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Document 61981CC0059

Conclusioni dell'avvocato generale VerLoren van Themaat del 29 giugno 1982.
Commissione delle Comunità europee contro Consiglio delle Comunità europee.
Adeguamento annuale degli stipendi dei dipendenti.
Causa 59/81.

Raccolta della Giurisprudenza 1982 -03329

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1982:240

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

PIETER VERLOREN VAN THEMAAT

DEL 29 GIUGNO 1982 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

1. Introduzione

La causa di cui debbo trattare oggi riguarda una terza controversia che la Corte è chiamata a decidere fra la Commissione e il Consiglio per quanto concerne la possibilità, stabilità all'art. 65 dello Statuto, di adeguamento annuale delle retribuzioni e pensioni dei dipendenti delle Comunità europee. Le due precedenti controversie sono sfociate nelle vostre sentenze in causa 81/72 (Race. 1973, pag. 575) e 70/74 (Race. 1975, pag. 795). Nella prima di dette sentenze, per dirla in breve, è stato sancito l'importante principio secondo cui quando il Consiglio, nell'ambito dei poteri conferitigli dall'art. 65 dello Statuto, si vincola per un determinato periodo a criteri generali per l'adeguamento annuale, il principio della tutela del legittimo affidamento che gli interessati possono vantare comporta l'osservanza di tali impegni da parte del Consiglio stesso (punti 8, 9 e 10).

Nella fattispecie, si trattava di una decisione del 21 marzo 1972 con cui il Consiglio si era vincolato per tre anni. Nella presente controversia va applicato il metodo di adeguamento adottato dal Consiglio il 29 giugno 1976. In base alla lettera e allo spirito del principio generale da voi allora affermato, esso deve tuttavia essere considerato valevole anche per l'esame dei regolamenti che attualmente sono stati adottati dal Consiglio. Al riguardo assume poi particolare rilievo il principio fondamentale che viene posto a fondamento del nuovo metodo, e cioè quello per cui il sistema di adeguamento delle retribuzioni fa parte di una politica intesa a garantire, a medio termine, un andamento delle retribuzioni dei dipendenti delle Comunità parallelo a quello rilevato in media per gli stipendi delle diverse categorie di dipendenti pubblici nazionali.

Gli impugnati regolamenti del Consiglio nn. 187/81 (GU 1981, L 21, pag. 18) e 397/81 (GU 1981, L 46, pag. 1), tendono tuttavia a scostarsi verso il basso, in maniera più o meno notevole, dall'andamento medio, rilevato nel periodo di riferimento, degli stipendi per le diverse categorie di dipendenti pubblici nazionali. Per i dipendenti che percepiscono retribuzioni meno elevate, tale scostamento è relativamente modesto. In applicazione di un sistema che nei Paesi Bassi viene comunemente designato il sistema del «centen in plaats van procenten», tutte le altre retribuzioni vengono aumentate di un importo netto identico di 1107 BFR al mese. Ciò comporta una percentuale di aumento notevolmente inferiore per tutti i dipendenti che percepiscono una retribuzione più elevata. L'aumento globale medio accordato ammonta all'1,5 % a fronte di un aumento del 3,3 % rilevato per i dipendenti pubblici nazionali durante il periodo di riferimento. Così la politica delle retribuzioni stabilita nei suddetti regolamenti ha portato ad un chiaro scostamento dalla politica delle retribuzioni condotta fin al 1966 che mirava, da una parte, a conservare il potere d'acquisto e, dall'altra, ad operare aumenti degli stipendi in termini reali paralleli a quelli dei dipendenti pubblici nazionali. Nessuno di questi obiettivi viene rispettato dai regolamenti impugnati. Per ulteriori particolari sugli antefatti della controversia così succintamente riassunti, rimando alla relazione d'udienza.

Nel merito di questa controversia, vorrei in primo luogo evidenziare che le mutate condizioni economiche, a mio parere, possono in effetti anche costringere a scostarsi da una tendenza diretta al continuo aumento dei redditi reali e persino a ridurre il potere d'acquisto. L'andamento attuale in molti Stati membri conferma che tale esigenza può presentarsi. Tale scostamento deve allora però rispettare le garanzie che lo Statuto e la decisione del Consiglio 29 giugno 1976 attribuiscono al personale delle Comunità onde non entrare in contrasto col principio, affermato nella vostra sentenza del 1974 precedentemente menzionato, della tutela del legittimo affidamento dei dipendenti interessati.

