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Document 61977CC0083

Conclusioni riunite dell'avvocato generale Warner del 15 febbraio 1978.
Giovanni Naselli contro Caisse auxiliaire d'assurance maladie-invalidité con l'intervento dell'Institut national d'assurance maladie-invalidité.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tribunal du travail de Bruxelles - Belgio.
Previdenza sociale.
Causa 83/77.
Max Schaap contro Bestuur van de Bedrijfsvereniging voor Bank- en Verzekeringswezen, Groothandel en Vrije Beroepen.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Centrale Raad van Beroep - Paesi Bassi.
Previdenza sociale.
Causa 98/77.
Bestuur van de Sociale Verzekeringsbank contro Kersjes, vedova Boerboom.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Centrale Raad van Beroep - Paesi Bassi.
Previdenza sociale.
Causa 105/77.

Raccolta della Giurisprudenza 1978 -00683

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1978:25

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

JEAN-PIERRE WARNER

DEL 15 FEBBRAIO 1978 ( 1 )

Signor Presidente,

signori Giudici,

Le presenti cause sono state originate, l'una — la causa 83/77, Naselli, — da una domanda di pronunzia pregiudiziale proposta dal Tribunal du travail di Bruxelles, le altre due — le cause 98/77 e 105/77, Schaap e Kersjes — da analoghe domande formulate dal Centrale Raad van Beroep di Utrecht. Tutte e tre sollevano problemi simili a quelli di cui la Corte ha dovuto di recente occuparsi nelle cause 22/77 e 37/77, Mura e Greco, (Racc. 1977, pagg. 1699 e 1711). Peccherei però di semplicismo se dicessi che quanto dichiarato da questa Corte in tali cause possa, senza riserve, valere per queste ultime.

Prima di tentare di chiarirne le ragioni, vorrei ricordare che sia il Governo italiano, sia la Commissione hanno invitato la Corte a rivedere le proprie sentenze nelle cause Mura e Greco, per numerosi motivi in esse già esaminati. È stato così sostenuto che l'interpretazione data dalla Corte all'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1408/71 consente agli Stati membri di raggiungere, mediante la propria legislazione interna, proprio il risultato cui, secondo la giurisprudenza della Corte, al Consiglio era vietato pervenire mediante l'art. 46, n. 3; che tale interpretazione porta ineluttabilmente ad una disparità di trattamento dei lavoratori migranti negli Stati membri in cui vigono disposizioni interne anticumulo rispetto a quelli in cui esse non esistono e costituisce per gli Stati che ignorano disposizioni del genere un incentivo ad istituirle; e che nel caso in cui si applichino prima facie norme anticumulo contenute nelle leggi di più Stati membri, si pone il problema di quali disposizioni debbano prevalere. È stata inoltre sottolineata l'enunciazione del secondo inciso dell'art. 12, n. 2, in cui si parla di prestazioni liquidate «ai sensi degli artt. 46, ecc.» e non di liquidazione «in forza» dei medesimi articoli.

Spero, signori, di non mancare di riguardo al Governo italiano ed alla Commissione affermando che, su questi punti, non ho nulla da aggiungere a quanto ho già detto nelle mie conclusioni per le cause Mura e Greco, salvo questo. In dette conclusioni ho manifestato il mio accordo col punto di vista espresso in una nota elaborata dalla segreteria del comitato consultivo per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti, secondo cui può esistere una lacuna nell'art. 7 del regolamento n. 574/72, in quanto tale norma non risolve le difficoltà che sorgono dalla simultanea incidenza di varie disposizioni nazionali anticumulo, salvo il caso in cui si applica l'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1408/71. Ciò era dovuto, tuttavia, al fatto che dalle precedenti sentenze di questa Corte (in particolare la sentenza 34/69, Duffy, Racc. 1969, pag. 597) avevo desunto che il primo inciso dell'art. 12, n. 2, va disapplicato nel caso in cui una disposizione anticumulo contenuta nella legislazione di uno Stato membro si applichi per forza propria non solo in relazione ad altre prestazioni attribuite dalla legislazione di tale Stato membro, ma anche in relazione alle prestazioni attribuite dalla legislazione degli altri Stati membri. La Corte nelle sentenze Mura e Greco ha affermato, che, sotto questo aspetto, ero in errore, (vedasi n. 14 della motivazione nella sentenza Mura e n. 10 della motivazione nella sentenza Greco). Mi sembra conseguirne che l'art. 7, ed in particolare il n. 1, lett. a) di esso, si applica in tutti i casi in cui concorrono norme nazionali anticumulo, così da risolvere i problemi cui tale situazione può dar luogo, problemi che, come ricorderete, la Commissione trovava particolarmente spiacevoli.

Ritengo utile occuparmi delle presenti tre cause in ordine inverso, cioè cominciare con la causa Kersjes e terminare con la causa Naselli.

