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Document 61983CC0293

    Conclusioni dell'avvocato generale Sir Gordon Slynn del 16 gennaio 1985.
    Françoise Gravier contro Città di Liegi.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal de première instance de Liège - Belgio.
    Divieto di discriminazione: accesso alla formazione professionale.
    Causa 293/83.

    Raccolta della Giurisprudenza 1985 -00593

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1985:15

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    SIR GORDON SLYNN

    del 16 gennaio 1985 ( 1 )

    Signor Presidente,

    signori Giudici,

    Con la presente domanda di pronunzia pregiudiziale, proposta a norma dell'art. 177 del trattato CEE dal presidente del Tribunal de première instance di Liegi, si chiede:

    «1)

    Se sia conforme al diritto comunitario il ritenere che i cittadini degli Stati membri della Comunità europea che si recano nel territorio di un altro Stato membro al solo scopo di compiervi degli studi regolari in un istituto che impartisce un insegnamento riguardante in particolare la formazione professionale si trovino, nei riguardi di questo istituto, nel campo d'applicazione dell'art. 7 del trattato di Roma del 25 marzo 1957.

    2)

    In caso affermativo, quali siano i criteri che permettono di stabilire se l'insegnamento della fumettistica ricada nel campo d'applicazione del trattato di Roma ».

    La richiedente nella causa principale è una cittadina francese residente in Francia, ove vivono anche i suoi genitori che sono anch'essi cittadini francesi. Nel 1982 essa si iscriveva all'Académie Royale des Beaux Arts di Liegi per seguire un corso quadriennale di fumettistica, materia che fa parte degli studi artistici presso un istituto di istruzione superiore non universitario.

    Tali istituti di istruzione superiore — a differenza degli istituti statali o sovvenzionati dallo Stato per l'istruzione secondaria o elementare, la quale è gratuita — possono percepire tasse d'iscrizione. L'Académie impone a tutti gli studenti una tassa d'iscrizione che, nel periodo rilevante, ammontava a 10000 FB l'anno. Inoltre, a partire dal 1976, il ministro della pubblica istruzione è stato autorizzato a istituire una tassa scolastica per gli studenti stranieri i cui genitori non siano residenti nel Belgio e che frequentino istituti scolastici statali o sovvenzionati dallo Stato di vari livelli, da quello prescolastico a quello dell'istruzione superiore e tecnica. Per l'iscrizione ad un istituto che impartisce a tempo pieno corsi d'insegnamento artistico la tassa scolastica, negli anni 1982/1983 e 1983/1984, veniva fissata, con circolare ministeriale, a 24622 FB. Tasse più elevate venivano stabilite per altri tipi d'insegnamento artistico e per il settore scientifico e medico la tassa scolastica superava i 200000 FB l'anno.

    La sig.na Gravier chiedeva l'esonero da tale tassa scolastica (detta « minervai », in spregio alle restrizioni che, come è stato sostenuto nel presente procedimento, essa implica per lo svolgimento degli studi) e veniva ammessa ai corsi per l'anno accademico 1982/1983. La domanda di esonero veniva respinta nell'ottobre 1983. Poiché per tale anno e per l'anno 1983/1984 l'interessata rifiutava di pagare la tassa, le si negava l'iscrizione e, di conseguenza, veniva meno il suo permesso di soggiorno. Inoltre, i suoi genitori perdevano, in ragione della normativa francese sui trasferimenti di valuta all'estero, il diritto di inviarle danaro nel Belgio.

    Avendo essa adito il giudice nazionale, le veniva rilasciato un certificato di iscrizione provvisorio, consentendole di continuare gli studi, mentre i suoi genitori potevano inviarle danaro.

    La Commissione ha affermato, senza essere contraddetta dalla convenuta nella causa principale, né dagli altri partecipanti al procedimento, che il Belgio è attualmente l'unico Stato membro che imponga ai cittadini di altri Stati membri tasse più elevate di quelle imposte ai propri cittadini, se si prescinde dal fatto che in Grecia, per motivi di reciprocità, agli studenti belgi vengono imposte tasse più gravose di quelle riscosse a carico degli altri studenti.

    La disposizione belga è chiaramente basata sul criterio della cittadinanza e non su quello della residenza. Il cittadino belga non è mai soggetto al pagamento del « minerval », nemmeno se ha trascorso il resto della sua vita all'estero e nemmeno se i suoi genitori vivono fuori del Belgio e non pagano tributi a tale Stato. Gli studenti che non hanno la cittadinanza belga devono pagare la tassa scolastica in questione, a meno che ne siano esentati. La convenuta nella causa principale ha sottolineato che è esente da detta tassa circa l'84% degli studenti non belgi (il cui numero complessivo è di 4050, ossia il 4,25% della popolazione studentesca complessiva). Le principali categorie di soggetti esenti sono:

    a)

    gli studenti di cui la madre o il padre abbia la cittadinanza belga o risieda nel Belgio o quivi svolga la sua attività professionale principale e sia soggetto agli obblighi fiscali;

    b)

    gli studenti che risiedono nel Belgio e quivi svolgano la loro attività professionale principale e siano soggetti agli obblighi fiscali;

    c)

    i cittadini lussemburghesi;

    d)

    i soggetti ai quali venga concesso discrezionalmente l'esonero, come i cittadini di determinati paesi in via di sviluppo.

