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Document 61962CC0026

    Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 12 dicembre 1962.
    NV Algemene Transport- en Expeditie Onderneming van Gend & Loos contro Amministrazione olandese delle imposte.
    Domanda di pronuncia pregiudiziale: Tariefcommissie - Paesi Bassi.
    Causa 26-62.

    edizione speciale inglese 1963 00003

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1962:42

    Conclusioni dell'Avvocato generale

    KARL ROEMER

    12 dicembre 1962

    Traduzioni dal tedesco

    SOMMARIO

    Pagina
     

    Introduzione

     

    Discussione in diritto

     

    I — Piano dell'indagine

     

    II — La questione n. 1

     

    1) Sull'ammissibilità

     

    2) Indagine sulla prima questione

     

    III — La questione n. 2

     

    1) Sull'ammissibilità

     

    2) Indagine sulla seconda questione

     

    IV — Conclusioni finali

    Signor Presidente, signori giudici,

    Il presente giudizio trae origine da una lite pendente davanti alla Tariefcommissie, giurisdizione amministrativa olandese. Questa lite ha per oggetto l'annullamento del provvedimento, adottato il 6 marzo 1961 dall'Amministrazione delle imposte olandese, con il quale è stato respinto il ricorso gerarchico presentato contro l'applicazione di un determinato dazio all'ureoformaldeide importata dalla Repubblica federale di Germania. Il provvedimento è basato sulla nuova tariffa doganale olandese, entrata in vigore il 1o marzo 1960, la quale è stata concordata dal Regno del Belgio, dal Granducato del Lussemburgo e dal Regno dei Paesi Bassi col Protocollo di Bruxelles del 25 luglio 1958 ed è stata approvata per i Paesi Bassi con legge 16 dicembre 1959.

    Le parti in causa concordano con la Tariefcommissie nel ritenere che al momento dell'importazione (9 settembre 1960) la merce importata è stata correttamente classificata sotto una determinata voce della tariffa vigente. Quest'ultima differisce però dalla precedente ( 1 ), basata sulla nomenclatura di Bruxelles ( 2 ), il che ha implicato la modifica di determinate voci.

    Come risulta da due decisioni della Tariefcommissie, la merce di cui trattasi, mentre anteriormente al 1o marzo 1960 era colpita dal dazio del 3 %, con l'adozione della nomenclatura di Bruxelles, la quale ha reso necessaria la suddivisione di talune voci della precedente tariffa, è stata classificata sotto una voce cui si applica un dazio più elevato.

    La ricorrente ha perciò sostenuto che questa modifica della tariffa doganale in conseguenza del Protocollo di Bruxelles è in contrasto con l'articolo 12 del Trattato C.E.E. e che il provvedimento impugnato dev'essere annullato in quanto incompatibile con le disposizioni dello stesso Trattato.

    La Tariefcommissie non ha risolto il problema, bensì, con ordinanza 16 agosto 1962, lo ha deferito in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia, a norma dell'articolo 177 del Trattato, formulandolo in due questioni. Queste sono :

    «1.

    Se l'articolo 12 del Trattato C.E.E. abbia l'effetto interno invocato dalla ricorrente, in altre parole, se gli amministrati possano trarre direttamente da detto articolo dei diritti soggettivi ;

    2.

    in caso affermativo, se il dazio d'importazione sia stato illegittimamente aumentato, ovvero si tratti semplicemente di una ragionevole modifica della disciplina vigente anteriormente al 1o marzo 1960, modifica che, pur implicando un aumento in senso aritmetico, non si deve ritenere vietata dal menzionato articolo.»

    Come prescritto dall'articolo 20 dello Statuto C.E.E. della Corte, il Cancelliere ha notificato la domanda di decisione pregiudiziale alle parti in causa, agli Stati membri ed alla Commissione. Osservazioni scritte sono state presentate dalle parti in causa, dai Governi del Regno dei Paesi Bassi, del Regno del Belgio e della Repubblica federale di Germania ed altresì dalla Commissione C.E.E. All'udienza hanno preso la parola soltanto la ricorrente e la Commissione C.E.E. Il contenuto di tutte queste osservazioni verrà preso in considerazione nel corso dell'esame della domanda di decisione pregiudiziale.

    Discussione in diritto

    I — PIANO DELL'INDAGINE

    Nelle osservazioni scritte è stato chiesto alla Corte di risolvere in primo luogo la questione n. 2.

    Secondo il Governo olandese, tale questione è basata sul presupposto che l'articolo 12 del Trattato C.E.E. sia in contrasto col Protocollo di Bruxelles (il quale costituisce il fondamento della criticata tariffa doganale). Questo presupposto deriverebbe però da un'errata interpretazione del Trattato C.E.E. : il Protocollo di Bruxelles non avrebbe illecitamente derogato al Trattato C.E.E. Se la questione n. 2 fosse risolta in questo senso, l'altra questione diverrebbe priva di oggetto.

    Mi sembra opportuno soffermarsi un istante su questa tesi.

    In linea di principio sono d'opinione che la Corte, nel risolvere le questioni d'interpretazione ad essa sottoposte in via pregiudiziale, debba attenersi all'ordine adottato dal giudice a quo. Ciò è vero almeno qualora l'ordine prescelto corrisponda all'importanza delle questioni agli effetti del procedimento principale, e le questioni stesse, secondo il diritto comunitario, si prestino ad essere risolte in detto ordine. Non è però il caso di approfondire qui tale problema.

    Si potrebbe pensare d'invertire l'ordine soltanto qualora di acchito e senza nemmeno dare inizio all'esame, apparisse evidente che la seconda questione è più semplice e va risolta in modo tale da rendere superfluo l'esame della prima. Nella specie ritengo invece non si possa affermare con certezza che la seconda questione vada vista unicamente nella prospettiva adottata dal Governo olandese, che presenti minori difficoltà e richieda quindi un esame meno approfondito, nè infine ch'essa vada verosimilmente risolta nel senso voluto da detto Governo. Queste considerazioni sono sufficienti per attenersi, nell'esame, all'ordine prescelto dalla Tariefcommissie, ordine che del resto mi sembra anche rispondente alla logica. L'interpretazione dell'articolo 12 può infatti avere interesse per il giudice olandese solo nel caso che egli sappia di doverlo applicare.

