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Document 61969CC0004

    Conclusioni dell'avvocato generale Dutheillet de Lamothe del 17 febbraio 1971.
    Alfons Lütticke GmbH contro Commissione delle Comunità europee.
    Causa 4-69.

    Raccolta della Giurisprudenza 1971 -00325

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1971:17

    CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

    ALAIN DUTHEILLET DE LAMOTHE

    DEL 17 FEBBRAIO 1971 ( 1 )

    Signor Presidente,

    Signori Giudici,

    Dall'entrata in vigore del trattato di Roma, la società Lütticke, importante ditta tedesca d'import-export, vi ha reiteratamente dimostrato la sua fede nel diritto europeo e nell'organo che lo amministra. I commentatori della vostra giurisprudenza e la dottrina dovrebbero essere molto riconoscenti verso questa «affezionata ricorrente», poiché, tra le varie imprese private degli Stati membri, la Lütticke gode di un incontestato primo posto come numero di ricorsi presentati; dobbiamo quindi a lei moltissime sentenze in materia d'applicazione del trattato di Roma.

    La Lütticke ha dimostrato una notevole perspicacia nell'individuare quali vantaggi potevano trarre gl'importatori e gli esportatori dalle disposizioni del trattato di Roma e dal diritto comunitario che da esso deriva e sovente — direi con tenacia sistematica — ha tentato di «europeizzare» le sue controversie con le amministrazioni doganali e fiscali tedesche.

    Il presente ricorso non è più una domanda pregiudiziale, ma una domanda di risarcimento presentata direttamente nei confronti della Commissione.

    Anzitutto si deve inquadrare la controversia sullo sfondo delle controversie precedenti, rispetto alle quali questo litigio rappresenta un corollario, che mi auguro sia l'ultimo.

    Agli autori del trattato di Roma non e sfuggito che le disposizioni relative all'abolizione dei dazi doganali tra gli Stati membri sarebbero rimaste semplici enunciati se gli Stati, che in linea di massima conservano una sovranità assoluta in materia fiscale interna, avessero potuto trincerarsi dietro questa sovranità onde rifarsi in qualche modo delle somme che non potevano più percepire a titolo di dazi doganali o di tasse d'effetto equivalente.

    Perciò l'art. 95 del trattato vieta agli Stati membri di applicare direttamente o indirettamente ai prodotti provenienti dagli altri Stati membri oneri fiscali interni superiori a quelli gravanti indirettamente o direttamente sui prodotti nazionali similari. Inoltre agli Stati membri è vietato applicare ai prodotti importati dagli altri Stati membri tributi interni atti a tutelare indirettamente altre produzioni.

    Infine il 3o comma dell'art. 95 sancisce che gli Stati membri «Aboliscono o modificano, non oltre l'inizio della seconda tappa, le disposizioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente trattato che siano contrarie alle norme che precedono».

    L'applicazione di questi principi all'imposta sulla cifra d'affari faceva sorgere problemi particolarmente delicati. Infatti solo la Francia aveva applicato o stava per applicare una tassa detta «integrata», cioè la tassa sul valore aggiunto riscossa una tantum e non corrisposta a più riprese, cioè ad ogni stadio produttivo o distributivo.

    Tutti gli altri Paesi, per contro, applicavano la cosiddetta tassa «a cascata» corrisposta ad ogni stadio produttivo e distributivo.

    Onde ovviare a questa difficoltà, l'art. 97 del trattato ha stabilito che gli Stati membri che applicavano la tassa sulla cifra d'affari secondo il sistema cosiddetto «cumulativo a cascata», potevano applicare le imposizioni interne sui prodotti importati o concedere i ristorni alle esportazioni in base ad aliquote medie per prodotti o gruppi di prodotti, giacché il sistema non violava i principi sanciti dagli artt. 95 e 96.

    L'ultimo comma di questo articolo stabiliva inoltre che, qualora le aliquote medie determinate da uno Stato membro non fossero state conformi ai principi summenzionati, la Commissione avrebbe emanato nei confronti dello Stato interessato opportune direttive o decisioni.

