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Document 61984CC0249

Conclusioni dell'avvocato generale VerLoren van Themaat del 10 luglio 1985.
Pubblico ministero e ministero delle finanze contro Venceslas Profant.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour d'appel de Bruxelles - Belgio.
IVA all'importazione: applicazione alle autovetture private.
Causa 249/84.

Raccolta della Giurisprudenza 1985 -03237

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1985:314

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

PIETER VERLOREN VAN THEMAAT

del 10 luglio 1985 ( *1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

I. Gli antefatti

I.1. Osservazioni introduttive

La presente causa verte sulla disciplina delÌTVA per un'autovettura appartenente ad uno studente, cittadino lussemburghese, residente in Lussemburgo, ma temporaneamente iscritto nel registro degli stranieri in Belgio in relazione ai suoi studi universitari. Detto studente abitava in Belgio unitamente alla moglie (originariamente cittadina francese ed in seguito naturalizzata lussemburghese), che ivi svolgeva un'attività lavorativa. Al temine dei propri studi egli faceva ritorno in Lussemburgo. La causa riveste indirettamente un interesse per tutti gli studenti che effettuano temporaneamente i loro studi in un altro Stato membro benché tale interesse sia in parte venuto meno in seguito all'entrata in vigore della direttiva n. 83/182/CEE di cui si parlerà in seguito. Come è noto, tali studi temporanei in un altro Stato membro sono già da molti anni favoriti in misura crescente dalla Comunità. La presente controversia è però indirettamente rilevante, in particolare, per tutti gli studenti universitari lussemburghesi. Come è noto, essi sono soliti effettuare i loro studi universitari in un altro Stato membro. Per lo più essi scelgono un'università che sia abbastanza vicina al Lussemburgo da consentire loro di ritornare regolarmente (durante i fine settimana e le vacanze) al loro luogo di residenza in Lussemburgo. Per questi trasferimenti fra il luogo di residenza e l'università essi fanno anche frequentemente uso di un'autovettura con targa lussemburghese e per la quale è stata altresì pagata l'IVA in Lussemburgo. Alla luce degli esempi fatti dalla Commissione nella causa Abbink (sentenza 11 dicembre 1984, causa 134/83, Race. 1984, pag. 4097) si evita così fra l'altro che lo studente interessato si renda responsabile di un'infrazione per l'uso in Lussemburgo di un'autovettura con targa belga.

Nella presente controversia la questione di fondo consiste nello stabilire entro quali limiti l'esenzione dell'IVA all'importazione temporanea, usuale in Belgio in casi del genere, possa non essere applicata senza trasgredire il diritto comunitario qualora lo studente abbia un secondo domicilio temporaneo in Belgio (o una residenza normale) unitamente alla moglie (che ivi svolge attività lavorativa). Anche altri fatti concreti rivestono importanza per la valutazione della questione.

La presente controversia si differenzia sostanzialmente dalla causa Carciati (sentenza in causa 839/79, Race. 1980, pag. 2773), che ha svolto un ruolo determinante anche nella precitata causa Abbink, nella misura in cui nella fattispecie non si tratta dell'uso professionale, da parte di un cittadino con residenza stabile nel paese importatore, di un'autovettura temporaneamente importata.

Per la valutazione del caso di specie vengono in rilievo sia la normativa belga in materia di IVA e la sua prassi applicativa sia gli altri fatti alla base del procedimento pendente dinanzi al giudice nazionale. Tale procedimento del resto non riguarda la riscossione dell'IVA su un'autovettura importata in Belgio. Esso presenta invece un carattere penale. Ho ripreso sostanzialmente l'esposizione dei fatti rilevanti dalla relazione d'udienza tenendo però conto dei chiarimenti forniti dal governo belga. Ho inoltre aggiunto i chiarimenti dati in udienza, in risposta ad un quesito della Corte, in ordine al pagamento delle spese di studio e di mantenimento dell'imputato nella causa principale.

Il rinvio alla relazione d'udienza nel modo suindicato ha naturalmente il vantaggio di fornire una base di fatto per la valutazione in ordine alla quale non solo concordano il giudice relatore e l'avvocato generale ma si tiene altresì conto delle osservazioni delle parti sulla relazione d'udienza.

I.2. La normativa belga pertinente

In Belgio, il codice dell'imposta sul valore aggiunto, introdotto con legge 3 luglio 1969, all'art. 2, definisce l'IVA come un tributo sulle « cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate da un soggetto d'imposta nell'esercizio della sua attività professionale (...) ». A norma dell'art. 3 di detta legge « sono altresì soggette all'imposta le importazioni di beni da chiunque effettuate ». Ai sensi dell'art. 23, per importazione va intesa « l'introduzione di un bene sul territorio belga (...) ». L'IVA è dovuta nel momento in cui il bene viene introdotto nel territorio (art. 24, 1o comma, del codice).

