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Document 61978CC0034

Conclusioni riunite dell'avvocato generale Capotorti del 13 dicembre 1978.
Yoshida Nederland BV contro Kamer van Koophandel en Fabrieken voor Friesland.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: College van Beroep voor het Bedrijfsleven - Paesi Bassi.
Chiusure lampo.
Causa 34/78.
Yoshida GmbH contro Industrie- und Handelskammer Kassel.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgericht Kassel - Germania.
Chiusure lampo.
Causa 114/78.

Raccolta della Giurisprudenza 1979 -00115

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1978:227

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

FRANCESCO CAPOTORTI

DEL 13 DICEMBRE 1978

Signor Presidente,

signori Giudici,

1. 

La nozione di origine delle merci ha rilevanza, nell'ambito comunitario, ai fini dell'applicazione di talune disposizioni concernenti gli scambi commerciali, e in particolare di talune regole della Tariffa Doganale Comune (TDC), nonchè ai fini del rilascio dei certificati di origine delle merci esportate verso Paesi terzi. Perciò il Consiglio, con regolamento 802/68 del 27 giugno 1968, provvide a introdurre una definizione comune di tale nozione, in modo da porre riparo agli inconvenienti prodotti, fino ad allora, dalla mancanza di una definizione internazionale e dalle differenze esistenti fra le normative nazionali relative alla determinazione, al controllo e alla certificazione dell'origine.

È evidente che la difficoltà di stabilire l'origine sussiste quando nella produzione di una merce siano intervenuti due o più paesi. Per tale ipotesi, l'articolo 5 del citato regolamento dispone che la merce «è originaria del paese nel quale è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata, effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo e che abbia come risultato la fabbricazione di un prodotto nuovo o che rappresenti una fase importante della fabbricazione». Questa è la norma di importanza basilare nei presenti casi.

L'articolo 14 dello stesso regolamento prevede poi che siano adottate ulteriori disposizioni per l'applicazione degli articoli 4 a 7, 9 e 10 (dunque, anche dell'articolo 5). La prodedura da seguire a tale scopo obbliga la Commissione a chiedere, su ogni progetto di disposizioni, il parere di un apposito Comitato di origine (formato di rappresentanti degli Stati membri e presieduto da un rappresentante della Commissione); se il parere è favorevole, la Commissione adotta le disposizioni di cui trattasi; se il parere è contrario o non viene emesso, la proposta è trasmessa al Consiglio; se infine quest'ultimo non delibera nei tre mesi successivi, le disposizioni sono decise dalla Commissione.

La terza ipotesi si è verificata nella materia che qui ci interessa. Di conseguenza, il 20 settembre 1977 la Commissione ha emanato il regolamento 2067/77, il cui articolo 1 stabilisce che le «chiusure a strappo», indicate alla voce 98.02 della TDC, sono originarie del paese dove hanno avuto luogo le operazioni seguenti … «montaggio, compreso l'assiemaggio delle graffette ai nastri, accompagnato dalla fabbricazione dei cursori e dalla sagomatura delle graffette».

Nel preambolo di questo regolamento, la Commissione considera fra l'altro che «una chiusura a strappo è formata essenzialmente da due nastri paralleli continui, da graffetté, da un cursore e dalle parti terminali»; e che l'operazione di montaggio di una chiusura a strappo a partire dalle sue parti costitutive non rappresenta una trasformazione o lavorazione sostanziale e non ha come risultato la fabbricazione di un prodotto nuovo o rappresentante una fase importante della fabbricazione ai sensi del succitato articolo 5. Invece, «le trasformazioni o lavorazioni che possono essere considerate nel loro insieme come sostanziali e hanno come risultato la fabbricazione di un prodotto nuovo o rappresentano una fase importante della fabbricazione consistono nella sagomatura (formazione) delle graffette, nell'assiemaggio delle graffette ai nastri e nella fabbricazione del cursore mediante operazioni quali la modellatura (pressofusione) o lo stampaggio». Quanto alla fabbricazione delle parti terminali, essa non costituisce, secondo questo preambolo, una trasformazione o lavorazione sostanziale ai sensi dell'articolo 5.

2. 

I casi, ai quali si riferiscono le mie conclusioni di oggi, riguardano due società produttrici di chiusure lampo — Yoshida Nederland BV, con sede a Sneek nei Paesi Bassi, e Yoshida GmbH, con sede a Mainhausen nella Repubblica federale tedesca — le quali sono affiliate a una società giapponese, dello stesso nome. In Olanda e in Germania, le due società producono la più gran parte degli elementi che compongono le chiusure, ad eccezione però dei cursori, che vengono prodotti in Giappone e forniti dalla società madre.

Fino all'entrata in vigore del citato regolamento della Commissione, le autorità nazionali competenti rilasciavano normalmente per i prodotti delle due società Yoshida il certificato di origine comunitaria. Le autorità germaniche si basavano sul criterio secondo cui il valore della materia prima delle parti di chiusure lampo originarie del Giappone (o di qualunque altro Paese terzo) non doveva superare il 40 % del prezzo di fattura del prodotto finito, affinchè il prodotto potesse qualificarsi di origine comunitaria. Ora, sta di fatto che il valore del cursore non supera generalmente il 20 % del prezzo del prodotto considerato.

Peraltro, in seguito all'entrata in vigore del regolamento 2067/77 della Commissione, le autorità olandesi e germaniche si sono viste costrette a rifiutare il rilascio del certificato di origine comunitaria per le chiusure lampo prodotte dalle due menzionate società, per il motivo che i cursori da esse impiegati vengono fabbricati in uno Stato terzo.

