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Document 61986CC0121
Joined opinion of Mr Advocate General Tesauro delivered on 11 July 1989. # Anonymos Etaireia Epichirisseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon AE and others v Council of the European Communities. # Common commercial policy - Termination of the anti-dumping proceeding concerning imports of dead-burned natural magnesite. # Case C-121/86. # Anonymos Etaireia Epichirisseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon AE and others v Commission and Council of the European Communities. # Liability - Termination of the anti-dumping proceeding concerning imports of dead-burned natural magnesite. # Case C-122/86. # Hellenic Republic v Council of the European Communities. # Common commercial policy - Termination of the anti-dumping proceeding concerning imports of dead-burned natural magnesite. # Case C-129/86.
Conclusioni riunite dell'avvocato generale Tesauro del 11 luglio 1989.
Anonymos Etaireia Epichirisseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon AE e altri contro Consiglio delle Comunità europee.
Chiusura del procedimento antidumping relativo all'importazione di magnesite naturale calcinata a morte.
Causa C-121/86.
Anonymos Etaireia Epichirisseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon AE e altri contro Commissione e Consiglio delle Comunità europee.
Responsabilità - Chiusura del procedimento antidumping relativo all'importazione di magnesite naturale calcinata a morte.
Causa C-122/86.
Repubblica ellenica contro Consiglio delle Comunità europee.
Chiusura del procedimento antidumping relativo all'importazione di magnesite naturale calcinata a morte.
Causa C-129/86.
Conclusioni riunite dell'avvocato generale Tesauro del 11 luglio 1989.
Anonymos Etaireia Epichirisseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon AE e altri contro Consiglio delle Comunità europee.
Chiusura del procedimento antidumping relativo all'importazione di magnesite naturale calcinata a morte.
Causa C-121/86.
Anonymos Etaireia Epichirisseon Metalleftikon Viomichanikon kai Naftiliakon AE e altri contro Commissione e Consiglio delle Comunità europee.
Responsabilità - Chiusura del procedimento antidumping relativo all'importazione di magnesite naturale calcinata a morte.
Causa C-122/86.
Repubblica ellenica contro Consiglio delle Comunità europee.
Chiusura del procedimento antidumping relativo all'importazione di magnesite naturale calcinata a morte.
Causa C-129/86.
Raccolta della Giurisprudenza 1989 -03919
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1989:299
CONCLUSIONI RIUNITE DELL'AVVOCATO GENERALE TESAURO DEL 11 LUGLIO 1989. - EPICHEIRISEON METALLEFTIKON VIOMICHANIKON KAI NAFTILIAKON AE ED ALTRI CONTRO CONSIGLIO DELLE COMUNITA EUROPEE. - CAUSA 121/86. - EPICHIRISEON METALLEFTIKON VIOMICHANIKON KAI NAFTILIAKON AE ED ALTRI CONTRO COMMISSIONE ED CONSIGLIO DELLE COMUNITA'EUROPEE. - CAUSA 122/86. - REPUBBLICA ELLENICA CONTRO CONSIGLIO DELLE COMUNITA'EUROPEE. - CAUSA 129/86. - POLITICA COMMERCIALE COMUNE - CHIUSURA DELLA PROCEDURA ANTIDUMPING RELATIVA ALL'IMPORTAZIONE DI MAGNESITE NATURALE CALCINATA A MORTE.
raccolta della giurisprudenza 1989 pagina 03919
++++
Signor Presidente,
Signori Giudici,
1 . Il contenzioso dinanzi alla Corte relativo alle misure di difesa commerciale contro le importazioni oggetto di dumping si arricchisce di tre ulteriori ricorsi riguardanti da una parte ( causa C-121/86, società "Anonimos Etaireia Epicheiriseon" e a . / Consiglio, e causa C-129/86, Repubblica ellenica / Consiglio ), l' annullamento della decisione 86/59/CEE ( 1 ), con cui il Consiglio ha chiuso la procedura antidumping senza adottare alcuna misura di difesa, e, dall' altra, ( causa C-122/86, Società "Anonimos Etaireia Epicheiriseon" e a . / Commissione e Consiglio ), il risarcimento dei danni cagionati dalla Commissione e dal Consiglio con l' adozione della decisione soprammenzionata, con la mancata adozione, da parte del Consiglio, della proposta di regolamento COM(83 ) 341 relativa all' istituzione di un dazio antidumping definitivo, nonché con ogni altro atto collegato .
I tre ricorsi riguardano un' unica procedura antidumping e d' altra parte gli argomenti avanzati dai ricorrenti sono in larga misura analoghi; ragioni di economia mi spingono pertanto a presentare conclusioni uniche per i tre ricorsi . Tratterò dapprima congiuntamente i due ricorsi relativi all' annullamento della decisione 86/59/CEE e quindi quello relativo al risarcimento del danno .
Quadro normativo
2 . In una causa che pone talune questioni di principio relative all' interpretazione delle disposizioni comunitarie antidumping risulterà probabilmente utile un' esposizione preliminare delle disposizioni contenute nella normativa comunitaria di base e rilevanti per la causa .
La materia che ci occupa è infatti al contempo delicata e complessa, perché non sempre è agevole assicurare che l' impiego degli strumenti di difesa commerciale non si traduca in un impedimento ingiustificato al commercio internazionale .
Gli interessi in gioco in tale tipo di procedura sono diversi e spesso contrastanti, tutti nondimeno meritevoli di tutela .
Il regolamento di base, che è, come è noto, il regolamento ( CEE ) n . 2176/84, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping o di sovvenzioni da parte di paesi non membri della Comunità ( 2 ) ( nel prosieguo : "regolamento di base "), attua tale contemperamento di interessi attraverso una serie di norme di carattere sia procedurale sia sostanziale, che insieme tendono ad assicurare uno svolgimento rapido, equo ed efficace del procedimento relativo all' imposizione di dazi antidumping, conformemente agli obblighi internazionali discendenti per la Comunità dall' art . VI del GATT ( accordo generale sulle tariffe doganali ed il commercio ) e dalle disposizioni dettate per l' applicazione di tale norma ( cosiddetto "codice antidumping ").
3 . Punto focale della disciplina è il principio stabilito dall' art . 2, paragrafo 1, del regolamento di base, secondo cui un dazio antidumping può essere imposto su qualsiasi prodotto oggetto di dumping la cui messa in libera pratica nella Comunità causi un pregiudizio . Il successivo paragrafo del medesimo articolo specifica poi che un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all' esportazione verso la Comunità sia inferiore al valore normale di un prodotto simile .