L'art. 40, § 1o del codice, contempla la possibilità di esentare dall'IVA l'importazione temporanea di determinati beni. Così l'art. 23 del regio decreto 27 dicembre 1977, n. 7, relativo alle importazioni di beni per l'applicazione dell'IVA (Moniteur belge del 31.12.1977), adottato in applicazione dell'art. 40 del codice, dispone che possono essere temporaneamente importati in esenzione dall'imposta i beni di cui ad un elenco allegato al decreto; tale elenco cita, al punto 2o, i « mezzi di trasporto ». Ai sensi dell'art. 23, § 2, del regio decreto, l'esenzione viene concessa alle condizioni di cui alla normativa che disciplina le esenzioni in materia di dazi doganali all'importazione.

Ai sensi dell'art. 25, § 3, lett. a), del decreto ministeriale 17 febbraio 1960, che disciplina le esenzioni in materia di dazi doganali all'importazione, l'esenzione si applica solamente ai mezzi di trasporto che vengono importati « da persone fisiche che hanno la residenza principale all'estero e che utilizzano i mezzi di trasporto per uso personale ». Per l'applicazione di questa disposizione vengono considerate principalmente residenti all'estero, fra l'altro, le persone che pur svolgendo la loro attività lavorativa in Belgio, Lussemburgo o Paesi Bassi, ritornano all'estero perlomeno una volta al mese, qualora la loro famiglia sia ivi stabilita o, se non hanno famiglia, siano ivi iscritte nei registri della popolazione (art. 25, § 3 bis, lett. d)). A norma del § 3 quater, lett. a), del precitato art. 25, per le persone coniugate va inteso come luogo di stabilimento della famiglia il domicilio familiare.

Dagli atti di causa risulta che, a norma dell'art. 25 del precitato regio decreto, le autorità belghe concedono di solito, agli studenti lussemburghesi la cui residenza principale si trovi nel Granducato e che studino presso un istituto di insegnamento in Belgio, l'esenzione temporanea per i loro autoveicoli immatricolati nel Granducato. Tuttavia gli studenti coniugati vengono esclusi dal beneficio qualora risulti che in seguito al matrimonio essi hanno stabilito il loro nuovo nucleo familiare, e di conseguenza anche la loro residenza normale, in Belgio.

I.3. Gli altri fatti rilevanti

Il sig.V. Profant, cittadino lussemburghese, si recava nel 1976 in Belgio per studiare zoologia presso l'università di Liegi. Durante i suoi studi — conclusi nel 1981 — egli risultava iscritto dal 21 ottobre 1976 nel registro degli stranieri in Liegi. Tuttavia egli rimaneva iscritto anche all'anagrafe del comune di Diekirch (Granducato di Lussemburgo) in quanto abitante presso la madre ivi residente.

Il 15 settembre 1978, il Profant sposava la sig.na C. Kaiser — di nazionalità francese, ora naturalizzata lussemburghese —, e da questo momento abitava con quest'ultima in Liegi dove essa era iscritta dal 6 ottobre 1977 nel registro degli stranieri e lavorava come infermiera dal 3 gennaio 1978. I coniugi erano ambedue iscritti nel registro degli stranieri in Liegi; il Profant continuava ad essere iscritto all'anagrafe del comune di Diekirch, luogo di residenza della madre. Inoltre i genitori, come risulta dalla risposta data ad un quesito rivolto in udienza, continuavano a finanziare le sue spese di studio e di soggiorno in Liegi anche dopo il matrimonio (15000 BFR al mese), pagando altresì l'autovettura da egli acquistata. Terminati gli studi nel 1981, il Profant ed il coniuge ritornavano a Lussemburgo.

Per coprire il percorso fra Liegi e il Granducato di Lussemburgo il Profant utilizzava l'una dopo l'altra, dal 1978, due autovetture acquistate nel Granducato con pagamento dellTVA lussemburghese e ivi immatricolate. La prima, un'Alfa Romeo, veniva venduta nel 1979 e ritornava nel Granducato; la seconda, una Volkswagen, veniva portata con loro dai coniugi Profant nel 1981, al loro rientro in Lussemburgo.

