Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 61959CC0033

    Conclusioni riunite dell'avvocato generale Lagrange del 1 marzo 1962.
    Compagnie des Hauts Fourneaux de Chasse contro l'Alta Autorità della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio.
    Causa 33-59.
    Meroni & C. Erba, Meroni & C. Milano contro l'Alta Autorità della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio.
    Cause riunite 46 e 47-59.

    edizione speciale inglese 1962 00699

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:1962:5

    Conclusioni dell'avvocato generale

    MAURICE LAGRANGE

    1 marzo 1962

    Traduzione dal francese

    INDICE

    Pagina
     

    I — Gli antefatti e le conclusioni delle parti

     

    II — Sulla ricevibilità

     

    III — L'esistenza del danno e la prescrizione

     

    IV — Se l'illecito (faute de service) sussista

     

    A — Manchevolezze nell'esercizio del normale controllo preventivo

     

    B — Manchevolezze nel dare inizio alle indagini

     

    V — Considerazioni finali

    Signor Presidente, signori giudici,

    I — Gli antefatti e le conclusioni delle parti

    La Società Hauts Fourneaux de Chasse e le due Società Meroni compaiono ancora una volta davanti a voi per chiedervi di condannare l'Alta Autorità a risarcire, a norma dell'articolo 40 del Trattato, il danno che esse asseriscono di aver subito in conseguenza delle frodi commesse nell'ammettere alla perequazione rottame che non vi dava diritto, il che ha provocato il correlativo aumento dei contributi loro imposti.

    Nelle more del giudizio voi avete pronunziato la sentenza 23-59, del 17 dicembre 1959, con la quale è stato respinto il ricorso introdotto dalla società F.E.R.A.M., ricorso avente analogo oggetto. Naturalmente questa sentenza (l'Alta Autorità lo ammette) non costituisce giudicato nei confronti delle presenti controversie, giacchè le parti non sono le stesse; è tuttavia evidente che, nei limiti in cui le ricorrenti si basano sugli stessi fatti, l'esistenza di tale precedente costituisce di per sé un grave ostacolo all'accoglimento delle loro domande. È perciò importante stabilire — ed è questa la prima questione da risolvere — se ed entro quali limiti le conclusioni delle attuali ricorrenti differiscano da quelle a suo tempo formulate dalla F.E.R.A.M.

    Le conclusioni della Hauts Fourneaux de Citasse (causa 33-59) sono così formulate :

    «Piaccia alla Corte

    dichiarare l'Alta Autorità della C.E.C.A. responsabile del fatto che, durante gli anni dal 1954 al 1957, siano stati venduti come provenienti da demolizioni navali rilevanti quantitativi di rottame, a giustificazione dei quali vennero prodotti certificati falsi, rilasciati dal capo della Sezione Siderurgica del Ministero degli Affari Economici olandese.

    Determinare, a mezzo di perito d'ufficio eligendo, l'esatto ammontare del danno subito dalla ricorrente durante gli anni sopra indicati, in conseguenza dell'illecito commesso dagli organismi incaricati della perequazione.

    Condannare l'Alta Autorità al risarcimento del danno stesso, con gli interessi di mora.»

    Queste conclusioni sono uguali, quasi letteralmente, a quelle della F.E.R.A.M.

    Le conclusioni della Meroni di Erba (causa 46-59) sono, nella prima parte, praticamente identiche a quelle della F.E.R.A.M. e della Hauts Fourneaux de Chasse; vi si chiede però inoltre di

    dichiarare l'Alta Autorità del pari responsabile «di tutti gli altri fatti che eventualmente emergessero nelle more del giudizio»

    e, più avanti

    «mandare, ove occorra, a consulente tecnico d'ufficio eligendo di stabilire … l'esatto ammontare del tonnellaggio di rottame frodato ai danni delle imprese siderurgiche della Comunità sottoposte alla perequazione obbligatoria, mediante il rilascio di falsi certificati ovvero mediante altri espedienti fraudolenti intesi a far fruire abusivamente del premio di perequazione sul rottame importato».

    Le conclusioni della Meroni di Settimo Torinese (causa 47-59) sono pressappoco uguali a quelle della Meroni di Erba.

    Perciò, non viene più fatto richiamo soltanto alle frodi commesse mercè i certificati falsi rilasciati dal funzionario del Ministero degli Affari Economici olandese, bensì a tutte le frodi che hanno reso possibile, dal 1954 al 1957, l'ammissione alla perequazione di rottame che non vi aveva diritto.

    Queste differenze nella formulazione delle conclusioni si spiegano facilmente col fatto che i ricorsi non sono stati proposti contemporaneamente (il primo nell'aprile, e gli altri due nel luglio 1959) : l'estensione delle frodi, che non si limitavano più a quelle commesse dal funzionario olandese, è venuta alla luce gradualmente e soltanto dopo la chiusura della discussione scritta, ossia in seguito alla pubblicazione della relazione dell'Alta Autorità in data 8 aprile 1961, è stato possibile farsi un'idea precisa della natura delle frodi e conoscerne approssimativamente l'ammontare. È questo il motivo per il quale la Corte, pur rifiutandosi di sospendere il procedimento fino al termine delle indagini in corso (ordinanza del 2 giugno 1960), con lo stesso provvedimento ordinava all'Alta Autorità di esibire, non appena pronta, la relazione definitiva e dava inizio alla fase orale solo parecchi mesi dopo tale esibizione e dopo che le parti ebbero depositato i documenti che erano state autorizzate a produrre. Nella relazione d'udienza è d'altronde detto :

    «L'ordino cronologico degli avvenimenti mostra chiaramente che, durante la fase scritta, le parti non hanno potuto che limitarsi a svolgere argomenti relativi a determinati aspetti di queste irregolarità. Gli argomenti delle partì vanno intesi in questo senso».

