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Document 61974CC0024

Conclusioni dell'avvocato generale Reischl del 17 settembre 1974.
Caisse régionale d'assurance maladie de Paris contro Giuseppina Biason.
Domanda di pronuncia pregiudiziale: Cour d'appel de Paris - Francia.
Causa 24-74.

Raccolta della Giurisprudenza 1974 -00999

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1974:86

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE GERHARD REISCHL

DEL 17 SETTEMBRE 1974 ( 1 )

Signor Presidente,

Signori Giudici,

Con legge 30 giugno 1956 si istituiva in Francia il «Fonds national de solidarité», la cui funzione è quella di integrare il reddito di coloro che si trovano in particolari condizioni di indigenza e non dispongono di risorse sufficienti, in modo speciale i pensionati. Gli assegni integrativi spettavano a tutti i francesi residenti in Francia ed aventi diritto a pensioni di vecchiaia, cioè a coloro che avevano superato i 65 anni, oppure i 60 anni, se dichiarati inabili al lavoro. Con legge 2 agosto 1957 l'assegno veniva concesso anche ai titolari di una pensione vitalizia di invalidità se l'incapacità lavorativa o professionale era ridotta ad 1/3, allorché l'interessato non aveva ancora compiuto il 60o anno di età. L'art. L 699 del codice previdenziale francese stabilisce espressamente che l'assegno non viene più versato se il beneficiario trasferisce la sua residenza fuori del territorio francese.

Successivamente alla legge 2 agosto 1957, il 6 febbraio 1960 veniva stipulato un allegato al protocollo franco-italiano in materia previdenziale dell'11 gennaio 1957. In virtù di tale allegato anche i cittadini italiani potevano fruire dell'assegno di invalidità se già spettavano loro prestazioni in forza del sistema francese di previdenza sociale. Anche in questo caso è espressamente sancito che condi-tio sine qua non per la riscossione dell'assegno è la residenza dell'interessato sul territorio francese.

La sig. na Giuseppina Biason, convenuta nel procedimento di merito, è cittadina italiana, che per un certo periodo si trasferì in Francia e vi lavorò. Dal 15 giugno 1971 essa gode una pensione francese di invalidità. Dalla stessa data, viste le sue condizioni di indigenza e l'esiguità della pensione, le veniva concesso l'assegno integrativo previsto dal Fonds national de solidarité francese. Dal 1o aprile 1972 però il versamento dell'assegno veniva sospeso, poiché la Biason si era trasferita in Italia, informandone debitamente le competenti autorità francesi.

Il provvedimento veniva impugnato dalla Biason dinanzi alla Commission de première instance du contentieux de la sécurité sociale di Parigi, che il 21 marzo 1973 disponeva la sospensione del procedimento per deferire alla Corte di giustizia in via pregiudiziale la questione del se l'assegno litigioso, nonostante il cambiamento di residenza, dovesse continuare a venir versato in vitù dell'accordo franco-italiano in materia previdenziale del 31 marzo 1948 nonché dell'accordo triangolare italo-franco-belga del 19 gennaio 1951.

Il procedimento pregiudiziale non potè venir iniziato in quanto la Caisse régio-nale d'assurance maladie di Parigi, convenuta nel processo di primo grado, interpose appello dinanzi alla Corte d'appello di Parigi impugnando il provvedimento di rinvio.

In sede di appello, il collegio retienne di poter distinguere tra il periodo antecedente il 1o ottobre 1972, nel quale vigeva ancora il regolamento n. 3 sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti ed il periodo successivo al 1o ottobre 1972, nel quale all'antico regolamento n. 3 è subentrato il regolamento 1408/71. Per quel che riguarda l'ultimo periodo, la Corte d'appello ritiene che le norme del regolamento 1408/71 siano chiare e non esigano alcuna interpretazione. Poiché il regolamento, a norma dell'art. 4, n. 1, lett. b) si applica alle «prestazioni di invalidità» e poiché a norma dell'art. 1, lett. t) sono considerate prestazioni e rendite ai sensi del regolamento tutte le prestazioni e le rendite, ivi comprese anche le quote parziali finanziate con i pubblici fondi, tutti gli assegni speciali, i contributi compensativi ed altri assegni, l'assegno francese in questione rientra nella sfera di applicazione del regolamento, giacché è connesso all'invalidità. Dall'art. 6 del regolamento si deve inoltre desumere ch'esso ha surrogato determinate convenzioni in materia previdenziale, tra le quali la convenzione italo-francese del 31 marzo 1948, la convenzione italo-franco-belga del 19 gennaio 1951 e l'allegato 6 febbraio 1960 al protocollo franco-italiano dell'11 gennaio 1957, Inoltre l'art. 10 del regolamento dispone che «salvo quanto diversamente disposto dal presente regolamento, le prestazioni in denaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, … acquisite in base alla legislazione di uno o più Stati membri, non possono subire alcuna riduzione né modifica, né sospensione, né soppressione, né confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel quale si trova l'istituzione debitrice». Stando così le cose, la Caisse régio-nale è obbligata a continuare i versamenti alla Biason anche dopo il 1o ottobre 1972.

