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Document 61978CC0170(01)

Conclusioni dell'avvocato generale Reischl del 16 giugno 1982.
Commissione delle Comunità europee contro Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord.
Trattamento fiscale del vino.
Causa 170/78.

Raccolta della Giurisprudenza 1983 -02265

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1982:227

CONCLUSIONI INTEGRATIVE DELL'AVVOCATO GENERALE

GERHARD REISCHL

DEL 16 GIUGNO 1982 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

L'inizio del procedimento per trasgressione degli obblighi nel quale espongo oggi il mio parere risale al 1976. Allora la Commissione informava il Governo del Regno Unito che la notevole differenza fra l'aliquota dell'accisa sul vino prodotto in altri Stati membri e quelle sulla birra prodotta nel Regno Unito costituiva, a suo parere, una protezione indiretta della birra nazionale- in contrasto con l'art. 95, 2o comma, del Trattato CEE. Avendo il Governo britannico negato l'addebito, si è giunti infine ad un'azione della Commissione contro il Regno Unito, nella quale il Governo italiano è intervenuto a sostegno della Commissione.

Nelle mie conclusioni del 28 novembre 1979, che posso richiamare su questo punto, ho ritenuto che in linea di massima l'art. 95, 2o comma, del Trattato CEE può applicarsi alla tassazione della birra e del vino, ma ho alla fine concluso per il rigetto del ricorso perché a mio parere la Commissione non era riuscita a fornire la prova che la differenza di tassazione fra la birra e il vino fosse atta a proteggere indirettamente, ai sensi della suddetta norma, la produzione nazionale di birra.

La Corte, certamente tenendo conto dell'andamento delle disposizioni tributarie per la birra ed il vino, accertava — è vero — una tendenza protezionistica a danno delle importazioni di vino nel Regno Unito, tuttavia, di fronte alle incertezze che rimanevano tanto a proposito delle caratteristiche del rapporto di concorrenza fra vino e birra, quanto sulla questione del corretto rapporto d'imposizione nella prospettiva della Comunità nel suo complesso, non si sentiva in grado di decidere sulla trasgressione addebitata al Regno Unito ed emetteva pertanto, il 27 febbraio 1980, una sentenza interlocutoria ( 2 ) del seguente tenore:

«Le parti riesamineranno la materia del contendere alla luce delle considerazioni giuridiche della presente sentenza e riferiranno alla Corte in merito al risultato di tale esame entro il 31 dicembre 1980. La Corte si pronunzierà definitivamente dopo tale data, viste le relazioni che le saranno state presentate, o in mancanza di esse.

...»

Dopo che il termine era stato più volte prorogato, da ultimo sino al 31 gennaio 1982, senza che la controversia fosse risolta ed avendo le parti principali e l'interveniente presentato di nuovo le loro osservazioni, la Corte ha deciso di riaprire la fase orale.

Questa nuova parte del procedimento dà occasione alle seguenti conclusioni integrative, per le quali mi posso richiamare in merito agli antefatti alle mie già menzionate conclusioni, nonché alla citata sentenza interlocutoria. Quanto agli antefatti, va solo aggiunto che dal 1977 la tendenza della curva d'imposizione della birra nei confronti di quella del vino è stata modificata nel senso che la tassazione della birra è stata aumentata in proporzione più di quella sul vino con la conseguenza che ora le due curve corrono press'a poco parallele.

Anche in diritto posso perfettamente rimandare alle mie osservazioni di allora. Mi limito quindi ad un breve riassunto delle questioni già risolte dalla sentenza interlocutoria e di quelle ancora aperte per poi esaminare se le nuove osservazioni, che tengono conto delle considerazioni giuridiche contenute nella sentenza, consentano ora di accertare una trasgressione degli obblighi imposti dal trattato.

1. 

Sull'interpretazione dell'art. 95 la Corte ha anzitutto confermato che a norma del 1o comma dello stesso è vietata qualsiasi norma tributaria in forza della quale i prodotti importati vengano tassati in misura maggiore di quelli nazionali analoghi, mediante qualsivoglia dispositivo fiscale, lì 2o comma si applica al trattamento tributario di prodotti che «pur non rispondendo al citato criterio di similarità, si trovano nondimeno in concorrenza, sia parziale, sia potenziale, con determinate produzioni del paese d'importazione». Per determinare la sussistenza del rapporto di concorrenza, come sottolinea espressamente la Corte, «bisogna prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del mercato, ma anche le possibilità di evoluzione nel contesto della libera circolazione delle merci su scala comunitaria e le nuove potenzialità di sostituzione fra prodotti che l'intensificazione degli scambi può mettere in luce».

2. 

Quanto alla nozione di «intese a proteggere» di cui all'art. 95, 2o comma, del Trattato CEE la Corte ha ulteriormente chiarito che non si può esigere, in ogni caso, che sia portata la prova statistica di un effetto protezionistico, ma che per applicare la suddetta disposizione «è sufficiente l'accertamento che un determinato dispositivo fiscale, tenuto conto delle caratteristiche ad esso proprie, può provocare l'effetto protezionistico cui si riferisce il Trattato» (... est susceptible d'entraîner l'effet protecteur ...; ... is likely ... to bring about to protective effect ...; ... Schutzwirkung zur Folge haben kann ...).

Tenendo conto di questi criteri la Corte ha poi stabilito, a proposito della situazione di concorrenza fra vino e birra, che le due bevande «in una certa misura, ... sono in grado di soddisfare bisogni identici, cosicché si deve ammettere un determinato grado di sostituibilità reciproca».

Tale affermazione conferma la giurisprudenza più recente della Corte, secondo cui per determinare l'analogia ossia la sostituibilità bisogna osservare se i prodotti considerati «abbiano, agli occhi del consumatore, proprietà analoghe e rispondano alle medesime esigenze» (v. causa 45/75, Rewe ( 3 )), e secondo cui l'art. 95, 2o comma, può già applicarsi se un prodotto importato si trova in concorrenza con un prodotto nazionale protetto, in uno o più impieghi economici (v. causa 27/67, Fink-Frucht ( 4 )). Contemporaneamente la Corte ha chiarito nella sentenza interlocutoria nella presente causa che la politica tributaria di uno Stato membro non deve servire a «cristallizzare date abitudini di consumo allo scopo di rendere stabile un vantaggio acquisito dalle industrie nazionali che si dedicano al loro soddisfacimento».

3. 

Benché di conseguenza si debba partire dal presupposto che l'imposizione sulla birra e sul vino va di massima calcolata secondo il metro dell'art. 95, 2o comma, non si può tuttavia negare, come viene rilevato nella sentenza interlocutoria, che vi sono notevoli differenze fra il vino e la birra per quanto riguarda i procedimenti di fabbricazione, le proprietà naturali delle due bevande e la struttura dei loro prezzi, differenze che rendono particolarmente difficile il confronto sul piano tributario nonostante il rapporto di concorrenza fra i prodotti finali.

A causa della diversa tassazione del vino e della birra nei singoli Stati membri — nei paesi produttori di vino la produzione di vino, a differenza della birra, non è soggetta ad alcuna accisa o solo ad un'imposta nominale — e per poter valutare le conseguenze della decisione sul trattamento fiscale dei due prodotti nell'insieme della Comunità, la Corte ha ritenuto necessario che la Commissione chiarisse quale rapporto di tassazione essa ritenga corretto in considerazione delle summenzionate incertezze.

Ora, il rapporto fra il carico fiscale sul vino e quello sulla birra risulta diverso a seconda dei criteri di confronto adottati. Sui singoli criteri di calcolo menzionati dalle parti, la Corte ha precisato che le informazioni pervenutele dimostravano che né il solo criterio del volume, né il confronto fra unità tipiche di consumo, né il criterio dell'incidenza dell'onere fiscale sul prezzo finale delle due bevande costituiscono un'adeguata base di raffronto. Fra i criteri menzionati dalle parti il solo che, seppure insufficiente, consenta un confronto adeguato, ma non molto obiettivo, consiste «nella valutazione dell'incidenza dell'onere fiscale in rapporto alla gradazione alcolica delle bevande». Secondo tale criterio, il carico fiscale sul vino nel Regno Unito supera attualmente di circa il 50 % quello sulla birra, se si tratta di bevande con contenuto alcolico di II-12o e, rispettivamente, di 3-3,7o', mentre il divario è maggiore se si prende come base il contenuto alcolico del vino da tavola corrente che è in concorrenza con la birra.

