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Document 61962CC0025

Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 28 maggio 1963.
Plaumann & Co. contro Commissione della Comunità economica europea.
Causa 25-62.

edizione speciale inglese 1963 00197

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1963:7

Conclusioni dell'avvocato generale

KARL ROEMER

28 maggio 1963

Traduzione dal tedesco

SOMMARIO

Pagina,
 

Introduzione (antefatti, conclusioni delle parti, svolgimento del procedimento)

 

I — Sulla ricevibilità

 

1. La domanda di annullamento

 

a) Se le decisioni prese nei confronti di Stati membri possano essere impugnate da privati interessati

 

b) Se il diritto di impugnazione sussista solo quando una decisione è apparentemente diretta ad un'altra persona

 

c) Se la decisione impugnata rientri nel campo degli atti normativi

 

d) Se la ricorrente sia direttamente interessata

 

e) Se la ricorrente sia individualmente interessata

 

f) Riassunto

 

2. La domanda di risarcimento danni

 

a) Se vi sia un'inammissibile modificazione delle, conclusioni

 

b) Se l'azione di danni possa essere proposta contemporaneamente a quella di annullamento

 

c) Se i motivi della domanda siano stati adeguatamente esposti

 

II — Sulla fondatezza (ricorso per la responsabilità amministrativa)

 

1. Il comportamento della Repubblica federale di Germania

 

2. Se sia stata dimostrata la sussistenza di un danno specifico

 

3. Se la ricorrente abbia dimostrato che vi è violazione di una norma che mira alla tutela dei suoi interessi

 

III — Riassunto e conclusioni

Signor Presidente, signori giudici,

La ricorrente, che è una società in nome collettivo tedesca la quale importa frutta dal Sud, ha impugnato avanti alla Corte, con atto del 27 luglio 1962, una decisione della Commissione della C.E.E. in materia doganale.

Come risulta dal verbale, il Governo della Repubblica federale aveva presentato il 16 giugno 1961 alla Commissione una richiesta scritta per ottenere l'autorizzazione a sospendere parzialmente la tariffa doganale esterna comune per le clementine fresche. Tale domanda era stata poi modificata verbalmente allo scopo di ottenere la creazione di una «sottovoce per le clementine» (dazio 10 %).

La Commissione, però, respingeva la richiesta con lettera del 22 maggio 1962; e tale decisione ha dato origine al presente procedimento nel quale si rilevano due distinti obiettivi :

La ricorrente aveva dapprima chiesto l'annullamento della decisione impugnata.

Nella sua seconda memoria invece, d'accordo con la Commissione, essa dichiarava prive di oggetto alcune ulteriori richieste connesse alla suddetta domanda che erano intese :

a far dichiarare che la convenuta era tenuta ad autorizzare la Repubblica federale a sospendere l'applicazione della tariffa doganale per le clementine dal 1o gennaio al 31 dicembre 1962,

ovvero che era tenuta a riesaminare senza ritardo, informandosi ai dettami della Corte sulla interpretazione del Trattato in tema di sospensione della tariffa doganale, la richiesta della Repubblica federale del 16 giugno 1961 relativa alla parziale sospensione della tariffa doganale esterna comune per le clementine;

in via subordinata, a far dichiarare che la Commissione era tenuta a concedere alla Repubblica federale, per le sue importazioni di clementine da paesi terzi, un contingente tariffario fino a 11.000 tonnellate al dazio del 10 %.

D'altro lato la ricorrente ha chiesto anche che la Commissione sia condannata a risarcire i danni nella somma di 39.414,01 DM. Questa domanda sostituisce quella originariamente avanzata nel ricorso introduttivo e tendente a far accertare il diritto al risarcimento; essa è stata proposta per la prima volt a nella memoria del. 18 gennaio 1963, nella quale il danno fu precisato nella cifra di 43.265,30 DM. Nell'udienza del 2 maggio 1963 la ricorrente riduceva la domanda nella misura ricordata e manteneva contemporaneamente, in via sussidiaria, la richiesta di accertamento originariamente avanzata.

La Commissione ha concluso per il rigetto del ricorso in quanto del tutto irricevibile e, in ogni caso, infondato.

Inoltre, sempre sotto il profilo processuale, si deve ricordare che la ricorrente, d'accordo con la Commissione, ha ritirato una domanda di chiamata in causa della Repubblica federale di Germania. A prescindere da due richieste per l'adozione di misure provvisorie (dell'8 agosto 1962 e del 4 dicembre 1962), entrambe rigettate con ordinanze del Presidente della Corte (del 31 agosto 1962 e del 21 dicembre 1962), il procedimento presenta là particolarità della richiesta rivolta dalla Commissione alla Corte, affinché quest'ultima, a norma dell'articolo 91 del suo Regolamento di procedura, volesse decidere in via preliminare la questione della ricevibilità del ricorso. Dopo che la ricorrente ebbe concluso nel senso del rigetto di tale domanda e, in via subordinata, che la questione della ricevibilità fosse riservata alla sentenza finale, la Corte, il 24 ottobre 1962, adottò quest'ultima soluzione.

Accingendomi a presentare le mie conclusioni nella presente controversia, è naturale che, come suggerisce lo stesso svolgimento del procedimento, ponga in primo piano i problemi della ricevibilità, sia per quanto riguarda la domanda di annullamento, sia perquanto riguarda la pretesa di risarcimento del danno. Tali questioni -presentano in ogni sistema processuale, e quindi anche nell'ambito dei Trattati europei, un'importanza così grande da imporre il loro esame d'ufficio, indipendentemente dall'iniziativa delle parti. La loro soluzione, infatti, contribuisce in maniera essenziale a delimitare i mezzi di tutela concessi ai privati dal Trattato.

