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Document 61969CC0047

    Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 21 aprile 1970.
    Governo della Repubblica francese contro Commissione delle Comunità europee.
    Causa 47-69.

    Raccolta della Giurisprudenza 1970 -00487

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1970:30

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE KARL ROEMER

    DEL 21 APRILE 1970 ( 1 )

    Signor Presidente,

    Signori Giudici,

    La presente causa, discussa oralmente il 10 marzo 1970, riguarda l'interpretazione delle disposizioni del trattato CEE relative agli aiuti statali. L'origine della controversia è la seguente :

    Al fine di aiutare le industrie tessili francesi a superare le difficoltà esistenti nel settore in molti paesi, ed anche negli altri Stati membri della Comunità, il governo francese ha istituito, con effetto dal 1o gennaio 1966, un regime tendente a favorire la ricerca ed a facilitare il rinnovamento delle strutture industriali e commerciali in detto settore. Tali aiuti sono finanziati mediante la riscossione, all'atto della vendita di determinati prodotti tessili in Francia, di un'imposta che colpisce allo stesso modo i prodotti nazionali e quelli importati. Una parte del gettito dell'imposta è devoluta, secondo un determinato criterio di ripartizione, all'Institut textile de France, a titolo di contributo finanziario per le ricerche da esso effettuate, mentre il resto è versato all'associazione degli industriali del settore («Union des industries textiles»), e viene impiegato nell'ambito di programmi di rinnovamento delle strutture industriali e commerciali delle aziende tessili (in particolare, serve a rimborsare una parte delle spese non produttive), come pure, essenzialmente, per l'ammodernamento e la promozione commerciale collettiva in determinati settori. Il testo di base per questa disciplina era il decreto 24 dicembre 1965, che aveva istituito la suddetta imposta. La relativa aliquota veniva fissata in un primo momento, con decreto 24 dicembre 1965, nella misura dello 0,20 %. Le modalità di ripartizione del gettito dell'imposta erano stabilite coi due decreti 29 marzo 1966 e 21 aprile 1966 : 40 % all'Institut textile de France e 60 % all'Union des industries textiles.

    Con lettera del governo francese in data 4 maggio 1966, la Commissione della CEE, che ne aveva fatto richiesta il 10 gennaio 1966, veniva informata in modo dettagliato della disciplina di cui sopra. Successivamente, il 20 giugno 1966, in una riunione multilaterale con i rappresentanti di tutti gli Stati membri, si procedeva ad un primo esame del regime di aiuti francese, il che dava modo alla Commissione d'iniziare — com'essa dichiarava al governo francese in una lettera del 30 maggio 1967 — la procedura prevista dall'articolo 93, n. 2, del trattato CEE. Nella lettera si sottolineava che l'aiuto appariva legittimo quanto alla sua finalità ; la Commissione nutriva però dei dubbi circa il sistema di finanziamento, in quanto l'imposta veniva riscossa anche su prodotti importati da altri Stati membri.

    Secondo la Commissione, ciò era inammissibile. Essa esprimeva i suoi dubbi sulla compatibilità degli aiuti col mercato comune e chiedeva al governo francese di sospendere l'esecuzione delle relative norme fino a quando non fosse stata presa una decisione definitiva. Come ulteriormente richiesto nella lettera della Commissione, il governo francese rispondeva con una nota del 12 luglio 1967, sostenendo che il sistema di finanziamento non poteva costituire oggetto di controllo da parte della Commissione, in quanto gli aiuti, sotto l'aspetto dello scopo perseguito, erano compatibili col trattato, tanto più che non ricadevano in alcun modo sotto gli articoli 12 e 95 del trattato CEE. In relazione a ciò, il regime litigioso veniva mantenuto in vigore con decreto 27 aprile 1968. Un altro decreto recante la stessa data aumentava anzi l'aliquota dell'imposta allo 0,35 % e modificava il criterio di ripartizione del gettito, attribuendo i 2/7 alla ricerca e i 5/7 all'associazione delle industrie tessili francesi.

