritte ed all' udienza orale la stessa Commissione, a dichiarare l' esistenza di violazioni del Trattato in tutti gli Stati membri, e dunque si poneva come esercizio del potere-dovere di sorveglianza inteso nel senso di potere di controllo sulla legittimità dei comportamenti degli Stati, tale direttiva è viziata, anche a voler superare ogni altro problema, almeno sotto il profilo del difetto di motivazione.

    41. Di sicuro, l' onere di motivazione sarebbe stato molto meno rigoroso se, piuttosto che esercitare un controllo sulla legittimità del comportamento di uno o più Stati membri, la Commissione avesse operato una scelta normativa in senso proprio, disciplinando il settore dei terminali di telecomunicazione in un modo piuttosto che in un altro, anche attraverso l' abolizione di regimi di monopolio o di diritti esclusivi, in ipotesi presenti in più Stati membri. In tale ipotesi, infatti, l' individuazione di questa o quella specifica infrazione nel modo di operare o semplicemente di essere di un monopolio o di un regime di diritti esclusivi, in uno o in più o in tutti gli Stati membri, non sarebbe più l' oggetto dell' atto, bensì l' occasione per la sua adozione: ed anche lo strumento della direttiva sarebbe, in definitiva, del tutto appropriato.

    Sull' incompetenza in senso proprio

    42. E' questa la seconda chiave di lettura della direttiva impugnata, cui accennavo all' inizio e che viene palesemente proposta all' apprezzamento della Corte nella misura in cui si nega che la Commissione, indipendentemente dalla contestata esistenza delle pretese infrazioni, avesse il potere di abolire i regimi di diritti esclusivi nell' insieme degli Stati membri ed in tal modo disciplinare il settore dei terminali di telecomunicazione in virtù dei poteri ex art. 90, n. 3, in luogo di attivare un normale meccanismo legislativo (in ipotesi ex art. 100 A); e si contesta alla Commissione, come ha fatto soprattutto il governo belga, di aver operato una scelta di vera e propria politica industriale.

    43. Che questa sia la chiave di lettura giusta per la direttiva che ci occupa non è da escludere. Anzi, non mancano gli indizi che depongono in tal senso: ed anzitutto il taglio e la motivazione della direttiva.

    Una motivazione così palesemente generica e carente rispetto al tipo di atto richiesto per constatare un' infrazione, nonché rispetto agli stessi ricordati precedenti di decisioni adottate in base all' art. 90, n. 3, più che un vizio dell' atto dovuto ad un casuale errore della Commissione, mi sembra infatti costituire la prova di un modo di esercitare il potere ex art. 90, n. 3, diverso da quello sin qui considerato e da quello che appariva dalla direttiva "trasparenza" o dalle altre decisioni ricordate.

    Mi riferisco in particolare a formule del tipo "può portare e sovente porta nella pratica a degli ostacoli alle importazioni dagli Stati membri" o all' altra, secondo cui l' attribuzione di diritti esclusivi o speciali quanto alla gestione della rete e dei servizi di telecomunicazione si estende "frequentemente" anche alla messa a disposizione dei terminali. E mi riferisco altresì al "secondo considerando" dove si rileva che lo sviluppo tecnologico ed economico ha indotto più Stati membri a "rivedere il sistema dei diritti speciali o esclusivi nel settore delle telecomunicazioni"; e che il moltiplicarsi dei diversi tipi di terminali e le molteplici possibilità di utilizzazione rendono necessaria la libera scelta da parte degli utenti: considerazioni che si attagliano più alla scelta di un indirizzo nuovo da imprimere al settore che non alla mera esigenza di porre fine a delle infrazioni, peraltro non specificamente individuate.