Dopo aver chiarito la definizione e il metodo di calcolo del valore normale e del prezzo all' esportazione nonché le modalità del relativo confronto, il regolamento specifica, al paragrafo 12 dello stesso art . 2, che per "prodotto simile" si intende un prodotto identico, cioè simile sotto ogni riguardo al prodotto considerato o, in mancanza di tale prodotto, un altro prodotto che presenti caratteristiche analoghe .
L' art . 4, paragrafo 1, dispone poi che il pregiudizio è solo quello determinato dalle importazioni oggetto di dumping e a causa degli effetti del dumping stesso; mentre è irrilevante il pregiudizio o quella parte di esso che fosse causato da fattori economici o commerciali di natura diversa .
Nel successivo paragrafo 2, il legislatore comunitario chiarisce che la valutazione del pregiudizio si basa su taluni fattori che, tuttavia, né singolarmente né riuniti possono necessariamente fornire un orientamento decisivo .
I fattori da prendere in considerazione sono il volume ed i prezzi delle importazioni oggetto di dumping nonché le conseguenti ripercussioni sull' industria interessata, risultanti dalle tendenze reali o virtuali di fattori economici indicativi quali : produzione, sfruttamento del potenziale, riserve, vendite, quota di mercato, prezzi, profitti, rendimento degli investimenti, liquidità ed occupazione (( art . 4, paragrafo 2, lett . c ) )).
Le successive disposizioni riguardano le modalità di svolgimento dell' inchiesta, le modalità di conclusione della procedura e le competenze rispettive della Commissione e del Consiglio .
L' inchiesta è svolta dalla Commissione in collaborazione con gli Stati membri; essa deve vertere tanto sulla pratica di dumping quanto sul pregiudizio che ne deriva . Di norma l' inchiesta relativa al dumping deve riguardare un periodo non inferiore ai sei mesi immediatamente precedenti l' inzio della procedura (( art . 7, paragrafo 1, lett . c ) )). Nel corso dell' inchiesta la Commissione ha l' obbligo di offrire al ricorrente ed agli importatori ed esportatori notoriamente interessati, nonché ai rappresentanti del paese esportatore, la possibilità di prendere conoscenza di tutte le informazioni ad essa fornite dalle parti interessate all' inchiesta, tranne i documenti interni preparati dalle autorità della Comunità o degli Stati membri, purché tali informazioni siano pertinenti per la tutela dei loro interessi, non siano riservate ai sensi dell' art . 8 e siano utilizzate dalla Commissione nell' inchiesta . Gli interessati devono a tal fine presentare una domanda scritta alla Commissione indicando le informazioni desiderate (( art . 7, paragrafo 4, lett . a ) )).
L' articolo 8, paragrafo 2, del regolamento di base, prevede a sua volta che le istituzioni comunitarie sono tenute a non divulgare, salvo autorizzazione esplicita della parte che le ha fornite, le informazioni per le quali è stato chiesto il trattamento riservato .
Qualsiasi richiesta di trattamento riservato deve tuttavia indicare il motivo per il quale l' informazione è riservata ed essere accompagnata da un riassunto di carattere non riservato oppure dall' indicazione dei motivi per i quali non è possibile riassumere l' informazione in questione .
Il regolamento di base prevede anche la possibilità che siano imposti dei dazi provvisori . Ai sensi dell' art . 11, infatti, quando da un esame preliminare dei fatti risulta che esiste un dumping e quando vi sono sufficienti elementi di prova di un pregiudizio e gli interessi della Comunità esigono un' azione per evitare siffatto pregiudizio nel periodo dell' inchiesta, la Commissione, su richiesta di uno Stato membro o di propria iniziativa, impone un dazio antidumping provvisorio .
Quanto alle modalità relative alla conclusione della procedura antidumping, varie alternative sono possibili .
Qualora al termine dell' inchiesta la Commissione ritenga che non sia necessario adottare alcuna misura di difesa e il comitato consultivo previsto dal regolamento di base non esprima obiezioni, essa può chiudere la procedura . In caso contrario la Commissione sottopone al Consiglio una relazione sull' esito delle consultazioni e propone di porre termine alla procedura . In tale ipotesi la procedura si considera chiusa se nel termine di un mese il Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, non ha deciso diversamente ( art . 9 ).
Qualora invece la Commissione ritenga necessaria l' adozione di un dazio antidumping definitivo, essa deve presentare una proposta in tal senso al Consiglio . L' art . 12, paragrafo 1, prevede infatti che :
"Quando dalla constatazione definitiva dei fatti risulta l' esistenza di dumping o di una sovvenzione durante il periodo oggetto dell' inchiesta e di un conseguente pregiudizio e quando gli interessi della Comunità esigono un' azione comunitaria, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione presentata previa consultazione, impone un dazio definitivo antidumping o compensativo ".
Nulla prevede il regolamento di base nel caso in cui il Consiglio non raggiunga la maggioranza necessaria all' approvazione di una proposta della Commissione relativa all' adozione di un dazio antidumping definitivo .
Quanto, infine, al termine entro il quale l' inchiesta dovrebbe concludersi, l' art . 7, paragrafo 9, lett . a ), prevede ch' essa abbia fine, di norma, entro un anno dall' apertura della procedura .
Fatti
4 . Nel giugno 1982 i produttori greci di magnesite naturale calcinata a morte, la cui produzione complessiva rappresentava l' intera produzione comunitaria, presentavano una denuncia alla Commissione circa le pratiche di dumping di cui erano oggetto le importazioni di tale prodotto in provenienza dalla Repubblica popolare cinese e dalla Corea del Nord .
La Commissione, dopo aver annunciato, con avviso pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 29 giugno 1982 ( 3 ), l' apertura di una procedura antidumping relativa alle importazioni oggetto della denuncia, dava inizio alle necessarie indagini .
Avendo accertato l' esistenza di una pratica di dumping nonché il necessario nesso di causalità tra le importazioni in discorso ed il pregiudizio subíto dall' industria comunitaria, onde evitare che nel prosieguo dell' inchiesta venisse causato un ulteriore pregiudizio, la Commissione emanava il 22 dicembre 1982 il regolamento ( CEE ) n . 3542/82 ( 4 ), che istituiva un dazio antidumping provvisorio ( quattro mesi ) sulle importazioni di magnesite naturale calcinata a morte, avente un tenore di MgO compreso tra 85 e 92%, in provenienza dalla Repubblica popolare cinese e dalla Corea del Nord .