Kersjes è il nome da nubile della vedova del defunto EJ. Boerboom, in prosieguo «sig.ra Boerboom». È nata il 1o gennaio 1909, cosicché oggi ha 69 anni. Suo marito, nato nel 1905 è morto il 17 aprile 1973. Al tempo del suo decesso entrambi i coniugi risiedevano nei Paesi Bassi dov'ella risiede tuttora. Da quanto ci è stato detto risulta che egli aveva lavorato per la maggior parte della sua vita nei Paesi Bassi, ma che, tra il 1958 ed il 1970, aveva pure lavorato per considerevoli periodi nella Repubblica federale di Germania. Di conseguenza, la sig.ra Boerboom acquistava, in seguito alla morte del coniuge, il diritto alla pensione sia nei Paesi Bassi sia in Germania. Tale diritto era, in ambedue i paesi, di natura complessa, ma non ritengo necessario dilungarmi sui particolari. Il presente procedimento ha unicamente ad oggetto il calcolo delle sue spettanze ai sensi della legge olandese sul regime generale di previdenza a favore delle vedove e degli orfani (A.W.W. = Algemene Weduwen- en Wezenwet), per il periodo di 2 mesi dal 1o agosto al 30 settembre 1973. L'importo in gioco in tali procedimenti è quindi esiguo, ma la questione di principio che essi sollevano è di grande rilevanza.

Il 7 marzo 1975 l'ente previdenziale olandese responsabile di determinare il quantum delle spettanze della Boerboom ai sensi della A.W.W., la «Sociale Verzekeringsbank», in prosieguo «SV» emanava un provvedimento contenente i suoi precisi calcoli relativi al periodo aprile-dicembre 1973. Nel far ciò, esso teneva conto delle spettanze di pensione maturate in Germania ed applicava l'art. 46 del regolamento n. 1408/71, compreso il n. 3 dello stesso articolo. Alla Boerboom spettava la pensione a norma della A.W.W. in forza della sola legge olandese. L'importo delle prestazioni ai sensi della A.W.W. è indipendente dalla durata dei periodi assicurativi; in altri termini, trattasi di una legislazione di «tipo A».

Il 6 maggio 1976 il Raad van Beroep di Arnhem, dinanzi al quale la Boerboom aveva impugnato tale provvedimento, pronunciava una sentenza con cui stabiliva, basandosi sulla sentenza di questa Corte Petroni/ONPTS (causa 24/75; Racc. 1975, pag. 1149), che l'art. 46, n. 3, non avrebbe dovuto applicarsi. Di conseguenza accoglieva il ricorso della Boerboom in merito al periodo 1o agosto -30 settembre 1973, che rappresenta, se non erro, il solo periodo relativamente al quale l'applicazione dell'art. 46, n. 3, produceva una riduzione delle sue spettanze a norma della A.W.W.

Contro la suddetta pronunzia del Raad van Beroep di Arnhem, la SV proponeva appello dinanzi al Centrale Raad van Beroep. Nella discussione avanti questo Collegio, l'ente previdenziale ammetteva che l'art. 46, n. 3, non poteva venir applicato, ma sosteneva che la pensione spettante alla Boerboom a norma della A.W.W. doveva esser ridotta, tenuto conto del suo diritto alla pensione tedesca, in forza delle disposizioni anticumulo contenute in un regio decreto olandese emanato ai sensi dell'art. 30, lett. a) della stessa A.W.W. Se ho ben capito la tesi della SV, l'applicazione di tali disposizioni ridurrebbe, nel caso di specie, la pensione della Boerboom più di quanto la ridurrebbe l'applicazione dell'art. 46, n. 3 (vedasi l'allegato F dell'ordinanza di rinvio, pag. 4).

Queste sono, nelle grandi linee, le circostanze nelle quali il Centrale Raad van Beroep ha sottoposto a questa Corte la seguente questione:

«In quale misura, nel caso di un lavoratore che sia stato soggetto alle legislazioni di due o più Stati membri, gli artt. 12, n. 2, e 46 del regolamento n. 1408/71 ostino all'applicazione di norme nazionali anticumulo come quella vigente in forza della A.W.W., quando il diritto a pensione è stato acquistato unicamente in base alla legislazione nazionale, senza bisogno di far ricorso al suddetto regolamento».

L'ordinanza di rinvio del Centrale Raad van Beroep era stata emessa il 9 agosto 1977 e accompagnata da una lettera esplicativa del suo presidente datata 23 agosto 1977. Le sentenze di questa Corte nelle cause Mura e Greco sono state pronunziate il 13 ottobre 1977. In ciascuna di queste sentenze la Corte dichiarava che:

«Qualora il lavoratore percepisca la pensione in forza delle sole leggi nazionali, il regolamento n. 1408/71 non osta a che queste vengano interamente applicate nei suoi confronti, ivi comprese le norme anticumulo nazionali, restando inteso che se dette leggi nazionali si rivelano meno favorevoli del regime del cumulo e della ripartizione pro rata, a norma dell'art. 46, n. 1, del regolamento n. 1408/71 va applicato quest'ultimo.»

La questione di rilievo che mi sembra porsi qui è se l'ultima parte del dispositivo di tale sentenza, in cui si fa riferimento al «regime del cumulo e della ripartizione pro rata», sia formulata in modo appropriato.