Nel 1980, l'amministrazione fiscale belga comunicava al Profant che poiché in seguito al suo matrimonio avvenuto nel 1978 egli aveva la sua residenza abituale in Liegi doveva pagare PIVA su ognuna delle due autovetture. Tuttavia, visto che l'Alfa Romeo era stata venduta nel 1979, l'amministrazione gli proponeva di pagare un'ammenda di 1500 BFR. Per quel che riguarda la Volkswagen il Profant avrebbe dovuto pagare IWA al 25% e cioè 42238 BFR. Avendo egli respinto questa proposta, al Profant veniva imposto il pagamento di un importo di circa 100000 BFR. Poiché tale somma non era stata pagata entro i termini, le autorità fiscali ricorrevano dinanzi al tribunale di prima istanza di Liegi per ottenere la confisca di ambedue le autovetture e, in via subordinata, il pagamento del loro rispettivo controvalore, cioè di 61565 BFR e 168950 BFR. In prima istanza tale domanda veniva integralmente accolta. La sentenza veniva confermata in secondo grado dalla corte di appello di Liegi nel dicembre 1983.

Nel maggio 1984, la sentenza della corte d'appello di Liegi veniva annullata dalla corte di cassazione. Nella sentenza impugnata non venivano indicate né in sede di motivazione né per rinvio alla sentenza a quo, le pertinenti disposizioni di legge. La causa veniva rinviata alla corte d'appello di Bruxelles la quale pronunziava, nel luglio 1984, una sentenza in contumacia conformemente alla sentenza della cassazione. Il Profant impugnava questa sentenza dinanzi al medesimo giudice. Con sentenza 26 settembre 1984, la corte d'appello di Bruxelles dichiarava irricevibile la domanda delle autorità fiscali nella misura in cui essa verteva sull'uso in Belgio dell'Alfa Romeo in quanto per questa azione penale erano decorsi i termini di prescrizione dal 14 agosto 1984.

Ritenendo che, per quel che riguarda l'uso della Volkswagen, insorgessero nella controversia questioni d'interpretazione del diritto comunitario, con sentenza 26 settembre 1984, la corte d'appello ha deciso, in forza dell'art. 177 del trattato CEE, di riservare la propria sentenza sino alla pronunzia della Corte di giustizia sulla seguente questione pregiudiziale:

« Se le disposizioni della legge belga 3 luglio 1969 che istituisce la disciplina relativa alla tassa sul valore aggiunto, come sono state interpretate dal ministero delle finanze, non siano nella fattispecie incompatibili con la disciplina comunitaria in materia di libera circolazione delle merci e dei servizi, in quanto dette norme, e in particolare gli artt. 23 e 24, hanno istituito, con la denominazione di tassa sul valore aggiunto, un vero dazio doganale ».

A quanto appare dalla motivazione della sentenza di rinvio, la corte d'appello di Bruxelles si è posta la questione se una doppia imposizione dellTVA, a cui sia assoggettato un cittadino lussemburghese che abbia acquistato la sua autovettura in Lussemburgo, utilizzandola però principalmente in Belgio, non sia in contrasto con il diritto comunitario.

II. Osservazioni presentate alla Corte

Il Profant, imputato nel procedimento principale, sostiene che il tributo che gli è stato imposto nel caso di specie non può essere considerato come IVA. Si tratta piuttosto di un tributo all'importazione di un bene, e pertanto di un dazio doganale dissimulato. Viste le particolari circostanze del caso di specie, tale tributo è tuttavia chiaramente contrario alle norme comunitarie in materia di libera circolazione delle merci.

Il governo belga osserva in primo luogo che il Consiglio, dopo i fatti di cui è causa, ha adottato la direttiva 28 marzo 1983, n. 83/182/CEE, relativa alle franchigie fiscali applicabili all'interno della Comunità in materia di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto (GU 1983, L 105, pag. 59). Ai sensi dell'art. 10 di questa direttiva, gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva stessa entro il 1o gennaio 1984. Ai sensi dell'art. 5, n. 1, leu. b), della direttiva, viene concessa un'esenzione da talune imposte, fra cui l'IVA, nel caso di uno studente che importi temporaneamente un veicolo da turismo immatricolato nello Stato membro della sua residenza normale nello Stato membro in cui soggiorna esclusivamente a scopo di studio. Il governo aggiunge che un'identica disposizione è stata inserita nella normativa belga in materia di IVA ma che essa non si applica nel caso di specie perché il Profant, in seguito al matrimonio, non soggiornava in Belgio esclusivamente a scopo di studio e di conseguenza si doveva ritenere che egli vi avesse la sua residenza normale.

Rinviando alla sentenza della Corte 19 giugno 1973 (causa n. 77/72 Capolongo, Race. 1973, pag. 611) il governo belga sostiene poi che l'imposizione dell'IVA all'importazione non può essere assimilata ad un dazio doganale in quanto tale imposta fa parte di un regime generale di tributi interni gravanti sistematicamente tanto sui prodotti nazionali quanto su quelli importati, secondo gli stessi criteri.

