Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 61970CC0011

    Conclusioni riunite dell'avvocato generale Dutheillet de Lamothe del 2 dicembre 1970.
    Internationale Handelsgesellschaft mbH contro Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Verwaltungsgericht Frankfurt am Main - Germania.
    Causa 11-70.
    Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel contro Köster, Berodt & Co.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hessischer Verwaltungsgerichtshof - Germania.
    Causa 25-70.
    Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel contro Günther Henck.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hessischer Verwaltungsgerichtshof - Germania.
    Causa 26-70.
    Otto Scheer contro Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Hessischer Verwaltungsgerichtshof - Germania.
    Causa 30-70.

    Raccolta della Giurisprudenza 1970 -01125

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1970:100

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    ALAIN DUTHEILLET DE LAMOTHE

    DEL 2 DICEMBRE 1970 ( 1 )

    Signor Presidente,

    Signori giudici,

    Le quattro cause (11-70, 25-70, 26-70 e 30-70) odierne hanno vari punti in comune o presentano questioni molto simili.

    Quali sono gli interrogativi ?

    1.

    La validità delle disposizioni di tre regolamenti comunitari, i regolamenti 102/64, 120/67 e 473/67, che stabiliscono che il rilascio della licenza d'importazione o d'esportazione per i prodotti disciplinati dal regolamento n. 19 è subordinato al deposito di una cauzione che, salvo in casi di forza maggiore, viene incamerata se l'operazione prevista non è effettuata.

    2.

    Nella causa 30-70 si discute della validità, rispetto alla disciplina comunitaria, del regolamento 87-62 e della legittimità dell'istituzione del regime della cauzione in uno Stato membro a decorrere dal 30 luglio 1962, cioè anteriormente al 1964, anno in cui è stato adottato il primo regolamento comunitario che rendeva applicabile il sistema della cauzione a tutto il territorio della Comunità.

    Le questioni sono state deferite da due tribunali tedeschi, un tribunale d'appello, lo Hessischer Verwaltungsgerichtshof, nelle cause 25, 26 e 30-70 e da un tribunale di primo grado, il Verwaltungsgericht di Francoforte sul Meno nella causa 11-70.

    Le domande singole pero non sono identiche :

    Nelle cause 11, 25 e 26-70, si chiede alla Corte una pronunzia sulla validità delle norme, mentre il ricorso 30-70 verte sull'interpretazione dell'articolo 16 del regolamento del Consiglio 4 aprile 1962, n. 19 e sulla validità dell'articolo 7, n. 2 del regolamento della Commissione n. 87.

    Queste differenze sono però marginali e potranno avere influenza solo sulla formulazione delle sentenze, punto sul quale tornerò.

    Le singole questioni si possono riunire in tre gruppi :

    quelle vertenti su quella che chiamerò legittimità esterna delle disposizioni litigiose, cioè sulla competenza delle autorità comunitarie ad emanarle e sulla regolarità del procedimento con cui sono state adottate:

    quelle vertenti sulla legittimità interna delle norme, cui si fa carico essenzialmente di violare il cosiddetto principio della proporzionalità che le autorità comunitarie dovrebbero osservare;

    quelle infine connesse con la validità del regolamento 87/62, con la compatibilità tra legge comunitaria e sistema istituito nella Germania federale prima dell'adozione del regolamento 120/64.

    I

    Vediamo anzitutto le questioni vertenti sulla legittimità esterna delle disposizioni contestate.

    Le critiche mosse a dette disposizioni sono molteplici, ma si possono ricondurre a tre categorie generali :

    1.

    L'incompetenza ad emanarle di qualsiasi autorità comunitaria.

    2.

    L'irregolarità del procedimento seguito per l'adozione dei regolamenti, specie per quanto riguarda l'intervento dei comitati di gestione.

    3.

    Infine e in subordine, i vizi intrinseci dai quali sarebbe comunque colpita la legittimità esterna di alcune delle disposizioni contestate.

    A — Sull'incompetenza assoluta di ogni organo comunitario ad emanare le disposizioni contestate, sono stati esposti due argomenti che in alcuni punti paiono aver conquistato il tribunale di Francoforte.

    1.

    Anzitutto le norme litigiose implicherebbero un obbligo di esportare o d'importare. Non vi sono però norme del trattato che autorizzano gli organi della Comunità ad imporre ai singoli un simile obbligo di fare.

    Non sarà il caso di soffermarmi su questo punto.

    Ritengo azzardato escludere che vi siano disposizioni del trattato — specie pensando alla disciplina dell'agricoltura — che conferiscono agli organi comunitari la facoltà di imporre un obbligo di fare agli operatori economici, anzi, sulle prime sarei per l'affermativa.

    Nella fattispecie però il problema non si pone: le norme in questione non impongono alcun obbligo, né di importare, né di esportare. L'unico scopo di dette disposizioni è quello di garantire che le licenze vengano effettivamente sfruttate e non richieste per semplice ghiribizzo.

    Le norme non impongono quindi un obbligo, ma definiscono soltanto una condizione per il rilascio di un documento prescritto per il compimento di un'operazione che l'interessato ha già «in pectore».

    L'operatore non solo può chiedere o meno la licenza, ma è anche libero di utilizzarla o meno.

    La mancata utilizzazione della licenza comporta, è vero, la perdita della cauzione, il che può influire sulle decisioni degli interessati, che comunque restano fondamentalmente liberi di agire come meglio credono.

    Il sistema non stabilisce quindi un obbligo di fare, ma pone soltanto una condizione per la concessione di un permesso di fare.

    2.

    Il secondo argomento che si adduce per dimostrare l'incompetenza assoluta degli organi comunitari ad emanare le disposizioni contestate merita un esame approfondito.

    Si afferma infatti che il sistema che impune il versamento della cauzione e ne prevede la perdita se l'esportazione o l'importazione non sono effettuate entro i termini indicati nella licenza, eccezion fatta per i casi di forza maggiore, commina in pratica una sanzione.

    Si sostiene che gli Stati membri, in linea di massima, non hanno conferito agli organi comunitari poteri repressivi, salvo nei casi espressamente previsti dal trattato, come ad esempio nel caso delle intese o dell'abuso di posizioni predominanti, fra le quali l'articolo 87, n. 2, lettera a) prevede che siano irrogate ammende e penalità di mora.

    Anzitutto è azzardato affermare che il trattato non conferisce agli organi comunitari la facoltà di irrogare sanzioni, salvo nei casi previsti espressamente.

    Nel settore agricolo in particolare, il n. 3 dell'articolo 40 stabilisce che l'organizzazione comune dei mercati può «comprendere tutte le misure necessarie» per il perseguimento degli scopi elencati all'articolo 39. Ci si può giustamente chiedere se una formula così ampia non include la possibilità di prevedere eventualmente sanzioni pecuniarie a garanzia del rispetto dei regolamenti comunitari.

    Penso che pero non dobbiate pronunziarvi in merito nella presente controversia, poiché sarà sufficiente, ritengo, esaminare e precisare la natura giuridica della cauzione contemplata dalle norme per rilevare che un incameramento non ha affatto il carattere di sanzione.