    II — Sulla ricevibilità

    Questi brevi cenni mi mettono già in grado di pronunciarmi, almeno per quanto riguarda le due cause Menni, sull'eccezione d'irricevibilità sollevata in udienza dall'agente dell'Alta Autorità e tratta dalla circostanza che l'oggetto della domanda sarebbe stato modificato. In realtà, ciò non è avvenuto, non vi è stata cioè quella che nel diritto francese si chiama una «demande nouvelle» in quanto, come abbiamo visto, le conclusioni dei ricorsi menzionano espressamente tutte le frodi che hanno avuto come conseguenza la presa in perequazione di rottame che non vi dava diritto. È vero che le conclusioni di un ricorso non vanno intese in senso troppo letterale nè in senso troppo lato: la loro portata effettiva deve essere resa manifesta dalle tesi svolte a sostegno. A questo proposito, l'Alta Autorità assume che i ricorsi, al momento della loro introduzione, avevano quale unico oggetto le frodi commesse mercè i falsi certificati rilasciati dal funzionario olandese, esattamente come nella causa F.E.R.A M.

    Signori, non condivido questo assunto. Qual'è l'oggetto delle conclusioni? Quello di ottenere il risarcimento del danno causato da un illecito commesso dall'Alta Autorità e dagli organismi di Bruxelles nell'espletamento delle loro funzioni di controllo circa l'origine del rottame ammesso alla perequazione. La causa petendi consiste quindi nell'illecito concretatosi nella mancanza, o insufficienza, di controlli la quale ha reso possibile il pagamento di sovvenzioni di perequazione non dovute. Il comportamento criminoso del funzionario olandese costituisce senza dubbio uno degli aspetti delle frodi, «uno degli aspetti delle irregolarità» per dirla con la relazione d'udienza, ma non si può certo identificare con la causa petendi : al contrario, esso è stato invocato dall'Alta Autorità — e la Corte lo ha considerato — come una circostanza discriminante, giacchè la Comunità non poteva essere tenuta responsabile dell'illecito personale di un funzionario appartenente ad una amministrazione nazionale. Il fatto di richiamarsi ad altri casi di frodi che hanno prodotto le stesse conseguenze non significa quindi modificare la causa giuridica: questa continua ad essere rappresentata dall'illecito commesso nell'esercizio dei controlli sull'origine del rottame.

    Non ho perciò alcun dubbio circa l'ammissibilità di tutte le conclusioni formulate nei due ricorsi Meroni.

    Nella causa Hauts Fourneaux de Chasse, per contro, non mi sembra che le conclusioni abbiano la stessa portata, data la precisione del loro tenore. La causa petendi è senza dubbio la stessa dei ricorsi Meroni, ma il danno di cui viene chiesto il risarcimento non riguarda che le conseguenze del rilascio dei certificati falsi da parte del funzionario del Ministero degli Affari Economici olandese. Stante l'analogia fra le tre controversie, questo risultato è certo poco soddisfacente: la procedura ha tuttavia le sue esigenze, che non sempre coincidono con quelle dell'equità. Ciò è tanto più spiacevole in quanto ci troviamo in un campo in cui, a prescindere dalla prescrizione di cui parlerò fra un minuto, non è fissato alcun termine e ciò a differenza di quanto è stabilito per il ricorso d'annullamento: non è prevista alcuna decisione previa ed in qualsiasi momento, eccettuato ancora una volta l'effetto della prescrizione, la Hauts Fourneaux de Chasse avrebbe potuto completare le sue conclusioni ovvero, ove si voglia ammettere che la rigidezza delle nostre norme di procedura non lo avrebbe consentito, proporre un nuovo ricorso.

    Comunque stiano le cose, la riserva non riguarda che la natura e l'ammontare dei danni, non già i fatti e gli argomenti dedotti dalla ricorrente onde dimostrare la responsabilità dell'Alta Autorità nell'esercizio delle sue funzioni di controllo: sotto questo aspetto, la situazione è esattamente la stessa che nelle altre due controversie e la ricorrente ha, secondo me, diritto di invocare tutte le nuove circostanze emerse che siano atte a far ritenere l'Alta Autorità responsabile delle frodi nel loro complesso (solo la sua negligenza può spiegarne l'estensione), ivi comprese le frodi in vista delle quali la Hauts Fourneaux de Chasse chiede il risarcimento. In conclusione, la posizione della Hauts Fourneaux de Citasse è in tutto simile a quella delle altre due ricorrenti, dovendosi unicamente aver cura, nel dispositivo della sentenza, di non statuire ultra petita.