I — Sulla ricevibilità

1. LA DOMANDA DI ANNULLAMENTO

Il ricorso si fonda sull'articolo 173, comma 2, del Trattato C.E.E., che dice :

«qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle stesse condizioni (cioè quelle del 1o comma), un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che, pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altro persone, la riguardino direttamente e individualmente».

La Commissione ha analizzato accuratamente i diversi presupposti di questa norma, sia per iscritto sia oralmente, ed ha concluso che la ricorrente non è legittimata ad agire.

a)

Essa prospetta in primo luogo la questione se l'espressione «altre persone» contenuta nell'articolo 173, comma 2, indichi anche gli Stati membri o solamente i destinatari privati di una decisione. A mio parere non c'è alcun motivo per interpretare l'espressione citata in senso restrittivo.

Anche gli Stati membri sono persone, cioè persone giuridiche di diritto pubblico, e come tali sono compresi nell'amplissima dizione dell'articolo 173, comma 2. A questo proposito vorrei ricordare la norma dell'articolo 34 dello Statuto C.E.C.A. che disciplina il diritto di intervento. In esso con la formula «persone fisiche e giuridiche» si comprendono tutti gli interessati inclusi gli Stati membri. Similmente nell'articolo 39 dello Statuto C.E.E. sono indicati come legittimati alla opposizione di terzo gli Stati membri, le istituzioni della Comunità e «ogni altra persona fìsica o giuridica». Si può inoltre ricordare che in altre norme dei Trattati l'adozione per gli Stati membri di una disciplina particolare è fatta in modo esplicito, quando si vuole una deroga alle norme generali; così e, ad esempio, per l'articolo 41 dello Statuto C.E.C.A. o per l'articolo 37 dello Statuto C.E. E. A questo proposito si deve infine ricordare che per le direttive, cioè per atti che prescrivono in maniera vincolante a uno Stato membro un certo fine, ma lasciano agli organismi interni dello Stato la scelta delle forme e dei mezzi, espressamente non fu previsto un diritto di ricorso a favore dei privati.

Dall'omessa distinzione dell'articolo 173, comma 2, si deve perciò dedurre, in primo luogo, che. le decisioni dirette a Stati membri non sono in linea di principio sottratte all'impugnazione da parte, dei privati. Né è possibile ravvisare ragioni di fatto in favore di una tale limitazione. Nemmeno la circostanza che in una decisione presa nei confronti di Stati membri possono entrare in gioco interessi diversi da quelli dei privati può indurre a siffatta soluzione. A parte il fatto che in casi concreti, come quelli in cui venga affidato a uno Stato membro di regolare certe situazioni, interessi particolari di persone private possono avere preminente rilevanza: l'intrecciarsi di tali interessi con interessi pubblici generali è un fenomeno frequente nel processo amministrativo e nella giurisdizione costituzionale. E nulla resterebbe del diritto di ricorso dei privati; se questo fosse limitato ai casi nei quali gli interessi-pubblici hanno valore secondario.

Oltre a ciò bisognerebbe chiedersi perché l'interesse pubblico degli Stati membri richieda un trattamento particolare e non lo richieda invece quello di altri soggetti di diritto pubblico (Stati membri di uno Stato federale, Comuni). Anch'essi possono essere dei destinatari a norma dell'articolo 173, comma 2. Ma per tali decisioni la Commissione non sembra ritenere necessaria una limitazione del diritto di ricorso.

Infine, l'argomento di una possibile tutela giurisdizionale ottenibile eventualmente ad iniziativa degli Stati membri non può portare a diversa opinione; il presente caso ci mostra infatti come tale sistema sia irrealizzabile, allorché i privati non hanno alcun mezzo per costringere il rispettivo Stato a promuovere un procedimento giudiziario. Similmente al Trattato C.E.C.A., che in questa materia non presenta alcun particolare sistema sul piano giuridico e per il quale esiste una sicura giurisprudenza (v. le sentenze sulle tariffe speciali nazionali in materia di trasporti) ( 1 ) il Trattato C.E.E. non limita in linea di principio il diritto dei privati di impugnare le decisioni emanate nei confronti di Stati membri.

b)

In secondo luogo la Commissione prospetta il dubbio se l'espressione «decisione presa nei confronti di altra persona» non debba interpretarsi come la parte della frase «decisioni che, pur apparendo come regolamenti…», dal che discenderebbe che il diritto di ricorrere sussisterebbe soltanto ove la decisione impugnata fosse stata adottata solo apparentemente nei confronti della Repubblica federale.

Per parte mia ritengo questa opinione errata. Se i Trattati di Roma, per quanto riguarda il diritto di ricorrere dei privati, si basano anzitutto sulla distinzione tra decisioni e regolamenti ed escludono in linea di principio l'impugnazione dei regolamenti, è logico consentire l'esame della vera natura giuridica di un atto e conseguentemente ammettere il ricorso contro di esso, qualora del regolamento ci sia solo la forma esteriore e non il contenuto sostanziale. Adottare il medesimo criterio per i destinatari delle decisioni, cioè d'una categoria di atti indubbiamente individuali, significherebbe attribuire ai redattori del Trattato l'intento di restringere oltremodo il diritto di ricorrere. Tale diritto spetterebbe, secondo questa opinione, solo al destinatario di un atto amministrativo, e ogni altro interessato dovrebbe dimostrare che in realtà l'atto lo riguarda personalmente e che colui che vi figura come destinatario ne è solo il destinatario apparente.