    L'insieme di queste disposizioni, secondo la vostra interpretazione, si risolveva in un sistema complesso, che si può riassumere come segue (vedi conclusioni dell'avvocato generale J. Gand nella causa 57-65, Lütticke, come pure le vostre sentenze del 3 e 4 aprile 1968):

    1.

    Nei rapporti tra gli Stati membri, un prodotto esportato era esente da imposte nel paese d'origine, ma nel paese importatore poteva invece essere applicata una tassa di conguaglio della tassa sulla cifra d'affari gravante sul prodotto nazionale similare.

    2.

    Detta tassa di conguaglio poteva venir calcolata in funzione delle aliquote medie stabilite dagli Stati membri se in questi si applica il sistema d'imposta a cascata sulla cifra d'affari, ma non doveva far sì che il prodotto importato andasse soggetto ad un onere superiore a quello gravante sul prodotto nazionale similare.

    3.

    È stato concesso agli Stati di adempiere a quest'obbligo in due tempi:

    fino al 1o gennaio 1962 gli Stati potevano lasciar sussistere le distorsioni, però non potevano né aggravarle né introdurne delle nuove;

    dal 1o gennaio 1962 doveva invece esistere la completa parità, quindi gli Stati nei quali vigeva un sistema fiscale a cascata dovevano calcolare le imposte di conguaglio sulla base di aliquote medie onde evitare che i prodotti importati venissero a trovarsi in una posizione meno favorevole rispetto ai prodotti nazionali.

    4.

    Infine l'ultimo comma dell art. 97 conferisce alla Commissione in questo settore poteri speciali ed esaminerò tra breve fino a qual punto tali poteri possono combinarsi con quelli generali di cui la Commissione dispone in virtù dell'art. 169 del trattato.

    Per il latte e i. prodotti lattieri in polvere importati dopo il 1o gennaio 1962, la Lütticke giudicò che la tassa di conguaglio applicata dalle autorità fiscali tedesche, in contrasto con quanto dispone l'art. 95, 1o comma, del trattato, fosse stata calcolata in base ad un'aliquota media della tassa sulla cifra d'affari gravante sui prodotti nazionali similari superiore all'onere fiscale effettivamente gravante su detti prodotti.

    La Lütticke decideva di ricorrere ai mezzi contenziosi o precontenziosi di cui disponeva: anzitutto chiedeva alla Commissione di intervenire nei confronti della Repubblica Federale tedesca esercitando la facoltà che le conferisce l'art. 169 del trattato, cioè avrebbe dovuto iniziare il procedimento previsto in caso di inosservanza del trattato da parte di uno Stato. La Commissione si rifiutava d'intervenire, allora la Lütticke in via principale impugnava questa decisione ed in subordine conveniva la Commissione per carenza, cioè per rifiuto a pronunciarsi su una questione ad essa deferita.

    La domanda è stata dichiarata irricevibile con sentenza 48-65 del 1o maggio 1966 (Racc. XII, pag. 37).

    Nel frattempo la Lütticke aveva impugnato dinanzi ai tribunali fiscali tedeschi alcune delle ingiunzioni di pagamento che aveva ricevuto. Nel corso di queste cause, il Finanzgericht del Land della Saar vi aveva deferito una questione pregiudiziale per far stabilire se le disposizioni dell'art. 95 avessero effetto diretto, cioè se conferissero ai singoli diritti soggettivi.

    Nella vostra sentenza 57-65 del 16 giugno 1966 avete dato una risposta affermativa. In base a questa sentenza, che conferma il tenore della sentenza 28-67 del 3 aprile 1968, la Lütticke ottenne parziale soddisfazione dinanzi ai tribunali tedeschi, però la ricorrente voleva soddisfazione completa.