    44. Né manca di significato che all' abolizione dei regimi di diritti speciali o esclusivi nel settore dei terminali ha fatto seguito una direttiva adottata negli stessi termini, con lo stesso taglio e analoghe motivazioni, per il settore dei servizi di telecomunicazione; ed il cui art. 2 ha praticamente la stessa formulazione di quello oggetto della presente controversia (15). La circostanza sarebbe almeno singolare ove si trattasse di una mera dichiarazione d' infrazione, come ha giustamente fatto osservare il governo belga nel corso dell' udienza; ma in ogni caso fa piuttosto intravedere una prospettiva generale, a sua volta risultato della tensione liberalizzatrice che ha investito negli ultimi anni le istituzioni comunitarie ed in primis il Consiglio.

    45. A quest' ultimo riguardo, mi sembra utile ricordare la direttiva del Consiglio 24 luglio 1986, 86/361/CEE (16), concernente la prima fase del reciproco riconoscimento dell' omologazione dei terminali, in cui si rileva la necessità di "predisporre un contesto più generale in preparazione della seconda fase, nel corso della quale sarà creato un mercato aperto ed unificato per le apparecchiature terminali di telecomunicazioni, tenendo presente che per le telecomunicazioni tale mercato dovrà comprendere sia la libera circolazione delle apparecchiature sia il libero collegamento delle reti conformemente alle prescrizioni armonizzate" (decimo "considerando").

    46. Altrettanto significativa è una risoluzione del Consiglio del 30 giugno 1988 (17), in cui il Consiglio, su proposta della Commissione e sulla base di considerazioni in gran parte analoghe a quelle poste a base della direttiva oggetto del presente giudizio, invita la stessa Commissione "a proporre, se necessario, le misure per il raggiungimento di tali obiettivi da adottare nei settori prioritari secondo le appropriate procedure comunitarie, in particolare per l' instaurazione del mercato comune dei servizi e delle apparecchiature di telecomunicazione", e ciò dopo aver condiviso pienamente "gli obiettivi del programma d' azione definito nella comunicazione del 9 febbraio 1988 che riguarda la graduale realizzazione, entro il 1992, di un mercato comune delle comunicazioni aperto alla concorrenza, tenuto conto altresì degli artt. 8 A e 8 C del Trattato introdotti dall' Atto unico europeo, nonché il rafforzamento della competitività europea, salvaguardando nel contempo gli scopi di servizio pubblico delle amministrazioni delle telecomunicazioni".

    47. La Commissione, d' altra parte, in base alle stesse trasparenti esigenze di difesa tecnica che l' hanno indotta tendenzialmente a ridurre, nella procedura dinanzi alla Corte, la portata della direttiva alla mera repressione e prevenzione d' infrazioni, non ha potuto evitare alcuni rilievi significativi; ed in particolare che:

    - in una direttiva, che per sua natura è un atto generale indirizzato a tutti gli Stati, non occorre una motivazione circostanziata (controricorso, pag. 27);

    - la scelta della direttiva, ex art. 90, n. 3, in luogo della procedura ex art. 169, è scaturita, sul presupposto che "misure contrarie al trattato erano adottate o mantenute nella maggior parte degli Stati membri" (ma né le misure, né gli Stati membri sono identificati), dall' esigenza (che è però di ordine generale) di "integrare l' insieme degli aspetti del mercato dei terminali di telecomunicazioni in un solo atto coerente, suscettibile di permetterle la continuazione dell' esercizio efficace del dovere di sorveglianza" (controricorso, pag. 30);

    - la Commissione, considerato l' importante sviluppo tecnologico che il settore delle telecomunicazioni ha conosciuto negli ultimi anni ed il numero crescente di doglianze relative ad "eventuali infrazioni" alle regole sulla libera circolazione delle merci e sulla concorrenza, "ha inteso non limitarsi ad azioni puntuali puramente repressive delle infrazioni constatate o presunte, ma al contrario, a seguito di un esame approfondito del mercato e delle osservazioni degli Stati membri precisare le obbligazioni degli Stati membri nei loro rapporti con le imprese di telecomunicazioni alle quali hanno accordato diritti speciali o esclusivi" (controreplica, pag. 10; i corsivi sono miei).