    III — L'esistenza del danno e la prescrizione

    Devo ora esaminare una seconda eccezione dell'Alta Autorità, secondo la quale non sussisterebbe, almeno attualmente, alcun danno, direi meglio alcun danno concreto e attuale. Ne conseguirebbe pure che il termine di prescrizione non ha ancora cominciato a decorrere e che tutte le attuali controversie sarebbero per lo meno premature. In realtà, sostiene la convenuta, l'Alta Autorità sta adoperandosi per ricuperare le sovvenzioni di perequazione indebitamente corrisposte; una parte del credito è stata d'altronde già ricuperata e solo al termine di queste operazioni sarà possibile sapere con precisione se ed in quale misura l'ammontare definitivo dei contributi di perequazione sarà superiore a quello che si sarebbe avuto qualora non vi fossero state frodi.

    Questa eccezione mi sembra inconferente. Si deve infatti distinguere fra esistenza del danno e valutazione dello stesso. Ora, sembra del tutto improbabile che il ricupero sia totale. La Corte, nella sentenza Mannesmann ed altri, da 4 a 13-59, del 4 aprile 1960, ha dichiarato che l'Alta Autorità non aveva il diritto di ripetere dalle imprese consumatrici di rottame le somme indebitamente versate. L'Alta Autorità (o l'U.C.C.R.) deve quindi rivolgersi agli autori delle frodi, il che non lascia certo sperare un ricupero integrale, indipendentemente dalla diligenza spiegata; la relazione dell'Alta Autorità, pag. 43 e segg., e molto-istruttiva in proposito. Inoltre, come ha rilevato il patrono delle ricorrenti, il danno comprende le rilevanti spese causate dalle operazioni di verifica. Su questo punto, tuttavia, si dovrebbe tener conto come attenuante delle spese che sarebbero state necessarie qualora si fosse organizzato un efficiente sistema di controllo preventivo, giacchè le ricorrenti fanno appunto carico all'Alta Autorità di non avervi provveduto nel periodo in cui il consorzio di perequazione era in funzione.

    Il danno mi sembra quindi certo, anche se non lo è ancora la sua entità. Questa situazione non ha niente di eccezionale: vien fatto di pensare, ad esempio, ad un danno alla persona che abbia causato un'invalidità di cui non è ancora possibile dire se abbia carattere permanente e quale ne sia la percentuale: cionondimeno il giudice statuisce.

    Per motivi analoghi ritengo che il termine di prescrizione abbia cominciato a decorrere già da tempo e che le ricorrenti abbiano avuto ragione d'interromperlla con gli attuali ricorsi. L'articolo 40 del Protocollo sullo Statuto della Corte stabilisce infatti che «le azioni contemplate nei due primi commi dell'articolo 40 del Trattato si prescrivono in cinque anni dal momento in cui è avvenuto il fatto su cui si basano».

    Ora il «fatto su cui si basano» le presenti azioni è costituito dal pagamento di sovvenzioni di perequazione per del rottame che non vi dava diritto, sovvenzioni che, secondo la vostra sentenza da 4 a 13-59, non possono essere ricuperate presso le imprese consumatrici: questo fatto, cioè il pagamento, ha causato il danno consistente nel correlativo aumento dell'ammontare dei contributi. Si possono evidentemente configurare dei casi in cui il danno si manifesti dopo più di cinque anni dal momento in cui si è determinato: questa non è però che la conseguenza di un sistema di prescrizione che non ha lo scopo di porre un limite alla negligenza dei creditori, bensì tende a dare una certa stabilità ai rapporti giuridici.

    Prima di passare al merito, è necessaria una precisazione circa la portata della sentenza F.E.R.A.M. Senza alcun dubbio, come ho detto, questa sentenza non costituisce giudicato agli effetti delle attuali controversie; cionondimeno, non è mia y intenzione porre nuovamente in discussione le conclusioni alle quali essa e giunta, almeno nei punti essenziali. In primo luogo per quanto riguarda la condanna della tesi della «responsabilità obiettiva», sostenuta in via principale dalla F.E.R.A.M. e riproposta nelle presenti cause: la responsabilità a norma dell'articolo 40 ha il suo fondamento nella «faute de service»; si tratta dì una responsabilità soggettiva e l'illecito (la «faute») dev'essere provato. In secondo luogo, non credo che la Corte debba modificare il proprio insegnamento circa l'esclusione di ogni responsabilità dell'Alta Autorità per l'illecito comportamento di un funzionario appartenente ad un'amministrazione nazionale e del quale non si poteva ritenere che avesse agito per conto o in nome della Comunità. Infine, sono dello stesso avviso per quanto concerne la parte della sentenza nella quale ci si rifiuta di ravvisare un illecito nella circostanza di aver demandato all'organo nazionale competente il compito di rilasciare gli attestati, posto che questi attestati erano al tempo stesso documenti indispensabili per la riesportazione del rottame.