    Affermando che se fin dal 1962 la Commissione fosse intervenuta nei confronti della Repubblica Federale tedesca esercitando i poteri che le conferisce il trattato, per determinate operazioni la ricorrente avrebbe dovuto pagare somme inferiori a quelle che effettivamente ha dovuto corrispondere e che non le sono state nemmeno parzialmente rimborsate, motivo per cui essa ha esperito un ricorso di risarcimento in virtù dell'art. 215, 2o comma, del trattato.

    Con questo ricorso s intende ottenere

    1.

    La declaratoria che la Commissione deve risarcire alla Lütticke tutti i danni che questa ha patito per la negligenza di cui ha fatto prova la Commissione, tollerando che la Repubblica Federale tedesca, dopo il 1o gennaio 1962, continuasse a percepire l'imposta sulla cifra d'affari per il latte in polvere.

    2.

    La condanna della Commissione a corrispondere alla Lütticke 124396 DM maggiorati di un interesse dell'8 % a decorrere dal 20 aprile 1968, nonché la condanna alle spese di causa.

    La Commissione vi chiede di dichiarare la domanda irricevibile e, in subordine, di respingerla perché infondata.

    I

    Vediamo anzitutto le eccezioni d'irricevibilità.

    La Commissione solleva quattro eccezioni: la prima di carattere meramente formale, le tre rimanenti, come penso, si riferiscono piuttosto al merito della controversia che alla ricevibilità in senso stretto.

    1.

    La Commissione afferma che non sono stati rispettati i requisiti di forma di cui al 1o paragrafo dell'art. 38 del regolamento di procedura in Quanto:

    nell'atto introduttivo si fa richiamo a memorie depositate in altre cause per dimostrare l'eccessiva onerosità dell'imposta litigiosa:

    l'entità specifica del risarcimento non è giustificata.

    In questa materia pero direi che non è il caso di formalizzarsi troppo: nel corso della causa, la Lütticke ha esplicitamente ribadito o sviluppato i mezzi invocati a sostegno delle due domande.

    È pacifico che nell'atto introduttivo la Lütticke intende dimostrare l'eccessiva onerosità dell'imposta litigiosa richiamandosi a documenti prodotti in cause precedenti, ma questo solo fatto è insufficiente a far considerare la domanda priva di motivazione, giacché risulta chiaramente la natura dei mezzi invocati ed è solo per ampliare questi mezzi che si fa richiamo a memorie depositate in precedenza.

    L'unica conseguenza eventuale di questo richiamo mi pare sia quella di consentire a tutti, alla convenuta come al giudice ed all'avvocato generale, di avvalersi degli elementi assunti nelle cause di cui si fa cenno.

    Se la domanda relativa agli interessi, subordinata rispetto alla domanda di risarcimento, non è motivata o lo è in modo insufficiente, ne conseguirà tutt'al più che venga negato il riconoscimento del diritto agli interessi, ma non che sia viziata di irricevibilità tutta la domanda.

    2.

    La seconda e la terza eccezione d'irricevibilità sollevate dalla Commissione, tanto affini che ritengo possano venire esaminate assieme, toccano già il merito della controversia: le eccezioni sono infatti tratte dagli artt. 97, 2o comma, 169 e 173 del trattato.

    Per quanto riguarda il combinato disposto degli artt. 97, 2o comma, e 169 del trattato, la Commissione eccepisce l'irricevibilità della domanda fondandosi sulla vostra giurisprudenza.

    La Commissione vi ricorda che avete sempre negato la legittimazione dei singoli ad impugnare per annullamento ogni decisione della Commissione di avvalersi o meno delle facoltà che ad essa derivano dagli artt. 169 e 97, 2o comma, del trattato. Senza attribuire a questa deduzione troppa importanza, la Commissione, conclude che una domanda di risarcimento per un atto o per una carenza che non possono venire impugnati per annullamento sarebbe ipso facto irricevibile.

    Per di più, se si ammettesse la ricevibilità di un simile ricorso, si violerebbero le disposizioni dell'art. 173 del trattato e indirettamente si ammetterebbe che, anche quando l'art. 173 non è applicabile, si può valutare la legittimità di un atto o di una carenza comunitaria.

