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Document 61968CC0002
Opinion of Mr Advocate General Roemer delivered on 23 October 1968. # Ufficio Imposte di Consumo di Ispra v Commission of the European Communities. # Case 2-68.
Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 23 ottobre 1968.
Ufficio Imposte di Consumo di Ispra contro Commissione delle Comunità europee.
Causa 2-68.
Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 23 ottobre 1968.
Ufficio Imposte di Consumo di Ispra contro Commissione delle Comunità europee.
Causa 2-68.
edizione speciale inglese 1968 00580
ECLI identifier: ECLI:EU:C:1968:45
Conclusioni dell'avvocato generale Karl Roemer
del 23 ottobre 1968 ( 1 )
Indice
Introduzione (antefatti; conclusioni delle parti) |
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Valutazione giuridica |
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A — Sulla ricevibilità |
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I — Sui requisiti di forma del ricorso |
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1. L'elezione di domicilio |
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2. L'individuazione del ricorrente |
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3. L'individuazione della convenuta |
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4. Quanto all'esposizione dei mezzi e degli argomenti |
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II — Ulteriori presupposti di ricevibilità |
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1. Sulla legittimazione ad agire dell'Ufficio Imposte di Consumo |
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a) Se sia legittimato ad agire solo il governo italiano |
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aa) Sulla sfera d'applicazione dell'allegato F |
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bb) Sul rapporto tra l'allegato F e il protocollo sui privilegi delle Comunità |
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6) Se l'Ufficio Imposte di Consumo sia legittimato ad agire o se la legittimazione spetti solo al sindaco di Ispra oppure all'appaltatore delle imposte |
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2. Sull'osservanza dei termini |
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3. Sugli sviluppi delle conclusioni presentate |
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III — Conclusioni |
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B — Nel merito |
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C — Conclusioni finali |
Signor Presidente, signori Giudici,
La causa idierna verte sulla definizione dei privilegi e delle immunità di cui gode il Centro di ricerche nucleari di Ispra e costituirà un elemento basilare in materia.
Il Centro di ricerche di Ispra, istituito dalla Commissione in forza dell'articolo 8 del trattato come appendice del Centro comune di ricerche nucleari, costruiva una «club house» e delle attrezzature sportive (campi da tennis, piscina) per i propri dipendenti, sul terreno riservato al Centro stesso e situato nel Comune di Ispra. L'Ufficio Imposte di Consumo di detto Comune riteneva che il materiale impiegato nella costruzione andasse soggetto all'imposta di consumo comunale a norma dell'articolo 30 del decreto 14 settembre 1931 n. 1175. Al fine di stabilire l'ammontare dell'imposta (l'esazione è stata affidata ad un appaltatore, a norma dell'articolo 76 dello stesso decreto n. 1175), l'Ufficio Imposte di Consumo intendeva far stimare il materiale da costruzione da un proprio tecnico, a norma dell'articolo 47 del decreto 30 aprile 1936 n. 1138. L'ispezione veniva fissata per il 12 ottobre e l'amministrazione del Centro di ricerche ne veniva informata con lettera del 5 ottobre 1965.
L'amministrazione del Centro si opponeva a tale sopralluogo e nella lettera di risposta dell'8 ottobre 1965 (con copia al ministero italiano degli affari esteri) affermava che il protocollo sui privilegi e sulle immunità della Comunità e l'allegato F della convenzione tra il governo italiano e l'Euratom relativa all'istituzione di un Centro di ricerche, stipulata il 22 luglio 1959, vietavano alle autorità italiane d'intervenire, senza previo consenso della Commissione, nelle zone riservate al Centro. L'amministrazione del Centro si riservava quindi di consultare la Commissione prima di dare una risposta definitiva. La risposta veniva data con lettera 9 novembre 1965, copia della quale era inviata al ministero italiano degli affari esteri. La Commissione riteneva che gli impianti in questione godessero dell'esenzione fiscale anche per i materiali da costruzione e quindi la richiesta di eseguire un sopralluogo non poteva venire accolta. Per di più, la disciplina giuridica vigente dispone che i terreni e gli edifici della Comunità sono soggetti a misure esecutive solo previa autorizzazione della Corte di giustizia.
Le autorità fiscali italiane non accoglievano questo punto di vista e il 25 gennaio 1968 adivano questa Corte chiedendole in primo luogo di «disporre la revoca del veto, opposto al tecnico delegato dal Comune di Ispra, di procedere all'accertamento dei materiali impiegati nelle costruzioni». Nella replica, le conclusioni venivano modificate come segue : «annullare la decisione della Commissione; accogliere il ricorso dell'esponente, autorizzando l'accertamento».
La Commissione per contro sostiene che, per vari motivi, il «ricorso» (così viene definita l'istanza) è irricevibile e chiede che la Corte lo dichiari tale. In subordine, chiede che il ricorso venga respinto.