4. 

Se si considerano alla luce di quanto sopra le nuove deduzioni delle parti, colpisce anzitutto il fatto che, se non sbaglio, nessuna delle parti in causa contesta più che i due tipi di bevanda si trovino in rapporto di concorrenza parziale o potenziale. Le parti sembrano inoltre d'accordo sul fatto che le differenze che esistono dal punto di vista del procedimento di fabbricazione e delle proprietà naturali delle due bevande giustificano di massima una diversa tassazione. Di conseguenza esse concentrano le loro deduzioni essenzialmente sulla proporzione nella tassazione dei due prodotti, che è strettamente connessa al metodo di confronto prescelto. È stato in proposito confermato che, a causa delle particolarità della coltivazione della vite dovute ai diversi metodi di coltivazione, a loro volta dipendenti dalle proprietà del suolo e del clima, appare difficile, se non del tutto impossibile, determinare con precisione l'incidenza del processo produttivo sulla formazione dei prezzi del vino.

5. 

Viceversa siamo ora meglio informati sulla questione, non risolta nella sentenza interlocutoria, di quale rapporto d'imposizione fra le due bevande la Commissione ritenga corretto. A suo parere gli Stati membri, stando alla giurisprudenza della Corte, possono stabilire per prodotti analoghi tassazioni diverse se vengono in tal modo perseguiti, secondo criteri obiettivi, scopi legittimi di politica economica o sociale, compatibili col diritto comunitario. Il fatto che negli Stati membri con notevole produzione di vino questo sia esente da imposte o soggetto ad un'imposta solo nominale, mentre la birra viene tassata, sarebbe l'espressione di una legittima decisione di politica economica e non costituirebbe alcuna discriminazione ai sensi dell'art. 95, poiché tanto i vini importati quanto le birre importate ricevono lo stesso trattamento dei prodotti nazionali corrispondenti. Il rapporto fra l'accisa sul vino e quella sulla birra andrebbe alla fin fine determinato coi metodi dell'armonizzazione ai sensi dell'art. 99 del Trattato. L'art. 95 non imporrebbe comunque di fissare l'importo massimo dell'accisa sulla birra rispetto alla corrispondente accisa sul vino. La situazione sarebbe però diversa se in uno Stato membro non vi è una notevole produzione di vino ed il vino importato si trova quindi in concorrenza con la birra nazionale. In tal caso la tassazione del vino importato, riferita ad un certo volume, e la corrispondente tassazione della birra nazionale non dovrebbe oltrepassare il rapporto che si desume dal confronto fra il contenuto alcolico rispettivo delle bevande di cui trattasi. Il rapporto fra la birra più venduta, di contenuto alcolico di 3,5-3,6o, ed il più diffuso vino da tavola, di gradazione alcolica di 10-12o, è di circa 1 :2,8 e 1 : 3,4. Partendo da un contenuto alcolico medio di 3,6o per la birra e di 10o per il vino si avrebbe un rapporto di 1 : 2,8. Se tale rapporto, come nella presente fattispecie, viene superato, vi sarebbe la presunzione che la birra nazionale venga indirettamente protetta nei confronti del vino importato.

Il Governo del Regno Unito ribatte anzitutto che la tendenza protezionistica derivante dall'aggravio differenziato dell'accisa sul vino e di quella sulla birra, accertata dalla Corte di giustizia, è stata nel frattempo eliminata. Esso persiste nel sostenere che il comportamento del consumatore è in definitiva determinato essenzialmente dal prezzo finale dei prodotti e non dal rapporto fra il prezzo e la gradazione alcolica. L'incidenza dell'imposta sul prezzo dei prodotti costituirebbe quindi una base di confronto migliore dell'onere fiscale gravante sul singolo grado di alcool delle bevande. Ora, detto metodo di confronto dimostrerebbe che la tassazione del vino nel Regno Unito non è atta a proteggere indirettamente la produzione nazionale di birra. Del resto tale effetto protezionistico vietato non si dimostrerebbe neppure prendendo come criterio di raffronto l'onere fiscale sul singolo grado alcolico delle bevande.

Anche il Governo italiano, per gli stessi motivi addotti dal Governo britannico, non considera un adeguato criterio di raffronto l'onere fiscale sul singolo grado alcolico. A suo parere, dipende certo di massima dagli Stati membri la scelta del criterio fiscale più adeguato. Ma una volta che gli Stati membri hanno deciso, come nel caso del Regno Unito, di procedere alla tassazione secondo il volume, ci si può valere solo di questo criterio come base di raffronto per l'onere fiscale. Al massimo, si potrebbe tener conto inoltre del fatto che, secondo l'esperienza, a parità di condizioni viene consumato circa il 50 % in più di birra che di vino. Di conseguenza, nella presente fattispecie, si potrebbe tutt'al più ammettere, come rapporto d'imposizione corretto, un rapporto di 1 : 1,5.

In merito a queste nuove allegazioni, va anzitutto richiamata la giurisprudenza delle Corte di giustizia, secondo cui non è vietato agli Stati membri, finché non sia intervenuta l'armonizzazione delle imposte relative, trattare diversamente dal punto di vista fiscale persino quei prodotti che, ai sensi dell'art. 95, 1o comma, vanno considerati analoghi. In tal modo, come risulta specialmente dalle sentenze Hansen & Balle, Chemial farmaceutici e Vinai ( 5 ), si possono perseguire scopi legittimi di politica economica o sociale, ed all'uopo vanno solo osservati criteri obiettivi ed il perseguimento dei suddetti fini dev'essere compatibile col diritto comunitario. Siffatta possibilità di disparità fiscale deve a maggior ragione valere per i prodotti che vanno considerati solo prodotti di sostituzione ai sensi dell'art. 95, 2o comma, del Trattato CEE. Decisivo è solo, come la corte ha chiarito nelle sentenze sulle acqueviti del 27 febbraio 1980 ( 6 ), che la disparità fiscale non abbia carattere discriminatorio o protezionistico nei confronti dei prodotti importati.

In base a questa giurisprudenza, non si può quindi criticare il fatto che la birra ed il vino, sebbene possano servire allo stesso uso dal punto di vista del consumatore, siano tassati diversamente, poiché fra essi, come è stato dimostrato, sussistono notevoli differenze in fatto di procedimento di fabbricazione, di gradazione alcolica, di composizione del prezzo e, non da ultimo, di componenti del gusto.

Una tassazione differenziata del genere, giustificata da motivi obiettivi, da un lato non costituisce quindi una protezione indiretta della produzione nazionale di birra ai sensi dell'art. 95, 2o comma, per il solo fatto che il Regno Unito non produce vino. D'altra parte, non va escluso il pericolo che proprio in simili casi l'imposizione fiscale possa essere usata come mezzo di discriminazione dei prodotti concorrenti importati. Ciò vale a maggior ragione in quanto qui, a differenza della causa Vinai ( 5 ) , la tassazione del vino non può essere considerata come motivo del fatto che nel Regno Unito non si è potuta sviluppare una consistente produzione di vino.

In questo contesto va accertato fino a quale livello di tassazione del vino rispetto a quello della birra il rapporto si possa definire «adeguato» nel senso della sentenza interlocutoria. Come ha giustamente rilevato fra l'altro il Governo italiano, non spetta alla Corte lo stabilire, nell'ambito dell'art. 95, 2o comma, del Trattato, il metodo corretto per il confronto fra i due prodotti. L'esame dei singoli metodi di raffronto, in parte trattati ed esclusi nella sentenza interlocutoria, può in proposito avere carattere puramente indicativo del se una differenziazione fiscale sia obiettivamente giustificata e compatibile con gli scopi del diritto comunitario.