    Faccio presente che — in francese — i vocaboli «caution» e «cautionnement», hanno un'ambiguità che non è sfuggita ai commentatori, i quali hanno talvolta suggerito di porvi fine.

    Infatti, fino alla fine del XIX secolo, il vocabolo «cautionnement» aveva un solo significato, quello che gli attribuisce l'articolo 2011 del codice civile francese:l'antica «fidejussio» del diritto romano, cioè l'impegno assunto da un terzo che si inserisce nel rapporto obbligatorio per garantire l'adempimento dell'obbligazione in caso di inadempimento del debitore principale. Rapidamente però la «cauzione» ha assunto un altro significato, cioè quello di «cauzione amministrativa», cioè l'obbligo di depositare una somma per poter compiere certi atti o svolgere determinate funzioni, onde garantire l'amministrazione pubblica contro l'eventuale inosservanza degli impegni assunti.

    Questo tipo di cauzione, che sotto il profilo civile è configurabile meglio come «pegno», è molto diverso dalla «fidejussio», cioè dalla cauzione nel primo senso.

    È pero possibile combinare i due tipi di cauzione, come sovente avviene in pratica, allorché la «cauzione-pegno», per così dire, è a sua volta garantita da un «fidejussor». per lo più una banca.

    Ma che cos'è in effetti questa «cauzione-pegno» ?

    Ritengo che sia una torma di tutela contro l'inadempimento degli impegni assunti in precedenza o contemporaneamente.

    È evidente che l'istituzione di una forma di tutela non può venir confusa con l'istituzione di una sanzione. Quest'ultima ha funzione punitiva, la tutela ha invece lo scopo di prevenire ed, eventualmente, di garantire un risarcimento.

    Il mezzo tratto dalla presunta incompetenza delle autorità comunitarie ad istituire sanzioni, a mio avviso è inconsistente «di fatto», poiché queste disposizioni non hanno introdotto sanzioni, ma hanno prestabilito una tutela.

    B — Vediamo ora la seconda serie di questioni sulla legittimità esterna delle disposizioni contestate, questioni che vertono sull'irregolarità della procedura seguita nell'elaborazione dei regolamenti nei quali sono incluse le norme.

    Questi regolamenti sono stati tutti elaborati secondo il procedimento cosiddetto dei comitati di gestione, il cui principio vi è noto.

    Su proposta della Commissione e previo parere del Parlamento, il Consiglio emana i regolamenti base, ma incarica la Commissione, a determinate condizioni, di elaborare i provvedimenti necessari per la loro applicazione. L'esercizio delle facoltà conferite dal Consiglio alla Commissione è così disciplinato: la Commissione stabilisce un progetto dei provvedimenti da adottarsi; il progetto è sottoposto ad un comitato di gestione composto dai rappresentanti degli Stati membri, ma presieduto da un rappresentante della Commissione. Il parere del comitato è comunicato alla Commissione che, sulla falsariga di detto parere, adotta provvedimenti immediatamente applicabili.

    Tuttavia, se i provvedimenti non sono conformi al parere del comitato di gestione, la Commissione può procrastinare di un mese la data della loro applicazione, dal canto suo il Consiglio, cui questi provvedimenti vengono immediatamente trasmessi, può abrogarli oppure modificarli nello stesso termine di un mese.

    La legittimità del sistema, utilizzato molto sovente, giacché così sono stati elaborati oltre duemila regolamenti comunitari, è contestata, o quanto meno uno dei giudici proponenti pare nutrire dubbi.

    Vi è stato dichiarato che i motivi di contrasto con il trattato sarebbero due :

    li procedimento conferirebbe al comitato di gestione il diritto di partecipare all'attività legislativa della Commissione;

    gli Stati membri potrebbero ricorrere al Consiglio per far «cassare» i regolamenti della Commissione.

    Soprattuto in udienza, si è poi affermato che tale procedimento pregiudica le prerogative del Parlamento. Il procedimento sconvolgerebbe tutto l'equilibrio istituzionale della Comunità. L'argomento è già stato lungamente dibattuto dinanzi al Parlamento ed è stato pure magistralmente refutato dalla commissione giuridica del Parlamento su relazione del sig. Jozeau-Marigné, che, per strana coincidenza, è ad un tempo legislatore ed eccellente giurista. Mi approprierò di molte conclusioni formulate in questa relazione.

    L'argomento cade se si opera un serio confronto tra le modalità del sistema detto del comitato di gestione e le norme del trattato.

    La norma fondamentale è l'articolo 155, ultimo comma, che recita : «La Commissione esercita le competenze che le sono conferite dal Consiglio per l'attuazione delle norme da esso stabilite». Se ne arguisce che :

    1.

    Il Consiglio non ha istituzionalmente solo un potere normativo generale e fondamentale, ma anche la facoltà di adottare automaticamente le norme di attuazione necessarie per applicare le norme generali che esso emana.

    2.

    In materia di esecuzione il Consiglio può esercitare direttamente tale potere oppure delegarne l'esercizio alla Commissione.

    3.

    Non vi sono disposizioni che limitino il diritto del Consiglio di far ricorso o meno alla facoltà che la norma gli conferisce, né che vietino di stabilire le condizioni alle quali la Commissione eserciterà le facoltà che le sono delegate.

    Vediamo ora nei particolari il sistema dei comitati di gestione.

    1.

    Il Consiglio conferisce esclusivamente alla Commissione l'incarico di emanare norme d'applicazione di un regolamento fondamentale.

    2.

    Questa delegazione di poteri ha però un limite.

    In caso di disaccordo tra comitato di gestione e Commissione, il Consiglio ricupera in un certo senso la sua competenza e entro un mese emana norme per abrogare o modificare la disciplina approvata dalla Commissione.

    Questa procedura mi pare conforme al tenore dell'articolo 155 del trattato.

    Passiamo ora all'argomento secondo cui il procedimento del comitato di gestione, anche se non in contrasto con la lettera del trattato, pregiudicherebbe l'equilibrio istituzionale contemplato dal trattato stesso.

    Mi rifaccio a questo proposito a quanto scriveva il sig. Jozeau-Marigné nella relazione summenzionata, allorché, prima di avanzare riserve sul piano politico, esaminava sul piano giuridico la compatibilità tra il trattato e il procedimento dei comitati di gestione.

    1.

    Allorché il Consiglio conferisce alla Commissione competenze esecutive a norma dell'articolo 155, onde far applicare le norme che esso emana, può subordinare detto conferimento a determinate condizioni per quanto riguarda l'esercizio delle facoltà conferite.

    2.

    La Commissione non è subordinata al comitato, poiché essa mantiene il controllo sulla sua proposta.

    3.

    Non vi è trasferimento di competenza della Commissione al Consiglio poiché in virtù del trattato è il Consiglio che conferisce competenze alla Commissione.

    4.

    Infine il Consiglio sconfinerebbe dall'ambito della competenza che gli deriva dal trattato, solo se conferisse ai comitati di gestione un qualsiasi potere di decisione, ma nella fattispecie ciò non si è verificato.

    Un procedimento che riservi al Consiglio il diritto di decidere in ultima istanza, va però ritenuto compatibile con il trattato.