La Yoshida Nederland ha allora promosso un giudizio nei confronti della Camera di commercio e industria della Frisia, dinanzi al College van Beroep voor het Bedrijfsleven, per ottenere l'annullamento della decisione di rifiuto. E la giurisdizione olandese, con decisione del 10 marzo 1978, ha posto alla nostra Corte le seguenti domande pregiudiziali:

«1.

Se l'art. 1. del regolamento CEE della Commissione 2067/77 vada interpretato nel senso che come paese d'origine di una chiusura a strappo non si può in alcun caso indicare il paese in cui non vengono effettuate tutte le operazioni menzionate nella colonna 3 di cui all'art. 1 di detto regolamento, e in cui in particolare non viene effettuata l'operazione consistente nel fabbricare il cursore.

In caso affermativo, se l'articolo si applichi pure alle chiusure a strappo che si chiudono, non già mediante graffette che si incastrano le une nelle altre, bensì mediante spirali di nylon con analoghe caratteristiche.

2.

In caso di soluzione affermativa della prima parte della questione sub 1) — il che implicherebbe che per la chiusura a strappo di cui è causa non può venir rilasciato alcun certificato d'origine ai sensi degli articoli 9 e 10 del regolamento (CEE) del Consiglio 802/68 — se il regolamento 2067/77 sia invalido perchè in contrasto :

a)

con l'art. 5 del regolamento 802/68

b)

oppure con l'art. 30 del Trattato

c)

ovvero con l'art. 110 del Trattato.

3.

Qualora il regolamento 2067/77 non si debba ritenere invalido per alcuno dei motivi indicati sopra sub a), b) e c), se esso vada considerato invalido per una delle ragioni addotte dalla ricorrente e riferito in questa decisione ai punti 4-9,

oppure per contrasto con qualche altra disposizione o principio di diritto comunitario finora non menzionati dalla ricorrente.»

Parallelamente la Yoshida GmbH tedesca ha citato in giudizio dinanzi al Verwaltungsgericht di Kassel la Camera di commercio e industria di questa città, impugnando a sua volta il rifiuto di rilascio del certificato di origine comunitaria. E nel quadro di questa procedura il giudice germanico ha posto alla Corte, con ordinanza del 28 aprile 1978, la seguente domanda pregiudiziale:

«Se il regolamento (CEE) della Commissione 20. 9. 1977 n. 2067 (GU L 242, p. 5, del 21. 9. 1977) sia in contrasto con gli articoli 5 del regolamento 802/68, 30 e 110 del Trattato CEE, come pure con altre norme o principi del diritto comunitario, in particolare principi fondamentali di procedura, in quanto vieta di considerare originarie della Comunità le chiusure a strappo prodotte dall'attrice, qualora venga usato un cursore proveniente da un Paese terzo (qui: il Giappone).»

3. 

La prima domanda posta dal giudice olandese riguarda l'interpretazione dell'articolo 1 del regolamento 2067/77 della Commissione. In verità, non credo che si possano a tal proposito nutrire seri dubbi. Secondo la ditta attrice, la condizione della fabbricazione del cursore nel paese d'origine potrebbe non implicare che in tutti gli altri casi la chiusura non sia originaria di tale paese; ma una simile tesi contrasta con il testo e con la funzione stessa del regolamento 2067. Questo indica, come dice il titolo della tabella contenuta nell'articolo 1, la «lavorazione o trasformazione che conferisce il carattere di “prodotti originari” quando siano soddisfatti i requisiti seguenti …». Tale indicazione è tassativa: alla stregua del regolamento di cui trattasi, una chiusura lampo non può in nessun caso essere considerata di origine comunitaria qualora non vengano effettuate nella Comunità tutte le operazioni indicate nella colonna 3, ivi comprese quella consistente nella fabbricazione del cursore.

Sempre in tema d'interpretazioni del regolamento 2067/77, la ditta tedesca Yoshida sostiene pure che esso non riguarderebbe le chiusure lampo munite di una chiusura consistente in spirali di nylon; per questo tipo di prodotto l'articolo 5 del regolamento 802/68 sarebbe l'unica norma applicabile. A me pare che questo punto di vista sia inesatto: basta considerare che l'articolo 1 del citato regolamento 2067/77 indica i prodotti cui si riferisce menzionando la voce tariffaria 98.02 della TDC, la quale comprende anche le chiusure costituite di spirali di nylon anzichè di graffette metalliche.

4. 

La questione centrale che si pone in entrambe le cause sta nel determinare se lo specifico criterio di origine definito dal regolamento 2067/77 per le chiusure lampo sia conforme al criterio generale dettato dall'articolo 5 del regolamento 802/68 del Consiglio. Data la formulazione assai ampia di questo articolo, la Commissione ha indubbiamente un certo margine discrezionale nell'esercizio della competenza ad emanare disposizioni di applicazione, ai sensi dell'articolo 14 dello stesso regolamento. Ciò che bisogna verificare è dunque se la Commissione si sia mantenuta entro i limiti del suo potere discrezionale.

Il punto di partenza sta nell'espressione adoperata dal citato articolo 5 per designare il paese d'origine: luogo dell'«ultima trasformazione o lavorazione sostanziale». La norma aggiunge due precisazioni: la trasformazione o lavorazione sostanziale deve realizzarsi «in una impresa equipaggiata a tal fine», e deve avere come risultato la fabbricazione di un prodotto nuovo o almeno rappresentare una fase importante della fabbricazione.