    Ma voi stessi avete escluso questo ipotesi, in particolare con la sentenza del 15 luglio 1963, 25-62 Plaumann (Racc. IX, pag. 199), nella quale la ricorrente vi chiedeva di annullare l'atto comunitario e di condannare la convenuta al risarcimento del danno causato dall'atto assertivamente illegittimo.

    Accogliendo la proposta dell avvocato generale Karl Roemer, pur dichiarando irricevibile la domanda d'annullamento, avete voluto pronunciarvi sul merito della domanda di risarcimento. In sostanza avete affermato che in questa materia, prescindendo da alcune ipotesi tipiche del diritto che disciplina il rapporto europeo di pubblico impiego, la ricevibilità di una domanda di risarcimento fondata sull'illegittimità di un atto o di una carenza, va valutata separatamente e non in funzione della ricevibilità della domanda d'annullamento. L'art. 176, 2o comma, del trattato propende per questa soluzione, poiché stabilisce che la «restitutio in integrum» che l'organo comunitario deve operare a seguito dell'annullamento di un atto non pregiudica le eventuali obbligazioni derivanti dal 2o comma dell'art. 215, cioè persiste l'eventuale responsabilità extracontrattuale della Comunità.

    Penso dunque che il fatto che l'azione di risarcimento in questo caso si fondi su un disconoscimento del 2o comma dell'art. 97 o dell'art. 169 del trattato abbia molta importanza per il giudizio sul merito, come ripeterò tra poco, comunque non abbia influenza sulla ricevibilità della domanda di risarcimento.

    3.

    La quarta eccezione d'irricevibilità sollevata dalla Commissione può essere commentata nello stesso modo: poichè la vostra giurisprudenza ha stabilito che l'art. 97 del trattato non ha efficacia immediata e non costituisce diritti soggettivi a favore dei singoli, ne risulterebbe che la domanda di risarcimento fondata sul fatto che la Commissione non ha fatto uso delle facoltà che le conferisce questo articolo diverrebbe automaticamente irricevibile.

    Il tema della domanda di risarcimento è già di per sé abbastanza complesso e difficile. Poiché ci limitiamo ad esaminarne la ricevibilità, non è il caso di complicare ulteriormente l'analisi tirando in ballo altri principi giuridici che esulano completamente dall'argomento.

    La nozione di «efficacia immediata» elaborata dalla vostra giurisprudenza ha lo scopo e l'effetto di stabilire quali disposizioni del trattato o di diritto comunitario derivato facciano sorgere diritti soggettivi a favore dei singoli, che possono invocarli dinanzi ai tribunali nazionali, specie per tutelarsi contro le decisioni o contro gli atti delle autorità degli Stati membri.

    Direi che tale nozione corrisponde «ad un rimedio ad uso esterno» e non può influire sulla ricevibilità di una domanda di risarcimento con la quale la Comunità viene convenuta dinanzi alla Corte di giustizia.

    Non dubito dell opportunità di esaminare l'incidenza eventuale della nozione di efficacia immediata sul principio della responsabilità dell'autorità comunitaria, anzi la esaminerò tra poco; però questo è un problema riguardante il merito e non la ricevibilità. In conclusione nessuna delle eccezioni d'irricevibilità sollevate dalla Commissione può venire accolta, pur se alcune considerazioni esposte a questo proposito non dovranno venir trascurate nell'esame del merito.

    II

    L'esame di merito presume che si risolvano tre interrogativi:

    1.

    Dall'illecito è scaturito un obbligo pecuniario della Commissione?

    2.

    Vi è nesso di causalità tra l'«illecito» ed il pregiudizio allegato?

    3.

    La sussistenza e l'entità del pregiudizio per cui si chiede il risarcimento sono state accertate?

    Nella fattispecie si dovrebbe inoltre determinare il momento in cui è sorto il pregiudizio allegato, giacché la Commissione ha eccepito che alcuni capi della domanda erano paralizzati dalla prescrizione di cui all'art. 43 del protocollo sullo statuto della Corte.

