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Document 61986CC0014

    Conclusioni dell'avvocato generale Mancini del 17 marzo 1987.
    Pretore di Salò contro ignoti.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Pretura di Salò - Italia.
    Domanda pregiudiziale - Danneggiamento dell'ambiente.
    Causa 14/86.

    Raccolta della Giurisprudenza 1987 -02545

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1987:136

    61986C0014

    Conclusioni dell'avvocato generale Mancini del 17 marzo 1987. - PRETORE DI SALO'CONTRO X. - DOMANDA DI PRONUNCIA PREGIUDIZIALE, PROPOSTA DALLA PRETURA DI SALO'. - PREGIUDIZIALE - DANNEGGIAMENTO DELL'AMBIENTE. - CAUSA 14/86.

    raccolta della giurisprudenza 1987 pagina 02545
    edizione speciale svedese pagina 00111
    edizione speciale finlandese pagina 00111


    Conclusioni dell avvocato generale


    ++++

    Signor Presidente,

    signori Giudici,

    1 . Nel quadro di un procedimento penale a carico di ignoti, il pretore di Salò ( provincia di Brescia ) vi chiede d' interpretare la direttiva del Consiglio 18 luglio 1978, 78/659, sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci ( GU 1978 L 222, pag . 1 ). Al giudice del rinvio interessa sapere : a ) se la disciplina italiana in tema di tutela delle acque dall' inquinamento sia adeguata ai princìpi e agli obiettivi di qualità posti da tale atto; b ) se le norme di quest' ultimo impongano l' obbligo di conservare la quantità d' acqua che è indispensabile alla sopravvivenza dell' ittiofauna protetta .

    2 . In data 5 luglio 1984 la pretura di Salò ricevette un esposto del "gruppo ecologico pescatori per la salvaguardia del fiume Chiese ". L' associazione denunciava anzitutto le frequenti morie di pesci osservate nel corso d' acqua che, fra il lago d' Idro e il fiume Oglio, scorre attraverso il territorio (" mandamento ") su cui si estende la giurisdizione del detto ufficio giudiziario; sosteneva poi che causa del fenomeno erano soprattutto le forti e improvvise variazioni indotte nella portata del Chiese dai numerosi sbarramenti costruiti a fini d' irrigazione e per usi idroelettrici; chiedeva infine che contro i concessionari, o comunque i responsabili, di tali derivazioni fossero presi provvedimenti non solo a tutela delle specie ittiche, ma anche per ragioni igieniche e di rispetto ambientale .

    L' ordinanza di rinvio precisa che i fatti indicati dagli esponenti corrispondono a una serie di delitti e di contravvenzioni . I primi - danneggiamento aggravato di acque, deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi - sono previsti dagli articoli 635, 625, n . 7, e 632 del codice penale . Le seconde sono contemplate da tre gruppi di norme : gli articoli 6 e 33 testo unico delle leggi sulla pesca ( RD 8 ottobre 1931, n . 1604 ); l' articolo 21 della legge 10 maggio 1976, n . 319, che incrimina l' immissione di sostanze nocive per i pesci nel contesto di una normativa diretta a proteggere le acque dall' inquinamento; gli articoli da 25 a 29 DPR 10 settembre 1982, n . 915, con cui il legislatore italiano ha recepito le direttive del Consiglio 75/442, 76/403 e 78/319, rispettivamente concernenti i rifiuti, lo smaltimento dei policlorodifenili e dei policlorotrifenili e i rifiuti tossici e nocivi .

    Sulla base di tali elementi, il pretore - che, come meglio vedremo più avanti, esercita anche funzioni di pubblico ministero - promosse l' azione penale e provvide ad alcuni atti di istruzione preliminare . Più precisamente, egli acquisì tre esposti che altri gruppi di pescatori gli avevano inviato alcuni anni prima, stralciandoli da un procedimento archiviato il 31 dicembre 1982 : tali informative rilevavano che il Chiese è particolarmente idoneo alla riproduzione dei salmonidi e lamentavano che esso fosse oggetto sia di eccessivi prelievi di acque a fini d' irrigazione o di produzione di energia elettrica, sia di scarichi industriali e urbani di sostanze nocive . In secondo luogo, il pretore chiese ai sindaci dei comuni rivieraschi di fornirgli altre notizie sulla situazione del corso d' acqua .

    A questo punto il magistrato sviluppò il sillogismo che avrebbe messo capo alla nostra causa . Egli ritenne cioè : a ) che le responsabilità penali per il degrado del bacino del Chiese e, in particolare, per la periodica distruzione dell' ittiofauna potessero determinarsi solo sul presupposto e alla luce di norme in cui le acque siano specificamente considerate come ambiente di vita dei pesci; b ) che disposizioni del genere sono contenute nella direttiva 78/659; c ) che è dubbio se la disciplina italiana in materia di tutela delle acque - quale risulta dalla legge n . 319 del 1976 con le successive integrazioni e modifiche e da altre leggi dello Stato e della regione Lombardia relative alla protezione dell' ambiente - sia compatibile con la detta direttiva anche per quanto riguarda la "tutela della quantità delle acque in rapporto alla stessa materiale esistenza dell' ambiente idrico per la vita dei pesci ".