    II — LA QUESTIONE N. 1

    1. Sull'ammissibilità

    La ricevibilità, a norma dell'articolo 177, della domanda rivolta alla Corte dalla Tariefcommissie va esaminata d'ufficio. Si tratta di una questione sottratta alla libera disposizione delle parti, giacchè l'interpretazione del Trattato è d'interesse pubblico. Ciò non significa naturalmente che agli interessati sia precluso il discuterne. Il Governo olandese e quello belga hanno sollevato a proposito della prima questione le seguenti eccezioni :

    1.

    Essa verterebbe, non già sull'interpretazione del Trattato, bensì su un problema di diritto costituzionale olandese.

    2.

    La risoluzione della prima questione non aiuterebbe affatto a risolvere le effettive difficoltà sorte nella lite pendente davanti alla Tariefcommissie. Quand'anche la questione fosse risolta in senso affermativo, il giudice olandese si troverebbe sempre di fronte al problema di quale delle due leggi di autorizzazione (quella relativa al Trattato C.E.E. ovvero quella riguardante il Protocollo di Bruxelles) debba prevalere.

    Prima di affrontare i problemi d'interpretazione sollevati dalla Tariefcommissie, è necessario esaminare queste eccezioni.

    Ad 1)

    Per quanto riguarda il quesito se la Tariefcommissie abbia deferito alla Corte un problema di diritto costituzionale olandese, va detto quanto segue: mi sembra fuori di dubbio che il tenore della prima questione («se l'articolo 12 abbia… effetto interno») induca a pensare che la domanda rivolta alla Corte esorbita dai poteri a questa attribuiti dall'articolo 177. Non è infatti possibile stabilire quali effetti giuridici produca per i cittadini di uno Stato membro una convenzione internazionale, ove si prescinda dal diritto costituzionale di tale Stato.

    D'altro lato è però evidente che la questione non riguarda soltanto il diritto costituzionale. Gli effetti di un trattato internazionale dipendono in primo luogo dall'efficacia giuridica che i suoi autori hanno inteso attribuire alle singole disposizioni: queste possono aver natura puramente programmatica, contenere una dichiarazione d'intenzioni, stabilire un obbligo di diritto internazionale ovvero produrre immediatamente effetti nell'ordinamento giuridico dei singoli Stati contraenti. Se l'esame si limita a questo aspetto, restandone escluso il come il diritto costituzionale dei singoli Stati armonizzi i voluti effetti giuridici del trattato col vigente ordinamento giuridico interno, non vi è dubbio che esso rimanga entro i limiti dell'interpretazione del trattato. Ad onta della sua poco felice formulazione, la prima questione è quindi ammissibile, potendo la Corte agevolmente separarla dal contesto e risolverla a norma dell'articolo 177.

    Ad 2)

    La seconda eccezione riguarda la cosiddetta rilevanza agli effetti della decisione, cioè il quesito se la soluzione di un determinato problema di diritto comunitario abbia influenza sulla definizione del procedimento principale.

    A mio parere, la Corte non è in linea di principio competente ad esaminare questa eccezione. Il disposto dell'articolo 177, secondo comma, («… tale giurisdizione… qualora reputi necessaria… una decisione…»), che vale anche nel caso contemplato nel terzo comma, mostra che spetta al giudice nazionale di giudicare, dopo essersi fatto un'idea della soluzione da darsi alla lite davanti ad esso vertente, in quale punto del suo iter logico vada inserita l'interpretazione vincolante del Trattato, a norma dell'articolo 177. Questa Corte, la quale in linea di massima non è chiamata ad applicare il diritto interno, non può, a pena di esorbitare dai suoi poteri, esaminare nè riformare le considerazioni basate su tale diritto e deve quindi rimettersi al giudizio del giudice nazionale circa la necessità della richiesta decisione.

    Ad una diversa conclusione si potrebbe tuttalpiù giungere in caso di evidenti errori di giudizio (ad esempio in caso di difetti logici, di violazione di principi giuridici generali ovvero di misconoscimento di principi giuridici di diritto interno, di guisa che la domanda di decisione pregiudiziale fosse manifestamente abusiva).

    Per quanto riguarda il caso in esame, non si può perdere di vista il fatto che, in caso di risoluzione positiva della prima questione, si dovrà risolverne una seconda. È concepibile che, in definitiva, il contrasto fra l'articolo 12 del Trattato C.E.E. ed il Protocollo di Bruxelles si riveli insussistente, ad esempio perchè lo stesso articolo ammette deroghe in casi speciali; oltracciò, non siamo in grado di giudicare quale importanza potrebbe avere per il giudice olandese un eventuale contrasto ed in qual modo esso lo comporrebbe. Per tutti questi motivi, non è possibile negare che il problema abbia rilevanza, nè rifiutarsi di risolvere la prima questione.

    Posto che l'ammissibilità della prima questione non dà luogo ad altre difficoltà, la Corte può senz'altro passare all'esame del merito.

    2. Indagine sulla prima questione

    Ho già detto che la questione non è stata formulata in modo felice. Il suo significato è però chiaro qualora lo si collochi nell'ambito del diritto costituzionale olandese.

    L'articolo 66 della Costituzione olandese — secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza — stabilisce che i trattati internazionali prevalgono sulle norme interne, a condizione che le loro disposizioni siano vincolanti per tutti, cioè siano direttamente applicabili («self executing»). Il problema è quindi se l'articolo 12 del Trattato C.E.E. abbia tale natura giuridica ovvero stabilisca soltanto l'obbligo per gli Stati membri di astenersi dall'emanare norme in contrasto con esso, obbligo la cui violazione non rende peraltro inefficaci le norme eventualmente adottate.

    Le tesi sostenute in corso di causa non concordano fra loro. La ricorrente nel procedimento principale e la Commissione C.E.E. sostengono che l'articolo 12 ha effetto interno diretto, il che significa che gli organi amministrativi e giurisdizionali degli Stati membri sono tenuti ad osservarlo. A loro parere, la prima questione andrebbe risolta in senso affermativo. Il Governo olandese, il Governo belga e il Governo della Repubblica federale ravvisano invece nell'articolo 12 soltanto un obbligo a carico degli Stati membri.