Infine il governo belga afferma che il diritto comunitario, ed in particolare l'art. 95 del trattato CEE, non osta nel caso di specie all'imposizione dell'IVA su di un'autovettura già assoggettata all'IVA nel paese d'origine. La Corte ha in effetti dichiarato nella sentenza 5 maggio 1982 (causa n. 15/81, Schul, Race. 1982, pag. 1409) che l'imposizione all'importazione deve tener conto dell'IVA residua pagata nello Stato membro esportatore, ma ha aggiunto che tale compensazione non è obbligatoria qualora il prodotto di cui trattasi possa essere legalmente sgravato all'atto dell'esportazione. Ora, nel caso di specie, il Profant avrebbe potuto chiedere alle autorità fiscali lussemburghesi l'esenzione dall'IVA per esportazione immediata.

Alla luce di quanto precede, il governo belga propone di rispondere come segue alla questione della corte d'appello di Bruxelles: l'imposizione dell'IVA all'importazione di un autoveicolo acquistato in un altro Stato membro, in cui è stata pagata l'IVA sul veicolo stesso, non costituisce una tassa di effetto equivalente ad un dazio doganale né un'imposizione su un prodotto straniero maggiore di quella applicata ad un prodotto nazionale analogo, nella misura in cui sia possibile evitare una doppia imposizione con uno sgravio all'esportazione nel paese d'origine o con ricorso all'esenzione all'importazione nel paese di destinazione.

Facendo riferimento alla sentenza della Corte 5 maggio 1982 (Schul, precitata), ed in particolare ai punti 21 e 22 della motivazione, la Commissione delle Comunità europee osserva in primo luogo che l'IVA fa parte integrante di un regime generale di tributi interni la cui compatibilità con il diritto comunitario dev'essere valutata alla luce delle norme fiscali del trattato e non delle disposizioni in materia di libera circolazione delle merci.

La Commissione sostiene poi che nel caso di specie si pongono due questioni principali che necessitano una disamina più approfondita,

a)

se sia da ritenersi che uno studente sposato risieda nel paese in cui effettua i suoi studi, indipendentemente dalla sua intenzione di ritornare al paese d'origine al termine dei suoi studi;

b)

quale sia la portata del diritto degli Stati membri di esigere l'IVA sulle importazioni temporanee effettuate da persone che non hanno una residenza stabile nello Stato membro interessato.

In questo contesto la Commissione ricorda che la sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari — sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU 1977, L 145, pag. 1) (in prosieguo: la sesta direttiva IVA), contempla all'art. 14, n. 1, leu. e), un'esenzione per l'« ammissione temporanea » di beni nel territorio di uno Stato membro. Essa ritiene che questa nozione abbia un contenuto comunitario che gli Stati membri devono prendere in considerazione nell'attuazione della sesta direttiva IVA, affinché le esenzioni dall'IVA non subiscano variazioni a seconda dei paesi. Per gli stessi motivi neanche una nozione connessa come quella di « residenza temporanea » può essere interpretata esclusivamente a norma del diritto nazionale.

Per la determinazione del contenuto comunitario di queste due nozioni la Commissione rinvia alla precitata direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, n. 83/182. Mentre l'art. 5 di detta direttiva autorizza gli studenti ad importare temporaneamente un'autovettura nel paese in cui studiano, l'art. 7, che contiene norme generali per la determinazione del luogo di residenza, dispone che « la frequenza di un'università e di una scuola non implica il trasferimento della residenza normale ». Secondo la Commissione è difficile immaginare che il semplice fatto di essere sposato e di vivere con il coniuge possa avere la conseguenza di far perdere la qualifica di studente e pertanto anche quella di residente in via temporanea. Inoltre essa è del parere che la definizione di residenza di uno studente, contenuta nella precitata direttiva n. 83/182, si applicava già nell'ambito della sesta direttiva IVA. La direttiva n. 83/182 presenta infatti, sotto molti punti di vista, un carattere semplicemente dichiarativo.

Pertanto, alla luce delle finalità perseguite dall'art. 14, n. 1, leu. e), della sesta direttiva rVA, si dovrebbe ritenere che il Profant abbia importato beni in via temporanea. Di conseguenza l'autoveicolo di cui trattasi dovrebbe essere esentato dall'IVA belga.

Nel caso in cui la Corte ritenga che il Profant avesse la propria residenza normale in Belgio e sia debitore dell'IVA belga, la Commissione sostiene che egli deve poter far valere l'IVA già pagata in Lussemburgo. Ogni altra soluzione sarebbe chiaramente ingiusta e contrasterebbe con lo spirito della sentenza della Corte 5 maggio 1982 (Schul, precitata), volta principalmente ad evitare una doppia imposizione.