Circa il periodo anteriore al 1o ottobre 1972, la Corte d'appello ritiene per contro che la convenzione franco-italiana del 31 marzo 1948 e l'allegato del 6 febbraio 1960 al protocollo franco-italiano dell'11 gennaio 1957 non possono venir applicati, poiché le norme di cui è causa nella fattispecie non sono citate nell'allegato D del regolamento n. 3. Il giudice proponente vedrebbe quindi una possibilità di soluzione solo interpretando — per quel che riguarda tale periodo — l'art. 2, n. 1, lett. b) del regolamento n. 3, in base al quale il regolamento si applica a norme relative alle prestazioni di invalidità, ivi incluse quelle che hanno la funzione di conservare o migliorare i cespiti di guadagno. Quindi nella sentenza 2 marzo 1974 non solo si è ammesso il diritto all'assegno per il periodo successivo al 1o ottobre 1972, ma si è preferito sospendere il procedimento per deferire alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:

«Se la titolare d'una pensione d'invalidità — spettamele per aver prestato lavoro subordinato in un solo Stato membro — dopo aver riscosso un assegno integrativo come residente in quello Stato, possa — in virtù dell'art. 3, n. 1, sub b) del regolamento n. 3, in vigore all'epoca dei fatti in causa —:

pretendere il versamento dell'assegno stesso anche per il periodo 1. 4. 1972—1. 10. 1972, nel corso del quale si è trasferita in Italia;

e continuare a fruire di tale prestazione, a complemento della pensione d'invalidità, nella sua attuale residenza».

Hanno presentato osservazioni in merito il governa della Repubblica francese, il governo italiano e la Commissione CEE. Dal canto mio rileverò quanto segue:

1. 

Dalle memorie del governo francese si desume che la decisione d'appello contro il provvedimento di rinvio è stata a sua volta impugnata in cassazione. Se la cassazione dovesse pronunciarsi annullando la sentenza d'appello, la decisione della Corte di giustizia verrebbe svuotata di contenuto. Sorge quindi il problema del se non sia il caso di sospendere il procedimento di rinvio in attesa della pronunzia della cassazione.

La più recente giurisprudenza ha comunque fornito alla questione una risposta decisamente negativa.

Se la Corte, ancora nella causa 31-68 (SA Chanel contro Cepeha Handelsmaat-schappij NV, sent. 16. 6. 1970; Raccolta 1970, pag. 403) era propensa a sospendere il procedimento pregiudiziale in quanto l'impugnazione del provvedimento di rinvio aveva efficacia sospensiva, non vi è ora più dubbio che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l'impugnazione di provvedimenti di rinvio è assolutamente irrilevante nei confronti del procedimento dinanzi alla Corte di giustizia. Mi richiamo alla sentenza 127-73 (Belgische Radio en Televisie ed altri contro SV SABAM e NV Fo-nior, sent. 30. 1. 1974; Raccolta 1974, pag. 51) nella quale è stato sancito che un procedimento pregiudiziale va proseguito; le uniche eccezioni sono rappresentate dalla revoca o dall'annullamento del provvedimento di rinvio.

Lo stesso criterio va seguito pure ora, poiché il provvedimento di rinvio della Corte d'appello di Parigi né è stato revocato, né è stato annullato. Quindi non vi è ragione di mutare la prassi, dal momento che il provvedimento di rinvio della Corte d'appello di Parigi è tuttora vivo e vitale si deve procedere senza alcuna preoccupazione.

2. 