A parere della Commissione dette garanzie sono violate sotto diversi profili dal regolamento impugnato. Al fine di evidenziare chiaramente i punti a mio giudizio decisivi, raggrupperò in qualche modo i mezzi dedotti a tale effetto. Per quanto riguarda gli argomenti addotti dalla Commissione e dal Consiglio in ordine a tali mezzi, rimando, per brevità, alla relazione d'udienza.

2. Sul primo mezzo

Con il primo mezzo, la Commissione fa valere la violazione dell'art. 65, n. 1, dello Statuto, in quanto il Consiglio, a fondamento del regolamento n. 187/81 e, di conseguenza, a fondamento delle diverse disposizioni del regolamento n. 397/81, ha tenuto conto del «deterioramento della situazione economica generale nella Comunità durante il periodo di riferimento, risultante soprattutto dall'aumento del costo dell'energia», mentre l'art. 65, n. 1, dello Statuto gli impone di conformare la sua decisione di adeguamento delle retribuzioni e pensioni non alla «situazione economica», ma alla «politica economica e sociale della Comunità».

Ritengo questo primo mezzo fondato e già di per sé sufficiente per concludere nel senso dell'annullamento dei regolamenti impugnati. Prescindendo dai molti altri validi argomenti addotti dalla Commissione a sostegno di tale mezzo, vorrei al riguardo segnalare, in particolare che, a mio modo di vedere, la disposizione dello Statuto, secondo la quale il Consiglio deve condurre la propria politica di adeguamento «nel quadro della politica economica e sociale delle Comunità», costituisce in fatto, in una situazione di crisi quale quella attuale, la più ferma garanzia statutaria per una politica equilibrata in materia. Proprio in una situazione di crisi che costringe a scostamenti di politica, essa garantisce che gli oneri relativi a questi non siano posti unilateralmente o sproporzionatamente a carico del personale delle Comunità. Giustamente quindi la Commissione ha altresì evidenziato che la lettera e lo spirito della suddetta disposizione dello Statuto ostano a che la «politica economica e sociale delle Comunità» sia considerata equivalente alla situazione economica nella Comunità». Come garanzia nei confronti dei dipendenti la suddetta disposizione dello Statuto viene così completamente svuotata di contenuto. Sia la lettera che lo spirito di questa disposizione costringono a interpretarla nel senso che in particolare l'imposizione di una riduzione dei redditi reali dovrebbe almeno essere accompagnata da una direttiva o quanto meno da una raccomandazione espressa nonché manifestamente effettiva agli Stati membri nell'ambito dell'art. 103 del Trattato CEE nel senso di seguire una politica del genere. Risulta chiaramente dagli atti che nessuna direttiva o raccomandazione del genere è stata adottata. Rinvio al riguardo all'allegato I al controricorso del Consiglio e alle osservazioni integrative espresse dal suo rappresentante durante la fase orale a seguito di un quesito da me posto. I tentativi del Consiglio di presentare i regolamenti stessi come una raccomandazione in tal senso agli Stati membri (dando un esempio) debbono pure essere respinti in base alla lettera e allo spirito dell'art. 65 dello Statuto. Tuttavia essi debbono essere del resto rigettati anche in quanto mancanti di credibilità, data la modesta massa salariale delle Comunità. Urterebbe contro ogni esperienza credere che la politica nazionale dei salari possa essere messa in moto per mezzo di un esempio siffatto. Grossi dubbi, com'è noto, sussistono persino in ordine alla possibilità di utilizzare le retribuzioni dei dipendenti pubblici nazionali, la cui entità è così ampia, come indice di tendenza per una politica salariale.

3. Sul secondo, terzo, quarto e quinto mezzo

Col secondo mezzo, la Commissione fa valere «la violazione dell'art. 65, n. 1, dello Statuto, in quanto i regolamenti impugnati, fissando, dal 1° luglio 1980, una riduzione del potere d'acquisto dei dipendenti delle Comunità si pongono in contrasto con la politica salariale seguita durante il periodo di riferimento luglio 1979 /giugno 1980 nel settore del pubblico impiego nazionale, mentre la disposizione statutaria di cui trattasi imponeva al Consiglio di tener conto dell'eventuale aumento degli stipendi nel settore pubblico».