    In sè tutto ciò è molto pertinente. Le presenti cause vanno però considerate da un punto di vista molto più generale, quello cioè della responsabilità dell'Alta Autorità per l'inefficace controllo sull'origine del rottame ammesso alla perequazione. Orbene, proprio la considerevole estensione delle frodi di ogni genere emerse dai controlli effettuati a posteriori dalle società fiduciarie rende legittimo il chiedersi se ciò non sia indizio di un difetto nell'organizzazione e nel funzionamento dei servizi di gestione e di controllo, difetto che non sarebbe stato possibile desumere unicamente dall'illecito comportamento di un funzionario addetto ad un particolare settore. Oltracciò, l'inchiesta non ha posto in luce alcun'altra frode del genere di quelle commesse dal funzionario olandese (navi affondate e tuttora in fondo al mare, relazione Poher, n. 44).

    Per quanto riguarda la natura delle frodi accertate e le loro diverse forme, non posso che richiamarmi alla relazione dell'Alta Autorità, dal n. 41 al n. 73, che è molto istruttiva; citò a caso : per il rottame importalo, le licenze d'esportazione ottenute mediante raggiri (10.601 tonn.), la presentazione di bollette doganali contraffatte mediante fotomontaggio (4.092 tonn.), la perequazione di un tonnellaggio più elevato di quello risultante dalle dichiarazioni (433 tonn.), le polizze di carico utilizzate due volte (8.500 tonn.). Per il rottame da demolizioni navali, assimilato come sapete al rottame d'importazione, ci si basa sulla percentuale di rendimento presunto: ad esempio il 60 % del peso della nave; qualora siano stati consegnati tonnellaggi più elevati, si deve presumere che vi sia stata una frode il che, in determinati casi, ha permesso di adire i tribunali. Vi è infine una categoria speciale, lo Heeresschrott, che consiste in rottame acquistato presso unità delle Forze Armate americane di stanza in Germania e considerato, dal punto di vista doganale, come se non fosse stato importato nella Repubblica federale; la relazione dell'Alta Autorità (n. 48, in fine) dice a questo proposito che :

    «i controlli hanno dimostrato che, dichiarando alla dogana un tonnellaggio più elevato e pagando il dazio relativo, si otteneva un documento che consentiva di riscuotere sovvenzioni di perequazione corrispondenti a tale tonnellaggio maggiorato»;

    fra le altre irregolarità citerò: le bollette doganali falsificate (10.133 tonn.), le bollette doganali ottenute di sotterfugio (50.034 tonn.), ecc… 87.500 tonn. di Heeresschrott sono tate indebitamente ammesse alla perequazione su un totale di 181.000 tonnelate, cioè quasi la metà!

    Circa la quantità complessiva di rottame ammesso indebitamente alla perequazione, dalla risposta dell'Alta Autorità alla domanda rivoltale dal giudice Hammes risulta trattarsi di 229.889 tonnellate su un totale di 13.018.270 tonnellate.

    IV — Se l'illecito (faute de service) sussista

    Si deve cercare ora di risolvere la questione se dal complesso delle circostanze oggi note emerga un illecito ai sensi dell'articolo 40 del Trattato.

    A questo proposito vanno fatte varie osservazioni.

    Prima osservazione : Si deve anzitutto precisare la natura dell'asserito illecito, onde essere in grado di stabilire a quale tipo di responsabilità esso dia luogo. Ho detto che si tratta di una manchevolezza nell'esercizio del controllo sull'origine del rottame: la parola «controllo» si presta però all'equivoco ed il suo significato muta e seconda che si abbia in mente la responsabilità dell'U.C.C.R., o della Cassa, ovvero quella dell'Alta Autorità. Il controllo sull'origine del rottame da parte degli organismi di Bruxelles e degli Uffici regionali rientra nei compiti del consorzio di perequazione: esso dà luogo a responsabilità di gestione. Quanto al controllo da parte dell'Alta Autorità, esso fa parte del compito assegnatole in via generale dall'articolo 53 e come tale dà luogo a responsabilità di controllo

    È vero che l'Alta Autorità, almeno per un certo periodo, ha dichiarato di assumersi in pieno la responsabilità degli illeciti commessi dagli organismi di Bruxelles: ciò era ancora vero all'epoca della causa F.E.R.A.M. e soltanto in un periodo successivo sembra che essa abbia cercato di sottrarvisi, a giudicare ad esempio dall'atteggiamento assunto quale convenuta nella causa Fives-Lille e altri (alludo in ispecie all'arringa del Prof, de Laubadère). La Corte ha però costantemente respinto la distinzione: non solo l'attività degli organismi di Bruxelles è di diritto pubblico, benchè essi siano persone giuridiche di diritto privato, ma i loro atti sono stati equiparati a decisioni dell'Alta Autorità; in una sentenza si è giunti persino ad affermare che l'ufficio comune era un organo dell'Alta Autorità (Mannesmann e altri, già citata, Racc. VI, pag. 274). A proposito dell'illecito, la sentenza Fives-Lille ha confermato lo stesso insegnamento: l'Alta Autorità è responsabile degli illeciti commessi dagli organismi di perequazione.

