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Document 61982CC0160

Conclusioni dell'avvocato generale Mancini del 24 novembre 1982.
Commissione delle Comunità europee contro Regno dei Paesi Bassi.
Inadempimento di uno Stato - direttiva n. 73/239/CEE.
Causa 160/82.

Raccolta della Giurisprudenza 1982 -04637

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1982:403

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

G. FEDERICO MANCINI

DEL 24 NOVEMBRE

Signor Presidente,

signori Giudici,

1. 

La causa a cui si riferiscono queste conclusioni ha origine da un ricorso promosso dalla Commissione, ai sensi dell'articolo 169 del Trattato di Roma, e inteso a far constatare che il Regno dei Paesi Bassi è venuto meno a un obbligo impostogli dal Trattato CEE. Esso infatti non ha adottato, nel termine stabilito, le norme necessarie ad eseguire la prima direttiva n. 73/239/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1973, «recante coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative in materia di accesso e di esercizio dell'assicurazione diretta diversa dall'assicurazione sulla vita» (GU L 228, pag. 3).

2. 

Ricordo i fatti che hanno preceduto il ricorso della Commissione.

Il primo comma dell'articolo 35 della direttiva 73/239 sancisce che «gli Stati membri modificano le loro disposizioni nazionali, conformemente alla direttiva, entro diciotto mesi a decorrere dalla sua notifica e ne informano immediatamente la Commissione». La direttiva è stata notificata il 31 luglio 1973; il termine previsto per la sua attuazione è perciò venuto a spirare il 31 gennaio 1975. Con lettera dì preavviso dell' 11 febbraio 1977 la Commissione ha dato inizio alla procedura dell'articolo 169. Il 16 gennaio 1978, sulla base delle assicurazioni fornite dal Governo olandese, la ha sospesa; per riaprirla il 29 novembre 1980 con una nuova lettera di messa in mora. Il parere motivato è stato emesso il 18 novembre 1981 e la Commissione ha adito questa Corte con ricorso del 24 maggio 1982, iscritto a ruolo il 27 maggio 1982.

3. 

Va detto subito che il Governo olandese riconosce il proprio inadempimento. Cerca, tuttavia, di giustificarlo o di attenuarne l'importanza sotto vari profili. Il contenuto «complesso» della direttiva — esso afferma anzitutto — importa una revisione totale della disciplina in tema di assicurazione-danni che costituisce un'occasione per regolare anche materie estranee all'oggetto e al campo di applicazione della normativa comunitaria. D'altra parte, la necessità di ricorrere al procedimento legislativo impone i tempi lunghi caratteristici dell'iter parlamentare.

Secondo argomento: la direttiva trova già esecuzione pratica nei confronti di tutte le imprese che abbiano sede principale nei Paesi Bassi o in un altro Stato membro. Il 17 giugno 1976, infatti, la Camera olandese delle assicurazioni ha emanato una circolare per i casi di difformità tra la legislazione vigente e la direttiva, in cui s'impegna ad applicare la seconda alle imprese che soddisfino i requisiti da essa previsti. Ne viene che le imprese straniere e quelle nazionali non sono ostacolate dalla mancata attuazione.

Terza difesa: alcune disposizioni essenziali della direttiva, e in particolare quelle relative al margine di solvibilità delle imprese di assicurazione, sono applicate in concreto per l'efficacia diretta che dispiegano.

4. 

Ritengo che le giustificazioni addotte dal Governo convenuto non siano valide. A ognuna di esse si oppone una giurisprudenza della Corte ormai consolidata. Mi limiterò a richiamarla.

5. 

Comincio con l'argomento relativo al ritardo determinato dalle esigenze dell'iter parlamentare. Val la pena sottolineare che sono già trascorsi quasi otto anni dalla scadenza del termine per l'attuazione interna. La Commissione fa poi presente che solo nel 1984 sarà adottata la legge di esecuzione della direttiva. Se non vi saranno altri impedimenti, dunque, solo a distanza di undici anni dall'approvazione di quest'ultima il Governo convenuto sarà riuscito a rendere conforme il proprio ordinamento agli obblighi che ha assunto in sede comunitaria. Mi sembra che nulla possa legittimare una mora di tale durata. E in ogni caso voi avete costantemente affermato che «uno Stato membro non può invocare disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico nazionale onde giustificare l'inosservanza degli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie» (sentenza del 2 febbraio 1982 nella causa 70/81, Commissione e/Regno del Belgio, Racc. 1982, pag. 173, punto 5 della motivazione).