Mi sembra opportuno, alla luce della vostra sentenza del 1973 summenzionata, esaminare questo mezzo congiuntamente ai tre successivi. Tali mezzi, per la cui formulazione integrale rinvio alla relazione d'udienza, hanno una ben chiara funzione di sostegno al secondo mezzo. Il terzo mezzo si richiama al riguardo alla pretesa esistenza di un obbligo, fondato sulla prassi, a mantenere il potere d'acquisto in occasione degli adeguamenti e poi altresì a modificare tale potere d'acquisto in funzione dell'aumento del potere d'acquisto nazionale, in particolare nel settore dei dipendenti pubblici. Io ritengo questo mezzo già di per sé debole, in quanto, nell'ambito di una più ampia politica comunitaria di flessibilità, una crisi economica, come già rilevato, potrebbe certamente giustificare una diminuzione del potere d'acquisto. A mio parere, gli argomenti addotti dalla Commissione a tale riguardo hanno rilievo soltanto in quanto si riferiscono anch'essi al metodo di adeguamento fissato dal Consiglio nel 1976. Invece, a seguito della vostra già più volte citata sentenza del 1973, il quarto mezzo è più consistente in quanto si riferisce direttamente al principio, da voi allora enunciato, della tutela dell'affidamento sorto in capo agli interessati a seguito di una decisione del Consiglio e così legittimato — nella specie l'affidamento nel mantenimento del principio base, fissato nella citata decisione del Consiglio del 1976 — del parallelismo nell'andamento delle retribuzioni dell'impiego pubblico nazionale e del personale delle Comunità. Il - quinto mezzo mira ugualmente a far accertare la violazione del metodo del giugno 1976 e dell'affidamento che ne è sorto, ma questa volta a causa dell'esclusione dei primi tre criteri, fondati sul principio base dell'andamento parallelo del potere d'acquisto, tramite il ricorso al quarto criterio e ciò, poi, illegittimamente («dans des conditions erronées en droit»). Sotto tale profilo ricordo che il quarto criterio del metodo del 1976 era attinente alle indicazioni macroeconomiche generali di ordine economico e sociale caratteristiche della politica economica e sociale degli Stati membri, quali il prodotto interno lordo per occupato e la massa salariale per lavoratore dipendente nell'insieme dell'economia. Per quanto concerne questo specifico criterio, sono innanzitutto del parere, con la Commissione, che esso vada interpretato alla luce dell'obbligo statutario secondo cui la politica di adeguamento va stabilita nel quadro delle politica economica e sociale delle «Comunità»: soltanto nell'ambito di una più ampia politica comunitaria di flessibilità, così eventualmente ritenuta necessaria, anche indici non espressamente menzionati nel quarto criterio potranno fornire utili orientamenti quanto alla politica salariale da seguire nei confronti dei dipendenti delle Comunità, sì da compensare parzialmente l'effetto dell'applicazione degli altri criteri del metodo del 1976. Parlo in proposito di una compensazione parziale in quanto anch'io, con la Commissione, sono del parere che questo criterio, così come gli altri criteri del metodo del 1976 — certo in mancanza di una tale più ampia politica di flessibilità — debba essere interpretato alla luce del summenzionato principio base del metodo: la garanzia di un andamento parellelo, a medio termine, delle retribuzioni dei dipendenti pubblici nazionali e di quelli delle Comunità, con cui il Consiglio ha dato un'interpretazione dettagliata vincolante nei suoi confronti all'ultima frase dell'art. 65, n. 1, dello Statuto. Così anche questo quinto mezzo appare, infine, direttamente connesso col secondo mezzo.

Esaminando ora congiuntamente i quattro mezzi suddetti, debbo esordire respingendo l'argomento del Consiglio tratto dalla formulazione dell'art. 65 e secondo cui il Consiglio dovrebbe semplicemente prendere «in considerazione» l'andamento nazionale degli stipendi senza dovervi attribuire un'importanza decisiva. Invero, il succitato principio base del metodo del 1976 interpreta l'obbligo statutario di cui trattasi come una garanzia dell'andamento parallelo a medio termine.

Il Consiglio ha sicuramente ragione, in sé e per sé, quando assume nella controreplica che tale principio dell'andamento parallelo di cui al metodo del 1976 non comporta un'indicizzazione automatica. Ciò risulta già dal diverso peso che il Consiglio, pur procedendo ad una attenta ponderazione, può attribuire ai diversi criteri specifici del metodo. Giustamente esso evidenzia altresì, al riguardo, le differenze nei confronti del metodo del 1972. È tuttavia più importante constatare che un'interpretazione di tutti i criteri specifici nel metodo del 1976 che conduca ad un risultato opposto all'andamento nazionale dei salari nel settore pubblico durante il periodo di riferimento, ritenuto determinante secondo il metodo, può difficilmente conciliarsi col principio base di questo.