    Secondo il pretore, dunque, la citata fonte comunitaria è al centro del giudizio da lui aperto per almeno tre ragioni : perché è la "premessa essenziale" dei criteri alla cui stregua dovrà svolgersi l' indagine, perché ha "importanza determinante" come "presupposto della normativa penale vigente", perché contiene "innegabili prospettive di allargamento della sfera di tutela penale ". Questa persuasione lo indusse a sospendere il procedimento e a porvi i seguenti quesiti pregiudiziali con ordinanza 13 gennaio 1986 :

    "1 ) Se l' attuale assetto normativo della Repubblica italiana in materia di tutela delle acque dall' inquinamento sia adeguata ai princìpi e agli obiettivi di qualità stabiliti dalla direttiva 78/659 sulla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci .

    2 ) Se gli obiettivi di qualità stabiliti dalla direttiva presuppongano una gestione globale delle acque - cioè la garanzia del regime di deflusso e di quantità - e quindi la necessità di norme in tema di bacini o corsi d' acqua che siano atte a proteggere la costanza del flusso assicurando la conservazione della quantità minima di acque indispensabili allo sviluppo delle specie ittiche ".

    3 . Nelle loro osservazioni scritte e durante l' udienza il governo italiano e la Commissione delle Comunità europee hanno sostenuto l' irricevibilità dell' intera domanda pregiudiziale e, in ogni caso, del quesito n . 1 . Per quanto riguarda la prima, gli argomenti dei due intervenienti fanno leva : a ) sul ruolo del pretore in sede di processo penale; b ) sulla fase processuale in cui ha avuto luogo il rinvio; c ) sul fatto che il procedimento a quo sia a carico di ignoti .

    Cominciamo coi problemi sub a ) e b ) che sono strettamente connessi . Il governo di Roma dubita che nel nostro caso siano osservate le condizioni di cui al comma 2° dell' articolo 177 trattato CEE e, in particolare, si chiede se la domanda provenga da un' autentica "giurisdizione ". Alla base di tali perplessità è l' ambivalenza del pretore, una singolare figura dell' ordinamento giudiziario italiano in cui coesistono funzioni requirenti e funzioni giudicanti . Quando investì la Corte, il pretore di Salò aveva appena promosso l' azione penale e compiuto alcuni atti d' istruzione preliminare . Agiva dunque in veste di pubblico ministero, vale a dire di parte; ed è ovvio che una parte non possa sollevare questioni interpretative . Giudice, in ogni caso, quel magistrato non era . Se infatti la Corte gli darà una risposta tale da indurlo ad escludere la natura criminosa delle derivazioni di acqua, egli dovrà archiviare il procedimento . Ora, il relativo decreto non è suscettibile di formare giudicato, può revocarsi anche a séguito di un diverso apprezzamento dei fatti già noti e non va motivato, così sfuggendo a una garanzia che l' articolo 111 della Costituzione impone agli atti giurisdizionali veri e propri ( vedasi Corte di cassazione, V sezione penale, sentenza 6 dicembre 1984, n . 688, in Cassazione penale, 1985, pag . 1130 ).

    Né questo è tutto, si aggiunge nell' argomento sub b ). Ciò che più colpisce della situazione processuale in cui il pretore ha formulato i quesiti è, per così dire, la sua immaturità : essa è cioè ancora fluida o, meglio, in fieri e lontana dal lasciar intravvedere un qualche esito nella forma di conclusioni anche provvisorie . Allo stato, manca persino la definizione di un' accusa : e - si badi - tale difetto non dipende tanto da un dato soggettivo ( i responsabili delle deviazioni d' acqua sono in realtà noti a tutti ) quanto da un elemento oggettivo com' è l' incerta qualificabilità dei fatti a stregua di delitti e di contravvenzioni .

    In definitiva, il governo italiano ritiene che, essendovi stata rivolta nel quadro di una fase non assistita dalla presenza di un giudice e chiaramente prodromica, la domanda pregiudiziale è in anticipo sui tempi e per ciò stesso scorretta . La sua proposizione, infatti, sottrae l' impiego del meccanismo comunitario previsto dall' articolo 177 alla fase del processo vero e proprio .

    4 . Sulla scorta della vostra giurisprudenza questa tesi non può essere accolta . La sua fondatezza è esclusa in radice dalle pronunce che affermano il carattere comunitario del concetto di "giurisdizione" ai sensi dell' articolo 177 ( 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Goebbels / Beambtenfonds voor het Mijnbedrijf, Racc . 1966, pag . 408; 27 novembre 1973, causa 36/73, NV Nederlandse Spoorwegen / Minister van Verkeer en Waterstaat, Racc . 1973, pag . 1299; 6 ottobre 1981, causa 246/80, Broekmeulen / Huisarts Registratie Commissie, Racc . 1981, pag . 2311 ). Il principio così posto e la conseguente impossibilità di far ricorso ai requisiti che un atto deve soddisfare per avere carattere giurisdizionale secondo i diritti dei vari Stati spogliano, ad esempio, di ogni rilevanza l' argomento tratto dalla natura del decreto d' archiviazione . L' inconsistenza di tale argomento è comunque evidente anche a tener conto dei dati che ci offre il diritto italiano : invero, nel caso dei reati per cui sono competenti il tribunale e la Corte d' assise, il potere di archiviare spetta con le stesse modalità d' esercizio e gli stessi effetti al giudice istruttore, ossia ad un organo sulla cui univocità giurisdizionale non esistono dubbi .