Osservo anzitutto che, a quanto risulta dal contesto dell'articolo, gli elementi da prendere in considerazione sono di natura tecnica, non di natura economica. In sostanza, ciò che rileva è la funzione essenziale di determinate operazioni tecniche, nel quadro delle operazioni che concorrono a fabbricare il prodotto, non il preminente valore economico di talune operazioni rispetto ad altre. Questo riflette un mutamento di indirizzo, rispetto al criterio economico che veniva adottato dall'Amministrazione tedesca, come prima si è detto. Anche nel corso di questo procedimento, il Governo germanico ha mostrato di attribuire peso determinante al valore economico dei componenti del prodotto. Esso ha affermato infatti che il regolamento della Commissione sarebbe giustificabile solo se l'assemblaggio dei pezzi costituisse un'operazione di montaggio semplice, e una percentuale molto elevata del valore totale del prodotto finito fosse formata da pezzi fabbricati altrove. Si può facilmente replicare che l'articolo 1 del regolamento 2067/77 non esclude il verificarsi di questa ipotesi, così come dell'ipotesi contraria, e che l'apprezzamento della validità dell'atto (per sua natura generale ed astratto) non può variare a seconda dell'ipotesi che in concreto si verifica. Ma importa specialmente sottolineare che il criterio economico, come ha riconosciuto la società olandese Yoshida, presenta notevoli inconvenienti, ed il suo impiego in via principale non sarebbe comunque raccomandabile.

La diversità dei costi di produzione — dipendenti fra l'altro dagli oneri salariali, dai sistemi fiscali, dai tassi d'interesse e da altri fattori che differiscono da Stato a Stato — le fluttuazioni di certi elementi dei costi, la difficoltà di controllare l'esattezza del rapporto fra i valori che si aggiungono a seguito delle diverse operazioni rendono il criterio economico estremamente malsicuro nella sua applicazione. Vi è rischio che esso conduca a considerare certi prodotti, a identità di condizioni e di luoghi di fabbricazione, talora originari e talaltra non originari della Comunità, a seconda delle variabili contingenze economiche e monetarie.

Perciò la Commissione ha avuto ragione di preferire, per la determinazione dell'origine delle chiusure lampo, i criteri tecnici che presentano un più elevato grado d'obbiettività e di costanza. Al criterio economico si dovrà ricorrere solo nei casi in cui, a causa delle caratteristiche del prodotto, l'impiego esclusivo o principale del criterio tecnico sarebbe impossibile o presenterebbe gravi difficoltà.

Vi sono in realtà molti settori industriali (particolarmente quelli degli apparecchi radiofonici e televisivi e dei magnetofoni) in cui il montaggio può consistere in procedimenti più o meno complessi, secondo il tipo dell'apparecchio, i mezzi utilizzati e il modo in cui è effettuato. La diversità delle operazioni attinenti al montaggio non consente allora di determinare, secondo un criterio di carattere tecnico, i casi in cui tali operazioni costituiscono una fase di fabbricazione importante.

Di fronte a situazioni di questo genere, la Commissione ha stabilito l'origine del prodotto in base al criterio economico del valore aggiunto per effetto di tali operazioni. Così, per gli apparecchi riceventi radio-televisivi, il regolamento 2632/70 del 23 dicembre 1970 ha riconosciuto l'origine comunitaria solo se si siano svolte nella Comunità operazioni di montaggio che abbiano fatto acquisire al prodotto un valore corrispondente almeno al 45 % del prezzo degli apparecchi fatturato franco fabbrica (articolo 1). Qualora il valore del montaggio effettuato in un paese della Comunità risulti inferiore a questa percentuale, gli apparecchi si considerano originari dell'ultimo paese, del quale sono originari i pezzi che indirettamente hanno costituito un'importante fase di fabbricazione degli apparecchi in questione (articolo 2, paragrafo 1). Ciò sembra implicare il ritorno a un criterio tecnico; ma subito dopo il regolamento indica un criterio di valore, nel senso di ritenere soddisfatta la menzionata condizione quando il prezzo fatturato franco fabbrica dei pezzi in questione superi il 35 % del prezzo degli apparecchi franco fabbrica. Infine, allorchè detta percentuale è raggiunta in due paesi che hanno partecipato alla fabbricazione degli apparecchi, senza che riesca possibile determinare in quale di essi sia avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione ai sensi dell'articolo 5 del regolamento 802/68, l'articolo 2, paragrafo 2, del citato regolamento 2632/70 dispone che gli apparecchi saranno considerati originari del paese del quale sono originari i pezzi che rappresentano la percentuale più alta.

Un analogo orientamento è stato adottato nel determinare l'origine dei magnetofoni, ai sensi del regolamento della Commissione 861/71 del 27 aprile 1971. Ma questo non significa affatto che l'utilizzazione del criterio economico sia il metodo normale, o preferibile, per dare applicazione al principio dell'articolo 5 del regolamento 802/68. Al contrario, le considerazioni sopra riportate — e desunte dai due regolamenti della Commissione 2632/70 e 861/71 — dimostrano chiaramente che solo l'impossibilità di raggiungere un risultato soddisfacente in base a un criterio d'indole tecnica ha indotto la Commissione a servirsi di criteri di valore economico.

5. 