Il dazio era prorogato per un periodo di due mesi con regolamento ( CEE ) n . 991/83 del Consiglio del 25 aprile 1983 ( 5 ).
Dopo aver istituito il dazio provvisorio, la Commissione, in considerazione dei punti di vista contrastanti delle parti circa la similarità del prodotto, nominava due esperti, allo scopo di valutare in particolare la comparabilità dei prodotti in causa originari della Cina, della Corea del Nord, della Spagna ( paese di riferimento per la fissazione del valore normale ) e della Grecia .
Sulla base del complesso delle informazioni disponibili e nonostante i pareri contrastanti degli esperti, la Commissione concludeva che le magnesiti naturali calcinate a morte, di un tenore di MgO compreso tra l' 85 e il 92%, originarie dei quattro paesi sopra indicati, dovevano essere considerate "prodotti simili", ai sensi del regolamento di base, giacché esse presentavano caratteristiche così strettamente simili tra di loro da poter essere utilizzate per tutte le applicazioni esistenti .
Quanto al pregiudizio, la Commissione constatava un aumento del 15% delle importazioni tra il 1979 e il 1980, una contrazione del 3% nel 1981 e un nuovo aumento del 17% nel 1982, nonché un aumento della quota di mercato dei prodotti importati dai due paesi oggetto dell' inchiesta dal 26% nel 1979 al 37% nel 1982, mentre parallelamente la quota di mercato dell' industria comunitaria si era ridotta dal 48% nel 1978 al 25% nel 1982 .
Alla luce di tutte queste considerazioni, il 9 giugno 1983 la Commissione proponeva al Consiglio di emanare un regolamento che istituisse un dazio antidumping definitivo sulle importazioni in questione .
Il Consiglio, tuttavia, dopo aver particolarmente approfondito il problema della comparabilità dei prodotti, non adottava la proposta della Commissione e, di conseguenza, i dazi provvisori venivano meno allo scadere del termine del 30 giugno 1983 .
Il 19 aprile 1985, cioè a distanza di due anni, le imprese ricorrenti comunicavano alla Commissione ulteriori principi di prove relative ad un dumping e ad un pregiudizio causato dalle importazioni cinesi di magnesite naturale calcinata a morte . Di conseguenza, il 19 giugno 1985 la Commissione pubblicava nella Gazzetta ufficiale un avviso relativo al proseguimento dell' inchiesta sulle importazioni cinesi e coreane del Nord ( 6 ).
A seguito dell' inchiesta effettuata nel corso dell' estate del 1985, la Commissione, sulla base di dati che essa dichiarava emersi nel corso dell' inchiesta stessa, divergenti da quelli statistici allegati dai denuncianti, rilevava che le importazioni nella Comunità in provenienza dai paesi interessati si erano ridotte, passando da 82 500 tonnellate nel 1981 a 61 000 tonnellate nel 1984, che la produzione comunitaria era aumentata del 110% durante lo stesso periodo e che la quota di mercato detenuta dai produttori della Comunità era passata dal 15,4% nel 1981 al 19,4% nel 1984, mentre la quota di mercato detenuta dai prodotti originari della Repubblica popolare cinese e della Corea del Nord si era ridotta, passando dal 30,4% nel 1981 al 19,7% nel 1984 .
Tali rilievi inducevano l' esecutivo a ritenere che l' industria comunitaria non subisse più un grave pregiudizio e a sottoporre al Consiglio una proposta di chiusura della procedura antidumping relativa alle importazioni nella Comunità di magnesite naturale calcinata a morte, originaria della Repubblica popolare cinese e della Corea del Nord .
Il Consiglio accoglieva la proposta e, il 6 marzo 1986, adottava la decisione 86/59/CEE con cui veniva chiusa la procedura antidumping relativa alle suddette importazioni . E' questa la decisione impugnata .
Una più dettagliata esposizione dei fatti sopra ricordati è svolta nella relazione d' udienza delle tre cause, cui mi permetto di rinviare .
Controllo della Corte
5 . Prima di passare all' esame dei numerosi mezzi di ricorso avanzati dalle ricorrenti, mi sembra necessario formulare due rilievi sulla natura e sulla portata del controllo che la Corte è chiamata ad effettuare .
Il regolamento di base, come risulta dalla giurisprudenza della Corte al riguardo ( 7 ), riconosce l' esistenza di un interesse legittimo dei produttori della Comunità all' adozione delle misure da esso previste ed attribuisce ai produttori stessi taluni precisi diritti . Pertanto, pur a fronte di un ampio potere discrezionale di cui le istituzioni comunitarie godono nel settore in discorso, la Corte è chiamata a verificare se la Commissione abbia rispettato le garanzie procedurali attribuite ai denunzianti dal regolamento di base e se non abbia commesso errori manifesti nella valutazione dei fatti, omesso di prendere in considerazione aspetti essenziali o introdotto nella motivazione elementi che rivelino l' esistenza di uno sviamento di potere . A tal riguardo, senza poter intervenire nella valutazione riservata alle autorità comunitarie dal regolamento sopra menzionato, il giudice deve esercitare il controllo che normalmente gli spetta in presenza di un potere discrezionale conferito alla pubblica autorità ( 8 ).
Occorre poi precisare che, contrariamente a quanto eccepito dal Consiglio, il sindacato della Corte nei ricorsi C-121/86 e C-129/86 non deve essere necessariamente limitato ai fatti relativi al solo periodo di tempo che corre dal 19 giugno 1985, data di pubblicazione del secondo avviso concernente l' inchiesta, al 6 marzo 1986, data di adozione della decisione impugnata .
Dai primi quattro considerando dell' atto impugnato risulta infatti che la decisione in causa rappresenta il momento conclusivo di un' unica lunga procedura che ha avuto il suo inizio nel giugno 1982 .
Lo stesso secondo avviso del giugno 1985 parla di "proseguimento" e non di inizio di una nuova inchiesta .
Non vi è dunque alcun valido motivo di sottrarre determinati fatti al sindacato della Corte .
Al contrario, la Corte è tenuta a prendere in esame qualunque vizio della procedura che sia suscettibile di riflettersi sulla validità dell' atto .
