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Document 61964CC0014

Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 19 gennaio 1965.
Sig.ra Emilia Barge, ved. Leone contro l'Alta Autorità della C.E.C.A.
Causa 14-64.

edizione speciale inglese 1965 00064

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1965:1

Conclusioni dell'avvocato generale Karl Roemer

del 19 gennaio 1965 ( 1 )

Indice

 

Introduzione e antefatti

 

Valutazione giuridica

 

I — Eccezioni sulla ricevibilità

 

1. Sulla presentazione della procura alle liti

 

2. Sull'eccezione relativa agli effetti della resjudicata derivanti dalla sentenza

 

II — La fondatezza

 

1. Il coefficiente consumo di energia/consumo di rottame

 

2. Sulla percentuale di «risorse proprie» nel consumo di rottame

 

3. Se la ricorrente abbia impiegato energia elettrica per la produzione di getti d'acciaio

 

4. Il riferimento fatto dalla ricorrente all'accertamento dei suoi redditi, compiuto dal fisco italiano, e alla capacità produttiva della sua azienda

 

5. In base a quale decisione generale vada determinato l'obbligo di contribuzione della ricorrènte

 

III — Osservazioni sul procedimento incidentale

 

IV — Riassunto e conclusioni

Signor Presidente, Signori giudici,

Non è necessario che io mi diffonda sugli antefatti del processo, per il quale debbo oggi presentare le mie conclusioni. Essi sono perfettamente noti alla Corte di Giustizia attraverso precedenti processi, cioè in virtù della causa 31-58, che a suo tempo terminò senza una sentenza, in seguito alla revoca da parte dell'Alta Autorità della decisione impugnata, e della causa 18-62, che fu conclusa dalla sentenza della Corte del 16.12.1963. In quest'ultimo processo erano in discussione due decisioni dell'Alta Autorità: l'una del 23.5.1962, con la quale era stato determinato d'ufficio il consumo di rottame dell'impresa «Acciaierie ing. A. Leone» per i diversi periodi di conteggio del meccanismo di perequazione, e l'altra (della stessa data), che fissò i relativi contributi dovuti da detta impresa. Entrambe le decisioni furono annullate dalla Corte di Giustizia — bisognerà vedere più avanti in che misura — poiché la valutazione del consumo di rottame compiuta dall'Alta Autorità, e che serve di base per la determinazione dell'importo dei contributi, potè essere invalidata da argomenti e prove addotti dall'impresa interessata.

Successivamente, 1 Alta Autorità, il 18.3.1964, emano, a parziale modifica delle due decisioni del 23.5.1962 sopra ricordate, una nuova decisione. In essa l'Alta Autorità — tenuto conto, a suo dire, dei motivi di annullamento indicati dalla Corte di Giustizia — determinò le quantità di rottame consumate dall'impresa «Acciaierie ing. A. Leone» e stabilì i relativi contributi da quest'ultima dovuti.

Il presente ricorso si dirige appunto contro tale decisione.

I — Valutazione giuridica

Per la valutazione di detto ricorso dobbiamo anzitutto esaminare due eccezioni sollevate dall'Alta Autorità relativamente al problema della ricevibilità. L'una riguarda la presentazione della procura alle liti da parte dell'avvocato della ricorrente, e l'altra concerne gli effetti della res judicata derivanti dalla sentenza 18-62.

1) Sulla presentazione della procura alle liti

In effetti risulta che, con l'atto introduttivo, fu depositata una procura alle liti indirizzata all'avvocato della ricorrente, la quale non autorizzava ad impugnare la decisione 18.3.1964, ma quelle che formarono l'oggetto della causa 18-62. L'avvocato della ricorrente osserva, a questo proposito, che si è trattato di una svista del suo studio. Egli produsse, con la replica, un'altra procura alle liti, in virtù della quale gli è affidata in generale la rappresentanza e la difesa in giudizio della ricorrente davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Questa procura porta la data del 16.3.1964 ed è stata conferita, secondo le indicazioni della ricorrente, prima della presentazione del ricorso (27.4.1964).

L'Alta Autorità non ritiene, pero, valida simile sanatoria del vizio procedurale da essa lamentato. Per quanto riguarda la data del rilascio della procura tardivamente depositata, essa manifesta dei dubbi sulla sua veridicità, poiché la certificazione notarile si riferisce soltanto all'autenticità della firma e non al momento della sua apposizione. Secondo l'Alta Autorità, una procura alle liti deve essere in ogni caso rilasciata prima della presentazione del ricorso, e deve venire depositata, con l'atto introduttivo, entro i termini per ricorrere.

