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Document 61970CC0022
Opinion of Mr Advocate General Dutheillet de Lamothe delivered on 10 March 1971. # Commission of the European Communities v Council of the European Communities. # European Agreement on Road Transport. # Case 22-70.
Conclusioni dell'avvocato generale Dutheillet de Lamothe del 10 marzo 1971.
Commissione delle Comunità europee contro Consiglio delle Comunità europee.
Accordo europeo trasporti su strada.
Causa 22-70.
Conclusioni dell'avvocato generale Dutheillet de Lamothe del 10 marzo 1971.
Commissione delle Comunità europee contro Consiglio delle Comunità europee.
Accordo europeo trasporti su strada.
Causa 22-70.
Raccolta della Giurisprudenza 1971 -00263
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1971:23
CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE
ALAIN DUTHEILLET DE LAMOTHE
DEL 10 MARZO 1971 ( 1 )
Signor Presidente,
Signori Giudici,
È la prima volta che il Consiglio dei ministri e la Commissione delle Comunità europee si rivolgono alla Corte di giustizia chiedendole di ristabilire la pace «in famiglia».
L'originalità e la singolarità della controversia comprovano che in sostanza la convivenza è armoniosa e prolifica, giacché finora hanno felicemente visto la luce circa 7000 regolamenti comunitari ed alcune migliaia di decisioni e direttive, concepiti nell'accordo più perfetto.
Pomo della discordia sono stati i negoziati intavolati con i paesi terzi in una materia particolarmente delicata: le condizioni di lavoro degli equipaggi dei veicoli adibiti a trasporti stradali internazionali. L'insuccesso dei tentativi finora svolti per disciplinare il problema in sede internazionale dimostra a sufficienza di quali difficoltà sia irto il problema: nel 1939 l'Ufficio internazionale del lavoro aveva proposto una convenzione, ma solo due Stati l'avevano ratificata, facendo sfumare ogni possibilità di farla entrare in vigore.
La questione tu riproposta nel 1951 dall'Organizzazione internazionale del lavoro che, nel 1954 riuscì a redigere un accordo, ma anche questo tentativo finì insabbiato per non aver ottenuto la ratifica di un sufficiente numero di Stati.
Fu poi la volta della commissione economica per l'Europa dell'ONU, che volle anch'essa cimentarsi nella tenzone: nel 1962 essa propose alla firma dei governi dei vari Stati europei un accordo a livello europeo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli adibiti ai trasporti inter-nazionali su strada, comunemente contraddistinto dalla sigla AETR. I governi firmatari furono diciotto, compresi quelli dei sei paesi della Comunità, ma nemmeno questa convenzione riuscì ad entrare in vigore, sempre per carenza di ratifiche.
Dal 1966 la Comunità cominciò a preoccuparsi seriamente del problema e fu preparato un progetto di regolamento comunitario.
Questo passo ravvivo i negoziati di Ginevra. Nel luglio 1968 il Consiglio esaminò una proposta di regolamento comunitario presentata dalla Commissione e stabilì le modalità per un'azione comune dei sei paesi a Ginevra onde far modificare l'AETR, al fine di consentire sia la ratifica da parte di un numero sufficiente di Stati, sia l'allineamento delle disposizioni primitive con quelle della proposta di regolamento comunitario.
Nel marzo 1969 il Consiglio approvava definitivamente la proposta di regolamento esaminata nel luglio 1968, che entrava in vigore il 1o aprile 1969 come regolamento n. 543/69, pubblicato il 27 marzo 1969.
Il regolamento stabiliva che la nuova disciplina avrebbe avuto efficacia dal 1o ottobre 1969 per i trasporti effettuati con veicoli immatricolati in uno Stato membro e dal 1o ottobre 1970 per i trasporti effettuati con veicoli immatricolati in uno Stato terzo.
Nel frattempo però i negoziati di Ginevra per modificare opportunamente l'AETR procedevano bene, però la Commissione, fin dal 1968, aveva avanzato riserve circa il modo in cui venivano condotti.