Per interpretare correttamente l'espressione «ultima trasformazione o lavorazione sostanziale» contenuta nel citato articolo 5 del regolamento 802/68, bisogna ancora chiedersi se essa si riferisca necessariamente ad una singola operazione, o possa indicare una serie di operazioni fra loro collegate. Apparentemente, la soluzione più logica è la prima: il testo della norma fa pensare che, fra le numerose operazioni di trasformazione o di lavorazione che si succedono nel corso della fabbricazione di un prodotto, debbano individuarsi quelle d'importanza sostanziale, e fra queste l'ultima: la più vicina alla conclusione del processo di fabbricazione. Ma vi sono buone ragioni per ritenere che l'espressione di cui trattasi possa anche riferirsi ad una serie di operazioni fra loro collegate.

Comincio col notare che, alla fine dell'articolo 5, l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale alla quale non sia immediatamente seguita la nascita del prodotto viene identificata con una fase di fabbricazione importante; e il concetto di «fase di fabbricazione» è senza dubbio abbastanza ampio da comprendere una serie di operazioni collegate. Aggiungo che, nel caso di operazioni sostanziali le quali non si susseguano in un preciso e necessario ordine cronologico, ma possano svolgersi contemporaneamente, può diventare inevitabile considerarle congiuntamente, in quanto nel loro complesso esse rappresentano l'ultima fase di fabbricazione importante. Infine, può darsi che l'ultima operazione in ordine di tempo (il montaggio, ad esempio) non sia di per sè «sostanziale» e che quindi si debba tener conto di operazioni sostanziali che la precedono, le quali tuttavia rivestono importanza solo in vista dell'operazione conclusiva (come accade per la fabbricazione di pezzi che non hanno isolatamente alcuna capacità funzionale, ma l'acquistano non appena siano oggetto di montaggio).

Un esempio di nozione composita di «ultima trasformazione o lavorazione sostanziale», al di fuori del caso di specie, è fornito dal regolamento 964/71 della Commissione del 10 maggio 1971, relativo alla determinazione d'origine delle carni e frattaglie. Ritenendo che la macellazione e le operazioni connesse (come lo svisceramento e lo scuoiamento, il taglio e la refrigerazione) non potessero essere di per sè considerate costitutive di una trasformazione o lavorazione sostanziale ai sensi del noto articolo 5, la Commissione ha fatto dipendere l'origine di quei prodotti dal luogo della macellazione, considerata però congiuntamente con il fatto immediatamente precedente dell'ingrasso dell'animale nello stesso paese, per un determinato periodo minimo. Anche nei citati regolamenti 2632/70 e 861/71 sull'origine degli apparecchi radiofonici e televisivi e dei magnetofoni, abbiamo visto che la Commissione si è riferita «ai pezzi» (al plurale) che hanno indirettamente costituito una fase importante di fabbricazione degli apparecchi in questione (articolo 2, paragrafo 1). Ciò conferma che già in precedenti casi e in relazione a prodotti di vario genere la Commissione aveva ritenuto insufficiente prendere in considerazione una singola operazione per individuare l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ai sensi dell'articolo 5.

6. 

Consideriamo ora gli elementi di carattere tecnico che si riscontrano nel caso di specie.

Secondo quanto afferma la giurisdizione olandese nella decisione di rinvio, la produzione delle chiusure lampo, così come si svolge nella filiale olandese di Yoshida (e lo stesso vale verosimilmente per la sua consorella tedesca), consta delle seguenti operazioni principali:

a)

la tessitura di nastri (con eventuale aggiunta di un cordoncino), seguita dalla loro tintura;

b)

la sagomatura delle graffette metalliche, ovvero la preparazione delle spirali col filo di nylon;

c)

l'applicazione delle graffette o delle spirali ai nastri, con successiva unione dei nastri;

d)

l'applicazione ai nastri delle parti terminali inferiore e superiore;

e)

l'aggiunta e l'eventuale tintura dei cursori;

f)

l'asciugatura e rifinitura delle chiusure in nastro continuo, le quali vengono infine tagliate su misura.

È evidente che la lista di tali operazioni va completata aggiungendovi la fabbricazione dei cursori (la quale nella specie ha luogo, come sappiamo, in Giappone) e la fabbricazione delle parti terminali.

Secondo la Commissione, tre operazioni hanno rilevanza per la determinazione dell'origine del prodotto: la sagomatura delle graffette, l'applicazione di queste ai nastri e la fabbricazione del cursore. La Commissione esclude che la fabbricazione e applicazione delle parti terminali, e le operazioni di rifinitura (eventuale tintura, asciugatura, taglio) rientrino nel concetto di ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento 802/68. Parimenti, la Commissione esclude che a questo concetto possa corrispondere, da solo, il montaggio, ritenendolo un'operazione relativamente semplice che, pur essendo naturalmente indispensabile per ottenere il prodotto finito, non presenterebbe dal punto di vista tecnico la natura di operazione «sostanziale». Perciò essa ha ritenuto di dover risalire al processo di fabbricazione per reperirvi l'ultima fase importante, e l'ha individuata in quella fase in cui vengono prodotti sia le graffette, sia il cursore.

Nessuna di queste due operazioni, di per sè considerata, avrebbe il carattere di «trasformazione o lavorazione sostanziale», essendo entrambe necessarie per conferire al prodotto la sua caratteristica identità. D'altra parte, nessuna di queste due operazioni ha una necessaria priorità temporale rispetto all'altra. Ma anche se considerate congiuntamente, le due operazioni parallele e distinte non sono atte a costituire un prodotto nuovo fintantochè il cursore non sia stato montato sulle graffette già sistemate sui nastri.

