Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 61972CC0070

Conclusioni dell'avvocato generale Mayras del 19 giugno 1973.
Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania.
Sovvenzioni per la riconversione delle regioni minerarie.
Causa 70-72.

Raccolta della Giurisprudenza 1973 -00813

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1973:64

CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE HENRI MAYRAS

DEL 19 GIUGNO 1973 ( 1 )

Signor Presidente,

Signori Giudici,

I — Introduzione

Benché la realizzazione del mercato comune implichi, in diversi settori, l'attuazione di una politica economica unitaria, e renda di conseguenza necessari taluni interventi dirigistici delle istituzioni nella vita economica, resta il fatto che il trattato di Roma, informato ad una concezione liberale, si fonda sul principio del libero gioco della concorrenza.

L'azione della Comunità deve tendere, secondo l'art. 3, lettera f), del trattato, alla «creazione di un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune».

Questo principio — in forza del quale sono vietate le intese, cioè gli accordi fra imprese e le pratiche concordate, che impediscano, restringano o alterino il gioco della concorrenza (art. 85), come pure l'abuso di posizioni dominanti (art. 86) — si applica anche nei confronti degli Stati membri. Non è infatti raro che i governi intervengano nella vita economica nazionale, fra l'altro a sostegno di talune imprese o categorie d'imprese, in ragione della loro situazione geografica o del loro tipo di attività. Sia nel caso degli aiuti di carattere regionale, sia in quello degli aiuti settoriali, l'azione dello Stato può influire sulla concorrenza, alterando l'equilibrio economico naturale tra le imprese e, di conseguenza, falsando la regolarità della competizione concorrenziale tra i produttori in lizza sul mercato unico.

Tuttavia, taluni aiuti statali possono apparire necessari, nell'interesse generale, per lo sviluppo di determinate attività regionali o settoriali, o risultare indispensabili per la sopravvivenza di determinate attività che i mutamenti tecnologici tendono a far sparire. Ora, è quanto meno comprensibile e giustificato che i pubblici poteri concedano un aiuto temporaneo, destinato a facilitare l'adattamento o, come si dice, la riconversione di settori produttivi colpiti da recessione di origine strutturale.

Perciò, pur affermando il principio secondo cui sono incompatibili col mercato comune «gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza», l'art. 92 del trattato attenua tale principio attraverso molteplici deroghe.

Quest'articolo contiene le norme fondamentali su cui è basato il regime comunitario degli aiuti statali.

Le modalità d'attuazione sono fissate nell'art. 93, il quale stabilisce il procedimento secondo cui le istituzioni comunitarie (Consiglio e Commissione) devono agire in questo campo e definisce i loro poteri nei confronti degli Stati.

Avete già avuto occasione di pronunciarvi, anche di recente, in merito alla compatibilità col trattato di certi provvedimenti adottati dagli Stati membri in materia di aiuti. La presente causa vi dà modo di occuparvi dell'aspetto formale degl'interventi della Commissione, e di precisare così i limiti della sua competenza.

II — Sistema dell'art. 93 del trattato

Mi sembra indispensabile prendere fin d'ora in esame il contenuto dei poteri della Commissione e il modo in cui essi vanno esercitati.

L'art. 93 del trattato distingue in proposito due ipotesi radicalmente diverse:

Al n. 1, esso contempla i regimi d'aiuti vigenti negli Stati membri, nei confronti dei quali la Commissione dispone unicamente di un potere d'accertamento e d'iniziativa. Una volta effettuato, in contraddittorio con lo Stato interessato, l'esame di un regime di aiuti del genere, essa può infatti, in un primo momento, proporre a detto Stato i provvedimenti richiesti dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato comune. Si tratta, in tal caso, di semplici «raccomandazioni» ai sensi dell' art. 189, ultimo comma, del trattato, prive di forza vincolante per il destinatario.

Il n. 2 dello stesso articolo ha portata molto più ampia, poiché attribuisce alla Commissione un potere d'ingiunzione e di decisione, cui fa riscontro la facoltà di adire direttamente la Corte di giustizia. Se l'analisi condotta dalla Commissione mette in luce che un regime di aiuti non è compatibile sol mercato comune, in altri termini, se per la Commissione un aiuto si rivela «sospetto» essa può ricorrere ad un procedimento che si instaura rendendo nota la situazione sia agli Stati, sia agli altri interessati (e perciò alle persone fisiche o giuridiche interessate, a qualunque titolo, al regime di aiuti), per consentire a tutti di presentare le proprie osservazioni.

Se il tenore delle osservazioni presentale è tale da persuadere la Commissione che l'aiuto è incompatibile col mercato comune, l'istituzione comunitaria mediante decisione invita lo Stato interessato ad abolirlo o modificarlo nel termine da essa fissato. Questa decisione ha carattere definitivo. Lo Stato che non intenda ottemperare a questo invito, può adire la Corte chiedendo l'annullamento della decisione, impugnandola cioè nei termini previsti dall'art. 173 del trattato. L'acquiescenza esclude ogni diritto successivo a contestare la legittimità del provvedimento, nonché la facoltà di sollevare eccezioni di illegittimità dinanzi alla Corte, ammessa solo nei confronti dei regolamenti in virtù dell'art. 184.

È vero che, nella sentenza 10 dicembre 1969 (Repubblica francese/Commissione, Racc. 1969, pagg. 523-540) avete ammesso la possibilità di derogare a questo principio nel caso in cui il vizio denunciato dallo Stato interessato sia talmente grave da rendere eventualmente la decisione «del tutto priva di fondamento giuridico sotto il profilo comunitario». Ciò costituisce però un'ipotesi eccezionale.

Se quindi, non avendo impugnato tempestivamente la decisione, lo Stato non vi si adegua entro il termine impartitogli, la Commissione — come pure qualsiasi altro Stato interessato — può adire direttamente la Corte di giustizia.