    Ma il punto decisivo è un altro . I criteri che qualificano il concetto comunitario di "giurisdizione" non potrebbero essere più larghi; e ciò spiega perché la Corte abbia ammesso alla facoltà di interrogarla giudici interni di ogni genere, prescindendo dalla natura e dagli scopi dei procedimenti nel cui corso essi sollevano la questione o dalla "veste" più o meno intensamente giurisdizionale che indossano al momento di sollevarla . Di questa schiera i pretori penali italiani fanno parte a pieno diritto; né conta che essi vi indirizzino i loro quesiti da giudicanti o da accusatori poiché le relative funzioni si accavallano, si incastrano e si aggregano in un organismo non scomponibile . Il pretore - è stato scritto assai bene - è un soggetto a cui l' ordinamento giudiziario attribuisce lo statuto di giudice e che a questo titolo "formula l' imputazione dando (( inizio )) al processo, svolge l' investigazione e istruisce (( la causa )) a carico e a discarico, attende al perfezionamento dell' addebito, decide (...) sulla fondatezza dell' accusa disponendo la citazione a giudizio dell' imputato o pronunciandone il proscioglimento e nel dibattimento (...) (( svolge )) un ruolo preponderante" ( Dominioni, Parte "Diritto processuale penale", in Enciclopedia del diritto, vol . XXXI, Milano, 1981, pag . 957 ).

    Certo : questa deroga alla regola ne procedat iudex ex officio, questo concentramento nel medesimo organo di poteri eterogenei fino all' incompatibilità e il fatto che esso li accorpi in un' unica attività funzionale possono dar luogo a reazioni di rigetto . Io stesso trovo difficile digerire un fenomeno così prossimo al modello dell' antico processo inquisitorio; e, più autorevolmente, la Corte costituzionale ha pochi mesi orsono ammonito il legislatore a rimuoverlo dall' ordinamento ( sentenza 10 dicembre 1986, n . 268, GURI, 1a serie speciale, n . 60, pag . 20 ). I tentativi vòlti a temperarlo, separando le funzioni esercitate dal pretore secondo i ritmi degli atti che egli compie in modo da ricondurre la sua figura al consueto schema dualistico, sono dunque comprensibili . Ma ciò non li rende meno errati sul terreno dello ius conditum; non meno esemplari, come ha scritto un noto studioso, della tendenza che hanno molti giuristi a "truccare anche i fatti più ribelli" e ad "architettare formule bizzarre per nascondere la realtà" ( Cordero : Procedura penale, 6a ed ., Milano, 1982, pag . 27 ).

    Ammettiamo comunque che qualcuno, a cui abbia fatto impressione la natura di "parte" attribuita al pretore quando agisce da pubblico ministero, trovi queste osservazioni insufficienti . Egli non ha che da rileggere la sentenza 12 novembre 1974, causa 32/74, Haaga, Racc . 1974, pag . 1201 . La Corte vi si ritenne validamente adita da un giudice a cui era stato richiesto un provvedimento di giurisdizione volontaria : eppure, tutti sanno che in tale settore la "terzietà" del giudice, cioè la sua estraneità rispetto agli interessi da tutelare, non sussiste o è quanto meno discutibile .

    5 . Passiamo all' argomento che critica la domanda pregiudiziale per essere stata posta quando il pretore non aveva ancora qualificato - o, meglio, non poteva ancora qualificare - i fatti sul piano giuridico . Esso ricorda da vicino le parole usate da Lord Denning per definire il momento in cui il rinvio pregiudiziale è più opportuno : "as a rule" - affermò il giudice inglese -"you cannot tell whether it is necessary to decide a point until the facts are ascertained . So in general it is best to decide the facts first" ( Bolmer / Bollinger, 1974 2 All . ER 1226, 1235 ).

    Voi avete, tuttavia, statuito diversamente . Così, la sentenza 10 marzo 1981, cause riunite 36 e 71/80, Irish Creamery Milk Suppliers Association, Racc . 1981 pag . 735, punti 6 e 7, riconosce che, accertando "i fatti della causa" e risolvendo "i problemi di puro diritto nazionale" prima del rinvio, il giudice avvantaggia la Corte . "Cionondimeno - essa aggiunge - queste considerazioni non limitano affatto il potere discrezionale" del rinviante . Solo ad aver "conoscenza diretta dei fatti della causa e degli argomenti delle parti" e solo "ad assumere la responsabilità" dell' emananda decisione, egli è invero "colui che meglio di ogn' altro può valutare in quale stadio del procedimento (...) occorra una pronunzia pregiudiziale ". La scelta del momento idoneo per la proposizione della domanda dipende dunque "da considerazioni di economia e di utilità processuali (( il cui apprezzamento )) spetta al giudice stesso" ( punto 8 della motivazione ) ( vedasi anche sentenza 10 luglio 1984, causa 72/83, Campus Oil Ltd . e altri, Racc . 1984, pag . 2727, punto 10 della motivazione ).