    48. Tale ultimo rilievo della Commissione mi pare ponga nella giusta luce l' ottica in cui l' istituzione si è mossa, che dunque va oltre o addirittura prescinde da quel potere di controllo prefigurato dal Trattato. E ciò al fine di dettare una disciplina generale ed astratta del settore ("precisare le obbligazioni degli Stati membri") che fuoriesce dai limiti dell' art. 90, n. 3, ed è di competenza del Consiglio.

    Inoltre, nel corso dell' udienza, alla precisa domanda se ad un' ipotesi di infrazione all' art. 30 da parte di un organismo pubblico concessionario di un diritto esclusivo la Commissione ritenesse far fronte sia con la procedura ex art. 169 sia con la soppressione dell' organismo pubblico sulla base dell' art. 90, n. 3, l' agente della Commissione ha ben risposto che per dare un effetto utile all' art. 90, n. 3, "occorre superare quello che un semplice ricorso per inadempimento potrebbe avere", senza dunque escludere l' adozione di un atto avente a contenuto la soppressione dell' organismo pubblico concessionario di diritti esclusivi o speciali.

    49. Ciò può collegarsi al nucleo essenziale della posizione della Commissione, secondo cui, lungi dall' aver esercitato un potere di regolamentazione o normativo in senso proprio, essa si sarebbe limitata a rimediare a delle infrazioni esistenti e a prevenire infrazioni future, in armonia con l' esercizio del potere-dovere di vigilanza che il Trattato al riguardo le impone. Ora, anche in una rappresentazione siffatta e che si vuole riduttiva, resta evidentemente da intendersi sulla prevenzione delle infrazioni future, poiché l' apprezzamento è ben diverso a seconda del contenuto e della portata che la Commissione attribuisce all' atto di prevenzione. Di sicuro il risultato di prevenire si consegue in modo soddisfacente e definitivo sopprimendo la situazione giuridica suscettibile di alimentare violazioni del Trattato; ma che questa sia un' attività di semplice prevenzione è assai dubbio, così come non sarei sicuro di trovarmi di fronte ad una prevenzione delle violazioni del divieto a carico degli Stati di introdurre tasse di effetto equivalente ai dazi doganali se si sopprimesse ... il "monopolio" dell' imposizione tributaria in capo agli Stati stessi; o se, per evitare distorsioni di concorrenza tra imprese pubbliche e imprese private, si imponesse la liquidazione delle prime.

    50. L' ipotesi, dunque, che la direttiva impugnata si collochi su un piano diverso da quello della semplice repressione di infrazioni esistenti e della prevenzione di infrazioni future mi sembra del tutto fondata. Del resto, esattamente in tale prospettiva è stata interpretata anche dal Parlamento europeo (v., ad esempio, la risoluzione del 23 novembre 1989 in ordine alla "parallela" direttiva sui servizi di telecomunicazioni, PE 136.784); e addirittura preannunciata ufficialmente dalla stessa Commissione in una comunicazione del 9 febbraio 1988, nel contesto di una serie di iniziative di tipo legislativo (18).

    Ora, al quesito, posto sostanzialmente dallo Stato ricorrente e soprattutto da alcuni dei governi intervenuti, se alla Commissione possa essere riconosciuto un potere normativo che, indipendentemente dall' esistenza o meno di infrazioni, si concretizzi in una diversa disciplina del settore che ci occupa, mi pare sicuro che si debba rispondere negativamente.

    51. In primo luogo, non mi pare si possa prescindere dal principio enunciato a lettere fin troppo chiare dalla Corte nella sentenza sulla direttiva "trasparenza": la competenza attribuita alla Commissione dall' art. 90, n. 3, "si limita alle direttive e alle decisioni che sono necessarie all' assolvimento, in maniera efficace, del dovere di sorveglianza imposto dallo stesso paragrafo" (punto 13); e ciò a differenza delle competenze attribuite al Consiglio, in quanto "l' art. 94 consente al Consiglio di stabilire tutti i regolamenti utili ai fini dell' applicazione degli artt. 92 e 93" (punto 13).

