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Document 61978CC0030
Opinion of Mr Advocate General Warner delivered on 12 March 1980. # Distillers Company Limited v Commission of the European Communities. # Competition - spirituous beverages. # Case 30/78.
Conclusioni dell'avvocato generale Warner del 12 marzo 1980.
Distillers Company Limited contro Commissione delle Comunità europee.
Concorrenza - Bevande alcoliche.
Causa 30/78.
Conclusioni dell'avvocato generale Warner del 12 marzo 1980.
Distillers Company Limited contro Commissione delle Comunità europee.
Concorrenza - Bevande alcoliche.
Causa 30/78.
Raccolta della Giurisprudenza 1980 -02229
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1980:74
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
JEAN-PIERRE WARNER
DEL12 MARZO 1980 ( 1 )
Indice
Introduzione |
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Gli antefatti della decisione della Commissione 20 dicembre 1977 |
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La decisione 20 dicembre 1977 |
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La reazione della DCL alla decisione 20 dicembre 1977 |
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I punti controversi nel presente procedimento |
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La mancata notifica delle condizioni di prezzo da parte della |
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II capo del ricorso della DCL relativo all'esenzione in forza dell'art. 85, n. |
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Le questioni di procedura |
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Conclusione |
Signor Presidente,
Signori Giudici
Premessa
Il presente ricorso viene proposto a norma dell'art. 173 del Trattato CEE dall'impresa The Distillers Company Limited — «DCL» — e mira all'annullamento della decisione della Commissione 20 dicembre 1977, n. 78/163/CEE (GU n. L 50 del 22 febbraio 1978, pag. 16). Con tale decisione, la Commissione ha dichiarato che talune restrizioni imposte dalla DCL all'esportazione dei propri prodotti (scotch whisky, gin, vodka e Pimm's) dal Regno Unito negli altri Stati membri della CEE costituiscono violazioni dell'art. 85, n. 1, del Trattato e non possono costituire oggetto di esenzione ai sensi dell'art. 85, n. 3.
La DCL veniva creata nel 1877 in seguito alla fusione di sei imprese operanti nel settore della distillazione di whisky scozzese. Essa raggruppa attualmente oltre 70 affiliate e consociate le cui attività vanno al di là dell'industria degli alcolici, sebbene la maggior parte delle attività commerciali del gruppo consista tuttora nella produzione e nella distribuzione di bevande alcoliche.
La DCL conta nel Regno Unito 38 affiliate che fabbricano alcolici. Di queste, 32 producono scotch whisky, 4 producono gin, una produce vodka e una Pimm's. Il fatturato realizzato dal gruppo DCL nel corso dell'esercizio chiusosi il 31 marzo 1977 ha raggiunto un totale di 847172000 sterline, di cui 732053000 (ossia, al netto delle imposte, 507473000) per la vendita di bevande.
Le affiliate della DCL che producono scotch whisky sono titolari di oltre 50 marche diverse. Vi sono marche standard, di cui le più importanti e le più note sono Johnnie Walker Red Label, Black & White, Haig White Label, Dewars, White Horse e Vat 69; vi sono marche di lusso, in particolare Johnnie Walker Black Label, Haig Dimple e Antiquary; vi sono pure whiskies di malto. Delle vendite totali di scotch whisky realizzate dal gruppo DCL, il 15 % circa avviene sul mercato del Regno Unito, quasi il 15 % in altri Stati membri della CEE, e la differenza è rappresentata dalle esportazioni effettuate nel resto del mondo.
Secondo la Commissione, negli anni 1973-1977, la DCL deteneva sul mercato britannico dello scotch whisky una quota compresa fra il 40 e il 50 %. Tali cifre sono contestate dalla DCL. Una tabella che figura a pag. 11 della replica indica che la quota di mercato della DCL ha registrato in detto lasso di tempo una tendenza al ribasso, passando dal 50 % all'inizio del periodo ad una cifra di poco superiore al 30 % alla fine di questo. In altri paesi della CEE, la quota di mercato della DCL ammontava nel 1975 alle seguenti cifre: 54 % nel Belgio e nel Lussemburgo, 47 % in Danimarca, 35 % in Francia, 33 % in Italia e in Germania, 32 % in Irlanda e 29 % nei Paesi Bassi.
Nel Regno Unito le principali marche concorrenti delle marche di scotch whisky della DCL, e le più vendute in detto paese, sono Bell's (della Arthur Bell & Sons Limited, una società indipendente) e Teacher's (di cui è titolare un'affiliata della Allied Breweries Limited). Nella parte continentale della CEE le principali concorrenti della Johnnie Walker Red Label, la marca più venduta, sono Ballantine's (della Hiram Walker & Co. Limited, una multinazionale americano-canadese) e J & B (del gruppo Grand Metropolitan Hotels Limited, che esercita le sue attività nei settori dell'industria della birra ed alberghiero).
Per quanto riguarda il gin, le principali marche prodotte dalle affiliate della DCL sono Gordon's, Booth's e High and Dry. La quota detenuta da dette affiliate, negli anni 1973-1975, sul mercato britannico del gin, raggiungeva il 70 % circa. Negli altri paesi della CEE, le loro quote di mercato venivano stimate come segue: 44 % nel Belgio e nel Lussemburgo e in Danimarca; 30 % nei Paesi Bassi; 27 % in Germania, 20 % in Francia e Italia; 10 % in Irlanda.
L'affiliata della DCL che produce la vodka è titolare della marca Cossack, la quale si colloca, nel Regno Unito, al secondo posto tra le marche più vendute e rappresenta circa un quarto del mercato della vodka in questo paese (circa il 2 % dell'intero mercato degli alcolici). Sembra che le vendite di questa marca in altri paesi della CEE siano limitate all'Irlanda e ai Paesi Bassi, paesi nei quali, secondo la DCL, le cui cifre non vengono contestate dalla Commissione, esse rappresentano rispettivamente lo 0,43 o/o e lo 0,02 % dell'intero mercato degli alcolici.
Il Pimm's è un prodotto unico nel suo genere, venduto soltanto dalla Pimm's Limited, affiliata della DCL. Secondo questa, la quota di tale prodotto sull'intero mercato britannico degli alcolici è soltanto dello 0,133 % e il Pimm's incontra notevoli difficoltà per affermarsi su altri mercati nell'ambito della Comunità. La DCL menziona quote di mercato pari a 0,077 % per la Francia (paese per il quale si è dovuta mettere a punto una formula speciale, dato che non si trova il tipo di limonata che serve normalmente per la miscela col Pimm's), 0,061 % per l'Irlanda, 0,031 % per il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi, 0,008 % per l'Italia, 0,006% per la Germania e 0,005 % per la Danimarca. Tali cifre non sono neppure contestate dalla Commissione, ma questa ha prospettato l'ipotesi che il Pimm's non debba affatto considerarsi come un alcolico.
Ciascuna delle 38 affiliate della DCL è responsabile della vendita della propria marca o delle proprie marche di alcolici. Il sistema di distribuzione varia a seconda che si tratti del Regno Unito o di altri Stati membri della CEE.
Nel Regno Unito, le affiliate della DCL non si rivolgono normalmente a distributori, ma vendono direttamente ai grossisti. Questi sono circa un migliaio. Il commercio all'ingrosso è costituito da un settore «vincolato», costituito essenzialmente da grandi birrerie titolari di spacci al minuto (sia negozi, sia «public houses» ed un settore «libero», nell'ambito del quale le birrerie ed altri grossisti riforniscono un gran numero di commercianti al minuto (negozianti autonomi, supermercati, alberghi ecc.). Il settore «vincolato» e il settore «libero» costituiscono rispettivamente circa la metà del mercato.
Nel resto della CEE è normalmente d'uso che ciascuna affiliata della DCL designi per ogni paese un distributore esclusivo delle proprie marche. I distributori esclusivi, che sono quasi 200 nella intera Comunità, rivendono di solito a grossisti. I distributori delle diverse marche DCL si fanno reciproca concorrenza. Per lo più, essi vendono pure una vasta gamma d'altri vini ed alcolici.
Il metodo seguito dalle affiliate della DCL per fissare i prezzi ch'esse applicano ai loro clienti grossisti nel Regno Unito è stato fissato molto prima del 1973, anno di adesione di detto paese alla Comunità (vedasi la circolare 31 luglio 1970 sui prezzi praticati alla vendita dello scotch whisky nell'ambito del Regno Unito — «Home Trade Scotch Whisky Prices» — e l'analoga lettera relativa ai prezzi di vendita del gin nell'ambito del Regno Unito — «Home Trade Gin Prices» —, del 16 settembre 1972, allegate alla replica). Questo metodo consiste nel fissare un prezzo all'ingrosso, dal quale vengono eventualmente detratti vari sconti e ribassi, che hanno assunto, a seconda del momento, le forme seguenti:
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«sconto all'ingrosso», concesso ai rivenditori che aquistano un quantitativo minimo; |
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«bonifico» sulla quantità complessiva, concesso in base ai quantitativi di alcolici acquistati, nel corso di un determinato anno, da un rivenditore presso affiliate della DCL; |
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«sconto speciale differito» (abolito a partire dal 31 marzo 1978), che era in pratica un premio di fedeltà; |
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«premio di prestazione», volto a mantenere elevato il livello degli acquisti e concesso sui quantitativi di scotch whisky acquistati unicamente nel periodo compreso fra il marzo 1977 e il marzo 1978, a condizione che gli acquisti delle diverse marche DCL nel corso dell'anno avessero raggiunto almeno il 95 % del totale dell'anno precedente; |
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«sconto per pagamento in contanti» concesso, sugli alcolici al netto da imposte, ai clienti che pagassero in contanti al momento dell'ordinazione; |
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«sconti di promozione», concessi da singole affiliate del gruppo DCL sotto forma di contributi a campagne di promozione delle vendite delle loro marche. |
Un metodo analogo viene usato per la fissazione dei prezzi applicati ai distributori esclusivi di alcolici DCL in altri Stati membri della CEE. Per ciascuna marca, viene fissato un prezzo all'ingrosso uniforme, da cui viene detratto un premio per il distributore ed eventualmente uno sconto per pagamento in contanti. Inoltre, le affiliate della DCL contribuiscono, in determinati casi, alle spese sostenute dai loro distributori esclusivi per la pubblicità o la promozione delle vendite delle loro marche.
Prima di parlare degli eventi che portavano alla decisione della Commissione 20 dicembre 1977, devo ancora menzionare due fatti relativi alla situazione esistente nel Regno Unito.
Il primo è che, fino a pochissimo tempo fa, tutti i prezzi degli alcolici venduti sul mercato britannico venivano controllati dalla commissione prezzi, creata a norma del «Counter-Inflation Act 1973» (legge del 1973 sulla lotta contro l'inflazione). I prezzi praticati all'esportazione non erano soggetti a tale controllo.
Il secondo è che, nel Regno Unito, le imposte e i dazi vanno pagati, sugli alcolici, al momento in cui questi escono dal deposito doganale. Gli alcolici destinati all'esportazione circolano in regime di deposito doganale fino al passaggio in dogana. Non vi è alcun sistema di rimborso delle imposte e dazi pagati all' uscita dal deposito, qualora il prodotto venga in seguito esportato.
Gli antefatti della decisione della Commissione 20 dicembre 1977
Gli accordi che le affiliate della DCL concludono con i rivenditori nel Regno Unito e, rispettivamente, con i distributori esclusivi in altri Stati membri hanno costituito oggetto di procedimenti distinti davanti alla Commissione.
Il procedimento relativo agli accordi stipulati coi distributori esclusivi presenta solo interesse marginale nella presente causa. È stato un procedimento di lunga durata. Un accordo-tipo era stato notificato dalla DCL alla Commissione fin dal 31 gennaio 1963. A partire dal 1965, a quanto sembra, l'accordo vigente fra la White Horse Distillers Limited e il suo distributore in Francia (oggi Corima SA) veniva considerato come rappresentativo degli altri accordi. Varie modifiche a tale accordo venivano proposte dalla Commissione ed accettate dalla DCL. A più riprese la DCL si lamentava presso la Commissione del fatto che questa non concludeva il procedimento. A quanto pare, nell'agosto 1976 le si faceva capire che l'approvazione dell'accordo era legata all'atteggiamento che la Commissione avrebbe adottato riguardo alle condizioni di prezzo applicate nel Regno Unito, e allora in esame. Gli ultimi fatti nell'ambito del procedimento White Horse c/Corima erano la notifica, da parte della Commissione, d'una comunicazione degli addebiti in data 7 luglio 1977 e la presentazione, da parte della DCL, d'una «risposta» scritta a detta comunicazione, in data 2 agosto 1977.
Vengo ora agli accordi stipulati tra le affiliate della DCL e i rivenditori britannici.