    A mio avviso, l' orientamento così ricordato è pienamente conforme allo spirito dell' articolo 177 . Si aggiunga che esso è condiviso dalla dottrina migliore ( vedasi Waelbroek : "Commentaire à l' article 177", in AA.VV ., Le droit de la Communauté économique européenne, Bruxelles, 1983, vol . 10, Tome 1, pag . 208 ) e che coincide con quello della Corte costituzionale italiana . Proprio in relazione al tema di cui ci stiamo occupando, la sentenza 18 aprile 1974, n . 104 ( Giurisprudenza costituzionale, 1974, I, pag . 878 ) ha infatti giudicato ammissibili le ordinanze di rimessione emesse dai pretori in limine litis o addirittura prima che sia stata promossa l' azione penale e iniziata l' attività istruttoria .

    6 . Il terzo motivo per cui la domanda del pretore di Salò sarebbe irricevibile risiede nello stadio in cui si trova il procedimento a quo ed è stato sviluppato soprattutto dalla Commissione . Secondo quest' ultima, il fatto che tale procedimento sia a carico di ignoti comporta due conseguenze alternative ed entrambe inaccettabili : rendere la sentenza della Corte praticamente inutile o dar luogo nella nostra sede a una grave compressione del diritto di difesa .

    E' vero - afferma anzitutto l' istituzione - che dieci anni fa la Corte non si rifiutò di rispondere al pretore di Cento, sebbene anch' egli le si fosse rivolto nel quadro di un processo contro ignoti ( sentenza 5 maggio 1977, causa 110/76, Racc . 1977, pag . 851 ). Quel magistrato, tuttavia, aveva sollevato una questione di procedura e comunque puntuale; vi aveva chiesto cioè se la Comunità potesse considerarsi parte lesa nel giudizio da lui aperto e la vostra interpretazione gli era necessaria per stabilire se egli dovesse notificarle l' avvenuto inizio del procedimento . Per contro, il pretore di Salò vi chiede di aiutarlo, interpretando la direttiva 78/659, ad accertare se i fatti denunziati dai pescatori del suo mandamento siano o no qualificabili come reati . Ora, una simile domanda ricorda i celeberrimi problemi che vi pose il pretore di Bra nella causa 244/80, Foglia / Novello ( per cui vedasi sentenza 16 dicembre 1981, Racc . 1981, pag . 3045 ); anche in essa, infatti, c' è un sentore di artificioso o di fittizio e, benché sotto un profilo diverso, c' è la concreta prospettiva di farvi lavorare a vuoto . La ragione è ovvia . Esiste il rischio che il pretore non riesca a dar un nome agli imputati; e se esso si avverasse, il procedimento non sarebbe suscettibile di perfezionarsi . Lo stesso pretore dovrebbe cioè porvi termine con un decreto di archiviazione .

    Supponiamo tuttavia - ha aggiunto la Commissione in udienza - che il nostro magistrato acquisisca elementi sufficienti a identificare i responsabili degli sbarramenti eretti sul Chiese e immaginiamo altresì che la Corte risponda al suo secondo quesito com' egli auspica : che cioè ravvisi nei parametri di qualità imposti dalla direttiva un obbligo di conservare la quantità d' acqua necessaria alla vita dei pesci . In un' ipotesi del genere, è da presumere che il pretore rinvii a giudizio gli imputati contestando loro un reato - la deviazione abusiva di acque - per cui l' articolo 632 del Codice penale prevede la reclusione fino a tre anni e la multa fino a lire 400 000 .

    Ebbene, questa situazione sarebbe ancora più grave di quella prospettata in precedenza . I responsabili degli sbarramenti, infatti, rischierebbero una pesante misura restrittiva della libertà personale senza essere stati in grado di intervenire nel presente procedimento, sia perché l' ordinanza di rinvio non poteva venir loro notificata, sia perché, non essendo ancora parti del giudizio a quo, l' articolo 20 del protocollo sullo statuto della Corte li escludeva dalla facoltà di presentare osservazioni . Né è detto che di tale facoltà essi riescano a giovarsi in avvenire, se è vero che il pretore potrebbe considerare la questione interpretativa già risolta e pertanto non più riproporla . L' attuale domanda, insomma, viola potenzialmente il loro diritto di difesa, che qui si estrinseca nella possibilità di esporre dinanzi alla Corte le tesi per essi più vantaggiose sull' interpretazione della direttiva 78/659; e da questa sua attitudine a comprimere una garanzia così importante la Corte deve trarre le conseguenze dichiarandola irricevibile .