6 . Le censure mosse alla decisione impugnata nei ricorsi C-121/86 e C-129/86 possono essere raggruppate, nella quasi totalità, attorno a cinque problemi principali :
a ) omessa valutazione dell' esistenza del dumping,
b ) durata eccessiva della procedura,
c ) periodo di tempo preso in considerazione ai fini dell' accertamento del pregiudizio,
d ) valutazione cumulativa dei dati concernenti le importazioni cinesi e nord-coreane,
e ) i dati utilizzati .
a ) Omessa valutazione dell' esistenza del dumping
7 . A giudizio delle parti ricorrenti la decisione controversa sarebbe insufficientemente motivata, giacché essa si limita a constatare la sola mancanza di pregiudizio senza prendere in considerazione l' eventuale esistenza di una pratica di dumping .
A tale proposito occorre rilevare che la lettera dell' art . 12, relativo all' adozione di misure definitive, nonché la stessa ratio del regolamento di base mostrano incontestabilmente che il Consiglio è autorizzato ad imporre misure di difesa solo qualora i tre requisiti - esistenza del dumping, conseguente pregiudizio e interesse della Comunità all' adozione di tali misure - siano contestualmente esistenti .
Tale affermazione di carattere generale merita tuttavia di essere meglio specificata .
Se è vero infatti che i tre requisiti sopra indicati sono indubbiamente cumulativi, è pur vero che può esistere tra di loro un nesso logico di presupposizione .
Il Consiglio non potrebbe infatti effettuare un corretto apprezzamento dell' interesse della Comunità all' adozione di misure di difesa senza aver accertato preliminarmente il pregiudizio sofferto dall' industria comunitaria .
Si tratta in tal caso, come appare evidente, di fare una valutazione comparativa di interessi divergenti, quali ad esempio quelli dei produttori e di eventuali utilizzatori del prodotto importato, valutazione che non può essere correttamente operata qualora non sia constatata l' entità del danno patito dall' industria interessata .
Quanto invece agli altri due elementi in discorso, pregiudizio e dumping, ritengo che le istituzioni comunitarie possano legittimamente limitare la propria indagine qualora esse accertino l' insussistenza di uno di essi .
Se infatti risulta che determinate importazioni non cagionano un pregiudizio notevole all' industria comunitaria, non vi è alcun motivo di verificare se le importazioni stesse avvengano ad un prezzo inferiore al valore normale di un prodotto simile, giacché anche l' eventuale constatazione del dumping nulla cambierebbe quanto al risultato finale ed il Consiglio non sarebbe comunque legittimato ad adottare misure di difesa .
L' esame delle disposizioni rilevanti del regolamento di base non evidenzia, d' altra parte, alcuna impossibilità logica o pratica di accertare l' una condizione in maniera indipendente dall' altra .
La constatazione del dumping e del pregiudizio si basano infatti su fattori diversi e non necessariamente collegati tra loro .
Anche l' art . 7, paragrafo 1, lett . c ), ha una portata diversa da quella che gli attribuiscono le ricorrenti .
L' indicata norma, al fine di garantire che la procedura si svolga in maniera rapida ed efficace e tenuto conto del fatto che, perché siano adottate misure di difesa, è necessaria la constatazione tanto del dumping quanto del conseguente pregiudizio, dispone che l' inchiesta debba vertere su entrambi gli elementi .
Si tratta tuttavia di una disposizione dettata al fine di un rapido svolgimento dell' inchiesta e da essa non discende in alcun modo, contrariamente a quanto le ricorrenti ritengono, l' obbligo per le istituzioni comunitarie, una volta accertata l' insussistenza di uno dei requisiti richiesti, di continuare l' inchiesta e di giungere a conclusioni definitive anche riguardo all' altro requisito, giacché tale indagine ulteriore non potrebbe avere alcuna utilità pratica .
Analizzato da tale punto di vista, non mi sembra pertanto che l' atto impugnato sia insufficientemente motivato né che sia stato adottato in violazione del regolamento di base .
b ) Durata eccessiva della procedura
8 . I produttori greci di magnesite sostengono del pari che, avendo lasciato la procedura in discorso pendente per circa quattro anni, il Consiglio avrebbe violato non solo l' art . 7, paragrafo 9, lett . a ), del regolamento di base, ai sensi del quale di norma la procedura deve essere chiusa entro un anno dalla sua apertura, ma anche i principi di certezza del diritto, di tutela del legittimo affidamento ( tale aspetto è sottolineato dal governo ellenico nel ricorso C-129/86 ) e di soluzione delle controversie entro un termine congruo .
Nel corso della procedura orale le ricorrenti, alla luce dell' affermazione della Corte, secondo cui il Consiglio può astenersi da qualsiasi decisione qualora sia in disaccordo con la Commissione ( 9 ), hanno cercato di modificare la portata della censura, sostenendo che il Consiglio poteva sì astenersi dall' approvare la proposta della Commissione, ma non per il motivo addotto, secondo cui i prodotti non erano simili, giacché tale valutazione sarebbe di competenza esclusiva della Commissione .
In realtà, in tale modo, le ricorrenti adducono un nuovo mezzo relativo ad uno sviamento di potere del Consiglio, che avrebbe nella specie oltrepassato i limiti del proprio potere discrezionale intervenendo, nel giugno 1983, nell' esame del merito comparativo dei prodotti, in contrasto con le finalità perseguite dalla norma comunitaria . La censura era già stata sollevata dalle ricorrenti nel corso della procedura scritta . Tale mezzo non figura tuttavia nel ricorso, ma solo nella replica e non si fonda su elementi nuovi di diritto o di fatto emersi nel corso della procedura stessa . Pertanto, come giustamente eccepito dal Consiglio, esso non può essere preso in esame, giacché l' art . 42, paragrafo 2, del regolamento di procedura vieta la deduzione di nuovi mezzi in corso di causa .
9 . Quanto invece allo specifico problema del superamento del termine previsto dall' art . 7, paragrafo 9, lett . a ), del regolamento di base, pur sottolineando che è a mio avviso molto dubbio che una violazione del genere possa essere fatta valere in un ricorso tendente all' annullamento di una decisione che chiude la procedura antidumping, ricorderò quanto affermato di recente dalla Corte, secondo cui :
"Il y a lieu de constater que le délai prévu par l' article 7, paragraphe 9, du règlement de base est indicatif et non impératif . Cela résulte tant de la lettre de la disposition en cause, qui utilise le terme 'normalement' , que de la nature de la procédure antidumping, dont l' avancement ne dépend pas uniquement de la diligence des autorités communautaires . Il convient, toutefois, de préciser qu' il découle de cette disposition que la procédure antidumping ne doit pas être prolongée au-delà d' un délai raisonnable à apprécier en fonction des circonstances particulières de chaque espèce" ( 10 ).