Ove si applichi tale tesi all'ipotesi di atti amministrativi favorevoli per alcuni e, nel contempo, onerosi per altri, o, per esempio, ad approvazioni di convenzioni tra imprese, ossia a casi nei quali, secondo la prassi amministrativa corrente, spesso l'atto non è indirizzato a tutte le persone cui, secondo i principi generali, deve riconoscersi un interesse rilevante, non potrà disconoscersi che è una tesi insostenibile. Sono quindi persuaso che tale limitazione del diritto di ricorrere non può essere stata voluta e pertanto credo giusto di non prenderla in considerazione.

c)

La Commissione sostiene, inoltre, che la decisione impugnata apparterrebbe in realtà al campo legislativo. Si tratterebbe, secondo la sua opinione, della concessione e del rifiuto di un'autorizzazione a modificare norme giuridiche nazionali, poiché in base al diritto tedesco una sospensione della tariffa doganale si può realizzare solo attraverso la modificazione dei dazi doganali stabiliti per legge. Di conseguenza il diritto di ricorrere dei privati dovrebbe escludersi come viene escluso nei confronti dei regolamenti.

Non intendo negare che questa argomentazione mi appare seducente perché mi ricorda la tesi che ho sostenuto nella causa 18-57, in cui si discuteva sulla approvazione di una disciplina commerciale sotto il profilo delle norme sui cartelli. Ritenni allora che nella qualificazione dell'atto giuridico fosse esatto considerare gli effetti prodotti sui compratori interessati dalla disciplina commerciale, e ne ricavai che si trattava di una decisione generale. La Corte non seguì il mio orientamento, in quanto ritenne decisiva la circostanza che la decisione dell'Alta Autorità si riferiva a concrete delibere di singole imprese ( 2 ) A suo avviso, nei confronti delle imprese richièdenti, si doveva perciò parlare di decisione individuale; tale decisione non poteva quindi essere nel contempo una decisione generale, nei confronti dei terzi.

L'orientamento della Corte è emerso ancora più chiaramente in altre cause. Ricordo quella concernente il premio ai minatori introdotto da un raggruppamento di imprese tedesche.

Benché la Corte avesse sottolineato che in una controversia fondata sull'articolo 35 del Trattato C.E.C.A. il silenzio-rifiuto dell'Alta Autorità dev'essere qualificato allo stesso modo della decisione ad essa richiesta ( 3 ), e benché le fosse stato chiesto di adottare nei confronti di uno Stato membro una decisione in virtù dell'articolo 88 del Trattato, ciò che portava alla modifica di una legge nazionale, la Corte ritenne che oggetto della causa fosse una decisione individuale, in quanto si trattava di giudicare d'un provvedimento particolare preso da un determinato Stato membro, e così il ricorso fu ritenuto ricevibile.

Io credo che la citata giurisprudenza deve valere anche per i Trattati di Roma, poiché sotto questo profilo non si scorge alcuna differenza nel sistema dei Trattati. Se per il Trattato C.E.C.A., nella delimitazione del diritto di ricorrere, ha rilievo la distinzione tra decisione generale e decisione individuale, in base ai Trattati di Roma è essenziale quella tra regolamenti e decisioni, entrambi definiti dall'articolo 189. Se però il carattere giuridico di un atto ha importanza fondamentale nel quadro dell'indagine, se cioè ha rilievo la sua validità giuridica e il suo carattere obbligatorio, e non i suoi ulteriori effetti giuridici (i quali ultimi possono entrare in gioco per il problema dell'interesse), la Corte, alla stregua della sua precedente giurisprudenza, non potrà fare a meno di considerare la decisione della Commissione come un atto individuale che si rivolge a un determinato soggetto (uno Stato membro) ed il cui contenuto è di regolare un rapporto giuridico individuale, una questione determinata e individuale ora controversa. In questo orientamento la Corte può essere confortata dalla considerazione che nel diritto amministrativo tedesco fatti analoghi, come l'approvazione di Statuti comunali da parte degli organi tutori, sono considerati del pari come atti individuali impugnabili.

Non rimane quindi alcuna possibilità di negare, nel caso di specie, il diritto di ricorrere richiamandosi al carattere di norma giuridica della decisione impugnata.

d)

Per la ricevibilità dei ricorsi d'annullamento il Trattato richiede un interesse diretto. La ricorrente ritiene che tale presupposto sussista per il fatto che la, decisione avrebbe per essa un «importanza unica». Per la ricorrente la qualificazione «diretto» dipende dunque dall'intensità dell'interesse. A mio parere, tuttavia, il criterio in questione non è esattamente individuabile in tal modo. Esso dev'essere enucleato in maniera autonoma dal sistema del Trattato e dalla struttura dell'ordinamento comunitario.

Caratteristica essenziale della Comunità è, se si vuole, la sua struttura federale, cioè il fatto che, al di sopra degli organi statali, le istituzioni comunitarie dispongono di poteri che in parte agiscono nella sfera degli Stati membri, e in parte sono tuttavia limitati e, per la realizzazione di certe esigenze, necessitano della collaborazione degli Stati membri. Nella costruzione del sistema di tutela giurisdizionale si deve tener conto di tale struttura al fine di determinare il critèrio di interesse diretto. Esso configura pertanto una concretizzazione dell'interesse ad agire che per molti ordinamenti giuridici è stabilito, con formula generale, come presupposto dell'azione.

Sotto questo profilo la Commissione è nel giusto quando afferma che non c'è interesse diretto là ove una decisione degli Esecutivi comunitari crea un'autorizzazione o un obbligo per uno Stato membro. In tale caso l'atto della Commissione è seguito ancora da un atto dello Stato membro interessato, e solo quest'ultimo produce effetti diretti per i singoli.

Questo rapporto risulta chiaro soprattutto nelle autorizzazioni: solo dopo che lo Stato membro si è valso dell'autorizzazione, com'è nel suo potere discrezionale, si producono effetti giuridici per gli individui. Nella catena dei diversi atti, la decisione dello Stato membro è, dunque, un anello essenziale che si colloca tra la decisione della Commissione e l'effetto giuridico concreto rispetto al, singolo.