    7 . Gli argomenti della Commissione non mi sembrano più persuasivi di quelli che ha avanzato il governo italiano . Così, il discorso relativo al diritto di difesa degli imputati è proponibile solo a patto di ignorare o di minimizzare la peculiarità del giudizio ex articolo 177 e della posizione che nel suo àmbito occupano le parti .

    Che la procedura pregiudiziale sfugga alla regola del contraddittorio è un dato acquisito da tempo . Già l' ordinanza 3 giugno 1964 ( causa 6/64, Costa / Enel, Racc . 1964, pag . 1177 ) affermò che l' articolo 177 "non contempla un procedimento contenzioso inteso a dirimere una lite, bensì istituisce un procedimento speciale" per mezzo del quale il giudice chiede "l' interpretazione delle norme comunitarie da applicarsi nelle liti dinanzi ad esso pendenti"; e da tale principio la pronuncia 9 dicembre 1965 ( causa 44/65, Hessische Knappschaft / Singer et fils, Racc . 1965, pag . 950 ) trasse la conseguenza che "è esclusa qualsiasi iniziativa delle parti ". Queste sono "semplicemente invitate a presentare le loro osservazioni" ( in senso conforme vedasi le ordinanze 14 luglio 1971, causa 6/71, Rheinmuehlen / Einfuhr-und Vorratsstelle Getreide, Racc . 1971, pag . 719, e 18 ottobre 1979, causa 40/70, Sirena / Eda, Racc . 1979, pag . 3169 ).

    Sul punto, tuttavia, la sentenza più significativa, anche per il filo evidente che la lega al nostro problema, fu emessa il 16 giugno 1981 ( causa 126/80, Salonia, Poidomani e Giglio, Racc . 1981, pag . 1563 ). Il giudice interno vi aveva chiesto di pronunciarvi sulla compatibilità col diritto comunitario di un accordo collettivo i cui contraenti - due sindacati di editori e di distributori di giornali - non erano parti della controversia principale e non potevano quindi sottoporvi le loro osservazioni . Voi respingeste l' invito a dichiarare la domanda irricevibile, rivoltovi per questo motivo dai convenuti nella stessa controversia, con un ragionamento forse un po' ellittico, ma tale da lasciar intendere che l' assenza dei firmatari non comprometteva la competenza della Corte : "l' applicazione dell' articolo 177 - statuiste infatti - è legata unicamente all' esigenza di consentire ai giudici nazionali di disporre di tutti gli elementi utili di diritto comunitario che sono loro necessari ai fini dell' emananda sentenza" ( punto 8, il corsivo è mio ).

    A quali esiti teorici dia luogo il quadro così tracciato mi sembra evidente : destinatario della vostra decisione interpretativa è solo il giudice che l' ha richiesta, mentre le parti della causa a qua ne trarranno conseguenze indirette e di mero fatto, perché mediate dalla sentenza nazionale che ai loro fini resta l' unico provvedimento munito di efficacia giuridica . Da ciò deriva, per usare concetti correnti nella dottrina italiana, che a Lussemburgo esse sono non parti in senso sostanziale - ossia protagonisti del conflitto su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi - ma parti in senso formale . Così infatti è definito il soggetto che, senza essere necessariamente titolare del diritto dedotto in giudizio, sia autorizzato a svolgere un' attività processuale, ad esempio per la realizzazione di un interesse altrui o per la corretta interpretazione delle norme applicabili al caso ( cfr . in tal senso, Ferrari-Bravo : "Commento all' articolo 177", in AA.VV ., Commentario al trattato CEE, Milano, 1965, vol . III, pag . 1319, e Monaco, Le parti nel processo comunitario, in Studi Morelli, Milano, 1975, pag . 574 e seguenti ).

    Se dunque a questo si riduce il ruolo delle parti nel processo pregiudiziale, se tale processo ha per obiettivo un' indagine che supera gli interessi contingenti di cui esse sono portatrici perché mira a determinare in modo strettamente obiettivo e tendenzialmente astratto il preciso contenuto delle norme comunitarie; se tutto ciò è vero, ripeto, mi pare difficile intendere la facoltà di svolgere osservazioni scritte come un aspetto del diritto di difesa . La tutela di tale garanzia è semmai destinata a realizzarsi nell' àmbito del procedimento principale . Sarà cioè il giudice nazionale a dover stabilire se l' assenza delle parti a Lussemburgo si sia riflessa negativamente sulle loro possibilità di successo davanti a lui; e ove ritenga che un simile effetto v' è stato, nulla gli vieterà di reinterrogare la Corte sollevando all' occorrenza i medesimi quesiti ( sentenza 24 giugno 1968, causa 29/68, Milch-,Fett - und Eierkontor / Hauptzollamt Saarbruecken, Racc . 1969, pag . 165, punto 3 della motivazione, e, di recente, ordinanza 5 marzo 1986, causa 69/85, Wuensche, Racc . 1986, pag . 947, punto 15 della motivazione; com' è ovvio, le due pronunce confutano altresì il rilievo del governo italiano su cui ho riferito al n . 3, in fine ).