Ricorderete che nella causa Petroni, ed ancora nella causa 62/76, Strehl (Racc. 1977, pag. 211), ho rilevato che un individuo il quale, per quanto concerne le prestazioni sociali cui si applica l'art. 46, sia stato soggetto ai regimi previdenziali di due o più Stati membri può trovarsi, in ciascuno di tali Stati, in una delle quattro situazioni che seguono, cioè:

1)   Tale individuo può aver diritto alla pensione in quello Stato senza bisogno di ricorrere al cumulo contemplato dal diritto comunitario e senza alcuna prospettiva di ricavare un vantaggio dall'applicazione del suddetto cumulo e della ripartizione pro rata; o

2)   aver diritto alla pensione in quello Stato senza bisogno di ricorrere al cumulo, ma con la prospettiva di una pensione più elevata in caso di applicazione del cumulo e della ripartizione pro rata; o

3)   conseguire il diritto alla pensione in quello Stato solo grazie al cumulo ed alla ripartizione pro rata; o

4)   non aver alcun diritto alla pensione in quello Stato, neppure dopo l'applicazione del cumulo e della ripartizione pro rata.

Si può subito escludere qui la quarta ipotesi.

Il n. 1 dell'art. 46 si riferisce al caso in cui il lavoratore ha diritto alla pensione in uno Stato membro senza bisogno del cumulo, vale a dire si trova nella prima o nella seconda delle situazioni considerate. Esso stabilisce infatti che l'interessato ha prima facie il diritto di percepire la pensione più elevata fra le due possibili, che sono la pensione calcolata con riferimento alla sola legge nazionale dello Stato considerato (talvolta giustamente chiamata «importo autonomo» della prestazione) e, rispettivamente, la pensione calcolata applicando i criteri del cumulo e della ripartizione pro rata (talvolta chiamata «importo pro rata» della prestazione). Dico «prima facie» a causa dell'art. 46, n. 3.

Il n. 2 dell'art. 46 contempla il caso del lavoratore che può ottenere la pensione nello Stato membro in questione solo grazie al cumulo ed alla ripartizione pro rata (terza situazione). Esso prescrive infatti, che in tale ipotesi si applichino i summenzionati procedimenti. Nel far ciò esso definisce, alla lett. a), «l'importo teorico della prestazione» come «l'importo della prestazione cui l'interessato avrebbe diritto se tutti i periodi d'assicurazione compiuti sotto le legislazioni degli Stati membri alle quali egli è stato soggetto fossero stati compiuti nello Stato in questione» ovvero, se secondo la legislazione di tale Stato l'importo della prestazione è indipendente dalla durata dei periodi assicurativi, come l'importo della prestazione stessa.

L'art. 46, n. 3 (GU n. L 149, pag. 2 del 5. 7. 1971), recita:

«L'interessato ha diritto, entro il limite più elevato degli importi teorici delle prestazioni calcolate secondo le disposizioni del paragrafo 2, lett. a), alla somma delle prestazioni calcolate conformemente a quanto disposto dai paragrafi 1 e 2.

Qualora l'importo di cui al precedente comma sia superato, ciascuna istituzione che applichi il paragrafo 1 corregge la sua prestazione di un importo corrispondente al rapporto tra l'importo della prestazione considerata e la somma delle prestazioni determinate secondo le disposizioni del paragrafo 1.»

Nella causa Petroni, la Corte ha affermato che l'art. 46, n. 3, del regolamento del Consiglio n. 1408/71 è incompatibile con l'art. 51 del Trattato, in quanto impone la decurtazione dell'importo d'una prestazione spettante in forza delle sole leggi nazionali. La Corte, a parte ciò, non dichiarava che l'art. 46, n. 3, fosse invalido.

Tralasciando le disposizioni anticumulo contenute nel regio decreto olandese, la Boerboom, si trovava nei Paesi Bassi, riguardo al periodo di cui trattasi nella prima delle situazioni considerate. La SV ha suggerito che forse, nel caso di una prestazione di tipo A, l'«importo autonomo» non può mai ricadere sotto l'art. 46, n. 1, giacché l'importo autonomo di una prestazione è ivi definito come «l'importo della prestazione corrispondente alla durata totale dei periodi di assicurazione da prendere in considerazione …». Tale interpretazione dell' art. 46, n. 1, lascerebbe però presumere che i suoi autori abbiano voluto che una prestazione di tipo A sia sempre soggetta al cumulo ed alla ripartizione pro rata, il che sarebbe incompatibile col loro scopo che è esposto nella motivazione del regolamento n. 1408/71 nei seguenti termini :

«considerando che le norme di coordinamento adottate per l'applicazione dell'art. 51 del Trattato devono assicurare ai lavoratori che si spostano all'interno della Comunità i diritti e i vantaggi acquisiti, senza che queste norme possano comportare cumuli ingiustificati;

considerando che a tale scopo, in materia di prestazioni di invalidità, di vecchiaia e di morte (pensioni), gli interessati devono poter beneficiare del complesso delle prestazioni acquisite nei diversi Stati membri entro il limite — necessario per evitare cumuli ingiustificati, derivanti in particolare dalla sovrapposizione di periodi di assicurazione e di periodi assimilati — del più elevato tra gli importi delle prestazioni che sarebbe dovuto da uno di detti Stati se il lavoratore vi avesse compiuto tutta la sua carriera;»

Il fatto è che, in relazione alle prestazioni di tipo A, l'art. 46 è formulato in modo inesatto. Così il n. 2, lett. b), che indiscutibilmente si applica ad esse, contempla i periodi assicurativi maturati sotto la legislazione che le prevede.