Il Consiglio ritiene ciò possibile precisando che il principio base garantisce l'andamento parallelo soltanto a medio termine. Ciò escluderebbe un'attuazione annuale e renderebbe possibile garantire l'andamento parallelo quinquennale, quindi in avvenire. Poiché nella fattispecie si trattava dell'ultima applicazione del metodo del 1976, una siffatta interpretazione, per cominciare, priverebbe il metodo di qualunque carattere di tutela giuridica. Com'è noto, il metodo — compreso il precitato principio base — è stato nel frattempo già sostituito da un altro metodo di adeguamento. Tuttavia non meno importante è il fatto che dai tre primi criteri specifici risulta evidente che il metodo deve ogni volta essere applicato in base agli andamenti nazionali nel passato. Andamenti a medio termine possono quindi essere presi esclusivamente in esame, da un lato in base a considerazioni di certezza del diritto e di tutela dei diritti e, dall'altro, in base all'inequivoco sistema del metodo, in quanto si riferiscano al passato. Così, ad esempio, potrebbe tenersi conto di un aumento delle retribuzioni del personale delle Comunità durante i cinque anni trascorsi rivelatosi a posteriori troppo elevato e ciò in confronto all'andamento delle retribuzioni dei dipendenti pubblici nazionali. Potrebbe risultare, dai dati a pag. 9 della relazione d'udienza, che nel periodo 1975-1979 effettivamente si è prodotto un tale scarto dello 0,4 % a vantaggio del personale delle Comunità e il Consiglio in effetti avrebbe potuto correggerlo nel fissare l'adeguamento per l'anno 1980.

Resta ancora da esaminare soltanto in quale misura l'applicazione del già citato quarto criterio del metodo del 1976 potrebbe portare ad una diversa conclusione. A questo proposito viene in rilievo, in particolare, il terzo considerando dell'impugnato regolamento n. 187/81 il quale recita:

«considerando che la considerazione dell'evoluzione del costo della vita e del reddito effettivo dei funzionari nazionali deve essere temperata dall'applicazione dei fattori generali di carattere economico e sociale; che, in proposito, occorre tener conto del deteriorarsi della situazione economica generale nella Comunità durante il periodo di riferimento, risultante soprattutto dall'aumento del costo dell'energia; che però, in tale situazione, si devono prendere in considerazione i funzionari e gli agenti la cui retribuzione è, la meno elevata e il cui potere d'acquisto deve essere mantenuto; che si deve quindi accordare a tali agenti l'aumento proposto dalla Commissione accordando agli altri funzionari e agenti un aumento identico in valore assoluto;

considerando che la proposta sottoposta al Consiglio riguarda anche varie indennità ed assegni, l'importo delle pensioni acquisite, l'adeguamento dei coefficienti correttori applicabili nei diversi luoghi di servizio e di quelli applicabili alla retribuzione delle persone contemplate dall'articolo 2 del regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 160/80; che occorre adeguare tali elementi di conseguenza».

Anche su questo punto va premesso che il quarto criterio del metodo del 1976 si riferisce anch'esso chiaramente all'andamento degli indici macroeconomici considerati nel periodo di riferimento preso in esame. Nel corso della fase orale la Commissione ha ricordato ancora una volta che, a quanto risulta dall'allegato n. 3 alla sua replica, anche tali indici erano positivi e quindi, già per questo motivo, non potevano giustificare alcuna diminuzione di potere d'acquisto del personale delle Comunità, in quanto anche i primi tre criteri mostravano un andamento positivo. Il Consiglio ha sostenuto, per contro, che esso non era tenuto a tener conto esclusivamente degli indicatori espressamente menzionati nel quarto criterio, ma poteva includere nel suo esame anche altre indicazioni macroeconomiche. In linea di principio concordo con tale tesi, ma ho già precedentemente messo in rilievo che, a norma dell'art. 65, n. 1, terza frase, dello Statuto, ciò può al massimo essere considerato ammissibile ove la conclusioni che ne vengono tratte, nel senso di uno scostamento, vangano inserite nel quadro di una più ampia politica comunitaria di flessibilità sulla base, in particolare, dell'art. 103 del Trattato CEE. Questa più ampia politica di flessibilità dovrebbe quindi comprendere, fra l'altro, direttive o, quanto meno, chiare raccomandazioni agli Stati membri nel senso di perseguire una tale politica diretta a ridurre il potere d'acquisto dei dipendenti pubblici. Certo finché non verrà in luce una tale più ampia politica di crisi, il principio base dell'andamento parallelo fissato nel metodo del 1976 dovrà avere la prevalenza. In particolare tale caso si verifica quando nessuno dei criteri espressamente enunciati nel metodo può giustificare uno scostamento dalla politica comunitaria delle retribuzioni come quello attuato.