    8 . Ancora più fragili sono gli argomenti con cui si cerca di dimostrare che la vostra interpretazione rischia d' essere inutiliter data . Mi libero subito del parallelo che la Commissione istituisce tra la causa a qua e Foglia / Novello . Negli anni '60 e '70, è vero, numerosi pretori dimenticarono che "enthusiasm is not and cannot be a judicial virtue" ( Lord Devlin : "Judges and Lawmakers", 39, Modern Law Review ( 1976 ) pag . 1 e seguenti ), praticando un' attivismo avventuroso e a volte irresponsabile . Questo fenomeno, tuttavia, è in pieno regresso ed io escludo che il caso in esame ne rappresenti un vestigio . E' immaginabile, voglio dire, che un giudice si lasci convincere a veicolare nella vostra sede una questione postagli dalle parti di una controversia civile più o meno chiaramente "fabbricata"; ma che egli stesso "fabbrichi" un processo penale pur di ottenere da voi una pronuncia interpretativa e sulla sua base realizzare una personale politica del diritto mi sembra francamente inconcepibile .

    Venendo al cuore del problema, la tesi della Commissione è già messa in difficoltà dalla formula fortemente restrittiva che la Corte ha usato per definire i casi in cui una sua pronuncia è davvero inutile : quest' ipotesi - avete detto infatti - si avvera "soltanto se risulti in modo manifesto che l' interpretazione del diritto comunitario (...) non (( ha )) alcuna relazione con l' effettività o l' oggetto della causa principale" ( sentenze 16 giugno 1981, citata, punto 6 della motivazione, 26 settembre 1985, causa 166/84, Thomasduenger, Racc . pag . 3001, punto 11 e 19 dicembre 1968, causa 13/68, Salgoil, Racc . 1968, pag . 601 ). Non meno eloquente è poi la considerazione dei risultati a cui il ragionamento della Commissione mette capo ove lo si sviluppi con rigore . Sulla sua base, ad esempio, la vostra pronuncia sarebbe inutile anche se il pretore identificasse gli imputati, ma ritenesse di non doverli rinviare a giudizio per mancanza di dolo o di colpa . Dico di più : spinto alle sue estreme conseguenze, quel ragionamento esclude la proponibilità del rinvio in tutti i processi penali finché non siano conclusi l' istruzione o persino il dibattimento; e in ogni caso la subordina alla condizione che sia stata accertata l' esistenza degli elementi del reato non dipendenti dal diritto comunitario .

    A battere in breccia l' opinione che sto esaminando è, tuttavia, un altro argomento . Nel suo nucleo essenziale, anch' essa è in contrasto con le regole poste dalla citata sentenza Irish Creamery Milk Suppliers Association ( supra, n . 5 ) e, più in generale, col principio su cui quest' ultima si fonda : la ripartizione di competenze tra giudice interno e Corte di Lussemburgo . Il perché è evidente . Ne sia o non ne sia consapevole, la Commissione vi chiede di disporre che a voi spetta non solo interpretare la norma comunitaria, ma anche stabilire se il giudice debba o possa far uso della vostra interpretazione nella lite pendente davanti a lui . A questo, infatti, equivarrebbe un rifiuto di rispondergli motivato dall' inutilità ( in concreto : dalla dubbia usabilità ) della pronuncia interpretativa in un processo troppo immaturo per dar garanzie di perfezionamento; e questo vieta coerentemente la sentenza 28 marzo 1979, causa 222/78, ICAP / Beneventi, Racc . 1979, pag . 1163, punti 11 e 12 della motivazione .

    9 . La domanda è dunque ricevibile nel suo insieme . Si può dire lo stesso del primo quesito? La Commissione lo nega per due ragioni : il giudice - essa osserva - vi chiede in sostanza di stabilire se l' Italia ha correttamente attuato la direttiva 78/659 e, anziché far riferimento a un disposto o a un gruppo delimitato di disposti, si esprime in termini vaghi e generali . Oggetto del giudizio di compatibilità è infatti "l' attuale assetto normativo della Repubblica italiana in materia di tutela delle acque dall' inquinamento ".

    Questi argomenti sono fondati . E' vero, in altre parole, che una causa pregiudiziale non può servire ad accertare l' inadempimento di uno Stato ai suoi obblighi comunitari ( giurisprudenza sterminata e costante; da ultimo vedasi sentenza 9 ottobre 1984, cause 91 e 127/83, Heineken Brouwerijen, Racc . 1984, pag . 3435 ); come è vero che il quesito ha una forma troppo indeterminata per mettere in luce "gli aspetti attinenti all' interpretazione del diritto comunitario" e, da qui, "per prestarsi ad un' utile soluzione" ( sentenze 21 marzo 1972, causa 82/71, Pubblico ministero / Società agricola industria latte, Racc . 1972, pag . 119, punto 3 della motivazione, e 28 marzo 1979, ICAP, citata, punto 20 della motivazione ). Ciò detto, nell' ipotesi che la Corte non accolga la mia conclusione, ritengo opportuno mettere in rilievo : a ) che col numero 322/86 pende davanti a voi un ricorso ex articolo 169 in cui la Commissione vi chiede di constatare la mancata recezione della nostra direttiva da parte dell' Italia; b ) che tra le metodologie d' intervento fatte proprie dalle due discipline, l' italiana e la comunitaria, esiste effettivamente un notevole divario .