Ora, la procedura che ci occupa è stata effettivamente laboriosa e la sua durata di circa quattro anni rappresenta un primato che si spera possa restare ineguagliato nella storia delle procedure antidumping comunitarie . Tale eccessiva durata, tuttavia, trova le sue ragioni in circostanze particolari di cui la motivazione dell' atto dà in gran parte conto .
La Commissione aveva infatti ritenuto di poter concludere la procedura fin dal giugno 1983 ed aveva presentato a tal fine al Consiglio una proposta relativa all' istituzione di un dazio antidumping definitivo sulle importazioni in questione .
La proposta non era stata tuttavia adottata dal Consiglio, per cui l' esecutivo sembra avere effettivamente proseguito ed approfondito l' inchiesta, come dimostrato dalla cronologia fornita dalla Commissione sul periodo giugno 1983 - giugno 1985 ( vedasi allegato 3 alla controreplica del Consiglio nella causa C-121/86 ). Avendo poi ricevuto dai ricorrenti nuove prove, prima facie, in merito all' esistenza di pratiche di dumping e del conseguente pregiudizio causato dalle importazioni cinesi, la Commissione aveva pubblicato il 19 giugno 1985 un avviso concernente la continuazione della procedura, che doveva poi concludersi nel marzo 1986 con l' adozione dell' atto impugnato .
Vi è stata insomma, nel corso dell' inchiesta, da parte delle due istituzioni interessate, una valutazione divergente dei risultati e delle conclusioni da trarre, la qual cosa può verificarsi in un sistema, quale quello delineato dal regolamento di base, che lascia alla Commissione il potere d' iniziativa, ma riserva, salvo casi particolari, il potere decisionale al Consiglio quale organo responsabile della politica commerciale comune .
Non ritengo pertanto che il superamento del termine previsto dal regolamento di base debba essere ritenuto, nel caso di specie, del tutto ingiustificato, né d' altra parte risulta che nel corso della procedura le ricorrenti abbiano avuto a dolersi dell' eccessiva durata della stessa .
c ) Periodo di tempo preso in considerazione ai fini dell' accertamento del pregiudizio
10 . Le parti ricorrenti sostengono che la decisione impugnata motiverebbe in maniera insufficiente la stessa mancanza di pregiudizio, atteso che si limita a constatare un miglioramento della situazione dell' industria comunitaria nel periodo di riferimento che va dal 1981 al 1984 .
Il governo ellenico sottolinea in particolare che, avendo omesso di prendere in considerazione i dati relativi agli anni precedenti il 1981, di cui pure le istituzioni comunitarie disponevano, si sarebbe violato lo spirito stesso del regolamento di base, secondo cui l' industria comunitaria dovrebbe essere posta in condizione di riprendere la posizione concorrenziale detenuta prima dell' inizio del dumping . Nel 1981, a giudizio delle ricorrenti, l' industria comunitaria aveva già subìto un danno e tale anno non poteva costituire un valido punto di riferimento al fine di dimostrare, in base al successivo miglioramento, che l' industria comunitaria non aveva subìto un notevole pregiudizio .
L' argomento sostenuto è in linea di principio corretto, ma nella specie non decisivo .
La prassi comunitaria ai fini dell' accertamento del pregiudizio risulta infatti essere quella di prendere in considerazione un lasso di tempo di circa quattro anni precedenti l' inizio della procedura .
Qualche perplessità potrebbe sorgere nel caso di specie per il fatto che la procedura è durata circa quattro anni e che pertanto, ai fini dell' adozione della decisione contestata, è stato preso in considerazione il quadriennio che precedeva non già l' originale avviso di apertura della procedura del giugno 1982, bensì l' avviso di proseguimento dell' inchiesta pubblicato nel giugno 1985 .
Occorre tuttavia considerare che le istituzioni comunitarie godono al riguardo di un certo potere discrezionale e che il "pregiudizio notevole" deve necessariamente essere accertato con riferimento al momento stesso di adozione di un eventuale atto che istituisca misure di difesa .
Certo, una motivazione più ampia, che avesse fatto riferimento anche alla situazione dell' industria comunitaria negli anni 1979 e 1980, i cui dati erano stati già precedentemente raccolti dalla Commissione in funzione della conclusione della "prima fase" della procedura e non necessitavano pertanto di lunghe ricerche, sarebbe stata più illuminante e avrebbe meglio dato conto dell' evoluzione dell' industria greca di magnesite e di conseguenza non avrebbe alimentato i dubbi di scelta "arbitraria" avanzati dalle ricorrenti . Tuttavia, il miglioramento constatato nell' arco di tempo 1981-1984 e la contestuale flessione delle importazioni - alla luce dei dati utilizzati dalla Commissione e con riserva della successiva verifica della loro fondatezza - appaiono tali da far sì che la lacuna non si traduca, nel caso di specie e come tale, in una vera e propria carenza di motivazione .
11 . Sempre in riferimento all' arco di tempo utilizzato dalle istituzioni comunitarie al fine di determinare l' assenza di pregiudizio, le parti ricorrenti osservano che la decisione controversa sarebbe stata adottata in violazione dell' art . 7, paragrafo 1, lett . c ), del regolamento di base, ai cui sensi l' inchiesta relativa al dumping deve riguardare un periodo non inferiore ai sei mesi immediatamente precedenti l' inizio della procedura . Esse fanno rilevare che la Commissione ha dato avvio alla procedura il 19 giugno 1985, ma non avrebbe in nessun modo preso in considerazione i dati del 1985, che sono determinanti in quanto dimostrerebbero l' entità del pregiudizio . La Commissione contesta tale argomento, facendo valere che la valutazione degli ultimi sei mesi riguarderebbe solo la verifica in ordine al dumping e non anche quella in ordine al pregiudizio .
Mi sembra a questo punto necessario chiarire la portata della disposizione cui le ricorrenti si riferiscono .
Malgrado il fatto che l' obbligo sembra imporsi solo per l' inchiesta relativa al dumping, esso riguarda al contrario, conformemente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, anche la constatazione del pregiudizio .
Due sono le considerazioni che mi inducono ad un' interpretazione estensiva della disposizione in discorso .
In primo luogo, vi è un dato testuale : si tratta infatti di un' affermazione che segue immediatamente l' altra secondo cui l' inchiesta deve vertere tanto sulla pratica di dumping quanto sul pregiudizio . Ma vi è di più, la stessa ratio del regolamento, secondo cui le misure di difesa vanno adottate non come ritorsione, ma al fine di proteggere l' industria comunitaria da una concorrenza sleale, impone che il pregiudizio sia attuale ed è quindi necessario che esso sia constatato anche rispetto al periodo immediatamente precedente l' inizio della procedura e nel caso di specie al periodo precedente l' avviso di continuazione della procedura stessa .