In base al nostro diritto processuale, su questo punto controverso, si può osservare quanto segue. Il deposito di una procura alle liti in forma scritta non è espressamente prescritto né dallo Statuto della Corte, né dal Regolamento di procedura. Nella prassi della Corte di Giustizia si richiede certamente che la procura sia presentata con l'atto introduttivo, ed è opportuno tener ferma questa pratica nell'interesse di un ordinato svolgimento dei processi. Qualora però la presentazione, entro il termine per ricorrere, di una regolare procura venga omessa, non se ne potrebbe a mio giudizio dedurre l'irricevibilità del ricorso, purché successivamente venga depositata una procura valida.

La base per simile liberale soluzione può essere ricavata dallo stesso Regolamento di procedura. L'articolo 38, paragrafo 7, per il caso che determinati documenti (per esempio lo statuto di una persona giuridica e la prova che la procura alle liti da essa proveniente è stata rilasciata da persona legittimata) non siano depositati con l'atto introduttivo, contempla una ingiunzione di deposito e la fissazione di un termine da parte del cancelliere della Corte di Giustizia. Decorso inutilmente tale termine, la Corte decide se «l'inosservanza delle summenzionate prescrizioni comporti l'irricevibilità dell'istanza per vizio di forma». Da ciò si deve dedurre che neppure tutte le violazioni di prescrizioni di forma espressamente contenute nel Regolamento di procedura portano alla irricevibilità del ricorso. Tanto meno essa può quindi derivare dall'inosservanza di principi processuali che non sono esplicitamente affermati dal Regolamento di procedura.

Soluzioni analoghe si devono ricavare dal diritto processuale amministrativo nazionale. Nella procedura davanti ai tribunali amministrativi tedeschi è stabilito (par. 67 della Verwaltungsgerichtsordnung) che una procura alle liti può essere presentata successivamente, e che a questo fine il giudice può fissare un termine.

La procura alle liti non deve quindi essere depositata assieme all'atto introduttivo ed entro il termine per ricorrere. In base alla giurisprudenza risulta anzi che, nel caso di rilascio tardivo della suddetta procura, si può parlare di ratifica con effetti retroattivi degli atti processuali compiuti senza procura (Schunck-De Clerck, Kommentar zur Verwaltungsgerichtsordnung, 1961, nota 4 al par. 67; Köhler, Kommentar zur Verwaltungsgerichtsordnung, 1960, note 7 e 8 al par. 67). In modo analogo, se vedo bene, stanno le cose per il diritto francese, in cui parimenti si ritiene possibile una regolarizzazione successiva di siffatti vizi procedurali (Gabolde, Traile pratique de la procedure administrative, 1960, nn. 162-169).

In considerazione di questa situazione giuridica, non mi sembrano applicabili nei procedimenti dinanzi alla Corte i rigidi criteri sostenuti dall'Alta Autorità, e rispetto ai quali ignoro se essi siano applicabili nel diritto italiano. Per i nostri fini procedurali dovrebbe essere sufficiente che in corso di causa, com'è avvenuto nel nostro caso, sia presentata una procura valida, la quale copra tutti gli atti processuali a partire dalla presentazione del ricorso. Seguendo questa opinione, si può prescindere dall'esame del se sia veritiera la data di rilascio della procura, poiché irrilevante è il moménto del suo conferimento.