Concludendo, la Commissione propone di rispondere al quesito posto dalla corte d'appello di Bruxelles nel modo seguente:

« L'IVA è un sistema generale di tributi, la cui compatibilità con il diritto comunitario è disciplinata dalle norme in materia fiscale del trattato CEE, e non da quelle relative alla libera circolazione delle merci. L'imposizione dell'IVA all'importazione che non rientri nelle esenzioni di cui alla sesta direttiva è compatibile con l'art. 95 solo in quanto venga presa in considerazione l'IVA residua già pagata nello Stato membro esportatore ».

Al momento della soluzione della questione tornerò ancora su alcune precisazioni fornite in udienza relativamente alle osservazioni presentate alla Corte.

III. Riformulazione e soluzione della questione posta

III.l. La formulazione della questione

Come la Commissione ha giustamente osservato, la questione proposta dal giudice a quo nel caso di specie non è stata formulata nel modo migliore. Con la formulazione scelta, il giudice a quo dà in particolare l'impressione di chiedere alla Corte, in un caso come quello di specie, esclusivamente l'interpretazione degli articoli del titolo I del trattato CEE che vengono in rilievo, in particolare dagli artt. 12 e 13. Per i motivi ricordati nei punti 18-21 della motivazione della sentenza Schul (causa 15/81, Race. 1982, pag. 1409), gli artt. 12 e 13 del trattato CEE non vanno applicati in un caso come quello in esame.

Tenuto conto delle particolarità del problema sollevato dinanzi al giudice nazionale, si può tuttavia ritenere che quest'ultimo chieda alla Corte se in un caso come quello di cui trattasi l'imposta sul valore aggiunto (IVA) riscossa da uno Stato membro per l'importazione di un'autovettura da un altro Stato membro, sia conforme al diritto comunitario, comprese le direttive del Consiglio in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari.

La fattispecie astratta a cui la vostra soluzione potrebbe limitarsi nel caso di specie, deve quindi in particolare contenere, in base agli atti di causa, i seguenti elementi:

a)

si tratta del passaggio della frontiera dello Stato membro A da parte di un'autovettura, acquistata nello Stato membro B, per cui è stata pagata l'IVA in quest'ultimo Stato membro e che è altresì immatricolata in quest'ultimo Stato membro B;

b)

il passaggio della frontiera viene effettuato da un cittadino dello Stato membro B, il quale ha anche una residenza stabile in tale stato;

c)

seguendo temporaneamente studi universitari nello Stato membro A, l'interessato è anche iscritto ivi nel registro degli stranieri, ma ritorna nello Stato membro B al termine dei suoi studi;

d)

prima dell'acquisto dell'auto di cui trattasi l'interessato ha sposato, nello Stato membro B, una cittadina dello Stato membro C (in prosieguo naturalizzata come cittadina dello Stato membro B), la quale è anch'essa iscritta nel registro degli stranieri dello Stato membro A, vi esercita un'attività lavorativa retribuita per la quale l'interessato è tenuto a pagare un'imposta sul reddito allo Stato membro A a norma della relativa legge di tale stato sull'imposta sul reddito;

e)

tuttavia, le spese di studio e di soggiorno sostenute dallo studente interessato nello Stato membro A sono pagate in tutto o in gran parte, sia prima che dopo il suo matrimonio, dai genitori residenti nello Stato membro B.

III.2. Soluzione alla questione così precisata

III.2.1. Argomenti dedotti dalle norme di diritto comunitario da applicarsi nella fattispecie

L'origine di problemi come quelli in esame risale a mio parere essenzialmente alla definizione estremamente ampia dell'ambito d'applicazione dell'imposta armonizzata sul valore aggiunto data dagli artt. 2 e 7 della sesta direttiva in materia (direttiva n. 77/388, GU 1977, L 145, pag. 1).

L'art. 2 di questa direttiva dispone che « sono soggette all'imposta sul valore aggiunto:

1)

le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso all'interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale;

2)

le importazioni di beni ».

L'art. 7 precisa in proposito che « si considera importazione di un bene l'introduzione di detto bene nell'interno del paese, come definito nell'art. 3 ».

