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Document 61956CC0001

Conclusioni dell'avvocato generale Roemer del 23 novembre 1956.
René Bourgaux contro l'Assemblea Comune della Comunità europea del Carbone e dell'Acciaio.
Causa 1/56.

edizione speciale inglese 1955 00417

ECLI identifier: ECLI:EU:C:1956:10

Conclusioni dell'Avvocato Generale

KARL ROEMER

Traduzione dal tedesco

SOMMARIO

Pag
 

I — Gli antefatti

 

II — Competenza della Corte — Carattere del ricorso e ricevibilità della domanda d'annullamento

 

Competenza della Corte

 

Carattere del ricorso

 

Ricevibilità della domanda d'annullamento

 

III — Le conclusioni del ricorrente

 

IV — Nel merito

 

Soppressione del posto ricoperto dal ricorrente

 

Assegnazione ad un nuovo impiego

 

Messa in disponibilità

 

a) Applicazione dello Statuto definitivo del personale della Comunità

 

b) Applicazione dei dettami della Sentenza Kergall (No 1-55)

 

V — Risultato dell'esame, spese e conclusioni

Signor Presidente, signori Giudici,

Consentitemi di iniziare l'esposizione delle mie conclusioni nella causa No 1-56, Bourgaux contro l'Assemblea Comune, col ricordare brevemente i fatti:

I — I FATTI

Il ricorrente è entrato al servizio dell'Assemblea Comune il 1o gennaio 1953. Il suo contratto d'impiego era stato stipulato per due anni ed alla scadenza fu prorogato di un anno, cioè fino al 31 dicembre 1955, in virtù di un provvedimento generale di proroga dei contratti delle stesso genere. Il ricorrente aveva le mansioni di capo del servizio dei resoconti e dei servizi parlamentari temporanei. Il 25 novembre 1955 in occasione della riorganizzazione del Segretariato e previa consultazione di periti scelti fra personalità estranee all'Assemblea, il Bureau della predetta decise, «fra altro», di sopprimere due servizi nonchè i corrispondenti posti di capo servizio fra i quali quello ricoperto dal ricorrente; il Bureau decise inoltre di non rinnovare il contratto del predetto. Il 13 dicembre 1955 fu notificato al ricorrente un decreto del Presidente con cui gli si dava notizia della decisione che lo riguardava. Gli fu nel contempo comunicato che oltre alle indennità previste dal suo contratto e dal Regolamento provvisorio del personale, gli si assegnava un'indennità supplementare pari a due annualità di stipendio. Tali indennità furono accettate e riscosse dal ricorrente.

Il 12 gennaio 1956 il Bourgaux impugnò le predette decisioni col presente ricorso nel quale conclude:

1o

per l'annullamento della decisione del Bureau dell'Assemblea Comune di data 25 novembre 1955 in quanto fu adottata in condizioni irregolari;

2o

per il conseguente annullamento del decreto del Presidente dell'Assemblea Comune di data 13 dicembre 1955, emesso in esecuzione della predetta decisione.

In corso di causa il ricorrente ha desistito da un ulteriore capo della sua domanda e con cui chiedeva il risarcimento del danno morale nell'importo simbolico di un franco.

La convenuta chiede respingersi il ricorso.

II — COMPETENZA DELLA CORTE — CARATTERE DEL RICORSO E RICEVIBILITÀ DELLA DOMANDA D'ANNULLAMENTO

Signori, avete da statuire su un ricorso di un dipendente della Comunità il quale impugna la decisione che pone termine al suo contratto d'impiego.

Competenza della Corte

Durante il procedimento orale non è stata contestata la competenza della Corte a conoscere di ricorsi di questo genere. Nella discussione orale il rappresentante della convenuta non ha in verità eccepito tale competenza bensì la proponibilità della domanda d'annullamento. Egli non ha sostenuto che un altro foro fosse competente — egli ha semplicemente affermato che ove non vi fosse la clausola compromissoria dell'art. 42, sarebbe stato possibile sottoporre questa causa ad un foro nazionale. Si è però affermato che dei privati non potevano chiedere alla Corte di annullare decisioni del Bureau della Assemblea Comune o decreti del suo Presidente e che in tale ipotesi la Corte poteva solo assegnare Un 'indennità. Ma questa questione va distinta da quella della competenza ed io la esaminerò più oltre.