    Quanto al Parlamento, è certo che il procedimento del comitato di gestione istituito dal regolamento n. 19 non pregiudica di per sè le attribuzioni del Parlamento.

    Per convincersene basterà rileggere la risoluzione del 3 ottobre 1968, nella quale il Parlamento prende atto del procedimento e ne riconosce la legitti mità, ma stabilisce i limiti politici e giuridici della sua applicazione.

    A mio avviso, il sistema del comitato di gestione instaurato dall'articolo 26 del regolamento di base n. 19 non è contrario né all'articolo 155, né all'equilibrio istituzionale creato dal trattato.

    Resta un ultimo punto: dinanzi allo Hessischer Verwaltungsgerichtshof era stato sostenuto che il procedimento striderebbe pure con l'articolo 189 del trattato, che contempla gli atti che possono venir adottati dalla Commissione o dal Consiglio: regolamenti, direttive, ecc. Non comprendo bene la portata di questo mezzo, che d'altro canto non è stato ribadito in udienza dalle parti che lo hanno invocato inizialmente.

    Dal momento che l'articolo 155 del trattato attribuisce al Consiglio la facoltà di conferire alla Commissione il potere di adottare provvedimenti per l'esecuzione delle norme che esso emana, ne deriva implicitamente e necessariamente che la Commissione deve adottare queste norme con regolamenti o direttive, cioè in forma adeguata alla loro natura giuridica. Se il Consiglio dovesse abrogare o modificare le norme emanate dalla Commissione, dovrebbe anch'esso servirsi della stessa forma.

    In sostanza vi propongo di affermare che il procedimento del comitato di gestione, contemplato dall'articolo 26 del regolamento n. 19, con il quale sono stati adottati i regolamenti contestati, è conforme al trattato in quanto il Consiglio ha conferito alla Commissione solo la facoltà di adottare regolamenti d'applicazione di regolamenti di base emanati dallo stesso Consiglio.

    C — Ciò ci porta direttamente alla terza serie di critiche mosse in subordine alla legittimità esterna dei regolamenti contestati.

    Queste critiche possono riassumersi come segue :

    Anche supponendo che il procedimento del comitato di gestione sia legittimo, le norme litigiose sulla cauzione non potrebbero venir emanate dalla Com missione secondo questo sistema poiché da un lato il provvedimento con cui si pone questa condizione per il rilascio delle licenze non può essere considerato un semplice provvedimento esecutivo e, dall'altro lato e più particolarmente, nel regolamento n. 19 il Consiglio aveva espressamente previsto che tale condizione poteva venir imposta solo per le importazioni di cereali e non, come invece stabiliscono le disposizioni impugnate, per le esportazioni e le importazioni di cereali e di prodotti derivati.

    La prima parte dell'argomento sarà commentata solo brevemente.

    È vero che l'instaurazione della cauzione è talora effetto delle norme emanate dal Consiglio, talora delle norme emanate dalla Commissione, secondo il procedimento del comitato di gestione, ma il fatto, pur se non va esente dalla critica d'incoerenza, non implica ancora l'illegittimità delle norme adottate secondo il procedimento dei comitati di gestione. Ho testé ricordato e rammenterò ancora che il Consiglio ha assoluta libertà di riservarsi l'emanazione di un provvedimento di esecuzione o, al contrario, di incaricarne la Commissione.

    L'unica questione riguardante il regolamento n. 19, sulla quale mi soffermerò, è quella del se un provvedimento con cui si istituisce un sistema di cauzione sia o meno un provvedimento d'applicazione di un regolamento di base.

    L'articolo 16 del regolamento n. 19 fa sorgere in proposito una questione delicata e non nascondo che la sceltà di una risposta mi ha fatto esitare parecchio. L'articolo 16 è così strutturato :

    il n. 1 prescrive che per ogni operazione d'importazione o di esportazione relativa ai prodotti di cui all'articolo 1, l'operatore economico debba ottenere una licenza.

    Il n. 2 riguarda unicamente le licenze d'importazione di cereali.

    Esso stabilisce la durata della validità delle licenze ed il procedimento per modificare detta durata.

    La precisazione più importante però è che il rilascio della licenza è subordinato al deposito di una cauzione a garanzia dell'assolvimento dell'impegno assunto entro il periodo di validità della licenza e detta cauzione viene incamerata qualora l'importazione non venga effettuata entro questi termini.

    Il n. 3 infine fa rinvio al procedimento previsto dall'articolo 26, cioè a quello del comitato di gestione per la determinazione delle modalità d'applicazione di tutto l'articolo, specie per la determinazione della durata delle licenze d'importazione di tutti i prodotti disciplinati dal regolamento n. 19. Il tenore dell'articolo fa sorgere il legittimo dubbio che il Consiglio abbia inteso limitare l'obbligo della cauzione alla sola importazione di cereali, espressamente menzionata, e quindi l'estensione dell'obbligo alle esportazioni di cereali da una parte e, d'altra parte, alle importazioni ed esportazioni di prodotti derivati dai cereali, sia illegittima.

    Il dubbio è giustificato, specie in base a quanto ci risulta dalle dichiarazioni fatte in udienza su questo argomento, cioè che sono sorte due tendenze in seno al Consiglio, cioè la tendenza dei «falchi» — per chiamarli così — che volevano il sistema della cauzione improntato a criteri di estremismo, sia per estensione che per rigidità, e la tendenza delle «colombe» che invece avevano tendenze più moderate.

    La soluzione raggiunta si potrebbe forse definire un compromesso tra i due orientamenti: i falchi hanno ottenuto che il sistema di cauzione dovesse applicarsi alle importazioni di cereali, le colombe invece avevano fatto riconoscere il principio che la cauzione non sarebbe stata imposta né alle esportazioni di cereali, né alle importazioni o alle esportazioni di prodotti derivati. Risolvendo il dilemma da cui sono stato lungamente travagliato, vi proporrò di dare una risposta negativa per i seguenti motivi :

    1.

    La questione va risolta in base al solo tenore della norma poiché, per questo regolamento, non vi sono lavori preparatori che possano illuminare il giudice con ulteriori elementi utili all'interpretazione.

    2.

    Il n. 1, dell'articolo 16 stabilisce inequivocabilmente il principio che ogni operatore economico può importare o esportare tutti i prodotti di cui all'articolo 1 del regolamento se ha ottenuto la licenza prescritta, che vale quindi per i cereali e per i prodotti derivati e trasformati.

    3.

    Il n. 3 di questo articolo incarica infine espressamente la Commissione di adottare le modalità d'applicazione delle norme generali di cui al n. 1 secondo il procedimento contemplato dall'articolo 26. Personalmente ritengo che l'istituzione della cauzione sia uno dei presupposti necessari per il rilascio della licenza d'importazione o d'esportazione di cui all'articolo 16, n. 1, cioè costituisca una modalità d'applicazione dell'articolo 1.

    Indubbiamente il sistema del deposito e dell'incameramento della cauzione in caso di mancato assolvimento dell'impegno, in alcuni casi è stato istituito da un regolamento di base, mentre in altri è stato istituito da un regolamento adottato dalla Commissione secondo il procedimento cosiddetto del comitato di gestione.