La prassi della Commissione di tener conto, relativamente al pregiudizio, di un periodo di circa quattro anni non è in contraddizione con tale lettura della norma ed è certamente utile al fine di una migliore valutazione del pregiudizio, purché, evidentemente, l' arco di tempo utilizzato copra anche i sei mesi immediatamente precedenti l' inizio della procedura .
Cosa è avvenuto nel caso di specie? La Commissione sembra aver effettivamente preso in considerazione i dati riguardanti i primi mesi del 1985 ( vedasi documento di lavoro della Commissione dell' 11 novembre 1985, allegato 1 alla replica delle ricorrenti nella causa C-121/86 ) e di ciò ha dato comunicazione alle ricorrenti ( vedasi allegato 1 al controricorso del Consiglio nella causa C-121/86 ). Tuttavia la decisione controversa omette di far riferimento a tali dati in quanto non considerati determinanti .
Certo, dall' interpretazione data dell' art . 7, paragrafo 1, lett . c ), consegue che sarebbe stato opportuno che la motivazione della decisione controversa facesse espresso riferimento ai dati relativi al primo semestre del 1985 . Considerando nondimeno che, a quanto risulta, i dati in discorso sono stati effettivamente presi in considerazione e di ciò le ricorrenti erano state informate, non mi sembra che nel caso di specie, e con riserva di verifica dell' attendibilità di tali dati, tale omissione si traduca di per sé in un vizio suscettibile di riflettersi sulla validità dell' atto .
d ) Valutazione congiunta dei dati concernenti le importazioni cinesi e nord-coreane
12 . Le parti ricorrenti fanno altresì valere che, per definire il pregiudizio subìto dai produttori greci, la Commissione ha preso in considerazione e calcolato, cumulandole, sia le importazioni in provenienza dalla Cina che quelle in provenienza dalla Corea del Nord, pur sapendo che quest' ultimo paese aveva nel frattempo aumentato i suoi prezzi .
La replica del Consiglio, secondo cui, poiché l' inchiesta aveva all' inizio interessato i due paesi, essa doveva essere proseguita congiuntamente nei loro confronti, appare formale e poco convincente, a fronte dei ripetuti inviti mossi nel corso della procedura, da parte dei produttori greci, a considerare separatamente i dati relativi ai due paesi e tenuto conto degli elementi da essi prodotti a sostegno della richiesta, tendenti a dimostrare l' aumento dei prezzi e la diminuzione della quota di mercato detenuta dalle importazioni in provenienza dalla Corea del Nord .
Più pertinente e decisiva sarebbe invece l' altra obiezione mossa dalla convenuta, cioè la constatazione di una diminuzione ancora più accentuata delle importazioni cinesi, nel periodo di riferimento, rispetto alla riduzione complessiva delle importazioni provenienti dai due paesi .
L' esame dei dati disaggregati, risultanti tra l' altro dal documento di lavoro della Commissione dell' 11 novembre 1985 ( vedasi allegato 1 alla replica dei produttori greci nella causa C-121/86 ), mostra infatti che, anche qualora si fosse proceduto ad un esame separato dei dati in discorso, il risultato non sarebbe mutato; pertanto la mancata separazione dei dati relativi ai due paesi, nella motivazione dell' atto impugnato, non si concretizzerebbe di per sé, alla luce dei dati forniti dalla Commissione, in un vizio suscettibile di incidere sulla validità della decisione .
Anche per rispondere definitivamente a tale quesito, peraltro, non si può fare a meno di verificare se ed in quale misura i dati forniti dalla Commissione possano costituire un incontestabile punto di riferimento .
e ) I dati utilizzati
13 . Le parti ricorrenti sostengono che i dati su cui è fondata la motivazione dell' atto non risponderebbero alla realtà e comunque non sarebbero provati .
A loro giudizio, in particolare, i dati utilizzati sarebbero inesatti ed in contraddizione sia con le statistiche ufficiali sulle quali è basata l' argomentazione delle ricorrenti, che con le decisioni, proposte e constatazioni precedenti della stessa Commissione .
14 . Le ragioni della contraddizione tra i dati utilizzati nella motivazione della decisione in causa, rispetto a quelli risultanti dalle statistiche ufficiali, erano già state illustrate ai produttori greci di magnesite con comunicazione della Commissione in data 4 febbraio 1986 ( vedasi allegato 1 al controricorso del Consiglio nella causa C-121/86 ).
Nel corso dell' inchiesta era infatti risultato che la classificazione del prodotto in una delle quattro voci del codice Nimexe non era sempre certa e che esso era classificato talvolta sotto voci differenti . Inoltre le statistiche ufficiali non includono le importazioni effettuate in Irlanda e non prevedono alcuna distinzione per i prodotti il cui tenore in MgO è situato tra 85 e 92%, che sono gli unici interessati dalla procedura antidumping .
Tali ragioni avevano indotto la Commissione a non utilizzare i dati risultanti dalle statistiche bensì quelli a suo dire emersi dalla sua specifica inchiesta .
Il ragionamento è formalmente corretto . Esso necessita tuttavia di una precisazione . Qualora infatti le istituzioni comunitarie ritengano di non poter fare affidamento su dati statistici ufficiali, esse devono in primo luogo indicarne la ragione, la qual cosa è avvenuta nel caso di specie; in secondo luogo - e soprattutto - indicare con chiarezza quali siano le fonti da cui hanno attinto i dati utilizzati . Ciò al fine di assicurare in primo luogo l' esercizio dei diritti che l' art . 7, paragrafo 4, lett . a ), del regolamento di base, conferisce al ricorrente; in secondo luogo ed eventualmente il controllo di legalità da parte di questa Corte .
15 . Ora, nella replica presentata nella causa C-121/86, i produttori greci di magnesite affermano di aver avuto dalla Commissione, alla fine del dicembre 1986 e a seguito di una precisa richiesta in tal senso, taluni documenti relativi alla procedura antidumping, documenti che confermerebbero i loro mezzi di ricorso ed in particolare l' inattendibilità dei dati utilizzati . Al riguardo, essi osservano in particolare che non esisterebbero in tali documenti i dati relativi all' importazione di magnesite naturale in provenienza dalla Corea del Nord a partire dal 1982 ed alle importazioni dello stesso prodotto in provenienza dalla Cina a partire dal secondo semestre del 1983 o, comunque, che i fascicoli non riservati della Commissione non conterrebbero i questionari relativi a tali elementi né eventuali riassunti di carattere non riservato, come previsto dall' art . 8, paragrafo 2, lett . b ), del regolamento di base .
