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Document 61975CC0110

Conclusioni dell'avvocato generale Warner del 6 maggio 1976.
John Mills contro Banca europea per gli investimenti.
Causa 110-75.

Raccolta della Giurisprudenza 1976 -00955

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1976:63

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE JEAN-PIERRE WARNER

DEL 6 MAGGIO 1976 ( 1 )

Signor presidente,

signori giudici,

Il regolamento del personale della Banca europea per gli investimenti, all'art. 41, recita: «Le vertenze d'ordine individuale di qualsiasi natura tra la Banca ed i membri del suo personale vanno sottoposte alle Corte di giustizia delle Comunità europee». L'art 44 del medesimo regolamento dispone che: «I principi generali comuni ai diritti degli Stati membri della Banca, vanno applicati ai contratti individuali stipulati sulla base di tale regolamento in conformità all'art. 13». L'art. 13 recita: «I rapporti tra la Banca ed i membri del suo personale, in linea di principio, vanno disciplinati da contratti individuali in relazione col presente regolamento del personale. Il regolamento del personale è parte integrante di questi contratti».

Questa è la prima causa che sia stata mai sottoposta a questa Corte in conformità a dette disposizioni. Ricorrente è il sig. J. R. Mills, cittadino inglese, ex traduttore nella sezione inglese del servizio traduzione della Banca. Egli entrava in detto servizio in forza di un contratto perfezionatosi, in data 18 giugno 1973, con l'accettazione da parte sua della proposta fattagli con lettera 30 maggio 1973 del presidente della Banca (all. 1 al controricorso). In tale lettera si diceva espressamente che le disposizioni del regolamento del personale della Banca, una copia del quale gli veniva trasmessa in allegato, costituivano parte integrante del contratto.

Il Mills veniva licenziato, od assertivamente licenziato, dalla Banca, con lettera 29 luglio 1975 del presidente della Banca (all. 1 alla domanda).

In questa causa il Mills chiede l'annullamento del licenziamento e, in subordine, il risarcimento dei danni per licenziamento abusivo.

L'art. 95, n. 2, del regolamento di procedura della Corte dispone che, in generale, i ricorsi proposti da dipendenti di un'istituzione contro l'istituzione stessa sono decisi da una sezione. In forza dell'art. 1 di tale regolamento la Banca europea per gli investimenti è, ai fini della sua applicazione, un'«istituzione». Così la causa Mills veniva assegnata alla prima sezione, la quale, tuttavia, riteneva che la domanda sollevasse nuove ed importanti questioni in merito alla competenza della Corte e, con ordinanza 19 febbraio 1976, ex art. 95, n. 3, rinviava la causa alla Corte in seduta plenaria. Successivamente a tale rinvio, la Corte, in seduta plenaria, decideva che due punti andavano disaminati in via preliminare, e cioè:

1)

Se la Corte fosse affatto competente ad accogliere la domanda — in altri termini, se l'art. 41 1el regolamento del personale della Banca fosse valido; e nell'affermativa,

2)

se la Corte fosse competente ad annullare la decisione di por termine al contratto del Mills.

Sottintesa nel secondo punto era la questione del se la Corte, una volta dichiarata illegittima la decisione, fosse competente ad ordinare la sua reintegrazione, o soltanto a statuire sul risarcimento dei danni o sull'indennità spettantegli.

Detti due punti venivano dibattuti davanti a questa Corte il 1o aprile 1976 e mi rendo conto che è relativamente ad essi, e soltanto relativamente ad essi, che ora sono invitato ad esprimere il mio parere.

Relativamente al primo punto, le parti sono concordi. Entrambe sostengono che questa Corte è competente, pur riconoscendo che il punto non è esente da dubbi.

Il dubbio consiste in questo.

L'art. 179 del trattato CEE recita:

«La Corte di giustizia è competente a pronunziarsi su qualsiasi controversia tra la Comunità e gli agenti di questa, nei limiti e alle condizioni determinati dallo statuto o risultanti dal regime applicabile a questi ultimi» (In inglese: «… under the conditions laid down in the Staff Re-gulations or the Conditions of Employ-ment».)

