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Document 61981CC0008

Conclusioni dell'avvocato generale Sir Gordon Slynn del 18 novembre 1981.
Ursula Becker contro Finanzamt Münster-Innenstadt.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Finanzgericht Münster - Germania.
Efficacia delle direttive.
Causa 8/81.

Raccolta della Giurisprudenza 1982 -00053

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1981:271

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE SIR GORDON SLYNN

DEL 18 NOVEMBRE 1981 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

il presente procedimento trova origine in una domanda di pronunzia pregiudiziale proposta a questa Corte dal Finanzgericht di Münster (Repubblica federale di Germania) il 27 novembre 1980. Tale domanda era stata proposta nell'ambito della causa intentata dalla sig.ra Ursula Becker, di professione mediatrice indipendente di crediti, contro il Finanzamt (Ufficio delle imposte) di Münster-Innenstadt («Finanzamt»), nella quale essa chiedeva di essere esentata dall'imposta sulla cifra d'affari per il periodo marzo-giugno 1979, in base all'art. 13 B, lett. d), n. 1, della direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE (GU n. L 145, pag. 1).

L'art. 1 di tale direttiva stabilisce che «gli Stati membri adeguano il loro attuale regime dell'imposta sul valore aggiunto alle disposizioni dei seguenti articoli» e che «essi adottano le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative, affinchè il loro regime così adattato entri in vigore quanto prima e comunque entro il 1o gennaio 1978». L'art. 28, n. 4, prevede un periodo transitorio, avente una durata «iniziale» di cinque anni, a decorrere dal 1o gennaio 1978, al fine di consentire l'adattamento graduale delle legislazioni nazionali nei settori specificati dall'art. 28, n. 3; nessuno di tali settori sembra però toccato dalla presente controversia.

L'art. 13 B della direttiva n. 77/388/CEE dispone fra l'altro:

«Fatte salve altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esonerano, alle condizioni da essi stabilite per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni... e per prevenire ogni possibile frode, evasione ed abuso:... d) le operazioni seguenti: 1. la concessione e la negoziazione di crediti nonché la gestione di crediti da parte di chi li ha concessi...».

Vari Stati membri, fra i quali la Repubblica federale di Germania, non erano stati in grado di attuare la direttiva entro il termine stabilito. Di conseguenza, il Consiglio aveva adottato la direttiva 26 giugno 1978, n. 78/583/CEE (GU n. L 194, del 19 luglio 1978, pag. 16), con cui il termine per l'attuazione della direttiva n. 77/388/CEE veniva prorogato al 1o gennaio 1979. Nonostante questa proroga, la Repubblica federale di Germania non era ancora in grado di attuare tempestivamente la direttiva, cosicché, il 13 agosto 1979, la Commissione proponeva ricorso dinanzi a questa Corte ai sensi dell'art. 169 del Trattato CEE (causa 132/79). Due mesi più tardi, il 26 novembre 1979, veniva formalmente adottata una legge di attuazione della direttiva, a partire dal 1o gennaio 1980, e la Commissione rinunziava al ricorso.

La presente controversia si riferisce pertanto al periodo durante il quale la Repubblica federale di Germania aveva omesso di attuare la direttiva, come invece imponeva l'art. 1 della direttiva n. 77/388/CEE.

Risulta che, nelle dichiarazioni fiscali preliminari per il periodo marzo-giugno 1979 (successivo allo scadere del nuovo termine per l'attuazione della direttiva fissato con il provvedimento di proroga ed anteriore all'adozione della nuova legge da parte del Governo tedesco), la Becker aveva chiesto l'esenzione dall'imposta sulla cifra d'affari delle «operazioni di mediazione di crediti» effettuate in quei mesi. Di conseguenza, essa non aveva chiesto di poter detrarre l'imposta assolta per le operazioni a monte. Il Finanzamt non accettava la tesi della Becker, secondo cui le operazioni di mediazione di crediti da essa effettuate fruivano dell'esenzione, e assoggettava tali operazioni all'imposta in base alla legislazione tedesca allora in vigore. La Becker, dopo aver proposto inutilmente reclamo, adiva il Finanzgericht, chiedendo che l'imposta sulla cifra d'affari da essa dovuta per il periodo di cui trattasi fosse fissata in DM 0. A quanto risulta, essa invocava a questo fine esclusivamente l'art. 13, parte B, leu. d), n. 1, della direttiva. Il Finanzamt ribatteva che la direttiva di cui trattasi non poteva venire invocata dalla Becker in quanto, in base ad un decreto del ministro delle finanze della Renania del Nord - Westfalia, l'art. 13 B lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità e non è pertanto direttamente applicabile. E vero che, a fine anno, la Becker presentava la dichiarazione annuale dei redditi chiedendo di essere ammessa a detrarre l'imposta già assolta, ma si deve ritenere che questa richiesta costituisca una conseguenza del fatto che il Finanzamt le aveva negato il diritto all'esenzione. Non mi sembra sia necessario stabilire, ai fini della soluzione della questione sottoposta a questa Corte, se, come è stato sostenuto, tale suo comportamento sia stato incoerente.