Il 30 giugno 1973 la DCL, agendo per conto delle proprie affiliate, notificava alla Commissione un esemplare tipo delle «condizioni di vendita» e chiedeva l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3. Trat-ţavasi di una notifica formale, mediante il «modulo A/B», come prescritto dal regolamento CEE della Commissione n. 1133/68. Dette condizioni comprendevano la clausola 5, leu. b), a termini della quale i prodotti, se venduti in bottiglie al fine d'essere distribuiti in Gran Bretagna, non dovevano esser rivenduti per essere distribuiti fuori di tale paese. La clausola doveva figurare in tutti i contratti di rivendita. Ciò costituiva, ovviamente, un divieto formale di esportazione, che andava applicato fra l'altro ai paesi della CEE. A questo veniva ad aggiungersi la clausola 6, la quale disponeva che le merci vendute in regime di deposito doganale non dovevano essere rivendute o trasferite in altro modo dall'acquirente se non previo sdoganamento e pagamento da parte dell'acquirente dell'intera imposta e di tutti i dazi vigenti per i prodotti destinati ad essere consumati nel Regno Unito. Le aliquote dei dazi vigenti nel Regno Unito erano, e sono tuttora, così elevate, che vietare la rivendita di prodotti in regime di deposito doganale toglieva qualsiasi interesse all'esportazione.
Nella notifica non veniva fatta alcuna menzione del metodo di fissazione dei prezzi di vendita nel Regno Unito. In risposta al quesito (1) del modulo A/B, nel quale si legge, per quanto qui interessa, «Indicare se e in qual misura l'accordo, ...riguardi ... l'osservanza di determinati prezzi d'acquisto e di vendita, sconti o altre condizioni di mercato», la DCL aveva dichiarato: «Le condizioni non vertono su alcuno di questi punti, fatta eccezione per ciò che viene menzionato in risposta al paragrafo II, 3, leu. d), di cui sopra». In risposta al quesito II, 3, lett. d), essa aveva dichiarato:
«Le condizioni hanno lo scopo di definire le modalità secondo le quali le vendite dei prodotti avvengono nel Regno Unito. Talune di queste modalità mirano a completare gli accordi adottati dalla società al fine della distribuzione dei prodotti su altri mercati, e, quindi, a consentire ai distributori di utilizzare i mezzi di distribuzione più economici e più efficaci e, nello stesso tempo, di far fronte alle esigenze dei consumatori e di fare concorrenza alle molte altre marche di bevande alcoliche».
È stato chiarito, da parte della DCL, che all'epoca considerata il metodo di fissazione dei prezzi di vendita nel Regno Unito non si riteneva rilevante nel contesto dell'art. 85, in quanto si applicava unicamente alle vendite effettuate nel Regno Unito e le condizioni di vendita impedivano le esportazioni dal Regno Unito da parte dei rivenditori che avevano acquistato a tali prezzi.
Il ricevimento della notifica da parte della Commissione era seguita da uno scambio di corrispondenza tra questa e la DCL, nonché da riunioni fra i rappresentanti di ciascuna della parti. I particolari sono irrilevanti.
Il 24 giugno 1975, la DCL inviava ai rivenditori britannici delle proprie affiliate una circolare recante il titolo «Home Trade Conditions of Sale and Price Terms» (Condizioni di vendita e di prezzo valide per il mercato nazionale). Questa circolare è tanto importante che ritengo necessario darne lettura quasi integralmente. La DCL vi diceva quanto segue:
«A seguito del referendum relativo al mercato comune, vi scriviamo per conto delle nostre affiliate al fine di rendervi nota una modifica nelle condizioni di vendita che disciplinano le vendite di alcolici da parte di dette società a voi stessi e agli altri rivenditori britannici delle stesse, nonché al fine di chiarire e di confermare la base sulla quale sono offerti, a voi e a detti rivenditori, i vari abbuoni, bonifici e sconti da parte delle società appartenenti al nostro gruppo.
Condizioni di vendita
Le condizioni di vendita valide per il mercato nazionale già prima che il Regno'Unito entrasse a far parte del mercato comune contengono un divieto di esportazione. Tali condizioni, ivi compreso il divieto di esportazione, sono state notificate alle autorità della CEE a Bruxelles
A seguito del referendum, stiamo attualmente procedendo alla modifica delle condizioni di vendita al fine di consentire ai nostri clienti di esportare negli altri paesi del mercato comune. Vi preghiamo cionondimeno di osservare che le esportazioni sono autorizzate solo ai fini del consumo nell'ambito del mercato comune: il divieto continua ad applicarsi alle esportazioni fuori del mercato comune.
Troverete qui allegata (appendice I) copia delle condizioni di vendita modificate, che saranno d'ora in poi valide fino a nuovo ordine per tutte le vendite nel mercato nazionale
Condizioni di prezzo
Teniamo a precisare che, benché a termini delle nuove “condizioni di vendita” siano consentite le esportazioni dei prodotti destinati al consumo in altri paesi del mercato comune, i vari abbuoni, sconti e ribassi sono destinati a soddisfare le particolari esigenze del mercato nazionale e i clienti hanno diritto di usufruire di tali agevolazioni unicamente quando i prodotti di cui trattasi siano effettivamente consumati nell'ambito del Regno Unito.
Pertanto, nel caso in cui intendiate acquistare prodotti da esportare in altri paesi del mercato comune, dovrete indicare tale intenzione nel vostro ordinativo e l'acquisto dovrà essere effettuato al prezzo all'ingrosso.
Si auspica la collaborazione di tutti i clienti “ai fini dell'attuazione di un sistema semplice e pratico”. Tuttavia nel caso in cui un cliente ottenga o richieda la concessione degli abbuoni, degli sconti o dei bonifici previsti per il mercato nazionale relativamente ai prodotti da lui acquistati e tali prodotti vengano messi in circolazione in paesi diversi dal Regno Unito, tutte le società del gruppo DCL si riservano il diritto di effettuare le successive vendite a tali clienti unicamente ai prezzi all'ingrosso.
Nell'appendice II della presente lettera sono elencate talune disposizioni di natura contrattuale che sanciscono e precisano i detti principi e che, fino a quando sarà diversamente stabilito, costituiranno parte integrante di ciascun contratto d'ora in poi stipulato fra ogni società del gruppo DCL e ogni rivenditore per il mercato nazionale relativamente all'acquisto di alcolici da parte di. quest'ultimo».
Come indicato nella lettera, a questa erano allegate due appendici.
L'appendice I conteneva le nuove «condizioni di vendita». In tale versione emendata, il divieto sancito nella clausola 5, lett. b), era limitato alle esportazioni al di fuori della CEE, mentre veniva abolita la precedente clausola 6, relativa alle vendite in regime di deposito doganale.
L'appendice II recava il titolo «Alcune disposizioni contrattuali (in materia di prezzi) integrative delle condizioni di vendita». Dopo aver ricordato che la DCL non effettuava vendite dirette, tale documento definiva in sostanza «venditore» qualsiasi affiliata della DCL ed «acquirente» qualsiasi cliente di una affiliata. Esso continuava nei seguenti termini:
«(2) |
Tutti gli abbuoni, bonifici e sconti (immediati o differiti) consentiti o versati dal o per conto del venditore all'acquirente sotto forma di riduzione del prezzo all'ingrosso su qualsiasi prodotto costituente oggetto d'un contratto tra l'acquirente e il venditore (detti abbuoni, bonifici e sconti in appresso denominati “sconti”) sono destinati a soddisfare le particolari esigenze del mercato nazionale. Qualora il venditore abbia fondati motivi di ritenere che un determinato quantitativo dei prodotti acquistati è stato o sarà consumato fuori del Regno Unito, il venditore sarà autorizzato (restando impregiudicati tutti gli altri diritti) ad applicare all'acquirente per un determinato quantitativo di prodotti fornitigli (in forza sia del summenzionato contratto, sia di un contratto successivo) il prezzo all'ingrosso senza alcuno sconto, sino al momento in cui l'acquirente fornisca al venditore la prova del fatto che i prodotti saranno consumati nel Regno Unito, a condizione che, dal momento in cui sia fornita tale prova, il venditore garantisca che l'acquirente riceverà immediatamente lo sconto attinente a detti prodotti, maggiorato del relativo interesse e calcolato in base ai periodi nel corso dei quali l'acquirente avrebbe fruito degli sconti di cui trattasi, in mancanza delle precedenti disposizioni del presente paragrafo (2)». |
Il paragrafo (3) stabiliva che cosa si dovesse intendere ai fini del paragrafo (2) per «fondati motivi», da parte del venditore, di ritenere che un determinato quantitativo dei prodotti acquistati sarebbe stato consumato fuori del Regno Unito.
Il paragrafo (4) precisava infine che «le precedenti disposizioni integrano le condizioni di vendita del venditore (costituenti oggetto dell'appendice I)».
Al contenuto dell'appendice II ci si è riferiti, nel presente procedimento, con l'espressione «condizioni di prezzo». Come vedete, tali condizioni istituivano un sistema di doppio prezzo, in forza del quale i rivenditori britannici si vedevano applicare, per gli alcolici destinati al consumo nel Regno Unito, prezzi inferiori a quelli cui essi acquistavano i prodotti destinati all'esportazione.
Lo scambio di corrispondenza fra la DCL e la Commissione continuava. In data 3 luglio 1975 e, di nuovo, l'8 luglio successivo, la DCL scriveva alla Commissione, in risposta a determinati punti sollevati dalla stessa. Nell'ultima lettera, la DCL faceva riferimento alle nuove condizioni di vendita. Essa diceva:
«La revisione di tali condizioni, al fine di renderle conformi all'art. 85 del Trattato di Roma, è stata prevista già da un certo tempo. A seguito del recente referendum relativo all'adesione al mercato comune, ai rivenditori britannici delle affiliate della DCL sono state notificate nuove condizioni di vendita che saranno valide in futuro per qualsiasi vendita loro effettuata. Uniamo in allegato alla presente una copia delle nuove condizioni di vendita, la quale vi consentirà di constatare che è stato abolito il divieto d'esportare dal Regno Unito in altri paesi della CEE. Crediamo che le nuove condizioni siano perfettamente conformi all'art. 85».
L'allegato alla lettera conteneva il testo dell'appendice I alla circolare della DCL 24 giugno 1975. La DCL non dava alla Commissione alcuna notizia dell'esistenza della stessa circolare, né di quella della relativa appendice II.
Nel frattempo, tuttavia, il 27 giugno 1975, era stato pubblicato nel Financial times un articolo dal titolo «Unofficial whisky exports scotched» (esportazioni non autorizzate di whisky messe in condizioni di non nuocere), che faceva riferimento alla circolare e descriveva a grandi linee il sistema di doppio prezzo da essa istituito.
Questo articolo metteva in stato d'allarme la Commissione, la quale, in data 4 luglio 1975, scriveva alla DCL una lettera che sembra essersi incrociata con quella della DCL dell'8 luglio 1975. La Commissione richiamava l'attenzione della DCL sull'articolo di cui trattasi e chiedeva all'impresa di farle pervenire le proprie osservazioni, informazioni e documenti. Si precisava che la richiesta veniva effettuata a norma dell'art. 11 del regolamento n. 17.
La DCL rispondeva con lettera 11 luglio 1975, cui essa allegava il testo integrale della circolare e delle due relative appendici. La DCL sosteneva, ed ha continuato a sostenerlo nel presente procedimento, che niente era cambiato per quanto riguardava i vari sconti offerti ai clienti britannici delle sue affiliate. Essa scriveva:
«La lettera del 24 giugno indirizzata a questi rivenditori ha lo scopo di chiarire e di confermare la base sulla quale tali sconti sono stati in precedenza offerti, e cioè ch'essi vanno applicati allo scotch whisky venduto per essere consumato nel Regno Unito».
Accusando ricevuta della lettera della DCL 11 luglio 1975, il che essa faceva con lettera 19 agosto 1975, la Commissione invitava la DCL a farle pervenire qualsiasi ulteriore corrispondenza relativa alle proprie condizioni di vendita sotto il numero di riferimento IV/28.282. Indi, richiamandosi alle nuove disposizioni delle «Condizioni di vendita»24 giugno 1975 relativamente alla concessione di abbuoni, sconti e bonifici, essa diceva che sembravano dirette ad. impedire esportazioni parallele in altri paesi della CEE e che perciò erano incompatibili con l'art. 85, n. 1, del Trattato. Essa chiedeva un supplemento d'informazione, a norma dell'art. 11 del regolamento n. 17.
Una delle questioni sulle quali siete chiamati a pronunziarvi è quella del se, in tale situazione, la DCL possa chiedere, per le condizioni di prezzo, un'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3, nonostante quanto disposto dagli artt. 4, n. 1, e 6, n. 1, del regolamento n. 17 in materia di notifica e dal regolamento n. 1133/68 circa la forma di tale notifica.