È stato sostenuto che il richiamo in questa sede alle «Staff Regulations or the Conditions of Employment» riguarda esclusivamente lo «statuto dei funzionari delle Comunità europee» e il «regime applicabile agli altri agenti» di tali Comunità che, in forza dell'art. 212 del trattato (sostituito dall'art. 24 del trattato di fusione) dovevano essere stabiliti dal Consiglio. Da questo punto di vista, naturalmente, la competenza della Corte ex art. 179 non può estendersi alle controversie cui si applica il regolamento del personale della Banca, in quanto questo è stato adottato dal consiglio di amministrazione della Banca, ai sensi dell'art. 29 del regolamento di procedura della Banca, il quale a sua volta è stato emanato dal consiglio dei governatori della Banca ex art. 9, n. 3, lett. h) del protocollo sullo statuto della Banca allegato al trattato.

Ritengo, tuttavia, che tale punto di vista sia troppo limitato. Va osservato che l'alquanto preciso richiamo nel testo inglese dell'art. 179, alle condizioni determinate dalle «Staff Regulations or the Conditions of Employment» non trova corrispondenza in altri testi del trattato. A mo d'esempio, il testo francese recita:

«La Cour de Justice est compétente pour statuer sur tout litige entre la Communauté et ses agents dans les limites et conditions determinées ou statut ou résultant du régime applicable à ces derniers».

Nella cause 43, 45 e 48-59 Von Lachmül-ler and altri c. Commissione (Racc. 1960, pagg. 920-921), avete affermato che quei termini erano sufficienti a comprendere le controversie tra la Commissione ed i suoi dipendenti, insorte prima dell'adozione dello «statuto dei funzionari» e del «regime applicabile agli altri agenti» di cui all'art. 212, quando tale personale veniva assunto con contratti individuali, in conformità all'art. 246, n. 3, del trattato.

L'effettiva difficoltà, a mio avviso, sta nel fatto che l'art. 179 contempla le controversie tra «la Comunità» ed i suoi dipendenti. L'art. 210 del trattato dispone che «la Comunità ha personalità giuridica» e l'art. 4 che «l'esecuzione dei compiti affidati alla Comunità è assicurata da» il Parlamento, il Consiglio, la Commissione e la Corte; il Consiglio e la Commissione sono «assistiti da» il Comitato economico e sociale. La Banca, dal canto suo, è stata istituita dall'art. 129, il quale stabilisce che essa ha «personalità giuridica». La Banca è quindi una persona giuridica distinta dalla «Comunità». Ciò fa pensare che i richiami nel trattato alla «Comunità» vadano interpretati nel senso di escludere la Banca.

Da tale punto di vista, tuttavia, non vi è nel trattato alcuna disposizione che riguarda le controversie tra la Banca ed il suo personale. L'art. 180 espressamente conferisce competenza alla Corte in determinate controversie in cui è coinvolta la Banca, ma queste non comprendono le controversie tra la Banca ed il suo personale. L'art. 29 del protocollo sullo statuto della Banca recita:

«Le controversie tra la Banca, da una parte, e i suoi creditori, i suoi debitori o terzi (in inglese: “or any other person”), dall'altra, sono decise dalle giurisdizioni nazionali competenti, fatte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia».

Anche qui il testo inglese può trarre in inganno. Si potrebbe ritenere che il termine «any other person» comprendesse il personale della Banca. Le altre versioni sembrano chiarire che le cose stanno diversamente. Il testo danese, invece, di «any other person», usa l'espressione «tred-jemand», il testo olandese l'espressione «derden», il testo francese «des tiers», il testo tedesco «dritten Personen» ed il testo italiano «terzi». Mi pare che queste espressioni non siano atte a comprendere il personale della Banca. In ogni caso l'art. 29 non fornisce di per sé una soluzione alla questione del se qualche altra disposizione conferisce competenza a questa Corte, in modo da escludere l'applicazione dell'articolo stesso.

In corso di causa è stato fatto richiamo all'art. 183 del trattato. Esso recita:

«Fatte salve le competenze attribuite alla Corte di giustizia dal presente trattato le controversie nelle quali la Comunità sia parte non sono, per tale motivo, sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali.»

Non mi sembra, tuttavia, che tale articolo sia rilevante, per il fatto che esso contempla le «controversie nelle quali la Comunità sia parte». Se «la Comunità» non comprende la Banca, l'art. 183 è fuori questione. Se, d'altra parte, «la Comunità» comprende la Banca, lo stesso vale anche per l'art. 179, cosicchè viene esclusa l'applicazione dell'art. 183.

Un'altra disposizione del trattato cui è stato fatto richiamo nella discussione, è l'art. 181. Esso recita:

«La Corte di giustizia è competente a giudicare in virtù di una clausola compromissoria contenuta in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato stipulato dalla Comunità o per conto di questa.»