L'art. 93, n. 2, istituisce così una forma particolare di ricorso per inadempimento, identica negli effetti al ricorso contemplato dagli artt. 169 e 170. Vi è però una differenza sotto il profilo procedurale, poiché la Commissione non deve esprimere un parere motivato prima di adire la Corte. Il ricorso diretto si giustifica, in tal caso, col fatto che la Commissione, mediante la notifica, ha già dato modo allo Stato di cui trattasi, come del resto agli altri soggetti interessati, di presentare le proprie osservazioni. Viene quindi rispettato il principio del contraddittorio nella fase precontenziosa.

Inoltre, al Consiglio viene conferito un potere eccezionale. Esso, infatti, deliberando all'unanimità, su richiesta di uno Stato membro, può decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, deve considerarsi compatibile col mercato comune, in deroga a quanto disposto dall'art. 92, qualora esso sia giustificato da circostanze eccezionali.

Mi sembra tuttavia risultare chiaramente dalla lettera stessa dell'art. 93, n. 2, 3o comma, che questo appello, o piuttosto questo «ricorso gerarchico» al Consiglio, va proposto prima che la Commissione abbia dato inizio al procedimento per l'abolizione o la modifica dell'aiuto considerato, o comunque prima che la Commissione si sia pronunciata in merito. Il ricorso al Consiglio implica infatti la sospensione del procedimento, qualora esso abbia già avuto inizio. La disposizione in tal senso non avrebbe alcun significato qualora lo Stato potesse sempre ricorrere al Consiglio dopo la decisione adottata dalla Commissione in esito al procedimento stesso.

D'altra parte, l'effetto sospensivo è limitato: se il Consiglio non si pronuncia entro tre mesi dalla data della domanda, la Commissione delibera, giacché in questo caso non vi sono più ostacoli all'esercizio del suo potere.

Infine, ammesso che al Consiglio si possa ricorrere anche dopo la decisione della Commissione, come conciliare l'intervento del Consiglio (essenzialmente basato su criteri di opportunità) col diritto della Commissione di adire la Corte di giustizia per far accertare un inadempimento? È impensabile che gli autori del trattato abbiano potuto ammettere l'eventualità di un conflitto tra una decisione del Consiglio, basata sulla valutazione di circostanze eccezionali, che giustifichino una deroga all'art. 92, ed una sentenza della Corte, la quale non può fondarsi che su un'autonoma interpretazione della stessa disposizione del trattato.

Dal sistema istituito dall'art. 93, n. 2, per gli aiuti esistenti risulta infine che, se la Commissione ha il potere di pronunciarsi sulla compatibilità o meno di un aiuto col mercato comune, le sue decisioni in merito hanno però effetto solo per il futuro. D'altra parte, secondo un principio giuridico generale comunemente ammesso dagli Stati membri e da questa Corte, esse non possono avere effetto retroattivo. Le decisioni di questo tipo hanno carattere costitutivo, non già dichiarativo. È la decisione stessa, ed essa soltanto, che sancisce il divieto di concedere l'aiuto o l'obbligo di modificarlo.

Una diversa interpretazione dell'art. 93 porterebbe ad ignorare i diritti quesiti dei terzi, distruggerebbe la certezza del diritto, creerebbe infine insormontabili difficoltà di applicazione.

La situazione è ben diversa quando la Commissione si trova di fronte ad un progetto per l'istituzione di un aiuto o per la modifica di un aiuto esistente. Poiché un semplice progetto non può far sorgere diritti soggettivi, si è ritenuto possibile attribuire in tal caso alla Commissione il potere eccezionale di vietare l'attuazione dei provvedimenti progettati, qualora ritenga ch'essi siano incompatibili col mercato comune, ai sensi dell' art. 92.

Non basta, tuttavia, che la Commissione «ritenga» il progetto incompatibile col mercato comune ed esprima le sue riserve allo Stato che ne è l'autore. Per formarsi un'idea più precisa, essa deve inoltre raccogliere le osservazioni degli «interessati», dando una certa pubblicità alla sua intenzione di vietare eventualmente l'attuazione del progetto o di pretenderne la modifica. La Commissione ha perciò il dovere di iniziare, senza indugio, il procedimento di cui all'art. 93, n. 2, cioè di ingiungere agli Stati e agli altri interessati di presentare le loro osservazioni. È solo questa ingiunzione che ha effetto sospensivo: essa dà luogo ad una vera e propria sospensione dell'esecuzione fino a che il procedimento sia giunto alla fase della decisione finale.

Questo sistema implica, a mio parere, che la Commissione, una volta instaurato il procedimento, è sempre tenuta ad adottare una decisione, per vietare definitivamente l'attuazione dei provvedimenti in progetto, ovvero subordinare la loro attuazione a determinate modifiche o adattamenti, o anche ammettere, in seguito ad un più approfondito esame, la compatibilità dell'aiuto col mercato comune. Qualora la Commissione indugiasse troppo prima di pronunciarsi, e paralizzasse così indefinitamente l'attività dello Stato interessato, penso che questo potrebbe proporre nei suoi confronti un ricorso per carenza.

III — Gli antefatti

Vorrei, ora, esporre le circostanze in cui la Commissione ha ritenuto necessario agire, in forza dell'art. 93, n. 2, contro la Repùbblica federale di Germania, alla quale essa fa carico di non aver ottemperato a una decisione che la invitava a sospendere un regime di aiuti agli investimenti.

Il 15 maggio 1968 veniva promulgata la cosiddetta «legge sul carbone» («Kohlegesetz»).