    Risulta che, nonostante tali esenzioni, circa 650 studenti stranieri sono soggetti a detta tassa scolastica.

    Se si considerano il preambolo e gli obiettivi del trattato e i vantaggi derivanti alla Comunità ed al singolo dal fatto che gli studenti possano studiare in Stati diversi da quello di cui sono cittadini, specie quando, con il crescere della specializzazione, determinate materie vengono particolarmente sviluppate in determinati centri di istruzione, appare sorprendente che uno Stato membro continui a percepire detta tassa. E il mantenimento in vigore del « minervai » non appare meno sorprendente ove si consideri

    a)

    la proposta che la Commissione aveva presentato al Consiglio nel 1978, in conformità al programma d'azione adottato nel 1976 dal Consiglio e dai ministri della pubblica istruzione riuniti in sede di Consiglio e concernente fra l'altro provvedimenti volti a realizzare la libera circolazione e la mobilità dei lavoratori, proposta approvata in via di principio dal Consiglio e dai ministri della pubblica istruzione nel 1980 e secondo la quale, negli istituti di istruzione superiore, le tasse scolastiche per gli studenti di altri Stati membri non devono essere « superiori a quelle imposte agli studenti cittadini » (cfr. GU C 38, del 19. 2. 1976, pag. 1, ed il documento COM(78) 468 def.), nonché

    b)

    la risoluzione adottata nel 1982 dal Parlamento europeo, con la quale il Belgio è stato invitato « a sopprimere qualsiasi misura discriminatoria in materia di tasse d'iscrizione nell'insegnamento » (GU C 334, del 20.12.1982, pag. 93).

    Il motivo di fatto addotto in udienza è che prima del 1976 si era avuto un afflusso di studenti da altri Stati membri della Comunità e che attualmente, nel Belgio, la percentuale degli studenti cittadini di altri Stati membri rispetto all'intera popolazione studentesca è più alta che in qualsiasi altro Stato membro. La tassa in questione, inferiore al 50% del costo reale dell'insegnamento impartito, non sarebbe stata introdotta con l'intenzione di ridurre l'afflusso degli studenti, bensì « per garantire una certa stabilità finanziaria ». Essa rappresenterebbe il contributo degli studenti stranieri al costo dell'istruzione, contributo che nel caso degli studenti belgi è costituito da una quota delle imposte che qualsiasi belga residente deve pagare. È controverso se l'istituzione del « minervai » abbia realmente ridotto il numero degli studenti recatisi nel Belgio a decorrere dal 1976, come afferma la Commissione.

    U Belgio e la Comunità francese, dalla quale a Liegi dipende l'insegnamento artistico, fanno valere che la politica dell'istruzione, ivi compresa l'imposizione di tasse, rientra nelle materie soggette al potere sovrano degli Stati membri. Come i governi della Danimarca e del Regno Unito, intervenuti in causa, essi sostengono quanto segue: l'imposizione del « minervai » non viola alcuna norma del diritto comunitario. Il trattato non attribuisce ai cittadini di uno Stato membro il diritto di recarsi in un altro Stato membro per svolgervi degli studi, né di essere ammessi a frequentare un corso a condizioni identiche, per quanto riguarda le tasse o le borse di studio, a quelle stabilite per i cittadini di tale Stato. La situazione è invece diversa quando il soggetto desideroso di studiare è un lavoratore migrante o una persona a carico di un lavoratore migrante. L'art. 7 del trattato è una disposizione troppo generale per poter attribuire i suddetti diritti; né esiste alcuna specifica disciplina di attuazione, emanata in base ad una qualsiasi altra norma del trattato, che definisca la portata di detta disposizione generale sotto qualsivoglia profilo. D'altro canto, gli artt. 59 e 60 del trattato non possono essere di alcuna utilità in quanto non riguardano l'istruzione, né altri servizi che lo Stato presta gratuitamente o dietro pagamento di una tassa non proporzionata al loro costo economico, cioè, in sostanza, a titolo di politica sociale. Anche se detti articoli dovessero applicarsi, in forza degli artt. 59 e 60 del trattato, all'istruzione impartita a scopo di lucro da istituti privati, gli istituti statali esulano dalla loro sfera d'applicazione. In caso contrario gli studenti cittadini di altri Stati membri non solo potrebbero esigere la prestazione dei servizi che lo Stato membro in questione eroga ai propri cittadini e che sono in gran parte finanziati con imposte a carico di questi, ma potrebbero escludere dagli istituti di istruzione i cittadini di questo Stato membro, qualora in tali istituti il numero dei posti fosse limitato. Su tale base si potrebbe inoltre sostenere ch'essi hanno anche diritto alle borse di studio di cui fruiscono i cittadini di detto Stato membro e che vi hanno diritto alle stesse condizioni dei cittadini di quest'ultimo. Ove si considerino le diverse forme ed i diversi livelli delle borse di studio, nonché le differenze che esistono tra i vari Stati membri per quanto riguarda il numero degli studenti stranieri, questa tesi appare inammissibile. In ogni caso, il diritto di soggiornare in un altro Stato membro è limitato alla durata del servizio prestato e la « ratio » del diritto di soggiorno esige ch'esso sia limitato a brevi periodi.