È importante rilevare che la Commissione mai ha inteso arrogarsi il diritto esclusivo di condurre le trattative in rappresentanza della Comunità, mai ha presentato al Consiglio proposte formali e precise in materia, tuttavia non ha perso nessuna occasione per esprimere il desiderio di seguire più da vicino i negoziati, ad esempio inviando a Ginevra i propri esperti per affiancarli ai delegati degli Stati membri. Pare che il Consiglio abbia sempre fatto orecchio da mercante a tali proposte.
Questa divergenza di opinioni si è acuita in occasione della sessione del Consiglio del 20 marzo 1970, cioè alla vigilia della riunione che doveva aver luogo a Ginevra il 2 e 3 aprile per approvare il testo definitivo del nuovo accordo.
La Commissione ribadiva le proprie riserve e le proprie proteste contro il procedimento seguito nel negoziato e nella stipulazione dell'accordo. Il Consiglio allora adottò una deliberazione; ecco i brani essenziali del processo verbale, il cui testo pur se redatto posteriormente, non è stato contestato:
«Procedura dei negoziati
Il Consiglio non si oppone a che, conformemente alla linea di condotta concordata nella sessione del 18/19 luglio 1968, i negoziati coi paesi terzi siano continuati e conclusi dai sei Stati membri che diventeranno parti contraenti dell'AETR. Durante i negoziati e alla stipulazione dell'accordo, gli Stati membri agiranno di conserva coordinando la loro posizione secondo i procedimenti abituali, in stretta collaborazione con le istituzioni comunitarie, e la delegazione del paese che in quel momento sarà incaricato della presidenza del Consiglio fungerà da portavoce.
La Commissione, confermando le sue riserve circa questo modo di procedere, dichiara che a suo parere l'atteggiamento assunto dal Consiglio stride con le prescrizioni del trattato.
…
Per quanto riguarda la modifica del regolamento per adeguarlo alle disposizioni dell'AETR il Consiglio rileva che, onde consentire agli Stati membri di assolvere gli obblighi loro imposti dal testo dell'AETR, il regolamento comunitario n. 543/69 dovrebbe venir modificato entro il 1o ottobre 1970 onde consentire la coesistenza tra le due discipline.
Tenuto conto di questa necessita ed allo scopo di perfezionare l'applicazione delle norme sociali ed al fine di estendere le norme sociali a tutta l'Europa, il Consiglio … invita la Commissione a sottoporgli al più presto le proposte che consentano i necessari adeguamenti all'AETR del regolamento n. 543/69».
La Commissione chiede ora l'annullamento di questa deliberazione e prima d'iniziare l'esame della domanda ricorderò soltanto due fatti posteriori al marzo 1970:
— |
il 2 e 3 aprile 1970 i negoziati di Ginevra sono sfociati in un progetto d'accordo che gli Stati dovevano firmare entro il 1o aprile 1971; |
— |
secondo le indicazioni recentemente fornite in udienza, quattro degli Stati membri hanno già firmato l'accordo e probabilmente altri hanno apposto la loro firma dopo l'udienza dell'11 febbraio, però non dispongo d'informazioni precise in merito. |
I
A questa domanda, il Consiglio, «in limine litis», oppone due eccezioni d'irricevibilità: mi pare che la domanda della Commissione faccia sorgere questioni di ricevibilità, ma in effetti, a mio parere, il problema è connesso, sotto certi aspetti, con il merito della controversia ed è difficile scinderlo.
A — |
Si può tentare di delimitarlo sfrondandolo innanzitutto da quegli elementi che mi pare abbiano minore importanza, come l'inosservanza del termine e le difficoltà d'interpretare nella fattispecie il termine «atto» che compare all'art. 173 del trattato invocato dalla Commissione.