2. Sull'eccezione relativa agli effetti della res judicata derivanti dalla sentenza

Per quanto riguarda l'eccezione relativa agli effetti della res judicata derivanti dalla sentenza 18-62, ci troviamo di fronte ad un problema alquanto complesso. Esso richiede un completo esame di quanto è avvenuto nella causa 18-62 e successivamente ad essa. In quella sede furono impugnate due decisioni dell'Alta Autorità, con le quali fu determinato il consumo di rottame dell'impresa «A. Leone» per il periodo dal 1o ottobre 1955 al 31 gennaio 1958 e vennero stabiliti i relativi contributi. Queste decisioni furono annullate dalla Corte di Giustizia per la parte in cui esse si riferivano alla valutazione del consumo di rottame per il periodo dal 1o ottobre 1955 al 31 gennaio 1957 (così espressamente il dispositivo della sentenza). Da ciò segue che, per la parte restante, le decisioni impugnate non poterono essere contestate e la loro legittimità non diede adito a dubbi. Una diversa conclusione è impossibile, poiché la sentenza della Corte di Giustizia rappresenta una sentenza definitiva, che non ha riservato problemi giuridici di sorta alla trattazione in ulteriore fase processuale. Non si può neppure dire che l'annullamento di una parte delle decisioni impugnate porti necessariamente alla loro completa caducazione. Siffatta inscindibilità del contenuto di una decisione è insostenibile in base alla natura dei conteggi relativi alla perequazione del rottame; anzi è certo che l'obbligo di perequazione per i diversi periodi di conteggio può essere senz'altro sottoposto a valutazioni autonome.

Conformi a tutto questo appaiono le conseguenze che l'Alta Autorità ha tratto dalla sentenza. Essa non volle emanare un atto completamente nuovo per tutto il periodo di imposizione della ricorrente, anzi, nella decisione del 18 marzo 1964, l'Alta Autorità parla espressamente di una disciplina parzialmente nuova delle questioni trattate nelle decisioni del 23 maggio 1962.

Tutto ciò, in base al dispositivo e alla motivazione della nuova decisione, confrontati con le precedenti decisioni, può essere inteso soltanto nel senso che la nuova disciplina si riferisce semplicemente alle parti delle decisioni che sono state annullate, mentre per il resto la nuova decisione si limita, senza alcuna variazione di contenuto e senza un nuovo esame della fattispecie, a riprodurre le parti non annullate, cioè a pubblicarle nuovamente.

Pertanto, per quanto riguarda la determinazione del consumo di rottame e la fissazione dei contributi dovuti per il periodo dal 1o febbraio 1957 al 31 gennaio 1958, si deve effettivamente applicare il principio della res judicata invocato dall'Alta Autorità in relazione alla sentenza 18-62. Ciò comporta che tutte le conclusioni e gli argomenti della ricorrente, che si riferiscono alla determinazione del consumo di rottame e dei relativi contributi per il periodo sopra ricordato, debbono essere respinti in quanto irricevibili. Questa conclusione vale in ispecie per l'argomento principale della ricorrente, secondo il quale essa ha cessato la propria attività il 1o maggio 1956, ha licenziato il personale ed ha receduto dal contratto di somministrazione di energia elettrica, e pertanto, in mancanza di un'attività produttiva e di un consumo di rottame, non può venire assoggettata alla perequazione per il periodo posteriore a questo momento.

Viceversa, l'eccezione relativa alla res judicata, avanzata dall'Alta Autorità, non può valere per quella parte della decisione del 18 marzo 1964 che fu nuovamente formulata in seguito alla sentenza di annullamento della Corte di Giustizia, sulla base della motivazione di detta sentenza. Gli effetti di giudicato propri di una sentenza di annullamento risultano dal dispositivo della decisione in connessione con i motivi che lo sorreggono. Sotto questo profilo la sentenza 18-62 consente una chiara e ineccepibile conclusione: l'annullamento si basa sulla constatazione che l'Alta Autorità, nella valutazione del consumo di rottame in base al consumo di energia elettrica, è partita da dati erronei circa quest'ultimo. La motivazione soltanto può rientrare negli effetti di giudicato della sentenza di annullamento, con la conseguenza che l'autorità amministrativa non è autorizzata a rinnovare il suo atto basandolo sulla motivazione censurata. Tutte le altre considerazioni della sentenza 18-62, benché i motivi di ricorso ivi trattati si riferiscano a tutto il periodo di imposizione della ricorrente, rappresentano invece, sotto il profilo processuale e per quanto riguarda la sentenza di annullamento, dei semplici obiter dieta. È fuori dubbio che essi hanno valore per la valutazione della decisione oggi impugnata. Tuttavia, sotto il profilo processuale non è possibile, richiamandosi al principio della cosa giudicata, avvalersene per respingere come irricevibile il ricorso diretto contro la decisione emanata, con nuovo contenuto, in seguito all'annullamento parziale delle vecchie decisioni. Se mai, si può parlare dell'efficacia di precedente propria della causa 18-62, efficacia che verrà considerata nel quadro dell'esame relativo alla fondatezza del presente ricorso.