Si prospetta senza dubbio il quesito se la situazione vada diversamente giudicata quando l'autorizzazione sia negata, poiché in quest'ultimo caso resta in vigore la precedènte disciplina di cui appunto si chiedeva la modifica, e non c'è bisogno di un atto ulteriore.

A mio parere, questo fatto non può indurre a diversa soluzione. Non è infatti possibile trascurare la circostanza che anche in questo caso siamo nell'ambito del potere discrezionale dello Stato, in quanto dipende dalle sue decisioni perseguire lo scopo originario con altri mezzi giuridici, o assoggettarsi alla decisione della Commissione, la cui motivazione potrebbe appagarlo. Si deve inoltre. considerare che, anche se un cittadino di uno Stato riuscisse a far annullare la decisione della Commissione e ad ottenerne una decisione positiva, la realizzazione di quest'ultima dipenderebbe sempre dall'esercizio del potere discrezionale dello Stato e questo ultimo, a causa della mutata situazione di fatto o delle nuove direttive politiche intervenute nel frattempo, non ne farebbe necessariamente uso come al momento in cui la domanda di contingente fu presentata. Ciò esclude eo ipso ogni relazione diretta tra gli organi comunitari e i singoli interessati, quando si tratta delle questioni doganali dell'articolo 25.

Alla luce di queste considerazioni il ricorso della ditta Plaumann per l'annullamento si rivela irricevibile.

e)

Tuttavia prenderò in esame il problema se la ricorrente sia individualmente interessata alla decisione impugnata, questione che tocca anch'essa una condizione di ricevibilità.

La Commissione ritiene individualmente interessate solo quelle persone che, per la loro individualità o per circostanze riguardanti la persona stessa, siano colpite dalla decisione.

La ricorrente osserva a questo proposito che, a causa del rifiuto del contingente, essa è stata lesa nella propria sfera giuridica, e che il Trattato non esige che essa debba essere l'unica colpita.

Se si cerca di precisare il concetto di interesse individuale, si deve tener presente in primo luogo che i Trattati di Roma, sotto tale profilo, presentano una caratteristica estranea al Trattato C.E.C.A. Per quest'ultimo ha rilievo preminente, al fine della delimitazione del diritto di ricorrere, la natura giuridica dell'atto impugnato. Per esso è dunque sufficiente che sussista una decisione individuale che abbia leso il ricorrente.

Posto che nei Trattati di Roma, per regolare il diritto di ricorrere, si è tenuto conto della natura giuridica dell'atto mediante la contrapposizione tra regolamenti e decisioni, il criterio dell' «interesse individuale» (deduce esattamente la Commissione) deve rappresentare una ulteriore limitazione del diritto di ricorrere, sotto il profilo degli effetti giuridici dell'atto medesimo.

Se consideriamo tali effetti nell'ambito della fattispecie in esame, constatiamo che il rifiuto della Commissione, per quanto riguarda il problema dell'interesse, ha il medesimo carattere di una autorizzazione alla sospensione della tariffa doganale, la quale comporta un mutamento delle norme doganali nazionali.

Sotto il profilo degli effetti giuridici (che devono restar fuori esame al fine della determinazione della natura giuridica dell'atto impugnato, ma che acquistano importanza preminente per il problema dell'interesse), non si può dunque negare un parallelismo con gli atti legislativi. Interessati sono tutti coloro che volevano importare clementine nel corso dell'anno 1962. Può essere che trascorso questo periodo si accerti che il numero degli interessati è relativamente piccolo e determinabile. Questo fatto però non è decisivo. Rilevante, invece; è. che in tale caso l'interesse non deriva dall'individualità di certe persone, ma dall'appartenenza al gruppo, astrattamente definito, di tutti coloro che nel periodo in questione volevano importare clementine. Il loro numero non è determinabile al momento dell'emanazione della decisione, poiché è conforme alla sua natura che esso muti continuamente, anche se praticamente in misura limitata.

Se dunque gli; effetti giuridici della decisione sono gli stessi di quelli d'un provvedimento legislativo, che non è soggetto al ricorso da parte dei singoli, non si può ammettere orna tutela giurisdizionalè neppure sotto il profilo dell'interesse individuale.

f)

In conclusione, io debbo proporre il rigetto del ricorso d'annullamento perché irricevibile. Questo risultato può sembrare inadeguato ove si abbia in mente l'ideale di una tutela giurisdizionale senza lacune, posto che nel procedimento è chiaramente emerso che la ricorrente non può valersi dell'eccezione d'illegittimità. Ma non si può trascurare che il Trattato evidentemente non garantisce una tutela giurisdizionale completa. E per quanto possa essere disposta a utilizzare al massimo i mezzi della suddetta tutela, la Corte non può spostare i limiti del diritto di ricorrere stabiliti dal Trattato, se essa vuol fedelmente adempiere il suo compito di applicarlo. Ritengo, nondimeno, che nella presente fattispecie ci si possa rassegnare alla limitazione del diritto di ricorrere non da ultimo per il fatto che, anche in base al diritto nazionale vigente al tempo in cui gli Stati membri erano ancora competenti a concedere contingenti tariffari, in nessuno di detti Stati c'era, a quanto mi consta, la possibilità di impugnare siffatte decisioni discrezionali. Non si può, dunque, parlare di una riduzione della tutela giurisdizionale in seguito al trasferimento alla Comunità del suddetto potere.

2. LA DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI

La domanda di risarcimento si fonda sull'articolo 215, comma 2, del Trattato C.E.E., secondo il quale «in materia di responsabilità extracontrattuale la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell'esercizio delle loro funzioni».