    Dal principio così enunciato si può agevolmente dedurre che la Commissione, a differenza del Consiglio, non ha il potere di adottare tutti gli atti utili ai fini dell' applicazione dell' art. 90, n. 1 (per quanto qui rileva), ma solo quegli atti che si rendano necessari per un più efficace assolvimento del dovere di vigilanza. Il che di sicuro non consente di riconoscere alla Commissione un potere normativo che, sul presupposto della possibilità di infrazioni in un certo settore e a mezzo di un atto indirizzato all' insieme indistinto degli Stati membri, definisca i confini della legittimità dei comportamenti degli Stati stessi e su questa base imponga contestualmente l' abolizione di un monopolio o di un regime di diritti esclusivi. La Corte ha infatti riconosciuto che la Commissione possa adottare direttive e decisioni necessarie all' assolvimento del dovere di vigilanza e non che possa eliminare i presupposti stessi dell' assolvimento di tale dovere.

    52. In proposito, mi sembra utile richiamare le conclusioni dell' avvocato generale Reischl nella causa sulla direttiva "trasparenza", laddove, dopo aver negato che vi sia alternativa tra art. 169 ed art. 90, n. 3, egli rileva che la competenza della Commissione è limitata all' applicazione dell' art. 90, che garantisce l' adozione solo di atti "che si distinguono per il loro carattere tecnico strumentale", mentre quella del Consiglio si estende all' adozione di norme di attuazione dirette ad integrare e concretizzare le norme del Trattato; che tale limitazione è rispettosa dell' equilibrio istituzionale su cui si fonda il Trattato e spiega anche la mancanza di garanzie procedurali proprie di un procedimento normativo, quale il separato diritto d' iniziativa e il parere del Parlamento; e che, anche alla luce dell' art. 222, la Commissione "non gode di una competenza generale ad istituire uno status speciale per le imprese pubbliche" (Racc. 1983, pag. 2584 e seguenti).

    53. In secondo luogo, non va trascurata la collocazione sistematica dell' art. 90, inserito non certo casualmente tra le regole sulla concorrenza applicabili alle imprese e non nella parte istituzionale.

    Il complesso delle regole di concorrenza (dall' art. 85 all' art. 94) è strutturato in modo tale che la facoltà di precisare, eventualmente integrandole, le condizioni di attuazione delle norme del Trattato è riservata al Consiglio, la Commissione ricevendo invece una competenza di sorveglianza e di esecuzione.

    Basta in proposito rilevare che l' art. 87, nn. 1 e 2, attribuisce al Consiglio inter alia il potere di precisare, eventualmente per i settori economici, l' ambito d' applicazione degli artt. 85 e 86 (v., in particolare, il regolamento n. 141 del Consiglio relativo alla non applicazione del regolamento n. 17 del Consiglio al settore dei trasporti; GU del 28 novembre 1962, pag. 2751).

    Analogamente, in materia di aiuti concessi dagli Stati, il potere di decidere che un aiuto dev' essere considerato compatibile con il mercato comune, in deroga alle disposizioni dell' art. 92, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione, spetta al Consiglio.

    L' unica apparente eccezione a questa linea seguita dagli autori del Trattato è rappresentata dal potere che l' ultima frase del n. 2 dell' art. 91 conferisce alla Commissione, in materia di pratiche di dumping (interno), di "stabilire le disposizioni regolamentari opportune ai fini dell' applicazione del presente paragrafo". Ma è un' eccezione soltanto apparente, perché in realtà si tratta di un potere regolamentare di mera applicazione (raccomandazioni della Commissione n. 8 dell' 11 marzo 1960 e n. 21 del 25 marzo 1960).

    54. Infine, è incontestato che il potere di vigilanza ex art. 90, n. 3, si ricolleghi al primo ("vigila sull' applicazione del presente Trattato") e non al terzo ("dispone di un proprio potere di decisione") trattino dell' art. 155. E' certo dunque che il potere di adottare decisioni e direttive non può che essere strettamente funzionale al dovere di vigilanza e non può sconfinare in un atto a contenuto normativo generale, di regolamentazione quanto all' assetto di un certo settore nel senso dell' abolizione di un regime pubblicistico di diritti speciali o esclusivi.