II — La fondatezza

Consideriamo perciò in particolare quali mezzi di impugnazione la ricorrente faccia valere contro la nuova decisione dell'Alta Autorità.

1)

La ricorrente critica anzitutto il coefficiente applicato dall'Alta Autorità per determinare il consumo di rottame in base al consumo di energia elettrica, osservando che esso non può essere considerato valido per impianti antiquati, che bisogna considerare la capacità dei forni, la potenza del trasformatore, la sua età, il fatto che nel forno della ricorrente non era applicato il procedimento di lavorazione a ossigeno, e infine la circostanza che la ricorrente ha usato, in considerevole misura, rottame di qualità inferiore.

Per quanto riguarda queste deduzioni, ci si può essenzialmente richiamare alla sentenza 18-62, nella quale la Corte ha dichiarato valido, malgrado le critiche avanzate anche allora dalla ricorrente, il parere della Commissione di esperti dell'Alta Autorità, relativo alla determinazione del coefficiente contestato. Giustamente la Corte ha trascurato il fatto che l'applicazione di questo coefficiente generale possa nel singolo caso portare a risultati approssimativi ed erronei. Se essi dovessero essere evitati, verrebbe praticamente resa impossibile l'applicazione del metodo induttivo per la determinazione del consumo di rottame, e l'Alta Autorità sarebbe anzi tenuta a far preparare, per ogni singolo caso, un parere di esperti per quanto riguarda il consumo di rottame. Poiché però in questo modo il procedimento amministrativo sarebbe reso difficoltoso oltre misura, la Corte di Giustizia, nella causa 18-62, ha respinto la domanda della ricorrente rivolta a ottenere una perizia per il suo caso particolare. Nello stesso modo ci si deve regolare nell'attuale processo. Ciò è tanto più ragionevole in quanto alcuni dei fattori indicati dalla ricorrente (quali la capacità del forno e la circostanza che la ricorrente non ha mai usato il procedimento ad ossigeno) sono stati effettivamente presi in considerazione dall'Alta Autorità nell'accertamento induttivo del consumo di rottame. Inoltre, l'assunto della ricorrente, secondo il quale l'azienda avrebbe lavorato con impianti antiquati, può considerarsi confutato dall'attestato prodotto dalla stessa ricorrente e proveniente dal fisco italiano, in cui si parla di impianti moderni. Infine, gli altri argomenti in proposito non sono che semplici affermazioni, sulla cui attendibilità non sussistono indizi di sorta o seri principi di prova.

Ne consegue che il primo mezzo di ricorso non consente di considerare invalidi i conteggi dell'Alta Autorità relativi al consumo di rottame.

2)

La ricorrente lamenta, inoltre, che l'Alta Autorità, nel calcolo del consumo di rottame soggetto alla perequazione, abbia stimato troppo bassa la percentuale di «risorse proprie». Essa sostiene che, avendo lavorato quasi esclusivamente per conto terzi ed essendo stati prodotti nel suo stabilimento un gran numero di getti difettosi, si sarebbe dovuto calcolare un 12 % di «risorse proprie», invece del 5 % ammesso dall'Alta Autorità.

Quest'ultima osserva in proposito che non vi era alcun motivo di fissare una percentuale maggiore di «risorse proprie», giacché la ricorrente possedeva soltanto un forno elettrico e non aveva laminatoi. Del resto, anche per questo argomento, è una questione di prova lo stabilire ciò che deve ritenersi esatto. La ricorrente, nel corso del processo, non ha presentato documenti per suffragare la sua tesi, benché essa abbia sostenuto, fra l'altro, che i controllori dell'Alta Autorità avrebbero potuto esaminare, presso il suo stabilimento, un registro relativo ai lavori per conto terzi: essa avrebbe quindi avuto ogni motivo di produrre almeno questo registro. Viceversa essa ha solamente chiesto che venissero ascoltati dei testimoni sulle censure da essa avanzate, in particolare i funzionari e incaricati dell'Alta Autorità che avevano controllato l'azienda della ricorrente, e due altri testimoni italiani. In sostanza, si pone il problema se tale controprova possa essere considerata rilevante ai fini della valutazione del consumo di rottame. Dalla sentenza 18-62 si potrebbe ricavare una conclusione negativa, poiché in quella sede è continuamente sottolineato che la ricorrente non ha prodotto documenti e non ha quindi posto l'Alta Autorità in condizioni di correggere le proprie valutazioni. Ma anche a prescindere da tale questione di principio, non si può in questo caso capire quale contributo i testimoni potrebbero dare per l'invalidazione del calcolo elaborato dall'Alta Autorità, dal momento che — e ciò vale certamente solo per i testimoni italiani — non è stato neppure indicato in quale veste e per quali motivi essi dovrebbero essere in condizione di fornire indicazioni esatte su fatti attinenti all'attività produttiva della ricorrente, che risalgono fino al 1955.