Come unico criterio menzionato dalle parti che consenta un confronto appropriato, anche se non molto obiettivo e quindi insufficiente, la Corte nella sentenza interlocutoria ha considerato l'onere fiscale per grado alcolico delle bevande ed ha accertato grazie ad esso che l'onere fiscale sul vino nel Regno Unito, tenendo conto di una differenza media di gradazione alcolica corrispondente al rapporto di 1 : 3, è di circa il 50 % superiore a quello sulla birra.

Nient'altro vale anche per la situazione presente, anche se si volesse con la Commissione ritenere adeguato un rapporto di 1 : 2,8, poiché il rapporto fra la tassazione della birra e quella del vino nel Regno Unito, a quanto ci è stato detto, è attualmente secondo questo criterio di 1 : 4,2. Di conseguenza dobbiamo anche ora accontentarci di constatare che, come la Corte ha già dichiarato nella sentenza interlocutoria, secondo questo criterio il vino deve sopportare nel Regno Unito un onere fiscale maggiore di quello della birra.

6. 

Continuo tuttavia a nutrire gravi dubbi sul se tale constazione basti da sola per accertare una trasgressione dell'art. 95, 2o comma, del Trattato CEE. In proposito occorre infatti la prova che la prassi fiscale di cui trattasi sia «intesa a proteggere indirettamente» la produzione dello Stato membro importatore.

Ora, su questo punto la Commissione non ha in sostanza dedotto nulla di nuovo. A favore del criterio del contenuto alcolico, cui si richiama ora la Commissione per stabilire il limite massimo dell'imposizione, milita certo il fatto che tale raffronto si basa su grandezze obiettivamente determinabili. Da ciò consegue a mio parere — e con questo ribatto a quanto si dice nella memoria del Governo italiano — che una tassazione del vino e della birra la quale resti entro tali limiti è come tale obiettivamente giustificata e non può quindi considerarsi contraria al Trattato.

Tuttavia, come la Corte ha affermato nella sentenza interlocutoria, anche questa base di confronto è «insufficiente da sola» di fronte alla complessa situazione concorrenziale fra il vino e la birra. È già incerto, a proposito di questo metodo, se e fino a che punto il contenuto alcolico sia determinante per il comportamento del consumatore, tenuto conto delle notevoli ulteriori differenze fra vino e birra, oppure se tale comportamento non venga in definitiva influenzato solo dal prezzo finale delle bevande. A parte ciò, tale metodo si basa sul confronto tra il contenuto alcolico del «vino corrente» e quello della «birra corrente», mentre non è detto che solo questi due prodotti correnti siano effettivamente in concorrenza fra loro. Se si confronta invece secondo detto metodo una birra più leggera con un vino più forte, si ottiene un rapporto che è vicino alla prassi tributaria seguita dal Governo britannico. Ma, da ultimo, tanto per il vino quanto per la birra non sempre esiste uno stretto rapporto fra il contenuto alcolico ed il prezzo.

Queste considerazioni dimostrano, a mio parere, che il carico fiscale relativamente maggiore sul vino rispetto alla birra non giustifica da solo con sufficiente certezza la presunzione che questa prassi fiscale sia intesa a proteggere indirettamente la produzione nazionale di birra. Non si può ignorare in proposito che, finché nel mercato comune la tassazione della birra e del vino non sarà stata armonizzata, l'esigenza di un «rapporto d'imposizione adeguato» offre agli Stati membri, nell'ambito della loro autonomia tributaria, una gamma di possibilità limitata solo dal fatto che la prassi fiscale seguita non può avere carattere discriminatorio o protezionistico nei confronti dei prodotti sostitutivi importati. I limiti di tale gamma di possibilità sono naturalmente tanto più ampi quanto minore o parziale è la sostituibilità fra i due prodotti.

Tenuto conto della sostituibilità solo parziale fra birra e vino e delle dette notevoli differenze fra le due bevande, mi sembra che nella presente fattispecie non sia stata ancora fornita la prova che tali limiti sono stati superati. In senso contrario militano fra l'altro, a mio parere, il fatto che tanto secondo il criterio di confronto caldeggiato dalla Commissione, quanto in base ad altri metodi di confronto si possono trovare motivi obiettivi atti a giustificare proprio una prassi tributaria del genere nonché il fatto che la Commissione non è riuscita a provare che la stessa prassi fiscale porti con un certo grado di probabilità ad una protezione indiretta della produzione britannica di birra rispetto al vino importato da altri Stati membri.

7. 

Propongo quindi di nuovo di respingere il ricorso e di condannare la Commissione alle spese del giudizio.


( 1 ) Traduzione dal tedesco.

( 2 ) Race. 1980, pagg. 417, 438 e segg.

( 3 ) Sentenza 17 febbraio 1976, 45/75, Rewe-Zentrale des Lebensmittel-Großhandels GmbH/Hauptzollamt Landau-Pfalz, Race. 1976, pag. 181.

( 4 ) Sentenza 4 aprile 1968, 27/67, fink-Frucht GmbH/ Hauptzollamt Münchcn-Landsbcrgcr Straße, Race. 1968, pag. 297 e pag. 310.

( 5 ) Sentenza 10 ottobre 1978, 148/77, H. Hansen jun. & O.C. Balle GmbH & Co./Hauptzollamt Flensburg, Race. 1978, pag. 1787; sentenza 14 gennaio 1981, 140/79, Chemial Farmaceutici/DAF, Race. 1981, pag. 1; sentenza 14 gennaio 1981, 46/80, Spa Vinal/Spa Orbat, Race. 1981, pag. 77, con ulteriore documentazione.

( 6 ) Sentenza 27 febbraio 1980, 168/78, Commissione/Repubblica francese, Race. 1980, pag. 347; sentenza 27 febbraio 1980, 169/78, Commissione/Repubblica italiana, Race. 1980, pag. 385; sentenza 27 febbraio 1980, 171/78, Commissione/Regno di Danimarca, Race. 1980, pag. 447; sentenza 27 febbraio 1980, 55/79, Commissione/Irlanda, Race. 1980, pag. 481; sentenza 27 febbraio 1980, 68/79, Hans Just/Ministero danese delle imposte ed accise, Race. 1980, pag. 501.

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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

PIETER VERLOREN VAN THEMAAT

DEL 10 MAGGIO 1983 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

1. Lo stato del procedimento

1.1.

All'ordine del giorno vi è oggi di nuovo la questione se la Commissione abbia con ragione concluso nel ricorso del 7 agosto 1978 che l'accisa allora riscossa dal Regno Unito sui vini leggeri non spumanti era in contrasto con l'art. 95, 2o comma del Trattato CEE. Tale accisa era allora di UKL 3,250 il gallone, rispetto ad UKL 0,6084 il gallone per la birra della qualità corrente presa in considerazione.

1.2. La data decisiva per la valutazione

Elemento decisivo per risolvere la questione, in base fra l'altro alla vostra sentenza relativa alla carne suina (causa 7/61, Race. 1961, pag. 619, primi 7 punti della motivazione) ed alla dottrina ad essa afferente, è la situazione esistente al momento della proposizione della domanda (v. H. G. Schermers, Judicial Protection in the European Communities, seconda edizione, pag. 227, ed H. A. H. Audretsch, Supervision in European Community Law, pagg. 29, 36, 38, 40-46). Anche qualora lo Stato membro si sia conformato in corso di causa agli obblighi impostigli dal Trattato, la Commissione può, stando alla suddetta sentenza, conservare un interesse «a far accertare in diritto se sia stata effettivamente commessa una violazione del Trattato». Nelle conclusioni per la causa 7/61 (Race. 1961, pag. 647) l'avvocato generale Lagrange, basandosi fra l'altro sulla lettera dell'art. 171 del Trattato, era anch'esso giunto alla conclusione, in una con la Commissione, che per la Corte è decisivo se «la trasgressione sia avvenuta, senza tener conto di ciò che è accaduto in seguito», e che anche dopo che si era posto fine al comportamento illegittimo la Commissione poteva ancora avere interesse alla decisione della causa, almeno perché, in caso contrario, lo Stato membro avrebbe modo di «ricominciare il giorno seguente e ciò senza che la sussistenza della trasgressione possa essere dichiarata con sentenza».