È sulla base di questo ragionamento che la Commissione ha deciso, per la determinazione dell'origine del prodotto, di tener conto delle due suddette operazioni di fabbricazione congiuntamente all'applicazione delle graffette e del cursore, e di considerare il complesso di queste operazioni come rispondente alla nozione di «ultima trasformazione sostanziale» ai sensi dell'articolo 5.

La ditta tedesca Yoshida ha sostenuto invece che la parte principale della chiusura lampo sarebbe costituita dai due nastri uniti da graffette e si è riferita a questo riguardo alla normativa germanica, che definisce il detto prodotto come «un elemento di collegamento suscettibile di ripetute separazioni». È chiaro tuttavia che le ripetute separazioni sono rese possibili dall'esistenza del cursore. Non si può condividere quindi l'idea che siano i due nastri con graffette a rappresentare gli elementi preponderanti; a meno che non si parta da un punto di vista economico, dato che il valore dei nastri con le graffette è superiore a quello del cursore. Ora si è già detto prima che, nella logica del regolamento 802/68, il criterio tecnico è chiaramente anteposto a quello economico.

Più in generale, osservo che, se nella specie si volesse far pesare la considerazione economica della bassa incidenza del costo del cursore rispetto a quello del prodotto finito, si escluderebbe implicitamente la necessità di riferirsi all'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, in tutti i casi in cui tale operazione rappresenti una percentuale modesta del costo di un prodotto.

Un orientamento di questo genere sarebbe però in evidente contrasto con l'articolo 5 del regolamento 802/68.

Ripeto, dunque, che non mi sembra giustificato considerare i due nastri muniti di graffette (o di spirali) come gli elementi che dovrebbero servire a determinare l'origine del prodotto finito. Tanto meno poi potrebbe esserlo, come pare suggerire in modo un po' contraddittorio la menzionata ditta, l'operazione finale di controllo, volta ad accertare il normale funzionamento della chiusura; giacché per quanto alto possa essere il suo costo, essa non è manifestamente atta ad aggiungere nulla di sostanziale al prodotto sul piano della fabbricazione, ma ha solo la funzione commerciale di evitare che siano posti in circolazione prodotti difettosi.

In definitiva, credo che — quando si resti sul piano tecnico proprio della normativa comunitaria — l'applicazione dell'articolo 5 del regolamento 802/68 al prodotto di cui stiamo discutendo ponga l'interprete dinanzi a questa inevitabile alternativa: o si ammette che l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale sia il montaggio (cioè l'assemblaggio ai nastri delle graffette e del cursore), o si risale alle operazioni di fabbricazione che precedono il montaggio e che riguardano entrambe i componenti caratteristici di una chiusura lampo: le graffette e il cursore. A mio avviso, la Commissione ha avuto ragione di non assumere il montaggio isolatamente considerato: basti pensare che, se lo avesse ritenuto determinante ai fini dell'origine del prodotto, avrebbe aperto la via al riconoscimento della qualifica comunitaria di ogni prodotto semplicemente montato nella Comunità, anche se formato di pezzi tutti fabbricati altrove. Questa osservazione può valere, beninteso, dal punto di vista della logica alla quale si è ispirato il regolamento 802/68, soprattutto nel suo articolo 5, il quale a mio avviso adopera i concetti di «produzione» e di «fabbricazione» in un senso che non è generalmente riducibile all'operazione del montaggio. Ma, a prescindere da ciò, mi sembra convincente il punto di vista della Commissione (fondato sulla visita ad una fabbrica che produce chiusure lampo), secondo cui non può dirsi «sostanziale» un'operazione di montaggio tecnicamente semplice. Se questo è vero, la prima delle due soluzioni prospettate deve essere esclusa, e si deve riconoscere corretta la seconda soluzione, cioè quella adottata dal regolamento 2067/77.

Le osservazioni generali che ho precedentemente esposto, circa la liceità del riferimento a più operazioni tra loro connesse per designare l'ultima trasformazione o lavorazione stostanziale, mi inducono a ritenere che la soluzione accolta nel citato regolamento sia anche sotto questo profilo compatibile con l'articolo 5 del regolamento del Consiglio 802/68. Del resto, se la Commissione avesse voluto attribuire carattere sostanziale ad una sola operazione, mantenendo però la sua tesi della natura non sostanziale del montaggio, come avrebbe potuto fare una scelta tra la fabbricazione delle graffette e quella del cursore, visto che l'utilità di ciascuna di queste operazioni è subordinata all'effettuarsi dell'altra?

Si potrebbe obbiettare che anche i nastri di stoffa su cui devono essere sistemate le graffette, i nastri di metallo da cui queste ultime si ricavano e i pezzi terminali sono elementi indispensabili affinchè una chiusura lampo esista; ma la fabbricazione dei nastri di stoffa e di quelli metallici si colloca in uno stadio iniziale del processo di produzione — e dunque in una fase che precede quella in cui sono prodotte e applicate le graffette — mentre, quanto alla fabbricazione dei pezzi terminali, essa appare un'operazione di carattere accessorio.

Perciò, malgrado gli argomenti che sono stati fatti valere nel corso del presente procedimento dalle due filiali di Yoshida e dai Governi tedesco e olandese contro la validità del regolamento 2067/77 della Commissione, non ritengo che questa abbia oltrepassato i limiti tracciati dall'articolo 5 del regolamento 802/68 del Consiglio, per avere considerato la fabbricazione dei cursori parte integrante dell'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale nel processo di produzione delle chiusure lampo.

7. 