Questa legge prevede, da un lato, un'azione di risanamento dell'industria carbonifera allo scopo di evitare la recessione economica delle zone colpite dalla crisi del carbone, e di ovviare alla disoccupazione derivante dalla chiusura di alcune miniere; dall'altro, interventi intesi a favorire, nelle stesse zone, la creazione, l'ampliamento o il trasferimento d'imprese industriali, per incrementarvi l'occupazione e rendere possibile una diversificazione delle strutture economiche, fino a quel momento esclusivamente basate sullo sfruttamento delle miniere.

In particolare, il § 32, 1o comma, della suddetta legge istituisce un premio d'investimento per i contribuenti, persone fisiche o imprese, che procedano all'impianto o all'ampliamento di un'azienda industriale in una zona carbonifera. L'aiuto non si presenta come una sovvenzione diretta, ma consiste in una riduzione dell'imposta sul reddito o dell'imposta sulle società, pari al 10 % degli investimenti effettuati.

La riduzione è concessa solo a condizione che il delegato federale per l'industria carbonifera, alto funzionario alle dirette dipendenze del ministro dell'economia, abbia certificato — d'intesa col governo del Land interessato — che l'impianto o l'ampliamento contribuisce a migliorare la struttura economica della zona mineraria considerata e, in genere, presenta interesse per l'economia nazionale. Qualora l'impianto o l'ampliamento dell' azienda sia conseguenza del trasferimento di un'impresa, è inoltre richiesta la creazione di un congruo numero di nuovi posti di lavoro.

Il crisma ufficiale all'investimento si appone con il rilascio di un «certificato», che va prodotto dinanzi all'amministrazione fiscale onde ottenere la detrazione d'imposta proporzionale all'entità dell' investimento.

La domanda per ottenere il certificato può essere anteriore all'investimento (nel qual caso il certificato sarà eventualmente rilasciato previo esame del progetto, da cui devono risultare con sufficiente precisione la località prescelta per installarvi l'azienda, la natura e il volume dell' investimento); ma essa può anche essere inoltrata durante i lavori di realizzazione del progetto, ovvero ad opera compiuta.

Infine, e questo è un punto decisivo, la riduzione dell'imposta è concessa, secondo il § 32 della legge 15 maggio 1968, solo per gli investimenti effettuati durante il cosiddetto «periodo d'incoraggiamento», cioè per il periodo 30 aprile 1967 - 1o gennaio 1970. Qualora l'impianto o l'ampliamento di un'azienda industriale sia stato intrapreso nel suddetto periodo, lo sgravio fiscale viene concesso tuttavia, entro certi limiti, anche per gl'investimenti effettuati nel biennio successivo, onde proseguire e portare a termine i lavori.

Questo regime di premi agl'investimenti ha incontestabilmente il carattere di un «aiuto statale» ai sensi dell'art. 92: inteso a favorire l'impianto o l'ampliamento di aziende industriali, esso consiste in una riduzione dell'onere fiscale a carico delle imprese e quindi si basa su risorse statali.

Il governo federale se ne rendeva d'altra parte perfettamente conto, poiché fin dal 1967, quando il Kohlegesetz era ancora nella fase di disegno di legge, esso ne informava la Commissione delle Comunità europee, come gli era imposto dall'art. 93, n. 3, del trattato.

La Commissione non aveva allora sollevato alcuna obiezione in merito all'istituzione dell'aiuto, almeno in quanto il provvedimento doveva essere applicato per un periodo limitato.

Tenuto conto della crisi esistente in quel momento nell'industria del carbone, delle difficoltà di smercio del prodotto, dello sfavorevole andamento dei redditi nelle zone carbonifere rispetto al resto del territorio federale, nonché della necessità di creare circa 20000 nuovi posti di lavoro durante il «periodo d'incoraggiamento», la Commissione giungeva alla conclusione che era logico introdurre un simile regime di aiuti, inteso ad ovviare ai gravi inconvenienti di carattere economico e sociale che la forte recessione nel più importante settore d'attività creava nella struttura economica di tali zone.

Essa trovava soddisfacenti le modalità stabilite per la concessione dell'aiuto:

si voleva compiere un notevole sforzo per il risanamento del settore in difficoltà;

l'aiuto era «trasparente», cioè valutabile in relazione all'investimento, e selettivo, in quanto — trattandosi di un premio corrisposto sotto forma di sgravio fiscale — ne avrebbero fruito solo le imprese aventi un bilancio in attivo e quindi, in linea di principio, competitive;

infine, le zone carbonifere erano delimitate in modo chiaro e preciso.

Il regime dei premi agl'investimenti nelle zone carbonifere veniva quindi attuato — dopo l'entrata in vigore del Kohlegesetz — col pieno accordo della Commissione.

Un anno dopo, il governo federale presentava al Bundestag un disegno di legge relativo alla modifica delle imposte, il quale prevedeva fra l'altro vari interventi di portata generale in materia di aiuti agli investimenti per le regioni limitrofe della «zona orientale» e per altre regioni depresse.

Il testo originario del progetto non implicava alcuna modifica del Kohlegesetz. In sede di riesame dinanzi al Bundestag, la commissione finanze dell'organo legislativo tedesco sollevava però il problema dell'applicazione del provvedimento in discussione alle zone minerarie. Essa riteneva, di concerto con la commissione affari economici, che per tali zone — esclusa la Saar — fosse sufficiente prorogare di due anni il termine vigente per lo specifico regime di aiuti a norma del § 32 del Kohlegesetz. Sotto forma di emendamento al disegno di legge governativo, le due commissioni proponevano quindi di prorogare al 1o gennaio 1972 il «periodo d'incoraggiamento» che avrebbe dovuto scadere il 1o gennaio 1970. Di conseguenza, il «periodo complementare», durante il quale potevano ancora fruire dello sgravio fiscale gl'investimenti relativi all'impianto o all'ampliamento di un'azienda industriale o commerciale, veniva anch'esso prorogato di due anni, con scadenza al 31 dicembre 1973.