Dalle osservazioni presentate per conto del Governo tedesco, risulta che tale problema si pone solo con riferimento alla negoziazione di crediti, in quanto le disposizioni tedesche che disciplinano la concessione e la gestione dei crediti da parte dello stesso soggetto che li ha concessi erano già conformi alla direttiva. Con la questione pregiudiziale sottoposta alla Corte dal Finanzgericht si chiede semplicemente se l'art. 13 B, lett. d), n. 1, abbia efficacia diretta per ciò che riguarda le operazioni di mediazione di crediti effettuate in Germania dal 1o gennaio 1979. Hanno presentato osservazioni scritte ed orali i governi francese e tedesco ed il Finanzamt, i quali hanno tutti sostenuto che la questione va risolta in senso negativo, nonché la Commissione, che ha sostenuto la tesi contraria. La Becker non ha presentato osservazioni.

Il rappresentante del Governo tedesco ha posto in dubbio che l'espressione «direttamente efficace», usata dal Finanzgericht nell'ordinanza di rinvio, sia sufficientemente appropriata se riferita al principio, affermato in varie sentenze della Corte, che, mentre l'art. 189 del Trattato CEE qualifica come direttamente applicabili soltanto i regolamenti, altri atti, ed in particolare le direttive, possono produrre effetti analoghi.

A mio avviso, le precedenti sentenze della Corte hanno chiarito che la vera questione non è se una direttiva sia «direttamente applicabile» nel vero senso della parola, vale a dire nel senso in cui tale espressione è usata nell'art. 189 del Trattato CEE.

Nella causa 41/74 (Van Duyn e/ Home Office, Race. 1974, pag. 1337), la Corte aveva chiarito che, se è vero che «i regolamenti, in forza dell'art. 189, sono direttamente applicabili e quindi atti, per natura, a produrre effetti diretti, da ciò non si può inferire che le altre categorie di atti contemplate dal suddetto articolo non possano mai produrre effetti analoghi ... È quindi opportuno esaminare, caso per caso, se la natura, lo spinto e la lettera della disposizione di cui trattasi consentano di riconoscerle efficacia immediata nei rapporti fra gli Stati membri ed i singoli». Le sentenze della Corte nelle cause 51/76 (Nederlandse Ondernemingen cl Inspecteur der Invoerrechten en Accijnzen, Race. 1977, pag. 113), 148/78 (Pubblico ministero c/ Ratti, Race. 1979, pag. 1629), e 102/79 (Commissione e/ Belgio, Race. 1980, pag. 1473) hanno precisato che, allorché uno Stato membro è destinatario di una direttiva, tale Stato è tenuto a darvi esecuzione, pur avendo facoltà di scelta quanto alla forma ed ai mezzi per l'attuazione della direttiva stessa. Ove lo Stato membro non abbia adottato i provvedimenti d'attuazione imposti dalla direttiva, l'obbligo da questa imposto può essere fatto valere in giudizio dagli amministrati, se l'obbligo di cui trattasi è incondizionato e sufficientemente preciso, contro lo Stato stesso. Questo non può però trarre vantaggio dal proprio ritardo nell'adempiere tale obbligo, sostenendo che la direttiva non è ancora in vigore.

La questione non è pertanto se la direttiva sia «direttamente applicabile», bensì se la sua formulazione sia tale che i singoli possono farla valere nei confronti dello Stato membro che si è reso inadempiente omettendo di darvi attuazione.

Le autorità tedesche ed il governo francese hanno svolto una serie di argomenti intesi a negare che la Becker possa far valere la direttiva n. 77/388/CEE.