È stato sostenuto che, ove l'art. 179 non conferisse competenza a questa Corte nelle controversie tra la Banca ed i membri del suo personale, detta competenza verrebbe conferita dal combinato disposto dell'art. 181 e dell'art. 41 del regolamento del personale della Banca. Mi sembra, tuttavia, che sussista qui il medesimo dilemma. Se «la Comunità» non comprende la Banca, l'art. 181 non ha più peso dell'art. 179. Se, d'altro canto, «la Comunità» comprende la Banca si applica l'art. 179 e non vi è necessità di far ricorso all'art. 181.

Ritengo, tuttavia, che l'art. 181 abbia indirettamente grande importanza.

La questione, come ho indicato, consiste nel se ai fini, quanto meno, degli articoli del trattato che conferiscono competenza a questa Corte (art. 164 e seguenti), i richiami alla «Comunità» vadano intesi nel senso di comprendere la Banca.

Nell'affrontare tale questione, è bene, a mio avviso, tener presenti le seguenti considerazioni di carattere generale:

L'art. 3, lett. j), del trattato dispone che, ai fini enunciati all'art. 2, l'azione della Comunità importa «l'istituzione di una Banca europea per gli investimenti, destinata a facilitare l'espansione economica della Comunità …» e l'art. 1 del protocollo sullo statuto della Banca dispone che la Banca «esercita le sue funzioni e la sua attività conformemente alle disposizioni del trattato e del presente statuto». Risulta quindi evidente che la Banca è, se non una «istituzione» comunitaria in senso stretto, quanto meno un organo della Comunità e che qualsiasi sua attività viene svolta a norma del trattato, Le sue attività rientrano quindi nell'ambito generale entro cui, in forza dell'art. 164, la Corte è tenuta a garantire l'osservanza del diritto.

Tra gli articoli che conferiscono espressamente competanza alla Corte ve n' è uno, l'art. 180 (già menzionato), che riguarda espressamente la Banca. Esso trovasi inserito tra gli artt. 179 e 181, che, come si è visto, fanno riferimento in generale alla «Comunità». Se la Banca andasse considerata, ai fini di tali articoli, come qualcosa di distinto dalla Comunità, l'art. 180 dovrebbe trovarsi altrove, forse verso la fine del gruppo di articoli relativi alla competenza della Corte. Di ancor maggiore rilievo, a mio avviso, è la connessione tra l'art. 181 e l'art. 29 del protocollo sullo statuto della Banca. Quest'ultimo, come ricorderete, espressamente prevede che può essere conferita competenza a questa Corte nelle controversie tra la Banca e, fra l'altro, i suoi creditori o debitori. Non vedo altro modo per far ciò all'infuori di una clausola compromissoria cui si applica l'art. 181. Ne deve conseguire che, nelle intenzioni degli autori del trattato, il richiamo nell'art. 181, alla «Comunità» comprende la Banca. Se le cose stanno così, lo stesso vale per l'art. 179.

Concludo che, interpretando correttamente il trattato CEE di per sé considerato, l'art. 179 si applica tanto ai dipendenti della Banca quanto ai dipendenti delle «istituzioni».

Che questa sia la corretta interpretazione del trattato viene, a mio avviso, confermato dall'esame del trattato di fusione e, in particolare, da talune disposizioni del protocollo sui privilegi ed immunità delle Comunità europee, allegato a detto trattato.

Il primo comma dell'art. 28 del trattato di fusione recita:

«Le Comunità europee godono, sul territorio degli Stati membri, delle immunità e dei privilegi necessari all'assolvimento dei loro compiti, alle condizioni definite dal protocollo allegato al presente trattato. Lo stesso vale per la Banca europea per gli investimenti.»

L'art. 12 del protocollo dispone, per quanto qui interessa:

«Sul territorio di ciascuno Stato membro e qualunque e qualunque sia la loro cittadinanza, i funzionari ed altri agenti delle Comunità:

(a)

godono dell immunità di giurisdizione per gli atti da loro compiuti in veste ufficiale … con riserva dell'applicazione delle disposizioni dei trattati relative … alla competenza della Corte per deliberare in merito ai litigi tra le Comunità ed i loro funzionari ed altri agenti. Continueranno a beneficiare di questa immunità dopo la cessazione delle loro funzioni.»

L'art. 22 recita, per quanto qui interessa:

«Il presente protocollo si applica anche alla Banca europea per gli investimenti, ai membri dei suoi organi, al suo personale e ai rappresentanti degli Stati membri che partecipano ai suoi lavori …».