    La legge n . 319 del 1976, infatti, mira, sì, a tutelare le acque dall' inquinamento, ma lo fa in modo indiretto : più precisamente, anziché imporre requisiti di qualità e prescrivere i loro valori-limite, essa disciplina le caratteristiche di alcuni tra gli scarichi che provengono da insediamenti produttivi o civili e ne stabilisce i limiti di accettabilità, cioè i massimi di concentrazione inquinante . Salvo qualche eccezione, poi, tali limiti sono fissati in modo identico per tutto il territorio nazionale; prescindono quindi dalla destinazione, dalla vocazione e dall' utilizzazione del corpo idrico recettore . Al contrario, le direttive comunitarie e, in particolare, la 78/659 intervengono su beni ambientali specifici ( così le acque destinate alla vita dei pesci ) e li identificano per gli usi che se ne fanno . Esse si preoccupano pertanto di determinare la qualità finale del corpo recettore e a questo fine fissano i valori-limite dei parametri di riferimento ( F . e P . Giampietro : Commento alla legge sull' inquinamento delle acque e del suolo, 2a ed ., Milano, 1981, pag . 349 e seguenti ).

    10 . Il secondo quesito è diretto ad accertare se i parametri di qualità dettati dalla direttiva importino la conservazione della quantità d' acqua indispensabile alla vita dei pesci .

    Il governo italiano vi suggerisce di rispondere negativamente . A suo avviso, il solo obiettivo che la direttiva persegue esigendo una tutela qualitativa delle acque è la salvaguardia del patrimonio ittico dalle conseguenze nefaste - riduzione o estinzione di certe specie - che provoca lo scarico di sostanze inquinanti . Altre forme di gestione delle acque non sono imposte direttamente; in particolare, nessuna norma obbliga gli Stati a valutare la situazione complessiva del sistema idrografico a cui appartengono le acque dolci . Ciò non implica, naturalmente, che le amministrazioni nazionali debbano restare inerti . Così, nel predisporre i programmi vòlti a ridurre l' inquinamento e nell' adottare le misure rese necessarie dal superamento del valore-limite ( articoli 5 e 7, paragrafo 3 ), quelle autorità possono considerare lo stato del corpo idrico nel suo complesso e promuovere gli interventi di cui v' è bisogno per l' attuazione del risultato che la direttiva ha di mira .

    L' argomento è suggestivo, ma non resiste a un' interpretazione sistematica dell' atto comunitario . La Commissione, infatti, ha osservato che almeno undici dei quattordici parametri previsti dall' allegato I sono indicati in milligrammi per litro e che i relativi valori massimi possono essere superati in due modi : effettuando o tollerando soverchie immissioni di sostanze nocive alla vita dei pesci o diminuendo eccessivamente la quantità d' acqua in cui tali sostanze sono sciolte . Ebbene, se questo rilievo è esatto, mi sembra difficile non ammettere che gli Stati siano tenuti a impedire prelievi eccessivi delle "acque designate", dal momento che essi comportano in maniera automatica un brusco aumento della concentrazione di sostanze nocive nell' acqua rimasta . Si legga, del resto, l' articolo 7, paragrafo 3 : qualora risulti - esso dispone - che un valore stabilito dalle autorità nazionali non è rispettato, "lo Stato membro accerta se tale mancata osservanza (( è )) fortuita o (...) conseguenza di un fenomeno naturale (( le alluvioni o le altre calamità previste nell' articolo 6, paragrafo 2 )*)) (...) e adotta le misure appropriate" ( il corsivo è mio ).

    V' è di più . La Commissione ha giustamente messo in rilievo che, nello spirito della direttiva, la protezione delle "acque designate" è non un fine in sé, ma un mezzo atto a garantire la sopravvivenza delle specie ittiche a cui fa riferimento l' articolo 1, paragrafo 3; dalla concentrazione di sostanze nocive, dunque, quelle acque sono tutelate soprattutto come habitat dei pesci che in esse vivono o potrebbero vivere se l' inquinamento fosse eliminato . Ora, quest' affermazione ha un corollario evidente : se gli Stati fossero liberi di consentire prelievi che provochino un aumento della detta concentrazione o riducano la quantità d' acqua oltre il limite indispensabile alla vita delle specie protette, l' effetto utile non dell' uno o dell' altro disposto, ma della direttiva nel suo insieme sarebbe interamente vanificato .

    11 . Come ho ricordato esaminando i fatti di causa ( supra, n . 2 ), la ragione che ha persuaso il pretore di Salò a chiedervi d' interpretare la direttiva 78/659 sta nella sua rilevanza rispetto al processo da lui instaurato in quanto "presupposto" della disciplina penale vigente e in vista dell' "innegabile allargamento" che da essa verrebbe alla "sfera di tutela penale ". Il magistrato sembra dunque postulare - benché non lo dica expressis verbis e tanto meno vi domandi di pronunciarvi sulla sua ipotesi - che una direttiva non attuata o attuata in modo scorretto possa imporre ai privati obblighi di condotta la cui violazione sia penalmente sanzionabile da parte del diritto interno .