Dal momento che questo processo ci offre per la prima volta la possibilità di occuparci della norma ora citata, sarà opportuno chiarire anzitutto i principi essenziali del citato articolo 215, comma 2, che delinea il compito della Corte. Io lo interpreto in questo modo :

Un certo numero di presupposti per l'azione di responsabilità contro la Comunità è indicato dallo stesso articolo 215, comma 2. Se si è lasciato alla giurisprudenza della Corte di elaborare altre condizioni essenziali, cioè il problema dell'antigiuridicità (lesione di un diritto, violazione di una norma di tutela) e quello della colpevolezza, il rinvio al diritto nazionale degli Stati membri (e questo punto non sembra evidentemente chiaro, stando a certe espressioni della dottrina) può significare solo un rinvio al diritto nazionale in tema di responsabilità amministrativa, non a tutto il sistema della responsabilità. Inoltre tale riferimento non può essere interpretato come la volontà di uno stretto adeguamento ai dettagli della costruzione dogmatica della responsabilità della Pubblica Amministrazione nei diversi Stati, ma solo nel senso di un adeguamento ai criteri direttivi in base ai quali tale responsabilità viene valutata negli ordinamenti nazionali. È, invero, comune esperienza del diritto comparato che ordinamenti giuridici, pur strettamente affini, percorrano vie diverse nella tecnica giuridica della soluzione dei problemi, pur giungendo a risultati sostanzialmente eguali. È quel che avviene per la responsabilità della Pubblica Amministrazione.

Ritengo che la Corte, in base all'articolo 215, comma 2, sia relativamente libera nell'elaborazione dogmatica delle singole questioni, ma che dal punto di vista del risultato debba rispettare, per la responsabilità amministrativa della Comunità, l'impostazione comune a tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri.

Sotto questo profilo l'articolo 215, comma 2, perde buona parte della pericolosità e della novità che sembrava a prima vista contenere. Sostanzialmente, in relazione alla responsabilità ammi nistrati va della Comunità, esso tende solo a che la Corte, stanti le numerose lacune del diritto comunitario in diverse questioni di diritto processuale e sostanziale, eserciti una attività creatrice di diritto valendosi degli strumenti della comparazione giuridica. Questa interpretazione della norma dei Trattati di Roma sulla responsabilità della Comunità mostra anzitutto che la Corte non ha davanti a sé. un terreno totalmente vergine: Anche la norma generale sulla responsabilità amministrativa della Comunità contenuta nel Trattato C.E.C.A. (art. 40) non fornisce, se rettamente considerata, un criterio più preciso di quello dell'articolo 215, comma 2. Indubbiamente vi si ritrova il concetto di «faute de service». La Corte però, secondo me con ragione, ha evitato nelle fattispecie finora sottopostele un completo accoglimento del diritto francese, ma, rifacendosi anche agli ordinamenti degli altri Stati membri, ha delineato il principio della responsabilità amministrativa della Comunità come se anche per il Trattato C.E.C.A. valesse una norma del tipo dell'articolo 215, comma 2. Si potrà perciò valersi della giurisprudenza sul Trattato C.E.C.A. anche per i casi che riguardano i Trattati di Roma.

Come per la domanda di annullamento, la Commissione ha sollevato anche per quella di risarcimento tutta una serie di eccezioni volte a dimostrarne chiaramente l'irricevibilità.

a)

La prima obiezione si riferisce ai diversi mutamenti che, come ho detto all'inizio, la domanda ha subito in corso di causa.

Ci si domanda come questi debbano essere valutati in particolare sotto il profilo dell'ammissibilità.

Le norme processuali scritte della Comunità non dicono nulla sulla possibilità e sui limiti di un mutamento della domanda. Se non mi inganno, fino ad ora la Corte si è pronunciata sull'ammissibilità del mutamento della domanda soltanto una volta, e precisamente nella causa 17-57, ove le parti sostennero che il ricorso poteva essere considerato valido in base all'articolo 35 del Trattato C.E.C.A. qualora non lo fosse in base all'articolo 33. Essa statuì allora che nella replica non era possibile mutare la causa petendi della domanda ( 4 ). Quella causa però aveva un carattere particolare derivante dal fatto che l'articolo 35 del Trattato C.E.C.A. prevede un procedimento preliminare, e nel caso concreto non lo si era esperito. Quella pronuncia pertanto non ci può essere di alcun ausilio.

Senza approfondire il problema dei principi valevoli per una causa di annullamento, in cui, a differenza dell'azione di danni, l'osservanza del termine di impugnazione ha un'importanza notevole, vorrei dire che, in materia di responsabilità, non si devono applicare, in linea di principio, criteri troppo rigidi per quanto riguarda la modifica delle domande. Uno sguardo al diritto nazionale confermerà questa tesi. Nel diritto processuale amministrativo tedesco, ad esempio, un mutamento della domanda è senz'altro ammesso, se esso si riduce a un ampliamento o ad una riduzione della stessa, qualora ne restino immutati l'oggetto e i fatti costitutivi ( 5 ). Anche il passaggio da una domanda di accertamento a una di condanna non viene considerato un cambiamento che abbisogni di approvazione. Un mutamento della domanda, infine, che si concreta in un mutamento della materia del contendere, cioè del petitum e della causa petendi, può essere ammesso senza il consenso della controparte, ove il giudice lo ritenga opportuno.

Se nella presente fattispecie ci adeguiamo a questo criterio (e credo che analoghi principi valgano anche nel diritto amministrativo francese) ( 6 ), arriviamo alle seguenti conclusioni :

Nella trasformazione della domanda di accertamento in una domanda di risarcimento nella quale il danno è valutato con riferimento all'intero anno 1962, contrariamente a quanto era stato enunciato nel ricorso, ih cambiamento dell'oggetto del contendere consiste, dal momento che la pretesa di risarcimento era già stata fatta valere, soltanto nella diversa entità del danno e nell'essere stati addotti nuovi fatti sotto il profilo temporale.