Questo richiamo alla vostra giurisprudenza mi sembra particolarmente importante nella presente fattispecie per due motivi. Anzitutto, taluni passi delle allegazioni scritte ed orali delle parti successive alla sentenza interlocutoria del 27 febbraio 1980 danno l'impressione che essi considerino decisiva per l'accertamento di una trasgressione del Trattato la situazione degli anni 1980-1983. Una tesi del genere sarebbe tuttavia contraria all'interpretazione da voi data, nella summenzionata sentenza, degli artt. 169 e 171 del Trattato. L'evolversi della situazione nel Regno Unito dopo la proposizione del ricorso è rilevante in proposito solo in quanto è atto a gettare una proficua nuova luce sulla situazione esistente al momento della proposizione del ricorso.

In secondo luogo, il richiamo alla vostra giurisprudenza è importante nella fattispecie perché la Commissione sostiene manifestamente che neppure dopo la proposizione del ricorso l'asserita trasgressione del Trattato è venuta completamente meno. Già per questo motivo, la Commissione conserva altresì in concreto un evidente interesse ad una decisione della Corte la quale indichi con sufficiente chiarezza quali provvedimenti debba adottare, a norma dell'art. 171 del Trattato, il Regno Unito per porre fine all'asserita trasgressione del Trattato stesso.

1.3. Gli antefatti di rilievo secondo il ricorso

Nel parere motivato 8 novembre 1977, la Commissione ha sostenuto che l'accisa sui vini leggeri non spumanti era stata portata, al 1 gennaio 1977, da UKL 2,955 il gallone a UKL 3,250 il gallone, mentre sulla birra considerata veniva riscossa un'accisa di UKL 0,6084 il gallone. Per grado alcolico, l'accisa riscossa sul vino di cui trattasi con gradazione di 11o e, rispettivamente, di 12o era di UKL 0,2955 o di UKL 0,2708 il gallone, a fronte di UKL 0,2028 il gallone per la birra. Per quanto riguarda il rapporto di prezzo, l'accisa sulla birra rappresenterebbe in media il 25 % e l'accisa sul vino almeno il 38 % del prezzo di vendita al consumo.

Secondo il parere motivato, l'accisa sul vino considerato supererebbe quindi l'accisa sulla birra, in base ai criteri applicati, di circa il 50 % (se si seguono i criteri relativi al contenuto alcolico o al prezzo al consumo) o anche di circa il 400 % (se si segue il criterio del volume previsto dalla normativa britannica in materia d'accise).

Vi è un rapporto di concorrenza fra la birra ed il vino, cosicché l'accertata disparità di tassazione costituirebbe una protezione indiretta della produzione di birra, vietata dall'art. 95, 2o comma, del Trattato CEE.

1.4. La sentenza 17 febbraio 1980

Nella sentenza interlocutoria 27 febbraio 1980 (Race. 1980, pag. 417) avete anzitutto preso atto, al punto 3 della motivazione, che il Regno Unito ammette essenzialmente (non mette in dubbio) i fatti dedotti dalla Commissione, specialmente per quanto riguarda l'andamento delle aliquote d'imposta. Il Regno Unito ha invece contestato che vi sia un rapporto di concorrenza fra vino e birra, cosicché non vi sarebbe la possibilità di sostituzione che è la condizione per l'applicazione dell'art. 95, 2o comma. Inoltre, anche supponendo che si riconosca tale possibilità di sostituzione, secondo il Regno Unito, il regime fiscale dei vini non avrebbe carattere protezionistico ai sensi del suddetto articolo del Trattato.

Al punto 6 della motivazione, avete affermato che per determinare la sussistenza di un rapporto di concorrenzialità nel senso dell'art. 95, 2o comma, bisogna prendere in considerazione non soltanto lo stato attuale del mercato, ma anche le possibilità di evoluzione nel contesto della libera circolazione delle merci su scala comunitaria e le nuove potenzialità di sostituzione fra prodotti che l'intensificazione degli scambi può mettere in luce, così da porre pienamente in valore le complementarità fra le economie degli Stati membri, conformemente alle finalità stabilite dall'art. 2 del Trattato.

Al punto 10 della sentenza avete energicamente sottolineato che (per accertare l'effetto protezionistico) l'art. 95, 2o comma, si riferisce al carattere del sistema fiscale in questione, cosicché non si può esigere che sia fornita in ogni caso la prova statistica dell'effetto protezionistico. «Per l'applicazione dell'art. 95, 2o comma, è sufficiente l'accertamento che un determinato dispositivo fiscale, tenuto conto delle caratteristiche ad esso proprie, può provocare l'effetto protezionistico cui si riferisce il Trattato».

Al punto 14 della motivazione avete dichiarato: «Non si può negare che, in una certa misura, le due bevande di cui è causa sono in grado di soddisfare bisogni identici, cosicché si deve ammettere un determinato grado di sostituibilità reciproca».

Nelle sue prime conclusioni (pag. 442] l'avvocato generale ReischI ha rafforzate la tesi della possibilità di sostituzione, affermando che, dal punto di vista del consumatore, la birra e il vino sono destinati allo stesso uso, poiché posseggono le stesse caratteristiche. Sono ottenuti entrambi mediante un procedimento di fermentazione, si distinguono dalle altre bevande dissetanti elencate nel capitolo XXII della Tariffa doganale comune per il loro contenuto alcolico. Il tenore di alcool relativamente ridotto le distingue poi, ancora — secondo tali conclusioni — dalle acquaviti di cui alla voce 22.09 C della tariffa doganale comune, ottenute mediante distillazione. Considero un punto di partenza importante per le mie conclusioni nella presente causa il punto 14 della suddetta sentenza, al quale l'avvocato generale ha fornito un ulteriore supporto nelle prime conclusioni per questa causa.

In merito ai criteri di calcolo da applicare all'accertato rapporto di concorrenzialità onde stabilire un confronto fra gli oneri fiscali sopportati dai due prodotti, al punto 18 della motivazione avete dichiarato che «le spiegazioni fornite indicano che né la presa in considerazione del volume puro e semplice delle due bevande, né, ancora, il raffronto fra unità tipiche di consumo possono fornire un'adeguata base di comparazione. Lo stesso vale per il confronto fra l'incidenza dell'onere fiscale sul prezzo di vendita per i due tipi di bevande, tenuto conto del fatto che, mentre è relativamente agevole individuare un prezzo medio per la birra, è difficile definire una base di confronto rappresentativa per i vini, caratterizzati dall'ampio ventaglio di prezzi».

Al punto 19, la sentenza aggiunge che «fra i criteri proposti dalle parti il solo indice che possa permettere un confronto adeguato in un certo senso oggettivo consiste quindi nell'apprezzamento dell'incidenza dell'onere fiscale in rapporto alla gradazione alcolica delle bevande in questione». In base a questo criterio avete poi, fra l'altro, constatato che il vino sopporta attualmente nel Regno Unito un'imposizione superiore approssimativamente del 50 % a quella sulla birra, supponendo che si tratti di bevande di, rispettivamente, 11o-12o e 3o-3,7o di alcool. Secondo il Governo italiano, lo stesso punto della motivazione indica che, per i vini da tavola correnti di 9-10o, il margine di discriminazione raggiunge circa il 100-125 %.

Il punto 20 della motivazione dichiara in conclusione, e con riserva di quanto è stato detto sopra al punto 16 sulla determinazione di un rapporto di tassazione adeguato fra il vino e la birra, che secondo il solo criterio che permetta, per quanto in modo imperfetto, di stabilire un confronto oggettivo fra le aliquote di imposta applicate rispettivamente al vino ed alla birra, risulta che il vino sopporta nel Regno Unito un onere fiscale più pesante della birra.