Va ora esaminato un altro aspetto del problema: vale a dire, se il regolamento 2067/77 non sia viziato da eccesso di potere. Le filiali olandese e tedesca di Yoshida, e con esse il Governo germanico intervenuto nella causa 114, sostengono infatti che la Commissione avrebbe esercitato il potere conferitole dal regolamento 802/68 del Consiglio per perseguire una finalità diversa da quella in funzione della quale tale potere le è stato attribuito. Più precisamente, la Commissione si sarebbe servita della facoltà di emanare disposizioni relative alla determinazione dell'origine delle merci al fine di adottare una misura di politica commerciale, mirante in realtà a creare intralci al commercio fra gli Stati membri dei prodotti delle filiali di Yoshida nel mercato comune.

Che questo fosse lo scopo effettivo del criticato regolamento, risulterebbe, secondo Yoshida, dalle circostanze che l'hanno preceduto. Converrà dunque richiamare brevemente tali circostanze.

Nel 1973, la Commissione aveva dato comunicazione ufficiale dell'apertura di una procedura anti-dumping e antisovvenzioni concernente le chiusure lampo giapponesi esportate dalla società madre Yoshida. La procedura fu chiusa un anno dopo, poiché la ditta Yoshida aveva dato soddisfacenti assicurazioni circa la sua politica dei prezzi e delle esportazioni nella Comunità. Con regolamento 646/75, la Commissione istituì un sistema di sorveglianza comunitaria delle importazioni del suddetto prodotto. Risulta dalla motivazione di questo regolamento che le misure in questione erano state adottate in considerazione del notevole aumento negli ultimi anni delle importazioni di chiusure lampo, specialmente di origine giapponese, e del fatto che tale evoluzione danneggiava i fabbricanti comunitari di prodotti analoghi o concorrenti. A norma dell'articolo 4 del citato regolamento, «l'origine dei prodotti sotto sorveglianza comunitaria deve essere attestata da un certificato di origine». La durata del regolamento, prevista inizialmente fino al 30 giugno 1976, è stata poi prorogata fino al 31 dicembre 1978.

Infine, a seguito di trattative fra il Governo italiano e la società giapponese Yoshida, veniva stipulato un accordo di autolimitazione, in base a cui quella società s'impegnava a limitare le esportazioni verso l'Italia di chiusure a strappo da essa prodotte. Nonostante questo accordo, le importazioni in Italia del menzionato prodotto di Yoshida continuarono ad aumentare. Avendo appreso che certe parti componenti delle chiusure lampo prodotte dalle filiali comunitarie di Yoshida erano fabbricate in Giappone, il Governo italiano chiese alla Commissione in qual modo gli altri Stati membri applicassero le disposizioni del regolamento 802/68, per quanto riguarda la determinazione dell'origine del prodotto considerato. Inoltre, nel gennaio 1977, cinque membri del Parlamento europeo rivolsero alla Commissione una domanda scritta relativa alle importazioni delle chiusure lampo provenienti dal Giappone.

Questi interventi indussero la Commissione ad effettuare un esame del modo in cui gli Stati membri applicavano il regolamento 802/68 nel settore delle chiusure a strappo. La Commissione ha asserito che da tale esame era emerso che gli Stati membri interpretavano e applicavano in maniera discordante la disposizione dell'articolo 5 del citato regolamento. Viste le posizioni diametralmente opposte che sono state adottate dai Governi italiano e francese da una parte, e dai Governi olandese e tedesco dall'altra, nel corso delle presenti cause, in relazione al problema che stiamo discutendo, la suddetta affermazione della Commissione va ritenuta fondata, nonostante le riserve di Yoshida.

Le circostanze che si sono riassunte dovrebbero dimostrare, secondo le società interessate, che la Commissione, già allarmata del flusso di esportazioni di chiusure lampo provenienti dal Giappone e premuta da numerosi interventi, avrebbe deciso d'introdurre la definizione d'origine, di cui al regolamento 2067/77, come misura di politica commerciale concretamente diretta contro le produzioni d'origine giapponese. A me sembra, però, che questa tesi sia smentita proprio da qualcuno dei fatti sopra riferiti. Le importazioni di chiusure lampo nella Comunità erano già state sottoposte al sistema di sorveglianza comunitario: dunque la Commissione si era servita dello strumento appropriato per controllare il fenomeno. La richiesta del Governo italiano, concernente il modo di applicazione del regolamento 802/68 negli altri Stati membri, fu correttamente seguita da un esame della questione. Di conseguenza, l'emanazione del regolamento 2067/77 fu preceduto da un accertamento degli orientamenti seguiti fino allora dalle amministrazioni nazionali. Ciò convinse la Commissione che introdurre criteri precisi, definiti specificamente per la merce considerata, era l'unico modo per ottenere l'uniforme applicazione del regolamento di base del Consiglio relativo alla determinazione d'origine del prodotto considerato.

Naturalmente la tesi dell'eccesso di potere mette in gioco il merito e lo scopo del criterio accolto dal regolamento della Commissione. Le due filiali di Yoshida e il Governo germanico vi ravvisano una misura tendente soprattutto a limitare la possibilità delle filiali comunitarie di Yoshida di esportare le loro chiusure a strappo in altri paesi della Comunità, e in particolare in Stati come la Francia e l'Italia, le cui industrie erano maggiormente messe in pericolo dalla concorrenza di Yoshida. Questo, però, mi sembra una supposizione, non un fatto sorretto da prove. I detti intervenienti sostengono che ogni misura d'applicazione del regolamento 802/68 dovrebbe essere neutra dal punto di vista della politica commerciale; ciò invece non avverrebbe nel caso del regolamento criticato della Commissione, il quale avrebbe per effetto di limitare gli scambi.