Mi basterà quindi fare una breve disamina della competenza e richiamarmi alla sentenza della Corte ed alle mie conclusioni nella causa No 1-55 — Kergall contro l'Assemblea Comune. Nel caso in esame la competenza della Corte si basa pure sull'art. 42 del Trattato in relazione all'art. 17 del contratto d'impiego del ricorrente ed alla disposizione del Regolamento del personale applicabile in materia. Tutti i regolamenti del personale che hanno successivamente avuto vigore nella Comunità come pure lo Statuto del personale, contengono un articolo relativo alla competenza della Corte. Per esaminare la questione della competenza è dunque inutile chiedersi quale regolamento sia applicabile nella specie.

La competenza però non si basa soltano sull'art. 42 del Trattato. Nel suo ricorso il Bourgaux si richiama pure allo Statuto definitivo del personale e pretende che tale Statuto avrebbe dovuto trovare applicazione nei suoi confronti; la convenuta lo nega. Per stabilire se esso sia applicabile dobbiamo richiamarci in primo luogo all'art. 58 dello Statuto del personale. Detta disposizione non è una clausola compromissoria inserita in un contratto di diritto pubblico o di diritto privato. Qui il solo art. 42 del Trattato non basta più a fondare la competenza della Corte. Allorchè le disposizioni regolamentari unilateralmente adottate dall'Istituzione, cioè i regolamenti provvisori del personale ed il suo Statuto definitivo, si applichino alla situazione giuridica dei dipendenti unitamente a norme meramente contrattuali, l'art. 43, 1o comma del Trattato va applicato congiuntamente all'art. 42. Quest'ultimo attribuisce competenza alla Corte in tutti i casi previsti da norme integrative al Trattato. Secondo me lo Statuto del personale va considerato come un complesso di norme integrative che le Istituzioni delia Comunità hanno il potere di emanare in virtù del Trattato; mi richiamo all'art. 16 dello Statuto della Corte ed al paragrafo 7 ultimo comma della Convenzione relativa alle Disposizioni transitorie. Alla clausola compromissoria si faceva ricorso come ad un espediente necessario nel periodo iniziale e così pure si assumevano i dipendenti in base a contratti. Il potere di promulgare uno Statuto del personale comporta necessariamente quello di risolvere le controversie cui la sua applicazione può dar luogo; orbene solo la Corte di Giustizia della Comunità può avere veste per emettere una pronuncia giurisdizionale in ultima istanza.

Carattere del ricorso

Da ciò derivano notevoli conseguenze per il carattere dei ricorsi relativi ai rapporti d'impiego. Solo dopo aver delineato il carattere di tali ricorsi potrò esprimermi sulla ricevibilità di una domanda d'annullamento. Ai sensi dell'art. 33 if Trattato prevede ricorsi di legittimità e ricorsi di piena giurisdizione ossia di merito. Queste due espressioni figurano negli artt. 36 ed 88 rispettivamente. E' noto che tale distinzione ci proviene dal diritto francese. Senza entrare nei dettagli ricorderò brevemente l'origine di tale distinzione la quale del resto, coll'andar del tempo non è più tanto netta in diritto francese.

Il ricorso di legittimità è diretto contro un atto dell'autorità; va esaminata la sua legittimità oggettiva e, se del caso, esso può venir annullato.

Il ricorso di merito è diretto contro l'amministrazione quale parte e si basa su diritti soggettivi: il foro investito ha ampia competenza per esaminare la controversia in fatto ed in diritto e può non solo annullare la decisione amministrativa ma pure riformarla o condannare l'amministrazione ad un risarcimento.