Prenderò come secondo punto di partenza del mio esame i punti 18-20 della motivazione della vostra sentenza, relativi ai criteri di confronto da seguire. Dalle parole che ho sottolineato desumo in primo luogo che considerate il contenuto alcolico un criterio di confronto utilizzabile, anche se non del tutto perfetto. In secondo luogo ne deduco che non avete neppure voluto escludere l'applicazione complementare dei criteri relativi al volume ed al prezzo. Almeno per quanto concerne la rilevanza complementare del prezzo come criterio, questa mi sembra essere del resto la conseguenza logica dei quesiti posti alle parti con la successiva ordinanza 15 luglio 1982.

Un terzo punto di partenza importante per la mia analisi mi sembra consistere nell'affermazione di cui al punto 24 della motivazione, secondo la quale «la presa in considerazione comparativa dell'andamento dei due regimi fiscali di cui è causa rivela una tendenza protezionistica riguardo all'importazione del vino nel Regno Unito».

1.5. L'ulteriore svolgimento del procedimento

Per un riassunto delle deduzioni integrative delle parti in seguito alla sentenza interlocutoria, mi limito qui a rinviare alla seconda relazione d'udienza. In esito a tali deduzioni integrative, avete espressamente chiesto alla Commissione, nella lettera di convocazione per la prosecuzione della fase orale, di precisare all'udienza la sua opinione sul rapporto di imposizione adeguato fra il vino e la birra, nonché di precisare l'influenza dei procedimenti di fabbricazione del vino e della birra sulla struttura del loro prezzo. All'udienza del 19 maggio 1982, la Commissione ha confermato che, a suo parere, era opportuno che la Comunità fissasse un limite massimo per la tassazione del vino, ma non un rapporto d'imposizione fisso fra il vino e la birra. Tale opinione, su cui ritornerò nella mia esposizione, si basa sulla duplice constatazione che vi sono Stati membri che producono esclusivamente o pressoché esclusivamente birra, mentre negli altri Stati membri si producono sia birra che vino, senza che la maggiore tassazione della birra in questi paesi sembri ostacolare lo sviluppo sano delle fabbriche di birra. Nel secondo gruppo di paesi non vi è praticamente importazione di birra, mentre nel gruppo di paesi menzionato per primo l'importazione di vino è rilevante. La Commissione ha aggiunto che secondo le vostre sentenze 127/75 (Bobie, Race. 1976, pag. 1079), 148/77 (Hansen, Race. 1978, pag. 1787), 21/79 (Commissione/Italia, Race. 1980, pag. 1) e 46/80 (Vinai, Race. 1981, pag. 77) uno Stato membro può applicare anche a prodotti analoghi sistemi tributari diversi, secondo criteri obiettivi, perché persegua in tal modo fini economici a loro volta compatibili col diritto comunitario e purché tali sistemi tributari non siano discriminatori e non abbiano per loro natura carattere protezionistico. Un rapporto fisso di tassazione reciproca fra vino e birra sarebbe, come l'armonizzazione delle aliquote, un fine essenziale solo nell'ambito dell'armonizzazione delle legislazioni, ma non lo si può raggiungere per mezzo dell'art. 95. Per il riassunto delle altre difese svolte dalle parti nella seconda udienza, rinvio alla terza relazione d'udienza.

Nelle conclusioni integrative del 16 giugno 1982, l'avvocato generale Reischl si è richiamato, per stabilire l'eventuale esistenza di un rapporto di sostituibilità fra i prodotti, oltre che alla vostra sentenza interlocutoria, alle sentenze REWE (145/75, Race. 1976, pag. 181) e Fink-Frucht (27/67, Race. 1968, pag. 315). Per quanto riguarda il rapporto d'imposizione adeguato fra il vino e la birra, egli ritiene determinante, sulla scorta delle vostre sentenze sugli alcolici 27 febbraio 1980, 168/78, 169/78, 171/78, 55/79 e 68/79 (Race. 1980, pagg. 347, 385, 447, 481 e 501), il fatto che un diverso trattamento fiscale — che anch'egli considera in linea di massima ammissibile in base alle vostre sentenze menzionate dalla Commissione — non deve essere discriminatorio o protezionistico nei confronti dei prodotti importati.

Proseguendo nell'esame dell'accisa di cui è causa sul vino, alla luce dei vari criteri di confronto, egli si chiede fra l'altro «se e fino a che punto, tenendo conto delle altre notevoli differenze fra il vino e la birra, il comportamento dei consumatori sia determinato dalla gradazione alcolica, o se esso non sia invece influenzato, in definitiva, solo dal prezzo finale delle bevande di cui trattasi». Egli conclude «che il solo fatto che il descritto aggravio fiscale sopportato dal vino sia relativamente maggiore di quello sopportato dalla birra non consente di affermare con sufficiente certezza che questa prassi tributaria sia intesa a proteggere indirettamente la produzione nazionale di birra». In considerazione dei dati disponibili al momento di queste osservazioni, anch'io sarei probabilmente giunto alle medesime conclusioni. Baserò pertanto il mio esame sull'analisi dei nuovi dati che sono divenuti disponibili in seguito, grazie ai quesiti da voi posti con ordinanza 15 luglio 1982. Tali quesiti riguardano, come sappiamo, i prezzi al consumo e la componente fiscale in essi compresa nei vari Stati membri dal 1977, nonché l'andamento del consumo di vino e di birra nei vari Stati membri dal 1972.

2. Osservazioni complementari

2.1. Riassunto dei punti dipartenza

Passo ora all'esame delle questioni sollevate. All'uopo scelgo come punti di partenza, onde elaborare una mia opinione, le seguenti constatazioni sopra menzionate, della vostra sentenza interlocutoria:

a)

l'esistenza di un rapporto di sostituibilità fra vino e birra;

b)

le considerazioni sui vari criteri di confronto, alla luce tuttavia delle precisazioni di cui alla vostra ordinanza 15 luglio 1982, nonché delle deduzioni fatte dalle parti in seguito a detta ordinanza;

c)

la tendenza protezionistica assodata al punto 24 della motivazione.

2.2. Il rapporto di sostituibilità fra vino e birra

In merito all'esistenza di un rapporto di sostituibilità fra il vino e la birra non ho nulla da aggiungere a quanto è già stato osservato in proposito nella vostra sentenza e nelle due conclusioni dell'avvocato generale Reischl. Ammettere un rapporto di concorrenzialità significa riconoscere che può eventualmente applicarsi l'art. 95, 2o comma. Nelle mie osservazioni conclusive ritornerò tuttavia su un certo numero di caratteristiche del rapporto di concorrenzialità esistente fra vino e birra.

2.3. I criteri di confronto per determinare il carico fiscale

Nella sentenza interlocutoria avete già concluso, ai punti 19 e 20 della motivazione, che, seguendo il criterio della gradazione alcolica, che avete ritenuto il più obiettivo (seppure imperfetto), i vini da prendere in considerazione ai fini del confronto sopportano un onere fiscale superiore di circa il 50 % a quello della birra. Ritornerò a parte sulla questione del rapporto di tassazione adeguato che è così rimasta aperta. Secondo la Commissione ed il Governo italiano (che partono da gradazioni alcoliche inferiori) il vantaggio fiscale in base a questo criterio è ancora maggiore. Proprio perché anche voi avete ritenuto che il criterio del contenuto alcolico era imperfetto, mi sembra auspicabile fare altresì alcune considerazioni sugli altri criteri adottati dalla Commissione.