    La sig.na Gravier sostiene che la nozione di Comunità europea, se si vuole che abbia un senso, deve implicare il diritto degli studenti a recarsi in istituti di istruzione situati in altri Stati membri. Come la Commissione, essa si basa in primo luogo sull'art. 59 del trattato. L'istruzione costituisce un servizio, com'è stato affermato dalla Corte nella sentenza 31 gennaio 1984 (cause riunite 286/82 e 26/83, Luisi e Carbone /Ministero del tesoro). La Corte ha inoltre affermato che, quando ad una persona è riconosciuto il diritto di recarsi in un altro Stato membro al fine di prestare servizi, la persona che desidera ricevere tali seivizi ha il diritto, complementare al primo, di recarsi nello Stato membro del prestatore per riceverli. L'istruzione, normalmente, viene impartita dietro retribuzione. Non rileva il fatto che lo studente non debba sempre pagare il costo economico di questo servizio. Basta infatti che la persona che presta il servizio venga retribuita, mentre è irrilevante chi la retribuisca. Durante il periodo degli studi lo studente ha diritto al soggiorno in quanto destinatario di servizi, in base alla direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, n. 73/148/CEE (GU L 172, del 28. 6. 1973, pag. 14). L'imposizione di una tassa speciale può causare allo straniero gravi difficoltà o addirittura impedirgli di frequentare un determinato corso; essa costituisce una restrizione del diritto di seguire corsi di studio, la quale ha effetti negativi sia per lo studente sia per la Comunità; è contraria al programma d'azione adottato dal Consiglio e dai ministri della pubblica istruzione nel 1976, il quale prevedeva l'adozione di una serie di provvedimenti intesi a promuovere la libera circolazione e la mobilità dei lavoratori; è contraria alle suddette proposte presentate dalla Commissione al Consiglio nel 1978, che sono state accolte dal comitato dell'istruzione e approvate, in linea di principio, dal Consiglio e dai ministri della pubblica istruzione nel 1980. Si è dunque in presenza di una violazione dell'art. 7 del trattato, in quanto una tassa supplementare imposta in base al criterio della cittadinanza contrasta con la libertà dello studente di seguire un corso specializzato di formazione professionale, inteso a prepararlo per un lavoro in un determinato settore, ed ostacola la realizzazione della libera circolazione delle persone di cui all'art. 3, lett. c), del trattato.

    Le questioni sollevate sono difficili e delicate, fra l'altro a causa delle conseguenze che la loro soluzione può avere al di là dei limiti dell'unico problema in discussione nella presente causa, quello della tassa scolastica imposta nel caso di specie.

    Benché la sig.na Gravier e la Commissione si basino in primo luogo sull'art. 59 del trattato, che figura nel capitolo 3 (« Servizi ») del titolo III, relativo alla « libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali«, ritengo opportuno prendere come punto di partenza l'unico articolo del trattato menzionato nella domanda di pronunzia pregiudiziale, ossia l'art. 7, che si trova nel titolo I « Principi ». Tale articolo dispone:

    « Nel campo d'applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il Consiglio, su proposta della Commissione e previa consultazione dell'Assemblea, può stabilire, a maggioranza qualificata, tutte le regolamentazioni intese a vietare tali discriminazioni ».

    È evidente che la tassa in causa costituisce una discriminazione « effettuata in base alla nazionalità ». Rientra tale discriminazione « nel campo d'applicazione del presente trattato »? Tra le parti è pacifico che l'istruzione, in quanto tale, non viene specificatamente menzionata come uno degli scopi o delle attività della Comunità. È stata tuttavia richiamata la sentenza 9/74, Casagrande I Landeshauptstadt München (Race. 1974, pagg. 773, 779), nella quale la Corte ha affermato :

    « Benché a norma del trattato il settore dell'istruzione e della preparazione professionale non rientri, di per sé, nella competenza delle istituzioni comunitarie, ciò non significa che l'esercizio dei poteri conferiti alla Comunità debba essere, in qualche modo, limitato quando possa avere ripercussioni sui provvedimenti adottati nel settore in questione. In particolare, i capitoli 1 e 2 del titolo III del trattato recano numerose disposizioni la cui applicazione può eventualmente incidere sulle disposizioni nazionali in materia » (punto 6).