Il giudice a quo vorrebbe dunque sapere se per il periodo precedente all'entrata in vigore del regolamento 1408/71, vale a dire a norma di quanto dispone il regolamento n. 3 relativo alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti, si deve ritenere che un assicurato, cui spetta una pensione d'invalidità in forza di un'attività remunerata svolta in uno Stato membro e nello stesso Stato abbia anche diritto ad un assegno integrativo, possa continuare a percepire l'intera somma anche nell'ipotesi in cui trasferisca la sua residenza in un altro Stato.

a)

A questo proposito la Commissione ha giustamente sottolineato che è anzitutto necessario analizzare la natura degli assegni versati in Francia ad integrazione della pensione d'invalidità e finanziati dal fondo di solidarietà. Deve cioè stabilirsi — e il risultato ottenuto varrà sia per il regolamento n. 3 che per il regolamento n. 1408/71 — se, nel caso dell'assegno francese di cui trattasi — come sostiene il governo francese — costituisca una prestazione assistenziale, non prevista né dal regolamento n. 3 (art. 2, n. 3), né dal regolamento n. 1408/71 (art. 4, n. 4) oppure se l'assegno — come invece ritengono il governo italiano e la Commissione — almeno sotto alcuni aspetti costituisca una prestazione spettante in caso di invalidità e rientri quindi nella sfera della previdenza sociale disciplinata dagli articoli di cui sopra. La risposta alla questione — come giu stamente sottolineano la Commissione e il governo italiano — è già stata fornita dalla giurisprudenza della Corte.

Particolarmente interessante è il fatto che la Corte, nella causa Frilli c. Stato belga (1-72, sent. 22.6.1972; Raccolta 1972, pag. 457), interpretando il regolamento n. 3 alla luce della disciplina belga ha affermato che alle persone anziane indigenti deve venir garantito un reddito minimo.

In quell'occasione è stato pure sancito che determinate norme nazionali rientrano in ugual misura sia nella sfera assistenziale che in quella previdenziale. La legge belga in esame poteva venir assimilata all'assistenza in quanto, subordinando le prestazioni allo stato di indigenza, prescindeva interamente dallo svolgimento di un'attività professionale, dall'affiliazione o dal versamento di quote periodiche. L'assicurazione ha invece analogia con la legislazione previdenziale in quanto esclude che ogni fattispecie sia analizzata singolarmente e pone i beneficiari tutti sullo stesso piano conferendo loro spettanze assimilabili alle rivendicazioni di cui all'art. 2 del regolamento n. 3 in materia di pensioni di vecchiaia. Poiché però — aggiunge la sentenza — il regolamento n. 3 disciplina tutte le questioni relative alla pensione di vecchiaia e poiché a norma dell'art. 1 lett. s) devono intendersi come prestazioni in senso lato tutte le prestazioni o rendite, ivi comprese le quote finanziate tramite fondi pubblici, aumenti, rivalutazioni ed assegni integrativi, si può ritenere che le «disposizioni legislative che garantiscano a tutti i residenti anziani il diritto a un minimo di pensione rientrano nell'ambito della previdenza sociale disciplinato dall'art. 51 del trattato e dalle norme di attuazione di questo articolo».

È innegabile l'analogia tra tale statuizione e quella di cui alla causa 187-73 (Cal-lemeyn contro Stato belga, sentenza 28. 5. 1974) in materia di concessione di sussidi ai minorati fisici a coloro che già godano di pensioni di invalidità giacché — mutatis mutandis — i criteri possono applicarsi pure al caso degli assegni francesi versati a coloro che — nonostante riscuotano una pensione di vecchiaia o di invalidità — si trovano in condizioni di indigenza.

In questo caso, da un lato si registra un' analogia con il sistema assistenziale, giacché il criterio essenziale è lo stato di indigenza — cioè è stabilito il reddito massimo che serve da parametro per dichiarare lo stato di indigenza — e le prestazioni sono indipendenti dall'attività professionale, dall'applicazione e dal versamento dei contributi e poiché il regresso da parte dell'ente previdenziale nei confronti dei congiunti del beneficiario tenuti al suo sostentamento, dal 1o gennaio 1974 è solo ammesso ora sull'eventuale asse ereditario del beneficiario. Un' analogia con la previdenza sociale d'altro canto si ravvisa nel fatto che le circostanze non vengono valutate di volta in volta secondo un potere discrezionale, anzi la legge conferisce il diritto a prestazioni analoghe a quelle previste come pensioni di vecchiaia e di invalidità ai sensi del regolamento n. 3. Limitandoci alla fattispecie, tenuto conto del fatto che l'art. 2, lett. b) del regolamento n. 3 nonché l'art. 4, lett. b) del regolamento n. 1408/71 menzionano «prestazioni d'invalidità» e poiché le espressioni dell' art. 1, lett. s) del regolamento n. 3 nonché l'art. 1, lett. t) del regolamento n. 1408/71 vanno intese come prestazioni o rendite che comprendono pure ogni quota finanziata tramite fondi pubblici, tutti gli aumenti, i coefficienti correttori e gli assegni supplementari, le norme francesi in materia di concessione di un assegno finanziato tramite il fondo nazionale di solidarietà — almeno nei casi riguardanti lavoratori che sono stati occupati in Francia e cui quindi spetta una pensione di invalidità — rientrano nel campo previdenziale.