    D' altra parte, il gran numero di prese di posizione e di atti della stessa Commissione ma soprattutto del Consiglio negli ultimi anni in ordine al settore delle telecomunicazioni, e di cui abbiamo ricordato solo alcune espressioni, disegnano nel loro insieme un quadro essenzialmente programmatico, il cui sviluppo naturale e a breve si può fondatamente immaginare consista nella regolamentazione, questa volta precettiva, della materia, dunque con un processo normativo attivato da proposte della Commissione e finalizzato, con il contributo del Parlamento europeo, dal Consiglio. In questo quadro, peraltro privo di contrasti sostanziali quanto al merito della liberalizzazione, la direttiva adottata dalla Commissione in beata solitudine e che "ha inteso, a seguito di un esame approfondito del mercato e delle osservazioni degli Stati membri, precisare le obbligazioni degli Stati membri nei loro rapporti con le imprese di telecomunicazioni" appare un' anticipazione anomala del processo normativo in atto, nella misura in cui le obbligazioni degli Stati membri non erano state ancora definite né "precisate" rispetto alle generali previsioni del Trattato; il che spiega peraltro anche la carenza di motivazione.

    55. Il richiamo all' art. 4 ed al principio di attribuzione dei poteri, nonché all' equilibrio istituzionale, fatto dalla parte ricorrente non è dunque infondato. L' adozione da parte della Commissione di un atto normativo che, pur al fine di prevenire infrazioni, modifica i presupposti stessi della presenza dello Stato in un determinato settore economico, mi sembra alteri gli equilibri istituzionali e non possa dunque ricevere un visto di legittimità dalla Corte.

    Conclusione

    56. Alla stregua delle osservazioni svolte suggerisco alla Corte di annullare gli artt. 2, 6 e 7, nonché l' art. 9 per quanto di ragione, della direttiva della Commissione 16 maggio 1988, 88/301/CEE, relativa alla concorrenza nei mercati dei terminali di telecomunicazione, e di condannare la convenuta alle spese di giudizio.

    (*) Lingua originale: italiano.

    (1) GU L 131 del 27.5.1988, pag. 73.

    (2) Cause riunite 188/80, 189/80 e 190/80, Racc. pag. 2545.

    (3) Causa 226/87, Racc. pag. 3611.

    (4) Risoluzione sulla necessità di superare la frammentazione nel settore delle telecomunicazioni del 14 dicembre 1988, punto 8 (GU C 12 del 16.1.1989, pag. 66).

    (5) V. Agence Europe del 13.10.1989, pag. 13, nonché del 9.12.1989, pag. 7.

    (6) V., ad esempio, doc. COM(88)48 def., comunicazione 9 febbraio 1988.

    (7) Sentenza 3 febbraio 1976 (causa 59/75, Racc. pag. 91).

    (8) Sentenza 30 aprile 1974, Sacchi (causa 155/73, Racc. pag. 409).

    (9) Sentenza 3 marzo 1979 (causa 91/78, Racc. pag. 935).

    (10) V., oltre alle pronuncie prima ricordate, sentenza 9 maggio 1985, Commissione / Francia (causa 21/84, Racc. pag. 1355); sentenza 3 ottobre 1985, Telemarketing, punto 17 della motivazione (causa 311/84, Racc. pag. 3621); sentenza 4 maggio 1988, Bodson (causa 30/87, Racc. pag. 2479).

    (11) Causa 78/82, Racc. pag. 1955.

    (12) Decisione 24 aprile 1985 (GU L 152, pag. 25), all' origine della causa 226/87, cit.

    (13) Decisione 22 giugno 1987 (GU L 194, pag. 28).

    (14) Decisione 12 gennaio 1990 (GU L 10, pag. 47).

    (15) Documento C(89) 671 def. La direttiva non è stata ancora notificata.

    (16) GU L 217, pag. 21.

    (17) GU C 257, pag. 1.

    (18) Doc. COM(88)48 def.

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