    Questo fatto non è pero di per se determinante, come ho detto ora, giacché il Consiglio è sempre libero di riservarsi l'emanazione dei provvedimenti d'applicazione dei regolamenti di base o di demandarla alla Commissione.

    L'unico problema è quello di accertare se l'instaurazione del regime di cauzione rientra tra il «provvedimento di applicazione» di un regolamento che stabilisce che deve venir rilasciata una licenza d'importazione o di esportazione.

    Personalmente penso di sì, poiché, se il Consiglio stabilisce che debba venir rilasciata una licenza, le condizioni del rilascio, sotto l'aspetto della legittimità esterna, rappresentano semplici modalità di esecuzione di questo obbligo purché — problema di legittimità interna che esaminerò tra breve — dette modalità non impongano agli importatori o agli esportatori oneri eccessivi rispetto agli scopi per cui era stata istituita la licenza d'importazione.

    Se concordate con me su questo principio, il che richiede decisamente un certo sforzo interpretativo, dovrete ammettere la validità delle disposizioni contestate che hanno esteso il regime della cauzione alle esportazioni di cereali ed alle esportazioni ed importazioni di prodotti derivati che entrano nella sfera d'applicazione del regolamento n. 19.

    Un ultimo mezzo relativo alla legittimità esterna delle disposizioni contestate era stato invocato nella fase scritta: l'insussistente o insufficiente motivazione dei regolamenti che comprendono dette disposizioni.

    Se ritenete necessaria una risposta, pure se i tribunali tedeschi non l'hanno espressamente richiesta, ritengo che sia sufficiente rilevare che tutti i regolamenti contestati sono motivati e per di più a sufficienza.

    Abbiamo dunque concluso Tesarne relativo alla legittimità esterna delle disposizioni contestate, vediamo ora le disposizioni relative alla legittimità interna.

    II

    Le questioni deferite in materia di legittimità interna vertono tutte sullo stesso problema, cioè se tali provvedimenti rispecchino o meno il principio cosiddetto della «proporzionalità» secondo il quale, allorché si persegue un interesse generale, possono essere imposti agli amministrati solo gli obblighi indispensabili per il perseguimento dello scopo stesso.

    Ci troviamo pero di fronte ad una questione preliminare, cioè quale fonte di diritto renda il principio opponibile ad un atto degli organi comunitari.

    Vi sono in merito tre tesi fra esse contrastanti.

    1.

    Quella del tribunale di Francoforte, secondo cui il principio della proporzionalità risultante dal combinato disposto degli articoli 2 e 12 della legge fondamentale della Repubblica federale di Germania, farebbe sì che gli atti comunitari non potrebbero violare queste disposizioni costituzionali; da questa tesi il giudice proponente ha tratto tutte le conseguenze poiché, prima ancora di effettuare il rinvio pregiudiziale, ha negato la validità delle disposizioni litigiose dichiarandole incostituzionali.

    2.

    Quella esposta dallo Hessischer Verwaltungsgerichtshof che ravvisa la fonte di diritto di detto principio di proporzionalità nel diritto comunitario non scritto, nei principi generali del diritto comunitario.

    3.

    L'ultima infine, che propongo io, secondo la quale, nella fattispecie, è ravvisabile la fonte di detto principio in una disposizione esplicita e chiarissima del trattato.

    Anche se le tre strade portassero sempre alla stessa conclusione, credo indispensabile una pronuncia esplicita, giacché il silenzio su questo punto favorirebbe negli Stati membri divergenze o contraddizioni giurisprudenziali.

    Un primo punto mi pare certo, la tesi che ha allettato il tribunale di Francoforte deve essere formalmente disattesa.

    La legittimità di un atto comunitario non può essere valutata che alla luce della legge comunitaria, scritta o meno, ma mai alla luce del diritto interno, sia pure diritto costituzionale. Come avete già affermato nella sentenza Costa, l'atto comunitario «in ragione appunto della sua specifica natura [non potrebbe] trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità».

    Questo principio si applica, secondo la vostra giurisprudenza, indipendentemente dalla norma giuridica interna invocata e avete già stabilito che la validità di una decisione comunitaria non poteva venir valutata sotto il profilo della legge fondamentale tedesca (Uffici di vendita del carbone della Ruhr contro Alta Autorità, Raccolta VI-1960, pag. 27 e segg.) e particolarmente sotto il profilo degli articoli 2 e 12 di detta legge fondamentale, cioè quelli precisamente invocati nella fattispecie (causa 1-58, Stork e Cie contro Alta Autorità, Raccolta V-1959, pag. 62).

    Equivale ciò ad affermare che i principi fondamentali di diritto interno sono irrilevanti per il diritto comunitario? Tutt'altro, essi contribuiscono a formare quella base filosofica, politica e giuridica comune agli Stati membri, sulla quale, secondo il sistema pretoriano, sorge un diritto comunitario non scritto che ha tra l'altro lo scopo essenziale di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona.

    In questo senso, i principi fondamentali dei diritti interni contribuiscono a consentire al diritto comunitario di reperire in se stesso le risorse necessarie per garantire, in caso di necessità, il rispetto dei diritti fondamentali che formano il patrimonio comune degli Stati membri.

    La possibilità che il diritto comunitario garantisca autonomamente e in ogni circostanza la tutela dei diritti della persona riconosciuti come fondamentali, è già stata affermata nella sentenza Stauder (12 novembre 1969, Raccolta XV-1969, pag. 425). Dovreste ora ribadirla con maggiore energia poiché questa fattispecie ve ne offre singolarmente il destro.

    Infatti il diritto fondamentale che qui è invocato, cioè quello che garantisce l'incomprimibilità della libertà individuale, eccezion fatta per i limiti imposti dall'interesse generale, è già garantito sia nei principi generali del diritto comunitario del quale la Corte assicura il rispetto, sia da una disposizione esplicita del trattato.

    La garanzia dei principi generali del diritto comunitario è sottolineata formalmente in due vostre sentenze : 29 novembre 1956, Fédération charbonnière de Belgique (Raccolta II-1955-1956, pag. 285) e 13 giugno 1958, Hauts Fourneaux de Chasse (Raccolta V-1958, pag. 124).

    La disposizione espressa del trattato è quella dell'articolo 40 del titolo II, riguardante l'agricoltura, dalla quale risulta che l'organizzazione comune dei mercati instaurata onde raggiungere gli obiettivi contemplati dall'articolo 39 può implicare solo i provvedimenti necessari per raggiungere gli scopi di cui all'articolo 39.

    È quindi evidente che non solo si può reperire una base squisitamente comunitaria per il diritto che viene fatto valere in questa sede, ma addirittura si offrono più soluzioni.

    Dal canto mio, suggerisco di dare la preferenza ai fondamenti tratti dal diritto scritto, poiché ritengo che rientri nella corretta prassi giurisdizionale far ricorso al diritto non scritto solo là dove il diritto scritto presenta lacune, insufficienze o nebulosità e, d'altro canto, poiché l'articolo 40 del trattato non si riferisce a finalità d'interesse generale più o meno ben definite, ma, più precisamente, agli scopi fissati dall'articolo 39, fornisce cioè in questo settore una garanzia più radicale dei diritti della persona di quella fornita dai principi generali del diritto comunitario.