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B — |
La competenza che vi conferisce l'art. 173 del trattato non vi rende «arbitri per l'amichevole composizione» delle controversie tra la altre istituzioni della Comunità, né v'impone di emanare «pareri consultivi» come quelli che può pronunciare la Corte di giustizia internazionale dell'Aia. Questo articolo, sotto il profilo che c'interessa, vi conferisce la competenza di sindacare la compatibilità con le disposizioni del trattato degli atti emananti dal Consiglio dei ministri come organo della Comunità. Da una decina d'anni si è consolidata una prassi, oserei dire una tradizione, in virtù della quale il Consiglio dei ministri della CEE svolge costantemente due compiti. Esso rimane prevalentemente l'organo comunitario configurato dal trattato e le cui facoltà e modalità d'intervento sono determinate dal trattato, comunque esso rappresenta pure il punto d'incontro dei ministri dei governi dei sei Stati membri riuniti nel Consiglio per concertare e determinare altresì il principio e le modalità delle azioni che intendono intraprendere in comune. Secondo la formula usata da alcuni autori, il Consiglio è ora un organo della Comunità istituita fra i sei Stati, ora un organo della collettività formata dai sei Stati (sentenza della Corte 18 febbraio 1970, Commissione contro Repubblica italiana, Raccolta XVI-1970, pag. 57). Questa dualità di funzioni presenta vantaggi e svantaggi: i vantaggi per lo sviluppo dell'edificio europeo in genere sono certi. Dobbiamo rallegrarci che il Consiglio dei ministri dei sei Stati non si limiti ad esercitare le competenze che gli sono limitativamente attribuite dal trattato, ma nelle sue riunioni cerchi di dare impulso alla cooperazione tra i sei. Storicamente d'altro canto, è proprio questa forma d'intervento del Consiglio che ha fatto fare notevoli passi avanti alla nuova Europa e mi limiterò a ricordare le varie deliberazioni del 1960, 1962 e 1963 che hanno consentito di accelerare il ritmo che il trattato aveva previsto per il perseguimento di determinati scopi. Non si devono tuttavia dimenticare gl'inconvenienti. Uno è relativamente trascurabile, pur se in pratica crea complicazioni di un certo rilievo: la distinzione tra gli atti emanati dal Consiglio come organo della Comunità e le sue deliberazioni adottate come organo di armonizzazione tra gli Stati membri non è formalmente mai percettibile a prima vista. Indubbiamente i servizi giuridici cercano di caratterizzare la prima categoria d'interventi con i termini che compaiono nell'art. 189 del trattato, cioè «regolamenti», «decisioni», «direttive», ecc., mentre per il secondo tipo d'interventi ricorrono ad una terminologia diversa: risoluzioni, dichiarazioni d'intenzioni, protocolli o accordi, ma in vari casi regna la confusione più assoluta, specie per alcune deliberazioni definite decisioni. È evidente che non bisogna formalizzarsi troppo e sarebbe ad esempio assurdo esigere dai ministri dei governi dei sei che si trasferiscano dalla sala del Consiglio all'ufficio personale del presidente in carica allorché non agiscono più come autorità comunitaria o che, in ogni caso, facciano redigere due diversi ordini del giorno. Non è tuttavia fuori luogo invitarli ad una maggior chiarezza, sia nella procedura che nella terminologia. A questo proposito l'auspicata chiarezza potrebbe venire dalla pubblicazione del regolamento interno del Consiglio. Questa chiarezza è tanto più auspicabile in quanto si hanno buoni motivi di temere che non si facciano solo confusioni nella terminologia, ma si giunga ad un misconoscimento delle competenze e dei pro-cedimenti contemplati dal trattato. Questo è il secondo inconveniente delle prassi seguite ed è molto più grave del primo: ci si può infatti chiedere se il Consiglio dei ministri talvolta, scostandosi dalle condizioni e dai procedimenti contemplati dal trattato, emani atti che avrebbe dovuto adottare come organo della Comunità, cioè rispettando le attribuzioni della Commissione, del Parlamento o del Comitato economico e sociale. In seno al Parlamento alcuni hanno affermato che ciò talvolta è avvenuto, comunque dovreste analizzare i singoli provvedimenti sotto questo aspetto ogniqualvolta una deliberazione del Consiglio viene impugnata dinanzi a voi. È proprio questo il punto critico della controversia attuale, che ci obbliga ad esaminare contemporaneamente la ricevibilità ed alcuni aspetti del merito. Sono infatti convinto che:
Nel primo caso la domanda è ricevibile in quanto la deliberazione su cui dovete pronunciarvi emana dal Consiglio in veste di organo comunitario. Nel secondo caso la domanda è irricevibile, in quanto la deliberazione impugnata non è un atto dell'autorità comunitaria, ma una deliberazione del Consiglio che agisce come organo della collettività degli Stati membri. La risposta che formulerete sancirà automaticamente alcuni principi sulla competenza comunitaria in materia di negoziati con i paesi terzi ed è questo il punto che esaminerò ora. |
II
A — |
Undici dei 248 articoli del trattato di Roma prevedono e disciplinano espressamente la competenza comunitaria nei rapporti coi paesi terzi e con le organizzazioni internazionali.