    Anche nella sentenza 152/82, Forcheri I Belgio (Race. 1983, pag. 2323), la Corte ha dovuto esaminare la questione « se l'accesso ai corsi d'insegnamento, in particolare a quelli che riguardano la preparazione professionale, rientri nel campo d'applicazione del trattato » (punto 13 della motivazione).

    L'art. 128 del trattato dispone che il Consiglio, su proposta della Commissione e sentito il Comitato economico e sociale, fissa i principi generali per l'attuazione di una politica comune di formazione professionale che possa contribuire allo sviluppo armonioso sia delle economie nazionali sia del mercato comune. La decisione del Consiglio 2 aprile 1963, n. 63/266 (GU 1963, pag. 1338) ha definito i principi generali per l'attuazione di una politica comune di formazione professionale. Vi si afferma che l'attuazione di un'efficace politica comune di formazione professionale favorirà la realizzazione della libera circolazione dei lavoratori e che, durante le varie fasi della vita professionale, ogni persona deve avere la possibilità di ricevere una formazione adeguata, di perfezionarsi e di fruire del riadattamento professionale di cui avesse bisogno. La politica della formazione professionale — secondo un principio enunciato nella decisione — deve tendere a taluni scopi ben determinati, tra cui quello di realizzare le condizioni che rendano effettivo per tutti il diritto di ricevere un'adeguata formazione professionale e quello di offrire a ciascuno, secondo le proprie aspirazioni, attitudini, conoscenze ed esperienze di lavoro, sia l'accesso ad un livello professionale superiore, sia la preparazione per una nuova attività di livello più elevato.

    Nella sentenza Forcheri, basandosi sull'art. 128 e sulla decisione n. 63/266, la Corte ha affermato quanto segue:

    « Ne consegue che, benché la politica dell'insegnamento e della preparazione professionale non faccia parte, in quanto tale, dei campi che il trattato ha sottoposto alla competenza delle istituzioni comunitarie, l'accesso a dette forme di istruzione rientra cionondimeno nel campo d'applicazione del trattato.

    Ne consegue che, quando uno Stato membro organizza dei corsi d'insegnamento riguardanti in particolare la preparazione professionale, il fatto di esigere dal cittadino di un altro Stato membro lecitamente residente nel primo Stato membro una tassa d'iscrizione, che non viene riscossa a carico dei propri cittadini, per poter partecipare a detti corsi, costituisce una discriminazione a causa della cittadinanza vietata dall'art. 7 del trattato » (punti 17 e 18).

    Tra questo caso e quello ora in esame vi sono delle differenze. La sig.ra Forcheri era la moglie di un dipendente delle Comunità, il quale era tenuto a soggiornare nel Belgio. La Corte ha ritenuto che, in tal caso, l'interessato debba fruire di tutti i vantaggi attribuiti dal diritto comunitario ai cittadini degli Stati membri in materia di libertà di circolazione, libertà di stabilimento e previdenza sociale. La libera circolazione ai sensi dell'art. 48 del trattato è stata considerata, nella motivazione del regolamento del Consiglio n. 1612/68 (GU 1968, L 257, pag. 2), un diritto fondamentale per i lavoratori e per le loro famiglie. In base all'art. 7 di detto regolamento, il lavoratore stesso deve poter fruire, alle stesse condizioni dei lavoratori nazionali « dell'insegnamento nelle scuole professionali e dei centri di riadattamento o di rieducazione ». Inoltre, secondo l'art. 12, i figli di detto lavoratore sono ammessi a frequentare i corsi di insegnamento generale, di apprendistato e di formazione professionale alle stesse condizioni previste per i cittadini di tale Stato, se i figli stessi vi risiedono. Non esisteva una disposizione del genere in favore della moglie, ma la Corte, in base al principio generale suddetto, ha ritenuto identica la sua situazione.

    Poiché la sig.na Gravier non aveva la qualità di lavoratrice, né di figlia o di moglie di un lavoratore, tale regolamento non le attribuiva il diritto di soggiorno nel Belgio. È stato dedotto che ciò pregiudica l'esito favorevole della sua domanda poiché essa non potrebbe dimostrare di essere stata « lecitamente residente » (« licitement installée ») prima di chiedere l'ammissione al corso.

    È chiaro che la sig.na Gravier non rientra nella categoria di persone contemplata nella causa Forcheri ed essa non può affermare che il suo caso è già stato risolto nella relativa sentenza. Tuttavia, io non interpreto tale sentenza nel senso che il diritto di seguire un particolare corso di preparazione professionale sia necessariamente subordinato ad un preesistente diritto di soggiorno. La sentenza mette in rilievo, incidentalmente, che la sig.ra Forcheri era senza dubbio « lecitamente residente » nel Belgio e non vi sarebbe alcun motivo per attribuire il diritto di frequentare un corso in uno Stato a qualcuno che vi soggiorni illegalmente. Rimane tuttavia aperta, a mio avviso, la questione se ad un cittadino di uno Stato membro possa essere imposta una tassa scolastica più gravosa, soltanto perché non ha la cittadinanza dello Stato membro nel quale si svolge il corso.