    La Commissione, tanto nelle sue osservazioni scritte quanto nella discussione orale, si è adoperata a dimostrare la fondatezza della sua tesi mediante un approfondito esame della struttura della Comunità. Essa ha illustrato in modo perspicuo il carattere innovatore dei Trattati europei per quanto riguarda i rapporti fra Stati ed ha posto in rilievo l'errore di quanti ritengono di poter interpretare i Trattati stessi con la scorta dei soli principi generali del diritto internazionale.

    Questi rilievi appaiono del tutto appropriati nell'attuale giudizio, il quale verte principalmente sui rapporti fra il diritto comunitario e i singoli ordinamenti giuridici nazionali.

    Chi conosce il diritto, comunitario sa infatti che esso non si esaurisce in rapporti fra più Stati, intesi come soggetti di diritto internazionale. La Comunità è dotata di organi propri, indipendenti dagli Stati membri, i quali hanno il potere di emanare atti amministrativi e provvedimenti normativi direttamente vincolanti non solo per gli Stati membri e per gli organi di questi, ma anche per gli amministrati. Gli articoli 187, 189, 191 e 192 lo dimostrano chiaramente.

    Il Trattato C.E.E. contiene inoltre disposizioni senza alcun dubbio destinate ad avere effetto nei singoli ordinamenti nazionali, modificandone o completandone le norme. Si pensi alle disposizioni in materia di concorrenza degli articoli 85 e 86 (divieto di determinati accordi, divieto di sfruttare in modo abusivo una posizione di predominio sul mercato), all'applicazione di dette disposizioni da parte degli organi degli Stati membri (articolo 88), come pure all'obbligo degli stessi organi di collaborare con le Istituzioni della Comunità nel campo dell'amministrazione della giustizia e dell'esecuzione forzata (articoli 177 e 192 del Trattato; articoli 26 e 27 dello Statuto della Corte). Si potrebbero citare a questo proposito anche disposizioni destinate ad avere effetto giuridico diretto solo in un secondo tempo, ad esempio quelle contenute nel titolo relativo alla libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali (articoli 48 e 60).

    D'altro lato, non si può perdere di vista che numerose disposizioni del Trattato parlano espressamente di obblighi degli Stati membri.

    Citerò dalla prima parte relativa ai principi della Comunità l'articolo 5, il quale prescrive agli Stati membri di adottare tutti i provvedimenti atti a garantire l'esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato, e l'articolo 8, a norma del quale si doveva constatare che le finalità stabilite dal Trattato per la prima tappa erano state raggiunte e che determinati obblighi erano stati adempiuti. Dal titolo relativo alla libera circolazione delle merci si possono citare l'articolo 11 (obblighi in materia di tasse doganali) e l'articolo 37 (obblighi riguardanti i monopoli di Stato). Menzionerò infine, senza pretendere di avere esaurito l'elenco, l'articolo 106 col quale gli Stati membri si impegnano ad autorizzare pagamenti in determinate valute.

    Che queste disposizioni stabiliscano in realtà soltanto un obbligo a carico degli Stati membri, lo si può ritenere per certo, non soltanto in considerazione della terminologia piuttosto sfumata del Trattato, ma anche in vista del loro effettivo contenuto.

    Se ciò non bastasse, troviamo poi numerose disposizioni le quali hanno sì forma dichiarativa, ma in sostanza si limitano ad imporre degli obblighi agli Stati, senza produrre alcun effetto interno diretto.

    Si tratta delle disposizioni in materia di abolizione dei dazi d'importazione e d'esportazione e di soppressione dei dazi di carattere fiscale (articoli 13, 16 e 17); in materia di progressiva instaurazione della tariffa comune (articolo 23) e di abolizione dei contingenti d'importazione (articolo 32) ; in materia di trasformazione dei contingenti bilaterali in contingenti globali e di aumento di questi ultimi (articolo 33) ; in materia di riordinamento dei monopoli nazionali a carattere commerciale (articolo 37) ; di graduale abolizione delle restrizioni della libertà di stabilimento (articolo 52) ; di soppressione delle restrizioni ai movimenti di capitali (articolo 67) e di abolizione delle discriminazioni nel settore dei trasporti (articolo 79).

    In confronto al numero delle disposizioni testé elencate, è relativamente raro incontrare nel Trattato i termini «divieto» o «vietato» : si vedano ad esempio gli articoli 7, 9, 30, 34, 80, 85 e 86. Anche per una parte di queste disposizioni, soprattutto per quelle che non hanno come destinatari i singoli, il Trattato stesso — espressamente o implicitamente, in quanto si richiama a norme da emanarsi o ad altre disposizioni d'attuazione — rende manifesto che esse non sono destinate ad avere efficacia diretta (articoli 9, 30 e 34).

    È degno di nota il fatto che persino disposizioni che contengono l'espressione «incompatibile col mercato comune» (articolo 92, relativo agli aiuti concessi agli Stati) non possono essere considerate direttamente applicabili; l'articolo 93 attribuisce infatti alla Commissione, qualora constati che un aiuto è incompatibile col mercato comune, il potere di decidere che lo Stato di cui trattasi deve sopprimerlo o modificarlo entro un determinato tempo.

    Da questa analisi possiamo trarre una prima conclusione, cioè che numerose disposizioni del Trattato si limitano senza dubbio ad imporre obblighi agli Stati membri e non contengono prescrizioni dotate di efficacia interna.

    La repressione delle violazioni del Trattato, nell'ambito dell'amministrazione della giustizia sopranazionale, è organizzata in modo corrispondente. A norma dell'articolo 169, la Commissione fissa allo Stato membro che è venuto meno ai suoi obblighi un termine per uniformarsi al parere che essa ha emesso. L'articolo 171 stabilisce che lo Stato inadempiente è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari per dare esecuzione alla sentenza della Corte. Se nel diritto comunitario si fosse voluto porre come regola la diretta applicabilità delle disposizioni del Trattato (nel senso che queste prevalgono sulle norme interne), sarebbe stato sufficiente la constatazione della nullità dei provvedimenti in contrasto col Trattato; se non anche la fissazione del termine a norma dell'articolo 169, almeno l'articolo 171 sarebbe stato superfluo.

    Se passiamo ora a considerare quale sia, fra tutte queste possibilità giuridiche, quella corrispondente all'articolo 12, è opportuno ricordarne anzitutto il tenore testuale. Esso recita :

    «Gli Stati membri si astengono dall'introdurre fra loro nuovi dazi doganali all'importazione e all'esportazione o tasse dì effetto equivalente e dall'aumen-tare quelli che applicano nei loro rapporti commerciali reciproci.»