    Devo pero richiamare la vostra attenzione sul fatto che i documenti del fascicolo non mi consentono di trarre conclusioni (e a voi di pronunciarvi, qualora fosse necessario), sul terzo dei punti di cui sopra.

    Se pare indiscusso che per un certo tempo l'aliquota della tassa compensativa riscossa dal governo tedesco sui prodotti lattieri è stata superiore all'aliquota media effettiva delle imposte a cascata riscosse sui prodotti nazionali similari, resta quanto mai incerta l'entità di questa differenza.

    Sarà opportuno sottolineare che questa è una delle particolarità più salienti della questione; la ricorrente ha prodotto una perizia dalla quale risultano dati molto inferiori a quelli citati in precedenza, comunque diversi da quelli risultanti dai calcoli della Commissione o del governo della Repubblica Federale.

    Cosi stando le cose, sarebbe necessaria una nuova perizia, però penso che se ne possa fare a meno: infatti a mio parere il presunto illecito non implica un'obbligazione pecuniaria a carico della Comunità e, per di più, non è forse nemmeno certo il nesso di causalità tra l'illecito ed il pregiudizio allegato.

    Tenterò ora di dimostrare quanto ho affermato.

    A —

    Come ho detto, non penso che l'illecito commesso dalla Commissione che non si è avvalsa o che ha tergiversato ad avvalersi delle facoltà che le conferisce l'art. 97 del trattato, non è di per sé un illecito che legittimi il singolo a chiedere un risarcimento.

    È noto che il 2o comma dell'art. 215 del trattato stabilisce che la Comunità risponde dei propri illeciti extracontrattuali e deve risarcire i danni imputabili alle proprie istituzioni conformemente ai principi generali comuni ai diritti dei sei Stati membri.

    Uno dei principi generali già riconosciuto comune ai sei Stati nella vostra sentenza Kampffmeyer del 14 luglio 1967 (Racc. XIII, pag. 310) è quello che ogni violazione di una norma da parte dell'autorità che deve assicurarne l'applicazione e il rispetto non conferisce automaticamente diritto al risarcimento.

    Vi sono casi in cui l'indole della norma violata esclude per i singoli ogni diritto al risarcimento.

    La vostra giurisprudenza ha adottato nuovi criteri per determinare quali siano le norme che, se violate, non danno diritto al risarcimento. La vostra sentenza Plaumann del 15 luglio 1963 (Racc. IX, pag. 200) pareva volesse ancorarsi ad un parametro relativamente semplice che si rifà ad alcune concezioni del diritto francese: se un atto è incontestabilmente legittimo, la conseguenze dannose dell'atto non fanno sorgere diritto a risarcimento.

    Pare pero che abbiate ritenuto questo criterio di per sè insufficiente, e, nella vostra giurisprudenza successiva, specie nella sentenza Kampffmeyer siete tornati a criteri già elaborati per l'applicazione dell'art. 40 del trattato CECA nella vostra sentenza Voeberghs del 14 luglio 1961 (Race. VII, pag. 385).

    Da questa giurisprudenza mi pare di poter arguire che il criterio ora seguito sia questo: la norma che si presume sia stata violata dev'essere destinata a tutelare gl'interessi di coloro che hanno subito il pregiudizio.

    Questo criterio, come ha sottolineato l'avvocato generale J. Gand nella causa Kampffmeyer, s'ispira evidentemente ad alcuni principi del diritto tedesco ed in particolare all'art. 34 della legge fondamentale della Repubblica Federale. Per di più il criterio trova riscontro nella nozione accolta nel diritto italiano, secondo cui «le norme che tutelano esclusivamente o principalmente l'interesse pubblico possono eventualmente attribuire un interesse legittimo, che consente di esperire un'azione di annullamento, ma non conferiscono diritti soggettivi in base ai quali si possa chiedere il risarcimento del danno».