    Il punto di partenza in fatto di formazione professionale è costituito dall'art. 128 del trattato e dalla decisione n. 63/266. Questa stabilisce, oltre a quanto richiamato dalla Corte nella causa Forcheri, che ciascuno deve avere il diritto di ricevere una formazione adeguata, nel rispetto della libera scelta della professione, dell'istituto e del luogo di formazione, nonché del luogo di lavoro. I principi generali da applicare riguardano la formazione dei giovani e degli adulti chiamati ad esercitare un'attività professionale o che già l'esercitano. « L'applicazione di tali principi generali spetta agli Stati membri ed alle istituzioni competenti della Comunità nel quadro del trattato ». Perciò, secondo il quarto principio, la Commissione deve compiere, in stretta collaborazione con gli Stati membri, « ogni studio e ricerca nel campo della formazione professionale per assicurare la realizzazione della politica comune specie allo scopo di promuovere all'interno della Comunità le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori ». Secondo tali principi, devono essere effettuati scambi di informazioni, di esperienze e di istruttori e si devono armonizzare i livelli di formazione.

    Tale decisione, insieme alle raccomandazioni della Commissione 18 luglio 1966 sull'orientamento professionale (66/48/CEE), agli « orientamenti generali » del Consiglio « per l'elaborazione di un programma di attività a livello comunitario in materia di formazione professionale » (GU C 81 del 12 agosto 1971, pag. 5), alla risoluzione del Consiglio e dei ministri della pubblica istruzione riuniti in sede di Consiglio, del 13 dicembre 1976, concernente provvedimenti volti a migliorare la preparazione dei giovani al lavoro ed a facilitarne il passaggio dagli studi alla vita attiva (GU C 308 del 20 dicembre 1976, pag. 1) ed alla risoluzione del Consiglio 11 luglio 1983, riguardante « le politiche di formazione professionale nella Comunità europea negli anni '80 » (GU C 193 del 20 luglio 1983, pag. 2) testimoniano la particolare attenzione rivolta dalle istituzioni comunitarie all'attuazione e al miglioramento della formazione professionale nella Comunità. Senza dubbio tali atti hanno in parte la loro ragion d'essere nella preoccupazione di migliorare la qualità ed il tenore di vita dei lavoratori nella Comunità e con ciò a promuovere lo sviluppo e la crescita economica. Nel contempo, a mio avviso, essi sono diretti a garantire la mobilità dei lavoratori all'interno della Comunità. Per una persona che intenda svolgere un determinato lavoro in un altro Stato membro (ed esercitare i diritti riconosciuti dall'art. 48) o stabilirsi in un altro Stato membro (ed esercitare i diritti conferiti dall'art. 52) o prestare servizi (ed esercitare i diritti conferiti dall'art. 59 in quanto prestatore di servizi) può ben essere necessario seguire un corso od ottenere una determinata qualificazione in quello Stato membro. Ciò vale tanto per le attività, specializzate e non specializzate per le quali, in determinati paesi, vengono seguite tecniche o prassi particolari, quanto per le attività il cui esercizio è subordinato a requisiti d'istruzione imposti da un ordine professionale o stabiliti dallo Stato. La facoltà di spostarsi per ottenere una qualificazione, sia conseguendo un diploma sia frequentando un corso di formazione professionale, è necessariamente compresa nel diritto di trasferirsi per lavorare in un determinato Stato. Essa ne costituisce una manifestazione preliminare, ed io ritengo che detta forma di preparazione professionale rientri « nel campo di applicazione del trattato » ai sensi dell'art. 7. Non devono sussistere discriminazioni basate sulla cittadinanza per quanto riguarda le condizioni alle quali gli studenti degli Stati membri possono accedere alla formazione professionale.

    Non ritengo però che il desiderio di qualificarsi in un determinato Stato membro per svolgervi un lavoro oppure per esercitarvi un'impresa, un mestiere o una professione sia l'unico aspetto della preparazione professionale che rientri nell'ambito d'applicazione del trattato, sebbene, a mio avviso, sia quello che vi rientra nel modo più palese.

    Possono esservi materie che, in taluni Stati membri, non rientrano affatto nei programmi d'insegnamento o vi rientrano solo in pane; negli istituti di uno Stato membro una materia può essere trattata meglio che in quelli dello Stato membro di cui la persona desiderosa di istruirsi ha la cittadinanza; in determinate materie tecniche, per lo studente può essere vantaggioso ricevere una preparazione in istituti di due diversi Stati membri, nei quali vengano applicati metodi differenti. Questi sono soltanto esempi, ma se si vuole che lo studente possegga una mobilità completa quando sarà un lavoratore qualificato, o quando vorrà esercitare il suo diritto di stabilimento, può essere opportuno o addirittura necessario che egli si rechi fuori dal proprio Stato membro per ricevere una preparazione od ottenere una qualificazione professionale. È pacifico che egli godrà di tale diritto una volta terminata la preparazione professionale e trasferitosi in un altro Stato membro per svolgervi un lavoro o quando abbia avviato un'impresa in un altro Stato membro. Ritengo che il suo diritto di circolare liberamente in qualità di lavoratore implichi il diritto di non essere discriminato in base alla cittadinanza quando intende trasferirsi in un altro Stato, durante la sua preparazione, sia prima che dopo il momento in cui inizi effettivamente a lavorare.