    Mi sembra certo — nè d'altronde è stato contestato in corso di causa — che la forma dichiarativa di questa disposizione non può fare escludere che essa crei un obbligo, nello stesso modo in cui ciò non può essere escluso per gli altri articoli del Trattato formulati in modo analogo. L'attribuire all'articolo 12 una minore portata giuridica sarebbe in contrasto con l'importanza che esso ha nel sistema del Trattato. Oltracciò, sono pure persuaso che l'esecutorietà di questo obbligo non è subordinata all'emanazione da parte degli organi della Comunità di ulteriori provvedimenti, il che ci permette di parlare in un certo senso di effetti giuridici immediati dell'articolo 12.

    Il punto decisivo della questione della Tariefcommissie è però lo stabilire se tale efficacia si spieghi solo nei confronti dei Governi degli Stati membri ovvero si estenda ai singoli ordinamenti nazionali e renda quindi la disposizione direttamente applicabile da parte degli organi amministrativi e giurisdizionali degli Stati membri. Qui cominciano le vere difficoltà d'interpretazione.

    Si deve anzitutto rilevare che destinatari della disposizione sono gli Stati membri, esattamente come in altri articoli che creano manifestamente solo obblighi a carico degli Stati (articoli 13, 14, 16, 17 ecc.). Essi, cioè gli Stati membri, devono astenersi dall'introdurre nuovi dazi o dall'aumentare quelli in vigore; se ne deve concludere che l'articolo 12 non si riferisce alla prassi amministrativa, al comportamento delle autorità amministrative nazionali.

    Anche a prescindere dalla natura dei destinatari, l'articolo 12 è formulato in modo analogo ad altre disposizioni che, secondo me, si limitano certamente a creare degli obblighi a carico degli Stati membri giacchè, anche se in commi successivi, vi si fa espressa menzione di «obblighi» (si vedano ad esempio gli articoli 31 e 37).

    Si dovrebbe poi citare qui l'articolo 95, il cui primo comma stabilisce che gli Stati membri non devono applicare, né direttamente né indirettamente, ai prodotti degli altri Stati membri tributi interni, di qualsivoglia natura, superiori a quelli imposti, direttamente o indirettamente, agli analoghi prodotti nazionali, mentre il terzo comma soggiunge : «Non oltre l'inizio della seconda tappa, gli Stati membri aboliscono o modificano le disposizioni esistenti al momento dell'entrata in vigore del presente Trattato che siano contrari alle norme che precedono».

    Va inoltre osservato che nel testo dell'articolo 12 non ricorrono i termini «divieto», «vietato», «inammissibile», «privo di effetto», che invece si ritrovano in altre disposizioni del Trattato. Proprio quando una disposizione è destinata ad essere applicata direttamente, cioè da parte delle autorità amministrative degli Stati membri, non è concepibile che si rinunzi ad indicare con precisione gli effetti giuridici che si è inteso attribuirle.

    Soprattutto ci si deve però chiedere se l'articolo 12 sia atto, per il suo. contenuto, ad avere diretta applicazione. Non si può fare a meno di obiettare che, almeno in via provvisoria, la potestà normativa in materia di dogane spetta ancora in ampia misura agli Stati membri; in taluni di essi, tale potestà si concreta in vere e proprie leggi. L'applicazione diretta dell'articolo 12 implicherebbe quindi in molti casi il controllo su provvedimenti legislativi, da parte di organi amministrativi e giurisdizionali degli Stati membri.

    Se si prende in considerazione l'oggetto della disposizione, ci si rende subito conto che, contrariamente alla prima impressione, essa è di natura molto complessa. Non è possibile quindi applicarla indiscriminatamente in ogni caso.

    L'articolo 12 contempla fra l'altro le tasse di effetto equivalente ai dazi. Recentemente, in occasione di un altro giudizio, abbiamo visto a quali difficoltà dia luogo l'esatta delimitazione di questo concetto. L'articolo 12 si riferisce inoltre ai dazi o tasse di effetto equivalente applicati in un determinato momento. L'esperienza ci ha dimostrato che anche il termine «applicato» dà luogo a rilevanti difficoltà di interpretazione. Infine, l'attuale giudizio stesso ci mostra quanto sia problematico stabilire se una tariffa applicata sia stata aumentata, qualora l'asserita maggiorazione derivi da una modifica della nomenclatura doganale.

    Queste difficoltà divengono ancor più evidenti ove si consideri che, in materia doganale, gli Stati non sono obbligati soltanto ad astenersi; il Trattato li obbliga infatti ad adattare continuamente, mediante opportuni provvedimenti, le rispettive norme doganali allo sviluppo del mercato comune. Le continue modifiche dell'ordinamento doganale non rendono certo più agevole il controllo sull'osservanza di questa prescrizione complementare di stand stili contenuta nell'articolo 12.

    Stando così le cose, non riesco a rendermi conto del come la Commissione possa aspettarsi dall'applicazione diretta dell'articolo 12 una maggior certezza del diritto.

    Si deve veramente ritenere che, nella condotta dei loro affari, le imprese si basino su una determinata interpretazione ed applicazione di singole disposizioni del Trattato o non si regolino piuttosto, per essere più sicure, sulle vigenti disposizioni doganali interne?

    Benchè tutte queste considerazioni siano sufficienti a far ritenere che l'articolo 12 non può avere effetto interno diretto, non è forse superfluo aggiungere quanto segue :

    Le norme di diritto costituzionale sono diverse da uno Stato membro all'altro e soprattutto è diverso il regime dei rapporti fra norme di diritto sopranazionale o internazionale e leggi interne di data posteriore.

    Ove si ammettesse che l'articolo 12 ha efficacia interna diretta, ne conseguirebbe che solo in taluni degli Stati membri la violazione dell'articolo 12 darebbe luogo ad inefficacia ed inapplicabilità delle rispettive norme doganali. Ciò vale ad esempio per i Paesi Bassi, la cui Costituzione (articolo 66) riserva ai trattati internazionali, i quali contengano disposizioni generalmente vincolanti e direttamente applicabili, un trattamento preferenziale rispetto alle leggi interne; per il Lussemburgo (dove, senza espresse disposizioni costituzionali, la giurisprudenza è giunta in sostanza allo stesso risultato) ( 3 ) e forse per la Francia (forse, giacchè l'articolo 55 della Costituzione del 4 ottobre 1958 non è del tutto chiaro a proposito delle leggi di data posteriore e formula inoltre una riserva di reciprocità) ( 4 ).