Per quanto riguarda l'utilizzazione di autovetture, quest'ampia definizione dovrebbe evidentemente rendere soggetto ad imposizione qualunque superamento dei confini di un altro Stato membro se non vi fosse un certo numero di esenzioni contemplate fra l'altro dall'art. 14 della sesta direttiva. Tenendo conto delle finalità dell'armonizzazione dell'imposta sulla cifra di affari, che riassumerò in seguito, queste esenzioni, in connessione con la definizione molto ampia della nozione di « importazione », vanno a mio parere interpretate in modo così ampio da non causare inutili ostacoli alla libera circolazione delle persone attraverso le frontiere. Ritornerò ancora dettagliatamente su questo punto di partenza fondamentale per il caso di specie.

Comunque le osservazioni scritte e orali presentate nel presente procedimento vertono giustamente, in particolare, sull'interpretazione del precitato art. 14.

L'art. 14, n. 1, impone, fra l'altro, agli Stati membri « ferme restando le altre disposizioni comunitarie », di esentare « alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:

(...).

c)

le importazioni di beni che costituiscono oggetto di una dichiarazione di assoggettamento ad un regime doganale di ammissione temporanea, che beneficiano per questo motivo dell'esenzione dai dazi doganali o che potrebbero beneficiarne se fossero importati da un paese terzo ».

L'art. 14, n. 2, dispone, per quanto rileva nel caso di specie, che:

« La Commissione sottopone quanto prima al Consiglio proposte intese a stabilire norme fiscali comunitarie precisanti il campo di applicazione delle esenzioni di cui al § 1 e le relative modalità pratiche di applicazione.

Fino all'entrata in vigore di tali norme gli Stati membri possono:

mantenere le disposizioni nazionali in vigore nel quadro delle disposizioni di cui sopra;

modificarle per ridurre le distorsioni di concorrenza ed in particolare la non imposizione o la doppia imposizione in materia di imposta sul valore aggiunto all'interno della Comunità;

utilizzare le procedure amministrative che essi ritengono più indicate per ottenere l'esenzione ».

Alla luce dei cenni precendentemente forniti sulla normativa belga pertinente, al caso di specie vanno applicate « le disposizioni nazionali in vigore » ai sensi dell'art. 14, n. 2, 1o trattino, e cioè in particolare le disposizioni del precitato decreto ministeriale 17 febbraio 1960 che disciplina le esenzioni in materia di dazi doganali all'importazione. Faccio incidentalmente notare, al riguardo, che probabilmente il giudice a quo è stato indotto a formulare la questione pregiudiziale in termini meno esatti a causa del titolo di detto decreto ministeriale.

Il governo belga fonda la sua posizione sul fatto che nella fattispecie l'imposta sul valore aggiunto era innanzitutto dovuta in forza del precitato art. 14, n. 2, 1o trattino, della sesta direttiva.

Poiché però questa disposizione contempla soltanto che gli Stati membri « possono mantenere le disposizioni nazionali in vigore, nel quadro delle disposizioni di cui sopra» (corsivo aggiunto) la Commissione ritiene giustamente che l'art. 14, n. 1, sia anch'esso rilevante per la soluzione della questione posta. Si tratta quindi in particolare dell'interpretazione della nozione di « importazione temporanea ».

Ai fini di detta interpretazione la Commissione ritiene che siano rilevanti anche gli artt. 5 e 7 della direttiva del Consiglio n. 83/182 relativa alle franchigie fiscali applicabili all'interno della Comunità in materia di importazione temporanea di taluni mezzi di trasporto (GU 1983, L 105, pag. 59). I predetti artt. 5 e 7 di questa direttiva autorizzano gli studenti ad importare temporaneamente un veicolo nel paese in cui essi studiano e l'art. 7 dispone che « la frequenza di un'università o di una scuola non implica il trasferimento della residenza normale ». Questi articoli, a parere della Commissione, dovrebbero avere un carattere puramente dichiarativo e potrebbero quindi essere applicati anche a fatti verificatisi prima dell'entrata in vigore di questa direttiva.

Benché a mio parere debba pur dirsi qualcosa per quanto riguarda questa tesi, non ritengo che un suo accoglimento sia molto utile alla Corte ai fini della soluzione della questione sollevata. In realtà la Corte dovrebbe infatti considerare al riguardo, nella sua motivazione, gli stessi argomenti del governo belga, che sono pure importanti, ove la Corte si basi esclusivamente sulla nozione di « importazione temporanea » di cui all'art. 14, n. 1. Ciò è stato anche osservato all'udienza dal rappresentante del governo belga.