Questo invocato criterio di neutralità è in realtà alquanto ambiguo, giacchè ogni scelta di uno dei criteri astrattamente possibili per determinare l'origine di un dato prodotto è inevitabilmente destinato ad avere effetti più favorevoli o meno favorevoli di quelli che avrebbero altre scelte, per il commercio internazionale di prodotti provenienti da determinati paesi o da determinate imprese. Nella specie, anche se si ammetta, in ipotesi, che la Commissione, nell'ambito del suo potere discrezionale, avrebbe potuto escludere la fabbricazione dei cursori dal numero degli elementi da prendere in considerazione per la determinazione dell'origine, bisogna tener presente che ciò avrebbe comportato egualmente degli effetti economici, in questo caso favorevoli al commercio di Yoshida e sfavorevoli ai loro concorrenti degli Stati membri. Ciò significa semplicemente che nessuna scelta avrebbe potuto avere un carattere neutro per l'andamento del commercio e degli scambi. D'altronde già precedentemente, in relazione ad altri prodotti (come si è visto a proposito del regolamento 964/71 in materia di carni), la Commissione aveva definito un criterio composito di «ultima lavorazione sostanziale» che indubbiamente era suscettibile di svantaggiare determinate categorie di imprese di macellazione comunitarie e di intralciare il commercio dei loro prodotti. Ma l'eventuale riflesso negativo di un regolamento sul commercio intracomunitario di talune imprese non basta a dimostrare che lo scopo essenziale del regolamento stesso sia stato quello di danneggiare dette imprese.

Non mi pare quindi che si possa ravvisare uno sviamento di potere nel fatto che la Commissione abbia scelto, per determinare l'origine delle chiusure lampo, criteri dai quali la società Yoshida afferma di essere stata danneggiata.

8. 

Sotto l'aspetto degli intralci che la misura considerata potrebbe eventualmente creare per gli scambi all'interno della Comunità, il «test» della sua legittimità è costituito dagli articoli 30 e seguenti del Trattato CEE. Queste norme si rivolgono agli Stati; tuttavia il loro principio base — intendo dire il divieto di restrizioni quantitative e di misure di effetto equivalente — vincola indubbiamente anche le istituzioni comunitarie, nell'adozione di misure che incidano sugli scambi.

La violazione, allegata da Yoshida, di tali norme deriverebbe dal fatto che il criterio stabilito dal regolamento 2067/77 farebbe ostacolo agli scambi fra gli Stati membri per quanto riguarda le chiusure a strappo fabbricate in Olanda e in Germania con l'applicazione di cursori di origine giapponese o di altri Stati terzi. Va tenuto presente che, secondo il citato articolo 4 del regolamento 646/75, l'origine del prodotto considerato deve essere giustificata mediante l'apposito certificato. Ora, le chiusure a strappo prodotte, nelle condizioni che si sono descritte, dalle filiali comunitarie di Yoshida non possono più ottenere il certificato di origine comunitaria; di qui il preteso impedimento alla loro circolazione negli Stati membri.

Le delucidazioni fornite dalla ditta germanica Yoshida fanno peraltro ritenere che gli inconvenienti risultanti dalla mancanza di un certificato d'origine comunitaria delle chiusure a strappo da essa fabbricate o siano solamente eventuali o, comunque, non siano diretta conseguenza della normativa comunitaria. In effetti, il prodotto in questione può essere importato liberamente dagli Stati terzi senza essere sottoposto a restrizioni quantitative, e può circolare liberamente nella Comunità anche se sprovvisto del certificato d'origine comunitaria, con la sola riserva degli impegni di autolimitazione assunti dalla società giapponese Yoshida nei confronti del Governo italiano: impegni che chiaramente non derivano da norme o atti della Comunità.

In particolare, Yoshida lamenta questi inconvenienti:

a)

l'esclusione dell'origine comunitaria delle chiusure a strappo prodotte dalle filiali olandese e tedesca di Yoshida, a causa dell'origine giapponese del cursore, avrebbe per effetto di «falsare» le statistiche sulle importazioni di tale prodotto in provenienza dai Paesi terzi, aggiungendovi le esportazioni dei prodotti delle filiali comunitarie di Yoshida negli altri Stati membri;

b)

sarebbe pregiudicato il traffico di perfezionamento passivo riguardante gli Stati terzi. Il caso prospettato è quello dei tessuti tedeschi inviati in Polonia per la confezione di vestiti, con alcuni accessori — comprese le chiusure lampo — e poi rispediti in Germania; mancando il certificato d'origine comunitaria delle chiusure a strappo prodotte dalle filiali comunitarie di Yoshida, tali tessuti non potrebbero ottenere l'autorizzazione per la reimportazione in Germania. Ciò ostacolerebbe le vendite della filiale tedesca di Yoshida sul mercato polacco delle confezioni di tessuti tedeschi destinate ad essere reimportate nelle Comunità; nonchè su altri mercati analoghi di altri Paesi dell'Est;

c)

difficoltà non ben precisate sarebbero infine sorte per un imprenditore tedesco che ha un impianto di lavorazione del cuoio in Italia, dove utilizza le chiusure fornitegli in Germania dalla ditta tedesca Yoshida.