È opportuno sottolineare che il titolo IV della seconda parte del trattato, unico titolo che tratta dei trasporti, non contiene alcuna disposizione esplicita circa il «treaty making power» della Comunità, per dirla con gli inglesi. La Comunità sarebbe competente o avrebbe facoltà di trattare o di concludere accordi sui trasporti coi paesi terzi se
Personalmente sono d'avviso che ognuna di queste soluzioni vi obbligherebbe a corredarla di una base giuridica di tipo pretoriano o, se si preferisce, di un fondamento giurisprudenziale che va ben oltre i limiti che finora vi siete posti nell'esercizio della vostra facultas interpretandi. |
B — |
L'applicazione al settore dei trasporti di disposizioni comprese nelle parti del trattato riguardanti questioni diverse. Penso che il problema si ponga solo per l'art. 116 del trattato, che, forse per una singolare prudenza, non è stato menzionato né dal rappresentante della Commissione né dal rappresentante del Consiglio, se non altro per chiedere che non venisse applicato. Tuttavia, se l'articolo viene considerato isolatamente, il suo tenore mette in luce che questa sarebbe a prima vista la norma che nella fattispecie è più opportuno applicare. L'art. 116 infatti recita: «Per tutte le questioni che rivestono un interesse particolare per il mercato comune, gli Stati membri, a decorrere dalla fine del periodo transitorio, condurranno unicamente un'azione comune nell'ambito delle organizzazioni internazionali a carattere economico». Le altre disposizioni dell'articolo riguardano il periodo transitorio e la modalità dell'azione comune dopo la scadenza del periodo transitorio. Se questo articolo fosse incluso tra le disposizioni generali e finali del trattato sarebbe indubbiamente applicabile nella fattispecie:
L'applicazione diventa invece difficile se si tiene conto della posizione della norma nell'ambito del trattato. L'articolo figura nella terza parte, che non è quella che contiene le disposizioni in materia di trasporti e per di più l'articolo non rientra tra le disposizioni generali della terza parte, ma nel capo specifico dedicato alla politica commerciale. Si tratta quindi di disposizioni speciali che solo con un'operazione giuridica molto ardita potrebbero essere trasformate in disposizioni generali. Anzi l'operazione sarebbe perfino rischiosa per motivi che esporrò appresso. |
C — |
Applicazione al campo dei trasporti degli accordi contemplati dalle disposizioni generali e finali del trattato. La questione sorge essenzialmente a proposito dell'art. 228 del trattato e, in via subordinata, a proposito dell'art. 235.
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III
Forse penserete che si possa preferire un sistema interpretativo più audace di quello da me proposto, nonostante le obiezioni di cui sopra, ed è il motivo per cui, nell'ultima parte della mia esposizione, esaminerò brevemente le conseguenze di una pronuncia che sancisse la ricevibilità della domanda della Commissione. Anzitutto la domanda dovrebbe venire disattesa nel merito, ma solo per motivi connessi con il caso specifico.