Il governo tedesco ha innanzitutto sostenuto che, quando il Consiglio aveva discusso la proposta di direttiva, il rappresentante della Commissione aveva affermato che quello che oggi è l'art. 13 avrebbe dovuto essere formulato in modo da escludere i contribuenti dal beneficio dell'esenzione. Questo fatto non può, a mio parere, essere preso in considerazione ai fini della soluzione della questione sottoposta alla Corte. Se una determinata disposizione di una direttiva possa essere fatta valere, va stabilito con riferimento alla formulazione della direttiva stessa, non già in base ad una dichiarazione — non pubblicata — del rappresentante di una delle istituzioni che partecipano all'iter legislativo, dichiarazione volta a precisare l'orientamento di tale istituzione.

È stato poi sostenuto dal rappresentante del governo francese che il Consiglio aveva escluso implicitamente, con il fatto di adottare la direttiva n. 78/583/CEE, con la quale veniva prorogato il termine per l'attuazione della direttiva n. 77/388/CEE, la possibilità che questa avesse efficacia diretta. 11 rappresentante ha addotto una dichiarazione, iscritta nel verbale del Consiglio in occasione dell' adozione della direttiva n. 78/583/CEE, e non pubblicata, per dimostrare che il Consiglio non intendeva in effetti pregiudicare i diritti eventualmente acquisiti in base alla direttiva n. 77/388/CEE. Non mi occuperò nemmeno di questa dichiarazione, in quanto non pertinente.

Non mi sembra comunque accettabile la tesi del governo francese. La direttiva n. 78/583/CEE non incide sulla natura, sulla sostanza o sulla struttura generale delle disposizioni introdotte dalla direttiva n. 77/388/CEE. La prima si limita infatti a stabilire un nuovo termine per l'attuazione delle disposizione della seconda. Prescindendo dalla situazione esistente fra la data inizialmente fissata e quella, successiva, alla quale è stato prorogato il termine per l'attuazione della direttiva, mi sembra che, una volta che il nuovo termine sia trascorso, ci si debba chiedere, per quanto riguarda i periodi successivi, se si possa far valere la direttiva originaria, che per il resto è rimasta inalterata. La circostanza che il termine per l'attuazione della direttivi, sia stato prorogato non significa a mio avviso, né espressamente, né implicitamente, che — dopo la sua scadenza — : singoli non possano far valere le deposizioni della direttiva stessa nei confronti dello Stato membro inadempiente.

Il rappresentante del governo tedesco ha sostenuto che il singolo può far valere in giudizio le disposizioni di una direttiva solo se da ciò gli deriva un vantaggio. Nel caso di specie — è stato detto — l'art. 13 B, lett. d), n. 1, può sia giovare al singolo, sia nuocergli, sia, infine, produrre effetti che gli sono in parte vantaggiosi ed in parte dannosi. Per questo motivo, egli non può far valere tale disposizione. Non mi risulta, però, che sia stata citata alcuna pronuncia della Corte — e, a mia conoscenza, non vi sono state sentenze in cui tale condizione sia stata dichiarata necessaria. Benché, come ritengo, l'art. 189 vada interpretato nel senso che la direttiva, non avendo come destinatari i singoli, ncn può di per sé imporre obblighi a questi, cio non significa però che essi non possano far valere tale direttiva qualora essa produca qualche effetto per essi svantaggioso. La tesi ciucata sembra confondere vantaggi e svantaggi di fatto e diritti ed obblighi giuridici. Gli esempi — addotti dal rappresentante del governo tedesco — dei diversi effetti prodotti, in circostanze diverse, dall'art. 13 B, lett. d), n. 1, dimostrano solamente che l'applicazione di tale articolo può, di fatto, essere vantaggiosa o meno. Se l'art. 13 B, lett. d), n. 1, può essere invocato dai singoli nei confronti dello Stato membro inadempiente, ciò si verifica perchè tale disposizione impone agli Stati membri l'obbligo di concedere agli amministrati l'esenzione fiscale per determinate operazioni. È logico presumere che il singolo farà valere in giudizio una direttiva solo qualora ciò gli sia vantaggioso, ma il fatto che essa possa essergli svantaggiosa non modifica la sua situazione giuridica di fronte alla direttiva stessa.

Lasciando da parte' queste obiezioni di carattere preliminare alle pretese avanzate dalla Becker, mi occuperò della questione che a mio avviso è centrale, vale a dire se la Repubblica federale di Germania fosse tenuta ad attuare l'art. 13 B, leu. d), n. 1, e se la formulazione di questa disposizione sia incondizionata e sufficientemente precisa perchè i singoli possano farla valere in giudizio anche in mancanza di attuazione da parte dello Stato membro.