III.2.2. Valutazione della posizione del governo belga sulla nozione di « importazione temporanea »

In merito all'assoggettabilità ad imposta del veicolo importato, il governo belga, all'udienza, ha fondato in particolare la sua posizione sulle seguenti circostanze:

a)

dal punto di vista dell'imposta sul reddito i coniugi avrebbero scelto la residenza in Belgio;

b)

i coniugi avevano la loro normale residenza familiare in Belgio e a norma del diritto belga il luogo di residenza del nucleo familiare prevarrebbe su di un'eventuale seconda residenza del marito studente in un altro Stato membro;

c)

si era presunto che in seguito al matrimonio i coniugi fossero divenuti finanziariamente indipendenti dai loro rispettivi genitori; in particolare lo studente interessato (proprietario e « importatore » dell'autovettura) sarebbe ora mantenuto finanziariamente dal coniuge.

D'altra parte, il governo belga ha ammesso, sia nel corso del giudizio dinanzi al giudice a quo sia dinanzi alla Corte, che la disciplina belga di esenzioni di cui è causa sarebbe rimasta applicabile se lo studente interessato non si fosse sposato ma avesse instaurato una convivenza di fatto con la sua compagna. Come risulta dal 2o punto della motivazione a pag. 4 della sentenza di rinvio, il giudice a quo ha considerato rilevante anche questa constatazione.

I tre precitati argomenti a sostegno della posizione del governo belga non mi sembrano convincenti.

La nozione di residenza ai fini dell'imposta sul reddito non può a mio parere essere considerata determinante per la nozione di residenza ai fini dell'imposta sul valore aggiunto (la quale non viene del resto in causa nel caso di specie, a differenza della nozione di « importazione temporanea »). Il fatto che la disciplina dell'imposta sul reddito di un paese consideri soggette all'imposta tutte le persone che ivi svolgano un'attività lavorativa e che siano anche regolarmente residenti nel paese in relazione a tale attività, si basa probabilmente sulla concezione secondo cui il reddito dev'essere per quanto possibile tassato nel paese in cui viene prodotto. Il fatto che, in base a questa concezione sia essa esatta o meno, la moglie di uno studente la quale svolga un'attività lavorativa ritenga che essa stessa o il marito studente siano soggetti ad imposta nel paese in cui il reddito viene così prodotto non costituisce ancora un motivo per ritenere che anche il coniuge studente abbia una residenza in questo paese per quel che riguarda l'imposta sul valore aggiunto dovuta per l'importazione temporanea di un'autovettura, con la conseguenza che improvvisamente l'esenzione accordata di solito agli studenti stranieri non sarebbe più applicabile.

Per quel che riguarda il secondo argomento non è chiaro innanzitutto perché il caso di uno studente sposato, convivente con la moglie che svolga un'attività lavorativa (essendo entrambi i coniugi originari di un altro Stato membro) debba essere trattato diversamente da quello di uno studente convivente con la moglie anch'essa studentessa (essendo entrambi ancora una volta originari di un altro Stato membro). Inoltre non è chiaro perché il pericolo di evasione del-l'IVA (di cui all'art. 14, n. 1, della sesta direttiva) sarebbe maggiore per uno studente sposato rispetto ad uno che abbia instaurato una convivenza di fatto.

Infine, come risulta dalle dichiarazioni rese all'udienza dall'avvocato dello studente, il terzo e probabilmente più importante argomento del governo belga è errato in fatto in quanto le spese di mantenimento dell'interessato (e quelle dell'autovettura) sarebbero state sostenute in tutto o in parte dai suoi genitori e non dal coniuge che lavorava. La Corte non può evidentemente, in una pronunzia pregiudiziale, indagare sull'esattezza in fatto di tali affermazioni. Tuttavia, per non estendere la portata della vostra soluzione alla questione proposta oltre quanto necessario nel caso di specie, propongo alla Corte di inserire nella soluzione, come condizione, un'ipotesi astratta basata su quest'affermazione.

III.2.3. Osservazioni finali e conclusione

Nelle mie conclusioni finali sulla presente controversia parto dal fatto che nella fattispecie si tratta di un procedimento penale. Si può supporre che il competente giudice belga nella valutazione della colpevolezza e quindi nella determinazione della pena terrà conto di tutte le particolari circostanze del caso di specie, compresi i dubbi risultanti dalla normativa comunitaria messa in rilievo dalla posizione della Commissione, sull'esistenza o meno di un fatto punibile nel caso in esame.

Ciò vale a mio parere anche nel caso in cui la Corte condivida alla fine la posizione del governo belga. Diversamente dalla Commissione, la quale ha ancora fatto valere, all'udienza, per questo caso, il principio di proporzionalità elaborato dalla vostra giurisprudenza, non mi sembra poi neppure necessario esaminare in modo particolare la questione dell'eventuale applicabilità di questo principio.