Ritengo quindi, che questa Corte sia competente a conoscere di questa azione.

Confesso di essere lieto di essere pervenuto a questa conclusione. Le difficoltà pratiche cui avrebbe condotto la conclusione contraria sono state forse un po'esa-gerate dal patrono della Banca all'udienza. È nondimeno vero che non sarebbe facile per un giudice nazionale accertare «i principi generali connessi ai diritti degli Stari membri», che, in forza dell'art. 44 del regolamento del personale della Banca, si applicano ai contratti stipulati tra la Banca ed il suo personale.

Ciò invero è quello che questa Corte deve fare onde pervenire ad una pronunzia sulla seconda questione dibattuta in questa causa.

Al fine di chiarire le origini di tale questione, devo in primo luogo richiamare talune altre disposizioni del regolamento del personale delle Banca e determinate ulteriori circonstanze.

Come ricorderete, in forza dell'art. 13 di tale regolamento, i rapporti tra la Banca ed i membri del suo personale sono disciplinati da contratti individuali, nei quali si devono considerare incluse le disposizioni del regolamento.

L'art. 15 recita:

«I contratti individuali tra la Banca ed i membri del suo personale si presentano sotto forma di lettere di assunzione. Il personale assunto dalla Banca controfirma la lettera di nomina ed una copia di detto regolamento del personale.

La lettera di assunzione precisa la retribuzione, la durata del contratto e le altre condizioni dell'impiego».

L'art 16 dispone che «I contratti vanno stipulati a tempo determinato o indeterminato» e che «i contratti a tempo indeterminato possono venir disdetti da entrambe le parti con adeguato preavviso.» L'art. 17 dispone che: «il termine di preavviso per la Banca è di tre mesi per ciascun periodo di cinque anni di servizio o frazione dello stesso.» e che «Il preavviso per i membri del personale viene stabilito nei contratti individuali».

Il contratto del Mills era conforme a queste disposizioni. La «lettera di assunzione», la quale, come ho già detto, recava la data 30 maggio 1973, iniziava in questi termini: «Siamo lieti di confermarle che la Banca europea per gli investimenti ha, deciso di assumer La con decorrenza 1o luglio 1973, alle condizioni che seguono.» La lettera precisava poi lo stipendio e continuava:

«La sua assunzione è per un periodo di prova di sei mesi, entro il quale ciascuna delle parti può recedere dal contratto con 15 giorni di preavviso. Al termine di tale periodo di prova, la sua assunzione dovrà considerarsi a tempo assumerLa conformità al … art. 17 del regolamento del personale, il preavviso da Lei dovuto in caso di disdetta del presente contratto è di mesi tre.

Ci pregiamo trasmetterle in allegato due copie del regolamento del personale. Le condizioni di questo regolamento costituiscono parte integrante del presente contratto.

In segno di accettazione del presente contratto, voglia cortesemente renderci la copia di questo, più una copia dell'allegato regolamento del personale, entrambe firmate, datate e con la menzione “Letto e approvato”.»

Il Mills, come ho detto, aderiva a queste richieste, il 18 giugno 1973.

Egli prendeva puntualmente servizio presso la Banca il 1o luglio 1973 e terminava il periodo di prova il 31 dicembre dello stesso anno. Di conseguenza, la sua assunzione doveva, stando ai termini della sua lettera, «considerarsi a tempo indeterminato».

Come ho già detto, con lettera 29 luglio 1975, firmata dal presidente della Banca veniva comunicato al Mills che il suo rapporto di lavoro avrebbe avuto termine a norma degli artt. 16 e 17 del regolamento del personale. La disdetta era conforme a detti articoli in quanto fissava la data della fine del contratto al 31 ottobre 1975, dando così als Mills i tre mesi di preavviso convenuti. Essa specificava inoltre le somme spettanti al Mills in relazione alla fine del contratto. Queste comprendevano una «indennità di liquidazione» ex art. 34 del regolamento del personale, il quale recita:

«Al termine del loro contratto con la Banca, salvo il caso di licenziamento per motivi gravi, i membri del personale, con due anni di servizio presso la Banca, hanno diritto ad un'indennità di liquidazione … pari alla metà della retribuzione mensile finale per ciascun anno o frazione di anno di servizio.»