    Ciò è molto importante, giacche la responsabilità di un organo di gestione è evidentemente molto più estesa di quella di un organo di controllo: mentre per quest'ultimo e generalmente necessario un illecito di ima certa gravità (faute lourde), per il primo, che è l'organo «direttamente» responsabile, ò sufficiente un illecito anche di lieve entità (faute ordinaire)

    Seconda osservazione : La relazione dell'Assemblea Parlamentare Europea (in prosieguo la chiamerò «relazione Poher») ha quale oggetto — nè avrebbe potuto averne altro — la valutazione della responsabilità politica dell'Alta Autorità. È questo il motivo per cui essa si occupa unicamente delle manchevolezze del controllo che essa era tenuta ad esercitare sugli organismi di Bruxelles, ad esclusione della sua responsabilità civile, in ispecie di quella che, secondo la vostra giurisprudenza, le incombe ipso iure in caso di cattivo funzionamento di detti organismi.

    Ultima osservazione : La relazione Poher insiste più volte sulla circostanza che l'unanime parere conforme del Consiglio, indispensabile per rendere il consorzio obbligatorio, è stato concesso solo previa assicurazione che l'Alta Autorità si sarebbe astenuta dall'ingerirsi nel funzionamento interno del consorzio e, in particolare, dal controllarne la gestione. La relazione Poher ravvisa in questa circostanza, e ciò è perfettamente comprensibile, una sensibile attenuazione delle responsabilità dell'esecutivo. Questo aspetto può avere però rilevanza unicamente agli effetti della responsabilità politica. Sotto il profilo giuridico, non è possibile tenerne, conto per due motivi: in primo luogo perchè la «condizione» alla quale il Consiglio avrebbe subordinato il proprio parere conforme, volendo darla per dimostrata, non poteva esimere giuridicamente l'Alta Autorità dalla responsabilità ad essa incombente a norma dell'articolo 53, come essa ha del resto riconosciuto in seguito; e in secondo luogo perchè l'articolo 40 parla di illecito della Comunità, non già. di questa o quella istituzione; ora, il Consiglio è una Istituzione della Comunità e di conseguenza ha scarso rilievo per i danneggiati che la responsabilità sia congiunta, come pare si debba ritenere nella specie, ovvero vada attribuita unicamente all'Alta Autorità' : si tratta sempre della responsabilità della Comunità, che è la sola munita di personalità giuridica nel Trattato C.E.C.A. ; nei confronti dei terzi, la Comunità è però rappresentata dalla sola Alta Autorità. Sotto il profilo giuridico, perciò, l'atteggiamento del Consiglio non può essere considerato come un'attenuante della responsabilità.

    Con la scorta di queste considerazioni mi accingo ora ad esaminare se il comportamento degli organismi di Bruxelles e dell'Alta Autorità integri gli estremi dell'illecito ai sensi dell'articolo 40 del Trattato.

    Due tesi, svolte dal patrono delle ricorrenti all'inizio della sua arringa, mi sembra vadano respinte. La prima attiene all'asserita assurdità di affidare all'Alta Autorità il compito di indagare sulla propria attività: essa avrebbe dovuto subire l'indagine, non già effettuarla.

    A ciò si deve anzitutto ribattere che l'indagine doveva vertere essenzialmente sul funzionamento del consorzio affidato agli organismi di Bruxelles; per quanto riguarda l'Alta Autorità medesima, non si tratta di una manchevolezza dei suoi uffici, bensì dell'atteggiamento di principio che essa ha assunto, rifiutando di occuparsi della gestione del consorzio: gli uffici dell'Alta Autorità non erano direttamente coinvolti. Oltracciò, rientra nella normale prassi che un'inchiesta sul funzionamento di un organo amministrativo sia affidata a dipendenti dello Stato o anche dello stesso Ministero al quale appartengono gli uffici sotto inchiesta: il personale di controllo e d'ispezione non ha altro compito.

    La seconda tesi, che è stata spesso sostenuta davanti a questa Corte, consiste nel contestare l'utilità dello stesso consorzio di perequazione, il quale non avrebbe affatto consentito ai siderurgici di risparmiare 3 miliardi di dollari ed il cui carattere artificioso sarebbe divenuto sempre più spiccato, come dimostrerebbero l'abbondanza ed il basso prezzo del rottame, osservabili a partire dal momento della sua soppressione.

    Su questo punto — senza voler entrare nella discussione — ribatterò che si tratta di una responsabilità politico-economica, di cui l'Alta Autorità è tenuta a rispondere solo davanti all'Assemblea. Se gli Stati dovessero rispondere con la borsa, nei confronti dei cittadini, degli errori commessi in materia di politica economica, la maggior parte di essi sarebbe senza dubbio fallita da parecchio tempo.

    Ciò detto, ritengo opportuno distinguere accuratamente fra l'obbligo di predisporre un normale controllo 'preventivo e il dovere di ordinare delle indagini non appena emerse le prime frodi.

    A.

    Manchevolezze nell'esercizio del normale controllo preventivo

    Il controllo sull'origine del rottame faceva parte, come ho detto, delle funzioni dell'organo di gestione. Il verificare la provenienza del rottame prima di ammetterlo alla perequazione costituiva evidentemente uno dei compiti fondamentali degli uffici del consorzio.