A quale categoria appartiene il ricorso fondato su una clausola compromissoria: nulla dice in proposito il Trattato e gli articoli del Regolamento del personale sono imprecisi su quanto attiene al carattere dei ricorsi introdotti dai dipendenti. Il Trattato non parla nemmeno di ricorsi di merito per il caso, che è tipico in diritto francese, della responsabilità dell'amministrazione per «faute de service» (ipotesi prevista dall'art. 40, comma 1 — errore dei servizi della Comunità —) ; ciò si è fatto senza dubbio perchè dal carattere stesso della controversia risulta necessariamente che non può trattarsi che di un ricorso di merito. Nelle cause di danni contro l'amministrazione può anche darsi che in merito alla pretesa fatta valere, sia stato in precedenza emesso un provvedimento amministrativo ma ciò non è prescritto ai sensi dell'art. 40 dello Statuto della Corte. La Corte non solo può annullare detto provvedimento ma può anche riconoscere nella sua sentenza il diritto a riparazione ed assegnare un indennizzo di importo diverso da quello preteso nel procedimento amministrativo.

E' interessante rilevare che nel suo volume «die Amtshaftung» (No 235 pag. 91) il Much, trattando proprio di questa materia, esplicitamente dice che il giudizio d'annullamento del provvedimento amministrativo che ha deciso su danni pretesi, è un giudizio di merito e non già un giudizio di legittimità quale è previsto dall'art. 33 del Trattato. Nel caso in esame, in cui trattasi di rapporti giuridici fra il dipendente e l'amministrazione da cui dipende, non sarebbe quindi opportuno applicare le norme che hanno per iscopo di istituire un controllo sulla legittimità obbiettiva dell'amministrazione economica dell'Alta Autorità. I contratti d'impiego dei dipendenti fan sorgere diritti ed obbighi per ciascuna delle parti e conferiscono ai dipendenti un diritto di carattere pubblicistico ad ottenere prestazioni da parte dell'amministrazione. Questa è la ragione per cui si devono includere nella seconda categoria, cioè fra i ricorsi di merito, quelli che riguardano tali rapporti giuridici e si deve riconoscere alla Corte un sindacato illimitato.

All'opposto degli artt. 33 e 38 del Trattato che limitano il sindacato della Corte o lo circoscrivono a taluni mezzi d'impugnazione, gli artt. 42 e 43 del Trattato, come pure i regolamenti del personale, enunciano semplicemente che la Corte è competente «a giudicare» sulle controversie ivi menzionate e nei casi ivi previsti. In linea di principio la Corte non ha quindi limiti per il suo esame e può con la sua sentenza, emanare tutti i provvedimenti necessari a definire la controversia sottopostale.

Devo però osservare subito che da ciò non deriva il potere di sindacare illimitatamente tutti gli elementi e tutti i presupposti del provvedimento preso nei confronti del dipendente. In talune ipotesi l'amministrazione ha un potere discrezionale di cui deve valersi in conformità ai suoi obblighi od all'interesse del servizio. E' in questi limiti che si esercita il sindacato giurisdizionale. Per di più l'amministrazione ha diritto di organizzare i suoi servizi interni. Le sue disposizioni in tale materia non incidono sui diritti soggettivi del dipendente ma lo riguardano solo in quanto fa parte dell'organismo gerarchico amministrativo il cui funzionamento verrebbe compromesso da un controllo giurisdizionale in questo campo.

Ricevibilità della domanda d'annullamento

Dalle predette considerazioni emerge che l'art. 38 del Trattato, ripetutamente citato nel corso del procedimento scritto e nel dibattimento, non può trovare applicazione al caso in esame. Trattasi di una dispozione che riguarda esclusivamente le deliberazioni della Assemblea Comune e non quelle del Bureau per cui non ci si può richiamare ad essa in materia di tutela giurisdizionale dei dipendenti e ciò per l'evidente ragione che la tutela deve essere uguale per tutti i dipendenti delle quattro Istituzioni. Tale tutela giurisdizionale nell'ambito dei rapporti gerarchici speciali che sorgono fra l'amministrazione ed i suoi dipendenti e che sottostà ad uguali norme in tutte le Istituzioni, non può essere diversa presso l'Assemblea Comune sol perchè le decisioni generali che essa adotta, stante il loro diverso carattere e la loro diversa portata, sono soggette ad un controllo giurisdizionale regolato in diverso modo o perchè esso addirittura manchi come è il caso per le decisioni della Corte di Giustizia che non sono impugnabili. È per ragioni analoghe che in una recente causa che pure riguardava un dipendente, il mio egregio collega Lagrange ha negato che l'Alta Autorità potesse richiamarsi all'art. 33 del Trattato.