Si deve peraltro segnalare che già nel memorandum presentato il 22 novembre 1985 alla Commissione ( vedasi allegato 4 alla replica delle ricorrenti nella causa C-121/86 ), le ricorrenti avevano lamentato l' incompletezza dei questionari in discorso .
Il Consiglio, nella sua controreplica, sostiene di limitarsi a rispondere agli specifici argomenti di fatto e di diritto che lo riguardano e non si pronuncia su tale punto .
Se esso ha ritenuto in tale modo non già di rinviare implicitamente alle memorie difensive presentate dalla Commissione nella causa C-122/86, ma semplicemente di escludere che gli siano imputati vizi relativi all' attendibilità dei dati utilizzati, chiarirò subito che l' argomento non è fondato, in quanto, ripeto ancora una volta, il Consiglio, nell' adottare la proposta della Commissione, si esprime sull' atto nel suo complesso e risponde evidentemente anche dell' attendibilità dei dati utilizzati .
Farò quindi riferimento alle memorie difensive presentate dalla Commissione in causa C-122/86 .
16 . A fronte delle obiezioni mosse dall' esecutivo, secondo cui tali questionari sarebbero riservati e, come tali, non inclusi nei fascicoli comunicati alle ricorrenti, in mancanza di una giustificazione circa l' assenza di riassunti non riservati di tali questionari, considerando altresì che la Commissione asseriva di aver fornito alle ricorrenti nel corso di due riunioni svoltesi in data 14 novembre e 22 dicembre 1985 tutte le informazioni necessarie, la Corte richiedeva alla Commissione di fornire gli indicati questionari .
La risposta è stata francamente del tutto insoddisfacente . La Commissione si è infatti limitata a comunicare, senza fornire al riguardo alcuna delucidazione, copia dei riassunti non riservati dei questionari compilati dagli esportatori cinesi per il periodo di tempo compreso tra il 1978 ed il primo semestre del 1983 ed alcune copie di comunicazioni inviate da importatori di magnesite nord-coreana contenenti taluni dati relativi alle importazioni del prodotto in discorso fino al giugno 1985 .
In altri termini, i dati forniti dalla Commissione sulle importazioni dalla Cina non sono altro che i dati oggetto della prima parte dell' inchiesta e posti a base della proposta di istituzione di misure antidumping definitive, presentata appunto nel giugno 1983 .
Anche a voler prescindere dalla valutazione del valore e della completezza delle comunicazioni relative alle importazioni nord-coreane indicate da ultimo, resta il fatto che, dopo una procedura durata circa quattro anni ed un successivo procedimento dinanzi a questa Corte, risulta ancora inspiegato da dove le istituzioni in causa abbiano tratto le cifre relative al secondo semestre 1983, al 1984 ed ai primi cinque mesi del 1985, cifre che figurano nei documenti preparatori e che sono state alla base della decisione contestata .
Non voglio qui sindacare i motivi che hanno condotto la Commissione a non comunicare alla Corte i questionari richiesti o comunque un riassunto non riservato degli stessi . Né vorrò mettere in dubbio quanto asserito, in maniera invero un po' tautologica nella controreplica della Commissione in causa C-122/86, secondo cui detti questionari esisterebbero ma sarebbero contenuti nei fascicoli riservati (...) giacché essi sono riservati .
Ricorderò tuttavia che risulta dalla giurisprudenza della Corte che l' obbligo di riservatezza, cui le istituzioni della Comunità sono tenute, non può essere interpretato in modo da svuotare del loro contenuto essenziale i diritti che il regolamento di base conferisce agli interessati ( 11 ).
Quanto asserito nella sentenza Timex vale anche ed a maggior ragione in riferimento al controllo di legalità che la Corte è chiamata ad effettuare e che ne risulterebbe altrimenti paralizzato .
L' assenza di un qualunque elemento di prova che consenta di verificare la fondatezza dei dati utilizzati nella motivazione dell' atto, quantomeno in relazione alle importazioni in provenienza dalla Cina per il secondo semestre del 1983, per il 1984 e per i primi cinque mesi del 1985, a fronte di contestazioni rituali, specifiche e reiterate, nonché in presenza di dati forniti dalle ricorrenti ed ufficiali, mi porta quindi inevitabilmente a concludere che la decisione in causa non è adeguatamente motivata giacché i fatti che ne sono alla base non risultano sufficientemente provati . E' appena il caso di sottolineare che il volume delle importazioni dai paesi oggetto dell' inchiesta costituisce un elemento essenziale e imprescindibile per una qualsiasi proposta al Consiglio in materia di dumping .
Restanti censure
17 . Ritengo che le conclusioni cui sono testé pervenuto, circa l' inattendibilità, o meglio la non verificabilità, di taluni dati essenziali utilizzati nella decisione impugnata e le conseguenze che ne discendono mi esimano dal dovere di esaminare alcune ulteriori censure mosse dalle parti ricorrenti .
Nondimeno, al fine di meglio delineare il contesto generale della procedura svolta, accennerò ad un ulteriore rilievo mosso dai produttori greci di magnesite nella causa C-121/86 . Essi segnalano infatti che la Commissione, non avendo accolto gli impegni proposti dagli esportatori cinesi nel dicembre 1983, non ritenendo l' offerta soddisfacente, ha palesemente ammesso che, fino al 1984, fosse esistito un pregiudizio di vasta entità .
A tal riguardo conviene osservare che è certamente vero che un' offerta di impegni in materia di prezzi non rappresenta, necessariamente, un riconoscimento della pratica di dumping, il cui accertamento resta comunque di competenza delle istituzioni comunitarie .
Ed è pur vero che l' offerta d' impegni risale ad un' epoca precedente le conclusioni cui è giunto il Consiglio adottando la decisione impugnata .
Tuttavia, anche se, per i motivi sopra indicati, tale comportamento non può essere qualificato come manifestamente contraddittorio, esso rappresenta indubbiamente un ulteriore indizio di uno svolgimento poco lineare della procedura che è all' origine dell' atto impugnato .
Ricorso C-122/86 relativo al risarcimento del danno
18 . Le censure avanzate dai produttori greci di magnesite nel ricorso relativo al risarcimento del danno, al fine di dimostrare il comportamento illegale delle istituzioni comunitarie, sono in larga parte analoghe a quelle dedotte nella causa C-121/86 e da me già prese in esame .