    D'altro lato è certo che la Costituzione belga non contiene alcuna disposizione relativa ai rapporti fra trattati internazionali e norme interne. La giurisprudenza pare li consideri come situati sullo stesso piano.

    Nemmeno dalla Costituzione italiana è dato inferire che i trattati internazionali prevalgano sul diritto interno. La giurisprudenza e la dottrina predominante non riservano un trattamento preferenziale ai trattati, quanto meno in caso di conflitto con leggi di data posteriore.

    Per quanto riguarda infine il diritto costituzionale tedesco, l'articolo 24 della Legge fondamentale stabilisce che il Bund può attribuire, mediante una legge, diritti sovrani ad organizzazioni interstatuali. L'articolo 25 dispone che i principi generali del diritto internazionale vanno considerati come parte integrante del diritto federale, prevalgono sulle leggi e creano direttamente diritti ed obblighi in capo ai residenti nel territorio federale. La giurisprudenza, in contrasto con una parte della dottrina, non ritiene però di doverne concludere che i trattati internazionali prevalgono sulle leggi di data posteriore ( 5 ).

    Gli autori del Trattato erano perfettamente al corrente della situazione; mi sembra quindi improbabile che, proprio ad una norma doganale di rilevante importanza, si siano volute attribuire conseguenze — implicite nel principio della diretta applicazione interna — atte a determinare nei vari Stati membri regimi giuridici diversi fra loro e quindi incompatibili con una delle più importanti finalità del Trattato.

    Il regime giuridico non sarebbe poi uniforme nemmeno fra gli Stati la cui Costituzione stabilisce che i trattati internazionali devono prevalere sulle norme interne.

    Il Trattato non offre alcun efficace rimedio contro l'accennato inconveniente. L'articolo 177 prevede la possibilità e l'obbligo del rinvio a titolo pregiudiziale soltanto per le questioni di interpretazione, non già per quelle di incompatibilità fra diritto interno e diritto comunitario. Potrebbe quindi accadere che i giudici nazionali si astenessero dal rinvio alla Corte, non trattandosi di questioni di interpretazione, e giungessero, procedendo ciascuno per suo conto, a risultati fra loro discordanti. In questo modo si potrebbero determinare divergenze nell'applicazione del diritto non soltanto fra i giudici dei vari Stati, ma anche nell'ambito di uno stesso Stato.

    Dopo aver così preso in considerazione il sistema del Trattato, il tenore testuale, il contenuto e il contesto delle disposizioni in esame, giungo alla conclusione che l'articolo 12 va considerato alla stessa stregua delle altre disposizioni relative all'unione doganale. Per essi tutti ha importanza fondamentale l'articolo 11, nel quale si parla espressamente di «obblighi… in materia di dazi doganali», il che porta ad escludere l'effetto interno diretto nel senso della prima questione. Sono perciò d'avviso che tale questione vada risolta in senso negativo.

    III — LA QUESTIONE N. 2

    Questa mia proposta implicherebbe che la seconda questione sottopostavi in via pregiudiziale non dev'essere trattata nella sentenza che voi pronuncerete, nè quindi nelle mie conclusioni. Il giudice a quo ha espressamente formulato la seconda questione per il caso che la Corte ritenga l'articolo 12 direttamente applicabile dal giudice nazionale; ma anche a prescindere da ciò, dopo che la prima questione è stata risolta in senso negativo, la seconda questione perde qualsiasi rilevanza.

    Cionondimeno mi rendo conto del fatto che i problemi sollevati nell'attuale giudizio possono dar luogo a soluzioni notevolmente divergenti. Non intendo riferirmi con ciò soltanto alla diversità delle tesi sostenute in corso di causa, bensì anche alla disparità delle opinioni su questi problemi nella teoria e nella prassi del diritto costituzionale e di quello internazionale. Per questi motivi, esaminerò in via subordinata la seconda questione, partendo dall'ipotesi che la Corte abbia dichiarato l'articolo 12 vincolante per i giudici nazionali.

    Sulla seconda questione hanno presentato osservazioni il Governo olandese, il Governo belga, la Commissione C.E.E. e la ricorrente nella causa principale.

    1. Sull'ammissibilità

    Come per la prima questione, vanno esaminate in primo luogo le eccezioni di inammissibilità, sollevate dal Governo belga e dal Governo olandese. Essi hanno sostenuto in sostanza :

    1

    . che la seconda questione è inammissibile in quanto verterebbe non già sull'interpretazione, ma sull'applicazione del Trattato;

    2.

    che la seconda questione tenderebbe ad eludere il disposto degli articoli 169 e 170 del Trattato; i singoli non potrebbero criticare indirettamente il comportamento degli Stati membri; sarebbe inammissibile valersi dell'articolo 177 per impugnare davanti alla Corte un'asserita violazione del Trattato.

    Ad. 1)

    Leggendo la seconda questione non ci si può sottrarre all'impressione che in realtà è stato chiesto alla Corte di applicare il Trattato.

    L'articolo 177 del Trattato, — per quanto ci riguarda qui — parla solo di interpretazione del Trattato. Per interpretazione s'intende in via generale la spiegazione del significato di una disposizione, nel caso che il tenore testuale non ne sia chiaro. Cosa completamente distinta è l'applicazione di una disposizione al caso concreto, la sussunzione del caso di specie sotto una determinata norma ed il conseguente giudizio sul caso stesso. I limiti fra interpretazione ed applicazione sono talvolta difficili da tracciare, soprattutto quando oggetto dell'interpretazione è solo un aspetto particolare e quando il problema interpretativo viene illustrato dal giudice a quo mediante l'esposizione del caso di specie (e ciò anche se quest'ultima circostanza potrebbe sembrare atta a facilitare il compito della Corte). Non vorrei nondimeno affermare che nel caso in esame la domanda del giudice a quo sia diretta ad ottenere dalla Corte un controllo circa l'applicazione del Trattato. Si potrebbe ricordare qui il primo giudizio di rinvio a titolo pregiudiziale (causa 13-61) nel quale la Corte ha affermato che il giudice nazionale può formulare le questioni oggetto del rinvio in modo semplice e diretto (Racc. VIII, pagina 100).