Il 18 maggio 1976, la Commissione riceveva un reclamo presentato, in forza dell'art. 3, n. 2, lett. b), del regolamento n. 17, da un gruppo di distributori di scotch whisky della regione di Glasgow, costituito da una società di fatto (la A. Bulloch & Co.) e quattro società per azioni (A. Bulloch (Agencies) Limited, John Grant (Blenders) Limited, Inland Fisheries Limited e Classic Wines Limited) controllate e prevalentemente amministrate dai membri della stessa famiglia. (A queste società, che — come ricorderete — sono le intervenienti nel presente procedimento, mi riferirò in prosieguo collettivamente con la designazione «Bulloch»). Nel reclamo si affermava che le condizioni di prezzo applicate dalla DCL erano incompatibili con gli artt. 85 e 86 del Trattato e che gli affari della Bulloch ne avevano subito un danno.
Con lettera 26 maggio 1976 la Commissione informava la DCL dell'esistenza del reclamo.
Dal canto suo, con lettera 23 febbraio 1977, la DCL informava i rivenditori britannici delle sue affiliate d'una modifica apportata alle condizioni di prezzo. Per l'avvenire, il prezzo del whisky destinato al consumo in altri Stati membri della CEE sarebbe stato il prezzo all'ingrosso pagato dai distributori esclusivi in tali Stati («prezzo all'ingrosso per l'esportazione nella CEE») anziché il prezzo all'ingrosso del mercato nazionale. Con lettera 25 febbraio 1977, la DCL informava la Commissione (fra l'altro) di tale modifica.
Può essere utile che mi soffermi su quella che era, in quel momento, la struttura dei prezzi per le marche correnti di scotch whisky appartenenti alla DCL. Le cifre cui mi riferisco sono quelle accertate dalla Commissione e riportate nella decisione impugnata. (Si tratta dei dati espressamente indicati per il Johnnie Walker Red Label, ma assunti come rappresentativi nella valutazione del caso). Il prezzo all'ingrosso del mercato nazionale (escluse le imposte di consumo e l'IVA) era di UKL 13,61 la cassa da 12 bottiglie. Gli sconti applicati sulle vendite ai grossisti, per merce destinata al mercato britannico, erano in media di UKL 5,41 la cassa, dal che risulta un prezzo medio netto di UKL 8,20. Il prezzo all'ingrosso per l'esportazione nella CEE era di UKL 13,51 la cassa, prezzo sul quale il distributore esclusivo otteneva normalmene uno sconto di distribuzione di UKL 4,62 ed eventualmente uno sconto di 54 pence per pagamento in contanti. Qualora egli fruisse di ambedue gli sconti, il prezzo netto era quindi di UKL 8,35. Perciò la DCL ricevava in media 15 pence di meno la cassa per le vendite effettuate sul mercato britannico rispetto a quanto realizzava sulle vendite ai distributori esclusivi in altri Stati membri. Tuttavia, la cosa più importante, ai presenti fini, è che un grossista britannico il quale intendesse esportare in altri Stati membri doveva pagare, per ciascuna cassa, circa UKL 5,16 in più di un distributore esclusivo in uno di tali Stati (differenza tra UKL 8,35 e UKL 13,51).
Il 7 marzo 1977, la Commissione riceveva un altro reclamo in forza dell'art. 3, n. 2, leu. b), del regolamento n. 17, presentato questa volta da un'impresa londinese, la Madison, Benson & Carter Limited, e riguardante le difficoltà di approvvigionamento di scotch whisky DCL destinato all'esportazione.
Il voluminoso carteggio che continuava fra la DCL e la Commissione culminava, il 22 aprile 1977, nell'invio, da parte della Commissione alla DCL, d'una comunicazione degli addebiti relativa alle condizioni di vendita e di prezzo imposte dalla impresa. Nella comunicazione degli addebiti si indicava che la Commissione intendeva:
(a) |
considerare che il divieto d'esportare e di rivendere whisky in regime di deposito doganale, valido fino al 24 giugno 1975 in forza delle clausole 5, lett. b), e 6, delle condizioni di vendita, costituiva un'infrazione dell'art. 85, n. 1, e non poteva ottenere l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3; |
(b) |
considerare che il divieto d'esportare in paesi terzi era incompatibile con l'art. 85, n. 1, e non poteva ottenere l'esenzione; |
(c) |
considerare che le condizioni di prezzo erano incompatibili con l'art. 85, n. 1, ed ingiungere alla DCL di porre fine a tale infrazione. |
Quanto all'esenzione, a norma dell'art. 85, n. 3, chiesta dalla DCL per le condizioni di prezzo, nella comunicazione degli addebiti la Commissione esprimeva il parere secondo cui non era necessario prendere in esame tale domanda, dato, che le condizioni di prezzo non erano state notificate a norma del regolamento n. 17, ma, comunque, le condizioni di prezzo non soddisfacevano le condizioni per l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3.
U' 13 maggio 1977, la Commissione inviava alla DCL copia dei reclami presentati dalla Bulloch e dalla Madison, Benson & Carter Limited. Nel caso del reclamo della Bulloch, erano state omesse quasi 19 pagine su 35. Pur ammettendo che la Commissione avesse il diritto di non far conoscere i passi riferentisi a segreti commerciali della Bulloch, la DCL insisteva per ottenere un testo più completo. Questa richiesta veniva respinta dalla Commissione, per ragioni ch'essa precisava come segue nel telex 27 maggio 1977 indirizzato alla DCL:
«... pur se la Commissione è tenuta ad informare completamente le parti in causa sulle questioni che possono essere rilevanti ai fini della decisione, essa non è tenuta, al di fuori di tali limiti, a comunicare copia dei reclami né in tutto né in parte. L'accertamento della Commissione in questo procedimento è basato interamente su dati fornitile dalla DCL ed esclusivamente su fatti che sono stati descritti a grandi linee nella comunicazione degli addebiti. Giacché i reclami sembrano corroborare l'opinione della Commissione secondo cui i commercianti di whisky vengono danneggiati dalle pratiche della DCL e, allo scopo di informarvene, vi sono stati inviati gli estratti più importanti di detti reclami. Le pagine omesse contengono elementi riservati o rilevanti per la valutazione del caso. Tutti i dati sui quali la Commissione si basa o che possono influenzare il suo parere vi sono stati comunicati ...».
Il 16 giugno 1977, la DCL inviava alla Commissione quella che essa definiva la propria «replica» alla comunicazione degli addebiti. Onde evitare qualsiasi confusione con la replica che figura nel fascicolo della causa pendente davanti alla Corte (e seguendo la terminologia dell'art. 3, n. 2, del regolamento (CEE) della Commissione n. 99/63), parlerò, riferendomi a tale documento, di «osservazioni scritte» della DCL. A tale documento facevano seguito, nelle settimane e nei mesi successivi, 6 supplementi.
La DCL non cercava di giustificare i divieti stabiliti nelle precedenti clausole 5, lett. b), e 6 delle condizioni di vendita. Essa ammetteva in particolare che tali divieti non erano «indispensabili» (ai sensi dell'art. 85, n. 3, lett. a), del Trattato) per conseguire l'obiettivo consistente nel miglioramento della distribuzione dei propri prodotti. Essa contestava però che l'art. 85, n. 1, si applicasse al divieto di esportazione in paesi estranei alla CEE.
La DCL ammetteva che le condizioni di prezzo rientrassero nell'ambito dell'art. 85, n. 1, ma sosteneva ch'esse dovevano costituire oggetto d'una esenzione in forza dell'art. 85, n. 3. Essa deduceva che la mancanza di notifica formale di dette condizioni era irrilevante. Quanto al merito, la DCL sosteneva in sostanza, come ha fatto davanti alla Corte, che le condizioni del mercato britannico e quelle vigenti negli Stati membri del continente sono a tal punto differenti da richiedere metodi di distribuzione diversi. Nel Regno Unito, poiché lo scotch whisky è un prodotto ben affermato e in considerazione del fatto che i produttori di birra controllano in gran parte gli sbocchi, sussiste un'intensa concorrenza di prezzi. Nei paesi continentali, invece, il whisky rappresenta una quota molto minore del mercato degli alcolici e non può, per vari motivi, fare concorrenza a livello dei prezzi agli alcolici locali. Le vendite di whisky necessitano quindi di una attiva promozione, il che implica oneri per i distributori esclusivi. Questi non possono assumersi tali oneri, se i loro prezzi devono sostenere la concorrenza da parte degli esportatori paralleli che non devono affrontare le stesse spese. Perciò, la stessa marca di scotch whisky non potrebbe esser distribuita in maniera efficiente nel Regno Unito e negli Stati membri del continente, se gli esportatori paralleli non pagassero prezzi più alti, che riflettano le spese di promozione sostenute dai distributori esclusivi. La DCL sottolineava che tali spese non si limitano a quelle di pubblicità tramite i mass-media, ma comprendono pure lo studio dei mercati, l'impiego di venditori, la fornitura di materiale pubblicitario ai punti di vendita «optics», ecc.), la preparazione dei baristi, la presa in esame delle lamentele dei consumatori e, naturalmente, la gestione delle scorte. Esse comprendono pure la tutela della marca contro le frodi, che notoriamente sono frequenti sul mercato del whisky ed assumono forme molteplici, come il riempimento di bottiglie con alcolici falsificati e l'uso di etichette contraffatte, oltre alle forme più correnti di violazione di diritti di marchio.
Il 23 giugno 1977 la Commissione teneva un'audizione, alla quale erano rappresentate sia la DCL, sia la Bulloch. In tale occasione la DCL consegnava alla Commissione copia del primo supplemento alle proprie osservazioni scritte, consistente in una «valutazione economica» da parte di Lady Hall, insigne economista di Oxford.
II secondo supplemento seguiva il 28 giugno 1977 e il terzo il 26 luglio 1977.
Risulta che all'audizione e, poi, in occasione di un incontro ufficioso fra rappresentanti della DCL e della Commissione che aveva luogo il 19 luglio 1977, veniva sollevata la questione del se la differenza nei prezzi applicati dalla DCL agli esportatori paralleli, da una parte, e ai suoi distributori esclusivi, dall'altra, riflettesse realmente i costi suppletivi di questi ultimi. A seguito di ciò, la DCL procedeva ad un esame dettagliato dei costi dei propri distributori esclusivi. (La DCL ha sottolineato che molto probabilmente essa non avrebbe potuto ottenere la collaborazione dei propri distributori esclusivi ad un siffatto esame, senza la pressione cui questi erano soggetti a causa della comunicazione degli addebiti da parte della Commissione).
Il 21 settembre 1977, la DCL scriveva alla Commissione per confermare che le avrebbe comunicato entro il 21 ottobre i risultati della propria indagine su tali costi.
La DCL veniva poi a sapere che il suo caso sarebbe stato forse esaminato dal Comitato consultivo, in forza dell'art. 10 del regolamento n. 17, in occasione di una riunione che avrebbe dovuto tenersi dal 19 al 21 ottobre 1977. L'11 ottobre dello stesso anno la DCL scriveva di nuovo alla Commissione per esprimere il suo stupore all'idea che il Comitato consultivo prendesse in esame un progetto di decisione senza disporre dei risultati dell'indagine, dato che i costi dei distributori, costi non gravanti sugli importatori paralleli, avevano rilevanza «cruciale» per la questione.
I risultati dell'indagine, per la parte riguardante i distributori di scotch whisky, erano contenuti nel quarto supplemento alle osservazioni scritte della DCL. Essi provavano che, in tal caso, il costo suppletivo ammontava a erica 5,07 sterline la cassa.
Il quarto e il quinto supplemento, entrambi datati 20 ottobre 1977, pervenivano effettivamente alla Commissione nella mattinata del 21 ottobre. Lo stesso giorno il Comitato consultivo si riuniva e redigeva una relazione sulla questione. Ci è stato detto dalla Commissione (controricorso, punti 172-174) che il Comitato era stato informato, nel corso della sua riunione e prima che si giungesse ad una decisione, del fatto che il quarto supplemento sembrava confermare le cifre fornite dalla DCL nelle sue osservazioni scritte; che il Comitato era stato del pari informato del ricevimento del quinto supplemento e del contenuto di questo, ma ch'esso aveva deciso di non rimandare la propria riunione onde poter esaminare più ampiamente tali supplementi. (Il quinto supplemento conteneva le risposte motivate della DCL ai quesiti posti dai funzionari della Commissione, durante o dopo l'audizione, sul come la DCL potesse modificare il proprio sistema di prezzi).
È pure rilevante considerare che il processo verbale dell'audizione non era disponibile, neppure in bozza, alla data della riunione del Comitato consultivo. Una bozza di processo verbale veniva inviata alle parti il 25 ottobre 1977 e delle proposte di emendamenti, definite «di secondaria importanza» dalla Commissione, giungevano alla DCL il 15 novembre 1977.
Il 24 novembre 1977, il sesto (ed ultimo) supplemento veniva trasmesso dalla DCL alla Commissione. Questo supplemento conteneva i risultati dell'indagine della DCL sui costi dei distributori esclusivi di gin.