    A mio avviso, la formazione professionale rientra generalmente nell'ambito di applicazione del trattato ai sensi dell'art. 7, a prescindere dal fatto che lo studente abbia o meno già deciso di lavorare o di stabilirsi in uno Stato membro diverso dal proprio, e senza ch'egli debba dimostrare l'esistenza di ragioni obiettive che giustifichino la sua scelta di svolgere la preparazione professionale in una determinata scuola o in un determinato Stato.

    Lo studente la cui ammissione ad un corso, nell'ambito della formazione professionale, sia subordinata al pagamento delle tasse speciali per stranieri ha, a mio avviso, il diritto di seguire il corso senza pagare la tassa discriminatoria e senza dover dimostrare di essere « lecitamente residente » nello Stato membro considerato.

    Quanto alla seconda questione (che diviene rilevante se si adotta, in merito alla prima questione, il suddetto punto di vista), ritengo che vada considerata formazione professionale l'istruzione che prepara o conduce direttamente alla qualificazione per una determinata professione, un determinato mestiere o una determinata attività ovvero conferisce idoneità ad esercitare tale professione, tale mestiere o tale attività ove non sia richiesta alcuna qualificazione formale, e che si situa ad un livello ulteriore e superiore rispetto a quella di carattere generale. Tale formazione non è limitata ai lavori manuali o tecnici, ma include tutte le professioni, tutti i mestieri e tutte le attività. Essa non si limita nemmeno all'aggiornamento e al perfezionamento di coloro che già svolgono una determinata attività.

    Sebbene'l'istruzione generale sia menzionata nei documenti della Comunità richiamati dalle parti, ritengo che fra essi e gli artt. 48 o 52 o qualsiasi altra disposizione, salvo l'art. 59 (che esaminerò in seguito), non vi sia una chiara connessione che permetta di affermare, in base agli argomenti avanzati nella presente causa, che detta istruzione generale rientri nell'ambito d'applicazione del trattato e che, di conseguenza, ad essa si applichi il divieto sancito dall'art. 7.

    Nel presente caso spetta al giudice nazionale decidere se il corso di studio in questione sia un corso di formazione professionale. In base ai fatti esposti e ai documenti prodotti appare probabile che lo sia. Qualora la Corte ritenga, da un lato, che la sig.na Gravier abbia dimostrato trattarsi di un corso di formazione professionale e, dall'altro, che il combinato disposto dell'art. 7 del trattato e degli artt. 48, 52 e 59 vieti qualsiasi discriminazione basata sulla cittadinanza, per quanto riguarda le tasse scolastiche nel settore della formazione professionale, non sarà necessario ch'essa valuti il principale argomento dedotto per sostenere che la disparità di trattamento in questione costituisce in ogni caso una violazione dell'art. 59. Per l'ipotesi che la Corte giudichi inapplicabile l'art. 7, devo tuttavia prendere in esame anche questo argomento.

    Le restrizioni della libera prestazione dei servizi dovevano essere soppresse durante il periodo transitorio « nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un paese della Comunità che non sia quello del destinatario della prestazione ». Nella causa Luisi e Carbone la Corte ha dichiarato che, per consentire l'esecuzione delle prestazioni di servizi, il destinatario deve potersi spostare nello Stato in cui è stabilito il prestatore di servizi. Ciò costituisce il necessario corollario del diritto spettante al prestatore di servizi, e menzionato espressamente nell'art. 60 del trattato, e risponde allo scopo di liberalizzare « ogni attività retribuita » non regolata dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, delle persone e dei capitali. La direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, n. 73/148 (GU 1973, L 172, pag. 14) attribuisce tanto al prestatore quanto al destinatario di servizi il diritto di soggiorno per il periodo in cui viene prestato il servizio. In detta causa la Corte è giunta alla conclusione che la libera prestazione dei servizi comprende la libertà, per i destinatari di servizi, di recarsi in un altro Stato membro per beneficiare ivi di un servizio, senza esserne impediti da restrizioni nemmeno in fatto di pagamenti, e che i turisti, coloro che fruiscono di cure mediche e coloro che effettuano viaggi di studio o d'affari vanno considerati destinatari di servizi. Le restrizioni per i pagamenti afferenti a servizi, compresa l'istruzione, dovevano essere soppresse a partire dalla fine del periodo transitorio.