    Infine, poiché neppure nel corso della riunione multilaterale tenutasi il 18 giugno 1969 si perveniva ad un accordo tra il governo francese e la Commissione, quest'ultima adottava, il 18 luglio 1969, una decisione a norma dell'articolo 93, n. 2, 1o comma e n. 3, del trattato CEE, decisione nella quale confermava il punto di vista secondo cui gli aiuti erano compatibili con l'articolo 92, n. 3, lettera c), con riguardo alla loro finalità, ma insisteva sull'illegittimità del sistema di finanziamento, in quanto anche prodotti importati da altri Stati membri venivano colpiti dall'imposta. Ad avviso della Commissione, ciò influiva sulla concorrenza a danno delle imprese degli altri paesi, costituendo un'alterazione delle condizioni degli scambi, vietata dall'articolo 92. Perciò, in definitiva, veniva deciso che, a decorrere dal 1o aprile 1970, la Repubblica francese non avrebbe dovuto più concedere aiuti a norma dei decreti 24 novembre 1965 e 27 aprile 1968, a meno che il sistema non venisse previamente modificato per evitare che i prodotti importati da altri Stati membri fossero colpiti dall'imposta.

    Con lettera 18 luglio 1969, pervenuta il 22 luglio 1969, la decisione veniva notificata al governo francese, il quale, non essendo disposto ad accettarla, ha adito la Corte a norma dell'articolo 173 del trattato CEE, dando inizio, il 26 settembre 1969, all'attuale procedimento. Dobbiamo perciò stabilire se la domanda di annullamento, presentata con varie argomentazioni dal governo francese, appaia fondata.

    Valutazione giuridica

    1.

    Gli argomenti coi quali il governo francese impugna in via principale la decisione della Commissione risultano chiaramente da quanto si è accennato nell'esporre i fatti. Esso sostiene che nel trattato esiste una esatta distinzione fra le disposizioni relative agli aiuti concessi dagli Stati (artt. 92-94) e le altre disposizioni che regolano in particolare le imposizioni fiscali sugli scambi (artt. 12 e 95). Gli articoli 92 e 93, della cui applicazione ora si tratta, riguarderebbero soltanto gli aiuti, vale a dire la possibilità di favorire determinate imprese mediante la concessione di certi vantaggi. Solo entro questi limiti l'articolo 93 prevede una competenza della Comunità in merito alla soppressione o alla modifica di provvedimenti interni degli Stati. Nella fattispecie, tuttavia, poiché è incontestata — come la stessa Commissione ammette — la finalità degli aiuti francesi, un intervento della Comunità a proposito della concessione degli aiuti è logicamente escluso. D'altra parte, non si può prendere in considerazione un'azione della Commissione che si basi sulle disposizioni fiscali del trattato, perché, essendo i prodotti nazionali e quelli importati gravati in ugual misura, non si può dire che esistano i necessari presupposti di fatto. Stando così le cose, se è vero che i due elementi del regime di aiuti francese (concessione di mezzi finanziari e riscossione di tributi statali) appaiono legittimi ad una separata valutazione in base alle norme del trattato, non si può ammettere che, considerandoli congiuntamente, uno di tali elementi (precisamente la riscossione dell'imposta) venga dichiarato incompatibile col trattato e ne venga richiesta — come intende fare la Commissione — la modifica a norma dell'articolo 93.

    Trovandosi per la prima volta a confronto con l'esposizione degli argomenti della ricorrente, non si può certo negare ch'essi appaiono logici e persuasivi. Tuttavia sorgono subito alcuni dubbi. Di fronte al fatto che si vuole contribuire al miglioramento strutturale di un settore dell'industria nazionale (o meglio, delle imprese del ramo ubicate nel territorio di uno Stato membro) attraverso il loro ammodernamento e la loro razionalizzazione, affinché esse possano meglio affrontare «la pressione della concorrenza internazionale» — come afferma espressamente il governo francese nella lettera 4 maggio 1966 — e tenuto conto, inoltre, della circostanza che questo miglioramento della concorrenzialità dev'essere ottenuto, fra l'altro, mediante tributi(«taxes parafiscales») percepiti all'importazione (la cui origine, quindi, giustifica il sospetto ch'esse equivalgano ad un onere imposto a concorrenti stranieri, che a loro volta incontrano analoghe difficoltà strutturali), di fronte a tale situazione — dicevo — è difficile pensare che il trattato, a causa della separazione delle disposizioni sugli aiuti e delle disposizioni fiscali, invocata dal governo francese, non offra alcuna possibilità di ovviare ad una patente alterazione della concorrenza.