Resta quindi da vedere se in base ad un ricorso il cui carattere non è stato definito ma che secondo le ricerche da me fatte non dovrebbe comunque venir incluso nella categoria dei ricorsi d'annullamento dell'art. 33 del Trattato si possa tuttavia chiedere l'annullamento d'una decisione amministrativa.

Non vi è alcuna difficoltà ad ammetterlo ove si riconosca che il solo fatto di chiedere l'annullamento non significa che si tratti d'un ricorso d'annullamento ai sensi dell'art. 33. Infatti, le due specie di ricorso — di legittimità e di merito — non si oppongono nettamente l'una all'altra ma presentano piuttosto delle differenze nel loro grado. Si può dunque applicare il noto adagio: «Nel più è compreso il meno.» Accade spesso del resto che in un ricorso di merito si possa chiedere ed ottenere l'annullamento di un atto amministrativo. Ne ho già citato un esempio che ci porge il Trattato: una decisione amministrativa può venir annullata in esito ad una causa per responsabilità incorse da un servizio amministrativo. Citerò in diritto francese il de Laubadere, Traité théorique et pratique des contrats administratifs 1956, T. II p. 196:

«Il giudice competente ex contractu può in linea di principio annullare i provvedimenti presi dall'amministrazione che contrastino con gli impegni contrattuali da essa assunti.»

ed egli cita altri esempi nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. Mi richiamo infine agli Statuti dei tribunali amministrativi internazionali, ad esempio l'art. 9 dello Statuto del tribunale amministrativo delle Nazioni Unite che riguarda le controversie relative al personale:

«Il tribunale se riconosce fondato il ricorso annulla la decisione impugnata od ordina che sia adempiuto all'obbligo fatto valere.»

Riassumendo, constato che la Corte di Giustizia è competente a conoscere della presente causa e che la domanda d'annullamento è ricevibile.

III — LE CONCLUSIONI DEL RICORRENTE

Ancora un rilievo devo fare sulle conclusioni del ricorrente. Esso non impugna soltanto il decreto del Presidente dell'Assemblea Comune di data 13 dicembre 1955 che gli fu notificato ma anche la decisione del Bureau di data 25 novembre 1955 sulla quale il predetto decreto si basa. Tale «decisione» è inserita in un voluminoso processo verbale di 15 pagine: si tratta in realtà di tutta una serie di decisioni relative agli argomenti posti all'ordine del giorno di quella riunione del Bureau. Il ricorrente non aveva indicato con precisione quale di tali decisioni intendeva impugnare. Nel corso della discussione e finalmente all'udienza di oggi, precisando l'esatta portata di quanto aveva esposto in iscritto, egli ha esplicitamente dichiarato che non intendeva impugnare nè la riorganizzazione in sè nè la soppressione delle funzioni che egli ricopriva ma soltanto la decisione di non rinnovare il contratto d'impiego stipulato con l'Assemblea Comune. Tale decisione è inserita col No 15 a pagina 14 del processo verbale della riunione del Bureau del 25 novembre 1955. Il ricorrente ha dovuto pure impugnare tale decisione perchè essa è semplicemente riprodotta nel decreto del Presidente del 13 dicembre 1955 che gli fu notificato e perchè i motivi del non rinnovo del contratto sono enunciati soltanto nel processo verbale della riunione.

IV — NEL MERITO

E veniamo ora ai vari mezzi d'impugnazione.

Soppressione del posto ricoperto dal ricorrente

Nel corso del procedimento scritto il ricorrente ha contestato la legittimità della soppressione del posto che ricopriva. Ho già rilevato che questa censura non è stata mantenuta nella discussione orale. È dunque superfluo ormai parlarne. Mi limiterò ad osservare che i provvedimenti riguardanti l'organizzazione amministrativa rientrano nel campo del funzionamento interno dei servizi di cui ho parlato più sopra. Nella vostra sentenza No 1-55 in causa Kergall avete già affermato che il Bureau dell'Assemblea Comune era libero di organizzare il suo Segretariato come meglio credeva nell'interesse del servizio nonchè di decidere la soppressione degli impieghi che gli apparivano superflui.