L'effetto dell'art. 46, stando al suo tenore, era quindi quello di conferire alla Boerboom il diritto alla prestazione ai sensi della A.W.W. non decurtata, salvo quanto disposto dall'art. 46, n. 3. Tale decurtazione non poteva andare oltre quanto necessario a garantire che le sue spettanze totali non superassero il «limite più elevato degli importi teorici delle prestazioni», che nel nostro caso era il tedesco. Non vi poteva essere decurtazione mediante applicazione del cumulo e della ripartizione pro rata, ne a causa del secondo inciso dell'art. 12, n. 2, poteva sussistere decurtazione in forza di una disposizione interna anticumulo.

Mi sembra che in un caso del genere entrino in gioco due distinti principi.

Il primo, che è il principio su cui si basano le sentenze Petroni e Strehl, è che l'art. 51 del Trattato non autorizza il Consiglio ad emanare provvedimenti atti a privare i lavoratori migranti di diritti loro spettanti in forza del diritto interno.

Il secondo principio è quello della preminenza del diritto comunitario, in forza del quale una legislazione nazionale non può spogliare dei diritti conferiti dalla normativa comunitaria.

Ne risulta, a mio avviso, che ad una persona che trovasi nelle condizioni della Boerboom, spetterà, in primo luogo, la prestazione d'importo più elevato cui essa ha diritto in forza delle sole leggi dello Stato membro considerato, tenuto debitamente conto delle eventuali norme anticumulo ivi contenute, e, in secondo luogo, la prestazione cui essa ha diritto a norma del regolamento n. 1408/71, tenuto debitamente conto dell'art. 46, n. 3, ma senza limitazioni in forza delle norme relative al cumulo ed alla ripartizione pro rata. In considerazione di un punto sollevato dalla Commissione dovrei aggiungere che, a mio avviso, in vista della sentenza di questa Corte nella causa 32/77, Giuliani (Racc. 1977, pag. 1857), a tale risultato si deve pervenire prescindendo dal luogo di residenza dell'interessato.

La questione sottoposta a questa Corte dal Centrale Raad van Beroep va quindi risolta nel senso che, qualora l'interessato percepisca la pensione in forza delle sole leggi nazionali, il regolamento n. 1408/71 non osta a che queste vengano interamente applicate nei suoi confronti, ivi comprese le norme anticumulo nazionali, restando inteso che se dette leggi nazionali si rivelano meno favorevoli delle norme di diritto comunitario, vanno applicate queste ultime.

La questione sottoposta a questa Corte dal Centrale Raad van Beroep nella causa Schaap è identica a quella della causa Kersjes, e, a mio avviso, va risolta alla stessa stregua. Anche qui le norme di diritto comunitario applicate nella loro interezza sarebbero più favorevoli della sola normativa olandese in materia con le sue disposizioni anticumulo, ma per motivi diversi.

Il sig. Schaap, israelita, nato il 20 dicembre 1914, lavorava dal 1929 al 1933 in Germania ed era colà soggetto all'assicurazione obbligatoria ai fini previdenziali. Dopo essere stato costretto nel 1933 a lasciare la Germania, egli lavorava dal 1934 al 1972 nei Paesi Bassi, con un'interruzione nel periodo 1940-45. Il 1o giugno 1972, egli cessava dalla sua attività per causa di malattia. Gli veniva quindi versata, fino al termine del periodo massimo di un anno, una indennità di malattia a norma della «Ziektewet» (legge olandese sulle malattie). In seguito, cioè a partire dal 1973, gli spettava la pensione d'invalidità ai sensi della legislazione olandese in materia di assicurazioni contro l'invalidità (la «Wet op arbeidsongeschikt-heidsverzekering» o «WAO»). Egli aveva diritto a tale pensione in forza della sola legislazione olandese. Le prestazioni ai sensi della WAO sono, come quelle a norma della A.W.W., di tipo A. Nello stesso tempo allo Schaap spettava la pensione tedesca d'invalidità («Erwerbsunfähigkeitsrente»). Tale pensione, che è di tipo B, risultava di gran lunga superiore a quella che gli sarebbe spettata nel caso in cui fossero stati presi in considerazione solo i contributi obbligatori versati dallo Schaap in Germania nel periodo 1929-1933, in quanto egli, poiché aveva diritto di farlo secondo la legislazione tedesca del 1970 a favore delle vittime delle persecuzioni naziste (la «Gesetz zur Änderung und Ergänzung der Vorschriften über die Wiedergutmachung NS-Unrechts in der Sozialversicherung»), aveva volontariamente versato contributi per riscattare i periodi durante i quali gli era stato impedito di lavorare e di essere assicurato in Germania.

L'ente previdenziale olandese responsabile di determinare l'importo della pensione spettante allo Schaap era la «Bedrijfsvereniging voor Bank- en Verzekeringswezen, Groothandel en Vrije Beroepen» (Associazione di categoria per la banca, le assicurazioni, il commercio all'ingrosso e le libere professioni) in prosieguo: «BB». Il 18 marzo 1975 quest'ultima gli notificava un provvedimento con cui, nell'asserita applicazione dell'art. 46, n. 3, la pensione a norma della WAO veniva ridotta dell'intero importo della pensione tedesca, dato che, nel suo caso, il «più elevato degli importi teorici delle prestazioni» era quello olandese.