E stato allegato, in primo luogo, che la prima frase dell'art. 13 B non indica un obbligo incondizionato o sufficientemente preciso di esentare gli atti o le operazioni ivi indicati. Ciò in quanto essa riserva allo Stato membro la facoltà di stabilire condizioni «per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste in appresso e per prevenire ogni possibile frode, evasione od abuso».

La Commissione argomenta che le condizioni alle quali è subordinata l'esenzione ai sensi dell'art. 13, parte B, hanno carattere accessorio, e non inficiano il carattere incondizionato o cogente dell'obbligo imposto agli Stati membri. Questi godono di un certo margine di discrezionalità solo per garantire la corretta applicazione delle esenzioni previste e per prevenire frodi, evasioni ed abusi.

Dallo stesso art. 189 del Trattato CEE risulta chiaramente che la scelta della forma e dei mezzi può essere lasciata alle autorità nazionali. Tale margine di discrezionalità non osta a che la direttiva abbia carattere incondizionato e sia sufficientemente precisa quanto al risultato da raggiungere. Che sia possibile lasciare un certo margine di discrezionalità alle autorità nazionali, senza far uscire una. direttiva dalla categoria di quelle che i singoli possono far valere, risulta anche dalle sentenze della Corte nelle cause Nederlandse Ondernemingen e R. c/ Secretary of State for Home Affairs (131/79, Race. 1980, pag. 1585). Diversa sarebbe invece la situazione nel caso in cui fosse lasciata alla totale discrezionalità dello Stato membro la decisione se attuare o meno la direttiva.

A mio avviso, la tesi della Commissione è palesemente esatta. Le condizioni che gli Stati possono stabilire sono unicamente quelle relative ai mezzi a) per garantire la corretta e semplice applicazione delle esenzioni, vale a dire che vengano concesse le esenzioni giustificate e respinte le richieste non giustificate, e b) per prevenire frodi, evasioni ed abusi. Là dove sono indicate le specifiche operazioni esenti, gli Stati membri non hanno la facoltà di modificarne la definizione. Il fatto che lo Stato membro possa restringere, per esclusione, l'ambito dell'esenzione prevista al punto B, leu. b), dell'art. 13, non fa venir meno il carattere chiaramente definito delle operazioni esentate ai sensi della lett. d), del punto B, né rende in alcun modo condizionata l'applicazione di tali esenzioni II potere di stabilire le condizioni indicate nella prima frase dell'art. 13 B non fa venir meno, a mio avviso, il chiaro obbligo di esentare la «negoziazione di crediti». L'obbligo di ottenere tale risultato è preciso ed incondizionato.

È stato sostenuto che l'art. 13 B, lett. d), n. 1, costituisce parte integrante del sistema posto in essere dalla direttiva e che risulta chiaro, sotto diversi profili, che agli Stati membri non è stato imposto un obbligo incondizionato. È stato addotto, a titolo di esempio, l'ambito di discrezionalità lasciato agli Stati membri dagli artt. 5, n. 3 e n. 5; 6, n. 3; 9, n. 3, e 28, n. 3. Non mi sembra che, perchè si possano far valere in giudizio quelle disposizioni di una direttiva che hanno carattere incondizionato tutte le disposizioni di questa debbano possedere tale carattere. In effetti, la sentenza nella causa Nederlandse Ondernemingen sembra confermare la tesi opposta. Se quelle disposizioni che appaiono incondizionate sono subordinate a quelle condizionate o che conferiscono un potere discrezionale, è possibile che neppure le disposizioni aventi carattere incondizionato siano accessibili ai singoli. Nel caso di specie, l'esenzione dall'imposta a favore della negoziazione di crediti non è in alcun modo subordinata ad un potere, discrezionale o vincolato, attribuito agli Stati membri da altri articoli.

Un'altra tesi svolta è che il diritto all' esenzione è subordinato all'avvenuto esercizio, da parte degli Stati membri, del loro diritto di attribuire ai contribuenti la facoltà di opzione, cui si riferisce l'art. 13, parte C, della direttiva. Tale norma dispone:

«Gli Stati membri possono accordare ai loro soggetti passivi il diritto di optare per l'imposizione nel caso di:

a)

affitto e locazione di beni immobili;

b)

operazioni di cui al punto B, lettere d), g) e h).

Gli Stati membri possono restringere la portata del diritto di opzione e ne stabiliscono le modalità di esercizio».