Valutazione giuridica
A — Sulla ricevibilità
Dobbiamo esaminare innanzitutto l'eccezione d'irricevibilità sollevata dalla Commissione ed altri eventuali vizi rilevabili d'ufficio, relativamente ai seguenti punti.
I — Sui requisiti di forma del ricorso
L'articolo 38 del regolamento di procedura prescrive vari requisiti formali, tra l'altro che vengano chiaramente designati sia il ricorrente sia la controparte; che si specifichi l'oggetto della controversia e che vengano esposti sommariamente i motivi; vi deve figurare l'elezione di domicilio e si deve provare la capacità si stare in giudizio del rappresentante, nelle cause promosse da persone giuridiche di diritto privato. Il cancelliere ha ritenuto che nella fattispecie l'elezione di domicilio lasciasse adito a dubbi, mentre la Commissione sostiene che non sono soddisfatti nemmeno gli altri requisiti summenzionati e che per di più manca il mandato ad litem.
Sempre a proposito dei particolari noiosi ma necessari, non occorre che ci poniamo il problema del se l'atto costituisca un ricorso oppure una semplice richiesta alla Corte, in quanto si può ritenere che all'atto introduttivo siano comunque applicabili, almeno per analogia, gli articoli 37 e 38 del regolamento di procedura.
1. L'elezione di domicilio
Nel «ricorso» — per ora chiamiamolo così — si elegge domicilio presso la Corte e poiché ciò è evidentemente impossibile a norma dell'articolo 38, paragrafo 2, del regolamento di procedura (il quale prescrive che sia indicato il nome di una persona che deve espressamente accettare l'incarico), il cancelliere — a norma dell'articolo 38, paragrafo 7, del regolamento di procedura — : ingiungeva di eleggere domicilio entro il 9 febbraio 1968. Come domiciliatario veniva scelto il segretario dell'ordine degli avvocati lussemburghesi; il telegramma però perveniva alla Corte solo il 22 febbraio.
Mi chiedo quindi se questo difetto non comporti già l'irricevibilità del ricorso a norma dell'articolo 38, paragrafo 7, del regolamento di procedura; penso tuttavia di no.
In effetti si può ritenere che la tardiva elezione di domicilio sia un vizio sanabile, se non ha avuto come conseguenza alcun ritardo. Nel presente caso il controricorso, per il quale è indispensabile conoscere il domicilio del ricorrente, doveva venir presentato solo il 20 marzo. Inoltre si deve tener conto del fatto che il termine imposto dal cancelliere era brevissimo e che l'elezione di domicilio non è una formalità abituale per tutti i ricorrenti dei sei Stati membri.
2. L'individuazione del ricorrente
Come giustamente sottolinea la Commissione, l'atto introduttivo non facilita certo l'individuazione del ricorrente. La firma è quella del direttore dell'Ufficio Imposte di Consumo di Ispra accanto alla quale è apposto un timbro con la dicitura «Ufficio Imposte Consumo Ispra, S.r.l. D.O.R.I.C.A. Novara»; potrebbe quindi essere ricorrente la società cui il Comune di Ispra ha concesso l'appalto dell'esazione delle imposte di consumo.
Tuttavia il tenore generale del ricorso consente un individuazione sufficientemente precisa del ricorrente, in quanto nell'atto introduttivo si afferma che l'Ufficio Imposte di Consumo si è rivolto all'amministrazione del Centro. Inoltre si cita una lettera inviata al ricorrente da parte del Centro di Ricerche in data 9 novembre 1965, lettera che è indirizzata all'Ufficio Imposte di Consumo. Infine, negli argomenti dedotti a sostegno del ricorso si afferma che l' Ufficio Imposte di Consumo riteneva che, ecc.
E quindi accertato (e nella replica il fatto è particolarmente sottolineato) che l'autorità fiscale di Ispra, organo comunale, ha promosso il ricorso. È inoltre chiaro che l'Ufficio Imposte di Consumo ha agito in nome proprio e quindi non, ad esempio, per conto della persona giuridica incaricata dell'esazione delle tasse, ente con il quale il direttore dell'autorità fiscale ha evidentemente anche rapporti di diritto privato.
Ciò svuota di contenuto anche i rilievi della Commissione relativi all'articolo 38, paragrafo 5, del regolamento di procedura, cioè il richiamo alla necessità che venga prodotto un regolare mandato di rappresentanza di una persona giuridica di diritto privato. (Tale prova può essere costituita notoriamente da uno statuto, un estratto del registro di commercio o da un mandato ad litem; d'altronde secondo la nostra prassi processuale, nel silenzio del regolamento di procedura, non è indispensabile produrre un mandato ad litem.)
3. L'individuazione della convenuta
Il ricorso non definisce esattamente la controparte, ma inizia esponendo l'oggetto della controversia, cioè il diniego dell'amministrazione del Centro di permettere che si procedesse a una stima dei materiali impiegati per la costruzione degli impianti di cui trattasi; nell'esposizione dei motivi si fa inoltre cenno al fatto che l'amministrazione del Centro ha invocato a torto i privilegi della Comunità.