Qui il ricorrente avrebbe tutt'al più potuto denunciare uno sviamento di potere. In tal caso però sarebbe stato necessario che egli contestasse l'obbiettività dei periti ed eccepisse il parere da essi espresso e che la convenuta ha seguito. Ma il ricorrente non intende elevare siffatta censura. Le conclusioni subordinate formulate il 20 novembre 1956 che tendevano ad ottenere la produzione in causa di determinati documenti ed a far escutere i periti, sono dunque inconferenti e non era il caso di accoglierle.

Da ciò consegue che per giudicare del caso in esame van tenuti presenti i seguenti presupposti che non sono stati contestati.

L'amministrazione dell'Assemblea Comune che comprende 90 dipendenti e sta a disposizione del Bureau e dei membri dell'Assemblea, è stata riorganizzata con la soppressione di 21 posti e la creazione di 19 altri posti. Dopo il 1o gennaio 1956 diveniva quindi impossibile mantenere in servizio due funzionari.

Partendo dai predetti presupposti che egli ora ammette, il ricorrente censura soltanto i provvedimenti che ne conseguono e che lo colpiscono personalmente cioè la definitiva risoluzione del contratto con l'Assemblea Comune. Egli fa valere anzitutto che uno dei nuovi impieghi avrebbe dovuto essergli riservato. Subordinamente sostiene che l'Assemblea Comune non avrebbe comunque dovuto licenziarlo definitivamente ma porlo in disponibilità. Questi sono i mezzi fatti valere ancora nella discussione orale e di cui ora intraprendo l'esame.

Assegnazione ad un nuovo impiego

Se diamo uno sguardo d'insieme alla riorganizzazione del Segretariato quale risulta dagli atti di causa, constatiamo che non si è trattato soltanto della soppressione di due posti ma in realtà, di un completo riordinamento dei servizi e di una nuova ripartizione degli uffici. Basta infatti considerare il gruppo dei vecchi capi servizio e capidivisione. Dal raffronto fra i decreti No 6 e No 7 del 25 novembre 1955 appare che sono stati soppressi 5 posti con funzioni direttive e che ne sono stati creati tre. Le conseguenze della riorganizzazione sul numero dei posti — cioè la soppressione di due di essi — riguardano dunque precisamente i funzionari del gruppo menzionato. L'amministrazione ha dovuto affrontare il problema di stabilire quali dei cinque titolari dei posti soppressi doveva assegnare ai tre nuovi posti. In mancanza di formali prescrizioni era l'amministrazione che doveva deciderne in virtù del suo potere discrezionale.

Se il ricorrente pretende che uno dei nuovi posti avrebbe dovuto essergli riservato, ciò significa, in linea giuridica, che egli fa carico all'amministrazione di non aver equamente usato nei suoi confronti di tale potere discrezionale. Su questo punto il ricorrente assume che due funzionari di grado inferiore al suo sono stati assegnati ai nuovi posti. Il patrono del ricorrente ha chiaramente formulato tale censura nella discussione orale e precisamente quando l'avvocato Chareyre ha detto:

«era necessariamente il grado ricoperto dagli interessati che doveva determinare chi sarebbe rimasto in servizio …»

L'avvocato Rolin ha pure sostenuto analoghi argomenti.

È unicamente per spiegare i motivi per cui l'amministrazione ha così agito nei suoi confronti che il ricorrente si richiama ai vari incidenti sorti fra lui ed i suoi superiori.