Mi limiterò in questa sede a considerare i mezzi di ricorso che non sono stati ancora oggetto di una valutazione .
19 . Le società ricorrenti sostengono che il Consiglio, nel procedere, nel 1983, all' esame della similarità dei prodotti in questione e nell' astenersi per tale ragione dall' adottare la proposta dell' esecutivo, avrebbe violato le disposizioni specifiche emanate ad esclusiva tutela dei singoli, relative alla competenza della Commissione . Tale istituzione sarebbe infatti, secondo tale ragionamento, la sola a poter effettuare valutazioni sulla similarità dei prodotti, nella misura in cui l' inchiesta sull' esistenza di un dumping, che presuppone l' apprezzamento della similarità dei prodotti, è di competenza dell' esecutivo in forza dell' art . 7, paragrafo 1, lett . c ), del regolamento di base .
La censura non appare fondata .
Ai sensi dell' art . 12, del regolamento di base il Consiglio adotta, su proposta della Commissione, le misure definitive di difesa .
Esso deve evidentemente fondare la sua decisione sull' inchiesta svolta dalla Commissione e deve valutare le conclusioni cui l' esecutivo è pervenuto .
Tuttavia, come la Corte ha avuto modo di precisare ( 12 ), il Consiglio può astenersi da qualsiasi decisione qualora sia in disaccordo con la Commissione .
Nessuna disposizione del regolamento di base autorizza inoltre a ritenere che vi siano ambiti di competenza sottratti al potere di apprezzamento del Consiglio e riservati alla competenza esclusiva dell' esecutivo .
Anche l' obiezione secondo cui il Consiglio, tenuto conto della sua composizione, non sarebbe in grado di pronunciarsi su di un argomento squisitamente tecnico è sprovvista di fondamento, in quanto tale istituzione, se lo ritiene opportuno, può far ricorso ad esperti del settore, cosa che avviene in particolare quando simili questioni sono trattate in sede di Coreper .
20 . Quanto poi all' accusa, mossa alla Commissione, di aver "mercanteggiato" con gli interessati la chiusura della procedura, mi limiterò a constatare che essa non è sorretta da alcun elemento di prova .
21 . Fatte tali precisazioni occorre ora verificare se il comportamento delle istituzioni comunitarie sia stato tale da generare, per le ricorrenti, un diritto al risarcimento del danno .
Come emerge dalle argomentazioni da me sinora svolte, nel corso della procedura vi è stata, da parte dell' esecutivo, una violazione, che non esito a definire grave, di una norma superiore intesa a tutelare i singoli, costituita nella specie dal diritto dei ricorrenti di essere informati dei dati emersi nel corso dell' inchiesta, acciocché l' effettiva tutela dei loro interessi risulti garantita .
Ad avviso delle società ricorrenti esisterebbe nella specie anche un danno, che esse identificano nella differenza tra il prezzo di vendita praticato nella Comunità ed il costo di produzione del prodotto in causa nonché nella perdita di una quota di mercato .
Ciò che sembra tuttavia mancare nel caso che ci occupa è il nesso causale diretto tra la violazione della citata norma ed il danno che ne sarebbe derivato .
A ben vedere, infatti, conseguenza dell' illegalità del comportamento delle istituzioni interessate non è stato il danno bensì l' adozione di una decisione illegittima .
In altri termini, il diritto violato è quello di ottenere una procedura corretta e trasparente e non già quello di ottenere l' imposizione di dazi antidumping . In tale ottica, pertanto, l' annullamento dell' atto in questione costituisce già di per sé una riparazione adeguata .
Le argomentazioni delle società ricorrenti si fondano invece sull' erroneo presupposto che esse abbiano un preciso diritto all' adozione di misure di difesa e che il loro diritto sia stato violato a seguito della decisione di chiusura della procedura .
Si deve al contrario osservare che, rispetto a tali misure, la cui imposizione avviene nell' interesse della Comunità ( vedasi art . 12 del regolamento di base ), le ricorrenti non possono che vantare un interesse legittimo .
La stessa eventuale sentenza di annullamento della decisione in causa, da parte della Corte, lungi dall' obbligare le istituzioni interessate ad imporre un dazio antidumping, non potrebbe che limitarsi a constatare l' illegittimità di una decisione di chiusura della procedura e le istituzioni in causa ben potrebbero, nel rispetto delle norme procedurali, adottare una decisione avente analogo contenuto .
Non ritengo dunque che la richiesta di risarcimento del danno possa trovare accoglimento .
Conclusione
22 . Alla luce delle considerazioni che precedono propongo pertanto alla Corte di :
a ) annullare la decisione 86/59/CEE e condannare il Consiglio alle spese nelle cause C-121/86 e C-129/86,
b)respingere il ricorso relativo al risarcimento del danno e condannare le ricorrenti alle spese nella causa C-122/86 .
(*) Lingua originale : l' italiano .
( 1 ) GU L 70, pag . 41 .
( 2 ) GU L 201, pag . 1 . Tale atto, che ha sostituito a decorrere dal 1° agosto 1984 il precedente analogo regolamento ( CEE ) n . 3017/79, è peraltro applicabile, ai sensi dell' art . 19, alle procedure già iniziate alla data della sua entrata in vigore .
( 3 ) GU C 162, pag . 3 .
( 4 ) GU L 371, pag . 25 .
( 5 ) GU L 110, pag . 27 .
( 6 ) GU C 149, pag . 2 .
( 7 ) Vedasi sentenza 4 ottobre 1983, Fediol / Commissione ( causa 191/82, Racc . pag . 2913, punto 25 della motivazione ).
( 8 ) Vedasi sentenza 20 marzo 1985, Timex / Consiglio e Commissione ( causa 264/82, Racc . pag . 849, punto 16 della motivazione ).
( 9 ) Vedasi ordinanza 15 ottobre 1986, Tokyo Juki Industrial / Consiglio e Commissione ( causa 299/85, Racc . pag . 2965 ).
( 10 ) Vedasi sentenza 12 maggio 1989, Continentale Produkten-Gesellschaft Erhardt-Renken GmbH & Co . / Hauptzollamt Muenchen-West ( causa 246/87, Racc . 1989, pag . 1151, punto 8 della motivazione .
( 11 ) Vedasi sentenza 20 marzo 1985, Timex / Consiglio e Commissione ( causa 264/82, Racc . pag . 849, punto 29 della motivazione ).
( 12 ) Vedasi ordinanza 15 ottobre 1986, citata .