    Ad un esame più approfondito risulta, inoltre, che il governo francese sottovaluta la portata delle disposizioni del trattato riguardanti gli aiuti. Volendo definire esattamente questa portata, si deve ricordare quanto segue : in linea di principio, il trattato vieta gli aiuti statali e sottolinea espressamente l'ncompatibilità di tali aiuti col mercato comune. Inoltre — e ciò milita sicuramente a favore di un'applicazione del divieto in senso lato — si parla di «aiuti… sotto qualsiasi forma», i quali è sufficiente«minaccino di falsare la concorrenza». Nell'articolo 93 ricorre la nozione di «regimi di aiuti» («Beihilferegelungen», «régimes d'aides», «steunregelingen») e sono menzionate le «opportune misure» che la Commissione deve proporre qualora lo richiedano il graduale sviluppo o il funzionamento del mercato comune. Già sotto questo aspetto è perciò giustificata un'interpretazione lata delle facoltà d'intervento attribuite alla Commissione e, viceversa, non sembra logica un'interpretazione che tenda a restringere i concetti. Come giustamente rileva la Commissione, nello stesso senso si è pronunciata anche questa Corte, che nella causa 6-64 (Raccolta X-1964, pag. 1146), a proposito del concetto di aiuti, ha parlato di provvedimenti intesi a favorire direttamente o indirettamente determinate imprese.

    A prescindere da questo, non sarebbe logico, in effetti, (o, come dice la Commissione, apparirebbe artificioso) il separare il regime degli aiuti dalle fonti che lo alimentano, quando leggi statali prevedono espressamente una connessione del genere. Qui senza dubbio è più giusto partire dal presupposto dell'unità del sistema, dell'esistenza di un tutto unico, anche se, probabilmente, dai lavori del Consiglio relativi all'applicazione degli articoli 92 e 93 non risulta che le imposte siano mai state considerate elementi costitutivi degli aiuti. D'accordo con la Commissione, si devono per l'appunto logicamente distinguere le diverse conseguenze di un regime di aiuti: questo produce, com'è naturale, effetti favorevoli diretti attraverso l'impiego di certi mezzi per determinati scopi (nella fattispecie, l'attribuzione — apertamente ammessa — di determinate somme a due enti operanti nell'ambito della vita economica e della ricerca in Francia). Il tipo di finanziamento di un aiuto può avere, però, anche effetti indiretti, che si devono considerare ugualmente come riflessi del regime di aiuti. Nel nostro caso, questi effetti relativi al finanziamento, cioè al modo di procurarsi i mezzi necessari, sono tali da costituire, a causa dell'onere imposto ai produttori stranieri (onere che sussiste, almeno in una certa misura — come si dovrà dimostrare in seguito — ed al quale non corrispondono vantaggi equivalenti) un'ulteriore agevolazione nella concorrenza, per le imprese tessili francesi. Il non prendere in considerazione tali effetti equivarrebbe, in realtà, a restringere artificiosamente il campo visuale e a ridurre quello che ragionevolmente si può considerare l'ambito di applicazione delle norme relative agli aiuti.

    Come primo risultato parziale possiamo quindi ritenere che non si può far carico alla Commissione di aver a torto criticato, in base alle disposizioni del trattato, il sistema di finanziamento del regime di aiuti francese e di aver basato unicamente su questo fatto la decisione impugnata, motivandola soltanto nel senso che tale tipo di finanziamento non è indispensabile ai fini del regime stesso.

    2.