Lo Schaap impugnava detto provvedimento avanti il Raad van Beroep di Amsterdam, sostenendo che la parte della pensione attribuibile ai suoi contributi volontari costituiva una prestazione cui egli aveva diritto in forza del regime per le vittime della guerra e di conseguenza, in forza dell'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71, era al difuori della portata di tale regolamento, sicché non se ne sarebbe dovuto tener conto nell'applicare l'art. 46, n. 3. In subordine lo Schaap chiedeva che fosse ordinato alla BB di rimborsargli l'importo complessivo da lui versato a titolo di contributi volontari in Germania (DM 2661) e di risarcirgli le spese di assistenza legale in Germania (DM 3416,10).

Il Raad van Beroep respingeva la domanda dello Schaap, affermando in primo luogo che l'elemento volontario della sua pensione tedesca non rientrava nei termini dell'art. 4, n. 4 e, in secondo luogo, ch'esso era incompetente ad ordinare il rimborso richiesto.

Lo Schaap impugnava tale sentenza avanti il Centrale Raad van Beroep.

Subito dopo la presentazione dell'appello la BB in realtà gli rimborsava l'importo dei contributi volontari e le spese di assistenza legale in Germania. Dal carteggio relativo risulta che ciò veniva fatto per concessione graziosa e lo Schaap, che è comparso personalmente in udienza, ci ha detto di aver espressamente accettato il rimborso senza pegiu-dizio dei suoi diritti. La BB non ha sostenuto, infatti, né avanti il Centrale Raad van Beroep, né avanti questa Corte, che tale rimborso producesse qualche effetto relativamente ai diritti del ricorrente. Certamente, a mio avviso, esso non può aver inciso sui diritti attribuitigli dal diritto comunitario. Naturalmente non posso arrischiare di pronunciarmi sul se esso possa avere qualche effetto nel diritto olandese.

Avanti il Centrale Raad van Beroep la BB ammetteva, tenuto conto della sentenza di questa Corte nella causa Petroni, che l'art. 46, n. 3, non andava applicato. Essa sosteneva però che proprio la medesima riduzione della pensione del ricorrente doveva essere apportata ai sensi del regio decreto olandese 22 dicembre 1972, adottato in forza dell'art. 52 della WAO: tale decreto imponeva la detrazione dalla pensione olandese dell'intero importo della pensione tedesca.

Il Centrale Raad van Beroep non aveva alcuna esitazione nel respingere quanto sostenuto dallo Schaap circa l'art. 4, n. 4, del regolamento n. 1408/71. In merito a ciò, esso riteneva che la soluzione fosse fin troppo chiara perché potesse giustificarsi un rinvio a questa Corte. Esso riteneva però fosse il caso di rinviarle la questione relativa all'applicazione delle disposizioni nazionali anticumulo di cui ho già indicato il tenore.

Dinanzi a questa Corte la Commissione ha sottolineato che i contributi volontari versati dal ricorrente erano del genere di cui all'art. 46, n. 2. del regolamento n. 574/72 e che, in forza di tale disposizione, la parte della pensione tedesca del ricorrente che dipendeva da tali contributi (cioè la maggior parte di essa) non avrebbe dovuto esser presa in considerazione ai fini dell'art. 46, n. 3, del regolamento n. 1408/71. La BB non ha contestato tale punto di vista.

Risulta quindi che la riduzione della pensione olandese del ricorrente resa possibile dall'art. 46, n. 3, è minore di quella consentita dal regio decreto olandese. Stando così le cose, lo Schaap, a mio avviso, ha diritto nei Paesi Bassi ad una pensione calcolata in conformità al diritto comunitario, prescindendo dal regio decreto olandese.

La causa Naselli differisce dalle altre due, non soltanto in quanto proviene dal Belgio, ma anche in quanto solleva questioni, non già ai sensi dei regolamenti nn. 1408/71 e 574/72, bensì a termini dei vecchi regolamenti nn. 3 e 4, che ancora si applicano alle prestazioni il diritto alle quali era maturato prima del 1972.

Il regolamento n. 3 non contiene disposizioni analoghe agli artt. 46, n. 1 e n. 3 del regolamento n. 1408/71. Le disposizioni del regolamento n. 3 corrispondenti agli artt. 45 e 46 del regolamento n.. 1408/71 sono gli artt. 27 e 28. È stato stabilito da una lunga serie di sentenze di questa Corte che tali articoli non trovano affatto applicazione nel caso in cui il lavoratore migrante abbia diritto in uno Stato membro, in forza della sola legislazione di tale Stato, ad una pensione maggiore di quella ch'egli potrebbe ottenere mediante il cumulo e la ripartizione prò rata. Ho elencato le precedenti sentenze in tal senso nelle mie conclusioni nella causa 191/73, Niemann (Racc. 1974, pag. 571). A queste possono aggiungersi le sentenze nella medesima causa Niemann e nella causa 50/75, Massonet (Racc. 1975, pag. 1473), il cui punto 22 è particolarmente calzante.

La disposizione del regolamento n. 3 (GU n. 30 del 16. 12. 1958) che corrisponde all'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1408/71 è l'art. 11, n. 2, il cui testo francese, per quanto qui c'interessa, è il seguente (non esiste, come voi sapete, un testo inglese facente fede del regolamento n. 3):

«Les clauses de réduction ou de suspen-sion prévues par la législation d'un Etat membre, en cas de cumul d'une prestation avec d'autres prestations de sécurité sociale … sont opposables au bénéfi-ciaire, même s'il s'agit de prestations acquises sous un régime d'un autre État membre … Toutefois, cette règie n'est pas applicable aux cas où des prestations de même nature sont acquises conformé-ment aux dispositions des articles 26 et 28 du présent règlement.»