    La Corte può evincere dal contenuto generale del provvedimento di rinvio la reale portata delle questioni sottopostele e risolverle da un punto di vista generale, senza uscire dai limiti della sua competenza. Io non supererò comunque questi limiti, nè mi pronunzierò sulla difetta applicazione al caso concreto. A tale scopo non è necessario procedere all'esame dei fatti; a differenza di quanto sostiene il Governo olandese, però, tale esame non si potrebbe escludere nemmeno in un giudizio di rinvio a titolo pregiudiziale (cfr. articolo 103, paragrafo 2, del Regolamento di procedura, il quale si richiama agli articoli 44 e segg. dello stesso Regolamento). Non vi è quindi dubbio che la seconda questione non è assolutamente inammissibile.

    Ad 2)

    Circa le obiezioni relative al rapporto fra l'attuale giudizio ed il procedimento di cui agli articoli 169 e 170 ed altresì al pericolo che detti articoli vengano elusi, va rilevato quanto segue :

    L'articolo 169 riguarda la dichiarazione giudiziale delle violazioni del Trattato commesse da Stati membri. Questa dichiarazione può essere chiesta dalla Commissione, qualora lo Stato membro non si sia uniformato al parere della Commissione stessa. L'articolo 170 contempla un procedimento analogo, promosso da un altro Stato membro, in determinati casi, senza previo parere della Commissione.

    Nel caso nostro la Corte di Giustizia, ove intenda pronunciarsi sulla seconda questione senza esorbitare dalla sua competenza, deve limitarsi ad interpretare in via generale l'articolo 12, lasciando al giudice nazionale il compito di trarne le dovute conseguenze. Tanto nel dispositivo, quanto nella motivazione dell'emananda sentenza, non vi deve essere traccia di apprezzamenti circa il modo di comportarsi di uno Stato membro o circa il problema se tale comportamento sia o meno in contrasto col Trattato. La Corte non è quindi affatto chiamata a esprimere un giudizio che le sarebbe consentito di manifestare soltanto in caso di applicazione degli articoli 169 e 170.

    Se si volesse sostenere che gli articoli 169 e 170 precludono inoltre ai giudici nazionali di dichiarare che determinati provvedimenti dello Stato membro al quale essi appartengono sono privi di efficacia, in quanto in contrasto con le disposizioni del Trattato, ciò significherebbe negare che il Trattato contenga norme direttamente applicabili dai giudici stessi. L'applicabilità diretta implica infatti che le norme che possiedono tale requisito spieghino i loro effetti in ogni caso, cioè anche in caso di conflitto con le norme interne. Non si può più parlare di applicabilità diretta qualora sia necessario il previo intervento di questa Corte.

    Gli articoli 169 e 170 — e questa è la soluzione che s'impone — riguardano in primo luogo i casi in cui una norma del Trattato non è direttamente applicabile, bensì crea soltanto un obbligo per gli Stati. In tal caso è logico un procedimento coattivo, cioè un procedimento diretto ad ottenere una modifica della situazione giuridica, non già nell'ipotesi di un conflitto fra due norme nel quale il diritto comunitario, essendo direttamente applicabile, sia automaticamente destinato ad essere applicato dai giudici nazionali, a preferenza del diritto interno.

    Posto che la seconda questione è stata sollevata unicamente per il caso che la prima fosse stata risolta in senso positivo, cioè per il caso che l'articolo 12 fosse stato dichiarato direttamente efficace negli ordinamenti interni, la sua presa in considerazione da parte di questa Corte non può essere equiparata ad una illecita elusione dell'articolo 169.

    Non vedo altre questioni di ammissibilità; passo quindi senz'altro a esaminare il merito della seconda questione.

    2. Indagine sulla seconda questione

    In relazione a quanto detto circa l'ammissibilità, dovrò tener conto unicamente dei problemi di interpretazione.

    Nella specie, ciò significa che la Corte dovrà definire i criteri atti a stabilire se vi sia stato un aumento dei dazi ai sensi dell'articolo 12. In base al tenore testuale di detto articolo, hanno particolare rilievo, ai fini del procedimento principale, le nozioni di «dazio applicato» e «aumentare un dazio».

    Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione ha cercato di esporre in modo ordinato i numerosi aspetti particolari della seconda questione.

    Per quanto riguarda il divieto di aumentare i dazi d'importazione, i problemi particolari sono i seguenti :

    1)

    Se il divieto valga per ciascuna merce ovvero si riferisca al livello generale dei dazi d'importazione.

    2)

    Se il divieto abbia valore assoluto ovvero ammetta delle eccezioni, da determinarsi in base allo spirito dello stesso articolo 12 ovvero con riguardo ad altre disposizioni del Trattato.

    Per quanto riguarda la nozione di «dazio applicato», si devono del pari distinguere taluni quesiti particolari :

    1)

    Se abbiano rilevanza i dazi applicati in pratica dagli uffici doganali.

    2)

    Se si debba tener conto di una prassi doganale determinatasi in seguito ad erronee dichiarazioni in dogana.

    3)

    Quale valore si debba attribuire, nel giudizio circa la prassi doganale, alle decisioni della Tariefcommissie.

    4)

    Se si debba tener conto della prassi doganale olandese ovvero di quella dei Paesi del Benelux nel loro complesso.

    Circa il primo gruppo di problemi, la Commissione ha posto anzitutto in rilievo che il divieto dell'articolo 12 vale per le singole merci, il che del resto non è stato posto in dubbio da alcuno. Nel Trattato non vi è nulla che autorizzi a ritenere il contrario; particolarmente importante è l'uso del plurale (dazi). Anche le restanti disposizioni in materia doganale contenute in questo capitolo mostrano che si è inteso riferirle alle singole merci (articolo 14) tutte le volte che non si parla espressamente del complesso dei dazi (gettito totale dei dazi doganali) (articolo 14).

    È inoltre innegabile che l'articolo 12 ha valore assoluto, cioè non ammette eccezioni. La sua funzione in materia di dazi corrisponde a quella dell'articolo 31 nel campo delle restrizioni quantitative. Nella causa 7-61 la Corte si è pronunziata sull'articolo 31, ponendone in rilievo il carattere assoluto, inderogabile.