    Il governo francese critica inoltre la formulazione della decisione impugnata ed in particolare il fatto che essa poneva la modifica del sistema, consistente nella riscossione dell'imposta, come condizione per il mantenimento di un aiuto di per sé compatibile col trattato, e che quindi, nel caso d'inadempimento di questa condizione, veniva ingiunta l'abolizione dell'aiuto. La decisione sarebbe quindi ambigua, in quanto non si richiede direttamente la modifica del sistema di finanziamento, ma si cerca di ottenerla in modo indiretto. In questo il governo francese ravvisa un «détournement de procedure». A rigor di termini — esso afferma — ciò potrebbe portare all'assurdo di dover abolire l'aiuto nonostante la sua compatibilità col trattato e l'interesse generale ch'esso presenta, e di mantenere in vigore soltanto l'imposta, che non si può condannare in base al trattato, e cioè proprio l'elemento che, ad avviso della Commissione, porterebbe, nell'ambito del regime di aiuti, ad una grave modifica delle condizioni degli scambi.

    Nemmeno su questo punto — lo dico subito — posso accettare la tesi del governo francese. Dal testo della decisione e dai lavori preparatori, in ispecie dalla lettera della Commissione in data 18 luglio 1969, risulta chiaramente qual è lo scopo che la Commissione vuole raggiungere: essa critica il tipo ' di finanziamento in quanto parte del sistema di aiuti francese, e ciò che le importa è soprattutto la sua modifica. Al riguardo, come abbiamo visto, la Commissione dispone di una facoltà di decisione, e secondo me non vi è alcun dubbio che, con l'emanazione della decisione impugnata, essa si sia avvalsa di tale facoltà. Non vedo perciò per quali motivi si possa criticare la procedura che la Commissione ha deciso di seguire. In realtà, ci troviamo di fronte — com'è stato detto in corso di causa — ad una decisione alternativa, che lascia al destinatario una possibilità di scelta e quindi — a ben vedere — crea un margine discrezionale a favore del governo francese, il quale può giungere all'abolizione del regime di aiuti, insostenibile nel suo complesso, oppure alla modifica del solo sistema di finanziamento. Poiché, tuttavia, la Commissione era in grado di pretendere direttamente una modifica del sistema di finanziamento, essa doveva avere anche la possibilità di scegliere il mezzo relativamente meno radicale, che consiste in una decisione condizionata. Ciò non significa, certamente, che la richiesta della Commissione abbia — come invece ritiene il governo francese — il carattere di un semplice suggerimento.

    Se infine si tiene presente che il governo francese non avrebbe sicuramente preso in considerazione una completa abolizione del regime di aiuti vigente per l'industria tessile, non si può in alcun modo parlare — a mio avviso — di «détournement de procédure» o di «détournement de pouvoir».

    Si e quindi legittimati a concludere che la tesi principale del governo francese non è idonea, in nessuno dei suoi aspetti, a far ritenere necessario l'annullamento della decisione impugnata.

    3.

    Gli argomenti dedotti in subordine dal governo francese riguardano le ripercussioni economiche del regime degli aiuti, in particolare il presunto gravame imposto ai produttori degli altri paesi. Con essi, si tenta di dimostrare che il sistema prescelto per il finanziamento non altera «le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse», e che quindi non sussiste la condizione essenziale, posta dall'articolo 92, n. 3 c), all'emanazione della decisione impugnata. Il governo francese accenna in proposito alla modesta incidenza dell'imposta litigiosa, ed alla possibilità di trasferirne completamente l'onere sui consumatori francesi, il che escluderebbe qualsiasi pregiudizio dei produttori di altri paesi. Ciò sarebbe confermato dal fatto che le importazioni in Francia di prodotti tessili dagli altri Stati membri sono notevolmente aumentate durante gli ultimi due anni. Inoltre, si deve tener conto, a suo dire, del fatto che l'aiuto ha conseguenze favorevoli anche nei confronti dei produttori stranieri, per quanto riguarda sia la promozione della ricerca, sia il miglioramento delle strutture industriali e commerciali. Infine, si dovrebbe ammettere che, qualora fosse data esecuzione alla decisione della Commissione, cioè si esentassero dall'imposta i prodotti stranieri, si giungerebbe ad una discriminazione a danno delle imprese francesi, le quali dovrebbero sopportare da sole l'onere derivante dalle misure di aiuto. In tal modo, si creerebbe un sistema difficilmente giustificabile dal punto di vista economico, il quale, se venisse generalizzato, darebbe luogo addirittura ad una situazione assurda.