La decisione 20 dicembre 1977
Circa un mese più tardi, il 20 dicembre 1977, la Commissione adottava la decisione che costituisce oggetto del presente ricorso. Con tale decisione la Commissione:
(a) |
dichiarava che il divieto d'esportare e il divieto di rivendere i prodotti in regime di deposito doganale contemplati dalle «condizioni di vendita» della DCL sino al 24 giugno 1975 erano incompatibili con l'art. 85, n. 1, e non potevano costituire oggetto di esenzione in forza dell'art. 85, n. 3; |
(b) |
affermava che le condizioni di prezzo erano incompatibili con l'art. 85, n. 1, e non potevano costituire oggetto di esenzione in forza dell'art. 85, n. 3, in quanto non le erano state notificate e non soddisfacevano le condizioni poste dall'art. 85, n. 3; e |
(c) |
ingiungeva alla DCL ed alle sue affiliate di abolire le condizioni di prezzo in quanto esse limitavano le esportazioni dal Regno Unito negli altri paesi della CEE. |
La Commissione non riteneva che le condizioni di vendita, nei limiti in cui esse vietano l'esportazione nei paesi terzi, violassero il Trattato, né infliggeva ammende alla DCL.
La reazione della DCL alla decisione 20 dicembre 1977
La reazione della DCL alla decisione è stata quella di dichiarare ch'essa rinunciava immediatamente ad applicare il sistema di prezzi differenziati, pur adottando taluni provvedimenti che le erano imposti, a suo dire, dalla convinzione che in futuro non sarebbe stato più possibile, per la medesima marca di scotch whisky, battersi efficacemente contro i propri concorrenti nel Regno Unito e fruire della promozione necessaria per sostenere efficacemente la concorrenza nella parte continentale della CEE. Tali provvedimenti consistevano nel ritirare dalla vendita nel Regno Unito una marca corrente di whisky, il Johnnie Walker Red Label, e una marca di lusso, lo Haig Dimple, e nel chiedere alla commissione prezzi del Regno Unito l'autorizzazione ad aumentare il prezzo di altre quattro marche correnti, Black & White, Vat 69, Dewars e White Horse, di UKL 5,94 la cassa e il prezzo di due marche di lusso, Antiquary e Johnnie Walker Black Label, di UKL 3 la cassa. Lo Haig White Label doveva restare in vendita nel Regno Unito ad un prezzo immutato. La commissione prezzi dava l'autorizzazione richiesta, escludendone però il Dewars, per il quale l'aumento del prezzo veniva limitato a UKL 3 la cassa e il White Horse, per il quale non veniva ammesso alcun aumento. Una delle affiliate della DCL metteva in commercio una nuova marca corrente di scotch whisky, il «John Barr», venduto nella bottiglia di forma quadrata caratteristica del Johnnie Walker. La DCL non adottava provvedimenti analoghi per altri alcolici.
Secondo la Commissione, non si deve presumere l'ammissione, da parte sua, del fatto che, adottando i provvedimenti di cui sopra, la DCL si fosse debitamente conformata alla decisione. Questo è un problema che la Commissione potrà discutere con la DCL in funzione dell' esito del presente procedimento, sul quale esso non può avere comunque alcuna influenza.
I punti controversi nel presente procedimento
Col presente ricorso, la DCL chiede che la decisione 20 dicembre 1977 sia dichiarata nulla nel suo complesso e, in subordine, che la stessa decisione sia dichiarata nulla nella parte riguardante l'applicazione dell'art. 85, n. 3, alle condizioni di prezzo.
La DCL ha tuttavia precisato che l'impugnazione della decisione nel suo complesso è basata unicamente su violazioni di forme sostanziali, commesse a suo dire nel corso del procedimento che ha portato alla decisione. Dette violazioni consisterebbero nel fatto che:
(a) |
non erano stati adeguatamente presi in considerazione o non erano stati affatto esaminati dal Comitato consultivo vari documenti importanti, e cioè:
|
(b) |
La Commissione avrebbe fornito alla DCL una copia del ricorso della Bulloch, censurato in misura inammissibile. |
(c) |
Per quanto riguarda il Pimm's, la de-, cisione della Commissione sarebbe basata su motivi «insufficienti e/o contraddittori». |
La DCL non contesta la correttezza sostanziale della decisione della Commissione, nella parte in cui questa ha ritenuto che il divieto di esportare e di rivendere i prodotti in regime di deposito doganale, sancito nelle condizioni di vendita della DCL come erano state formulate in origine, fosse in contrasto con l'art. 85, n. 1, e non potesse costituire oggetto di esenzione in forza dell'art. 85, n. 3; oppure nella parte in cui essa ha ritenuto che il sistema di prezzi differenziati applicato a partire dal 24 giugno 1975 rientrasse nell'art. 85, n. 1. Il solo argomento sostanziale invocato dalla DCL è che la Commissione non avrebbe dovuto rifiutare di concedere l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3, per le condizioni di prezzo.
Le questioni principali di cui trattasi nella presente causa sono quindi le seguenti:
(i) |
se, ed in qual misura, la decisione possa essere stata viziata nell'ambito del procedimento amministrativo; |
(ii) |
se la mancanza di notifica formale delle condizioni di prezzo impedisse di concedere, per queste, l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3; e, |
(iii) |
in caso di soluzione negativa, se possa essere accolta la tesi della Commissione secondo cui le condizioni di prezzo non soddisfacevano le condizioni per l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3. |
Propongo di lasciare per ultimo le questioni di procedura e di cominciare dal- l'esame del problema relativo alla notifica.
La mancata notifica delle condizioni di prezzo da parte della DCL
La DCL ammette che, «trattandosi di una questione tecnica», le condizioni di prezzo non sono state notificate giusta le disposizioni del regolamento n, 17 e del regolamento n. 1133/68, vigenti in materia.
Cercando di sfuggire alle conseguenze di questa omissione, essa ha dedotto in sostanza quattro argomenti.
Il primo consiste nel sostenere che la notifica delle condizioni di vendita comprendeva quella delle condizioni di prezzo, in quanto queste avevano lo stesso scopo del divieto d'esportare, e cioè la protezione dei distributori esclusivi negli Stati membri del continente contro le esportazioni parallele effettuate ai prezzi del Regno Unito. Le condizioni di prezzo, ha sostenuto la DCL, sono mezzi meno drastici per realizzare questo obiettivo.
A mio avviso, questo argomento non regge alla prova. E irrilevante, ai presenti fini, accertare se le condizioni di prezzo costituissero o no un mezzo meno drastico per conseguire lo scopo (questione sulla quale le posizioni della DCL e della Commissione erano divergenti). Non sono gli obiettivi, ma (per quanto ci interessa) gli «accordi» che vanno notificati in forza dell'art. 4, n. 1, del regolamento n. 17. Volendo considerare obiettivamente la notifica della DCL, come è stata effettuata sul modulo A/B in data 30 giugno 1973, non si può comunque sostenere che questa costituisca una notifica del sistema applicato dalla DCL in materia di fissazione dei prezzi validi per i suoi clienti nel Regno Unito. Al contrario, le risposte date in detta notifica ai quesiti II, (3), (d), e III, (1) — che ho letto in precedenza — erano formulate in modo da evitare di far conoscere detto sistema. La DCL può aver ragione nel sostenere che, per i motivi da me già indicati, essa non aveva alcun obbligo a quell'epoca di farlo conoscere, ma non può ora affermare che, con la notifica in questione, essa lo aveva reso noto.
In secondo luogo, la DCL ha sostenuto che una separata notifica delle condizioni di prezzo non era necessaria nel 1975, in quanto dette condizioni erano state sempre applicate alle vendite effettuate nel Regno Unito. Anche questo argomento va, a mio avviso, respinto. Pur se la DCL avesse ragione quando dice che le condizioni di prezzo non dovevano necessariamente esser notificate nel 1973, queste assumevano un significato diverso nel 1975, epoca in cui il divieto d'esportare era stato soppresso ed esse erano divenute il solo mezzo a disposizione della DCL per limitare le esportazioni parallele. Aggiungerò che, a mio avviso, i termini nei quali sono formulate la circolare 24 giugno 1975 e la relativa appendice II mostrano che la DCL era conscia della mutata funzione delle condizioni di prezzo. Se non fosse intervenuto alcun cambiamento del genere, non sarebbe stato affatto necessario invitare i rivenditori a collaborare «perché un sistema semplice e pratico possa funzionare» o introdurre nuove e complicate clausole al fine di stabilire penalità per i rivenditori, qualora vi fossero stati «fondati motivi» di ritenere che i prodotti da questi acquistati ai prezzi del mercato interno britannico venissero dirottati sui mercati stranieri, o di dire che queste nuove clausole completavano le «Condizioni di vendita».
In terzo luogo, la DCL ha sostenuto che, avendo la Commissione ricevuto la sua lettera dell'11 luglio 1975, contenente il testo completo della circolare del 24 giugno e dei relativi allegati, sarebbe stato superfluo che la DCL adempisse la «semplice formalità» consistente nel notificare le condizioni di prezzo sul modulo A/B; ciò non sarebbe stato di alcuna utilità per la Commissione. Questo è a prima vista un argomento seducente. Tuttavia, ciò non toglie che la Commissione sia venuta a conoscenza dell'esistenza delle condizioni di prezzo solo tramite un articolo apparso nella stampa e che ne abbia ottenuto il testo solo in seguito ad una richiesta d'informazioni in forza dell'art. 11 del regolamento n. 17. È chiaro che non è questo il genere di «notificazione» previsto dagli autori del regolamento n. 17. Essi hanno infatti incluso, nel preambolo del regolamento, delle precisazioni formulate nei seguenti termini:
«Considerando che le modalità di applicazione dell'art. 85, n. 3, devono essere determinate tenendo conto della necessità di assicurare una sorveglianza efficace nonché di semplificare, per quanto possibile, il controllo amministrativo;
... appare di conseguenza necessario sottoporre, in linea di principio, le imprese che desiderino avvalersi dell'art. 85, n. 3, all'obbligo di notificare alla Commissione i loro accordi, decisioni e pratiche concordate».
Non sarebbe affatto compatibile con le finalità ivi enunciate il ritenere che un'impresa che non si è attenuta al regolamento possa essere trattata alla stessa stregua di quelle che vi si sono attenute. Per di più, oltre al fatto di rendere noto l'accordo di cui trattasi alla Commissione, la notifica formale ha un triplice effetto: essa prova che, nel caso in cui l'accordo ricada sotto l'art. 85, n. 1, viene chiesta l'esenzione in forza dell'art. 85,. n. 3; indica i motivi di detta domanda d'esenzione; fissa, giusta l'art. 6, n. 1, del regolamento n. 17, la data più ravvicinata a decorrere dalla quale l'esenzione prende eventualmente effetto.
Non è stata sollevata la questione del se, qualora la Commissione venga a conoscenza, a mezzo della stampa, dell'esistenza d'un accordo che violi l'art. 85, n. 1, ed eserciti quindi i poteri che le spettano in forza dell'art. 11 del regolamento n. 17, una parte contraente possa ancora chiedere l'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3, compilando in un secondo momento il modulo A/B. Il problema non si prospetta nemmeno in base agli antefatti della causa, cosicché posso tralasciarlo.
Resta il quarto argomento della DCL, e cioè che la Commissione avrebbe rinunziato, nella fattispecie, alla notifica formale e non potrebbe quindi insistere su questo punto. L'agente della Commissione ha sostenuto che una rinunzia del genere esulava dai suoi poteri. Non ritengo necessario pronunciarmi sull'esattezza di questo punto di vista, giacché non ritengo si possa presumere che la Commissione abbia rinunciato nella fattispecie alla notifica. Il patrono della DCL si è riferito alla lettera 19 agosto 1975, nella quale la Commissione chiedeva che lo stesso numero di riferimento venisse usato in futuro per la corrispondenza relativa alle condizioni di vendita e alle condizioni di prezzo, ed ha sottolineato il fatto che in seguito, nell'ambito del procedimento amministrativo, la Commissione ha esaminato congiuntamente le condizioni di vendita e quelle di prezzo. Non ritengo che questo modo di procedere, da parte della Commissione, equivalesse alla rinuncia ad una notifica formale delle condizioni di prezzo. Nella comunicazione degli addebiti, la Commissione ha chiaramente affermato che le condizioni di prezzo non erano state mai adeguatamente notificate e, da allora, essa non ha mai smentito quest'affermazione.
Ritengo quindi che gli argomenti della DCL non possano essere accolti per quanto riguarda la questione della notifica.
Ciò sarebbe sufficiente per la definizione della controversia. Tuttavia, per il caso che siate di parere diverso su questo punto, passerò ad esaminare il capo del ricorso della DCL relativo all'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3.