Secondo il tenore generale del ricorso, non dovrebbero sussistere dubbi nemmeno quanto al fatto che la vera controparte è la Commissione, cui è stato notificato il ricorso, mentre il Centro di ricerche non ha alcuna legittimazione processuale. Si fa riferimento particolarmente ad una determinata lettera dell'amministrazione del Centro in data 8 ottobre 1965, nella quale si sottolinea che. la Commissione deve autorizzare l'accesso agli impianti del Centro di ricerche, e si fa richiamo pure ad un'altra lettera dell'amministrazione del Centro, la quale afferma esplicitamente che la Commissione, interpellata, ritiene che il ricorso sia infondato.
È quindi evidente (e non solo perché appare chiaramente dalla replica) che la domanda di annullamento è stata formulata nei confronti di un rifiuto della Commissione. È perciò superfluo che la controparte venga individuata d'ufficio come nelle cause 27-63 e 28-64.
4. Quanto all'esposizione dei mezzi e degli argomenti
Esporrò ancora il mio punto di vista sugli argomenti e sui mezzi dedotti, secondo la Commissione, in modo troppo sommario.
Non posso condividere il punto di vista della Commissione, poiché già dai precedenti risulta chiaramente ch'essa giustifica il proprio atteggiamento trincerandosi genericamente dietro l'esenzione fiscale di cui gode in forza del protocollo sui privilegi della Comunità. Così pure gli argomenti del ricorrente si limitano all'interpretazione delle norme ch'esso può invocare a suo favore. Questi argomenti credo costituiscano una sufficiente motivazione del ricorso e quindi nessuno dei punti finora esaminati permette di concludere per l'irricevibilità.
II — Ulteriori presupposti di ricevibilità
Continuo l'esame delle questioni relative alla ricevibilità, ed in particolare delle eccezioni della Commissione circa la legittimazione processuale dell'Ufficio Imposte di Consumo, l'osservanza del termine d'impugnazione e la modifica delle conclusioni.
1. Sulla legittimazione ad agire dell'Ufficio Imposte di Consumo
Il problema prelude ai vari problemi della controversia e può configurarsi suddiviso in varie questioni secondarie la prima delle quali è il problema del se nella presente controversia, come sostiene la Commissione, possano stare in giudizio solo l'istituzione e il governo italiano oppure siano legittimati ad agire anche enti amministrativi minori.
a) Se sia legittimato ad agire solo il governo italiano
Si discute in sostanza dell'inviolabilità degli edifici e delle installazioni del Centro di ricerche (complesso che appartiene alla Commissione), inviolabilità garantita dal protocollo sui privilegi e sulle immunità dell'Euratom ed altresì (dopo l'istituzione di organismi unici in virtù dell'articolo 28 del trattato relativo) da un nuovo protocollo allegato a detto trattato nonché dall'allegato F della convenzione tra la Commissione e il governo italiano, stipulata il 22 luglio 1959. Ai sensi di questa disposizione, l'inviolabilità, nella sua accezione comune (e l'interpretazione è confermata dalle espresse disposizioni degli articoli 2, 3 e 16 dell'allegato F), implica che l'accesso agli edifici che ne godono per compiervi atti ufficiali è lecito solo se vi consente la Commissione ( 2 ). È noto che tale consenso è stato esplicitamente negato. Questo fatto può avere rilevanza solo ai fini della configurazione del procedimento (punto su cui ritornerò), mentre sotto l'aspetto che sto esaminando, è irrilevante. È invece interessante studiare l'iter logico della Commissione, che ha negato l'autorizzazione in virtù dell'allegato F della convenzione col governo italiano. Invocare in questo caso le norme sui privilegi potrebbe anche costituire un abuso di potere, ipotesi espressamente prevista dall'allegato F: anzitutto l'articolo 35 prevede che il governo italiano possa cautelarsi contro gli abusi di privilegio chiedendo di effettuare sopralluoghi, mentre l'articolo 37 dispone che le parti contraenti si devono consultare, se il governo italiano ritiene che vi sia stato un abuso nell'applicazione della convenzione; infine l'articolo 40 (con un richiamo implicito all'articolo 153 del trattato Euratom) stabilisce che le eventuali controversie relative all'esecuzione o all'interpretazione del trattato tra il governo italiano e la Commissione sono di competenza esclusiva della Corte di giustizia delle Comunità europee.