    Per parte mia, osservo : a ) che la direttiva si applica alle sole "acque designate dagli Stati membri" ( articoli 1, paragrafo 1, e 4 ); b ) che gli Stati devono fissare valori-limite solo rispetto a tali acque ( articolo 3 ); c ) che agli Stati è lecito stabilire valori più rigorosi di quelli indicati nell' allegato I ( articolo 9 ); d ) che gli Stati non sono tenuti ad assistere con sanzioni penali le misure pretese dall' articolo 17, ma che nulla vieta loro di farlo . Da questo sommario esame - mi sembra - si evince che l' atto lascia ai legislatori nazionali un' ampia discrezionalità, specie per quanto riguarda la designazione delle acque e, di qui, che i suoi disposti non soddisfano i requisiti - chiarezza, precisione, carattere incondizionato - da cui la vostra giurisprudenza fa dipendere l' idoneità a produrre effetti diretti .

    Aggiungo che nella recente sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall / Southampton and South West Hampshire Area Health Authority ( Teaching ), Racc . 1986, pag . 723, la Corte ha statuito : "il convient de souligner que selon l' article 189 du traité, le caractère contraignant d' une directive, sur lequel est fondée la possibilité d' invoquer celle-ci devant une juridiction nationale, n' existe qu' à l' égard de 'tout Etat membre destinataire' . Il s' ensuit qu' une directive ne peut pas par elle même créer d' obligations dans le chef d' un particulier et qu' une disposition d' une directive ne peut donc pas être invoquée en tant que telle à l' encontre d' une telle personne" ( punto 48 della motivazione ). La premessa di questo attendu mi lascia - devo dirlo - alquanto perplesso; ma concordo con la sua conclusione, almeno in quanto la si intenda nel senso che la direttiva non può da sola imporre al privato obblighi verso la pubblica amministrazione . Riconosco in ogni caso che la pronuncia citata tronca ogni discussione sulla fondatezza del postulato sulla cui base il pretore di Salò sembra formulare la sua domanda .

    Non per questo, tuttavia, la domanda diviene irrilevante . In corso d' udienza, l' agente del governo italiano ha come noi escluso che dalla direttiva discendano comandi o divieti riferibili a persone fisiche ( o giuridiche ), così negandone l' attitudine, anche indiretta, a costituire un presupposto di fattispecie di reato . Egli ha riconosciuto peraltro che l' atto in esame può agire nel senso di aggravare le violazioni della legge penale condita o condenda . Una risorsa idrica "designata" dallo Stato nei modi previsti dalle norme comunitarie è infatti un bene giuridico che, in quanto garantisce risultati utili per l' intera Comunità, presenta un valore particolare; i reati di cui quella risorsa sia oggetto possono quindi comportare una pena più severa perché colpiscono non acque qualsiasi, ma acque meritevoli di una protezione più energica ( articolo 133, comma 1°, del codice penale ).

    L' osservazione mi sembra corretta; e alla sua luce è lecito dire che, una volta attuato il suo articolo 4, la direttiva può incidere sul giudizio aperto dal pretore per lo meno nella misura in cui la tutela penale viene ad esserne intensificata . La "designazione" del Chiese, eventualmente compiuta prima che il processo si concluda, sarebbe infatti ius superveniens; ma questa sua caratteristica resterebbe ininfluente perché la gravità del danno arrecato ha con ogni evidenza rilievo oggettivo .

    12 . Per tutte le considerazioni che precedono, vi suggerisco di rispondere come segue ai quesiti posti dal pretore di Salò con ordinanza 13 gennaio 1986 nel quadro di un procedimento contro ignoti :

    "1 ) L' articolo 177 del trattato CEE si fonda su una netta separazione tra le competenze dei giudici nazionali e quelle della Corte comunitaria . Esso non consente dunque a quest' ultima di statuire sulla compatibilità dell' intera legislazione italiana in tema di tutela delle acque dall' inquinamento con la direttiva del Consiglio 18 luglio 1978, 78/659, relativa alla qualità delle acque dolci che richiedono protezione o miglioramento per essere idonee alla vita dei pesci .

    2 ) I parametri di qualità, di cui all' allegato I della direttiva n . 78/659, sono per gran parte indicati in termini di milligrammi per litro; d' altro canto, la tutela delle acque idonee alla vita dei pesci sotto il profilo della qualità implica che le acque non siano oggetto di prelievi eccessivi e comunque tali da frustrare il fine a cui essa mira . Da questi dati discende in capo agli Stati membri l' obbligo di assicurare la conservazione della quantità d' acqua indispensabile alla sopravvivenza delle specie ittiche protette rispetto alle risorse idriche che essi qualifichino come 'acque designate' ai sensi della direttiva medesima ( articolo 4 )".

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