L'emendamento, approvato in sede di riesame dal Bundestag, diveniva l'art. 9 del disegno di legge per la modifica delle imposte, che veniva poi approvato anche dal Bundesrat il 10 luglio 1969.

Alcuni giorni dopo, il 16 luglio, il governo federale ne dava notizia alla Commissione delle Comunità europee.

Reagendo immediatamente alla comunicazione, questa faceva osservare ch'essa avrebbe dovuto essere informata in tempo, fin dal momento in cui era stato presentato l'emendamento, dell'intenzione di modificare il § 32 del Kohlegesetz. Essa si limitava comunque a chiedere alla Repubblica federale di farle conoscere «le circostanze e i motivi della proroga».

A ciò veniva risposto (ma solo in data 1o ottobre) che inizialmente il governo federale non aveva previsto alcuna modifica del § 32 del Kohlegesctz; la proroga del «periodo d'incoraggiamento» era dovuta ad iniziativa parlamentare, e quindi la Commissione non aveva potuto essere informata che dopo l'approvazione dell' emendamento.

Nel frattempo, il 18 agosto 1969, era stata promulgata la nuova legge fiscale. Pubblicata nel Bundesgesetzblatt il 21 agosto, essa entrava in vigore il giorno successivo, il che veniva ufficialmente confermato alla Commissione in data 19 settembre.

Dalla Commissione abbiamo sentito ch'essa cercò di ottenere dal governo federale tutti i necessari chiarimenti in merito alla proroga del regime dei premi agl'investimenti nelle zone carbonifere.

Nessuna delle indicazioni fornite — non senza reticenza, a quanto pare — la convinse del fatto che il mantenere indiscriminatamente in vigore detti aiuti specifici fosse compatibile col mercato comune. Anzi, uno studio più approfondito la portò a constatare che la situazione economica e sociale nelle zone carbonifere erà migliorata e che il livello di occupazione era divenuto soddisfacente, in particolare nella zona Renania settentrionale — Vestfalia. In due anni erano state create varie decine di migliaia di posti di lavoro; la disoccupazione era stata in gran parte arginata. Le conseguenze della crisi del carbone, benché non ancora completamente neutralizzate, si erano però molto attenuate.

Evitando di sollevare la questione della proroga del regime di aiuti per le zone carbonifere diverse dalla Renania settentrionale — Vestfalia (nelle quali altri problemi locali si sovrapponevano a quelli della recessione nel settore minerario), la Commissione riteneva dunque che nel suddetto Land la concessione indiscriminata dei premi d'investimento non fosse più giustificata.

Il 30 luglio 1970, avvalendosi dei poteri attribuitile dall'art. 93, n. 2, essa comunicava perciò al governo federale che, dal 1o dicembre successivo, nella Renania settentrionale — Vestfalia non si sarebbero più potuti concedere indiscriminatamente i premi d'investimento di cui al § 32 del Kohlegesetz; il governo tedesco era inoltre invitato a presentare le sue osservazioni nel termine di 6 settimane.

Lo stesso invito veniva rivolto agli altri Stati membri. Quanto ai singoli interessati al regime d'aiuti in questione, con una comunicazione pubblicata il 14 agosto 1970 nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee si chiedeva anche ad essi di esprimere il loro parere.

Il governo tedesco presentava le sue osservazioni in seguito a tale ingiunzione solo il 5 novembre 1970.

È solo il 14 febbraio 1971, cioè sei mesi dopo l'inizio del procedimento, presa conoscenza di tutte le risposte degli interessati, la Commissione emanava la decisione il cui art. 1 ordina alla Repubblica federale di adottare «senza indugio» tutti gli opportuni provvedimenti per sospen dere, nelle zone carbonifere della Renania settentrionale — Vestfalia, la concessione indiscriminata dei premi agli investimenti, di cui al § 32, 1o comma, della legge sull'adattamento e sul risanamento delle miniere di carbon fossile e dei bacini carboniferi tedeschi, modificato dall' art. 9 della legge fiscale 18 agosto 1969.

Nella motivazione della decisione (parte V) vengono precisati due punti che servono a determinarne la portata:

in primo luogo, la concessione degli aiuti di cui al § 32 del Kohlegesetz, nella nuova versione, doveva essere soltanto sospesa finché non fosse garantita l'applicazione di un criterio selettivo;

inoltre, le imprese che, in epoca anteriore alla decisione, avessero ottenuto un attestato dal delegato federale per l'industria carbonifera avrebbero comunque usufruito del «periodo complementare» di cui al § 32, 1o comma, seconda frase, del Kohlegesetz, cioè avrebbero potuto effettuare le detrazioni fiscali relative ad investimenti realizzati dopo il 1o gennaio 1970, purché attinenti all'impianto o all'ampliamento di un'azienda intrapreso prima di tale data.

Nella lettera con cui veniva notificata la decisione, la Commissione proponeva poi al governo federale di intavolare una discussione per definire i criteri di selezione, economici e geografici, la cui applicazione avrebbe reso il regime di aiuti compatibile col mercato comune.

In seguito ad una riunione tenutasi a Bruxelles il 4 maggio 1971, il governo tedesco avanzava su questo punto delle proposte che, dopo esame e discussione, la Commissione accettava con lettera 16 dicembre 1971.

Secondo questa lettera, la concessione dei premi d'investimento in determinate circoscrizioni (Landkreise) e in talune città considerate isolatamente era subordinata a determinati presupposti:

nel 1969, doveva essere ancora occupato nelle miniere di carbon fossile oltre il 20 % della manodopera del settore industriale e il reddito lordo per abitante, nell'ambito della circoscrizione, doveva essere inferiore del 10 % alla media del Land;

ovvero dovevano essere già stati adottati provvedimenti di risanamento dell'industria carbonifera (chiusura di pozzi), ma non essere ancora stati posti in atto oppure provvedimenti del genere dovevano essere adottati entro il 31 dicembre 1971.