Pertanto di nuovo c'era solo una deduzione integratrice di fatti nuovi, la quale — se si vuole tracciare un parallelo con la causa di annullamento — potrebbe essere collocata sullo stesso piano degli argomenti aggiunti ammissibili, nel quadro dei motivi della domanda già dedotti. Contro tale ampliamento nulla si potrebbe obiettare. Ciò vale in misura ancor maggiore per la riduzione dell'importo, fatta nella fase orale, e per la richiesta di mantenere in via sussidiaria la domanda di accertamento. Quest'ultima, sotto il profilo logico, rappresenta un minus rispetto alla domanda di risarcimento.

L'unica, obiezione essenziale della convenuta a tale condotta processuale sarebbe la lamentata limitazione del suo diritto di difesa, in quanto, a causa dell'ampliamento della domanda fatta nella replica, esso è stato necessariamente esercitato in una sola memoria. Tale obiezione sfuma, però, se si considera che la Comimissione non ha il diritto assoluto di sostenere le proprie tesi, in due diverse memorie: si pensi al caso in cui la ricorrente stessa rinunci alla seconda. Non possiamo comunque affermare che in questa causa la convenuta sia stata pregiudicata nel suo diritto di difesa.

Ritengo, dunque, di poter concludere nel senso che la vicenda della domanda di risarcimento non è processualmente censurabile. Con tale affermazione naturalmente non si è ancora definitivamente risolto il problema della ricevibilità delle diverse domande.

b)

Una seconda obiezione della Commissione si riferisce al fatto che la domanda di risarcimento è contemporanea e parallela alla domanda di annullamento. La Commissione — com'essa stessa espressamente sottolinea — non intende approfondire il problema generale del rapporto tra domanda di annullamento e domanda di risarcimento, quando hanno per oggetto lo stesso atto, ma solo porre in rilievo il fatto caratteristico che nella presente fattispecie entrambe mirano allo stesso scopo. Secondo la Commissione, la ricorrente per mezzo dell'annullamento della decisione impugnata mira ad una sostituzione del rifiuto opposto alla richiesta avanzata dal Governo federale con una decisione positiva, ed in tal modo a raggiungere l'effetto finale di un rimborso da parte di detto governo dei dazi corrisposti a causa del rifiuto di sospendere la tariffa doganale. La ricorrente pretende uguale importo, non in via sussidiaria, dalla Commissione a titolo di risarcimento. In tal modo, sostiene la Commissione, in caso di accoglimento delle due domande la ricorrente riceverebbe più del dovuto, e pertanto la domanda di risarcimento dev'essere dichiarata irrice-vibile.

Sono anch'io dell'opinione che la Corte non abbia alcun motivo per trattare sul piano generale, nel presente procedimento, il problema se un ricorrente possa chiedere contemporaneamente l'annullamento di un atto con tutte le conseguenze previste dalla legge ed anche il risarcimento del danno che si pretende causato dell'atto. Voglio solo accennare al concetto che in linea di principio non credo inammissibile un siffatto collegamento delle due domande in uno stesso processo se, per esempio, risulti che i provvedimenti che verrebbero adottati dall'amministrazione dopo l'annullamento non ripristinerebbero interamente lo status quo ante.

Per quanto riguarda la particolare problematica del nostro caso, è del tutto evidente che uno stesso scopo non può essere perseguito due volte. Ci si deve però chiedere se la domanda qui in esame sia stata presentata proprio a questo fine.

Il rapporto di diritto processuale abbraccia solo la ricorrente e la Commissione. Anche se si potesse concludere che un esito processuale favorevole alla ricorrente, ossia l'annullamento della decisione impugnata, lascerebbe alla Commissione solo la possibilità di accogliere la richiesta di contingente, il comportamento del Governo federale, una volta autorizzato, resterebbe incerto. Egli può ben rinunziare ad avvalersi retroattivamente dell'autorizzazione per il decorso anno 1962. Esso si rifiuta certamente, come la ricorrente ha. dimostrato, di rimborsare i dazi riscossi. Pertanto la restituzione dei dazi corrisposti dalla ricorrente non conseguirebbe necessariamente ad una sentenza a lei favorevole nella causa d'annullamento. Questa constatazione ci impedisce quindi di considerare irricevibile una contemporanea domanda di risarcimento diretta contro la Commissione e mirante ad ottenere un'equivalente riparazione pecuniaria. Un'altra questione, che in questa sede non ci deve interessare, è se, per i ricordati motivi, la domanda di risarcimento possa non essere matura per uria decisione contemporanea a quella sul ricorso per l'annullamento, appunto per il fatto che si dovrebbero attendere gli effetti della sentenza di annullamento, o se. questo motivo non renda addiritura infondata la pretesa di risarcimento.

c)

Una terza eccezione della Commissione riguarda la motivazione della domanda di risarcimento, cioè l'indicazione dei fondamenti di diritto e di fatto della pretesa fatta valere, la quale, a norma dell'articolo 19 dello Statuto e dell'articolo 38, comma 1o del Regolamento di procedura della Corte, deve figurare nel ricorso.

Nelle memorie la ricorrente si richiama essenzialmente al fatto che la decisione della Commissione è contraria al Trattato e costituisce uno sviamento di potere, e afferma che il danno è valutato in base al maggior dazio pagato, ivi compresa la tassa scambio, che essa non può trasferire sui suoi compratori. Oralmente fu aggiunto che la Commissione venne meno al suo dovere di diligenza, che commise una chiara violazione del Trattato e incorse in un grave sviamento di potere.