Riassumendo, sono del parere che in particolare il secondo, il quarto e il quinto mezzo della Commissione, considerati congiuntamente, siano anch'essi fondati e che i regolamenti del Consiglio impugnati debbano anche per questo motivo essere annullati.

4. Il sesto e settimo mezzo

Dopo le mie precedenti constatazioni non è più necessario che io mi soffermi sul sesto mezzo in quanto esso ha carattere accessorio. Osservo soltanto, a proposito dell'obbligo di motivazione che viene soprattutto addotto al riguardo, che in generale si dovrebbe imputare al Consiglio di aver troppo sommariamente motivato il palese scostamento, attuato nei regolamenti impugnati, dalla politica di adeguamento fino ad allora perseguita. I considerandi del regolamento n. 187/81 non possono creare la convinzione, necessaria per l'affidamento del personale, che, operando tale scostamento, sia stata effettuata una ponderazione scrupolosa ed equa di tutti i criteri pertinenti.

Come vi è noto, col settimo mezzo viene dedotta la violazione dell'art. 65, n. 2, dello Statuto, nonché l'inosservanza del principio della parità di trattamento fra dipendenti e dell'obbligo che ne discende di assicurare a questi, per mezzo della retribuzione, un potere d'acquisto equivalente, indipendentemente dalla sede di servizio. Detta inosservanza si è espressa nella fissazione uniforme dell'aumento delle retribuzioni e pensioni dal 1° luglio 1980 senza tener conto, per quanto riguarda i coefficienti correttori in vigore per le diverse sedi di servizio a tasso d'inflazione elevato — a pane il Belgio e il Lussemburgo — della proposta della Commissione di adeguamento di detti coefficienti dal 1° aprile 1980.

Ritengo anche questo mezzo fondato e sono del parere che nella vostra sentenza debba figurare un apposito passo al riguardo di cui il Consiglio quindi possa tener conto nel rivedere i regolamenti in materia.

È ben vero che dall'art. 65, n. 2, dello Statuto, anche a mio giudizio, non può desumersi alcun obbligo ad applicare tale articolo ad ogni trimestre. Tuttavia una ragionevole interpretazione di tale disposizione deve portarci a concludere che, dal momento che la Commissione presenta un progetto di adeguamento dei coefficienti correttori dopo aver rilevato una notevole variazione del costo della vita, il Consiglio è tenuto a prendere entro due mesi una decisione in merito. Quando anche il Consiglio non può ragionevolmente negare che si sia verificata una tale notevole variazione del costo della vita, tale decisione dovrà avere un risultato positivo e, se del caso, retroagire al momento in cui si è verificata la variazione rilevata. Come compare ancora una volta in sintesi nella relazione d'udienza, il tasso d'inflazione annuale nelle sedi di servizio interessate diverse dal Belgio e dal Lussemburgo variava fra il 20 % e l'89 %. Non si può ragionevolmente negare che, in presenza di tassi di inflazione del genere — che superano notevolmente quelli del Belgio e del Lussemburgo — si debba parlare di una notevole variazione del costo della vita nelle sedi di lavoro interessate e che, nella fattispecie, la mancata applicazione, sotto tale profilo, dei coefficienti correttori dal 1° aprile 1980 comporti la violazione dell'art. 65, n. 2, dello Statuto nonché del principio della parità di trattamento di tutti i dipendenti delle Comunità, indipendentemente dalla sede di servizio.