È stato sostenuto che l'efficacia diretta dell'art. 13, punto B, impedirebbe o escluderebbe l'esercizio, da parte dello Stato membro, del potere discrezionale attribuitogli dal punto C dello stesso articolo. Non sono convinto che questa conclusione derivi dalla formulazione della direttiva. All'udienza, il rappresentante del governo tedesco ha riconosciuto che l'applicazione dell'art. 13 B non è subordinata all'avvenuto esercizio, da parte dello Stato membro, del potere discrezionale attribuitogli dall'art. 13 C. Ciò è certamente vero. La portata dell'art. 13 C consiste unicamente nel permettere agli Stati membri di concedere, se lo desiderano, ai contribuenti il diritto di optare per l'imposizione. Ciò implica necessariamente che l'applicazione della norma di esenzione non dipende dall'art. 13 C. Invero, ciò sembra presupporre che l'art. 13 B (l'esenzione) può essere fatto valere in giudizio, a meno che lo Stato membro, esercitando autonomamente il proprio potere discrezionale, non abbia accordato il diritto di optare per l'imposizione. Il fatto che allo Stato membro venga attribuita la facoltà di restringere la portata del diritto di opzione e di stabilirne le modalità di esercizio riguarda l'esercizio di tale diritto, non già la sussistenza del diritto all'esenzione. Né la facoltà di concedere il diritto di optare per l'imposizione implica il potere discrezionale degli Stati membri di escludere completamente dall'esenzione la negoziazione di crediti.

Il rappresentante del governo francese ha cercato di stabilire un parallelo fra tali disposizioni e le disposizioni in materia di detrazione contenute nella direttiva 11 aprile 1967, n. 67/228/CEE (GU n. 71, del 14 aprile 1967, pag. 1303), che — egli ha detto — la Corte, nella sentenza Nederlandse Ondernemingen, ha ritenuto priva di efficacia diretta. Egli, però, pur citando i punti 26 e 27 della motivazione, non ha prestato sufficiente attenzione ai successivi punti 28 e 29. Da questi risulta che, secondo la Corte, il principio della detrazione immediata ha efficacia diretta, salvo nei casi in cui è stato attribuito agli Stati membri il potere discrezionale di stabilire deroghe o eccezioni a tale principio e qualora «il punto controverso sia disciplinato da una delle disposizioni che, vuoi in termini espressi, vuoi a causa dell'indeterminatezza delle nozioni utilizzate, lasciano alle autorità legislative od amministrative degli Stati membri un margine di discrezionalità per quanto concerne il contenuto materiale delle eccezioni o delle deroghe consentite».

È stato pure allegato che sorge, o può sorgere, un conflitto — nel caso in cui si possa chiedere l'esenzione — con gli artt. 21, n. 1, lett. c), e 22, B. 3, della direttiva, ove si dichiara che l'imposta sul valore aggiunto, se è indicata in una fattura, dev'essere pagata senza che vi sia il diritto di detrazione contemplato dall'art. 17, n. 2. Se, come è stato sostenuto, questa è la conseguenza, ciò mi sembra derivare dal sistema che è stato creato e non costituire affatto una contraddizione, fra le varie norme del sistema, tale da costringere a concludere che l'art. 13 B, lett. d), n. 1, non può essere fatto valere in giudizio. A parte ciò, è stato allegato che, se la Becker potesse chiedere l'esenzione, la posizione fiscale dei suoi clienti e dei terzi partecipanti ad una serie di operazioni concatenate (come pure altre persone nella sua stessa situazione) ne verrebbero coinvolti. Una pronunzia della Corte favorevole alla Becker darebbe luogo — è stato detto — ad incertezze e difficoltà, in quanto farebbe riaprire operazioni ormai chiuse. Se le difficoltà amministrative menzionate dal rappresentante del governo tedesco sorgerebbero realmente è una questione opinabile. Questa Corte ignora se altre persone chiederebbero la revisione di accertamenti già definitivi, e perfino se ne avrebbero diritto in base alle norme tedesche. Può essere nel loro interesse l'astenersene. Quand'anche tali domande di revisione degli accertamenti dessero luogo a difficoltà amministrative, mi pare che tali difficoltà deriverebbero essenzialmente dalla mancata attuazione della direttiva da parte del governo della Repubblica federale di Germania. Esse non possono essere invocate per impedire al singolo di far valere in giudizio le disposizioni della direttiva, qualora vi abbia altrimenti diritto.

Di conseguenza, sono del parere che la questione sottoposta a questa Corte dal Finanzgericht va risolta nel senso che l'art. 13 B, lett. d), n. 1, può essere fatto valere in giudizio dai singoli nei confronti del Finanzamt, con riferimento alle loro obbligazioni per l'anno 1979.


( 1 ) Traduzione dall'inglese.

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