    Chiediamoci ora che cosa si debba pensare in particolare, di questi argomenti.

    In primo luogo, mi sembra assai discutibile la tesi secondo cui la riscossione dell'imposta non può avere effetti dannosi nei confronti dei produttori stranieri, in quanto è possibile trasferirla interamente sui consumatori francesi. In proposito non ha certamente alcun valore l'argomento di carattere tecnico-contabile relativo al fatto che la detta imposta debba essere inclusa nelle fatture in aggiunta all'IVA. Non si può infatti ricavare per questa via un giudizio sui suoi effetti economici. Si può infatti parlare di trasferibilità integrale solo in caso di assoluta rigidità della domanda, ma è impossibile ammettere che questo sia il caso dei tessili, anche in considerazione dei problemi di capacità esistenti in questo settore industriale. Di conseguenza, si deve partire dal presupposto che l'imposizione dell'onere ai prodotti stranieri può causare ai produttori degli stessi un minor utile e un minore smercio, il che costituisce una modifica a loro danno delle condizioni degli scambi.

    Quanto all'incidenza del tributo, aumentata dallo 0,20 % all'attuale 0,44 % (poiché esso è ormai commisurato al valore delle merci al netto d'imposte), si deve certamente dar ragione al governo francese, quando asserisce che aliquote del genere possono determinare solo modesti rialzi dei prezzi, più modesti di quelli che determinano eventuali oscillazioni dei prezzi dei prodotti di base sul mercato mondiale. È dubbio tuttavia che convenga, al riguardo, una simile valutazione quantitativa. Essa potrebbe essere suggerita dal testo francese e da quello italiano dell'articolo 92, in cui viene adoperata la formula «dans une mesure contraire à l'intérèt commun» («in misura contraria al comune interesse»). Il testo tedesco e quello olandese contengono però delle formule che suggeriscono piuttosto una valutazione qualitativa, in quanto vi è detto che le condizioni degli scambi non devono essere alterate in modo («in einer Weise», «zodanig») contrario al comune interesse. Del resto, ci si dovrà decidere a favore di questa valutazione qualitativa anche in considerazione della severità, cui abbiamo già accennato, delle norme sugli aiuti, che sono vietati — a norma dell'articolo 92 — anche qualora minaccino soltanto di falsare la concorrenza. Non va inoltre dimenticato che, qualora si procedesse ad una valutazione quantitativa, si avrebbe un notevole fattore d'incertezza, perché naturalmente la determinazione di ciò che si deve considerare come una sensibile o sostanziale modifica delle condizioni degli scambi è diversa a seconda del mercato e del tempo. Nel caso attuale, una valutazione quantitativa è inammissibile come nel caso delle tasse d'effetto equivalente ad un dazio doganale; in questa ipotesi la Corte, com'è noto, l'ha espressamente esclusa ( 2 ).

    Se ora — com'è imposto da tutte queste considerazioni — si procede ad una valutazione qualitativa, e ci si chiede cioè, quale modifica delle condizioni degli scambi sia per sua natura contraria al comune interesse, ai sensi dell'articolo 92, non esiste alcun dubbio, secondo me, che tale sia qualsiasi pregiudizio arrecato a produttori stranieri nel campo della concorrenza, specialmente quando esso sia posto in essere con l'ausilio di norme fiscali nell'ambito di un regime di aiuti. L'incidenza reale del danno è perciò assolutamente irrilevante. Di conseguenza, è inutile approfondire l'argomento relativo all'aumento considerevole delle importazioni in Francia di prodotti tessili dagli altri Stati membri, negli ultimi due anni. In proposito, si potrebbe al massimo osservare, con la Commissione, che ciò si spiega con l'andamento congiunturale generale i cui effetti si sono sentiti in molti settori dell'industria francese, mentre si ignora quale sarebbe stato lo sviluppo delle importazioni senza la tassa litigiosa.

    Circa l'ulteriore argomento del governo francese, secondo cui l'onere fiscale imposto ai prodotti stranieri si giustifica in base al fatto che le misure di aiuto finanziate in tal modo hanno favorevoli ripercussioni anche nei confronti dei produttori stranieri, si deve osservare quanto segue.