5. Sintesi e conclusione finale

Posso così riassumere le mie conclusioni nel senso che il primo, secondo, quarto, quinto e settimo mezzo della Commissione, considerati congiuntamente, sono fondati. In particolare, al massimo, una più ampia politica comunitaria di flessibilità nell'ambito dell'art. 103 del Trattato CEE, in base alla formulazione dell'art. 65, n. 1, dello Statuto, può giustificare una deroga dal principio dell'andamento parallelo della politica nazionale delle retribuzione nel settore pubblico e di quella comunitaria nei confronti dei dipendenti, che il Consiglio si è impegnato a rispettare nella sua decisione 29 giugno 1976 sul metodo, con ciò attribuendo un effetto preciso all'ultima frase della suddetta disposizione dello Statuto ( 2 ). Il quarto criterio di tale decisione sul metodo può giustificare come si è detto, sulla base della formulazione, al riguardo inequivoca, dell'art. 65, n. 1, penultima frase, dello Statuto, una deroga a tale principio dell'andamento parallelo, al massimo nell'ambito di una più ampia politica di flessibilità ( 2 ). Il rifiuto del Consiglio di far entrare in vigore i coefficienti correttori per le sedi di servizio diverse dal Belgio e dal Lussemburgo dal 1° aprile 1980 contrasta, alla luce della notevole variazione del costo della vita ivi verificatosi, coll'art. 65, n. 2, dello Statuto e col principio della parità di trattamento di tutti i dipendenti delle Comunità, indipendentemente dalla loro sede di servizio.

A quanto risulta dalla risposta del 27 maggio 1982, da pane della Commissione e del Consiglio, al quesito da voi posto in udienza in ordine ai costi che deriverebbero da un adeguamento integrale dei regolamenti alle proposte della Commissione, essi ammonterebbero a 6850940,27 ECU per il secondo semestre 1980. Al riguardo vorrei soltanto far osservare che dall'annullamento dei regolamenti impugnati consegue, a mio parere, l'effetto generale, reso inevitabile, dell'adeguamento delle retribuzioni e pensioni, ma non necessariamente il preciso ammontare di quest'ultimo. Come osservato in precedenza, si potrà tener conto in proposito dei discordanti risultati dei diversi criteri specifici di cui al metodo del 1976. Naturalmente una scrupolosa ponderazione dovrà anche comportare che l'attribuzione di una maggiore importanza a determinati criteri dovrà essere pure motivata. Durante la trattazione orale anche il rappresentante della Commissione, rispondendo ad un quesito rivoltogli dalla Corte, ha riconosciuto che il principio del parallelismo non comporta necessariamente un andamento integralmente parallelo della politica delle retribuzioni nel settore pubblico nazionale e di quella comunitaria nei confronti dei dipendenti. Solo la tendenza all'aumento nella politica delle retribuzioni delle autorità nazionali durante il periodo di riferimento dovrebbe in ogni caso essere rispettata. In ordine alla natura e all'ampiezza degli scostamenti, un esperto dell'ufficio statistico delle Comunità, durante la fase orale, ha fatto osservazioni istruttive a cui preferisco rinviare.

Per concludere, in base a quanto da me rilevato propongo:

1)

che venga annullato il regolamento (Euratom, CECA, CEE) del Consiglio 20 gennaio 1981, n. 187 (GU 1981, L 21, pag. 18, sostituito dal testo pubblicato nella GU 16. 5. 1981, L 130, pag. 26);

2)

che vengano annullati gli artt. 1, lett. a), 2, leu. a), 2, lett. b) e 11, 1° comma, del regolamento integrativo (Euratom, CECA, CEE) del Consiglio 10 febbraio 1981, n. 397 (GU 1981, L 46, pag. 1, sostituito dal testo pubblicato nella GU 16. 5. 1981, L 130, pag. 29);

3)

che il-regolamento di cui sub 1) nonché le summenzionate disposizioni del regolamento di cui al punto precedente continuino ad avere effetto, conformemente alla domanda della Commissione e alla vostra sentenza in causa 81/72, fino all'entrata in vigore dei regolamenti da emanare a seguito della vostra sentenza;

4)

che ognuna delle parti sopporti le rispettive spese, in quanto nessuna di esse ha domandato l'applicazione dell'art. 69, § 2, del regolamento di procedura.


( 1 ) Traduzione dall'olandesi.

( 2 ) Nella fattispecie non è necessario rispondere espressamente alla questione se detto principio debba essere rispettato anche nell'ambito di una più ampia politica di flessibilità in base al principio della tutela dell'affidamento, in quanto, come ho detto, una tale più ampia politica comunitaria di flessibilità non è venuta in luce.

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