In tal modo, il regime «selettivo» di aiuti preannunciato dalla decisione 17 febbraio 1971 poteva essere definito in modo concreto e preciso soltanto alla fine dello stesso anno.

A partire da quel momento, il governo della Repubblica federale si atteneva — secondo quanto viene ammesso dalla stessa Commissione — ai criteri di selezione da questa elaborati. Esso non ha mai contestato il principio dell'incompatibilità col mercato comune del regime indifferenziato di aiuti per l'intero territorio del Land Renania settentrionale — Vestfalia, né la legittimità della decisione della Commissione.

Stando così le cose, può sembrare a prima vista alquanto strano che la Commissione abbia ritenuto di dover ricorrere a questa Corte.

Le difficoltà manifestatesi non riguardano il merito della questione, ma unicamente l'interpretazione e l'applicazione, nel tempo, della decisione 17 febbraio 1971.

L'inadempimento di cui la Commissione fa carico alla Repubblica federale di Germania consiste nell'aver questa continuato — dopo il 24 febbraio 1971, data in cui aveva ricevuto notifica della decisione — a concedere aiuti per gl'investimenti effettuati nell'intero territorio del Land Renania settentrionale — Vestfalia successivamente al 1o gennaio 1970, quando cioè il «periodo d'incoraggiamento» originariamente fissato dal § 32 del Kohlegesetz era ormai scaduto.

La ricorrente vi chiede inoltre di statuire che la Repubblica federale di Germania è tenuta a ripetere i premi corrisposti in base a certificati rilasciati dopo il 24 febbraio 1971, a meno che gli investimenti sovvenzionati abbiano avuto inizio entro il 20 agosto 1970, ovvero la domanda di attestato per la concessione del premio sia stata presentata entro tale data.

Per spiegare la scelta di questa data ultima si adduce che gli investitori interessati avevano dovuto essere debitamente informati, mediante la comunicazione pubblicata il 14 agosto 1970 nella Gazzetta ufficiale delle Comunità, del fatto che la proroga di un regime di aiuti non selettivo era in contrasto con la disciplina del mercato comune.

IV — Esame della situazione giuridica

Prima di prendere in esame gli argomenti svolti dalle parti, mi sembra opportuno, per chiarire i termini della discussione, analizzare, alla luce dell'art. 93 del trattato, la situazione giuridica che risulta dai fatti testé esposti.

Il 16 luglio 1969, allorché il governo tedesco comunicava alla Commissione che il Parlamento federale aveva approvato l'emendamento relativo alla proroga del regime di premi agl'investimenti istituito dal § 32 del Kohlegesctz, la ricorrente era posta di fronte ad un progetto di modifica di un aiuto sancito per legge (art. 93, n. 3, prima frase).

Da un lato, è certo che il carattere temporaneo dell'aiuto ai bacini carboniferi costituiva un elemento essenziale, che del resto, nel 1967, aveva indotto la Commissione a considerare detto regime compatibile col mercato comune; di conseguenza, l'opposizione della Commissione alla proroga del regime per altri due anni era giustificata, trattandosi di una sostanziale modifica del sistema precedente. D'altro lato, benché l'emendamento fosse stato già votato alla data in cui la ricorrente ne veniva informata, la legge stessa non era stata ancora promulgata, né pubblicata.

A mio avviso, quindi, là Commissione avrebbe potuto valersi del potere conferitole dall'art. 93, n. 3, seconda frase, dando immediatamente inizio al procedimento contemplato dal numero precedente, e cioè intimando, non solo alla Repubblica federale, ma anche agli altri Stati membri a a tutti gl'interessati, di presentare le loro osservazioni. Essa avrebbe in tal modo bloccato l'iter della legge tedesca, e alla Repubblica federale sarebbe stato giuridicamente vietato di dare esecuzione ai provvedimenti in progetto, finché non fosse intervenuta la decisione con cui si concludeva il procedimento.

La Commissione, però si limitava a rivolgere alla Repubblica federale delle «rimostranze» formali, ed iniziava il dialogo chiedendo precisazioni e giustificazioni. Questo comportamento, sottratto ad ogni pubblicità, non poteva giuridicamente dar luogo a sospensione dell'esecuzione.

Promulgata e pubblicata, il 22 agosto 1969 la legge fiscale, il cui art. 9 stabiliva la proroga del regime dei premi d'investimento nelle zone carbonifere, diventava esecutiva. Volente o nolente, la Commissione si trovava ormai di fronte ad un effettivo «aiuto esistente», ai sensi dell'art. 93, n. 1.

A questa tesi si potrebbero opporre due obiezioni, che ritengo vadano però respinte:

a)

Sarebbe possibile qualificare come «progetto» un testo, già approvato dalle Camere nel momento in cui ne veniva informata la Commissione? Secondo la Legge fondamentale, il presidente della Repubblica federale non ha la facoltà — a quanto pare — di rifiutare la promulgazione di una legge adottata dal Parlamento. Tuttavia, la legge fiscale del 1969 non era ancora perfetta quando ne veniva data comunicazione alla Commissione, in quanto non era esecutiva. Il governo federale non avrebbe quindi potuto, a mio avviso, attribuire la prevalenza alla propria norma costituzionale rispetto alle prescrizioni del trattato. Il primato del diritto comunitario avrebbe imposto la sospensione dell'esecuzione, purché tuttavia la Commissione avesse instaurato senza indugio il procedimento avente effetto sospensivo, di cui all' art. 93, n. 3.

b)

Il governo tedesco non avrebbe da parte sua violato l'obbligo impostogli da questa norma del trattato, informando troppo tardi la Commissione, e cioè quando l'emendamento era già stato approvato? Non avrebbe potuto effettuare la notifica fin dal momento in cui la commissione finanze del Bundestag aveva sollevato il problema della proroga? Questa obiezione non è forse infondata. Tuttavia il comportamento del governo tedesco mi sembra giuridicamente irrilevante. È la Commissione che avrebbe dovuto invece agire senza indugio per far accertare l'inadempimento dell'obbligo d'informaziane «in tempo utile». Essa non lo ha fatto.