Anzitutto, come ha giustamente osservato il Governo italiano nelle sue varie memorie, l'applicazione di un criterio riferito al volume è logica in quanto lo stesso regime fiscale del Regno Unito parte da un criterio basato sul volume. Inoltre, l'avvocato generale Reischl ha opportunamente osservato nelle sue prime conclusioni che il rapporto di sostituibilità fra il vino e la birra dipende in particolare dal fatto che entrambi sono bevande leggermente alcoliche, che servono a dissetare; ora, per dissetare, il volume della bevanda è, come sappiamo, uno degli elementi determinanti. Il Governo italiano ammette certo che va applicato in proposito un fattore correttivo di 1,5 cioè che un litro di vino va equiparato ad 1,5 litri di birra. Con ragione esso ha rilevato, nel commento alle risposte della Commissione e del Regno Unito, che i dati esibiti a proposito del consumo di birra e di vino nei paesi nei quali è maggiore il consumo di birra o, rispettivamente, di vino, giustificherebbero anche un coefficiente correttore meno elevato (1,35). Secondo tale criterio, l'imposizione sul vino sarebbe quindi più di tre volte superiore a quella sulla birra. Il margine di discriminazione raggiungerebbe così, in base a questo criterio, almeno il 200 %.

Per quanto riguarda il criterio del confronto dei prezzi, condivido la posizione del Regno Unito e dell'avvocato generale Reischl secondo cui tale criterio è certamente rilevante in linea di principio. Anzitutto ritengo, d'accordo col Regno Unito, che il parere del comitato Neumark, che tale Governo ha menzionato a pag. 3 della relazione 1o dicembre 1981, fa effettivamente tutt'ora fede. E ciò nonostante il fatto che dalla pubblicazione della relazione nella quale era esposto siano passati vent'anni, come ha sottolineato la Commissione in modo un po' spregiativo. In secondo luogo, ritengo, in linea con le conclusioni integrative dell'avvocato generale Reischl, che le differenze fra i costi di produzione, il contenuto alcolico ed altre differenze di costi e di qualità, ed anche le preferenze dei consumatori si esprimano in definitiva nei prezzi dei vari prodotti. Non a caso le nozioni di meccanismo di concorrenza e di meccanismo di prezzo sono spesso considerate sinonimi. I rapporti di concorrenza fra vino e birra si esprimono effettivamente nei rapporti di prezzo fra i due prodotti. Se il Regno Unito avesse tassato il vino e la birra con aliquote sul prezzo al consumo, tasse escluse, identiche nei due casi, non si potrebbe, secondo me, parlare di trasgressione dell'art. 95, 2o comma.

Le difficoltà di applicare alla presente fattispecie il criterio del prezzo derivano tuttavia dal fatto che il Regno Unito usa proprio come base di tassazione per il vino e la birra, nel suo sistema tributario, non il criterio del prezzo, ma quello del volume. Inoltre, il confronto tra i prezzi è ulteriormente complicato dalle strutture alquanto diverse dei mercati sui quali si vendono il vino e la birra e dai prezzi molto disparati calcolati per i vari tipi di vino, in relazione fra l'altro alle differenze di qualità.

Il problema relativo alle strutture dei mercati sui quali i prodotti vengono smerciati si può risolvere confrontando i prezzi su un mercato sul quale sono venduti i due prodotti, cioè nei grandi magazzini o negli altri negozi al minuto che vendono al consumatore sia birra che vino. La Commissione nella risposta alla vostra ordinanza del 15 luglio 1982 si è quindi, secondo me, giustamente servita di questo punto di riferimento per il confronto dei prezzi.

Il problema sollevato dall'ampia gamma dei prezzi del vino si può risolvere, a mio parere, sia confrontando l'imposta sui vini da tavola più economici con quella sulla birra (come ha consigliato il Governo italiano, nelle osservazioni sui dati forniti dalla Commissione), sia calcolando il prezzo massimo dei vini da tavola più economici che costituiscono insieme una parte di mercato ritenuta sufficiente (come propone infatti la Commissione). I prezzi da considerare per i vini da tavola raggiungono, a seconda che si opti per l'una o per l'altra soluzione, 2 o 3 sterline il litro ( 2 ). Il margine di discriminazione a danno del vino si colloca allora fra il 30 ed il 120 % del prezzo, tasse escluse ±70- 300 % dell'accisa sulla birra).

A sostegno del confronto, da esso caldeggiato, tra l'onere fiscale sulla birra e quello sul vino da tavola più economico, il Governo italiano assume che l'art. 95 vieta le discriminazioni fiscali protezionistiche nei confronti di qualsiasi prodotto importato. Come nel settore degli accordi fra imprese, ritengo tuttavia che per stabilire rapporti di concorrenza corretti si possano trascurare i prodotti specifici che costituiscono una parte insignificante del mercato e che il calcolo da parte della Commissione di un prezzo massimo per i vini da tavola economici offra quindi una base più sicura per il controllo dei prezzi. Secondo quanto esposto dallo stesso Regno Unito all'ultima udienza, i vini da tavola italiani relativamente economici costituiscono il 20 % del mercato britannico, cioè una parte di mercato abbastanza rappresentativa perché si possa effettuare il confronto tra gli oneri fiscali. Ricordo in proposito che, nella comunicazione della Commissione relativa agli accordi fra imprese d'importanza minima in fatto d'intese (GU 1977, C 313), le restrizioni della concorrenza concernenti quote di mercato del 5 % sono già considerate rilevanti ai fini del mantenimento di corretti rapporti di concorrenza. Insieme al Governo italiano ritengo, d'altre parte, che il prezzo medio dei vini all'importazione nel Regno Unito, indicato dallo stesso nell'allegato E della risposta 30 settembre 1982, rende inverosimile che i due tipi di vini tedeschi citati dal Regno Unito vadano effettivamente considerati rappresentativi ai fini del confronto tra i prezzi. Ciò vale certamente per i grandi magazzini che importano direttamente il vino.

I dati forniti dal Governo italiano sono inoltre importanti perché da essi si desume che i vini italiani più rappresentativi ai fini dell'accertamento di rilevanti restrizioni della concorrenza hanno un contenuto alcolico di soli 9-10o. Secondo i dati forniti dalla Commissione a pagg. 16-17 della relazione 1 dicembre 1981, il margine di discriminazione a danno dei vini più rappresentativi, alla data da considerare per l'accertamento della trasgressione del Trattato, era allora su detti vini, applicando il criterio della gradazione alcolica, quantomeno del 90 %. U criterio di confronto riferito alla gradazione alcolica e quello rappresentato dal prezzo dimostrano del resto un'evidente connessione in quanto, a norma del regolamento del Consiglio n. 816/70 (GU 1970, L 99) (da applicare nella fattispecie), il quale è stato sostituito solo nel 1979 dal regolamento n. 337/79 (GU 1979, L 54), il prezzo d'orientamento era fissato per grado alcolico/ettolitro. Ai vini da tavola con bassa gradazione alcolica si applicavano quindi prezzi d'orientamento proporzionalmente inferiori a quelli dei vini da tavola con maggiore gradazione alcolica.

All'ultima udienza dinanzi alla Corte, il Governo del Regno Unito ha inoltre addotto un argomento giuridico che non può restare incontrastato in questa sede. Dall'art. 97 del Trattato CEE esso ha dedotto che uno Stato membro può fissare aliquote medie d'imposizione per il vino e che per applicare l'art. 95 l'onere fiscale sui prezzi medi del vino va pertanto confrontato con l'onere fiscale sui prezzi medi della birra. Tale argomento è insostenibile. L'art. 97 è chiaramente una disposizione derogatoria che, come tutte le disposizioni derogatorie, va interpretata restrittivamente. L'art. 97 vale solo per le imposte sull'entrata riscosse secondo il sistema d'imposta cumulativa a cascata. L'effetto discriminatorio, a favore soprattutto delle imprese nazionali integrate, determinato dall'art. 97 unitamente alle possibilità di manipolazione sul piano della politica commerciale che l'articolo consentiva ed insieme ad altre distorsioni della concorrenza determinate dal vecchio sistema di imposta sulla cifra d'affari, è stato, come sappiamo, uno dei motivi determinanti per cui le imposte sull'entrata, riscosse secondo il sistema d'imposta cumulativa a cascata, sono state sostituite da un'imposta sul valore aggiunto. In quanto disposizione eccezionale, l'art. 97 non può in alcun caso essere esteso alle accise. Tale articolo sottolinea piuttosto che l'art. 95 va di massima interpretato nel senso che la tassazione che colpisce prodotti specifici importati (cioè nella fattispecie, per esempio, i vini da tavola economici) va confrontata con l'imposizione sui prodotti nazionali analoghi (applicando l'art. 95, 1o comma) oppure, rispettivamente, con l'imposizione sui prodotti che si trovano con essi in rapporto di sostituzione o di concorrenza (applicando l'art. 95, 2o comma). L'argomento può quindi venir usato proprio contro la tesi del Regno Unito e fornisce piuttosto sostegno alla tesi del Governo italiano secondo cui va preso come criterio di confronto il tipo di vino più economico, sebbene io non voglia, per i motivi di politica concorrenziale generale che ho indicato, giungere a tanto.