(L'art. 26 del regolamento n. 3, come ricorderete, era la disposizione, corrispondente all'art. 40 del regolamento n. 1408/71, che assimilava il metodo di calcolo per le pensioni d'invalidità, nel caso del lavoratore che è stato soggetto a più legislazioni di cui una almeno di tipo B, al metodo di calcolo delle pensioni di vecchiaia e di «morte»).

Il sig. Naselli, nato il 10 gennaio 1926, esercitava parte della sua attività lavorativa in Italia, parte nel Belgio; durante alcuni periodi rimaneva disoccupato. Egli lavorava, con intermittenza, nell'agricoltura in Italia tra il 1940 ed il 1947, come minatore nel Belgio tra il 1947 e il 1949, in Italia di nuovo nell'agricoltura tra il 1949 ed il 1951, nel Belgio ancora come minatore tra il 1951 ed il 1953, di nuovo in Italia tra il 1953 ed il 1962, ed infine nel Belgio, in varie attività tra il 1963 ed il 1965. Egli vive attualmente nel Belgio.

Nel 1958 egli diveniva inabile al lavoro per malattia. Di conseguenza in Italia gli veniva attribuita, a partire dal 1o ottobre 1958, la pensione d'invalidità, il cui importo veniva calcolato cumulando i periodi assicurativi maturati nel Belgio ed in Italia, ed applicando poi la ripartizione pro rata.

Avanti questa Corte è stato discusso il punto del come ciò sia stato possibile, posto che il regolamento n. 3, è entrato in vigore solo il 1o gennaio 1959. Quasi certamente, ciò è avvenuto a causa di un protocollo tra il Belgio e l'Italia con cui, a partire dal 1o gennaio 1958, in questi due paesi si ponevano in vigore numerose disposizioni della convenzione europea in materia di previdenza sociale a favore dei lavoratori migranti firmata a Roma il 9 dicembre 1957. Trattasi della convenzione su cui si basava il regolamento n. 3, come è detto nel suo preambolo. Comunque la pensione italiana così attribuita al Naselli da allora in poi continuava ad essergli versata.

Per motivi che non ritengo necessario approfondire, l'inabilità che nel 1958 colpiva il Naselli non era tale da dargli diritto a prestazioni nel Belgio. Tuttavia nel 1965 egli si ammalava di nuovo. Di conseguenza gli spettava nel Belgio l'indennità di malattia per un anno ed in seguito, cioè dal 21 giugno 1966, la pensione d'invalidità belga. Tale pensione è di tipo A ed il Naselli ha diritto ad essa in forza della sola legislazione belga. Cionondimeno l'ente previdenziale belga, l'Institut national d'assu-rance maladie-invalidité (o INAMI), la calcolava in conformità alle disposizioni dell'art. 28 del regolamento n. 3, il che è abbastanza comprensibile giacché la giurisprudenza di questa Corte relativa al regolamento n. 3 nel 1966 era appena agli inizi. L'INAMI assegnava quindi al Naselli una pensione belga ripartita pro rata più un «supplemento» ai sensi dell'art. 28, n. 3 (disposizione che questa Corte successivamente, nella sentenza Niemann, dichiarava invalida) destinato a compensare la differenza tra il cumulo delle pensioni pro rata belga e italiana e l'intera pensione belga. La circostanza che l'INAMI abbia proceduto in tal modo ha almeno il merito di mostrarci che l'intero importo della pensione belga del Naselli meno l'importo della sua pensione italiana è più elevato di quello della sua pensione belga ripartita pro rata.

Potrei fra parentesi accennare al fatto che, all'udienza davanti a questa Corte, l'INAMI ha sostenuto che il Naselli doveva la sua pensione belga al regolamento n. 3, poiché in passato i suoi diritti nel Belgio sarebbero stati regolati dalla convenzione in materia previdenziale tra il Belgio e l'Italia, firmata a Bruxelles il 30 aprile 1948, il cui art. 14, n. 3, disponeva che l'invalidità manifestatasi meno di un anno dopo l'entrata del lavoratore interessato nell'uno e nell'altro paese non gli conferiva il diritto a prestazioni in tale paese. Tale argomento mi è sembrato in contraddizione con quanto è stato sostenuto dall'INAMI stesso circa il protocollo cui ho fatto riferimento e inoltre infondato in fatto: non c'è nessun elemento che possa provare davanti a questa Corte che il Naselli fosse arrivato nel Belgio meno di un anno prima della sua malattia, sopravvenuta nel 1965. L'ordinanza di rinvio sottopostaci dal Tribunal du travail di Bruxelles si basa comunque sul fatto che al Naselli spettava la pensione belga in forza della sola legislazione belga, cosicché questa è la base da cui la nostra Corte deve prendere le mosse per la disamina della presente causa.

A partire dal 1o gennaio 1969 l'importo della pensione italiana del Naselli veniva aumentato. Informata di ciò abbastanza in ritardo, l'INAMI ricalcolava la pensione belga ed ordinava alla Caisse auxiliaire d'assurance maladie-invalidité (o CAAMI), la quale a quanto sembra è un ente subalterno direttamente responsabile della trattazione del caso Naselli, di recuperare da lui la somma di FB 45998 assertivamente pagata in eccesso sulla pensione belga nel periodo 1o gennaio 1969 -30 giugno 1973.