    Comunque sia, se nella fattispecie applicherete questo criterio, esso sarà sufficiente a giustificare la reiezione della domanda, che si fonda infatti sull'asserita violazione delle disposizioni dell'art. 97, ultimo comma, del trattato ad opera della Commissione.

    Se si esamina la portata della norma, non si può giurare che abbia come funzione principale o secondaria la tutela degl'interessi degli importatori.

    La ricorrente, per giungere a questa conclusione, vi chiede di prendere in esame solo questo comma dell'art. 97 ed afferma che, allorché gli autori del trattato hanno sancito che «Qualora le aliquote medie fissate da uno Stato membro non siano conformi ai principi suindicati, la Commissione rivolge a tale Stato le direttive ó decisioni del caso», loro intenzione non era quella di tutelare esclusivamente gl'interessi degli importatori, che però venivano comunque automaticamente protetti.

    La Commissione replica che per gl'importatori la norma è assolutamente indifferente, poiché essi riversano sui consumatori l'onere della tassa di conguaglio della tassa sulla cifra d'affari.

    Penso che la soluzione vada cercata assumendo premesse un po' diverse, cioè non si deve considerare la disposizione dell'art. 97 del trattato isolatamente, ma solo in relazione all'art. 169, con il quale penso debba essere combinata.

    Una delle preoccupazioni degli autori del trattato è stata infatti quella di fornire alla Commissione mezzi adeguati per costringere gli Stati membri ad adempiere gli obblighi loro imposti dal trattato o dal diritto comunitario. A quésto scopo è stata prevista una procedura generale applicabile in ogni caso, cioè la procedura di cui all'art. 169.

    Il legislatore ha pero pensato che in certi casi e per certe materie, prima di iniziare la procedura, si doveva impostrare un procedimento preventivo speciale e diverso da quello previsto dall'art. 169 per la generalità dei casi di inosservanza. Ad esempio la procedura speciale è stata prevista in materia d'aiuti (art. 93, n. 2 del trattato).

    A mio parere, un altro esempio è dato dalla disciplina dell'imposta sulla cifra d'affari (ultimo comma dell'art; 97).

    Le disposizioni di questo comma hanno infatti l'unico scopo e l'unica funzione di disciplinare, in un caso specifico, un procedimento che prevede l'esperimento dell'azione d'inosservanza e che è diverso dal procedimento preliminare generico previsto dall'art. 169.

    Condividendo il mio punto di vista, si dovrà ammettere che la disposizione non ha lo scopo di tutelare interessi individuali, ma intende garantire il rispetto dell'equilibrio istituzionale instaurato dal trattato. Indubbiamente questo equilibrio istituzionale rappresenta un interesse degli importatori come di tutti gli altri cittadini del mercato comune, ma l'interesse è troppo vago, troppo generico, per poter ammettere che una norma destinata a farlo rispettare miri anche a tutelare gl'interessi della categoria. La norma intende garantire invece la conservazione dell'ordine pubblico nella Comunità.

    Penso dunque che la stessa natura della norma . che si ritiene violata, induca a disattendere la domanda di risarcimento.

    B —

    La conclusione di cui sopra mi è però stata dettata anche da una seconda considerazione: l'art. 215 richiede infatti che vi sia un nesso di causalità tra il danno subito e l'illecito commesso. Nell'ambito del trattato CECA avete precisato che questo nesso di causalità doveva essere un nesso di causalità immediata.

    Ritengo che questa considerazione valga anche per l'applicazione dell'art. 215 del trattato CEE. Infatti, la stessa esigenza di nesso immediato tra illecito e danno si riscontra nei principi generali comuni alle legislazioni di tutti gli Stati membri, con la sfumatura che alcuni usano le espressioni del trattato, altri parlano di «causalità adeguata». A mio parere nella fattispecie non vi è un nesso di causalità diretta tra il presunto danno subito dalla Lütticke e il comportamento di cui essa fa carico alla Commissione.