Così pure, per instaurare — come abbiamo detto — il procedimento ex art. 93, n. 3, intimando a tutti gl'interessati di presentare le proprie osservazioni, la Commissione ha avuto in realtà un mese di tempo, sufficiente, mi pare, allo scopo. Bastava che la proroga le sembrasse «sospetta», per poter iniziare il procedimento e, al tempo stesso garantire la sospensione dell'esecuzione. Ci sarebbe poi stato tutto il tempo necessario per informarsi, studiare le incidenze del progetto ed adottare, dopo matura riflessione, una decisione finale.

Non essendosi valsa del suddetto potere, la ricorrente non poteva far altro che ripiegare sul sistema del controllo degli «aiuti concessi». Ed è quello ch'essa ha fatto, procedendo comunque con piedi di piombo, dato che solo un anno circa dopo la pubblicazione della legge, il 14 agosto 1970, essa si risolveva infine ad agire effettuando la comunicazione agl' interessati.

È pacifico quindi — e la Commissione non lo nega — che il problema giuridico sottopostovi s'inquadra nel sistema dell'art. 93, n. 2, il che ha importanza decisiva per la soluzione della controversia.

V — Il problema del termine stabilito dall'art. 93, n. 2, per l'attuazione di una decisione della Commissione

Alla domanda della ricorrente, il governo della Repubblica federale oppone quella ch'esso definisce una prima eccezione d'irricevibilità, basata sul fatto che, nella decisione 17 febbraio 1971, la Commissione non gli aveva impartito alcun termine per sospendere la concessione indiscriminata dei premi agl'investimenti nella Renania settentrionale — Vestfalia. La fissazione espressa di un termine costituirebbe un presupposto indispensabile perché la Commissione possa proporre senz'altro alla Corte un ricorso per inadempimento.

In verità, Signori, non ritengo che la questione cosi sollevata si ponga in termini di ricevibilità del ricorso. Essa riguarda invece, in sostanza, l'efficacia vincolante o meno della decisione della Commissione.

La tesi della Repubblica federale consiste nel sostenere che, in mancanza di un termine, espresso in unità di tempo, la decisione era imperfetta, in quanto difettava di un elemento essenziale. Poiché, secondo la lettera del trattato, la Commissione stabilisce il termine entro il quale lo Stato interessato deve abolire o modificare il regime di aiuti ritenuto incompatibile col mercato comune, da qual momento si potrebbe muovere una censura d'inadempimento dell'obbligo di ottemperare alla decisione, se non è stato fissato alcun termine?

Questa tesi, fondata su un'interpretazione strettamente letterale, è valida solo in apparenza. Essa non tiene conto di due considerazioni:

La prima, anch'essa basata sul tenore letterale, riguarda la decisione stessa. Nella versione francese, la Commissione ingiungeva alla Repubblica federale di Germania di sospendere «sans délai» la concessione indifferenziata di premi agl'investimenti; il testo tedesco usa l'espressione «unverzüglich», che a mio avviso si potrebbe tradurre meglio in francese con «sans retard», il che significa semplicemente che lo Stato destinatario della decisione doveva fare il possibile per metterla in atto al più presto.

La seconda considerazione parte dal sistema generale dell'art. 93, n. 2. La decisione che la Commissione deve adottare circa l'incompatibilità di un regime di aiuti col mercato comune rappresenta — ricordiamolo — l'atto finale di un procedimento contraddittorio. Essa è preceduta dalla notifica destinata a sollecitare le osservazioni degli Stati e degli altri interessati; queste osservazioni vengono esaminate dalla Commissione; esse vengono discusse, quasi sempre, col governo interessato. Questo, già messo sull'avviso dalla notifica, nel corso della discussione ha modo di conoscere meglio l'atteggiamento della Commissione.

Se quindi l'art. 93, n. 2, impone che venga stabilito un termine entro il quale lo Stato deve ottemperare alla decisione, spetta esclusivamente alla Commissione il fissare detto termine, tenendo conto del tempo necessario per adottare i provvedimenti interni relativi all'attuazione della decisione (Mégret, Vol. IV, pag. 393). In altre parole, la Commissione dispone, in materia, di un ampio potere discrezionale. Se la modifica di un regime di aiuti richiede, ad esempio, l'emanazione di una legge, sarà evidentemente necessario un termine abbastanza lungo per consentire di giungere alla conclusione dell'iter legislativo. Se invece la decisione può essere attuata mediante semplici provvedimenti amministrativi, che possono essere adottati immediatamente, non si vede perché la Commissione non dovrebbe pretendere ch'essi vengano adottati il più presto possibile o, almeno, senza remore ingiustificate.

Ora, nella fattispecie, si realizzava quest' ultima ipotesi. Il § 32 della legge sul carbone prescriveva tassativamente che gli investitori dovevano ottenere il certificato. Per sospendere la concessione dei premi era quindi sufficiente che il ministro dell'economia ordinasse al delegato federale per l'industria carbonifera, a lui gerarchicamente subordinato, di sospendere il rilascio dei certificati. Sotto questo aspetto, non era necessario prestabilire un termine.