    In definitiva ritengo quindi che il problema presentato in termini molto ampi e talvolta anche con un linguaggio politico-filosofico, si possa così riassumere : «introducendo il sistema di cauzione contestato, le autorità comunitarie hanno violato l'articolo 40 del trattato in forza del quale possono essere presi solo i provvedimenti necessari per perseguire gli scopi del mercato comune agricolo contemplari nell'articolo 39.

    Per fornire una risposta si dovranno esaminare successivamente :

    1)

    Il principio del sistema della cauzione, e

    2)

    le sue modalità.

    A —

    Personalmente ritengo non solo che il sistema criticato è strettamente necessario per il normale funzionamento del mercato comune dei cereali e dei prodotti derivati, ma pur con le sue pecche è forse la misura meno cogente che si possa immaginare per garantire un buon funzionamento di questo mercato.

    Tenterò di dimostrarlo collocando questo sistema nello sfondo che gli è indispensabile e nella cui panoramica va visto.

    Scopo principale dell'organizzazione del mercato dei cereali è quello di garantire un livello di vita equo per i produttori europei nel rispetto degli altri obiettivi stabiliti dal trattato per la politica comune. Il sistema prevede potenti mezzi di appoggio e di intervento per quanto riguarda i prezzi interni.

    Ogni anno si fissa un prezzo indicativo, cioè il prezzo al quale si auspica che le transazioni avvengano sul mercato comunitario.

    A partire da questo prezzo indicativo si stabilisce un prezzo d'intervento, leggermente inferiore, onde non bloccare gli scambi infracomunitari: questo prezzo d'intervento è in un certo senso un prezzo garantito al produttore.

    Le variazioni di prezzo rappresentano uno degli elementi che provocano l'intervento degli organi comunitari, sia in forma di acquisti obbligatori senza limiti di quantità, sia tramite aiuti alle scorte private, sia infine mediante mezzi indiretti come la denaturazione.

    È evidente che questo sistema deve essere affiancato e sostenuto da un'azione contemporanea alle frontiere della Comunità per regolare gli scambi con l'estero dei prodotti soggetti a questa disciplina.

    I prezzi comunitari, stabiliti in funzione di scopi sociali e di obiettivi economici, sono infatti superiori ai prezzi mondiali che, notoriamente, sono anch'essi artificiali e ben lontani dal rappresentare il prezzo ideale di mercato, come ad esempio lo concepivano gli economisti liberali del XIX secolo.

    Se non vi fosse sorveglianza alle frontiere della Comunità si verificherebbero due fenomeni inevitabili :

    1.

    Impossibilità di esportare, anche quando le eccedenze di produzione nella Comunità esigerebbero un collocamento del prodotto su terzi mercati.

    2.

    Il mercato comunitario sarebbe inondato di prodotti importati da paesi terzi, con conseguente flessione dei corsi, il che farebbe entrare in azione gli organi d'intervento; gli oneri cui si sono assoggettati i cittadini della Comunità onde appoggiare l'agricoltura comunitaria andrebbero direttamente o indirettamente a vantaggio sia dei produttori dei paesi terzi, sia degli importatori di cereali o di altri prodotti derivati.

    Se la necessita di un intervento alle frontiere della Comunità è dunque indiscutibile, la scelta delle modalità ha lasciato molto perplessi gli organi competenti.

    La soluzione più semplice sarebbe stata quella di accentrare in un organo comunitario o in organi che agiscono per conto della Comunità il monopolio del commercio estero. Questi enti, perfettamente al corrente delle risorse, avrebbero importato in caso di penuria, esportato sotto costo in caso di eccedenze cercando di compensare sul piano finanziario gli squilibri susseguenti alle due diverse operazioni.

    Altra soluzione possibile sarebbe stata l'apertura, periodica e commisurata alla situazione del mercato interno, di contingenti d'importazione e d'esportazione, che avrebbero salvaguardato il principio della libertà del commercio estero. Queste soluzioni, caldeggiate da vari specialisti sarebbero state quelle che meglio avrebbero garantito il controllo sul commercio estero.

    Non sono però state accolte in quanto le autorità responsabili le hanno giudicate pregiudizievoli per la libertà degli operatori economici, molti anzi avevano giudicato eccessive, rispetto agli scopi perseguiti, queste forme di costrizione. Si è perciò adottato un sistema molto più elastico, il meno cogente che si possa immaginare. Né monopolio

    delle importazioni o delle esportazioni né controllo quantitativo: si è scelto un regime imperniato sullo stimolo e non sulla costrizione.

    Per le esportazioni non è stata concessa solo libertà di esportare, ma per meglio concretizzare questa libertà si è ricorsi ad una sovvenzione all'esportazione, cioè la «restituzione» che in sostanza pareggia la differenza tra i corsi e i prezzi di detti prodotti entro la Comunità e quelli del mercato mondiale.

    Per le importazioni :

    1o

    Il prezzo d'entrata stabilito dalle autorità comunitarie, che corrisponde grosso modo, con modifiche geografiche, al prezzo d'intervento rappresenta il prezzo minimo che non può venire ulteriormente ridotto nel mercato comune per le transazioni riguardanti quei determinati prodotti.

    2o

    Il tributo comunitario all'importazione, il prelievo, a differenza dei dazi doganali tradizionali, è variabile e quasi sempre corrisponde grosso modo alla differenza tra il prezzo di entrata e il prezzo del prodotto franco-frontiera.

    3o

    Infine per l'importazione e l'esportazione la possibilità di adottare alcuni provvedimenti di salvaguardia che consentano, in caso di squilibri sul mercato comunitario, di porvi rimedio adeguato con la massima rapidità.

    Salvo quindi in caso di crisi acuta, gli unici mezzi che consentano di garantire l'equilibrio del mercato ricordato espressamente dall'articolo 39 come uno degli scopi del mercato comune agricolo sono :

    la manovra del prelievo,

    la manovra del ristorno.

    Se l'offerta sul mercato comunitario mira a superare la domanda, si aumenta il ristorno onde facilitare il collocamento dell'eccedenza.

    Se la domanda tende a superare l'offerta, il prelievo viene diminuito onde consentire di colmare il deficit dell'approvvigionamento comunitario.

    La manovra cervellotica del prelievo o del ristorno può essere evitata se si dispone di determinati elementi :

    Anzitutto dei dati relativi alla situazione interna del mercato, problema che non pone eccessive difficoltà, grazie agli stretti legami tra autorità comunitarie ed organi competenti degli Stati membri.

    Si deve pero anche sapere qual è l'entità e a quali condizioni si compieranno in un determinato periodo le importazioni e le esportazioni, che gli operatori economici hanno piena libertà di effettuare.

    Non disponendo di questo dato, gli organi comunitari competenti in materia di commercio estero dovrebbero agire a tentoni. L'autorità comunitaria si renderebbe conto degli squilibri interni, ma non potrebbe fare previsioni circa il loro andamento, determinato dalle reazioni degli operatori: gli organi comunitari non potrebbero quindi svolgere alcuna opera di prevenzione per mantenere l'equilibrio del mercato.