A giudizio della Commissione, il combinato disposto di tali norme lascia intendere che l'intenzione delle parti contraenti è stata quella di risolvere ogni controversia relativa all'interpretazione e all'applicazione della convenzione mediante una procedura consultiva di carattere precontenzioso, una specie di composizione extragiudiziale che può evitare il ricorso giurisdizionale. Sarebbe stato anche intenzione delle parti contraenti di riservare, per l'Italia, al governo la facoltà di far ricorso al procedimento consultivo (probabilmente in quanto il governo è più qualificato degli enti minori per interpretare la volontà delle parti contraenti; inoltre si è cercato, già nella fase consultiva, di garantire un'interpretazione unitaria ed evitare quindi alla Commissione un dialogo con numerosi organi amministrativi). Infine, le parti hanno probabilmente voluto concentrare nel supremo organo amministrativo italiano il diritto di adire la Corte in caso di fallimento del procedimento precontenzioso.
È innegabile che questa è una coerente ed equilibrata interpretazione dell'allegato F. Chi accetta tale soluzione non potrà mancare di rilevare nella fattispecie alcuni problemi di ricevibilità, conseguenti all'omissione delle necessarie consultazioni ed al fatto che il ricorso è stato proposto da una autorità comunale.
Sarebbe tuttavia affrettato concludere per l'irricevibilità del ricorso.
Non è chiaro se l'allegato F sia applicabile pure agli impianti in questione e si deve anche stabilire il rapporto tra l'allegato F e il protocollo sui privilegi della Comunità, che non prevede alcun obbligo di consultazione, né riserva espressamente a determinati organi governativi la facoltà di promuovere ricorsi d'interpretazione in caso di controversia.
aa) Sulla sfera d'applicazione dell' allegato F
Nell'articolo 1 dell'allegato F si stabilisce espressamente che è inviolabile il Centro «quale è definito, individuato e recintato come indicato dalle tavole descrittive, nella pianta e documenti figuranti all'allegato I che fa parte integrante del presente accordo». Il ricorrente non ha invocato questa norma, che peraltro avrebbe dovuto risaltare nello studio degli atti in quanto si poteva avere l'impressione che si fosse inteso limitare la sfera geografica di applicazione dell'allegato F, specie per il fatto che si citano le piante e i documenti. La Corte, con ordinanza 11 luglio 1968, ha chiesto alla Commissione di fare il punto sull'esecuzione di tali disposizioni, cioè di dire se i documenti citati fossero già stati elaborati; è poi risultato che tali documenti non hanno mai visto la luce. Quali sono le ripercussioni di questa situazione sulla controversia? Ritengo che sia esagerato escludere l'applicabilità dell'allegato F fino a quando non sia determinata geograficamente la sua sfera d'applicazione. Un anno dopo la sua stipulazione, la convenzione veniva ratificata con legge 1 agosto 1960 n. 906 ed evidentemente da quel momento veniva pure regolarmente applicata.
Mi pare giusto che la Commissione non voglia interpretare la norma sulla scorta della delimitazione spaziale dell'ex Centro nazionale di ricerche, delimitazione precedente alla stipulazione della Convenzione (se questa fosse stata l'intenzione delle parti, esse l'avrebbero chiaramente dichiarata) ed inoltre pare accertato che importanti installazioni tecniche del Centro, incontestabilmente contemplate dalla convenzione, sono situate al di fuori del vecchio perimetro.
L'unica soluzione sensata, in assenza di riferimenti geografici, mi pare quella di applicare l'allegato F secondo criteri funzionali. Cioè l'allegato F è applicabile a tutte le installazioni del Centro indispensabili al suo funzionamento. Ciò non significa che si debba escludere a priori l'applicabilità agli impianti di cui trattasi.
Termino a questo punto l'analisi, riservandomi di riprendere l'argomento più tardi; nell'esame del merito si deve infatti stabilire la nozione di funzionamento onde potersi pronunciare sull'esenzione fiscale.
bb) Sul rapporto tra l'allegato F e il protocollo sui privilegi delle Comunità
Esaminiamo questo rapporto senza fare distinzione tra il vecchio protocollo Euratom e il nuovo protocollo comune, che in sostanza sono identici. Ritengo che il rapporto sia molto simile a quello che corre tra la convention on the privileges ani immunities of the United Nations, del 13 febbraio 1946, e l'Headquarters agreement, stipulato tra l'ONU e gli Stati Uniti il 26 giugno 1947, oppure sia analogo al rapporto tra la convenzione sui privilegi delle organizzazioni speciali delle Nazioni Unite e la convenzione tra la FAO e l'Italia del 1951; cioè le convenzioni con gli Stati che ospitano l'organizzazione vanno sempre considerati come leggi speciali che prevalgono in caso di dubbio ( 3 ).
Studiando il protocollo comunitario possiamo trarre validi argomenti a favore di tale tesi: non solo il testo è piuttosto generico, fissa sostanzialmente direttive che devono venire meglio precisate. Qua e là, ora più ora meno chiaramente, si fa rinvio a disposizioni integrative, come ad esempio all'articolo 3, che stabilisce che i governi degli Stati membri adotteranno provvedimenti adeguati e — ancor più evidentemente — nell'articolo 19 (ex articolo 18) che recita : «Ai fini dell'applicazione del presente protocollo le istituzioni della Comunità agiranno d'intesa con le autorità responsabili degli Stati membri interessati». La disposizione non giustificherebbe solo l'emanazione di provvedimenti integrativi in senso materiale, ma anche di provvedimenti di natura procedurale, tanto più che il protocollo sui privilegi non prevede alcun diritto di adire la Corte né da parte delle autorità né da parte dei singoli (va fatta eccezione per la facoltà, concessa nell'articolo 1, di chiedere l'autorizzazione a compiere atti esecutivi, ipotesi esclusa nella fattispecie, nella quale sono fuori discussione gli atti di tal genere).