Pur se il fatto ha relativamente poca rilevanza, non va dimenticato che le relative disposizioni sono state recepite nel codice previdenziale. Altrettanto notevole è il fatto che il sistema in questione rientra senza possibilità di dubbio nel sistema previdenziale nel senso dell'accordo provvisorio sui sistemi previdenziali e dell'accordo europeo in campo previdenziale.

Per amor di completezza aggiungerò che è inutile ricorrere alla definizione di previdenza sociale tratta dalla letteratura francese ed altrettanto inconferenti sono gli argomenti tratti dalle norme francesi, corroborati da definizioni e disposizioni circa l'organizzazione previdenziale nonché il fatto che l'assegno non è contemplato dagli accordi bilaterali in materia previdenziale. Queste caratteristiche, di indole prettamente nazionale, sono del tutto irrilevanti per il nostro giudizio, che dovrebbe invece basarsi sugli elementi della definizione desumibili dal sistema del diritto comunitario e grazie ai quali è possibile stabilire una delimitazione uniforme in tutti gli Stati membri della sfera d'applicazione dei regolamenti in materia previdenziale.

b)

Se la risposta alla prima parte della questione è relativamente facile, la facilità per la seconda parte è una mera parvenza, trattandosi di stabilire se si possano «esportare» le prestazioni previdenziali del genere di quelle costituite dall' assegno francese, cioè versate anche a chi si trasferisce fuori del territorio francese.

L'art. 10 del regolamento n. 3 stabilisce che le rendite e gli assegni in caso di morte, spettanti in base alle norme di uno o più Stati membri non possono venir ridotte, modificate o abolite, sospese o pignorate, per il solo fatto che l'avente diritto si trova in uno Stato membro diverso da quello ove ha sede l'ente debitore. L'art. 10 prosegue specificando che la disposizione non si applica nel caso delle prestazioni di cui all'allegato E. Le prestazione francesi in questione non figurano nell'elenco, quindi dovrebbero logicamente poter venir «esportate». Analogamente può affermarsi la stessa cosa nei confronti dell'art. 10 del regolamento 1408/71 che recita: «… le prestazioni in danaro per invalidità, vecchiaia o ai superstiti, le rendite per infortunio sul lavoro o per malattia professionale e gli assegni in caso di morte, acquisiti in base alla legislazione di uno o più Stati membri non possono subire alcuna riduzione né modifica né sospensione né soppressione né confisca per il fatto che il beneficiario risiede nel territorio di un altro Stato membro diverso da quello nel quale si trova l'istituzione debitrice». Poiché nemmeno in questo caso il diritto francese prevede norme derogatorie, il caso non presenta difficoltà neppure sotto il profilo del regolamento n. 1408/71.

Come ha dimostrato la Commissione, il giudizio si presenta piuttosto difficile.

Ci si può chiedere se l'imperativo categorico dell'art. 51 del trattato CEE, in virtù del quale il Consiglio istituisce un sistema che garantisce il versamento di prestazioni a soggetti abitanti nel territorio comunitario, cumulativamente inteso dai regolamenti, cioè includendovi sistemi speciali, come gli assegni francesi finanziati dal fondo di solidarietà, sia stato osservato. A mio avviso non è del tutto incoerente il ritenere che — istituendo la possibilità di esportare le prestazioni — si è tenuto conto del fatto che i sistemi di previdenza sociale della maggior parte degli Stati membri avevano lo scopo di garantire determinate risorse immaginabili come prosecuzione dello stipendio percepito in precedenza, cioè avrebbero costituito una soluzione di continuità tra la remunerazione dell'attività lavorativa e le somme versate dagli enti previdenziali. Diversa è la situazione negli Stati in cui un reddito minimo è garantito a tutti gli anziani ed agli inabili al lavoro. Tali sistemi hanno piuttosto un carattere assistenziale, nel quale prevale il principio della solidarietà collettiva, della mutua assistenza sociale. Di conseguenza in questi sistemi che acquistano sempre maggior rilevanza, l'elemento residenza — giacché secondo il diritto comunitario il fattore nazionalità è irrilevante — dovrebbe essere molto importante, giacché in assenza di tale fenomeno di osmosi, uno Stato membro può sospendere i pagamenti, quindi deve intervenire un altro Stato membro, quello cioé nel quale l'interessato ha stabilito la nuova residenza.