A — |
Se riteneste che le trattative e la stipulazione dell'AETR non esulano dalla sfera d'applicazione dell'art. 116 del trattato, cioè se riteneste che i termini generici che figurano in questo articolo, ai fini della determinazione della sua sfera d'applicazione, prevalgano sul criterio con cui l'articolo è stato collocato nell'ambito del trattato, penso che dovreste comunque statuire che la deliberazione impugnata non viola il trattato. Questo articolo infatti prevede il ricorso a due diversi sistemi a seconda che sia scaduto o meno il periodo transitorio previsto dal trattato. Durante il periodo transitorio «gli Stati membri si consultano per concertare la loro azione e adottare, per quanto possibile, un atteggiamento uniforme». Ciò è stato fatto nella riunione del Consiglio del marzo 1969. Nel marzo 1970 il periodo transitorio era ormai scaduto da almeno tre mesi, ma i negoziati sull'AETR erano pratica-mente conclusi in quanto la redazione finale dell'AETR era elaborata a Ginevra il 2 e 3 aprile 1970, cioè nemmeno 15 giorni dopo la deliberazione impugnata. La scadenza del periodo transitorio ha forse fatto sì che si potessero applicare ai negoziati le disposizioni del 1o comma dell'art. 116, in virtù delle quali l'azione uniforme degli Stati membri dopo il periodo transitorio può venire deliberata dal Consiglio solo su proposta della Commissione? Non sono di questo avviso, anzi in negoziati così difficili l'azione comune degli Stati membri, se iniziata e portata quasi a termine prima della scadenza del periodo transitorio secondo i precetti di cui all'art. 116, 2o comma, doveva potersi continuare nello stesso modo. Le disposizioni del 1o comma dell'art. 116 sono applicabili solo alle azioni comuni iniziate dopo la scadenza del periodo transitorio, cioè dopo il 1o gennaio 1970 (nello stesso senso: decisione del Consiglio 16. 12. 1969; GU 29. 12. 1969, n. L 326/69). |
B — |
Un ragionamento molto simile m'induce a proporvi di disattendere anche nel merito il ricorso della Commissione qualora riteneste che l'entrata in vigore del regolamento n. 543/69 ha conferito alla Comunità una competenza a trattare e stipulare cogli Stati terzi accordi in materia di trasporti alle condizioni contemplate dall'art. 228. Anche in questo caso penso che, tenuto conto delle condizioni sempre difficili in cui si svolgono i negoziati riguardanti tali accordi internazionali, l'innovazione, se la ritenete tale, rappresentata dall'entrata in vigore di un regolamento comunitario dovrebbe svolgere i suoi effetti solo sulle trattative future e non su quelle in corso. È evidente a che punto si trovassero i negoziati AETR al momento in cui è entrato in vigore il regolamento n. 543/69: è evidente che erano quasi conclusi. Non si deve dimenticare che una prima versione dell'AETR era stata elaborata nel 1962 e le discussioni che sono seguite non miravano a redigere un nuovo accordo, ma solo ad emendare il precedente onde poter raccogliere quel minimo di firme necessarie a far entrare in vigore l'accordo; dal luglio 1968 si era poi anche cercato di armonizzare alcune disposizioni che s'intendeva includere nell'accordo con norme già approvate dal Consiglio e che nel marzo 1969 si sarebbero concretate nel regolamento n. 543/69. Penso dunque sia eccessivo affermare che questi negoziati, che stavano ormai dando i loro frutti, dovessero venire abbandonati o sconvolti allorché nel marzo 1969 è entrato in vigore il regolamento n. 543/69. Quindi non si dovevano interrompere i colloqui con i paesi terzi e gli Stati membri per iniziare un dialogo nuovo tra la Commissione e i paesi terzi, dialogo che non avrebbe avuto alcun punto in comune con le precedenti discussioni. Quindi il fatto che i negoziati fossero intavolati e quasi portati a termine prima che scadesse il periodo transitorio o prima che entrasse in vigore il regolamento comunitario, dovrebbe far sì che, sotto ogni aspetto, il Consiglio poteva lasciare continuare una trattativa che stava per concludersi, senza turbarne il ritmo. Si spiegherebbero così due caratteristiche della questione che rimangono misteriose:
Rilevo infine che se l'AETR sarà applicato nel 1972 e se alcune delle sue disposizioni sono incompatibili con la disciplina comunitaria allora vigente, la Commissione potrà avvalersi delle facoltà che le conferisce l'art. 169 del trattato. Termino con l'imbarazzante questione delle spese. Il Consiglio non chiede esplicitamente che, in caso di reiezione del ricorso, le spese siano poste a carico della Commissione. Nell'ambito delle facoltà che vi conferisce l'art. 69 del regolamento di procedura, potrete statuire che si presume un accordo tacito delle parti ad accollarsi le spese rispettivamente sopportate. |
Concludo dunque come segue: il ricorso della Commissione sia respinto perché irricevibile e, in subordine, sia dichiarato infondato. Ciascuna delle parti sopporterà le spese da essa rispettivamente incontrate.
( 1 ) Traduzione dal francese.