Non mi sembra, perciò, che si possa far carico alla Commissione di non aver impartito alla Repubblica federale il termine entro il quale si doveva sospendere la concessione indiscriminata dei premi d'investimento, poiché le «opportune misure» da adottare consistevano in semplici istruzioni amministrative. Su questo punto, la tesi del governo della Repubblica federale va respinta. Le autorità nazionali hanno infatti l'obbligo di adottare tutti i provvedimenti necessari per agevolare la piena efficacia delle norme comunitarie, e il governo tedesco non può richiamarsi alle proprie leggi o alla propria prassi per giustificare l'inadempimento degli obblighi derivanti da tali norme (sentenze 13 luglio 1972, causa 48-71, Commissione/Repubblica italiana, Racc. 1972, pag. 534 e 8 febbraio 1973, causa 30-72, Commissione/Repubblica italiana, Racc. 1973, pag. 161). D'altra parte, ci si può anche chiedere se il governo tedesco possa ora eccepire la mancata fissazione del termine da parte della Commissione, mentre si è astenuto dal chiedere tempestivamente l'annullamento della decisione.

VI — Se l'inadempimento sussista

Ciò premesso, l'ammettere che la decisione della Commissione avesse efficacia vincolante nei confronti del governo tedesco, indipendentemente dalla fissazione del termine, non implica necessariamente che il governo non l'abbia osservata, giacché non è accertato se detto governo abbia ottemperato o meno, in realtà, alle prescrizioni della decisione.

Sorge quindi una prima questione, relativa al se la Commissione avesse il potere di ordinare la sospensione della concessione indifferenziata di aiuti agl'investimenti, visto che risulta chiaramente dalla motivazione della sua decisione ch'essa non condannava in modo assoluto il regime di cui trattasi, ma intendeva solo limitarne l'applicazione, mediante certi criteri selettivi, a delle zone esattamente determinate.

Non sarebbe stato più opportuno che la Commissione attendesse, prima di adottare la decisione, che fosse portata a termine l'analisi degli aiuti, e che quindi i suddetti criteri fossero stati definiti di concerto col governo della Repubblica federale? In altri termini, non si deve ritenere che, ordinando (in via provvisoria e in attesa che si giungesse ad una soluzione definitiva) la sospensione totale della concessione dei premi agl'investimenti, la ricorrente abbia di fatto adottato un provvedimento di sospensione dell'esecuzione che, ai sensi del trattato, sarebbe stato giuridicamente ammissibile solo nei confronti di aiuti in progetto e non di aiuti già concessi?

Ho dovuto superare qualche esitazione prima di proporvi di respingere questa tesi: poiché la Commissione ha ammesso, in definitiva, che la proroga del regime istituito dal § 32 del Kohlegesetz era possibile, con riserva di qualche adattamento mediante l'applicazione di criteri selettivi, si può esser tentati di pensare che, effettivamente, essa avrebbe dovuto decidere solo con piena cognizione di causa e dopo aver determinato le circoscrizioni in cui il regime stesso avrebbe potuto essere ulteriormente applicato a norma dell'art. 92.

L'accoglimento di questa tesi implicherebbe manifestamente che la decisione 17 febbraio 1971 non aveva di per sé efficacia vincolante, e che solo in data 16 dicembre 1971, dopo esser stata completata con l'elenco delle città o delle circoscrizioni in cui la concessione dei premi era ammessa, essa aveva acquistato forza esecutiva.

In tal caso, ovviamente non potreste far altro che respingere il ricorso, poiché la stessa Commissione ammette che, da quest'ultima data, il governo federale aveva ottemperato alla decisione.

Non mi fermerei, tuttavia, a questa soluzione che mi sembra scaturire da un formalismo eccessivo e ignorare in un certo senso la realtà.

Accoglierla equivarrebbe infatti ad ammettere che la concessione indiscriminata dei premi avrebbe potuto continuare per mesi, dopo il 24 febbraio, benché non vi fosse alcuna possibilità — per motivi che esporrò in seguito — di ripetere i premi già corrisposti per investimenti effettuati fuori delle zone che necessitavano un impulso secondo criteri selettivi. Va ricordato che l'art. 93, n. 2, attribuisce alla Commissione ampi poteri, che vanno fino alla completa abolizione di un regime di aiuti. Ordinando la sospensione temporanea della concessione dei premi, la ricorrente non ha — a mio avviso — ecceduto i limiti della sua competenza; essa ha inteso, in tal modo, far prevalere l'interesse comunitario su quello degli industriali tedeschi. Del resto, una volta determinate le circoscrizioni in cui la proroga del regime di aiuti veniva riconosciuta conforme al trattato, gl'investitori interessati potevano nuovamente esercitare il loro diritto alla detrazione fiscale. Nei loro confronti, l'unica conseguenza della decisione è stata eventualmente quella che essi hanno dovuto attendere alcuni mesi per fruire dell'aiuto.

VII — Il problema della ripetizione di taluni premi corrisposti successivamente al 24 febbraio 1971

Resta ancora da risolvere la questione sollevata nel penultimo capo della domanda e che riguarda l'applicazione della decisione a situazioni sorte anteriormente al 24 febbraio 1971.

Come abbiamo visto, la Commissione sostiene che il governo tedesco ha violato la decisione per il semplice fatto che, dopo la notifica, esso non ha ordinato al delegato federale per l'industria carbonifera di sospendere il rilascio dei certificati per la concessione del premio d'investimento.

Il governo tedesco non contesta questo fatto e riconosce che alcuni certificati sono stati effettivamente rilasciati fra il 24 febbraio 1971 e la metà del dicembre 1971.

Ora è necessario stabilire, però, se la Commissione avesse il potere di ordinare la sospensione del rilascio dei certificati, senza tenere alcun conto dei diritti ormai quesiti o delle situazioni giuridiche sorte prima che la decisione venisse notificata.

Come ho già detto, nell'ambito dell'art. 93, n. 2, essa può statuire soltanto per il futuro. Le decisioni adottate a norma di quest'articolo non hanno carattere dichiarativo. Va quindi ritenuto che, soltanto dal momento in cui la Commissione si è pronunciata, il regime di aiuti di cui è causa si doveva considerare, salvo il vostro controllo giurisdizionale, incompatibile col mercato comune. Ciò esclude senz'altro qualsiasi retroattività: in ogni caso, non si protrebbe pretendere dalle imprese la restituzione di premi che siano stati loro già corrisposti in precedenza.