A mio giudizio, la Corte di Giustizia dovrebbe dichiarare che anche per quanto riguarda questo secondo mezzo non è stata offerta né fornita una adeguata controprova, benché, come bisogna aggiungere, già nella precedente causa 18-62 ve ne fosse stata tutta l'opportunità. Neanche sotto il profilo testè trattato si può dunque parlare di invalidazione dei risultati della valutazione compiuta dall'Alta Autorità.

3)

In terzo luogo la ricorrente fa valere il fatto che l'energia elettrica nella sua azienda è stata impiegata anche per la produzione di getti di acciaio. Le quantità di rottame impiegate per questa produzione sarebbero, secondo le decisioni dell'Alta Autorità, esenti dalla perequazione, e quindi non potrebbero essere considerate per il calcolo dei contributi.

L'Alta Autorità obietta che la ricorrente, nelle sue comunicazioni ai fini del prelievo generale, non ha mai fornito dati su simile attività produttiva. Questa circostanza costituisce un così grave indizio contro l'esattezza di tale affermazione, che già per questo motivo si potrebbe rinunciare a un ulteriore esame del terzo mezzo di ricorso. Inoltre, la prova offerta dalla ricorrente su questo punto si riduce all'audizione dei testimoni ricordati per il secondo mezzo di ricorso; cosicché io posso rinviare a quanto si è detto a tal proposito. La ricorrente, per suffragare le sue asserzioni, ha prodotto anche due documenti: si deve però rilevare che la semplice designazione della sua azienda con il termine di «fonderia», in una decisione del fisco italiano, è tanto poco idonea a dimostrare l'esattezza della sua affermazione, quanto lo è un altro documento di incerta origine nel quale l'attività della ricorrente è indicata come «fonderia di acciaio»; quest'ultimo, in particolare, come risulta dai dati sulla capacità del forno, non si riferisce al periodo di produzione rilevante ai fini della perequazione del rottame.

Pertanto, la ricorrente non può invalidare la valutazione del consumo di rottame neppure richiamandosi a una pretesa produzione di getti di acciaio.

4)

In via generale, la ricorrente cerca di infirmare l'esattezza delle cifre applicate dall'Alta Autorità, da un lato richiamandosi ad una valutazione della sua situazione economica compiuta dal fisco italiano durante il periodo in questione, valutazione dalla quale risulterebbe che l'Alta Autorità si è basata su un volume di attività assurdamente ampio, e dall'altro riferendosi alla capacità produttiva della propria azienda.

Nemmeno questo tentativo si può considerare riuscito. Giustamente l'Alta Autorità ricorda che, per il meccanismo di perequazione, ha rilievo il consumo di rottame di un'impresa, non già la sua situazione economica. Inoltre, anche il fisco italiano, in mancanza di una sufficiente documentazione contabile, sarebbe stato costretto, per i suoi scopi, a procedere a una valutazione globale.

Per quanto riguarda l'effettivo volume della produzione — e non la capacità produttiva — la base di partenza per una corretta valutazione dovrebbe essere offerta, secondo la ricorrente, dall'assunzione delle testimonianze da essa proposte, come pure da una perizia sul tempo occorrente nella sua azienda per la produzione di getti di acciaio. Vale a dire che anche su questo punto essa offre un tipo di controprova che, in base a tutti gli elementi a nostra disposizione, dev'essere considerato inidoneo per le finalità del presente processo.

Pertanto, si deve tener fermo il metodo di valutazione scelto dall'Alta Autorità per la determinazione del consumo di rottame della ricorrente, in quanto si tratta dell'unica base utilizzabile per il conteggio dei contributi dovuti.

5)

Nella replica, si è fatto infine valere l'argomento che lo obbligo di contribuzione della ricorrente avrebbe potuto essere determinato solo sulla base della decisione 2-57, e non della decisione 19-60, poiché la ricorrente ha cessato la sua attività produttiva già nell'aprile 1957.