È avverso tale richiesta che il Naselli ha promosso la presente causa avanti il Tribunal du travail. Convenuta in tali procedimenti è la CAAMI, ma l'INAMI è intervenuto e tutto lascia intendere ch'esso sia il vero convenuto.

L'INAMI ammette che l'art. 28 del regolamento n. 3, nel nostro caso non va applicato. La sua tesi si basa sull'art. 70, n. 2, della legge belga 9 agosto 1963, a termini della quale sono dovute le prestazioni di malattia e di invalidità. Tale disposizione, nella versione emendata nel 1971, recita:

«Les prestations prévues par la présente loi ne sont accordées que dans les condi-tions fixées par le Roi, lorsque le dommage pour lequel il est fait appel aux prestations est couvert par le droit commun ou par une autre législation. Dans ces cas, les prestations de l'assurance ne sont pas cumulées avec la réparation résultante de l'autre législation; elles sont à charge de l'asssurance dans la mesure où le dommage couvert par cette législation n'est pas effectivement réparé. Dans tous les cas, le bénéficiaire doit recevoir des sommes au moins équivalentes au montant des prestations de l'assurance. Pour l'application du présent paragraphe, le montant des prestations accordées par l'autre législation est le montant brut diminué du montant des cotisations de sécurité sociale prélevé sur ces prestations.

L'organisme assureur est subrogé de plein droit au bénéficiaire. La convention intervenue entre le débiteur de la réparation et le bénéficiaire n'est pas opposable à l'organisme assureur sans l'accord de ce dernier.»

L'INAMI sostiene che l'effetto di tale disposizione, per il diritto belga, è di imporre che l'importo della pensione italiana del Naselli sia detratto dall'importo della sua pensione belga prima che questa gli venga versata.

Il Naselli sostiene, in primo luogo, che l'art. 11, n. 2, del regolamento n. 3 non consente una siffatta riduzione e, in subordine, che, ove esso la consenta, si applica l'art. 9, n. 2, del regolamento n. 4 il quale rende la consentita detrazione solo parziale. (L'art. 9 del regolamento n. 4 corrisponde all'art. 7 del regolamento n. 574/72, già menzionato). Queste sono le circostanze che hanno indotto il Tribunal du travail a sottoporre a questa Corte le seguenti questioni:

«Se l'art. 11, n. 2 del regolamento n. 3 vada interpretato nel senso che l'attore, tenuto conto dell'art. 70, § 2 della legge 9 agosto 1963, non poteva cumulare le indennità belghe con una pensione italiana dato che le prestazioni belghe sono state acquistate senza che si facesse ricorso alle norme comunitarie, cioè, in altri termini, se l'ente belga avesse facoltà o meno di applicare le clausole anticumulo nazionale, in relazione all'art. 11, n. 2, del regolamento n. 3, per ridurre le indennità in forza della sola legislazione belga.

Se l'art. 9, n. 2 del regolamento n. 4 contempli solo il caso in cui la prestazione che va diminuita per effetto del cumulo con un'altra prestazione o un altro reddito sia corrisposta grazie al cumulo dei periodi assicurativi, cioè, in altri termini, se l'ente belga dovesse o meno tener conto di una parte e non dell'intera pensione italiana per ridurre la prestazione belga, dato che questa è stata acquistata senza che si dovesse far ricorso ai regolamenti comunitari».

La Commissione, nelle osservazioni scritte presentate a questa Corte, ha affrontato due problemi preliminari, che ha ammesso costituiscano problemi di diritto belga piuttosto che di diritto comunitario. In primo luogo si è chiesta se, esigendo dal Naselli un rimborso che risaliva al 1o gennaio 1969, l'INAMI avesse rispettato i termini di prescrizione del diritto belga. All'udienza il rappresentante della Commissione si dichiarava soddisfatto della risposta data dall'INAMI su tale punto. Confesso che mi rimane un dubbio relativamente al se egli avesse ragione di dire ciò. In secondo luogo la Commissione si è chiesta se l'art. 70, n. 2, della legge belga 9 agosto 1963 sia effettivamente una disposizione anticumulo del genere di cui all'art. 11, n. 2, del regolamento n. 3, questione che su sollecitazione della stessa Corte, portava ad una vivace discussione in udienza. Anche qui mi sono rimasti dei dubbi sul se la risposta fornita dal patrono dell'INAMI fosse adeguata, in particolare poiché egli faceva riferimento a sentenze del Consiglio di Stato belga che mi sembravano non perfettamente pertinenti. Tuttavia, ambedue questi punti sono ovviamente di competenza dei giudici belgi, e non mi dilungherò su di essi (benché sia possibile che il secondo di essi dia luogo ad un ulteriore rinvio a questa Corte da parte di un giudice belga).

Ritorno alle questioni rinviateci dal Tribunal du travail di Bruxelles.

Relativamente alla prima di esse, la tesi avanzata dal Naselli è sostanzialmente basata sulle sentenze di questa Corte nella causa Duffy e nella causa 184/73, Kaufmann (Racc. 1974, pag. 517). È stato sostenuto che tali sentenze permettono di ritenere che l'art. 11, n. 2, consentiva l'applicazione di una disposizione nazionale anticumulo solo nel caso in cui il diritto alla prestazione di cui trattasi venisse acquistato in forza del diritto comunitario.