Il ricorso dell'Ufficio Imposte di Consumo, alla luce delle disposizioni dell'allegato F (inosservanza delle disposizioni sul procedimento precontenzioso; esclusione dal giudizio del governo italiano), sarebbe dunque irricevibile.
Poiché le questioni sono delicate e complesse, non intendo interrompere a questo punto il mio esame, ma prospetto in subordine come si dovrebbe procedere se il ricorso non risultasse irricevibile già a norma dell'allegato F.
b) Se l'Ufficio Imposte di Consumo sia legittimato ad agire o se la legittimazione spetti solo al sindaco di Ispra oppure all'appaltatore delle imposte.
L'Ufficio Imposte
di Consumo, nella persona del suo direttore, può stare in giudizio?
La Commissione nega tale legittimazione, in quanto essa sarebbe riservata al sindaco, nella sua veste di rappresentante del Comune come persona giuridica, in forza di una decisione del Consiglio comunale approvata dal Consiglio provinciale, oppure (se l'esazione delle tasse è stata data in appalto) spetterebbe all'appaltatore (ipotesi che cade da sè in quanto nella replica si afferma esplicitamente che il direttore dell'Ufficio non agisce come rappresentante dell'appaltatore).
Ci troviamo di fronte ad una delicata questione di diritto interno, cui possono difficilmente rispondere i profani del diritto fiscale comunale italiano. Volendo tuttavia dare una risposta, trascuriamo i richiami della Commissione alle contrastanti dottrine nazionali e domandiamoci invece (come fa il giudice nazionale quando applica il diritto straniero in una controversia di diritto privato) ( 4 ), se vi sia una costante giurisprudenza italiana cui rifarsi. Ciò faciliterebbe la soluzione del problema.
Dopo una sentenza della Corte di cassazione a sezioni unite, pronunciata nel 1958, il supremo tribunale italiano ha sempre ammesso la legittimazione ad agire dell'autorità fiscale comunale, rappresentata dal proprio direttore (pur se il diritto spetta in alternativa anche all'appaltatore), qualora la controversia verta su una decisione in materia fiscale adottata dalla stessa autorità, quindi anche quando si tratti di stabilire la sussistenza dell'obbligazione fiscale oppure un'esenzione dall'imposta (cfr. sentenze della Corte di cassazione 9 marzo 1957 e 6 giugno 1960). Ne deriva che la legittimazione ad agire dell'autorità fiscale non viene meno se questa è parte processuale attiva, cioè esperisce l'azione in virtù delle facoltà ad essa attribuite dalla legge (articolo 313 del decreto 30 aprile 1936 n. 1138) in materia di accertamento, determinazione ed esazione delle imposte. In questo senso vi è una sentenza della Corte di cassazione dell''8 marzo 1960 nella quale si afferma che l'appaltatore ha facoltà di convenire in giudizio il contribuente, per quanto riguarda l'applicazione e l'esazione delle imposte; la motivazione afferma però che pure il direttore dell'Ufficio Imposte di Consumo è legittimato ad agire, per quanto riguarda l'applicazione e l'esazione delle imposte.
Questa costante giurisprudenza ci esime dal dilungarci sulle disquisizioni dottrinali (contenute in due sentenze prodotte dalla Commissione), disquisizioni miranti a dimostrare come l'autorità fiscale sia semplicemente organo del Comune e non persona giuridica titolare di diritti e che circoscrivono la legittimazione ad agire alle sole controversie sulla sussistenza di un diritto fiscale (che nella fattispecie, in base alle eccezioni della Commissione, non va esclusa a priori). Dobbiamo invece partire dal presupposto che l'Ufficio è legittimato ad agire in persona del suo direttore.
Si dovrebbe ancora ricordare che il nostro sistema processuale non richiede alcuna prova particolare circa la capacità processuale del direttore dell'Ufficio Imposte di Consumo. Anche se tale prova fosse richiesta, la si potrebbe considerare acquisita, poiché sono stati prodotti attestati del sindaco di Ispra e la patente comunale dai quali risulta che il ricorso è stato firmato da un funzionario dell'Ufficio Imposte di Consumo di Ispra, regolarmente incaricato della determinazione e dell'esazione dell'imposta.
2. Sull'osservanza dei termini
Quanto all'eventuale tardività del ricorso, pare che la Commissione ritenga presentata tardivamente la domanda di annullamento che dovrebbe essere fondata sull'articolo 146 del trattato Euratom (la norma generale che disciplina i ricorsi d'annullamento).