Ora, il diritto processuale della Corte esige solo una sommaria esposizione dei motivi della domanda e non una trattazione esauriente di tutti i problemi. Eppure io non vedo come le poche osservazioni della ricorrente possano bastare a questa esigenza. In particolare i miei dubbi riguardano quei presupposti della sua domanda, che si riferiscono a una «faute de service». Essi non si possono eliminare obiettando che l'evoluzione delle norme sulla responsabilità amministrativa nel campo C.E.E. è ancora agli inizi. La ricorrente dovrebbe sapere che per la responsabilità amministrativa non basta la semplice antigiuridicità dell'atto, perché altrimenti l'azione per l'annullamento e quella di danni, malgrado le diverse conseguenze giuridiche, dovrebbero avere la medesima causa petendi. E questo, in considerazione della diversa delimitazione del diritto di ricorrere posta dal Trattato C.E.E., non può essere stato voluto. Anche se non era da aspettarsi che la ricorrente procedesse ad una approfondita ricerca di diritto comparato sui principi generali della responsabilità amministrativa, la conoscenza del diritto tedesco, e forse anche quella del diritto francese, avrebbero dovuto suggerirle che un'azione di danni è fondata solo ove si dimostri una colpa o un comportamento qualificabile come «faute de service». Ma nella sommaria esposizione della ricorrente manca ogni accenno a questo indispensabile presupposto dell'azione.

La ricorrente avrebbe inoltre dovuto mostrare, per lo meno a grandi linee, in che modo ha valutato il danno. A tal fine avrebbe dovuto spiegare come si sarebbe sviluppata la sua attività commerciale in caso di riduzione dei dazi, poiché non è affatto ovvio che in tale ipotesi le maggiori somme assorbite dal dazio avrebbero rappresentato per lei un utile netto.

La ricorrente avrebbe quindi dovuto specificare quale era il suo margine di utile negli anni precedenti e quale la situazione di mercato nell'anno 1962, che come essa sostiene, non permise di trasferire sui consumatori il maggior dazio pagato. L'accertamento di tali fatti essenziali non può essere rimesso a una eventuale istruttoria, di cui oltre a tutto, non è possibile valutare l'utilità dato che anche i mezzi di prova offerti non permettono di intravedere quali chiarimenti se ne potrebbero trarre.

In conclusione, le deduzioni scritte e orali della ricorrente non rispondono ai requisiti richiesti per l'adeguata motivazione di una domanda, e la Corte dovrà pertanto respingere, come irricevibile, la richiesta di risarcimento.

II — Sulla fondatezza

Desidero tuttavia trattare brevemente della domanda di risarcimento e dimostrare che non è neppure fondata.

1.

Anzitutto si prospetta il problema di quale rilevanza abbia per tale domanda il comportamento della Repubblica federale.

Già nell'esaminare la ricevibilità sottolineai il fatto che i privati non sono direttamente interessati alle decisioni della Commissione in materia doganale adottate in base all'articolo 25, comma 3, del Trattato — siano queste autorizzazioni o rifiuti di sospensione della tariffa doganale — poiché tra detti privati e la Commissione c'è un campo riservato alla valutazione discrezionale di politica economica del governo nazionale, il quale, pertanto, ha il potere di influire in modo decisivo sui pretesi fatti lesivi.

Se la Commissione nega un contingente tariffario o respinge una domanda di sospensione della tariffa doganale, allo Stato membro interessato e non ai suoi sudditi spetta il diritto di ricorrere. Farne uso o meno è riservato egualmente alla sua valutazione discrezionale. Da questa considerazione è impossibile prescindere quando si passa ad esaminare la responsabilità amministrativa della Comunità. Nei confronti dei singoli si deve quindi constatare che non solo la Commissione, ma anche lo Stato richiedente assume una responsabilità per la mancata modificazione del dazio doganale. A questo punto però si pone il problema se la responsabilità dello Stato membro non sia assorbente riguardo alla responsabilità della Commissione. lo sono propenso a rispondere affermativamente, con la conseguente negazione del diritto dei privati al risarcimento, poiché, sostanzialmente, questa situazione differisce solo in modo irrilevante da quella in cui uno Stato membro, in contrasto coi desideri dei suoi sudditi, non presenta domanda di un contingente tariffario, oppure, per qualche motivo, non si vale dell'autorizzazione concessagli. Nessuno vorrà certo sostenere che da una siffatta condotta può sorgere un diritto a risarcimento nei confronti dello Stato membro.

2.

Sullo stesso piano si pone una seconda considerazione. Come ho già dimostrato, la domanda di annullamento è, tra l'altro, irricevibile perché manca l'interesse individuale. La decisione della Commissione, anche se come tale non appartiene al settore legislativo, per i suoi effetti giuridici dev'essere tuttavia equiparata agli atti normativi. Questo fatto, però, fa necessariamente sorgere il problema se l'azione di danni sia possibile anche in questi casi, o se sia inammissibile in mancanza di un danno specifico. Ritengo che la Corte debba applicare i principi che nel diritto amministrativo francese valgono per gli «actes-règles». La giurisprudenza costante del Consiglio di Stato non ammette, in linea di massima, un'azione di danni per atti normativi destinati a creare una situazione giuridica generale, non personale e valutabile secondo criteri astratti ( 7 ). Eccezioni a questo proposito sono possibili solo in casi limitatissimi, ossia soltanto ove venga causato un danno anormale, specifico e diretto, cioè uno svantaggio particolare solo a singole persone.

Nel nostro caso il rifiuto della sospensione della tariffa doganale colpisce, in egual misura, tutti gli importatori di clementine della Repubblica federale e colpirebbe anche i consumatori se si verificasse un trasferimento totale o parziale su di essi del maggior dazio, cosa discutibile, ma non esclusa. Non si può perciò assolutamente parlare di un danno specifico della ricorrente, e la sua domanda di risarcimento va respinta anche per questo motivo.