    Per questa ragione è non solo necessario, ma addirittura indispensabile, per mantenere la libertà economica degli importatori e degli esportatori, sia subordinare la loro attività al rilascio di licenze, sia garantire che la licenza richiesta non rispecchi vagamente una dichiarazione d'intenzioni, ma corrisponda ad un vero impegno a portare a termine l'operazione, impegno garantito dalla cauzione.

    Ricollocato nella giusta cornice, il sistema della, licenza, l'impegno a portare a termine l'operazione prevista e il regime di cauzione che garantisce l'assolvimento dell'impegno si presentano con un aspetto molto diverso da come erano stati dipinti da certuni.

    Non si tratta di un sistema destinato a garantire una specie di vincolo puramente statistico, come pareva pensasse il tribunale di Francoforte. Non è nemmeno un espediente d'aguzzino cui ricorrono zelanti burocrati per far sì che le loro previsioni corrispondano alla realtà.

    E un elemento fondamentale dell'organizzazione del mercato dei cereali, senza il quale la libertà che si è inteso concedere agli operatori economici sconfinerebbe nell'anarchia e nel caos, obbligando le autorità responsabili a ricorrere a misure coercitive.

    Inoltre, punto da non dimenticare, è un mezzo necessario affinché l'aumento delle spese, conseguente all'aumento del ristorno o a una diminuzione degli introiti per una riduzione del prelievo, giovi soltanto all'interesse del mercato comune, affinché cioè gli oneri che gli Stati membri impongono ai loro amministrati a vantaggio del mercato agricolo comune non vengano distolti dalla loro finalità originaria.

    Gli obblighi che il sistema impone agli operatori e agli esportatori costituiscono una contropartita minima per la libertà d'azione di cui godono gli operatori stessi.

    Alcuni hanno tentato di dimostrare che le licenze d'importazione e d'esportazione e la cauzione non erano indissolubilmente vincolate e si poteva ricorrere a sistemi meno coercitivi, giungendo ugualmente all'equilibrio del mercato.

    Uno di questi procedimenti è descritto nel provvedimento del tribunale di Francoforte e il rappresentante delle società che praticano import-export di cereali ve ne ha fatto l'apologia in udienza. Si tratterebbe, pur conservando il sistema di licenze, di limitare l'obbligo dell'operatore che rinuncia all'operazione prevista alla sottoscrizione di una dichiarazione di rinuncia, sotto pena di ammenda.

    Tuttavia quando detta dichiarazione perviene alle autorità competenti, il male è già fatto: l'operazione che non si effettuerà più è ormai da tempo registrata ed è servita per fare le previsioni della situazione di mercato. Per dirla alla buona è come chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.

    Nell'ultima udienza è stato tentato a lungo di dimostrare che il sistema contestato non era perfetto e non consentiva comunque di perseguire lo scopo prefisso: proseguendo la metafora, alcuni buoi riuscivano ancora ad infilarsi tra i battenti della porta della stalla.

    Non metto in dubbio queste tesi, ma le imperfezioni sottolineate dimostrano che solo un sistema più rigido sarebbe stato pienamente efficace e quindi il sistema contestato costituisce il minimo indispensabile dei vincoli che deve accettare l'operatore economico se vuol rimanere libero di compiere le operazioni di cui trattasi.

    Ritengo dunque che, in linea di massima, il sistema instaurato dai regolamenti contestati, che subordina il rilascio della licenza all'impegno di effettuare l'operazione e al deposito di una cauzione a garanzia dell'assolvimento di questo impegno, è strettamente necessario al funzionamento del mercato comune dei cereali così com'è organizzato e quindi l'istituzione di questo sistema non costituisce violazione dell'articolo 40 del trattato.

    Se questo principio è stato affermato per il mercato dei prodotti lattieri (sentenza 4-68 dell'11 luglio 1968), dovete affermarlo anche per il settore dei cereali.

    B —

    Resta da vedere se qualche modalità d'applicazione del sistema non sia arbitraria, cioè se l'articolo 40 del trattato non autorizzasse gli organi comunitari ad adottarla.

    A questo proposito vi vengono deferite due questioni :

    1.

    La prima riguarda la differenza di regime che dovrebbe sussistere tra i due tipi di licenze e cioè :

    le licenze che prevedono l'applicazione del tasso di prelievo o di ristorno vigente nel giorno dell'operazione d'importazione o di esportazione,

    le licenze che stabiliscono che venga applicato il tasso vigente nel giorno della presentazione della domanda, eventualmente ritoccato in funzione del prezzo di entrata vigente nel giorno in cui sarà effettuata l'operazione.

    L'argomento svolto è il seguente.

    Pur ammettendo che in linea di massima il sistema di licenze e di cauzioni impone agli operatori economici soltanto quelle restrizioni indispensabili all'organizzazione del mercato, dovreste riconoscere l'inutilità del sistema se si è convenuto di applicare il tasso vigente nel giorno in cui l'operazione verrà compiuta.

    In questo caso infatti non vi sarebbero rischi di speculazione o di abusi, quindi non vi sarebbe motivo di subordinare il rilascio della licenza al deposito della cauzione.

    L'obiezione sarebbe plausibile, almeno in parte, se l'unico scopo del sistema contestato fosse la tutela delle finanze della Comunità. Queste licenze infatti si prestano meno ad abusi o «sviamenti» che non le licenze a tasso prefissato e questo giustifica, sia detto incidentalmente, il maggior o minor rischio di perdita della cauzione, a seconda dei casi.

    La tutela delle finanze comunitarie, come ho cercato di dimostrare, è però solo una delle ragioni che impongono di adottare il sistema prescelto.

    Vi è ancora una ragione più importante, cioè la necessità di disporre di una panoramica quanto più possibile veritiera della disponibilità di merce sul mercato comunitario onde poter stabilire il prezzo d'entrata, l'entità del prelievo e della restituzione.

    Sotto questo aspetto, indipendentemente dalle clausole contenute nelle singole licenze, il complesso delle autorizzazioni d'importazione e d'esportazione fornisce il dato finale. L'inclusione volontaria di incognite nel calcolo, cioè l'accettare dati che potranno rivelarsi erronei sconvolgerebbe il sistema di previsioni, che invece deve dare risultati quanto più possibile realistici, indispensabili per raggiungere l'equilibrio di mercato senza privare gli scambi dell'indole liberale che i legislatori comunitari intendevano loro mantenere.

    Ritengo dunque indispensabili all'organizzazione del mercato dei cereali le norme che disciplinano l'istituto della cauzione nei due tipi di licenze e nego che vi sia incompatibilità con il n. 3 dell'articolo 40 del trattato.

    2.

    La seconda questione, con cui si tacciano di «abusive» alcune modalità del sistema di cauzione, si ricollega alla disposizione secondo cui solo la forza maggiore evita l'incameramento della cauzione.