Il capo del ricorso della DCL relativo all'esenzione in forza dell'art. 85, n. 3
L'art. 85, n. 3, del Trattato contempla in pratica quattro condizioni, due positive e due negative, perché un accordo possa costituire oggetto di esenzione dal divieto di cui all'art. 85, n. 1 :
(i) |
l'accordo deve (per quanto interessa nella fattispecie) contribuire a migliorare la distribuzione dei prodotti; |
(ii) |
esso deve riservare agli utilizzatori una congrua parte dell'utile che ne deriva; |
(iii) |
esso non deve imporre alle imprese interessate restrizioni che non siano indispensabili per conseguire il suddetto obiettivo; e |
(iv) |
esso non deve dare a tali imprese la possibilità di eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui trattasi. |
Nella decisione relativa alla presente fattispecie, la Commissione non ha preso in esame i requisiti (II) e (IV). Essa si è limitata ai punti (I) e (III).
Per quanto riguarda la condizione (I), la Commissione respingeva la tesi della DCL — secondo la quale l'esistenza delle condizioni di prezzo contribuiva a migliorare la distribuzione dei suoi prodotti — in base ad un motivo che deve necessariamente definirsi pretestuoso. Esso consiste nell'affermare che il miglioramento della distribuzione, addotto dalla DCL, non risulta direttamente dagli accordi stipulati coi grossisti britannici e di cui le condizioni di prezzo fanno parte integrante, ma risulta da una diversa serie di accordi, cioè da quelli stipulati coi distributori esclusivi in altri Stati membri. La Commissione ha sviluppato questo argomento davanti alla Corte. A suo dire, il fatto che un accordo per il quale è pacifico ch'esso rientra nell'ambito d'applicazione dell'art. 85, n. 1, possa contribuire all'attuazione di un altro (indiscutibilmente vantaggioso) accordo nel settore della distribuzione è insufficiente perché il primo accordo possa avere i requisiti necessari per un'esenzione in forza dell'art 85, n. 3. La Commissione ha del pari presentato questa argomentazione in altra guisa, sostenendo che le condizioni di prezzo e gli accordi stipulati coi distributori esclusivi si riferiscono a merci diverse.
0A mio avviso, questo motivo è insostenibile. Nell'art. 85, n. 3, nulla dice che il vantaggio cui esso fa riferimento debba derivare direttamente dalle condizioni dell'accordo in questione, e non possa derivare dagli effetti di questo nel suo contesto economico e giuridico. È chiaro che tale contesto è rilevante al fine di accertare se l'accordo ricada in via di principio sotto l'art. 85 (ved. sentenza 23/67, Brasserie de Haecht e/ Wiikin, Race. 1967, pag. 480), e ritenere ch'esso sia privo d'interesse ai fini dell'art. 85, n. 3, equivarrebbe a fare dell'art. 85, considerato nel suo complesso, una disposizione stranamente zoppicante. Inoltre, qualora le affiliate della DCL si fossero espressamente impegnate, negli accordi stipulati coi loro distributori esclusivi, a proteggere questi mediante un sistema di prezzi differenziati, la validità di questo impegno sarebbe dipesa esattamente dalle stesse considerazioni che possono farsi per le condizioni di prezzo.
Vengo quindi al nocciolo della questione. In proposito, la Commissione si è espressa nella propria decisione come segue (paragrafo III, 2.2.2., lett. c)):
«Anche se le condizioni di prezzo dovessero essere valutate in relazione al sistema di distribuzione esclusiva della DCL, esse non potrebbero ottenere l'esenzione.
La Commissione riconosce che spesso possono derivare vantaggi dalla presenza in Stati della CEE di distributori esclusivi responsabili dello sviluppo delle vendite di un produttore di un altro Stato membro. Per quanto riguarda gli accordi di distribuzione esclusiva conclusi dalle filiali della DCL con i distributori in altri Stati membri, la Commissione ha già manifestato l'intenzione di adottare una decisione favorevole in merito ...
Anche ammettendo che la designazione di distributori esclusivi da parte della DCL comporta un miglioramento della distribuzione, non si può constatare che le condizioni di prezzo comportano una restrizione indispensabile al raggiungimento di tali obiettivi».
Si tratta quindi di accertare se la Commissione potesse ragionevolmente sostenere che le condizioni di prezzo non erano indispensabili per ottenere il miglioramento della distribuzione derivante dall'applicazione del sistema di distribuzione esclusiva della DCL. Dopo aver avuto, lo confesso, alcune esitazioni iniziali, sono pervenuto ad escluderlo.
Il ragionamento seguito dalla DCL a proposito delle differenze esistenti fra le condizioni di mercato nel Regno Unito e negli altri Stati membri è in complesso convincente.
Si prenda, ad esempio, lo scotch whisky. Esso rappresenta più del 50 % degli alcolici venduti nel Regno Unito. Il mercato britannico è stato quindi correttamente descritto, a mio avviso, nel senso ch'esso ha raggiunto la fase di «saturazione», quella in cui la concorrenza in materia di prezzi assume la massima importanza. La prova della sua sensibilità ai prezzi è stata fornita nel quinto supplemento alle osservazioni scritte della DCL. Risulta, ad esempio, che quando, nell'aprile 1970, la Bell's e la Teacher's aumentavano i loro prezzi di 60 pence la cassa (o di 5 pence la bottiglia), la DCL — che aveva a sua volta aumentato i prezzi — vedeva la sua quota di mercato, nei sei mesi fino al 1o ottobre, passare al 73 % rispetto al 51 % dei dodici mesi che scadevano il 31 marzo 1970. Analogamente, un aumento di 45 pence la cassa (meno di 4 pence la bottiglia) effettuato dalla DCL il 1o ottobre 1975 e non immediatamente seguito dalla Bell's e dalla Teacher's, riduceva la quota di mercato della ricorrente al 32 % nel semestre che finiva il 31 marzo 1976, rispetto ad una quota del 51 % nei dodici mesi che scadevano il 30 settembre 1975. Queste prove non sono state contestate. Qualora occorresse, cionondimeno, una convalida, questa potrebbe trovarsi nella perdita quasi totale del mercato, subita dalla Black & White e dalla Vat 69 a seguito degli aumenti di prezzo conseguenti alla decisione, nonché nel fatto che la Dewars era stata esclusa da due terzi del proprio mercato.
La DCL ha pure prodotto delle prove a proposito della potenza commerciale delle grandi industrie della birra britanniche, in quanto acquirenti di scotch whisky. Di questa potenza, derivante dal fatto che gli industriali della birra controllano il commercio al minuto, si trova ampia conferma (fra l'altro) nella relazione della United Kingdom Monopolies Commission allegata alle osservazioni scritte della DCL. Le pressioni esercitate dagli industriali della birra, che hanno le proprie marche di scotch whisky, aiutano a spiegare la ragione per cui i prezzi all'ingrosso sono così bassi sul mercato del Regno Unito.
In tutti gli altri Stati membri, fatta eccezione, credo, per il Belgio, lo scotch whisky deve affrontare la concorrenza con tradizionali e popolari prodotti locali e non può sostenerla a livello dei prezzi.
In cinque di questi Stati membri, esso rappresenta soltanto una modesta quota del mercato degli alcolici: 3,5 % in Germania, 5,3 % in Danimarca, 5,5 % in Francia, 8,2 % in Italia ed 8,9 % nei Paesi Bassi. II mercato vi si trova ancora nella fase di «espansione», fase in cui elevate spese promozionali possono considerarsi normali.
La situazione è diversa nel Belgio, in cui lo scotch whisky rappresenta il 36,6 % del mercato degli alcolici. In tale paese, il mercato dello «scotch» si può forse ritenere vicino alla fase di «saturazione».
Poco ci è stato detto a proposito del mercato irlandese. Esso occupa probabilmente una posizione intermedia fra quelle dei mercati del Regno Unito e del resto della Comunità. Tuttavia, in Irlanda, più che su altri mercati, lo scotch whisky è in concorrenza col whisky irlandese.
La DCL ha posto l'accento sulle difficoltà supplementari contro le quali cozza la distribuzione dello scotch whisky in Germania — a causa delle prassi discriminatorie del monopolio di Stato che la Corte ha ritenuto illegittime nella sentenza 91/78, Hansen c/ HZA Flensburg, Race. 1979, pag. 935 — nonché in Danimarca, in Francia e in Italia — a causa della tassazione discriminatoria che la Corte ha recentemente dichiarato illegittima nelle sentenze relative alle «acquaviti» (causa 168/78, Commissione e/ Francia; causa 169/78, Commissione ci Italia; causa 171/78, Commissione ci Danimarca e causa 68/79, Just ci Minister for Skatter og Afgifter) —. Questo non è stato, a mio avviso, il miglior argomento della DCL. Le cause Hansen e Just danno un esempio dei rimedi offerti a commercianti che si ritengano vittime d'una discriminazione in questo campo.
Più convincente è l'argomento svolto dalla DCL, nelle osservazioni scritte, per dimostrare che la stessa marca non può lottare efficacemente contro i propri concorrenti nel Regno Unito e nel contempo nel resto della Comunità, se non in base ad un sistema di differenziazione dei prezzi. Essa sosteneva che, mentre le vendite delle principali marche DCL sono uniformemente ripartite nel Regno Unito e nel resto della Comunità, i suoi principali concorrenti nel Regno Unito, la Bell's e la Teacher's, vendono poco in altri Stati membri, mentre i suoi principali concorrenti negli Stati membri del continente, la Ballantines e la J&B, vendono poco nel Regno Unito.
La DCL riassumeva la propria tesi dicendo che si ponevano in sostanza tre quesiti, ciascuno dei quali — com'essa aveva dimostrato — andava risolto affermativamente. I quesiti erano i seguenti:
«— |
È vero che i distributori esclusivi devono spendere, in media, aprossimativamente 5 UKL per ciascuna cassa di scotch whisky da essi venduta, perché detto prodotto possa fare efficacemente concorrenza ad altri alcolici sul mercato della parte continentale della CEE? |
— |
È vero che è impossibile per lo scotch whisky lottare efficacemente contro altri prodotti sul mercato del Regno Unito ad un prezzo che riflette le spese di promozione commerciale sopportate dai distributori esclusivi sul continente? |
— |
E vero che, quindi, in mancanza di un sistema di prezzo differenziato è impossibile per una marca di scotch whisky sostenere la concorrenza nel Regno Unito e nel contempo nella parte continentale della CEE?». |
La tesi sostenuta dalla Commissione mi sembra, d'altra parte, debole.
Nella decisione, la Commissione addiceva due motivi a sostegno della propria posizione. In primo luogo, essa considerava che «gli alcolici della DCL non sono prodotti nuovi che richiedano uno sforzo speciale di sviluppo delle vendite. Le condizioni di mercato [nei paesi della CEE diversi dal Regno Unito] non sono tali da richiedere la protezione dei loro mercati contro la concorrenza dei distributori che acquistano gli alcolici dalla DCL nel Regno Unito».
A parte il riferimento al fatto che gli alcolici della DCL non sarebbero «prodotti nuovi», si tratta d'una conclusione piuttosto che di un motivo. Nell'art. 85, n. 3, come pure nella giurisprudenza della Corte, nulla consente di affermare che una restrizione non possa essere indispensabile per migliorare la distribuzione di prodotti, se non nel caso di prodotti nuovi. Né vi è alcuna ragione di principio per una affermazione del genere. Il solo problema rilevante nell'ambito dell' art. 85, n. 3, è quello di accertare se, in base ai fatti, prescindendo dalla circostanza che i prodotti siano tradizionali o nuovi, la restrizione di cui trattasi sia indispensabile per migliorare la loro distribuzione.
La Commissione ha richiamato un certo numero di sentenze della Corte, di cui talune interamente estranee a qualsiasi problema d'interpretazione o d'applicazione dell'art. 85, n. 3, cosicché non voglio abusare del vostro tempo, Signori, prendendole in esame. Quanto alla giurisprudenza relativa all'art. 85, n. 3, la sentenza sulla quale la Commissione ha principalmente insistito è quella pronunziata nelle cause riunite 56 e 58/64, Consten e Grundig c/Commissione (Race. 1966, pag. 458).
Gli antefatti di tali cause si distinguono da quelli della presente fattispecie sotto due aspetti. In primo luogo, la restrizione per la quale era stata richiesta l'esenzione era un divieto assoluto di esportazioni parallele. Nel presente caso, sebbene la Commissione e la Bulloch abbiano sostenuto che, in pratica se non formalmente, il sistema di prezzi differenziati rendeva impossibili le importazioni parallele, quest'asserzione era smentita dal fatto che, nel 1977, le affiliate della DCL avevano venduto al prezzo all'ingrosso CEE per l'esportazione 340000 casse di scotch whisky, quantitativo che rappresenta, stando a quanto sostiene la DCL, quasi un decimo del volume complessivo di scotch whisky delle marche DCL esportato nel corso di quell'anno in altri Stati membri. In secondo luogo, i motivi in base ai quali l'esenzione era richiesta nel caso Consten e Grundig non sono affatto simili a quelli addotti dalla DCL nella presente fattispecie.