A mio avviso, questi argomenti non bastano a dimostrare che ricorra uno sviamento di potere. Va respinta la tesi secondo cui i funzionari dei gradi più alti dovevano venir riassunti con precedenza; a tal proposito sono invece determinanti le attribuzioni del nuovo impiego, le funzioni che corrispondono ad ogni nuovo posto nonchè le attitudini e l'esperienza dimostrate in passato dal funzionario. Va rilevato che nella specie, le attribuzioni che il ricorrente aveva furono ripartite fra i nuovi posti. Il caso che riguarda il signor Limpach, l'altro capo servizio menzionato dal ricorrente, è diverso perchè le attribuzioni che il predetto aveva sono state mantenute ma trasferite ad una suddivisione. Il Limpach era capo del servizio finanziario ed è ora capo del servizio del bilancio e della contabilità. Stando così le cose, si dovrebbero dedurre circostanze molto particolari per giustificare la destinazione del ricorrente con precedenza ad uno dei nuovi posti — e ciò a scapito di un altro funzionario i cui interessi neppure si potevano trascurare; orbene, nella specie, non emergono circostanze del genere.

Nè a diversa opinione può portare ciò che risulta dal fascicolo personale del ricorrente e dai due documenti esibiti al termine della discussione orale. Tutt'al contrario, dal fascicolo personale emergono alcuni elementi negativi di cui la convenuta avrebbe potuto valersi a sfavore del ricorrente allorché ha dovuto procedere alla scelta dei funzionari destinati ai tre nuovi posti. Dagli atti Ni 13, 27 e 28 del fascicolo personale risulta che il ricorrente è stato ripetutamente richiamato dai suoi superiori e che essi hanno persino minacciato di infliggergli sanzioni disciplinari, di non rinnovare il suo contratto e di non passarlo nei ruoli. L'avvocato Chareyre si chiede se il Bourgaux non avrebbe dovuto venir preferito ad altri ma si può rispondere che gli incidenti or menzionati, a dir poco, non militano a favore di un'assegnazione del ricorrente con precedenza ad uno dei tre nuovi posti. Per dimostrare la sussistenza dello sviamento di potere il ricorrente avrebbe dovuto indicare per quali precisi motivi la convenuta avrebbe dovuto destinare lui, anzicchè uno degli altri tre funzionari riassunti, ad uno dei tre nuovi posti. La contraria decisione della convenuta potrebbe ritenersi viziata solo qualora tali motivi risultassero provati ed inoltre se un raffronto fra i vari candidati fosse nettamente favorevole al ricorrente.

Il ricorrente ha esibito in causa le fotocopie delle veline di due note scritte dal Segretario generale al Presidente dell'Assemblea Comune il 2 febbraio ed il 29 novembre 1955 rispettivamente.

Trattasi di pareri che il Segretario ha dati per preparare la risposta del Presidente dell'Assemblea a delle lettere pervenutegli. La nota del 29 novembre 1955 è posteriore alla decisione del Bureau di data 25 novembre e contiene soltanto la rettifica di un errore riguardante le funzioni del ricorrente. Il parere del 2 febbraio 1955 ha tratto ad una lettera rivolta dal ricorrente al Presidente dell'Assemblea Comune e che figura nel fascicolo personale sotto il No21: tale lettera fu dallo stesso ricorrente trasmessa al Segretario generale (nota accompagnatoria No 22 del fascicolo personale) con preghiera di farla pervenire al Presidente Pella ed il Bureau, nella sua riunione del 27 maggio 1955 (documento No 25 del fascicolo) ha respinto la richiesta contenutavi.

Questi documenti appaiono inconferenti perchè essi non provano affatto che il ricorrente avrebbe dovuto essere mantenuto in servizio e destinato ad uno dei nuovi posti. Mi sembra pertanto superfluo vagliare la tesi dell'avvocato Rolin difensore del ricorrente, il quale ha sostenuto che l'Assemblea Comune avrebbe dovuto produrre in causa tali documenti e che non avendolo essa fatto, sarebbecensurabile per aver mancato all'obbligo, che incombe a tutte le parti in causa, di collaborare alla acquisizione delle prove. Nemmeno ho da esprimermi su quanto ha detto l'avvocato Ansiaux patrono della convenuta, e secondo il quale detti documenti ed in ispecie quello del 25 novembre 1955, sarebbero confidenziali e pertanto non tali da dover essere inseriti nel fascicolo personale. Nulla ha risposto il ricorrente al rilievo fatto dalla convenuta sul modo in cui egli si era procurati i documenti posto che non vi era alcuna ragione di servizio o processuale perchè egli ne fosse a conoscenza. Neppure ho da esprimermi in merito all'affermazione dell'avvocato Ansiaux secondo cui il ricorrente, col procurarsi illegittimamente una fotocopia di tali documenti, avrebbe mancato al suo dovere di lealtà nei confronti dell'amministrazione e reso in tal modo impossibile la sua permanenza in servizio. Mi limiterò ad osservare che la dovuta lealtà del dipendente verso l'amministrazione e la fiducia di questa nel dipendente, sono basi essenziali del contratto d'impiego se si vuole che l'amministrazione, la quale può agire soltanto per mezzo dei suoi dipendenti, adempia ai suoi compiti istituzionali.