    È stato detto che, essendo l'istruzione un servizio, la sig.na Gravier era legittimata a recarsi a Liegi per seguire il suo corso, senza subire restrizioni del suo diritto di fruire di tale prestazione. In particolare, essa non poteva essere discriminata tramite l'imposizione di una tassa più elevata di quella riscossa a carico degli studenti belgi. Che l'istruzione sia un servizio risulterebbe inoltre dalla Sesta Direttiva IVA la quale esclude l'istruzione dalla categoria dei servizi che, in genere, sono soggetti all'imposta.

    In base all'art. 60 del trattato, la nozione di servizi include le attività di carattere industriale e commerciale nonché le attività artigiane e le libere professioni. Ritengo che, non essendo questo elenco tassativo, l'istruzione può senz'altro essere considerato un servizio ai fini delle altre disposizioni di tale articolo.

    Il primo comma dell'art. 60 dispone, comunque, che « ai sensi del presente trattato, sono considerate come “ servizi ” le prestazioni fornite normalmente contro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone ».

    La Corte ha già affermato che determinate attività sono servizi ai sensi degli artt. 59-66 del trattato soltanto nei limiti in cui costituiscono attività economiche ai sensi dell'art. 2 del trattato (sentenze 36/74, Walrave I Union cycliste internationale, Race. 1974, pag. 409, e 13/76, Dona I Mantero, Race. 1976, pag. 1333).

    È stato sostenuto che coloro i quali impartiscono un insegnamento vengono di norma retribuiti, che perciò le prestazioni da essi offerte vengono « fornite normalmente dietro retribuzione » e che non è rilevante chi paghi. Ciò può essere esatto in riferimento all'istruzione privata impartita in un istituto avente scopo di lucro; ma la vera questione è se l'istruzione impartita in una scuola finanziata in tutto o in parte dallo Stato, e di cui lo studente non sopporti, o sopporti solo in parte, e forse in minima parte, il costo, debba essere considerata come un servizio ai sensi di detta definizione.

    La sig.na Gravier si richiama alle conclusioni dell'avvocato generale Warner nella causa 52/79, Procuratore del Re I Debauve (Race. 1980, pagg. 833, 876), che considerava la prestazione su cui allora si discuteva come un servizio ai sensi del trattato, « indipendentemente da chi paghi o non paghi in un caso determinato ». Si trattava, in detta causa, di programmi televisivi finanziati con gli abbonamenti pagati dagli utenti o con i proventi della pubblicità. Ritengo che egli non intendesse riferirsi ad un caso come quello ora in esame, in cui lo Stato finanzia mediante imposte erariali un presunto « servizio ».

    Certo, il carattere pubblico o privato dell'istruzione non incide necessariamente sulla natura della prestazione; perciò ci si può chiedere quale sia la forma d'istruzione « normale » — quella impartita contro retribuzione o quella gratuita — per decidere in conseguenza se l'istruzione in genere sia un servizio ai sensi del trattato. Se « normalmente » vuole dire « nella maggior parte dei casi », la risposta, per quanto riguarda la Comunità, sarà probabilmente che l'istruzione viene nella maggior parte dei casi impartita dallo Stato, sebbene non sia infrequente, anzi in taluni casi sia normale, nel senso comune del termine, che i destinatari dell'istruzione, o i loro genitori, sopportino il relativo costo economico. Ritengo si giunga allo stesso risultato qualora « normalmente » significhi « abitualmente » invece che « nella maggior parte dei casi ».

    In definitiva, non sono convinto che questa analisi di carattere generico sia utile ai nostri fini. Talvolta l'istruzione viene impartita nell'ambito di un'attività economica, con lo scopo di coprire i costi e di ottenere profitti. Affinché tale forma di istruzione possa essere considerata come un servizio non è necessario che lo studente stesso paghi. È sufficiente che qualcun altro paghi tributi corrispondenti approssimativamente al costo economico dell'istruzione.

    Nelle scuole pubbliche, l'istruzione non è tuttavia un'attività economica, svolta allo scopo di coprire i costi e di ottenere profitti, bensì un'attività di politica sociale, e lo Stato ne sopporta interamente o in gran parte i costi. Tale forma di istruzione, a mio avviso, non viene impartita « dietro retribuzione » ai sensi dell'art. 60. Di conseguenza, anche se le prestazioni hanno natura simile, sotto il profilo economico esse vanno classificate in modo diverso. Perciò, a mio avviso, l'istruzione impartita in tutto o prevalentemente dallo Stato non va considerata un servizio ai sensi del trattato. Il fatto che lo studente paghi qualche cosa non basta per trasformarla in un servizio. Ritengo invece un servizio l'istruzione impartita da un'organizzazione privata, a scopo di lucro.

    Qualora sia errato fare questa distinzione tra le due forme di istruzione, ci si dovrà basare — benché si tratti di una questione di fatto — sulla circostanza che l'istruzione, normalmente, vale a dire nella maggior parte dei casi o abitualmente, non viene impartita contro retribuzione ai sensi del trattato. Questa soluzione mi sembra tuttavia artificiosa e non conforme alla sentenza Luisi e Carbone nella quale, sebbene non sia stata risolta la questione centrale del presente caso, si affermava chiaramente che talune forme di istruzione sono servizi ai sensi del trattato, pur senza dichiarare che tutte le forme di istruzione debbano essere così qualificate.