Non bisogna poi dimenticare che l'applicazione del principio della «esportabili tà» delle prestazioni di cui trattasi può presentare difficoltà non indifferenti, in quanto in uno Stato diverso è necessario valutare l'entità del reddito, il che presuppone una stretta collaborazione tra le due amministrazioni nazionali e può rendersi necessario un regresso nei confronti dei congiunti tenuti a versare gli alimenti nell'uno o nell'altro Stato e se le prestazioni sono dovute in più Stati, si deve effettuare una ripartizione proporzionale. Le norme comunitarie non hanno finora previsto alcuna disciplina in questo senso.

Ciò premesso, mi sarà lecito concludere che un'applicazione indiscriminata delle possibilità di «esportazione» previste dall'art. 10 del regolamento n. 3 e n. 1408/71 non è possibile sistematicamente in caso di prestazioni assicurative o di aiuti assistenziali per garantire un minimo di mezzi d'esistenza. La Commissione ha crudamente esposto le brutali conseguenze di un simile principio: il principio dell'art. 10 non deve conoscere alcun limite, nemmeno nei confronti delle prestazioni analoghe a quelle di cui è causa.

Vi è una riserva, già prospettata nella sentenza Frilli; cioè quella che segue la constatazione che i tribunali hanno il diritto e il dovere «di garantire la tutela dei lavoratori migranti ogniqualvolta ciò sia possibile, nel rispetto dei principi contenuti nelle norme comunitarie di carattere sociale» ed è insita nei termini «senza tuttavia sconvolgere il sistema legislativo interno».

Sotto questo aspetto si potrebbe forse pensare di attribuire rilevanza al fatto che, a norma dell'allegato E del regolamento n. 3 l'assegno francese versato ai vecchi lavoratori rientra nel novero delle prestazioni che non vengono versate all' estero e quindi potrebbe apparire assurda ogni deroga per un assegno finanziato tramite il fondo di solidarietà, che viene ad aumentare la pensione di vecchiaia talvolta insufficiente. Comunque non è il caso di approfondire la questione, giacché non ha alcuna rilevanza per il processo di merito.

Bisogna infatti tener conto — dal momento che il procedimento di merito è di tipo particolare e verte sul versamento di una pensione di invalidità del fatto che, nel caso di assicurazione contro l'invalidità, la durata dell'assicurazione o la durata del soggiorno in un determinato paese non hanno gli stessi effetti sulle spettanze di pensione che hanno invece sulla pensione di vecchiaia. Questa circostanza ci consente — facendo richiamo alla riserva sollevata nella sentenza Frilli — di applicare l'art. 10 del regolamento comunitario, nonché sfruttare le possibilità di «esportazione» che esso offre, almeno in un caso vertente sul versamento di assegni ad un lavoratore, problema che si innesta sul fatto che il lavoratore già percepisce una pensione di invalidità in virtù dell'esercizio di una precedente attività lavorativa svolta in uno Stato membro e che risiedeva in questo Stato al momento in cui si è verificato l'evento accidentale. Questo è il criterio più logico per evitare — come ad un certo punto si è temuto di dover fare — un rivoluzionamento del sistema francese nel senso della sentenza Frilli e contemporaneamente si renderebbe possibile, nell'interesse della tutela dei lavoratori migranti, un'ampia interpretazione dei regolamenti n. 3 e n. 1408/71. Questa dovrebbe essere la risposta alla seconda parte della questione.

3. 

Concludendo propongo la seguente risposta complessiva :

Un assegno versato a norma della legislazione di uno Stato membro, che garan tisce agli abitanti di un paese inabili al lavoro un minimo di pensione di invali dita, se gli interessati sono lavoratori migranti ai sensi dei regolamenti n. 3 e n. 1408/71 e percepiscono una pensione di invalidità nello Stato membro interessato, va considerata prestazione di invalidità ai sensi dell'art. 2, n. 1, lett. b) de regolamento n. 3 e dell'art. 4, n. 1, lett. b) del regolamento n. 1408/71. Se, al momento dell'evento accidentale l'interessato risiedeva nello Stato in cui ha pure sede l'ente previdenziale debitore, non è lecito abolire tale assegno a norma dell'art. 10 dei regolamenti n. 3 e n. 1408/71 qualora tale residenza venga poi spostata in un altro Stato membro.


( 1 ) Traduzione dal tedesco.

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