    Da questa circostanza la Commissione ha tratto — a mio avviso, giustamente — la conclusione che nemmeno le difficoltà cui può eventualmente dar luogo la trasposizione della nomenclatura doganale autorizzino in linea di principio a derogare al divieto dell'articolo 12. La Commissione rileva che gli Stati membri avevano avuto occasione di occuparsi del problema della trasposizione delle tariffe doganali nella nomenclatura di Bruxelles, già prima di stipulare il Trattato. Essi ne conoscevano quindi le difficoltà; se cionondimeno hanno omesso di formulare riserve in tal senso nell'articolo 12, non si può fare a meno di concluderne che l'articolo stesso ha valore assoluto.

    Come risulta dal testo della Convenzione di Bruxelles relativa all'unificazione della nomenclatura doganale (del 15-12-50), le Alte Parti contraenti hanno la possibilità di introdurre, nelle singole voci della tariffa, sottovoci, per determinate merci, che permettano di conservare le differenze fino a quel momento esistenti fra i vari dazi doganali. L'applicazione della nomenclatura di Bruxelles non obbliga quindi affatto a ridurre determinati dazi.

    Gli Stati membri della C.E.E. possono inoltre ovviare a certe difficoltà inerenti alla trasposizione della nomenclatura, diminuendo per determinate posizioni i dazi intracomunitari al di sotto di quanto prescritto dal Trattato, ed in tal modo evitare di contravvenire all'articolo 12.

    Se si volesse poi sostenere che in numerosi casi ci si troverebbe nondimeno di fronte a difficoltà insuperabili, non mi sembra che le generiche e poco documentate affermazioni del Governo olandese e del Governo belga siano atte a suffragare tale assunto. Dette affermazioni perdono inoltre parte del loro valore se si tiene conto delle dichiarazioni fatte dal Segretario di Stato olandese alle Finanze in occasione delle discussioni parlamentari sul Protocollo di Bruxelles ( 6 ), dalle quali emerge che, già ai tempi della legge doganale del 1947, erano sorte difficoltà tecniche inerenti all'esatta determinazione della composizione della merce e delle sue possibilità d'impiego. Se ne potrebbe trarre l'impressione che, nell'applicare il Protocollo di Bruxelles, l'elemento decisivo non furono le difficoltà inerenti alla trasposizione della tariffa.

    In ultima analisi, non è però necessario risolvere tali questioni di fatto. Mi limiterò a constatare che, almeno per quanto riguarda il caso in esame, non è dato ravvisare alcuna possibilità di derogare, col pretesto della trasposizione della nomenclatura doganale, al divieto assoluto dell'articolo 12.

    Nemmeno l'articolo 233 — il quale stabilisce espressamente che il Trattato non osta all'esistenza e al perfezionamento delle unioni regionali fra il Belgio e il Lussemburgo, come pure fra il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi — contiene alcuna attenuazione dell'obbligo di stand stili di cui all'articolo 12. Come risulta dall'inciso «nella misura in cui gli obiettivi di tali unioni regionali non sono raggiunti applicando il presente Trattato», lo scopo principale della disposizione consiste nel consentire ai paesi del Benelux di accelerare e rendere più completa, indipendentemente dal Trattato, l'integrazione regionale. Questa non può però giustificare l'elusione dei principi fondamentali del Trattato, principi che vincolano nella stessa misura tutti gli Stati membri e che è possibile osservare senza compromettere le finalità dell'unione regionale la quale, già prima dell'entrata in vigore del Trattato C.E.E., aveva adottato una tariffa esterna comune.

    Il secondo gruppo di problemi è imperniato sulla nozione di «dazio applicato».

    Anche qui ci si può richiamare anzitutto ad una decisione della Corte. Nella sentenza 10-61 è detto che, agli effetti dell'articolo 12 come pure dell'articolo 14, si deve avere riguardo al dazio in realtà applicato, non già a quello legalmente applicabile. Questa pronunzia si basa sulla constatazione che sarebbe malagevole per la Corte controllare la legittimità della prassi doganale vigente, ed altresì sulla circostanza che il Trattato, come l'articolo 19 mostra, fa correntemente la distinzione tra «dazio effettivamente applicato» e «dazio legalmente applicabile».

    Non vedo alcun motivo per porre in discussione il principio contenuto in detta sentenza. Nell'attuale giudizio sono però emersi altri particolari aspetti del problema che meritano di essere presi in considerazione.

    Si è sostenuto che, in taluni casi, a merci del genere di quella di cui trattasi nel provvedimento impugnato è stato applicato il dazio del 3 %, in conseguenza di erronee dichiarazioni doganali. Questi casi non danno luogo ad alcuna difficoltà; mi sembra evidente che non se ne deve tenere alcun conto — nemmeno col pretesto di volersi basare sul dazio effettivamente applicato, anzichè su quello legale — giacchè il principio secondo il quale è decisiva la prassi doganale non può essere invocato a favore di coloro il cui comportamento ha causato l'errata applicazione della tariffa. Le dichiarazioni doganali erronee non possono quindi in alcun caso contribuire allo stabilirsi di una prassi rilevante agli effetti del Trattato.

    È stata prospettata inoltre la questione del valore che si deve attribuire alle decisioni della Tariefcommissie — adottate prima dell'entrata in vigore del Trattato — le quali hanno dichiarato applicabile alle merci in esame il dazio del 3 % anzichè quello del 10 %, il che implica che la prassi seguita dall'Amministrazione fiscale olandese era illegittima. Onde chiarire il problema, la Corte ha chiesto ai partecipanti alla discussione orale spiegazioni scritte su questo punto. Non avendovi trovato nulla da eccepire, credo di potermene liberamente valere. Il quadro che se ne ricava è il seguente :

    Secondo la ricorrente nella causa principale, fino al settembre 1956 l'importazione di ureoformaldeide pura (cioè della merce di cui trattasi) è stata colpita dal dazio del 3 %. A partire da tale data, le dogane hanno riscosso sulla stessa merce il dazio del 10 %. La prima volta che la prassi doganale fu modificata, la ricorrente introdusse un ricorso il quale diede luogo, il 6 maggio 1958, alla sopramenzionata decisione della Tariefcommissie. La decisione ebbe come conseguenza la restituzione, per le importazioni successive al settembre 1956, della differenza fra il dazio del 10 % e quello del 3 % ; fino al settembre 1959 il dazio applicato fu del 3 %. A questo punto si ebbe una nuova modifica della prassi doganale (applicazione del dazio del 10 %) la quale fu del pari impugnata. Il 2 maggio 1960, la Tariefcommissie emise una nuova decisione di contenuto uguale a quella del 6 maggio 1958. Per le importazioni effettuate fra il settembre 1959 e il 1o marzo 1960 (entrata in vigore della nuova tariffa doganale), si procedette a una nuova restituzione di quanto riscosso in più.