Tale atteggiamento fa sorgere pero notevoli dubbi. Oggetto della controversia è l'inviolabilità delle installazioni del Centro e la Commissione deve acconsentire a che tale inviolabilità venga sospesa, cioè è necessario un atto espressamente previsto dalle norme sui privilegi. Ritengo che non sia corretto equiparare questo atto ad una decisione ai sensi dell'articolo 146, cosicché — in caso di carenza — si debba adire la Corte nel termine prescritto.
Più che un ricorso per carenza, sarebbe più giusto definire simile procedimento come una controversia sull'interpretazione delle norme sui privilegi e qualificare la sentenza che verrà pronunciata come pronunzia interpretativa o dichiarativa. È una pronuncia che fissa uno status, quindi regola un rapporto durevole. Inoltre il protocollo sui privilegi (come pure l'allegato F della convenzione particolare col governo italiano, e persino il vecchio protocollo CECA con la sua clausola interpretativa dell'articolo 16) non pone termini per chiedere lumi alla Corte. Un ultimo motivo è la generosa interpretazione data dalla Corte in un caso analogo, cioè in occasione di una domanda di risarcimento a norma dell'articolo 43 dello statuto CEE. Ci è noto che, malgrado il tenore di detto articolo, è stato disatteso l'assunto secondo cui, nel caso che la domanda venga respinta, si deve esperire l'azione nei termini previsti dall'articolo 173 (corrispondente all'articolo 146 del trattato Euratom) e l'impugnazione diventa impossibile solo per prescrizione. Se questo principio è applicabile alle domande di condanna, nel caso di domande di accertamento e d'interpretazione delle norme sui privilegi non si dovrebbe usare un criterio più rigido.
Tenuto conto del fatto che il ricorso è stato presentato due anni dopo la notifica del provvedimento negativo della Commissione, sarei propenso a non ritenerlo irricevibile (presupponendo, beninteso, che venga ammesso il diritto delle autorità nazionali ad adire la Corte, il che — prescindendo dai dubbi che può suscitare l'allegato F — si può affermare applicando per analogia la norma del protocollo sui privilegi, secondo la quale chiunque può chiedere alla Corte l'autorizzazione a compiere atti esecutivi nei confronti del patrimonio delle Comunità).
3. Sugli sviluppi delle conclusioni presentate
Vediamo ancora gli sviluppi processuali delle conclusioni: in origine era stato chiesto unicamente l'annullamento del rifiuto e solo nella replica è stata domandata inoltre l'autorizzazione a procedere agli atti esecutivi. La Commissione si chiede se la domanda non sia irricevibile a norma dell'articolo 42 del regolamento di procedura, in quanto domanda nuova presentata tardivamente e se — presupposta la sua fondatezza — non si dovrebbe per lo meno eccepire che la domanda di autorizzazione agli atti esecutivi non è stata proposta (applicando per analogia l'articolo 83 del regolamento di procedura) con atto separato, essendo diretta a promuovere un procedimento diverso da quello contenzioso.
Mi pare che la Commissione su questo punto sia eccessivamente formalista, in quanto è assolutamente chiaro fin dall'inizio che il ricorrente vuole accedere a determinati impianti del Centro, onde accertare l'imponibile. Questo suo interesse è rimasto finora immutato e solo la forma dell'azione è cambiata. Ciò è naturale, poiché si tratta di un procedimento che anche per noi è del tutto nuovo e che quindi va affrontato con la massima prudenza, se non altro per quanto riguarda il problema del suo collocamento dottrinale nel sistema dei trattati. Se quindi nell'atto introduttivo si parla di revoca del rifiuto della Commissione, sottolineando particolarmente che non si tratta di una richiesta di autorizzazione agli atti esecutivi a norma dell'articolo 1 del protocollo sui privilegi, mentre nella replica si chiede l'annullamento di una decisione della Commissione e si domanda contemporaneamente l'autorizzazione a procedere ad atti esecutivi, ciò dovrebbe al massimo stimolare ad un'interpretazione obiettiva, come quella già data dalla Corte in precedenti casi, senza risolversi a danno del ricorrente. In altre parole: non dovremmo ravvisare un illecito ampliamento del petitum, né la necessità di scindere le cause, e quindi in nessun caso dovremmo ispirarci ad un formalismo come quello dell'articolo 83 del regolamento di procedura, che molti ritengono ingiustificato.
III — Conclusioni
Concludo come segue per quanto riguarda la ricevibilità: la domanda con cui l'Ufficio Imposte chiede che si dichiari che la Commissione invoca a torto l'inviolabilità degli impianti del Centro è irricevibile poiché l'allegato F dell'accordo particolare col governo italiano — che è determinante e applicabile alla fattispecie — stabilisce un procedimento precontenzioso di consultazione fra Commissione e governo italiano e legittima solo questi due soggetti ad agire dinanzi alla Corte di giustizia.