6. 

Respinto deve essere anche l'argomento secondo il quale la direttiva è in pratica applicata sulla base di una circolare della Camera delle assicurazioni. Corn'è noto, l'applicazione di fatto non garantisce quella certezza del diritto che la vostra giurisprudenza considera essenziale. «È importante» — avete detto — «che ciascuno Stato membro dia alle direttive... un'attuazione che risponda pienamente alle esigenze di chiarezza e di certezza delle situazioni giuridiche volute dalle direttive stesse... Di conseguenza, semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a piacimento dell'amministrazione e prive di una adeguata pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento dell'obbligo incombente, in base all'articolo 189, agli Stati membri destinatari delle direttive» (sentenza del 6 maggio 1980 nella causa 102/79, Commissione e/Regno del Belgio, Race. 1980, pag. 1486, punto 11 della motivazione). È emersa inoltre — e traspare dalla stessa memoria difensiva del Governo convenuto — una notevole diversità tra la legislazione vigente nei Paesi Bassi e le disposizioni della direttiva.

7. 

Nemmeno accoglibile è l'argomento relativo all'«applicabilità diretta» della direttiva in questione o di sue parti. Ammettere infatti che lo scopo della direttiva possa essere raggiunto grazie alla sua integrazione «automatica» nell'ordinamento nazionale equivale ad escludere qualsiasi differenza fra un atto giuridico direttamente applicabile, com'è il regolamento, e una direttiva munita d'efficacia diretta: il che stravolgerebbe completamente la natura attribuita a ciascun atto comunitario dall'articolo 189 del Trattato CEE. Nel nostro caso si tratterebbe comunque di applicazione parziale. Anche su questo punto la vostra giurisprudenza ha fatto giustizia di tesi incompatibili col sistema di diritto istituito dal Trattato di Roma. «Risulta... dall'articolo 189, 3° comma» — avete affermato — «che l'attuazione delle direttive comunitarie dev'essere garantita mediante adeguati provvedimenti adottati dagli Stati membri. Solo in circostanze particolari, e in ¡specie nel caso in cui uno Stato membro abbia omesso di emanare i provvedimenti di attuazione prescritti o abbia adottato provvedimenti non conformi ad una direttiva, gli amministrati hanno il diritto... di far valere in giudizio una direttiva nei confronti dello Stato membro inadempiente (a questo proposito si veda, in particolare, la sentenza 5 aprile 1979, causa 148/78, Ratti, Race. 1979, pag. 1629). Questa garanzia minima, che deriva dal carattere vincolante dell'obbligo imposto dalle direttive, ai sensi dell'articolo 189, 3° comma, agli Stati membri, non può servire a giustificare la mancata adozione in tempo utile, da parte di questi, delle misure d'attuazione adeguate allo scopo di ciascuna direttiva» (sentenza del 6 maggio 1980 nella causa 102/79 cit., punto 12 della motivazione).

8. 

Giudicate infondate le difese addotte dal Governo convenuto, non si può che constatare il mancato rispetto del termine previsto dalla direttiva per l'attuazione interna. Questo termine non è suscettibile di proroga e tanto meno di deroga. Esiste al contrario l'esigenza dell'applicazione uniforme della direttiva al livello comunitario. Come ha dichiarato la Corte, infatti, «il carattere vincolante delle direttive implica che tutti gli Stati membri hanno l'obbligo di rispettare i termini da esse stabiliti, affinché sia garantita l'uniforme attuazione della relativa disciplina nell'intera Comunità» (sentenza del 22 settembre 1978 nella causa 10/76, Commissione e/Repubblica italiana, Race. 1976, pag. 1359, punto 12 della motivazione). Osservo da ultimo che, a parte la Grecia, tutti gli altri Stati hanno reso conformi i propri ordinamenti interni.

9. 

In conclusione propongo che la Corte dichiari che lo Stato convenuto non ha adottato, nel termine stabilito, le disposizioni necessarie ad attuare la direttiva n, 73/239/CEE del Consiglio, del 24 luglio 1973, e pertanto è venuto meno a un obbligo impostogli dal Trattato CEE.

Quanto alle spese, esse dovranno andare a carico del convenuto soccombente, a norma dell'articolo 69, paragrafo 2, del Regolamento di procedura.

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