    A questo proposito si vuol sapere :

    a)

    se intendiate confermare la vostra giurisprudenza in materia di «forza maggiore» ;

    b)

    se non vi è stato eccesso di potere da parte del legislatore comunitario nello stabilire quest'unica eccezione al principio dell'incameramento della cauzione in caso di inadempimento; cioè gli operatori economici sarebbero assoggettati ad un sistema più rigido del necessario.

    Il primo quesito è già stato risolto — e potrete ribadire la soluzione — nella vostra sentenza 4/68 dell'11 luglio 1968 (Raccolta XIV-1968, pag. 508), cui mi sono testé riferito e che si può riassumere come segue :

    1.

    L'importatore o l'esportatore è esentato dall'obbligo di compiere l'operazione per la quale ha richiesto la licenza qualora avvenimenti estranei gli impediscano di effettuare l'importazione o l'esportazione entro la data prevista.

    2.

    A questo scopo è necessario che :

    a)

    l'avvenimento che ha impedito l'operazione deve avere indole anormale;

    b)

    le conseguenze di questo avvenimento anormale devono essere state inevitabili o comunque tali da poter essere evitate solo a prezzo di un sacrificio eccessivo per il titolare della licenza.

    Sulla seconda questione, quella della validità delle disposizioni che prevedono la restituzione della cauzione solo nei casi di forza maggiore, è stato affermato in questa sede che il sistema è eccessivamente rigido in rapporto agli scopi che esso persegue; sarebbe opportuno sostituirlo con un sistema più elastico, che meglio tenga conto del comportamento del titolare della licenza e delle difficoltà che esso può incontrare nel portare a termine l'operazione per la quale ha richiesto la licenza.

    Mi propongo di disattendere l'argomento per due motivi.

    Nella vostra definizione di forza maggiore si tiene conto in una misura più larga che non in molte altre legislazioni nazionali, del comportamento dell'importatore, poiché si prendono in considerazione l'obiettivo apprezzamento delle previsioni dell'importatore, la sua diligenza, i sacrifici ch'egli avrebbe dovuto affrontare per portare comunque a termine l'operazione.

    Tutti questi elementi forniscono quindi al giudice nazionale un'ampia base di apprezzamento e il sistema non è quindi così rigido come taluni lo prospettano.

    Last, but not least, l'argomento svolto per quanto riguarda la forza maggiore ha come substrato lo stesso principio sul quale si impernia l'assimilazione della cauzione ad una penalità, idea che ho proposto di respingere.

    Visto come sanzione, l'incameramento dovrebbe venir deciso solo dopo aver vagliato tutti gli elementi intenzionali, soggettivi e circostanziati che hanno impedito l'effettuazione dell'operazione.

    Escludo nuovamente la «condanna» alla perdita della cauzione. Si ricorre invece all'incameramento per garantire l'esecuzione di un impegno assunto al momento del rilascio della licenza ed è quindi equo che le autorità comunitarie abbiano stabilito che solo la forza maggiore potesse giustificare l'inadempimento.

    Per concludere sulle questioni sollevate circa la legittimità interna delle disposizioni contestate, ritengo che il sistema di cauzione che esse instaurano è, sia sotto il profilo del principio che delle modalità, necessario ed anche indispensabile al buon funzionamento del mercato comune dei cereali così com'è organizzato e le autorità comunitarie, emanando dette disposizioni, hanno perfettamente rispettato gli obblighi che loro derivavano dall'articolo 40, n. 3, del trattato.

    III

    Affrontiamo infine l'ultima serie di questioni, relative alla validità, sotto il profilo della disciplina comunitaria, del regime di cauzione istituito in uno Stato membro prima che entrassero in vigore i regolamenti d'applicazione adottati dalla Commissione in virtù dell'articolo 16, n. 3 del regolamento n. 19 e alla validità del regolamento n. 87/62.

    Le ragioni per cui dovete occuparvi del problema sono le seguenti.

    Il regolamento n. 19 porta la data del 4 aprile 1962 ed è entrato in vigore il 21 aprile 1962.

    Il regolamento n. 87, del 25 luglio 1962 adottato dalla Commissione ed entrato in vigore il 30 luglio 1962, recita all'articolo 7 :

    «Il rilascio dei titoli d'importazione e d'esportazione per i prodotti elencati nell'articolo 1 del regolamento n. 19 del Consiglio, è subordinato alla costituzione di un deposito cauzionale. Fatte salve le disposizioni dell'articolo 8, tale deposito cauzionale rimane acquisito interamente o in parte qualora l'impegno d'esportazione non sia stato soddisfatto. Fino alla loro armonizzazione secondo la procedura prevista nell'articolo 26 del regolamento n. 19 del Consiglio, i particolari relativi alla costituzione e all'acquisizione del deposito cauzionale, nonché il suo ammontare, sono stabiliti dagli Stati membri e comunicati immediatamente alla Commissione e agli altri Stati membri».

    La Repubblica federale dimostro uno zelo straordinario, poiché fin dal 26 luglio 1962 veniva pubblicata in Germania una legge adottata in applicazione del regolamento n. 19 che istituiva, a decorrere dal 30 luglio 1962, un regime di cauzioni per il rilascio di licenze d'importazione ed esportazione di cereali ed altri prodotti derivati con modalità che corrispondevano all'incirca alle disposizioni che sarebbero poi state emanate nel regolamento comunitario.

    Alcuni ritennero criticabile questa fretta, ad esempio nella causa 30-70, lo Hessischer Verwaltungsgerichtshof, vi ha deferito una questione in merito sia prospettandola come domanda d'interpretazione dell'articolo 16 del regolamento n. 19 e dell'articolo 7 del regolamento n. 87, sia chiedendo una pronuncia sulla validità di quest'ultimo regolamento.

    La questione, redatta piuttosto verbosamente, parrebbe vertere sulla valutazione della compatibilità tra norma comunitaria e legge tedesca del 26 luglio 1962, apprezzamento che esula dalla competenza della Corte, e una giurisprudenza costante lo conferma.

    Ritengo pero che dovrete dare l'interpretazione e, come propone la Commissione, il problema può ampliarsi in questo modo :

    «Se gli Stati membri avessero il diritto, tenuto conto delle disposizioni dell'articolo 16 del regolamento n. 19 e dell'articolo 7 del regolamento n. 87 di legiferare, prima che subentrasse una disciplina comunitaria in merito, sui particolari relativi alla costituzione e all'incameramento, nonché all'ammontare della cauzione per il rilascio delle licenze d'importazione».

    Premettero un osservazione prima di entrare nel merito del problema.

    Dopo l'entrata in vigore del regolamento n. 87, che istituisce il sistema di cauzione e ne prevede l'incameramento ove non si effettui l'operazione, la competenza degli Stati membri ad adottare i provvedimenti necessari all'applicazione di questa disposizione ha una base formale e chiarissima, cioè le disposizioni dell'ultimo comma dell'articolo 7 del regolamento n. 87 che ha lo scopo di attribuire loro questa competenza.

    Quindi il problema sollevato e lungamente discusso dagli attori nel giudizio di merito, cioè se, nell'insussistenza o indipendentemente da una disposizione formale, gli Stati membri godessero di una potestà normativa autonoma, ha a mio avviso solo interesse teorico; sarà superfluo risolverlo se risponderete affermativamente alla questione vertente sulla validità del regolamento n. 87.