In caso contrario, la ricevibilità della domanda è incontestabile in quanto le rimanenti eccezioni della Commissione sono inconsistenti.
Per questa seconda eventualità, continuerò l'esame vagliando il merito della questione.
B — Nel merito
La Commissione aveva il diritto di negare l'accesso a determinate installazioni del Centro di Ispra? Poiché il sopralluogo veniva effettuato in funzione di un accertamento fiscale sui materiali degli impianti, e poiché la Commissione invocava soltanto la sua esenzione fiscale, si deve esaminare se i privilegi comunitari si estendano ad installazioni del tipo litigioso.
Se non erro, la norma fondamentale e 1 allegato F della convenzione col governo italiano, il cui articolo 7, 3o comma, è del seguente tenore : «Per l'installazione ed il funzionamento del Centro, la Comunità gode dell'esenzione dalle importe comunali di consumo». Poiché è incontestato che si dovrebbe applicare un'imposta comunale di consumo, devo stabilire quale sia il significato dei termini «installazione» e «funzionamento» contenuti nelle norme summenzionate.
L'atteggiamento del ricorrente è chiaro: sono installazioni del Centro solo quelle a carattere industriale, che servono all'attività di ricerca e che costituiscono l'essenza del Centro. L'esenzione fiscale è valida solo per gli elementi indispensabili al funzionamento.
I miei dubbi coincidono con quelli della Commissione, che non ammette questa rigida interpretazione, e per più motivi.
Si deve rilevare anzitutto che 1 articolo 7, n. 3, dell'allegato F non contiene espressioni per cui sia inevitabile interpretare la norma nel senso voluto dal ricorrente, come sarebbe ad esempio il caso se si menzionassero le installazioni indispensabili agli scopi ed ai fini dei lavori del Centro di ricerche o simili. (In tale ipotesi si potrebbe dubitare che le installazioni a carattere sociale possano rientrare nella definizione). Viceversa i termini impiegati, in concomitanza con quelli usati nel preambolo (facilitare) e nell'articolo 36 (buon funzionamento), rendono plausibile l'interpretazione secondo cui è compreso tutto ciò che contribuisce a migliorare il funzionamento del Centro.
Inoltre va rilevato che alcune disposizioni dell allegato F parlano genericamente del Centro come oggetto dell'esenzione fiscale e fanno eccezione solo per l'uso privato (articoli 6, 8 e 10). Si potrebbe quindi desumerne che l'allegato F considera come facenti parte del Centro tutte le installazioni, eccettuate quelle di carattere meramente privato, così che i privilegi si applicano innanzitutto in base al metro dell'uso privato e dell'uso del Centro, conclusione che coincide con talune formule del protocollo sui privilegi che, ad esempio all'articolo 3, parla di «uso ufficiale». Ciò implica che il criterio da adottarsi è molto più elastico di quello suggerito dal ricorrente; il termine «uso ufficiale» giustificherebbe un'interpretazione più estensiva di quella sostenuta dal ricorrente (il che però non ha nulla a che vedere con un'analogia gratuita).
Dovrebbe essere pacifico che club house e piscina sono installazioni ufficiali, in quanto amministrate come servizi sociali da une sezione particolare dei servizi della Commissione. I fondi per la costruzione di tali impianti erano previsti nel bilancio elaborato dal Consiglio (capitolo IX, Foyers et cercles du personnel), quindi un capitolo che non implica affatto le limitazioni ritenute giuste dal ricorrente, in materia di spese che non riguardino l'acquisto di beni mobili e immobili. Inoltre l'impiego dei fondi è stato sindacato dalla Commissione di controllo che ne ha informati il Consiglio.
Non si può nemmeno dire che il Consiglio abbia seguito una politica d'avanguardia eccezionale, giacché tale politica rimane nei limiti normali dello sviluppo sociale, almeno delle grandi aziende, in quanto è ormai un dato di fatto che le attività educative, culturali, sportive e ricreative sono indispensabili e contribuiscono a migliorare notevolmente il clima aziendale e la produttività. La Commissione sottolinea giustamente che il principio vale a maggior ragione per un Centro di ricerche lontano dai grandi centri culturali, nel quale inoltre i dipendenti di sei nazionalità devono venire affratellati in una comunità produttiva. Proprio per questo motivo il Consiglio, nella motivazione del bilancio, ha dichiarato «indispensabili» le installazioni sociali di questo tipo.
Se è quindi opportuno dare primaria importanza al criterio dell'uso privato, contrapposto all'uso ufficiale, e se si vuole stabilire quali impianti abbiano caratteristiche funzionali ( 5 ), gli edifici sociali del Centro di ricerche devono essere considerati «installazioni» nel senso dell'articolo 7, 3o comma, dell'allegato F e come tali esenti dalle imposte comunali di consumo.