    Se tutte queste affermazioni rispondono al vero — nè vi è ragione di dubitarne — si deve ritenere che alle importazioni di ureoformaldeide effettuate dalla ricorrente (a suo dire, la massima importatrice di questa merce nei Paesi Bassi) è stato transitoriamente applicato il dazio effettivo del 10 %, ma che, in seguito alle decisioni della Tariefcommissie, il dazio in pratica applicato fino al 1o marzo 1960 è stato del 3 %.

    Si deve ora stabilire se la Corte, applicando in modo adeguato i principi da essa posti nella sentenza 10-61, debba tener conto soltanto della prassi doganale seguita fino al 1o gennaio 1958. A mio avviso, ciò non è possibile; non si deve infatti perdere di vista che il rilievo dato alla prassi doganale va posto in primo luogo in relazione col desiderio della Corte di evitare il controllo sulla legittimità della prassi stessa.

    Nel nostro caso un giudice nazionale ha risolto la questione, e ciò poco tempo dopo l'entrata in vigore del Trattato. Questo è avvenuto in occasione di un ricorso proposto parecchi mesi prima dell'entrata in vigore del Trattato, il quale ha avuto come risultato definitivo la modifica, con effetto retroattivo fin oltre il 1o gennaio 1958, della prassi doganale a favore degli operatori economici interessati.

    Ciò pone in rilievo una differenza che non può essere trascurata. Scopo essenziale dell'obbligo di stand stili di cui all'articolo 12 è d'impedire che siano ostacolati gli scambi fra Stati membri. Vi si fa riferimento al dazio applicato, giacchè gli uomini d'affari sogliono basarsi sulla prassi dell'Amministrazione. Nel nostro caso la prassi doganale è stata a lungo controversa; la lite è stata però decisa a favore degli importatori. La modifica della prassi per adattarla alla situazione giuridica non ha potuto quindi ostacolare, in linea di principio, l'andamento degli affari.

    Se perciò nell'applicare l'articolo 12 si tiene conto di una modifica con effetto retroattivo della prassi doganale, modifica intervenuta poco dopo l'entrata in vigore del Trattato in seguito ad una decisione giudiziaria, ciò non significa violare l'obbligo di stand stili, bensì attenersi alle finalità generali del Trattato.

    Infine è stata ancora sollevata la questione di quale prassi doganale si debba tener conto: quella seguita nei Paesi Bassi ovvero quella prevalente, al 1o gennaio 1958, nei paesi del Benelux nel loro complesso. Per risolvere tale questione non ha, a mio avviso, alcuna importanza stabilire se nell'unione doganale fra i paesi del Benelux esistesse un mezzo atto a garantire una prassi doganale uniforme per quanto riguarda la tariffa esterna comune. Del pari irrilevanti sono le questioni se, al di fuori dei Paesi Bassi, nei paesi del Benelux si fosse stabilita per la merce di cui trattasi una prassi e, in caso affermativo, se questa fosse diversa ovvero se le importazioni fossero rimaste limitate ai Paesi Bassi. Ritengo infatti che non vi possa essere alcuna incertezza. A differenza dell'articolo 19, il quale parla di quattro territori doganali, cioè si riferisce al territorio del Benelux, nell'articolo 12 si fa menzione degli Stati membri. Dobbiamo concluderne che agli effetti dell'articolo 12, il quale pone l'accento sulla prassi doganale, non già sulla situazione giuridica, quella che conta è la situazione in ciascuno Stato membro. Nei confronti degli altri Stati e degli organi della Comunità, ciascuno Stato membro è responsabile dell'adempimento del Trattato.

    A mio parere la Corte, adita a norma dell'articolo 177, non può spingersi, per quanto riguarda la seconda questione, oltre queste direttive d'interpretazione. Esse sono però sufficienti per consentire al giudice olandese — sempreché esso debba applicare direttamente l'articolo 12 — la corretta applicazione del Trattato al caso di cui trattasi.

    Riassumendo, a proposito della seconda questione va detto quanto segue :

    L'articolo 12 ha valore assoluto e si applica a ciascuna merce; non sono ammesse eccezioni nè in considerazione delle difficoltà inerenti alla trasposizione della nomenclatura, nè a favore di accordi regionali nell'ambito della Comunità. Per stabilire se l'introduzione di una nuova tariffa doganale abbia provocato aumenti di dazi, si deve aver riguardo al dazio effettivamente applicato per ciascuna merce al 1o gennaio 1958. La prassi doganale va accertata senza tener conto dei casi di erronea dichiarazione in dogana. Va invece presa in considerazione la modifica della prassi doganale intervenuta nei Paesi Bassi poco tempo dopo l'entrata in vigore del Trattato, in seguito alla decisione di un giudice amministrativo. Va infine ritenuta decisiva la prassi doganale seguita in ciascuno Stato membro.

    IV — CONCLUSIONI FINALI

    Propongo alla Corte di prendere in considerazione soltanto la prima questione e di dichiarare che l'articolo 12 crea soltanto un obbligo a carico degli Stati membri.


    ( 1 ) Entrata in vigore nell'anno 1948 nei tre paesi del Benelux, in conformità alla Convenzione doganale del 5 settembre 1944.

    ( 2 ) Stabilita con la Convenzione sulla nomenclatura per la classificazione delle merci nelle tariffe doganali, del 15 dicembre 1950.

    ( 3 ) Pescatore : L'autorité en droit interne des traités internationaux. Pasicrisie Luxembourgeoise, 1962, p. 99 e segg.

    ( 4 ) «Les traités ou accords régulièrement ratifiés ou approuvés ont, dès leur publication, une autorité supérieure à celle des lois, sous réserve, pour chaque accord ou traité, de son application par l'autre partie».

    ( 5 ) Gerhard Bebr : The Relationship between Community Law and the Law of the Member States; (Restrictive Practices, Patents, Trade Marks and Unfair Competition in the Common Market).

    ( 6 ) Allegato IV della domanda.

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