    Si è affermato che le disposizioni dell'articolo 7, n. 2, del regolamento n. 87 sono illegittime perché :

    sarebbero state adottate secondo il procedimento detto dei comitati di gestione;

    sarebbero contrarie sia ad alcuni principi generali sanciti dal trattato di Roma che alle disposizioni dell'articolo 16 del regolamento n. 19 del Consiglio.

    Non è pero possibile accogliere l'argomento svolto su questi due punti per le seguenti ragioni.

    1.

    Per quanto riguarda la parte dell'argomento relativa all'illegittimità da cui sarebbe viziato il regolamento n. 87, in quanto adottato secondo il procedimento cosiddetto dei comitati di gestione, posso solo riferirmi a quanto ho esposto in precedenza.

    2.

    Per quanto riguarda l'incompatibilità delle disposizioni del secondo comma dell'articolo 7 del regolamento n. 87, con i principi generali del trattato e del diritto comunitario :

    a)

    Esiste un principio generale che obbligherebbe in un certo senso le autorità comunitarie ad applicare un sistema di mercato comunitario solo allorché questo sistema è in grado di poter venire disciplinato minuziosamente su tutto il territorio comunitario mediante regolamenti comunitari.

    Come dirò tra breve, il principio è invece quello di adottare gradualmente provvedimenti atti a garantire l'equilibrio e il funzionamento del mercato comunitario.

    b)

    In secondo luogo esiste un principio di non discriminazione che vieterebbe agli Stati di adottare provvedimenti di applicazione onde non correre il rischio che vi sia discrepanza tra i vari provvedimenti.

    Non bisogna pero confondere discriminazione e diversità di situazione interna; non si deve assimilare la non discriminazione all'armonizzazione preventiva e completa delle legislazioni nazionali.

    Il principio di non discriminazione entra in linea di conto solo allorché una stessa autorità adotta provvedimenti diversi nei confronti di persone che si trovano in situazioni identiche o analoghe.

    Tale principio non può quindi venire invocato allorché non vi è una autorità unica, ma vi sono autorità distinte.

    c)

    Si rileva infine che le disposizioni obererebbero gli operatori economici con oneri eccessivi, ma penso che a questo proposito sia inutile ritornare su quanto ho testé esposto.

    3.

    Sull'incompatibilità tra le disposizioni contestate del regolamento n. 87 della Commissione e quelle dell'articolo 26 del regolamento n. 19 del Consiglio, l'argomento pone un problema più delicato.

    Il secondo comma dell'articolo 16 recita : «Le modalità d'applicazione del presente articolo e in particolare il periodo di validità del titolo d'importazione … sono stabiliti, secondo la procedura dell'articolo 26» cioè dalla Commissione, previo parere del comitato di gestione.

    È evidente e lecito domandare se il tenore della norma non riservi alla Commissione ed eventualmente al Consiglio la facoltà di stabilire le condizioni per il rilascio delle licenze.

    Personalmente ritengo che un'interpretazione letterale della norma non imponga questa soluzione e che questa soluzione vada anche scartata se si interpreta detta norma sotto il profilo teleologico.

    Per quanto riguarda l'interpretazione letterale, si devono fare tre osservazioni :

    Come rileva la Commissione, la norma non dispone affatto che tutte le misure di applicazione dell'articolo 16 del regolamento n. 19 possano essere adottate solo seguendo il procedimento dei comitati di gestione; si può intendere la norma nel senso che solo i provvedimenti più importanti devono essere adottati secondo questo procedimento.

    In effetti si è giunti proprio a questo risultato, poiché la Commissione, con il regolamento n. 87, ha istituito l'obbligo della cauzione e ne ha previsto l'incameramento se l'operazione non viene effettuata, mentre gli Stati membri sono stati incaricati di adottare soltanto i provvedimenti complementari.

    Si deve sottolineare inoltre e soprattutto che l'uso dell'indicativo presente dimostra come gli autori del regolamento abbiano voluto tener conto essenzialmente dei provvedimenti generali adottati nell'ambito dell'organizzazione completa del mercato e non necessariamente di tutti i provvedimenti transitori necessari alla sua instaurazione graduale.

    Quindi lo stesso tenore della norma è sufficiente a conferirle il senso che le attribuisce l'attrice nel procedimento di merito.

    Lo spirito cui essa s'ispira induce anzi a respingere questa interpretazione: anche questa volta è opportuno ricollocare la norma nel suo sfondo naturale.

    Qual è questo sfondo?

    Una norma generale, contemplata dall'articolo 40, n. 1 del trattato, stabilisce che gli Stati membri incrementino gradualmente la politica agricola comune durante il periodo transitorio (e in questo periodo è stata adottata la norma litigiosa).

    Una norma ancor più generale, quella del primo comma dell'articolo 5 del trattato recita : «Gli Stati membri … facilitano (la Comunità) nell'adempimento dei propri compiti».

    il regolamento comunitario n. 19, che applica appieno questi principi, prevedendo una graduale instaurazione dei sistemi che esso istituisce con la cooperazione degli Stati membri, le cui competenze in questo periodo transitorio vengono man|mano disciplinate.

    Se collochiamo il problema in questo ambito, e prescindendo dalla considerazione secondo cui ogni altra soluzione avrebbe notevolmente ritardato l'applicazione di norme essenziali, come quelle relative all'organizzazione del mercato comunitario dei cereali, mi pare evidente che gli autori del regolamento n. 87, che hanno stabilito il principio della cauzione e previsto la possibilità del suo incameramento, decidendo che le rimanenti misure di esecuzione sarebbero state determinate dagli Stati membri, non hanno violato le disposizioni del trattato nè negletto quelle del regolamento n. 19, anzi le hanno esattamente applicate con lo stesso spirito che le pervade.

    Posso così riassumere le odierne conclusioni fiume: propongo che ai giudici proponenti vengano date le seguenti risposte.

    1.

    Il procedimento di cui all'articolo 26 del regolamento n. 19 del Consiglio del 4 aprile 1962 è conforme al trattato.

    2.

    La disamina delle questioni deferite alla Corte dal Verwaltungsgericht di Francoforte e dallo Hessischer Verwaltungsgerichtshof non mette in luce alcun elemento tale da scalfire la validità del n. 2 dell'articolo 7 del regolamento n. 87 della Commissione 25 luglio 1962 né degli articoli 1 e 7, nn. 1 e 2 del regolamento n. 102/64 della Commissione 28 luglio 1964, né dell'articolo 12, n. 3 del regolamento n. 120/67 del Consiglio 13 giugno 1967, né dell'articolo 9 del regolamento n. 473/67 della Commissione 21 agosto 1967.

    3.

    L'articolo 16, n. 2 e n. 3 del regolamento n. 19 del Consiglio 4 aprile 1962 non impedisce che, in conformità all'articolo 7, n. 2 del regolamento n. 87, uno Stato membro stabilisca le modalità d'applicazione delle norme di una cauzione di cui al regolamento n. 19 e al regolamento n. 87.


    ( 1 ) Traduzione dal francese.

    Top