    Si può a priori affermare che questa verifica doveva essere effettuata con particolare attenzione per i seguenti motivi :

    1)

    Il primo attiene alla grande differenza di prezzo fra il rottame d'importazione, o assimilato, ed il rottame interno. Questo semplice fatto rendeva estremamente attraente la prospettiva di procurarsi i vantaggi della perequazione spacciando il rottame interno per rottame d'importazione o rottame navale. Inoltre, la natura sotto molti aspetti particolare del commercio del rottame, natura che nè l'Alta Autorità nè, a maggior ragione, gli esponenti della siderurgia che amministravano il consorzio potevano ignorare, avrebbe dovuto consigliare una particolare vigilanza.

    Ciò è vero in modo particolarissimo sotto tre profili :

    1o

    Per quanto riguarda il rottame da demolizioni navali, del quale è praticamente impossibile verificare con esattezza l'origine, a causa degli incerti del ricupero e del carattere approssimativo delle percentuali di peso delle navi da demolire che vengono normalmente prese come base per i controlli. In queste circostanze, le operazioni di ricupero avrebbero dovuto essere sottoposte alla più stretta sorveglianza.

    2o

    Per quanto riguarda il rottame detto «di sostituzione». A questo proposito, nelle conclusioni per la causa Mannesmann e altri (Racc. VI, pag. 306) il mio collega Roemer si è espresso nei seguenti termini :

    «Secondo quanto è stato detto in quest'aula, è invalso a quanto pare fra i commercianti di rottame l'uso di consegnare, in luogo del rottame proveniente dalla demolizione di navi, del rottame interno, facendolo “prendere in perequazione” come rottame da demolizioni navali, ed in compenso di mettere in seguito sul mercato, al prezzo del rottame interno, il rottame da demolizioni navali, non appena avvenuta la demolizione. Questo modo di procedere è tollerato in vista del fatto che la demolizione generalmente richiedo un periodo di tempo piuttosto lungo.

    Si potrebbero esprimere delle riserve a proposito di detta pratica, a causa della difficoltà di controllare in modo efficiente lo svolgimento di siffatti negozi. Non sembra però del tutto impossibile ottenere che tali pratiche di sostituzione si svolgano in modo regolare e non si può perciò escludere a priori che siano ammissibili».

    È tuttavia manifesto che pratiche siffatte si prestavano per loro natura ad abusi di ogni genere. Gli organismi di Bruxelles l'hanno del resto riconosciuto ed hanno deciso, nelle riunioni che hanno avuto luogo dal 22 al 23 aprile 1958, che

    «il rottame detto di sostituzione non sarà più ammesso alla perequazione, avendo l'esperienza dimostrato che il controllo sulla provenienza del rottame di questa categoria dà risultati poco soddisfacenti» (Allegato III alla relazione Poher).

    3o

    Per quanto riguarda infine lo «Heeressclirott», sul quale mi sono già espresso.

    Di fronte a queste situazioni, tanto generali quanto particolari, quali critiche si possono rivolgere alla Cassa e all'U.C.C.R., da un lato, e all'Alta Autorità d'altro lato?

    Io

    Per quanto riguarda gli organismi di Bruxelles, si tratta come ho detto di responsabilità di gestione. Su questo punto, nella relazione Poher è detto quanto segue (n. 31) :

    «Il modo di amministrare degli organismi di Bruxelles offre il fianco alla critica sotto più di un profilo. 1 dirigenti di questi organismi non si sono resi sufficientemente conto del fatto che esercitavano una pubblica funzione. Nelle operazioni di pagamento e nel vagliare i documenti giustificativi si sarebbe dovuto procedere con maggior rigore».

    Uno degli esempi più tipici di questa «mancanza di rigore» nel vagliare i documenti giustificativi è fornita dalla prassi seguita dall'ufficio regionale di Milano (CAMPSIDER), a proposito del quale la relazione dell'Alta Autorità (n. 71) dice quanto segue :

    «Il controllo effettuato dall'Alta Autorità ho posto in luce che i fascicoli inviati dall'ufficio regionale di Milano non contenevano alcun documento atto a comprovare l'origine e la provenienza del rottame preso in perequazione».

    Agli organismi di Bruxelles va del pari fatto carico delle manchevolezze del controllo esercitato sugli uffici regionali.

    2o

    Per quanto riguarda l'Alta Autorità, il suo torto fondamentale, il quale prevale su tutti gli altri aspetti della causa, consiste nell'essersi a lungo rifiutata di ammettere che il controllo sull'amministrazione del consorzio rientrasse nei suoi compiti. Ora, fin della costituzione del consorzio obbligatorio, la decisione 22-54 stabiliva espressamente che

    «La gestione del consorzio è affidata — sotto la responsabilità dell'Alta Autorità — all'U.C.C.R. ed alla Cassa di perequazione».

    In merito a ciò la relazione Poher, sempre al n. 31, dice :

    «D'altro lato, l'Alta Autorità ha potuto sostenere che gli industriali e gli altri interessati erano in grado di amministrarsi da soli. È nondimeno opportuno tenere costantemente distinta la prassi commerciale dall'amministrazione di un consorzio di diritto pubblico. Sembra che purtroppo questa distinzione non sia stata sempre tenuta presente».