2.4. Conclusioni dell'applicazione dei vari criteri di confronto

Riassumendo, dai documenti esibiti in seguito alla vostra ordinanza 15 luglio 1982 si desume che l'onere fiscale che gravava sui vini più rappresentativi dal punto di vista della concorrenza, alla data determinante nella fattispecie per accertare una trasgressione del Trattato, superava, secondo tutti i criteri sostenibili, quantomeno del 70-100 % quello gravante sulla birra. D'accordo con l'avvocato generale Reischl (il quale non disponeva ancora, su questo punto, di dati sufficienti nel momento in cui ha presentato le sue conclusioni integrative) ritengo che, dal punto di vista della concorrenza, il criterio dell'influenza sul prezzo sia il più valido. Nello stesso tempo ho però sottolineato che, in seguito all'organizzazione comune dei mercati nel settore vitivinicolo, esiste un rapporto diretto fra il prezzo del vino e la gradazione alcolica, e ciò conferma anche la validità del criterio del contenuto alcolico, che avete preferito nella sentenza interlocutoria. Una differenza di aggravio fiscale del 70-100 % a mio parere indica già chiaramente, restando impregiudicata la questione del rapporto di imposizione corretto che sto per esaminare, che l'accisa sul vino riscossa dal Regno Unito protegge indirettamente la produzione di birra in quel paese, poiché la pressione che esercita sul prezzo di vendita al minuto, tasse escluse, può costituire, in base ai dati forniti, sino al 160 % di tale prezzo.

2.5. Il problema del rapporto di imposizione corretto'

Insieme alle Commissione sono del parere che un rapporto di imposizione corretto fra vino e birra si possa determinare solo mediante l'armonizzazione delle normative in materia di accise a norma degli articoli 99 e 100 del Trattato. Basando le direttive d'armonizzazione anche sull'art. 43 del Trattato, si potrà altresì tener conto allora di considerazioni di politica agricola comune. In conseguenza anche della indeterminatezza della nozione di «proteggere indirettamente» di cui all'art. 95, 2o comma, tale disposizione del Trattato non consentirà di stabilire un limite preciso. Di fronte ad un carico tributario dell'entità, in cifre assolute, di quello di cui trattasi, una differenza di aggravio fiscale quantomeno del 70-100 % rispetto alla birra, prodotto di sostituzione, comporterà tuttavia certamente, secondo tutti i dati elementari forniti dall'esperienza in merito al meccanismo della concorrenza, una notevolissima restrizione della concorrenza, a danno del vino. Anche di fronte ad una differenza di pressione fiscale del 50 %, come quella che avete ammesso nella sentenza interlocutoria, la mia opinione resterebbe la stessa qualora altri elementi facciano presumere, come nella fattispecie, che la differenza è ancora maggiore. Una notevole limitazione della concorrenza a danno del vino significa quindi, secondo me, una protezione indiretta della produzione concorrente di birra, ai sensi dell'art. 95, 2o comma.

Sebbene la questione non sia naturalmente stata sollevata nel presente procedimento, e non possa quindi essere definitivamente risolta, comprendo tuttavia che vi preoccupiate anche del valore di precedente che la vostra pronunzia in questa causa può avere per la valutazione dei rapporti d'imposizione negli Stati membri che producono contemporaneamente vino e birra. Come l'avvocato generale Reischl, sono del parere che gli argomenti della Commissione volti a consentire in questi paesi una tassazione della birra superiore a quella del vino siano molto validi, specialmente alla luce della vostra giurisprudenza che la Commissione ha richiamato. Per quanto riguarda la concorrenza mediante i prezzi, secondo me essenziale — come ho già detto — ai fini dell'art. 95, 2o comma, aggiungerò che la produzione di vino non è comunque, a mio parere, indirettamente protetta da una maggiore imposizione sulla birra finché il prezzo di questa, tasse comprese, non supera il prezzo dei vini con essa in concorrenza. Non appena i prezzi della birra, come conseguenza dei tributi riscossi sulla stessa, divenissero nettamente superiori a quelli dei vini corrispondenti, non escluderei a priori la possibilità di una trasgressione dell'art. 95, 2o comma. L'andamento della produzione nazionale di birra e dell'importazione di birra nei paesi interessati potrà tuttavia, secondo me, avere anch'esso rilievo nella decisione finale. Questa incertezza giuridica rafforza naturalmente l'opportunità che il rapporto di tassazione fra vino e birra sia definitivamente disciplinato per tutti gli Stati membri da un'armonizzazione delle normative. Proprio se si adotta come criterio determinante quello del prezzo, l'applicazione simmetrica dell'art. 95, 2o comma, ai paesi che fabbricano essenzialmente birra ed a quelli che producono essenzialmente vino, per i detti motivi non mi sembra comportare, in linea di massima, conseguenze inaccettabili dal punto di vista comunitario. Pertanto il problema del rapporto d'imposizione corretto fra vino e birra non deve, secondo me, portare a conclusioni, tratte dal confronto tra gli oneri fiscali, diverse da quelle cui sono giunto.

2.6. La tendenza protezionistica

I dati resisi disponibili dopo le conclusioni integrative dell'avvocato generale Reischl confermano altresì chiaramente la tendenza protezionistica accertata al punto 24 della motivazione della sentenza interlocutoria. Ai sensi degli artt. 169 e 171 del Trattato, come interpretati dalla vostra summenzionata giurisprudenza, per l'applicazione di questo criterio è decisivo il modo in cui è mutato nel Regno Unito il rapporto d'imposizione fra birra e vino dalla data dell'adesione a quella della proposizione del ricorso.

Secondo i dati forniti dalla Commissione, e non contestati dal Regno Unito, a proposito della tendenza dell'andamento nel periodo che è quindi determinante, dal 1973 al 1978, il rapporto d'imposizione fra birra e vino è passato da 1 : 3,2 il 1o gennaio 1974 a 1 : 4,2 il 27 marzo 1974 ed a 1 : 5,6 al 16 aprile 1975. Il 1 luglio 1977 il rapporto ha cominciato a scendere leggermente sino a 1 : 5,3 e questo è il rapporto da considerare nella presente causa.

I dati relativi al consumo, forniti dalla Commissione, dimostrano che l'aumento dell'accisa nel 1975 è stato accompagnato dalla diminuzione del consumo di vino pro capite. Il nesso fra livello dell'accisa e consumo pro capite degli abitanti è tuttavia dimostrato in modo ancora più manifesto dall'andamento successivo al 1978. Nel 1980, il rapporto di tassazione fra birra e vino è sceso sino a 1 :4,9 e nel 1981 sino al livello del 1974 cioè a 1 :4,2. Contemporaneamente, il consumo pro capite è notevolmente aumentato (passando da 5,41 1 pro capite nel 1977 a 7,8 1 pro capite nel 1981), mentre il consumo di birra è diminuito nel 1979-1981 per la prima volta dal 1972, passando da 122,1 1 a 111,5 1 pro capite. Il Regno Unito conferma, coi propri dati, tali andamenti. Esso ammette altresì il rapporto esistente fra onere fiscale e consumo e nella relazione 1o dicembre 1981 nonché all'ultima udienza ha concluso, in base all'andamento successivo al 1978, che la tendenza protezionistica accertata nella vostra sentenza interlocutoria è ora completamente eliminata. A parte il fatto che tale conclusione è inesatta se ci si riferisce al rapporto d'imposizione vigente il 1o gennaio 1974, ho già rilevato che, ai fini dell'accertamento di una tendenza protezionistica, nella presente causa rileva solo l'andamento dal 1973 al 1978. Per detto periodo, l'esistenza di una tendenza protezionistica è confermata anche dalla suddetta relazione del Regno Unito.