Quanto ai principi sanciti nella sentenza Consten e Grundig, sono due, a mio avviso, i punti rilevanti. Anzitutto, la Corte sottolineava allora la necessità che la Commissione, quando le viene presentata una domanda d'esenzione in forza dell' art. 85, n. 3, proceda a un esame approfondito dei fatti. È per l'appunto della circostanza che la Commissione abbia omesso, nella fattispecie, di effettuare un esame del genere che la DCL principalmente si lamenta, e non del tutto a torto, a mio avviso. La Commissione si basa, poi, sulla sentenza Consten e Grundig per sostenere che, quando è necessaria una valutazione complessa dei fattori economici, la Corte ha solo competenza limitata ad intervenire nella valutazione della Commissione. Ciò è indubbiamente esatto, ma la Commissione ha spinto la propria argomentazione al punto di lasciare intendere cha la competenza della Corte in circostanze del genere sia virtualmente inesistente. È chiaro che questa tesi non può trovar sostegno nella sentenza Consten e Grundig, né nelle sentenze pronunziate nelle cause più recenti, menzionate dalla Commissione. Su questo punto, nella sentenza 17/74, Transocean Marine Paint e/ Commissione (Race. 1974, pag. 1063), si è semplicemente affermato, in termini generali, che la Commissione può stabilire le modalità cui sono subordinate le esenzioni in forza dell'art. 85, n. 3, avvalendosi di un ampio potere discrezionale; nella causa 71/74, Frubo e/ Commissione (Race. 1975, pag. 563), era chiaro, in base agli antefatti, che la Commissione aveva il potere di decidere come in effetti ha fatto; e nella causa 26/76, Metro e/ Commissione (Race. 1977, pag. 2), si chiarisce fino a qual punto la Corte possa spingere il proprio controllo sull' esercizio, da parte della Commissione, dei poteri che le spettano.
Il secondo motivo che la Commissione adduceva, nella propria decisione, a sostegno della sua tesi su questa parte della controversia, è che la DCL «è in grado di assicurare, con mezzi diversi da quelli consistenti nell'impedire le esportazioni parallele, l'effettivo assolvimento dei loro compiti da parte dei distributori esclusivi». La Commissione forniva poi due esempi dei mezzi con cui la DCL avrebbe potuto agire:
(a) |
«Al pari di quanto già si fa sul mercato del Regno Unito», essa diceva, la «DCL potrebbe assumersi ... l'onere dei costi in materia di promozione delle vendite sugli altri mercati della CEE»; oppure |
(b) |
la DCL potrebbe «dedurre dal prezzo applicato nei confronti dei distributori esclusivi i costi di promozione sostenuti da questi ultimi». |
La Commissione continuava dicendo: «Non è stato accertato che le condizioni di mercato descritte dalla DCL non permettono in materia di prezzi l'applicazione di altri accordi che non abbiano per effetto una restrizione della concorrenza». Dalla decisione non risulta se questa sia una conclusione basata su quanto premesso ovvero si tratti, a parere della Commissione, d'una terza via che avrebbe consentito alla DCL di superare la difficoltà. Alla luce degli argomenti svolti dalla Commissione dinanzi alla Corte risulta esatta questa seconda ipotesi.
La soluzione secondo cui la DCL dovrebbe assumere a proprio carico gli oneri della promozione delle vendite sugli altri mercati della CEE è ovviamente inaccettabile.
In primo luogo, questa soluzione non tiene conto delle prove (contenute nell'allegato 5 alle osservazioni scritte della DCL) quanto ai vani tentativi di affermazone diretta sul mercato continentale dello scotch whisky, effettuati dalla stessa DCL nonché dalla Wm. Teacher & Sons Limited (per la quale si trattava del mercato svizzero). La Commissione cerca di refutare queste prove, richiamandosi (nel controricorso) al metodo seguito dalla Martini & Rossi per affermarsi sul mercato britannico, nonché a quello adottato dalla Arthur Guinness Son and Company Limited al fine di introdursi nei mercati dei «paesi comunitari diversi dalla Francia e dal Belgio». La DCL ha dimostrato in maniera convincente (vedansi pagg. 39-42 della replica) che il riferimento al caso della Martini & Rossi era, per un certo numero di motivi, non pertinente. Per quanto riguarda la Guinness, la DCL ha detto in generale di non saperne molto e, in particolare, di non sapere in qual misura la Guinness avesse avuto successo sui mercati in questione. La Commissione (nella controreplica) ha ceduto su questo punto, ammettendo di non aver inteso sostenere che le operazioni della Martini & Rossi fossero «identiche» a quelle della DCL, e sembrando riconoscere che tutto quanto essa sapeva a proposito della Arthur Guinness Son and Company Limited era che dalla relazione annuale di questa società relativa all'esercizio 1977 risultava che questa aveva «di recente creato delle affiliate in Germania e in Italia».
La principale obiezione alla suddetta soluzione è tuttavia ch'essa si risolve nel sostenere che la DCL dovrebbe integrare verticalmente il proprio sistema distributivo, in quanto «promozione», nel contesto considerato, non significa soltanto pubblicità. La DCL dovrebbe rilevare le organizzazioni di immagazzinamento e di vendita dei propri distributori o creare una propria organizzazione. Sostituire circa 200 distributori con una sola rete monolitica gestita dal produttore non può non essere dannoso per la concorrenza. Ciò significherebbe, in particolare, eliminazione della concorrenza fra le marche DCL.
Al secondo suggerimento della Commissione, secondo il quale la DCL dovrebbe tener conto dei costi derivanti dalla promozione delle vendite garantita dai distributori esclusivi nei prezzi a questi applicati, la DCL ha risposto osservando che, in tal caso, essa dovrebbe vendere loro in perdita. La Commissione ha ribattuto che ciò non era necessario, dato che la DCL potrebbe maggiorare tutti i propri prezzi, compresi quelli ch'essa applica nel Regno Unito. Orbene, la DCL non potrebbe certamente farlo in misura adeguata, senza precludersi per ciò stesso il mercato britannico. La mancata comprensione, da parte della Commissione, delle prove che le sono state fornite è dimostrata dal fatto che nel controricorso è detto che la DCL, come reazione alla decisione, aveva maggiorato taluni dei suoi prezzi praticati nel Regno Unito, il che proverebbe che nulla poteva impedire alla DCL di maggiorare i propri prezzi. La Commissione proseguiva dicendo:
«Spetta alla DCL decidere se, a conti fatti, un tentativo di penetrazione nel mercato degli Stati membri della CEE diversi dal Regno Unito si giustifichi coi vantaggi commerciali ch'essa potrebbe trarne a termine. Qualora ritenga che i potenziali vantaggi non giustifichino i rischi, probabilmente la DCL deciderà di non vendere negli Stati membri della CEE a parte il Regno Unito. Ove, d'altra parte, i potenziali vantaggi siano consistenti, la DCL sarà presumibilmente disposta ad effettuare gli investimenti e fornire gli sforzi iniziali necessari per realizzare tali vantaggi. D'altro canto, la politica comunitaria in materia di concorrenza non consente a un'impresa dell'importanza della DCL, che distribuisce un prodotto da tempo così ben affermato come lo scotch whisky, di sottrarsi alla concorrenza ostacolando le importazioni parallele e frazionando il mercato comunitario, per poter quindi imporre prezzi più elevati sul mercato stesso».
In questo passo, la Commissione sembra asserire ch'essa non intende accertare se i prodotti della DCL siano distribuiti o no negli Stati membri del continente; che il rispetto della propria politica in materia di importazioni parallele è più importante. Il fatto che tale era l'atteggiamento della Commissione, atteggiamento, a mio avviso, incompatibile con un esercizio corretto dei poteri discrezionali spettanti alla Commissione in forza dell'art. 85, n. 3, sembra trovare conferma nella seguente frase della controreplica:
«Se, da un punto di vista commerciale, la DCL ritenesse di non poter operare in maniera adeguatamente redditizia onde giustificare gli oneri finanziari ed altri che dovrebbe assumersi, essa si ritirerebbe certamente dal mercato e cederebbe il posto ad altre imprese».
Passo ora al terzo motivo addotto dalla Commissione, e cioè che la DCL aveva dimostrato che le condizioni di mercato da essa descritte non consentivano l'applicazione d'altri sistemi di prezzi, non risolventisi in una limitazione della concorrenza. Davanti alla Corte, la Commissione si è basata, a sostegno di questo assunto, sulle cifre rappresentative dei costi dei distributori, quali risultano dal quarto e dal quinto supplemento alle osservazioni scritte della DCL. A mio avviso, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, queste cifre non dimostrano che l'argomento fondamentale della DCL sia errato. Tuttavia, ciò che esse effettivamente dimostrano è che la differenza tra i prezzi applicati dalle affiliate della DCL ai loro distributori esclusivi e agli esportatori paralleli non era sempre adeguata. Ciò vale in particolare per il gin, per il quale la differenza raggiungeva in media le 5,25 sterline la cassa, mentre i costi suppletivi dei distributori esclusivi ammontavano in media a sole 4,21 sterline la cassa. Per quanto riguarda il whisky, le cifre erano rispettivamente di 5,16 e 5,07 sterline, tanto che può essere lecito considerare il divario come «de minimis» e ammettere l'assunto della DCL, secondo cui la propria conoscenza del mercato, anche prima ch'essa avesse dettagliatamente passato in rassegna i costi dei propri distributori esclusivi, le aveva consentito di calcolarne l'importo in maniera relativamente esatta.
La Commissione sottolineava, tuttavia, che la cifra di 5,07 sterline era solo una media e che i costi di taluni distributori erano più bassi, e in determinati casi anche molto più bassi. Ciò è certamente vero. Ma è anche vero che i costi di taluni distributori erano più alti e in taluni casi anche molto più alti. Il problema sostanziale è quello del se il riferimento a una media generale non fosse un mezzo troppo grossolano. A mio avviso, la DCL aveva ragione di dire ch'essa non poteva far variare da paese a paese la cifra stabilita. Prescindendo dalla difficoltà di carattere pratico che presentava, per la DCL, l'accertare a quale paese fosse destinato un ordinativo fatto al prezzo all'ingrosso per l'esportazione CEE, questo modo di procedere si sarebbe risolto nel dividere ancora di più il mercato comune. Almeno, col sistema applicato dalla DCL, la sola ripartizione era quella fra il Regno Unito e il resto della Comunità. D'altra parte, non sono persuaso del fatto che la DCL non avrebbe dovuto trattare diversamente le varie marche. Le cifre sembrano dimostrare che i costi medi di promozione di determinate marche sono notevolmente più alti di quelli determinati dalla promozione d'altre marche.
Il fatto che alle differenze di prezzi applicate dalla DCL possano essere dirette queste critiche non implica, cionondimeno, che la decisione della Commissione possa esser mantenuta in vigore, giacché detta decisione era basata non già su una qualsivoglia critica delle cifre, bensì su una condanna del sistema di prezzi differenziati in quanto tale. Infatti, quando la DCL le chiedeva un abboccamento per discutere i risultati dell'indagine relativa ai costi dei distributori esclusivi, la Commissione esprimeva il suo parere in un telex datato 24 ottobre 1977, nel quale, pur manifestando il proprio assenso su una riunione per il 15 novembre 1977 o per una data ulteriore, essa diceva che non vi era «fra la precisazione dei vostri costi di distribuzione e il procedimento in corso alcun rapporto tale da giustificare minimamente ritardi nel procedimento stesso» ed aggiungeva che : «Dovrebbe perciò esser chiaro che il nostro prossimo incontro riguarderà soltanto la vostra futura politica dei prezzi». È significativo che la decisione, pur richiamando fatti e cifre dettagliati su molti altri punti, nulla dice a proposito dei costi reali dei distributori esclusivi.
Pervengo quindi, infine, alle questioni di procedura.
Le questioni di procedura
Per quanto riguarda questo punto, occorre anzitutto esaminare l'argomento della DCL, secondo cui, se la Commissione ha violato forme sostanziali, l'intera decisione va dichiarata nulla, senza alcuna necessità che la DCL dimostri l'eventuale influenza della violazione sull'esito del procedimento. Il solo richiamo fatto dal patrono della DCL a sostegno di questa tesi è un'opera di diritto amministrativo francese (Laferrière, Traité de la juridiction administrative, 2a edizione, vol. II, pagg. 522-523). Tuttavia, come ho già sottolineato nella causa 90/74, Deboeck e/ Commissione (Race. 1975, pag. 1123, pagg. 1140-1142), il diritto comunitario differisce sotto questo aspetto dal diritto francese. In diritto comunitario, colui che contesta la validità d'una decisione amministrativa non può basarsi su una irregolarità del procedimento per l'adozione della decisione, se non può dimostrare almeno la possibilità che la decisione, in mancanza di detta irregolarità, sarebbe stata diversa. Il principio è stato applicato tanto in cause di concorrenza quanto in cause di personale (ved., per le cause di concorrenza, le sentenze della «chinina», 41/69, ACF Chemiefarma e/ Commissione (Race. 1970, pag. 661, punti 47-53 della motivazione), 44/69, Buchler zi Commissione (ibidem, pag. 733, punti 15, 35 e 36 della motivazione), 45/69, Boehringer Mannheim c/ Commissione (ibidem, pag. 769, punti 15, 39 e 40); per le cause di personale, ho richiamato i primi precedenti giurisprudenziali nella causa Deboeck zi Commissione, e da allora il principio ha trovato conferma in questa stessa causa, ai punti 11-15 della sentenza, nella causa 9/76, Morello e/ Commissione (Race. 1976, pag. 1415, punto li), e nella causa 25/77, De Roubaix zi Commissione (Race. 1978, pag. 1081, punto 22). Ritengo quindi che, nel caso di specie, qualsiasi violazione di forme sostanziali da parte della Commissione o del Comitato consultivo potesse inficiare la decisione della Commissione solo nella parte relativa all'applicazione dell'art. 85, n. 3, alle condizioni di prezzo, dato che la DCL non ha contestato, nel procedimento amministrativo, l'opinione della Commissione su alcun altro punto rilevante nella fattispecie, cosicché la decisione non avrebbe potuto essere diversa relativamente a nessun punto del genere. Sarebbe infatti veramente strano che, ad esempio, la Corte annullasse ora la decisione in quanto questa dichiara che le condizioni di prezzo ricadono nell'ambito di applicazione dell'art. 85, n. 1, mentre, nel procedimento amministrativo, la DCL (giustamente, a mio avviso) ha ammesso che le cose stavano così.