    Non è evidentemente possibile affermare che, se l'Alta Autorità avesse esercitato dei controlli sulla gestione del consorzio, le frodi sarebbero state del tutto impossibili. Si deve tuttavia ritenere che i controlli avrebbero reso l'amministrazione più efficiente e avrebbero senza dubbio consentito di scoprire le frodi in, un momento anteriore e di evitarne l'estensione.

    D'altra parte, non è necessario far carico all'Alta Autorità di non essersi resa conto essa stessa del carattere pubblicistico che la Corte ha in seguito affermato, nei termini che ho ricordato, esser proprio degli organismi incaricati di amministrare il consorzio di perequazione: il 24 marzo 1955, ad esempio, il rappresentante dell'Alta Autorità presso il Consiglio della Cassa aveva imposto a quest'ultimo di incaricare la Société Fiduciaire de Belgique di effettuare dei controlli sui conteggi di perequazione — senza volersi quindi affatto immischiare nelle verifiche — il che d'altronde non sembra abbia dato grandi risultati. Ciò non significa però che il rifiuto di principio dell'Alta Autorità di controllare l'amministrazione del consorzio posto sotto la sua responsabilità non costituisca di per sè un grave illecito amministrativo.

    B.

    Manchevolezze nel dare inizio alle indagini

    È inutile dire che, una volta scoperte le prime frodi, si sarebbero dovuti adottare adatti provvedimenti, sia per accertare se non ne fossero state commesse altre (il che appariva verosimile), sia per evitare che altre si verificassero in avvenire.

    Anche qui terrò distinti gli addebiti che possono essere fatti agli organismi di Bruxelles da quelli che si possono muovere all'Alta Autorità.

    1o

    Per quanto riguarda gli organismi di Bruxelles. Pare accertato che questi siano stati avvertiti dell'esistenza o, quanto meno, della possibilità di determinati abusi molto prima della denuncia fattane dal Worms nel novembre 1957 (relazione Poher, n. 40). Soltanto il 15 marzo 1958, per contro, la Cassa, previo intervento dell'Alta Autorità, ha incaricato la Société Fiduciaire Suisse di effettuare delle verifiche sull'origine del rottame. Questo incarico era inoltre rigidamente circoscritto (relazione Poher, n. 36).

    È palese che in quel momento a Bruxelles non si cercava di estendere il campo delle indagini, il che venne fatto soltanto nell'agosto 1958; nel frattempo i frodatori avevano agio di continuare la loro attività.

    2o

    Per quanto riguarda l'Alla Autorità, non si può certo pensare che essa abbia cercato di «minimizzare» la cosa. In questo periodo, tuttavia, essa non ha mostrato — è il meno che si possa dire — un eccessivo zelo. Le date lo dimostrano: la denuncia Worms è del novembre 1957, ma solo il 29 settembre 1958 l'Alta Autorità assume direttamente la sorveglianza sulle indagini e conferisce un nuovo incarico, senza limitazioni, alla Société Fiduciaire Suisse. L'intervallo fra queste due date trascorre fra studi, riunioni, scambi di lettere con la Cassa: la relazione Poher riferisce tutti questi fatti (n. 38).

    Il principale torto dell'Alta Autorità durante questo periodo consiste, oltre che nell'eccessiva circospezione (per non dire lentezza) da essa dimostrata, nell'essersi accorta soltanto alla fine del mese d'agosto 1958 dei limiti posti dall'U .C.C.R. all'incarico da esso conferito alla Société Fiduciaire Suisse il 15 marzo dello stesso anno ! (relazione Poher, n. 38, 'penultimo capoverso).

    A partire dal settembre, per contro, l'Alta Autorità, che aveva nel frattempo riassunto i poteri già delegati agli organismi di Bruxelles, provvedeva a riorganizzare il consorzio di perequazione in ossequio alla sentenza Meroni ed al. tempo stesso si adoperava con la massima energia a smascherare le frodi e a denunciarne gli autori all'autorità giudiziaria, in collaborazione con i competenti organi degli Stati membri. Pare che attualmente la continuazione di questa azione dipenda soprattutto dalla buona volontà di questi organi e dal loro spirito di collaborazione.

    Quali conclusioni si devono trarre da tutto ciò?

    A mio parere, l'illecito commesso dagli organismi di Bruxelles ha carattere grave: i dirigenti e i membri di questi organismi non potevano ignorare il rilevante rischio di frodi implicito nel sistema nè, per conseguenza, la necessità di organizzare in modo adeguato l'amministrazione e la contabilità: orbene, nell'organizzare gli uffici non si tenne conto di ciò e nella stessa attività di gestione sono emerse delle manchevolezze, in ispecie a carico degli uffici regionali. Inoltre, la scoperta delle prime frodi non è valsa a mutare tale stato di cose, giacchè si è posto mano alla necessaria riorganizzazione solo con ritardo e in seguito alle pressioni dell'Alta Autorità, anche queste non particolarmente insistenti all'inizio.

    Quanto all'Alta Autorità, la lentezza da essa dimostrata nei mesi seguenti la scoperta delle prime frodi, per quanto deplorevole, non mi parrebbe in sé tale da integrare un illecito ai sensi dell'articolo 40. Un illecito amministrativo incontestabile è costituito invece dalla rinunzia di principio a controllare l'amministrazione del consorzio di cui essa era responsabile.