A mio parere, come è dimostrato dalle sentenze Mura e Greco — e a dire il vero dalle precedenti pronunzie di questa Corte nelle cause 12/67, Guis-sart/Belgio (Racc. 1967, pagg. 425-434), 140/73, Mancuso (Racc. 1973, pagg. 1449-1456) e Massonet (Racc. 1975, pag. 1484) — tale tesi è troppo ampiamente formulata.

Si deve a mio parere tener presente che tanto nella sentenza Duffy quanto nella sentenza Kaufmann la disposizione nazionale anticumulo era tale che, di per sé, cioè in quanto parte del diritto dello Stato membro in questione (la Francia nella sentenza Duffy, i Paesi Bassi nella sentenza Kaufmann), si applicava solo alle prestazioni attribuite dalla legislazione di tale Stato membro e non alle prestazioni attribuite da una legislazione straniera. La sentenza Duffy consente di ritenere che, in siffatte circostanze, l'ente previdenziale tenuto al pagamento di una prestazione in forza della sola legislazione di tale Stato membro non può invocare l'art. 11, n. 2, per ampliare la portata della disposizione anticumulo in modo da renderla applicabile alla prestazione cui l'interessato ha diritto in un altro Stato membro. Tale tesi non è che un caso particolare di applicazione del principio generale secondo cui il diritto comunitario non può essere invocato per privare una persona di ciò cui essa ha diritto in forza della sola legislazione di uno Stato membro. La sentenza Kaufmann consente per converso di ritenere che, nel caso in cui l'ente previdenziale sia tenuto a pagare una prestazione solo in forza del diritto comunitario, l'effetto del primo inciso dell'art. 11, n. 2 — salvo che si applichi il secondo inciso — è di estendere la portata della disposizione nazionale anticumulo in modo che essa si applichi pure alle prestazioni dovute in altri Stati membri. Ciò naturalmente rappresenta un caso di applicazione del principio generale secondo cui, nell'ipotesi in cui il diritto comunitario attribuisca una prestazione, esso può limitarne la portata.

Le circostanze nel nostro caso sono diverse, ed analoghe a quelle nelle sentenze Mura e Greco, in quanto le tesi sostenute dall'INAMI si basano sul punto di vista (che può essere o non essere giusto) che l'art. 70, n. 2, della legge belga di cui trattasi è una disposizione anticumulo di amplissima portata che, per il diritto belga, si applica tanto alle prestazioni da corrispondersi in altri paesi quanto a quelle da corrispondersi nel Belgio. Da quanto è detto nelle sentenze Mura e Greco circa il primo inciso dell'art. 12, n. 2, del regolamento n. 1408/71 consegue che, se così stanno le cose, il primo inciso dell'art. 11, n. 2, che per quanto qui c'interessa è identico, va applicato nel presente caso. Tuttavia il suo effetto principale può essere solo permissivo: esso significa che il diritto comunitario non vieta l'applicazione dell'art. 70, n. 2, alla pensione italiana del Naselli. Ritengo inoltre ovviamente che, in caso di concorrenza tra disposizioni nazionali anticumulo, l'applicazione del primo inciso dell'art. 11, n. 2, in tal senso potesse avere l'effetto secondario di rendere applicabile l'art. 9, n. 1, del regolamento n. 4 (che corrisponde all'art. 7, n. 1, leu. a), del regolamento n. 1408/71).

In conclusione sono del parere che la prima questione sottoposta a questa Corte dal Tribunal du travail di Bruxelles va risolta nel senso che, qualora l'interessato percepisca la pensione in forza delle sole legge nazionali, l'art. 11, n. 2, del regolamento n. 3 non osta all'applicazione nei suoi confronti di una disposizione anticumulo di dette leggi nella misura in cui tale disposizione andrebbe applicata nei suoi confronti in mancanza dell'art. 11, n. 2.

La seconda questione sottopostaci dal giudice a quo riguarda, come ricorderete, l'art. 9, n. 2, del regolamento n. 4. Tale disposizione, per quanto qui c'interessa, recita:

«Nonobstant les dispositions du paragraphe précédent et sous réserve des dispositions de la deuxième phrase du paragraphe (2) de l'article 11 du règlement, lorsque l'application des dispositions de la première phrase du paragraphe (2) de l'article 11 du règlement entraînerait la réduction ou la suspension d'une prestation d'invalidité… liquidée en vertu des dispositions de l'article 28 du règlement par l'institution d'un Etat membre, cette institution ne prend en compre, pour la réduction ou pour la suspension, qu'une fraction des prestations … entraînant la réduction ou la suspension. Cette fraction est déterminée au pro rata de la durée des périodes accomplies, conformément à l'alinéa (b) du paragraphe (1) de l'article 28 du règlement; lors du calcul du montant “pour ordre”, selon ladite disposition, la prestation ou le revenu ou la rémunération entraînant la réduction ou la suspension de la pension ne doivent pas être pris en considération.»

Nonostante gli argomenti dedotti dal Naselli, mi sembra del tutto chiaro, come è stato sostenuto tanto dall'INAMI, quanto dalla Commissione, che tale disposizione si applica solo nel caso in cui la prestazione di cui trattasi sia stata attribuita mediante l'applicazione del cumulo e della ripartizione pro rata. Propongo quindi che decidiate in questo senso.


( 1 ) Traduzione dall'inglese.

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