Non è necessario, in questa fase del procedimento, entrare nei dettagli delle circostanze che hanno portato alla disdetta. È sufficiente dire che la tesi della Banca è, in termini concisi, che l'esperienza aveva dimostrato che la sezione inglese del servizio traduzione aveva personale in eccedenza, che il sig. Mills era considerato dai suoi superiori il meno brillante di tale sezione, e che la Banca aveva il diritto di licenziarlo, in conformità ai termini del suo contratto. La tesi del Mills è che il suo licenziamento era in realtà un provvedimento disciplinare, che un siffatto provvedimento non avrebbe potuto essere adottato senza che fosse fatta piena luce sugli addebiti mossigli dai suoi superiori ed, in ispecie, senza che gli fosse data la possibilità di far valere le sue ragioni, e che il suo licenziamento va quindi annullato. Il Mills invoca gli artt. 38-40 del regolamento del personale della Banca ed i principi generali comuni ai diritti degli Stati membri richiamati dall'art. 44.

L'art. 38 enumera i provvedimenti disciplinari che possono venir adottati a carico dei dipendenti che «non adempiono i loro doveri verso la Banca». Questi vanno dal «biasimo scritto» al «licenziamento in tronco per motivi gravi, con perdita dell'indennità di liquidazione e riduzione della pensione». In forza del combinato disposto di tale articolo e dell'art. 40 il licenziamento in tronco per motivi gravi, con o senza perdita dell indennità di liquidazione o riduzione della pensione, deve — salvo un'eccezione priva di rilievo — essere preceduta da un procedimento davanti ad una commissione paritetica, di cui viene indicata la composizione. L'interessato ha il diritto di esser sentito da tale Commissione e di essere rappresentato davanti ad essa da un avvocato. La Commissione deve emettere un parere motivato diretto al presidente della Banca, cui spetta la decisione.

La Banca naturalmente sostiene che tali disposizioni non si applicano nel nostro caso, giacché non si tratta di licenziamento in tronco per motivi gravi, ma semplicemente di disdette del contratto con il dovuto preavviso.

Rimane la questione del se, nel caso in cui la Corte ritenga che il Mills è stato irritualmente od ingiustamente licenziato, essa abbia il potere di annullare il licenziamenti o di ordinarne la reintegrazione, ovvero sia competente soltanto ad ordinare il risarcimento dei danni o l'idennizzo. Ciò dipende dai «principi generali comuni ai diritti degli Stati membri».

Il patrono del Mills ha cercato di assimilare la posizione dei dipendenti della Banca a quella dei dipendenti comunitari. È stato sostenuto che il rapporto giuridico tra la Banca ed i suoi dipendenti era di natura statutaria piuttosto che contrattuale. In subordine, è stato sostenuto che, nel caso in cui il rapporto fosse contrattuale, i contratti erano disciplinati dal «diritto pubblico» piuttosto che dal «diritto privato».

Ritengo che si debba trattare di questi argomenti, anche se all'udienza l'avvocato del Mills in pratica vi ha rinunziato. Egli ha sostenuto che era irrilevante che il rapporto fosse di natura statutaria o contrattuale ovvero, nel caso in cui fosse contrattuale, che i contratti fossero disciplinati dal «diritto pubblico» o dal «diritto privato»; in ogni caso, la Corte deve avere il potere di fare quanto la giustìzia richiede.

La tesi secondo cui il rapporto non era di natura contrattuale ma statutaria è, mi sembra, palesemente incompatibile con i fatti ed in ispecie con le disposizioni del regolamento del personale della Banca. Un interessante documento prodotto dalla Banca è è una nota (all. 4 al controricorso) diretta nel marzo 1960 dal consiglio di direzione della Banca al consiglio di amministrazione, nel sottoporgli per approvazione il progetto di regolamento del personale. Lo scopo della nota era di mettere in luce le considerazioni di cui il consiglio di direzione aveva tenuto conto nel redigere il progetto. La nota era in lingua francese. Cito due brani che mi sembrano pertinenti:

«Tous les frais de fonctionnement de la Banque sont couverts par les revenus de ses placements e non pas, comme pour d'autres institutions européennes, par des ressources de nature budgétaire; sans qu'il soit possible de le prévoir maintenant, le volume des affaires de la Banque peut varier, dans l'avenir, de façon importante, et, par conséquent, le volume de ses effectifs devra, dans une certaine mesure s'y adapter; enfin, l'administration d'un personnel de caractère bancaire doit èrre nécessairement souple: ces diverses raisons ont porté le comité de direction à choisir délibérément, après une étude approfondie, un regime contractuel pour l' ensemble de ses agents et employes. Il est apparu impossible en effet de prévoir pour eux un statut de fonctionnaire qui aurait eu comme conséquence principale d'organiser des carrières sur de longue années et sans offrir aucune possibilité pratique de faire varier les effectifs selon les besoins.