Devo inoltre prendere in esame un problema relativo alla interpretazione dell'art. 42, § 2, del regolamento di procedura della Corte. Detto problema si pone in quanto due degli argomenti della DCL non sono stati dedotti né nel ricorso né nella replica, bensì per la prima volta in un documento intitolato «Addendum alla replica» e presentato dalla DCL successivamente al deposito della controreplica. Si tratta degli argomenti della DCL relativi alla «valutazione economica» di Lady Hall, nonché al reclamo della Bulloch. La DCL non ha dedotto in precedenza il primo di detti argomenti per il fatto che solo dalla lettura della controreplica veniva a sapere che la relazione di Lady Hall non era fra gli «atti più importanti» di cui la Commissione aveva redatto l'elenco per il Comitato consultivo. La DCL non ha dedotto prima il secondo argomento per il fatto ch'essa ha avuto conoscenza dell'intero contenuto del ricorso della Bulloch soltanto quando le veniva comunicata la domanda d'intervento di quest'ultima, domanda cui era allegato il testo completo del reclamo. Questa domanda è stata presentata dopo il deposito della replica. Solo allora, sostiene la DCL, essa si è resa conto del fatto che, nella copia trasmessale dalla Commissione, il reclamo era stato censurato in maniera inammissibile. La DCL si basa sul primo comma dell'art. 42, § 2, il quale, implicitamente, consente la produzione di «mezzi nuovi» in corso di causa, se tali mezzi sono basati «su elementi di diritto e di fatto emersi durante la fase scritta». L'ipotesi così formulata mi sembra corrispondere alle circostanze del caso di specie, ma la Commissione ha sollevato obiezioni quanto alla ricevibilità dell'addendum. In conformità al secondo e al terzo comma dell'art. 42, § 2, il presidente ha dato alle altre parti la possibilità di presentare controdeduzioni sulle questioni sollevate nell'addendum, e la decisione quanto alla ricevibilità è stata riservata alla sentenza definitiva.
Il patrono della DCL ha giustamente osservato che non costituiscono precedenti rilevanti nella fattispecie due recenti sentenze emesse in cause nelle quali era stato richiamato senza successo l'art. 42, § 2: trattasi della causa 232/78, Commissione e/ Repubblica francese (sentenza 25 settembre 1979, Race. 1979, pag. 2729) e della causa 125/78, GEMA e/ Commissione (sentenza 18 ottobre 1979, Race. 1979, pag. 3173). In queste due cause, si era cercato di sfruttare l'art. 42, § 2, per ampliare la portata del ricorso.
Mi permetto di condividere l'opinione espressa dall'avvocato generale Capotorti nella causa 112/78, Kobor e/ Commissione (Race. 1979, pagg. 1573-1581), opinione implicitamente accolta dalla Corte in quella causa. Egli affermava che «un'interpretazione troppo rigida dell'art. 42, § 2, non sembra giustificata: l'importante è stabilire se la parte contro cui il nuovo mezzo è stato fatto valere abbia subito pregiudizio nella sua difesa per effetto della condotta processuale della controparte». Nella fattispecie, la Commissione e la Bulloch sono state entrambe in grado di presentare osservazioni, sia per iscritto, sia all'udienza, relativamente all'addendum. Inoltre, gli argomenti avanzati dalla Commissione (in una lunga lettera al cancelliere, datata 23 novembre 1978) avverso la ricevibilità dell'addendum sembrano tutti mal concepiti, anche nell'ipotesi di un'interpretazione restrittiva dell'art. 42, § 2. Riterrei, quindi, che l'addendum è ricevibile.
Passo ora alla prima delle irregolarità procedurali denunciate dalla DCL, e cioè al fatto che un certo numero di atti importanti non sarebbero stati presi adeguatamente in considerazione (o non lo sarebbero stati affatto) da parte del Comitato consultivo.
Nelle cause della «chinina», l'avvocato generale Gand affermava, con specifico riferimento al Comitato consultivo, come non si possa escludere che «quando una norma prevede una determinata formalità procedurale, come la consultazione di un organo prima dell'adozione di una, decisione, l'omissione o l'irregolarità nell'adempimento di tale formalità possa costituire, in certi casi, una violazione di forme sostanziali che rende illegittima la decisione» (ved. Racc. 1970, pag. 713). Aggiungerò che, da parte mia, vedo non senza perplessità la procedura del Comitato consultivo, data la segretezza che la circonda. Le imprese interessate sono lasciate all'oscuro di ciò che al Comitato viene detto o non detto dalla Commissione, come pure del contenuto della relazione del Comitato. Esse non hanno alcuna possibilità di indirizzarsi a quest'ultimo. La questione del se una procedura del genere sia compatibile con i principi fondamentali del diritto comunitario di cui la Corte ha il dovere di garantire l'osservanza non è stata sollevata né dibattuta nella presente causa. Tuttavia, anche ammettendo che le disposizioni dell'art. 10 del regolamento n. 17 che prescrivono detta procedura siano valide, i rischi di ingiustizia che questa comporta impongono, a mio avviso, ch'essa venga messa in atto con scrupolosa attenzione.
Non addebiterei, cionondimeno, alla Commissione il fatto ch'essa ha omesso di includere la relazione di Lady Hall fra «gli atti più importanti». Non mi sembra che questa relazione apportasse un contributo sostanziale alle osservazioni scritte della DCL e credo che la decisione di escluderla rientrasse effettivamente nell'ambito dei poteri discrezionali della Commissione in forza dell'art. 10, n. 5.
Per quanto riguarda il quarto e il quinto supplemento alle osservazioni scritte della DCL, nutro ancora più dubbi. Questi documenti erano manifestamente con- siderati dalla DCL come importanti, e anch'io ritengo che lo fossero. Il quarto supplemento, come ricorderete, conteneva i risultati dell'indagine della DCL sui costi dei propri distributori esclusivi di scotch whisky, mentre il quinto conteneva le risposte motivate della DCL a due quesiti sollevati da funzionari della Commissione al momento dell'audizione, e cioè, in primo luogo, quello del se una soluzione al problema della DCL non potesse consistere nell'aumentare i prezzi da essa applicati ai grossisti britannici e nel ridurre i prezzi da essa praticati nei confronti dei distributori esclusivi del continente e, in secondo luogo, quello del se la DCL non dovesse eventualmente applicare prezzi diversi ai distributori esclusivi nei vari paesi alla luce delle differenze tra i costi rispettivamente sopportati da ciascuno di loro. La Commissione ammette, certo, che il Comitato consultivo non era stato informato dell' esistenza di detti documenti quattordici giorni prima della propria riunione, come prescrive l'art. 10, n. 5. La Commissione non dice, d'altra parte, ch'essa non considerava importanti i documenti in questione. La sua difesa consiste nel sostenere che il Comitato era stato informato del loro contenuto al momento della riunione e ch'esso aveva deciso di non rinviare tale riunione per studiarli in maniera approfondita. «Questa decisione», sostiene la Commissione, «rientrava interamente nel potere discrezionale del Comitato e la Commissione non aveva alcun diritto od obbligo d'intervenire. Informando il Comitato dell'esistenza dei documenti, la Commissione aveva pienamente assolto i propri obblighi. La successiva attività del Comitato consultivo non costituisce motivo d'annullamento della decisione della Commissione» (Controricorso, punto 174). Tuttavia, a mio avviso, la violazione delle norme di procedura da parte del Comitato è atta a viziare la decisione della Commissione così come l'inosservanza delle forme da parte della Commissione stessa.
La DCL ha sostenuto che la Corte, qualora dovesse nutrire dubbi relativamente a questo punto, dovrebbe ingiungere alla Commissione di presentarle il «verbale della riunione del Comitato consultivo». In definitiva, la Corte ha chiesto che le venisse rimessa copia del rendiconto redatto in conformità all'art. 10, n. 6, del regolamento n. 17. La Commissione ha aderito a questa domanda, pur chiedendo di essere ascoltata più ampiamente sulla questione del carattere riservato di detta relazione, ove la Corte intendesse comunicarne il contenuto alla DCL. Essa pensava senza dubbio all'iter procedurale seguito nella causa 110/75, Mills c/BEI (Race. 1976, pag. 1613 — ved., in particolare, pagg. 1634-1635 —). Se avessi ritenuto che potesse avere importanza decisiva nella presente causa, vi avrei invitato, Signori, ad ascoltare le parti su tale questione. Tuttavia, poiché non mi è parso e non mi pare che sia così, non insisterò ulteriormente su questo punto.
Quanto al sesto supplemento, il quale contiene i risultati dell'indagine effettuata dalla DCL sui costi dei suoi distributori esclusivi di gin, la Commissione si è difesa sostenendo, sia pure con poche parole, che non trattavasi di uno dei «documenti più importanti». Il che non è stato contestato dalla DCL.
Passo quindi alla questione del verbale dell'audizione.
La DCL si è lamentata non solo del fatto che il verbale mancasse dall'elenco dei «documenti più importanti» trasmessi dalla Commissione al Comitato consultivo, ma anche del fatto ch'esso non esistesse nemmeno allo stato di progetto il 21 ottobre 1977, data della riunione del Comitato. Ricorderete, Signori, che l'art. 9, n. 4, del regolamento (CEE) della Commissione n. 99/63 impone la redazione e l'approvazione di un siffatto verbale da parte dei partecipanti all'audizione. Ci si può chiedere perché, quasi quattro mesi dopo l'audizione, niente fosse stato fatto per conformarsi a detto imperativo.
La DCL ha sostenuto che il Comitato consultivo non può validamente deliberare, se non dispone del verbale dell'audizione. La Commissione ha sottolineato che i regolamenti vigenti in materia non contengono alcuna disposizione espressa, la quale prescriva che il Comitato deve disporre del suddetto verbale.
Nella causa Buchler (Racc. 1970, pag. 733) è stato sostenuto che il Comitato consultivo e la Commissione avevano agito in base ad un progetto di verbale che non teneva conto degli emendamenti proposti dalla ricorrente. La Corte ha affermato che la validità della decisione di cui trattavasi nella fattispecie sarebbe stata inficiata soltanto qualora il testo del verbale fosse stato redatto in modo tale da indurre in errore su un punto essenziale. Orbene, le cose non stavano così, dato che gli emendamenti proposti ri- guardavano tutti questioni non essenziali. Si riteneva perciò che il progetto aveva «fornito al Comitato consultivo ed alla Commissione informazioni complete circa il contenuto essenziale delle dichiarazioni fatte in occasione dell'audizione» (ved. punti 16 e 17 della motivazione della sentenza). Un'obiezione analoga, nella causa 48/69, ICI c/Commissione (Race. 1972, pag. 619), ha trovato la stessa risposta (ved. punti 27-33 della motivazione della sentenza). Su questi precedenti può essere basata la tesi secóndo cui non è da escludere la violazione di forme sostanziali, qualora il Comitato consultivo abbia ricevuto un progetto di verbale a tal punto incompleto o inesatto da essere eventualmente indotto in errore. Essi sono irrilevanti per una situazione in cui manchi del tutto il verbale.
Mi sembra tuttavia risultare implicitamente dal regolamento n. 99/63 considerato nel suo complesso, nonché alla luce dell'art. 10 del regolamento n. 17, che il Comitato consultivo debba poter disporre del rendiconto. Penso in particolare all'art. 1 del regolamento n. 99/63, il quale impone alla Commissione di procedere all'audizione prima di consultare il Comitato consultivo. Il legislatore comunitario non può aver voluto che i membri del Comitato siano costretti ad accertare ciò che è stato detto all'audizione, ricorrendo a mezzi diversi dal verbale prescritto dall'art. 9, n. 4, dello stesso regolamento. E non vedo nemmeno come la Commissione possa adeguatamente elaborare gli atti richiesti dall'art. 10, n. 5, del regolamento n. 17, e cioè un'esposizione della questione, l'elenco dei documenti più importanti ed un progetto preliminare di decisione, senza disporre quantomeno d'un progetto di detto verbale.