    La tesi della ricorrente potrebbe essere esatta — almeno in parte — per quanto riguarda l'aiuto concesso all'Institut textile de France: la biblioteca e il servizio di documentazione dell'istituto sono infatti aperti a tutti gli interessati, i suoi lavori di ricerca vengono pubblicati, e i contratti di ricerca vengono stipulati alle stesse condizioni, tanto se si tratta di imprese nazionali, quanto se si tratta d'imprese straniere. Non si può parlare, tuttavia, di un'assoluta parità di trattamento e di risultati, non solo perché gli abbonati stranieri — il cui numero è del resto molto inferiore a quello degli abbonati francesi — devono pagare un prezzo più elevato per le pubblicazioni dell'istituto, ma anche per il fatto ch'essi incontrano difficoltà di carattere linguistico e perché è innegabile, naturalmente, un certo orientamento nazionale dei lavori di ricerca, che sono fortemente influenzati dalle imprese francesi.

    Ancor più decisamente si può escludere che l'azione di promozione strutturale abbia effetti favorevoli anche nei confronti delle imprese di altri paesi. I relativi provvedimenti non si limitano, in realtà, all'eliminazione delle aziende improduttive, cioè alla riduzione della capacità, ma mirano anche alla razionalizzazione e all'incremento della produttività, affinché le imprese francesi possano meglio affrontare la concorrenza di imprese straniere, per le quali non sono previsti analoghi provvedimenti strutturali. Contro la tesi del risultato favorevole equivalente nei confronti delle imprese straniere si può ricordare, inoltre, che in una fattispecie analoga, quella del «diritto di statistica» riscosso in Italia, è stato messo in evidenza (con riguardo alla tesi della controprestazione, che avrebbe giustificato la riscossione di tale diritto) il carattere generale del vantaggio e la difficoltà di valutarne l'entità (causa 24-68, Raccolta XV-1969, pag. 202).

    La stessa cosa vale certamente per quanto riguarda le misure strutturali dell'industria tessile francese, ed i rapporti con i produttori stranieri, le cui merci sono gravate da tributti destinati al finanziamento di dette misure. E questo uno dei motivi per cui sembra da escludere ogni giustificazione dell'onere imposto ai prodotti stranieri.

    Infine, non resta molto da dire neppure in merito alla tesi della ricorrente secondo cui, qualora fossero colpite dal tributo soltanto le imprese francesi, si avrebbe una discriminazione a danno di queste ultime e si dovrebbero temere risultati inammissibili sul piano economico. Di una discriminazione a danno delle imprese francesi non si può sicuramente parlare per il fatto stesso ch'esse si trovano indubbiamente in una situazione di privilegio, essendo le prime a beneficiare delle misure finanziate con i tributi in parola. Quanto al timore di risultati poco soddisfacenti dal punto di vista economico, si può dire che un argomento così vago è certamente inconferente di fronte alle esigenze che, per la soluzione del nostro caso, si possono chiaramente desumere dalle disposizioni del trattato relative agli aiuti. A prescindere da ciò, puramente teorica è l'osservazione secondo cui la realizzazione del sistema auspicato dalla Commissione potrebbe privare di fondamento il regime degli aiuti, in quanto in tal caso si produrrebbe esclusivamente per l'esportazione (esente da imposizioni fiscali).

    Neppure gli argomenti dedotti in subordine dalla ricorrente sono perciò in grado di giustificare la sua richiesta di annullamento.

    4.

    Le mie considerazioni sul presente caso si possono riassumere molto brevemente: concludo nel senso che, nonostante la ricevibilità del ricorso, nessuno degli argomenti svolti al riguardo è sufficiente a farlo apparire fondato. Esso va perciò respinto, con la conseguenza che la ricorrente dovrà sopportare le spese.


    ( 1 ) Traduzione dal tedesco.

    ( 2 ) Cfr. Causa 24-68, Raccolta XV-1969, pag. 200, e cause 2 e 3-69, Raccolta XV-1969, pag. 221.

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