Tale argoménto, pero, indipendentemente dall'eccezione relativa agli effetti del giudicato trattata all'inizio, dovrebbe essere escluso già per motivi procedurali, poiché esso non è neppure accennato nell'atto introduttivo del ricorso. Sotto questo profilo, vengono in considerazione le norme sulle deduzioni tardive (art. 42 del Regolamento di procedura), sulle quali non è necessario che io mi dilunghi ulteriormente. Inoltre, è evidente che questo mezzo di ricorso non sarebbe neppure fondato. Secondo il suo chiaro tenore letterale, la decisione 19-60 non si riferisce infatti soltanto ai periodi di conteggio che hanno avuto iniziò dopo la pretesa cessazione dell'attività della ricorrente, ma a tutto il periodo di funzionamento del meccanismo di perequazione.

III — Resta infine da dire ancora una parola sul procedimento incidentale promosso dalla ricorrente durante la fase scritta, e in ispecie sul problema: quale parte debba sopportare le relative spese.

Come è noto, l'incidente ebbe origine dal fatto che l'Alta Autorità aveva prodotto con il controricorso alcuni documenti non redatti nella lingua processuale, ma in francese. Entro il termine ad essa posto per il deposito della replica, termine del resto prorogato, la ricorrente, con un'apposita memoria, eccepì questo fatto. Il cancelliere della Corte si rivolse allora all'Alta Autorità e le ingiunse di presentare entro il 22 luglio una traduzione italiana dei documenti 2 e 3 allegati al controricorso. Successivamente fu impartito alla ricorrente un nuovo termine per la presentazione della replica e la fase scritta seguì il suo corso normale.

In base al Regolamento di procedura della Corte, e indubbio che l'Alta Autorità, con la produzione di testi redatti in francese, ha violato l'articolo 29 di tale Regolamento. Ciò non implica tuttavia che detta circostanza potesse giustificare l'introduzione di un procedimento incidentale autonomo. In particolare, ai fini della decisione sulle spese, è essenziale stabilire se per questo fatto, come afferma la ricorrente, sia stata considerevolmente pregiudicata la sua difesa in giudizio. In senso contrario a simile conclusione depongono alcune considerazioni. L'Alta Autorità ha dichiarato, senza essere contraddetta, che i documenti citati le erano stati a suo tempo inviati in questa forma (cioè in lingua francese) dalla stessa ricorrente. L'Alta Autorità si richiama inoltre al fatto che essi contengono in misura prevalente delle cifre e, complessivamente, non più di 12 righe di testo. Non si può quindi sostenere che il difensore della ricorrente abbia avuto difficoltà ad utilizzare detti documenti, tanto più che in un altro caso (causa 33-59) egli ha condotto in lingua francese un intero processo davanti alla Corte.

Tutti questi elementi devono essere presi in considerazione dalla Corte di Giustizia per la decisione sulle spese. Se si considera inoltre che il difensore della ricorrente aveva per il deposito della replica un termine che cominciava a decorrere il 27 maggio 1964, e che in seguito a proroga doveva scadere il 21 luglio 1964, e che solo il 15 luglio 1964 egli si è deciso ad introdurre il procedimento incidentale, si dovrà consentire con la tesi dell'Alta Autorità secondo la quale le spese originate dal procedimento incidentale sono superflue. Condivido pertanto l'opinione dell'Alta Autorità secondo la quale la Corte di Giustizia dovrebbe applicare a carico della ricorrente, per quanto riguarda la decisione sulle spese del procedimento incidentale, l'articolo 69, paragrafo 3, comma 2, del Regolamento di procedura.

IV — Riassunto e conclusioni

Senza che mi sembri necessario accogliere le conclusioni della ricorrente rivolte ad ottenere la produzione di determinati documenti da parte dell'Alta Autorità, non da ultimo perché non è dato di vedere come questi documenti potrebbero contribuire ad invalidare l'accertamento compiuto dall'Alta Autorità, chiedo alla Corte di rigettare il ricorso come irricevibile, per la parte in cui esso si riferisce al periodo di imposizione dal 1o febbraio 1957 al 31 gennaio 1958, ricordato nella decisione impugnata, e, per il resto, in quanto infondato.

Le spese del processo, comprese quelle del procedimento incidentale, devono essere sopportate dalla ricorrente.


( 1 ) Traduzione dai tedesco

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