Il est donc prévu que le personnel est re-cruté au moyen de contrats de durée limitée ou indeterminée, selon les cas, et le présent règlement doit être considéré comme la partie générale commune à tous les contrats individuels».

e

«le correctif nécessaire entre le régime contractuel proposé pour la BEI et le régime statutaire des agents de la CEE se marque par l'institution, prévue dans le règlement, d'une indemnité de départ, destinée à compenser la relative précarité des contrats».

La «indemnité de départ» qui riferita è ovviamente l'indennità di liquidazione che il Mills ha ricevuto.

Devo confessare che, aduso come sono ad un sistema di diritto in cui la dicotomia tra «diritto pubblico» e «diritto privato» è sconosciuta, affronto la questione della sua rilevanza nel nostro caso con notevole titubanza, benché, naturalmente, sia tentato di dire che, posto che il diritto inglese non ammette tale dicotomia, esso non può costituire parte dei principi generali comuni ai diritti degli Stati membri. Tuttavia mi sembra, non è solo il diritto inglese, che porta a tale conclusione.

Il diritto irlandese è, credo, sotto questo riguardo, uguale al diritto inglese.

Vi è poi une gruppo di paesi in cui la dicotomia, benché sia riconosciuta a determinati fini, non trova applicazione nell'ambito dei contratti di lavoro. Questo gruppo comprende la Danimarca, la Germania federale, l'Italia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Scozia. In ciascuno di questi paesi i pubblici dipendenti vengono assunti o in forza i disposizioni semplicemente statutarie o in forza di un contratto. Nel secondo caso, i contratti sono disciplinati dal diritto «privato» comune. Non vi è una categoria intermedia di pubblici dipendenti assunti con contratti di diritto «pubblico».

Sembra che in Francia la dicotomia tra diritto «pubblico» e «privato» sia ritenuta applicabile ai contratti di lavoro ma solo al fine di determinare 1) la natura dell'obbligazione del dipendente — vedansi in proposito le conclusioni dell'avvocato generale Lagrange nella causa 10-55 Mi-rossevich c Alta Autorità (Racc. 1955-56, pag. 387) e 2) l'identità dei giudici competenti nelle controversie relative ad un siffatto contratto: ove il contratto sia «de droit public» è competente il giudice ordinario. Nell'uno e nell'altro caso, tuttavia, i diritti del dipendente sono i medesimi. Non perdo di vista sotto questo aspetto ciò che è stato detto dall'avvocato generale Lagrange nella causa Mirossevich nelle pagg. 409-410; mi sembra però ch'egli abbia esposto, in relazione ai contratti «de droit public», non quello che egli riteneva fosse il diritto francese, ma quello che egli riteneva dovesse essere il diritto comunitario.

Sembra perciò che soltanto nel Belgio la dicotomia abbia effettiva rilevanza ai fini dei diritti del dipendente. Rinuncio ad addentrarmi nei particolari. Ricorderete certo le risposte fornitemi in proposito dall'avvocato del Mills all'udienza (riportate alle pagg. 25-30 della registrazione).

Riconosco che, in vista di quello che sembra essere il diritto nei diversi Stati membri, sono reso perplesso dalle considerazioni della Corte nella causa 1-55, Ker-gall c. Assemblea Comune (Racc. 1955-56, pag. 9) e nella causa Von Lachmüller (già citata). La decisione della Corte in ciascuna di queste cause mi sembra, con il rispetto dovutole, ineccepibile. Ciò che mi lascia perplesso è la ragione per cui questa Corte ha ritenuto necessario, come parte del suo iter logico, definire il contratto di cui è causa, contratto «disciplinato dal diritto pubblico». Che ciò non fosse necessario è dimostrato dalla sentenza Mirossevich, in cui la Corte si è astenuta dall'applicare una siffatta denominazione al contratto, benché l'avvocato generale Lagrange le avesse proposto di farlo.

Ciò illustra quello che, a mio avviso, è un punto importante.

Nella ricerca dei «principi generali comuni ai diritti degli Stati membri» è, a mio avviso, inutile servirsi di termini ricavati da particolari ordinamenti nazionali e ignoti, o aventi un significato diverso, in altri. Si dovrebbe invece individuare la realtà che si trova dietro il nome: cercare di identificare la sostanza dei diritti, poteri ed obblighi riconosciuti e tutelati nei vari ordinamenti.