    Ho tenuto distinti gli addebiti che possono essere mossi agli organismi di Bruxelles da quelli che possono essere fatti all'Alta Autorità allo scopo di meglio porli in evidenza, giacché hanno diversa natura. Secondo la vostra giurisprudenza, tuttavia, la Comunità è responsabile sia dei primi, sia dei secondi.

    A questo punto ci si potrebbe però chiedere se tale responsabilità sussista nei confronti delle imprese consumatrici di rottame, le quali facevano parte del consorzio di perequazione e provvedevano ad amministrarlo, cioè se esse abbiano il diritto di agire per fatto illecito contro l'organismo del quale facevano parte o di far carico di insufficienti controlli all'organo incaricato di controllarlo. La responsabilità di una società assume aspetti diversi a seconda che il danneggiato sia un socio oppure un terzo. Non dobbiamo poi dimenticare che se, come ho ricordato, il Consiglio pare abbia espresso unanime parere conforme unicamente a condizione che agli organismi di perequazione venisse lasciata la massima libertà di gestione, ciò è manifestamente avvenuto in seguito alle pressioni esercitate dalle imprese dirigenti del consorzio.

    A questo proposito, o Signori, ritengo che si debba distinguere fra membri e soprattutto dirigenti delle società di cui trattasi, l'U.C.C.R. e la Cassa, ed imprese che, benchè facessero parte del consorzio in quanto era obbligatorio, non erano membri di dette società e non potevano di conseguenza influire in alcun modo sulla loro condotta. Per i primi si pone una questione che non è qui il caso di risolvere. Per le seconde (fra le quali le ricorrenti), sono dell'opinione che l'obiezione è inconferente: esse erano nella situazione puramente passiva in cui si trova il singolo nei confronti di un servizio pubblico, cioè approfittavano dei vantaggi e subivano gli inconvenienti del servizio senza essere in alcun modo responsabili del suo funzionamento, ma avendo per contro diritto di essere risarcite dei danni causati da comportamento illecito dell'amministrazione.

    V — Considerazioni finali

    Sono quindi giunto in ultima analisi ad ammettere l'esistenza di un illecito dell'Alta Autorità di cui la Comunità è responsabile nei confronti delle tre ricorrenti. Ho già detto, poi, che il danno prodotto dall'illecito era certo, concreto e attuale, benchè la Corte non disponga degli elementi necessari per stabilirne l'entità. Come provvedere in questo caso?

    Ritengo che la soluzione più opportuna consista nel rinviare la pratica all'Alta Autorità affinchè fissi e liquidi l'indennità dovuta.

    Voi sapete infatti che l'Alta Autorità è attualmente intenta a rifare i conti della perequazione. È evidente che questi conti dovranno essere chiusi non appena terminate le operazioni in corso, senza attendere l'ultimo atto dell'ultimo procedimento giudiziario già iniziato o ancora da iniziare. Mi risulterebbe che questa è appunto l'intenzione dell'Alta Autorità. Se le cose stanno così, l'indennità dovrà essere pari, per ciascuna impresa, alla differenza fra l'ammontare dei contributi di perequazione, quale sarebbe stato nel caso non fossero intervenute frodi, e l'ammontare dei contributi effettivamente stabilito alla data di chiusura delle operazioni.

    È inutile dire che se in seguito verranno effettuati altri recuperi, il loro ammontare, per la quota corrispondente alle tre imprese già indennizzate, potrà essere trattenuto dall'Alta Autorità, mentre, per quanto riguarda le restanti imprese, dovrà essere proporzionalmente ripartito fra esse nella loro qualità di membri dei cessati organismi di perequazione. L'Alta Autorità procederà a questo recupero a favore delle sue casse in via di surrogazione, mercè una cessione di crediti o ad altro titolo? È una questione sulla quale non devo pronunciarmi.

    Oltracciò, come ho già detto, l'Alta Autorità dovrà tener conto, nel valutare il danno, anche delle spese afferenti alle indagini ed ai procedimenti giudiziari resi necessari dalla scoperta delle frodi, detraendone tuttavia le maggiori spese amministrative che si sarebbero incontrate qualora fossero stati istituiti dei normali controlli preventivi. Ciò implica naturalmente una valutazione in parte discrezionale che l'Alta Autorità dovrà effettuare con perfetta equità; spero fermamente che le parti si troveranno d'accordo e sarà così evitata una nuova controversia.

    In vista di tutto quanto precede concludo proponendovi :

    di dichiarare l'Alta Autorità responsabile nei confronti delle ricorrenti del danno ad esse arrecato dal. pagamento di sovvenzioni di perequazione, negli anni da 1954 a 1957, per del rottame che non vi dava diritto ;

    di rinviare la pratica all'Alta Autorità affinchè questa liquidi le indennità a tale titolo dovute, quella spettante alla Hauts Fourneaux de Chasse dovendo però essere limitata al danno arrecatole dalla presa in perequazione di rottame per il quale sono stati prodotti, quali documenti giustificativi, dei falsi certificati di demolizione navale rilasciati dal capo della sezione siderurgica del Ministero degli Affali Economici olandese;

    e di porre le spese a carico dell'Alta Autorità.

    Top