3.

Si deve infine considerare se, in base al diritto comunitario, una pretesa di risarcimento sia fondata solo quando gli organi comunitari abbiano violato norme intese a tutelare gli interessi del ricorrente.

La Commissione ha ricordato che, alla stregua del diritto tedesco, una pretesa di risarcimento per «fante de service» può essere accolta solo quando esista una disposizione destinata a proteggere gli interessi dell'attore. Essa ha dimostrato che criteri analoghi vigono nel diritto belga. In relazione a quelli francese e lussemburghese si deve ricordare che un'azione per responsabilità amministrativa presuppone la lesione di un diritto individuale, di una particolare posizione giuridica («situation juridique particulière»). Si può soprattutto ricordare la giurisprudenza sull'articolo 40 del Trattato C.E.C.A., ossia la norma generale per la responsabilità amministrativa che corrisponde all'art. 215, comma 2 del Trattato C.E.E.

Nelle cause 9 e 12-60 ( 8 ) la Corte ha posto in rilievo il criterio secondo il quale una lesione giuridica da sola non basta a fondare un'azione di danni: ma è necessario che la norma violata sia destinata alla diretta tutela del ricorrente o del gruppo cui questi appartiene. Senza approfondire maggiormente la fattispecie di quelle cause, vorrei sottolineare la straordinaria utilità che ha il criterio esposto per una razionale delimitazione del' diritto a risarcimento. Esso dovrebbe perciò trovare applicazione anche per il Trattato C.E.E. È pertanto necessario esaminare le norme citate dalla ricorrente a sostegno della sua pretesa.

A nulla serve l'articolo 25, comma 3, cioè la norma che ha fornito la base principale alla decisione impugnata. Se peraltro si considerano i criteri dell'articolo 29, cui deve ispirarsi la Commissione per le decisioni adottate in base all'articolo 25, comma 3, possiamo osservare quanto segue.

In base all'articolo 29 a), si deve tener conto della necessità di promuovere gli scambi commerciali con i paesi terzi. Questa norma ripete il principio più volte espresso nel Trattato di favorire una politica commerciale comunitaria e degli Stati membri su basi mondiali. Si vuol inoltre tener conto delle esigenze di politica commerciale degli Stati membri. Ora non si può affermare che la suddetta norma intenda promuovere gli interessi commerciali e i profitti degli importatori. Se mai si potrà parlare, in relazione ad essi, di effetti favorevoli riflessi e mediati.

La lettera b) esprime la necessità di sviluppare la capacità competitiva delle imprese comunitarie. Questo criterio non viene qui in considerazione perché la ricorrente non ha sostenuto in causa che la Commissione lo avrebbe illegittimamente trascurato e avrebbe quindi erroneamente provveduto.

La lettera c) dell'articolo 29 tratta del fabbisogno della Comunità in materie prime e semiprodotti. Essa vuole dunque proteggere, come una parte della lettera d) (espansione del consumo), gli interessi dei consumatori e delle imprese trasformatrici, non già gli interessi dei commercianti, che non sono necessariamente conformi a quelli dei primi.

Infine non può aver qui rilievo la lettera d) dell'articolo 29, che tratta della necessità di impedire gravi perturbazioni della vita economica degli Stati membri e di garantire un razionale sviluppo della produzione, in quanto la ricorrente non ha nulla a che fare con la produzione, ed essa non ha mai preteso, in corso di causa, che il rifiuto del contingente tariffario, abbia dato luogo a gravi perturbazioni. Si deve inoltre tener presente che i singoli criteri dell'articolo 29, com'è stato ripetutamente affermato in altre cause precedenti, stanti le loro divergenti finalità, non possono venir applicati contemporaneamente e in eguale misura, ma è anzi necessaria una ponderata conciliazione dei diversi interessi in gioco. Quand'anche si potesse interpretare uno dei commi dell'articolo 29 come se mirasse alla tutela degli interessi dei commercianti, non sarebbe ancora dimostrato che nella presente fattispecie tali interessi debbano godere di una considerazione preminente.

La disposizione dell'articolo 25, comma 3, unitamente a quella dell'articolo 29 non può, dunque, costituire una norma di tutela idonea a far sorgere la responsabilità amministrativa ed a giustificare giuridicamente un'azione di danni della ditta importatrice.

III — Riassunto e conclusioni

Il risultato della nostra indagine è che il ricorso non può essere accolto. Esso è irricevibile in quanto diretto all'annullamento della decisione impugnata ed è parimenti irricevibile, o per lo meno infondato, inquanto mira ad un risarcimento del danno.

Conseguentemente le mie conclusioni sono sfavorevoli alla ricorrente, alla quale, in base alle norme del nostro ordinamento processuale, vanno addossate le spese di causa.


( 1 ) Cause riunite 3-58 a 18-58 e 20-58 (Racc. Giur. della Corte, Vol. VI, pag. 357) : Cause riunite 27-58, 28-58 e 29-58 (ivi, pag. 485).

( 2 ) Racc. Giur. della Corte, Vol. V, pag. 107.

( 3 ) Racc. Giur. della Corte, Vol. VI, pag. 34.

( 4 ) Racc. Giur. della Corto, Vol. V, pag. 27.

( 5 ) Koehler : Kommentar zur Verwaltungsgerichlsordnung 1960, noto II e III, § 91.

( 6 ) Gabolde : Traité pratique de la procédure administrative contentieuse 1960, n. 310.

( 7 ) Duez-Debeyre : Droit administratif, 1960, pag. 458 e segg.

( 8 ) Racc. Giur. della Corte, Vol. VII, pag. 415.

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