Non mi pare neppure opportuno proporre alla Corte, quale possibilità di soluzione in via subordinata della questione sollevata, di applicare, conformemente alla proposta della Commissione, la dottrina derivante dalle due sentenze Schul. Tale proposta alternativa sarebbe innanzitutto probabilmente di scarsa utilità per quel che riguarda la procedura penale di cui trattasi. In secondo luogo, ciò richiederebbe una precisazione della prima sentenza Schul, che a mio parere potrebbe essere apportata solamente dalla Corte in seduta plenaria e che renderebbe pertanto necessaria una riapertura del procedimento. Per il suddetto motivo non posso raccomandare alla Corte tale riapertura del procedimento.

La mia opinione definitiva in questa causa si basa in primo luogo sui due primi considerandi della prima direttiva del Consiglio 11 aprile 1967 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari (GU 1967, L 71, pag. 1301). Il primo considerando ricorda che « l'obiettivo essenziale del trattato è di instaurare, nel quadro di un'unione economica, un mercato comune, che implichi una sana concorrenza e presenti caratteristiche analoghe a quelle di un mercato interno ».

Nel secondo considerando si afferma poi « che la realizzazione di tale obiettivo presuppone l'applicazione negli Stati membri di legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari che non falsino le condizioni di concorrenza e non ostacolino la libera circolazione delle merci e dei servizi nel mercato comune ».

Diversamente dalle precitate cause Carciati e Abbink, nella fattispecie non si tratta di atti adottati nell'ambito dell'esercizio di un'attività economica, che fruirebbero artificiosamente di un vantaggio concorrenziale rispetto ai concorrenti a seguito di un'importazione in franchigia. Uno studente, come quello di cui trattasi nel caso in esame, non fruisce di un vantaggio concorrenziale ai sensi del primo obiettivo essenziale perseguito dall'armonizzazione delle legislazioni sulle imposte sulla cifra d'affari negli Stati membri, riassunto nel secondo considerando della prima direttiva. Qualora venga messa in causa anche la libera circolazione delle persone (nel caso di specie di studenti) il precitato secondo obiettivo essenziale (la libera circolazione dei beni e dei servizi) può sicuramente rivelarsi determinante nei casi dubbi come questo, per individuare lo Stato membro autorizzato ad esigere l'IVA.

Per questi motivi ritengo che in un caso come questo sia giustificata un'ampia interpretazione dell'art. 14 della sesta direttiva, quale proposta anche dalla Commissione nelle sue osservazioni principali, scritte e orali. Come precedentemente osservato, si tratta in proposito, in primo luogo, della nozione di « importazione temporanea » di cui all'art. 14, n. 1, lett. c), della sesta direttiva e, in secondo luogo, dell'art. 14, n. 2, 2o comma, 1o trattino, della medesima direttiva. In conseguenza di quest'ultima disposizione le disposizioni nazionali in vigore possono essere mantenute (soltanto) «nel quadro delle disposizioni di cui sopra ». Esse non possono quindi porsi in contrasto con l'art. 14, n. 1, così come interpretato dalla Corte.

Propongo pertanto alla Corte di risolvere nel modo seguente la questione proposta dal giudice a quo e da me precedentemente riformulata:

« L'art. 14, n. 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977 in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari (GU 1977, L 145, pag. 1), in connessione con l'art. 14, n. 1, lett. c), di tale direttiva, va interpretato nel senso che detta disposizione non consente ad uno Stato membro di applicare le sue disposizioni nazionali vigenti al momento dell'entrata in vigore della direttiva in modo tale per cui l'importazione in uno Stato membro di un'autovettura proveniente da un altro Stato membro non venga considerata come importazione temporanea ai sensi dell'art. 14, n. 1, lett. c), e ciò nonostante che l'importatore e proprietario dell'autovettura:

a)

ha acquistato quest'ultima nell'altro Stato membro, essa è ivi immatricolata ed ivi è stata pagata l'IVA relativa;

b)

ha un domicilio stabile nell'altro Stato membro;

c)

compie temporaneamente studi universitari nel primo Stato membro, soggiorna temporaneamente in detto Stato membro esclusivamente a questo scopo facendo ritorno in seguito nell'altro Stato membro; e

d)

le spese di studio e di soggiorno nel primo Stato membro sostenute dal proprietario dell'autovettura vengono totalmente o in gran parte finanziate dai suoi genitori o per mezzo di una borsa di studio.

Qualora ricorrano le precitate condizioni, è indifferente al riguardo se lo studente interessato, sposato o meno, durante il suo soggiorno nel primo Stato, conviva con una cittadina di uno Stato membro diverso dal primo, anche se tale altra cittadina percepisce ivi redditi propri per i quali lo studente interessato sia soggetto o meno ad un'imposta sul reddito ».


( *1 ) Traduzione dall'olandese.

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