Ritengo perciò che la mancanza del verbale costituisca «prima facie» una violazione di forme sostanziali. Dico «prima facie» in quanto la Commissione ha sostenuto che, anche qualora ciò rispondesse al vero, la DCL non ne ha subito alcun danno, dato che «all'audizione i testimoni e i consulenti della DCL hanno semplicemente ripetuto cose già contenute, in sostanza, nei documenti precedenti». Io non credo che le loro considerazioni fossero una semplice ripetizione. D'altro canto, sono incline a pensare che non si trattasse di argomenti così nuovi o diversi da quanto era stato già detto nelle osservazioni scritte della DCL e nel secondo e terzo supplemento a queste osservazioni, da poter modificare l'esito del procedimento. I nuovi elementi riportati nel verbale consistevano principalmente in una vigorosa argomentazione sviluppata in nome della Bulloch. Anche su
questo punto, tuttavia, non ritengo possibile giungere ad una conclusione motivata, senza prendere in considerazione il tenore della relazione del Comitato consultivo, non trasmessa alla DCL. Quindi, pure in questo caso, se avessi ritenuto che questo punto potesse avere importanza decisiva per la soluzione della controversia, avrei proposto che le parti venissero sentite sulla questione del se tale relazione dovesse essere mantenuta segreta nel presente procedimento.
Passo ora alla seconda delle più importanti irregolarità procedurali denunciate dalla DCL, e cioè quella che riguarda la censura applicata dalla Commissione al reclamo della Bulloch.
In proposito, si tratta di stabilire fino a qual punto la Commissione possa espungere alcuni brani dal reclamo propostole da una «persona fisica o giuridica» a norma dell'art. 3 del regolamento n. 17, nel trasmetterlo all'impresa contro la quale il reclamo è diretto. (In quest'articolo, viene usata in realtà la parola «do-, manda», ma continuerò a parlare di reclamo, dato che questo è il termine con cui abbiamo designato l'atto nel presente procedimento). Non ho alcun dubbio che la Commissione abbia il potere, anzi il dovere, di eliminare i passi che si riferiscono a segreti commerciali dell'impresa ricorrente, ciò che d'altronde la DCL non contesta. Probabilmente, a mio avviso, esistono anche casi in cui la Commissione deve evitare di far conoscere l'identità della ricorrente — il che può anche render necessario il non comunicare affatto il reclamo — in maniera da tutelare la stessa reclamante da possibili rappresaglie; nessun problema di tal natura si pone tuttavia nella presente fattispecie. La questione consiste nell'accertare se i poteri della Commissione siano ancora più estesi ed in particolare se consentano alla Commissione di espungere i passi ch'essa considera privi di interesse e, in caso affermativo, in qual misura.
Sul principio generale non vi sono dubbi. Chiunque possa essere leso da una decisione amministrativa che lo riguarda individualmente ha il diritto d'essere sentito prima che la decisione venga adottata e, a tal fine, di sapere quali sono gli addebiti mossigli. Anche questo principio, in diritto comunitario, si applica tanto in materia di concorrenza quanto relativamente al pubblico impiego europeo (per la concorrenza, ved. Ie sentenze della «chinina» (già menzionate), la sentenza Transocean (già menzionata) e la sentenza 85/76, Hoffinann-La Roche e/ Commissione (Race. 1979, pag. 461); per le cause di personale, ved. la sentenza 34/77, Oslislok e/ Commissione (Race. 1978, pag. 1099) e la precedente giurisprudenza, richiamata nelle mie conclusioni, pagg. 1124-1125).
La Commissione ha sottolineato che i reclami ch'essa riceve contengono spesso «elementi assolutamente estranei e irrilevanti, ivi comprese informazioni relative ad altre società di cui la comunicazione degli addebiti non si occupa affatto». Certamente, la Commissione ha il potere di sottoporre tali elementi ad opportuna censura. Tuttavia, le parti del reclamo della Bulloch da essa censurate non rispondono alla descrizione di cui sopra. A parte i passi per i quali la DCL ha ammesso che erano stati giustamente omessi (in quanto si riferivano a segreti commerciali della Bulloch), la censura operata dalla Commissione ha avuto ad oggetto capitoli riguardanti la produzione e le vendite di scotch whisky in generale, la posizione della DCL nel settore industriale di cui trattasi, i mercati all'ingrosso e al minuto del whisky, la politica applicata dalla DCL in materia di distribuzione, nonché la «posizione dominante» detenuta, secondo la Bulloch, dalla DCL. La Commissione ha affermato che questi capitoli erano privi d'interesse nella fattispecie, in quanto i soli addebiti di cui la DCL era chiamata a rispondere erano quelli che le erano stati mossi nella «comunicazione» ufficiale, la quale si basava unicamente su fatti di cui la stessa DCL aveva ammesso l'esistenza, ed in quanto il procedimento non si basava in nessun caso sull'art. 86 del Trattato. Ciò significa, a mio avviso, intendere la nozione di «interesse» in senso eccessivamente ristretto. La Commissione non ha spiegato nemmeno perché, ritenendo privi d'interesse questi passi omessi, essa non li ha soppressi anche nella versione del reclamo della Bulloch trasmesso al Comitato consultivo come uno dei «documenti più importanti» del procedimento.
La DCL ha sottolineato sotto quali aspetti essa si trovava svantaggiata, nella presentazione del proprio caso alla Commissione e, tramite questa, al Comitato consultivo, dalla circostanza che detti passi non fossero stati portati a sua conoscenza. Non voglio, signori, abusare del vostro tempo prendendoli in esame tutti. Mi limiterò a ricordarne due.
Il primo consiste nel fatto che la DCL s'era vista negare qualsiasi occasione di confutare fatti erroneamente riferiti dalla Bulloch e tali da dare l'impressione che la DCL fosse una multinazionale che possedeva o controllava «società affiliate in quasi 100 paesi» e deteneva una posizione dominante sul mercato dello scotch whisky. Certamente, la Commissione non ha accolto il punto di vista secondo cui la DCL fruirebbe di una posizione dominante. Non si può tuttavia essere sicuri dell'impressione che questi fatti non confutati hanno prodotto, non foss'altro che a livello di subcosciente, sui funzionari della Commissione che si sono occupati del caso, influenzando in tal modo il loro atteggiamento. La DCL ha richiamato l'attenzione su un indizio in proposito. Dal verbale dell'audizione (pag. 63) risulta che il dott. Sauter, capo della delegazione del Bundeskartellamt, aveva fatto quattro osservazioni, una delle quali nel senso che «la DCL chiede molto sollecitando l'esenzione per il proprio sistema di distribuzione quantitativa, quando essa gode di una posizione di monopolio». A mio avviso, il dott. Sauter non può aver tratto questa impressione da alcun'altra fonte, se non dalla versione integrale del reclamo della Bulloch. Né avrebbe avuto tale impressione, se la DCL fosse stata messa in grado di confutare in tempo utile le asserzioni della Bulloch.
In secondo luogo, la DCL ha dedotto che, se le fosse stata indirizzata la versione integrale del reclamo della Bulloch (con l'omissione dei soli segreti commerciali dell'impresa), essa avrebbe potuto valersi delle dichiarazioni della Bulloch che corroboravano la propria tesi. Fra queste dichiarazioni, ritengo saliente la spiegazione fornita dalla Bulloch dei motivi per cui essa desiderava esportare marche di scotch whisky della DCL. La Bulloch sosteneva ch'essa produceva da molti anni i propri «blends» di scotch whisky, «Glen Catrine» e «Scots Earl», i quali erano dei whiskies correnti di buona qualità, ma non marche molto note. La Bulloch dichiarava di aver venduto determinati quantitativi di Glen Catrine e di Scots Earl nel continente, ma di aver incontrato una certa riluttanza degli acquirenti a trattare con un distributore che non poteva offrire le marche principali. Essa concludeva affermando che, nel suo caso, giacché il solo altro mezzo d'esportare le proprie marche di whisky consisteva nell'imbarcarsi in una campagna pubblicitaria al di sopra dei propri mezzi, le attività d'esportazione non potevano continuare a meno che essa non potesse rifornirsi delle marche di whisky della DCL. Secondo quest'ultima, ciò dimostra, come riconosce la stessa Bulloch, che una marca di whisky non può esser distribuita con successo negli Stati membri del continente senza spendere dei soldi per la sua promozione commerciale. La Commissione non ha dato peso a questa considerazione, dicendo che le affermazioni della Bulloch non aggiungevano alcunché a quanto sempre sostenuto dalla DCL durante il procedimento. Ciò facendo, la Commissione era, a mio avviso, in errore. La tesi di una parte risulta corroborata quando sia confermata da prove fornite dalla controparte.
Ritengo impossibile affermare che, ove la Commissione avesse inviato alla DCL il testo integrale del reclamo della Bulloch, omettendo soltanto i passi in cui questa rivelava i propri segreti commerciali, la decisione della Commissione sarebbe stata necessariamente la stessa. Per di più, mi sembra che la Commissione abbia perso di vista che non solo è necessario che giustizia sia fatta, ma deve pure risultare manifestamente che è stata fatta. Non risulta che giustizia sia stata fatta quando si è mantenuta segreta a un'impresa, per motivi non imperativi, una parte del testo d'un reclamo depositato contro di essa.
All'udienz a il patrono della DCL ha espresso il timore che la Corte, pur giungendo alla conclusione che la Commissione ha tenuto un comportamento illegittimo censurando, come essa ha fatto, il testo del reclamo della Bulloch, ritenga, in base alla propria sentenza nella causa Hoffmann-La Roche (già menzionata), che l'invalidità della decisione sia stata sanata dal procedimento avviato davanti alla Corte, nel quale il testo completo del ricorso amministrativo è stato comunicato alla DCL (ved. i punti 15-19 di detta sentenza). Egli ha soste- nuto che la parte rilevante della sentenza Hoffmann-La Roche è in contrasto con quanto la Corte aveva dichiarato la settimana prima nelle cause 15 e 16/76, Francia zi Commissione (Race. 1979, pag. 321) e che, delle due sentenze, doveva prevalere l'ultima. Sono d'accordo. Nella sentenza Francia e/Commissione, la Corte ha dichiarato che:
«... nell'ambito del ricorso per annullamento ai sensi dell'art. 173 del Trattato, la legittimità dell'atto impugnato dev'essere valutata in base alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l'atto è stato adottato.
Non si può quindi prendere in considerazione ai fini di questa valutazione, la regolarizzazione cui si sia proceduto successivamente a tale momento».
(Punti 7 e 8 della motivazione della sentenza).
Ciò deve ritenersi corretto, a mio avviso, non fosse altro perché, in forza dell'art. 173 del Trattato, la Corte è competente ad esercitare «un controllo di legittimità sugli atti del Consiglio e della Commissione», il che significa necessariamente controllo della legittimità di tali atti all'epoca in cui essi sono stati adottati. La sentenza emessa nella causa Hoffmann-La Roche è stata criticata da una certa dottrina, e giustamente a mio avviso. Affermare che, in un caso come quello di specie, il fatto che la Commissione leda il diritto di una impresa di essere sentita non vizia la decisione della Commissione, dal momento che questa impresa si vede successivamente accordare la possibilità d'essere sentita davanti alla Corte, si risolve, a mio avviso, nel dire che la Commissione può impunemente non tener conto di forme sostanziali, in quanto l'impresa interessata non ricorrerà alla Corte o, qualora lo faccia, l'irregolarità potrà essere sanata nel procedimento giurisdizionale.
Ritengo quindi che l'argomento della DCL relativo alla censura applicata al ricorso della Bulloch sia fondato.
Il terzo argomento invocato dalla DCL sulle questioni procedurali era quello secondo cui, per quanto riguarda il Pimm's, la decisione della Commissione si basava su «motivi insufficienti e/o contraddittori». Questo argomento, che non è stato molto sviluppato, si risolveva nel sostenere che uno dei motivi principali ai fini della decisione era il fatto che «gli alcolici della DCL non erano prodotti nuovi», mentre le prove avevano dimostrato che almeno il Pimm's era, nella parte continentale della CEE, un prodotto nuovo. Questo, a mio avviso, è un argomento che riguarda il merito della decisione più che la procedura. Se quanto da me sostenuto relativamente al merito della causa è esatto, questo argomento risulta superfluo.
Conclusione
Concludendo, benché ritenga che la Commissione abbia violato almeno una delle forme sostanziali di procedura e che la sua decisione non possa essere mantenuta in vigore nel merito, sono del parere che, avendo la DCL omesso di notificare le condizioni di prezzo, come avrebbe dovuto, il ricorso debba essere respinto e le spese, comprese quelle della Bulloch, vadano poste a carico della ricorrente.
( 1 ) Traduzione dall'inglese.