Mi sembra che, se si segue questo metodo, le difficoltà scompaiono. A quanto mi risulta, tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri riconoscono l'esistenza di una categoria di pubblici dipendenti, i cui diritti, siano essi statutari o contrattuali, o in parte l'una e in parte l'altra cosa, sono, in un modo o nell'altro, protetti da speciali norme che fanno parte del diritto amministrativo piuttosto che del diritto contrattuale. Tra queste norme vi è ad esempio quella che vieta al datore di lavoro pubblico di licenziare il dipendente senza comunicargli i motivi del licenziamento e dargli la possibilità di essere sentito. Ogni violazione di una siffatta norma dà diritto al pubblico dipendente di chiedere al giudice competente l'annullamento del licenziamento. In questo senso è certamente il diritto in Inghilterra e in Scozia (vedasi Ridge c. Baldwin, 1964, A.C. 40 e Malloch c. Aberdeen Corporation 1971 1 W.L.R. 1578), benché naturalmente la situazione nel Regno Unito sia complicata dalla norma che, in generale, i dipendenti della Corona sono in carica «at Her Majesty's pleasure».

La vera questione nel nostro caso è quindi se i membri del personale della Banca europea per gli investimenti facciano parte o meno di detta categoria privilegiata di pubblici dipendenti.

Sono pervenuto alla conclusione che essi non vi appartengono. Un elemento comune ai diritti degli Stati membri sembra essere quello che tale categoria privilegiata può comprendere soltanto persone assunte dalla pubblica amministrazione propriamente detta per l'adempimento di compiti essenzialmente pubblici, ad esempio, impiegati amministrativi, agenti di polizia, insegnanti e simili, e che essa non comprende persone assunte da enti il cui ruolo sia «economico», anche se di proprietà publica. Un esempio molto valido in materia viene fornito dalle banche nazionalizzate francesi, lo status dei cui dipendenti — sembra pacifico — non è stato modificato dalla nazionalizzazione (vedasi Dalloz, Nouveau Répertoire de Droit, 2a ed., tome premier, pag. 493). Analogamente ritengo fuori discussione che i dipendenti della Banca dei Paesi Bassi siano soggetti alle leggi ordinarie dei Paesi Bassi in materia di lavoro. E senza dubbio, anche se non mi sono noti dei procedenti in materia, non ci si può aspettare che il giudice inglese affermi che i dipendenti della Banca d'Inghilterra hanno uno status diverso da quello dei dipendenti di qualsiasi altra banca inglese. Il motivo di ciò mi sembra chiaro ed è stato ottimamente espresso nella nota del consiglio di direzione della Banca europea per gli investimenti al consiglio di amministrazione sopra citato. Una banca, anche se di proprietà pubblica ed anche se fondata per fini d'interesse pubblico, resta fondamentalmente un'impresa commerciale, dipendente dalle sue entrate per la sua sopravvivenza, e quindi diversa per natura da una pubblica amministrazione con un reddito proveniente da tasse o imposte.

Con il che non è stata detta l'ultima parola. Siamo giunti soltanto alla conclusione che i diritti dei membri del personale della Banca europea per gli investimenti non possono essere assimilati a quelli dei pubblici dipendenti, nel senso ristretto che ho indicato. Ciò sta a significare che tali diritti vanno accertati con riferimento ai principi giuridici generali, comuni agli Stati membri, relativi ai normali contratti di lavoro. La questione quindi diviene se vi sia un principio generale, comune ai diritti degli Stati membri, che conferisce al giudice — nel caso di un contratto del genere — il potere di annullare il licenziamento o di ordinare la riassunzione del dipendente irritual-mente od ingiustamente licenziato.

Dico «irritualmente» od «ingiustamente» poichè constato che, nella maggior parte degli Stati membri, la nozione di «licenziamento ingiusto», introdotta recentemente, si applica anche nel caso in cui ad una persona è stato dato il dovuto preavviso — cioè anche nel caso in cui il licenziamento non implica inadempimento del contratto da parte del datore di lavoro. Ciò è conforme alla raccomandazione della Conferenza generale dell'organizzazione internazionale del lavoro 5 giugno 1963, n. 119, il cui § 2 (1) statuisce:

«Non si può porre termine al rapporto di lavoro, a meno che sussista un valido motivo inerente alla capacità o alla condotta del lavoratore ovvero connesso alle esigenze di gestione dell'impresa, azienda o servizio».