    «L'evento dannoso» è costituito essenzialmente da decisioni nazionali: quella generale con cui il governo della Repubblica Federale ha stabilito l'aliquota media dell'imposta a cascata e le decisioni individuali rappresentate dalle singole ingiunzioni di pagamento che, «prima facie» appaiono come la causa immediata del pregiudizio allegato, tuttavia questi provvedimenti non bastano.

    L'acuta analisi giuridica che prelude alle vostre sentenze Kampffmeyer e Becher dimostra che possono esservi casi in cui l'ordinamento giuridico comunitario e l'ordinamento giuridico interno sono connessi così intimamente che l'errore commesso «in società» dalle autorità nazionali e dalle autorità comunitarie può implicare la responsabilità di queste ultime.

    A questo scopo pero deve sussistere un legame così stretto tra decisione nazionale e «reazione» comunitaria da renderle indissociabili. Per definire tale vincolo sono tentato di usare il termine di «connessione», pur se la nozione cui esso si riferisce è una nozione di procedura più che una di diritto sostanziale.

    Trattasi infatti di rapporti tra due atti giuridici così intimamente vincolati che non possono venir esaminati separatamente. Ciò si è verificato nella causa Kampffmeyer, che verteva su un provvedimento derogatorio alle disposizioni di un regolamento comunitario; provvedimento adottato motu proprio ed unilateralmente da uno Stato membro, però sanato e legalizzato da un atto comunitario.

    Nella fattispecie la situazione è diversa: indubbiamente il fatto che l'ultimo comma dell'art. 97 non abbia effetto immediato interessa essenzialmente soltanto i diritti che potrà rivendicare la società Lütticke dinanzi ai tribunali tedeschi, ma non è determinante per l'eventuale responsabilità della Commissione.

    Onde poter ravvisare una responsabilità della Commissione per il danno di cui si duole la Lütticke, la ricorrente dovrebbe dimostrare (giacché ad essa incombe l'onere della prova) che l'intervento della Commissione avrebbe inevitabilmente e quasi automaticamente implicato la modifica dell'aliquota media stabilita dal governo tedesco. La ricorrente non lo dimostra e, nell'attuale fase di evoluzione del diritto europeo, non potrebbe dimostrarlo. Supponiamo che la Commissione avesse dovuto fin dal 1962 indirizzare al governo della Repubblica Federale una direttiva o una decisione a norma dell'art. 97, ultimo comma. Questo provvedimento sarebbe bastato ad evitare il pregiudizio alla Lütticke? Non penso.

    1.

    Infatti non è certo che la direttiva o la decisione emanata dalla Commissione avrebbe completamente soddisfatto le esigenze della Lütticke, specie per gli effetti retroattivi che la ditta auspicava venissero conferiti alla modifica dell'aliquota media dell'imposta a cascata in funzione della quale il governo tedesco aveva determinato l'imposta di conguaglio.

    2.

    Il governo della Repubblica Federale aveva ancora molte possibilità di far differire o di sfumare l'applicazione della direttiva, anche se il provvedimento avesse completamente soddisfatto la società Lütticke. Infatti il governo tedesco avrebbe potuto impugnare il provvedimento per annullamento e chiedere alla Corte la sospensione della sua esecuzione fino alla pronuncia della sentenza.

    Se il governo tedesco avesse ritenuto questa direttiva parzialmente o totalmente infondata, poteva anche non conformarvisi completamente ed assumere coscientemente e deliberatamente il rischio che la Commissione lo citasse in giudizio per inosservanza del trattato a norma dell'art. 169.

    La varietà di ipotesi che si possono fare circa la portata e le conseguenze di una direttiva o di una decisione della Commissione ritengo basti a dimostrare che non vi era un nesso di causalità immediata tra il pregiudizio subito e l'astensione di cui si fa carico alla Commissione.

    Per questo motivo chiedo che:

    1.

    Venga respinta la domanda della Lütticke.

    2.

    La ricorrente venga condannata alle spese del giudizio.


    ( 1 ) Traduzione dal francese.

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