    A mio parere, è opportuno prendere in considerazione sia la natura economica sia la natura intrinseca delle prestazioni offerte nel settore dell'istruzione. Ritengo che questo modo di procedere trovi sostegno nell'art. 58 del trattato (che, in forza dell'art. 66, si applica alle materie disciplinate nel capo 3). Tale articolo esclude dalla categoria delle società di diritto civile o di diritto commerciale, equiparate alle persone fisiche aventi la cittadinanza degli Stati membri, le società che non si prefiggono scopi di lucro. Queste società non hanno il diritto di stabilirsi o di prestare servizi, senza restrizioni, in un altro Stato membro. Da tale disposizione consegue che il potenziale destinatario dei servizi non è legittimato, in base al trattato, a recarsi presso tali società per fruire dei loro servizi. A tal riguardo, non è rilevante che le persone giuridiche in questione ottengano profitti, bensì che esse si prefiggano di ottenere profitti, come risulta chiaramente dal testo francese (« à l'exception des sociétés qui ne poursuivent pas de but lucratif »).

    Poiché l'istruzione statale viene sostanzialmente finanziata con tributi corrisposti dai cittadini residenti, va riconosciuta validità alla tesi secondo cui non costituisce una discriminazione il pretendere un certo contrir buto da coloro i quali non contribuiscono direttamente o indirettamente al benessere comune. Tale ipotesi tuttavia non ricorre nel presente caso, poiché la tassa in questione non viene imposta ai cittadini non soggetti agli obblighi fiscali, né a certe altre categorie che non contribuiscono, o possono non contribuire, al finanziamento dell'istruzione.

    È stato sostenuto che l'istruzione di cui trattasi nella fattispecie non può costituire un servizio, perché i servizi hanno essenzialmente breve durata e non possono legittimare un soggiorno di durata maggiore. A mio avviso, questo modo di vedere è errato. Il diritto di soggiorno deve corrispondere alla durata del corso — che dev'essere un vero e proprio corso — per attribuire le facoltà connesse al fatto che l'istruzione costituisce un servizio, come emerge dalla direttiva n. 73/148.

    Si è richiamata l'attenzione della Corte sugli effetti che la sentenza relativa a questa causa potrebbe avere in altri campi, e in particolare per quanto riguarda le borse di studio. Nelle presenti conclusioni non intendo trattare delle borse di studio in contrapposizione alle tasse scolastiche. La Corte non dispone di sufficienti informazioni circa il modo in cui, nell'ambito della Comunità, vengono concesse le borse di studio per potersi pronunziare in merito ad esse. Mi sembra tuttavia, a prima vista, che vi sia una differenza fondamentale tra (a) tasse scolastiche imposte dall'istituto che impartisce l'istruzione e (b) borse di studio concesse agli studenti dallo Stato e da enti locali, quando lo Stato stesso non provvede al loro vitto ed alloggio. A mio avviso, anche se i soggetti che erogano tali prestazioni fossero tenuti a non discriminare in base alla cittadinanza gli studenti di altri Stati membri, la concessione di borse di studio non potrebbe costituire un servizio ai sensi degli artt. 59 e 60.

    Di conseguenza, per quanto possa apparire desiderabile che, nell'ambito della Comunità, tutti gli studenti possano accedere all'istruzione, in tutti i settori, alle stesse condizioni, e nonostante gli argomenti svolti dalla Commissione, non ritengo che tale stadio sia stato ancora raggiunto.

    Concludo, comunque, nel senso che:

    1)

    Contrasta con il combinato disposto dell'art. 7 e degli artt. 48, 52 e 59 del trattato CEE il fatto che gli istituti che impartiscono la formazione professionale (ma non altre forme di istruzione) in uno Stato membro effettuino una discriminazione in base alla cittadinanza, imponendo tasse scolastiche a cittadini di altri Stati membri della Comunità che soggiornano nello Stato considerato al solo scopo di ricevere detta formazione professionale.

    2)

    La formazione professionale è una forma di istruzione che prepara e conduce direttamente alla qualificazione per una determinata professione, un determinato mestiere o una determinata attività, ovvero conferisce la necessaria idoneità ad esercitare tale professione, tale mestiere o tale attività, ove non sia richiesta alcuna qualificazione formale, e che si situa ad un livello ulteriore e superiore rispetto a quella di carattere generale. Tale formazione non è limitata ai lavori manuali o tecnici, ma include tutte le professioni, tutti i mestieri e tutte le attività; essa comprende tanto la preparazione di studenti che non hanno ancora iniziato a lavorare quanto la preparazione di quelli che già lavorano.

    Spetta al giudice del merito decidere sulle spese sostenute dalle parti nella causa principale. Quanto alle spese degli altri partecipanti al presente procedimento, non è necessaria alcuna decisione.


    ( 1 ) Traduzione dall'inglese.

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