Nella fattispecie, del resto, la Commissione non esige tanto; essa non pretende che il governo tedesco recuperi i premi d'investimento connessi al pagamento di tributi effettuato anteriormente al 24 febbraio 1971, e ammette perfino che gl'industriali i quali abbiano ottenuto un certificato del delegato federale prima di tale data possano continuare a fruire del vantaggio nel periodo complementare di cui ai § 32 del Kohlegesetz.

Per contro, essa intende obbligare il governo tedesco a chiedere la restituzione dei premi nei casi in cui questi siano stati corrisposti in base a certificati rilasciati dopo il 24 febbraio 1971, e qualora detti premi si riferiscano ad investimenti iniziati dopo il 20 agosto 1970 ovvero a domande presentate dopo tale data.

In pratica, la posta ih gioco mi sembra piuttosto esigua. Se la domanda della Commissione venisse accolta, sarebbero in definitiva 18 — secondo il governo federale — le imprese che dovrebbero restituire i premi percepiti per investimenti effettuati dopo il 20 agosto 1970; questi ammontavano, in totale, a 33 milioni di DM, il che equivale a 3300000 DM di premi d'investimento.

Tuttavia, nonostante l'esiguità del valore della controversia, si pone pur sempre una questione di principio. Come ho già avuto modo di accennare, il sistema dei premi agl'investimenti istituito dal § 32 del Kohlegesetz offriva alle imprese varie alternative:

in un primo caso, il certificato c quindi l'attribuzione del premio potevano essere richiesti solo dopo la conclusione dei lavori;

in un secondo caso, il certificato poteva essere rilasciato mentre i lavori erano ancora in corso, e l'interessato disponeva poi del periodo complementare per portarli a termine;

inline, la domanda poteva precedere ogni impegno d'investimento, e il certificato veniva in tal caso rilasciato in base ad un progetto che doveva soddisfare determinate condizioni.

Ora, a mio avviso, solo in quest'ultima ipotesi alla decisione della Commissione che intimava al governo federale di sospendere, senza indugio, il rilascio dei certificati, dal 24 febbraio 1971, poteva e doveva esser data immediata attuazione, purché gl'interessati non avessero già presentato la domanda di approvazione del progetto.

Quanto agl'industriali che, prima della data suddetta, si fossero già impegnati ad effettuare degl'investimenti, e a maggior ragione coloro che avessero già iniziato i lavori per installare o ampliare un'azienda, potevano — in forza delle leggi interne — rivendicare il diritto a fruire dei premi, alla sola condizione che gl'investimenti fossero ritenuti, dal delegato federale, conformi agli obiettivi di riconversione e miglioramento della struttura economica delle zone minerarie. Ora, per sostenere che i premi corrisposti a questi contribuenti in base ai certificati rilasciati dopo il 24 febbraio 1971 devono essere restituiti, la Commissione si basa unicamente sul fatto che gl'investimenti avrebbero dovuto esser stati effettuati, o le domande esser, state presentate, entro il 20 agosto 1970. In tal modo, essa vorrebbe attribuire alla sospensione del regime di aiuti effetto retroattivo, assumendo come termine a quo una data anteriore a quella della decisione, e precisamente il 14 agosto 1970 (data della pubblicazione della comunicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità), nella convinzione che un termine di 6 giorni fosse sufficiente per rendere edotti della situazione tutti gl'interessati.

Questo ragionamento mi sembra errato, in quanto attribuisce alla comunicazione effetti ch'essa non può avere in realtà. La comunicazione non è infatti che il primo atto di un procedimento in cui solo la decisione finale ha efficacia vincolante. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, il diritto al premio d'investimento non deriva dal rilascio del certificato da parte del delegato federale, bensì dal fatto stesso che siano stati intrapresi e finanziati i lavori, riconosciuti poi conformi agli obiettivi del § 32 del Kohlegesetz. Il premio, consistente in uno sgravio fiscale, è quindi definitivamente acquisito con l'accertamento dell'imposta a carico del contribuente. Seguendo la tesi della Commissione, si dovrebbe ammettere che questa avrebbe anche potuto ordinare che, a partire dalla notifica della sua decisione, non venisse più concessa alcuna riduzione fiscale. Il criterio assolutamente arbitrario della data del rilascio del certificato non ha alcun valido fondamento giuridico.

D'altra parte, la scelta del 20 agosto 1970 come termine ultimo degli investimenti non risulta affatto dalla decisione stessa. Essa si desume dalla lettera inviata dalla Commissione il 16 dicembre 1971 al governo federale. La scelta di questa data, fondata a mio avviso su una concezione inesatta dei poteri della Commissione, implica inoltre la violazione del principio dell'affidamento che questa Corte, nella recente sentenza 5 giugno 1973 (Commissione/Consiglio, causa 82-72), ha dichiarato essere un principio generale del diritto comunitario.

Stando così le cose, il solo obbligo che la Commissione poteva imporre al governo federale era quello di sospendere la concessione indiscriminata dei premi d'investimento nella Renania settentrionale — Vestfalia a partire dal 24 febbraio 1971, ma solo in relazione ad investimenti non ancora posti in atto o a domande, fondate su progetti, non ancora presentate alla data suddetta.

Ora, il governo tedesco ha affermato, e non è stato smentito, che per tali investimenti o progetti non era stato rilasciato alcun certificato.

Di conseguenza, si deve necessariamente constatare che detto governo non è venuto meno agli obblighi che la Commissione poteva legittimamente imporgli. Concludo quindi che la domanda della Commissione va respinta e che le spese del giudizio vanno poste a carico della ricorrente.


( 1 ) Traduzione dal francese.

Top