Constato che soltanto in due Stati membri, Germania ed Italia, i giudici sono competenti ad annullare il licenziamento od ordinare la riassunzione. Nella Repubblica federale il potere deriva dalla Kündi-gungsschutzgesetz 25 agosto 1969. In Italia esso viene conferito dal combinato disposto della legge 15 luglio 1966 e della legge 20 maggio 1970.

In Francia ed in Gran Bretagna (cioè in Inghilterra e Scozia, giacché sembra che non vi siano leggi in materia nell'Irlanda del Nord) i giudici competenti possono raccomandare la riassunzione del dipendente licenziato, ma non hanno il potere di far osservare la raccomandazione; qualora il datore di lavoro non ottemperi, essi possono soltanto assegnare al dipendente un'indennità. In Francia tali poteri vengono conferiti dalla legge 13 luglio 1973 (art. L. 122-14-4). In Gran Bretagna essi sono stati una prima volta attribuiti dallo Industriai Relations Act del 1971. Essi sono oggi contenuti nello Trade Union and Labour Relations Act del 1974 (Sch. I, Pt III) e verranno corroborati dallo Employment Protection Act del 1975, quando entrerà in vigore, probabilmente nel giugno di quest'anno. Nella legge del 1975, il termine «raccomandare» è sostituito dal termine «ordinare», ma senza che — a quanto pare — ciò implichi una sostanziale differenza. Di maggiore importanza è il fatto che, in forza di tale legge, i giudici avranno il potere di ordinare la «reintegrazione» (reinstatement), nel senso che il dipendente va considerato, a tutti gli effetti, come se non fosse stato licenziato, o la «riassunzione» (re-engagement), nel senso che gli. si deve dare un nuovo contratto. Continuerò ad usare qui il termine «reintegrazione» (reinstatement) per indicare ambedue i provvedimenti.

La situazione nei Paesi Bassi sembra analoga a quella esistente in Francia ed in Gran Bretagna. L'art. 1639, lett. t) del Bur-gerlijk Wetboek autorizza il giudice competente ad ordinare la reintegrazione, ma la sola sanzione, in caso d'inosservanza, è, se non m'inganno, di natura pecuniaria.

In Irlanda lo Industriai Relations Act del 1946 (artt. 66 e segg.) nella versione emendata dall'Industria! Relations Act del 1969 (artt. 19-20) conferisce alla La-bour Court il potere di svolgere indagini nelle controversie di lavoro e di raccomandare una composizione. Questa può comprendere la reintegrazione del dipendente licenziato.

Sembra che nel Belgio ed in Danimarca i giudici possono intimare la reintegrazione solo nel caso dei rappresentanti sindacali mentre nel Lussemburgo non vi sono norme che consentano di ordinare o raccomandare la reintegrazione.

Concludo che non vi è un principio generale comune ai diritti degli Stati membri che conferisca al giudice — nel caso di una persona assunta in forza di un normale contratto di lavoro — il potere di annullare il licenziamento o di ordinare la reintegrazione. Invero, la raccomandazione 119 della Conferenza generale del-l'OIL non arriva al punto di esigere l'esistenza di un siffatto potere. Il § 4 di detta raccomandazione stabilisce che il lavoratore, il quale ritenga di essere stato ingiustamente licenziato, dovrebbe poter rivolgersi ad un organo imparziale, ad es. ad un giudice, e il § 6 stabilisce che detto organo dovrebbe avere il potere, se a suo giudizio il licenziamento era ingiustificato «di ordinare che al lavoratore, qualora non venga riassunto — se del caso con pagamento del salario arretrato — sia corrisposta un'adeguata indennità» od offerto un altro compenso.

Ne consegue, a mio avviso, che questa Corte non è competente, in caso di licenziamento di un membro del personale della Banca europea per gli investimenti, ad annullare il licenziamento od ordinare la reintegrazione. Ciò non significa che la Corte — qualore lo ritenga opportuno — non possa raccomandare la reintegrazione, riservandosi — per il caso di mancata ottemperanza — di statuire sul quantum dell'eventuale risarcimento o indennizzo.

In definitiva, propongo a questa Corte di dichiarare che la domanda del sig. Mills è ricevibile, salvo nella parte in cui egli chiede l'annullamento del licenziamento.


( 1 ) Traduzione dall'inglese.

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