A sostegno di tale conclusione, si possono addurre ancora alcune considerazioni. Anzitutto, il fatto che le autorità fiscali di altri Stati membri hanno facilmente concesso esenzioni alle installazioni sociali di altri stabilimenti del Centro, non va sottovalutato dal punto di vista dell'unità comunitaria. Nella Germania federale sono state esentate dalle imposte le sovvenzioni della Commissione, che hanno permesso alla società di ricerca di pareggiare il bilancio della mensa degli impiegati e gli affitti riscossi per i campi da tennis usati dal personale. Lo stesso è avvenuto in Olanda per la costruzione di un centro di ritrovo e di impianti sportivi ed ancor più in Belgio, ove sono stati esentati dalle imposte diversi impianti comunitari di carattere sociale.
Mi pare poi strano che il governo italiano non si sia pronunciato, benché informato dal Centro e benché l'allegato F lo dichiari competente a reprimere eventuali abusi nel settore dei privilegi. Si deve inoltre tener conto di una considerazione che ha particolare rilievo per l'interpretazione di tali convenzioni, cioè il principio della parità di trattamento finanziario di tutti gli Stati aderenti ad un'organizzazione internazionale. La sua applicazione deve far sì che lo Stato in cui un'istituzione ha la sua sede non possa recuperare con il sistema dell'imposizione fiscale una parte dei propri contributi, indipendentemente dal fatto che i tributi vengano applicati per un motivo o per un altro ( 6 ).È quindi giusto che la Commissione abbia invocato l'esenzione concessale dall'allegato F ed appare infondata la richiesta del Comune di Ispra di effettuare un sopralluogo per un accertamento fiscale.
Si giunge allo stesso risultato fondandosi semplicemente sull'articolo 3 del protocollo comune sui privilegi, che esenta notoriamente dall'onere fiscale le Comunità, i loro crediti e i loro introiti ed altri beni patrimoniali ed in virtù del quale i governi degli Stati membri adottano le opportune disposizioni per l'abbuono o il rimborso dell'importo dei tributi indiretti e delle tasse sulla vendita, compresi nei prezzi dei beni immobili e mobili, quando la Comunità effettui, per suo uso ufficiale, acquisti considerevoli. Questa è almeno l'opinione di altri Stati membri, non vincolati da particolari convenzioni relative alla sede delle istituzioni.
Per amore di completezza mi chiedo ancora se il ricorso non potrebbe venire accolto qualora fosse diversamente motivato, e ciò in vista di taluni accenni contenuti nella replica in cui è detto che le autorità fiscali hanno voluto controllare se effettivamente il materiale da costruzione di cui trattasi sia stato impiegato per edifici di carattere sociale oppure — si dovrebbe logicamente aggiungere — sia stato usato a fini privati, per edifici per i quali non è riconosciuta l'esenzione fiscale e che quindi non sono compresi nei beni inviolabili. Questi accenni vanno tuttavia considerati come puramente incidentali. Secondo il tenore della prima lettera all'amministrazione del Centro, ma anche dal contenuto del ricorso, appare chiaro che mai le autorità fiscali hanno dubitato che il materiale sia stato impiegato nel modo dichiarato dalla Commissione e che quindi si doveva procedere solo ad una stima, non già ad un controllo sul suo impiego. Del resto manca pure ogni elemento che possa giustificare il sospetto da parte dell'autorità fiscale.
Non è quindi possibile concludere per l'affermativa circa la fondatezza del ricorso.
C — Conclusioni finali
Il ricorso dell'Ufficio Imposte di Consumo di Ispra, mirante ad obbligare la Commissione ad autorizzare un sopralluogo del tecnico delegato dal Comune di Ispra, sopralluogo diretto ad accertare il valore dei materiali impiegati nella costruzione degli impianti a carattere sociale allo scopo di applicare l'imposta comunale di consumo, va dichiarato irricevibile in virtù delle norme contenute nell'allegato F della convenzione tra il governo italiano e la Comunità.
Il ricorso è comunque infondato.
Le spese del giudizio vanno poste a carico del ricorrente.
( 1 ) Traduzione dal tedesco.
( 2 ) Egger, Die Vorrechte und Befreiungen zugunsten internatiottaler Organisationen und ihrer Funktionäre, pagg. 79, 108, 190; Cahier : Étude des accords de siège conclus entre les organisations internationales et les États où elles résident, pagg. 249, 250.
( 3 ) Egger, loc. cit., pagg. 134, 146.
( 4 ) Palandt-Lauterbach, Kommentar zum BGB, 21 ediz. Vorbemerkung 17 von EGBGB 7.
( 5 ) Schroer, Zur Gewährung von Befreiungen an internationale Einrichtungen, Jahrbuch für internationales Recht, 12, pag. 218.
( 6 ) Egger,loc. cit. pag. 109; Cahier, oc. cit. pagg. 222 e segg.; Schroer, oc. cit. pagg. 217, 219, 222.