A mio avviso, nessuna delle tre situazioni brevemente descritte rivela una violazione dell'articolo 30 del Trattato CEE. A proposito della prima di tali situazioni, mi sembra che le ripercussioni statistiche del rifiuto di un certificato d'origine comunitaria non possano considerarsi fonte d'intralci concreti agli scambi intracomunitari. Circa il preteso pregiudizio recato al traffico di perfezionamento passivo dei tessuti tedeschi, non si nega che, in linea di fatto, possa essersi verificata una limitazione dei mercati di vendita delle filiali comunitarie di Yoshida; ma, come rileva la Commissione, essa sarebbe provocata non dalla normativa comunitaria, bensì dalla disciplina vigente nella Repubblica federale in materia di traffico di perfezionamento con i Paesi dell'Europa dell'Est. D'altra parte, l'articolo 30 non è di per sè applicabile nei rapporti con i Paesi terzi, come risulta confermato anche dalla vostra sentenza del 15 giugno 1967 nella causa 51/75, EMI Records, Raccolta 1976, p. 811, spec. n. 17 della motivazione. Infine, per quanto concerne le difficoltà del cliente tedesco di Yoshida che ha una fabbrica in Italia, è presumibile che esse derivino dall'impegno di autolimitazione volontariamente assunto da Yoshida nei confronti di questo Stato membro. Anche in questo caso, dunque, la fonte degli eventuali ostacoli non andrebbe ricercata nel regolamento 2067/77 della Commissione.

L'installazione in Italia da parte del gruppo Yoshida di una fabbrica di cursori non può certo modificare la situazione di diritto quale è stata sopra analizzata, nè rappresentare, come vorrebbe Yoshida, una prova dell'esistenza di restrizioni all'importazione per effetto del regolamento 2067/77 della Commissione. L'installazione di un nuovo impianto di Yoshida in Italia potrebbe semplicemente essere stata motivata dall'interesse della società madre di sottrarsi alle limitazioni quantitative, che essa ha accettato riguardo all'esportazione dei suoi prodotti in Italia.

In conclusione, non ravviso nessun elemento di contrasto fra l'applicazione dell'articolo 5 del regolamento 802/68 del Consiglio, effettuata dalla Commissione con il citato regolamento 2067/77, e le norme dell'articolo 30 e seguenti del Trattato CEE.

Per analoghe considerazioni, mi sembra che debba parimenti essere negata la pretesa incompatibilità del regolamento 2067 con il principio dello sviluppo del commercio mondiale e della graduale soppressione delle restrizioni agli scambi internazionali, enunciato nell'articolo 110 del Trattato. D'altra parte, è opportuno ricordare che questa norma, di contenuto assai ampio e generico, ha un valore puramente programmatico, e non sembra atta a creare di per sè sola dei diritti individuali, che i sìngoli possono far valere davanti alle giurisdizioni interne.

9. 

Gli altri motivi d'invalidità sostenuti da Yoshida non credo abbiano consistenza. Mi riferisco anzitutto alla doglianza della mancata accettazione, da parte dei servizi della Commissione, dell'invito di Yoshida di visitare i suoi stabilimenti di produzione nella Comunità. Ho già ricordato che, per accertare gli aspetti tecnici essenziali del processo di produzione delle chiusure lampo, i servizi della Commissione hanno visitato altre imprese del settore. Non risulta che il procedimento di fabbricazione differisca sostanzialmente dall'una all'altra impresa. Non si vede dunque perchè la visita degli stabilimenti di Yoshida dovrebbe esser ritenuta indispensabile per l'adozione di una misura che, non dimentichiamolo, non ha affatto il carattere di una decisione individuale rivolta a Yoshida, ma costituisce un atto normativo avente per destinatari tutte le imprese che producono chiusure a strappo.

Quanto alla pretesa diversità,' nelle sei lingue ufficiali, del testo del regolamento 2067/77, rispetto sia al progetto trasmesso al Comitato dell'origine, sia alla proposta inviata successivamente al Consiglio, basterà osservare che non vi sono differenze le quali tocchino elementi essenziali del contenuto normativo o della motivazione dell'atto.

In merito agli argomenti che Yoshida trae da certe apparenti diversità delle versioni del regolamento nelle varie lingue ufficiali, la Commissione ha spiegato esaurientemente, e in maniera a mio avviso del tutto convincente, le ragioni di ordine puramente linguistico che, proprio per mantenere l'identità di significato del testo normativo nelle diverse lingue, hanno reso impossibile una sua traduzione letterale in inglese.

Yoshida ha espresso infine l'opinione che il regolamento citato sia affetto da un vizio di motivazione. Ma i brani di questa motivazione, da me citati all'inizio, mostrano a mio avviso in modo chiaro l'iter logico seguito dalla Commissione per giungere all'adozione del criterio di origine contestato.

10. 

Per tutte le considerazioni fin qui esposte, concludo proponendo alla Corte di rispondere alla prima domanda formulata dal College Van Beroep voor het Bedrijfsleven nella causa 34/78, dichiarando che:

1.

L'articolo 1 del regolamento CEE 2067/77 della Commissione si deve interpretare nel senso che paese d'origine di una chiusura a strappo è in ogni caso quello in cui vengono effettuate tutte le operazioni menzionate nella colonna 3, ivi compresa la fabbricazione del cursore.

2.

Detto articolo si applica pure alle chiusure a strappo che si chiudono mediante spirali di nylon.

In risposta poi alle domande concernenti la validità del citato regolamento della Commissione, che sono state avanzate sia nella causa 34/78, sia nella causa 114/78, propongo di dichiarare che il regolamento CEE 2067/77 della Commissione, alla luce delle osservazioni delle giurisdizioni richiedenti e degli interessati presenti in giudizio, non rivela nessun elemento d'invalidità.

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