A tali osservazioni aggiungo che l'accertamento di una tendenza protezionistica in un determinato periodo può certo costituire un importante indizio di trasgressione dell'art. 95, 2o comma, ma che tale indizio non può tuttavia essere decisivo per l'applicazione di detta norma. L'elemento decisivo è piuttosto, in definitiva, se alla data determinante per l'accertamento di una trasgressione del Trattato l'onere fiscale sui prodotti importati fosse a tal punto maggiore di quello gravante sui prodotti nazionali di sostituzione da dover ammettere che la produzione nazionale delle merci di sostituzione era indirettamente protetta dall'imposizione sui prodotti importati. Le conclusioni sull'ultimo punto possono benissimo essere basate sul contestuale accertamento dell'aumento della disparità di pressione fiscale nel tempo.

3. Osservazioni finali e conclusioni

3.1. Le caratteristiche del rapporto di concorrenzialità fra vino e birra

Per i tipi di vini economici da prendere in considerazione dal punto di vista della concorrenza, ritengo, con la Commissione e con l'avvocato generale Reischl, che le differenze nei processi di produzione fra vino e birra non abbiano in fin dei conti grande importanza. Anzitutto, le differenze nei costi di produzione si traducono, come ho già detto, in differenze di prezzo, cosicché, in caso d'applicazione del criterio del prezzo, esse vengono automaticamente prese in considerazione all'atto del confronto. In secondo luogo, come hanno già osservato la Commissione e l'avvocato generale Reischl, tanto la maggior parte dei vini economici da considerare, quanto la birra, sono generalmente fabbricati in processi produttivi di grandi dimensioni.

Neppure le grandi differenze nella struttura dei mercati sui quali vengono venduti il vino e la birra mi sembrano costituire, in definitiva, un impedimento per giungere ad un chiaro confronto tra gli oneri fiscali. L'impossibilità di applicare l'art. 97 comporta già che qualora si applichi l'art. 95, 2o comma, non ci si può servire delle aliquote medie d'imposizione su tutti i vini importati. Lo scopo perseguito dall'art. 95, 2o comma, in relazione alla struttura generale del Trattato, implica piuttosto che la prova del sussistere di un effetto chiaramente restrittivo della concorrenza, nei confronti di merci importate che rappresentano da sole o raggruppate una parte non trascurabile del mercato di tali merci, basta già a far ritenere che vi è trasgressione di detta norma. Una parte non trascurabile del mercato è già costituita, secondo i dati forniti dallo stesso Regno Unito, dalla vendita di vino nei grandi magazzini e in altri negozi al minuto che smerciano vino e birra, mentre la parte di mercato costituita, nell'offerta complessiva di vino, dai vini economici da prendere in considerazione, secondo quanto dedotto dalle parti principali e dal Governo italiano, può essere valutata quantomeno al 20 %. A mio parere, come ho già detto, una quota di mercato del 5-10 % sarebbe stata sufficiente.

I dati forniti circa i prezzi ed il consumo di vino e di birra confermano infine che, nel rapporto di concorrenza fra vino e birra, i rapporti di prezzo e l'onere fiscale che essi implicano per i consumatori hanno un peso facilmente dimostrabile e che anche il Regno Unito ammette.

Le incertezze a proposito del rapporto di concorrenza fra vino e birra, che avete ancora sottolineato al punto 24 della sentenza interlocutoria, secondo me, si possono pertanto considerare sufficientemente dissipate.

3.2. Le conseguenze giuridiche della dichiarazione di trasgressione del Trattato da parte del Regno Unito

Come avviene spesso, ad esempio per le vostre sentenze relative a trasgressioni dell'art. 30 del Trattato CEE, non si possono stabilire con precisione le conseguenze giuridiche che il Regno Unito deve trarre, a norma dell'art. 171 del Trattato, da una condanna nella presente causa. Da questo punto di vista, vi è certamente un margine d'incertezza molto maggiore in caso di condanna ai sensi dell'art. 95, 2o comma che in caso di condanna ai sensi dell'art. 95, 1o comma. Quel che mi sembra comunque certo nella presente causa è che, dopo la condanna, il Regno Unito non può più tornare ad una tendenza protezionistica nell'andamento del rapporto di imposizione. Già questo risultato dimostra chiaramente, secondo me, che anche dopo il capovolgimento della tendenza nel Regno Unito nel periodo 1977-1981 la Commissione conservava un interesse legittimo alla prosecuzione del procedimento. Mi richiamo altresì, in proposito, alle considerazioni particolareggiate sulla questione dell'interesse legittimo di cui alle conclusioni dell'avvocato generale Lagrange per la summenzionata causa 7/61.

A mio parere, bisogna tuttavia desumere anche da esperienze generali relative al meccanismo della concorrenza, nonché dai dati forniti dalle parti, che la protezione indiretta della produzione di birra continua comunque a sussistere finché l'onere fiscale sopportato dai vini economici, e calcolato in riferimento al prezzo al netto dell'imposta, resta superiore almeno del 30 % all'onere fiscale sulla birra. Non va certo escluso, secondo me, che anche in caso di differenza minima nell'aggravio fiscale vi sia ancora una protezione indiretta della birra, ma ciò richiederebbe prove molto più circostanziate di quelle fornite in questo caso.

Poiché per i tributi riscossi in eccesso vi è certamente stata rivalsa sul consumatore, il timore del Regno Unito che tali tributi vengano ripetuti mi sembra infondato nella fattispecie data l'esclusione di azioni di rimborso del genere da voi disposta nella sentenza Just (causa 55/79, Race. 1980, pag. 431).

3.3. Conclusione

Concludendo, vi propongo di dichiarare, conformemente alla domanda della Commissione che per i motivi suindicati il Regno Unito di Gran Bretagna e d Irlanda del Nord è venuto meno agli obblighi impostigli dall'art. 95 2 comma, del Trattato. Per quanto riguarda le spese, il fatto che la Commissione abbia fornito tutti gli elementi necessari per decidere sul suo ricorso solo dopo ripetute sollecitazioni da parte vostra costituisce, secondo me, un motivo eccezionale, ai sensi del 1o comma, dell'art. 69, § 3 del regolamento di procedura, per condannare il Regno Unito esclusivamente alle proprie spese.


( 1 ) Traduzione dall'olandese.

( 2 ) In questo calcolo de! margine di discriminazione bisogna naturalmente tener conto del fatto che esso si riferiva al 1982. In quel periodo il rapporto d'imposizione fra vino e birra era già molto meno sfavorevole al vino di quanto non fosse al momento della proposizione del ricorso, determinante per il giudizio. A quella data decisiva, se si applica il criterio del prezzo, il sistema d'imposizione seguito nel Regno Unito aveva già, stando alle caratteristiche sopra indicate, carrattcre protezionistico per la produzione di birra, nel senso di cui aļ punto 10 della sentenza interlocutoria, rispetto a tutti i vini con prezzo al consumo (tasse escluse) inferiore al quintuplo del prezzo al consumo (tasse escluse) della birra. Nel caso del rapporto d'imposizione più sfavorevole, il margine di discriminazione poteva certo superare di molto il margine di protezione massimo del 120% del prezzo, tasse escluse, calcolato perii 1982.

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