Infine, il ricorrente ha ancora esposto in udienza che in quell'epoca l'Alta Autorità aveva assunto 80 nuovi dipendenti e che l'Assemblea Comune non si era curata di assegnargli uno di tali posti. In merito a questo argomento mi basterà rilevare che da esso non emerge alcun elemento a sostegno dell'annullamento del provvedimento preso nei confronti del ricorrente. L'Assemblea Comune non poteva destinare il Bourgaux ad un posto vacante presso un'altra Istituzione. Ciò non sarebbe stato consono all'autonomia delle Istituzioni della nostra Comunità quale la prevede il Trattato. L'Assemblea, se lo riteneva opportuno, poteva tutt'al più proporre obligo a riparazione; ma il ricorrente non chiede riparazione e raccomandarglielo sotto la sua responsabilità. Se essa non l'ha fatto, vi si può ravvisare una mancanza al suo dovere di dare assistenza al ricorrente e da cui potrebbe tutt'al più sorgere un obbligo a riparazione; ma il ricorrente non chiede riparazione e nemmeno discute l'importo dell'indennità che gli è stata effettivamente corrisposta. Niente del resto vietava al ricorrente di presentarsi candidato ad un nuovo impiego e di chiedere a tal fine l'appoggio dell'Assemblea Comune. Nulla però ci consta di una sua candidatura.

Per qanuto riguarda il primo mezzo giungo alla seguente constatazione:

La circostanza che le decisioni impugnate non han disposto l'assegnazione del ricorrente ad un altro impiego non può giustificare il loro annullamento. Il primo mezzo è pertanto infondato.

Messa in disponibilità

Col secondo mezzo si denuncia che le decisioni impugnate hanno posto definitivamente termine al contratto del ricorrente mentre egli avrebbe dovuto esser messo in disponibilità. Su questo punto il ricorrente ha in parte attenuato ed in parte ampliato i suoi argomenti nel corso dell'udienza; solo nella discussione orale sono stati prensentati nuovi elementi probatori.

Nella posizione di disponibilità il rapporto d'impiego permane in quanto il dipendente continua a percepire regolarmente lo stipendio ed ha diritto di essere riassunto con precedenza in qualsiasi posto della categoria del ruolo o del gruppo cui appartiene che si rendesse vacante, sempre che abbia le capacità richieste. Al termine del periodo di disponibilità, al dipendente che non sia stato riassunto, spetta una pensione proporzionale. In tale ipotesi non vi è l'indennità di cessazione dal servizio prevista dal contratto o dallo Statuto ed ancor meno un'indennità globale in contanti. Il ricorrente non può pretendere di trar vantaggio da un solo ed isolato elemento della posizione di disponibilità, cioè pretendere unicamente la sua riassunzione con precedenza in un nuovo posto mentre trattiene le indennità percepite alla cessazione dal servizio od è disposto a rimborsarle solo secondo le più favorevoli disposizioni delle decisioni impugnate.

Il ricorrente fonda la sua pretesa di esser posto in disponibilità su due argomenti di cui uno è dedotto in via subordinata. Egli assume in primo luogo che lo Statuto definitivo del personale avrebbe già dovuto essergli applicato ed in secondo luogo che secondo i dettami della sentenza Kergall si sarebbe dovuto tener conto del progetto di Statuto che si stava elaborando in quell'epoca cosicché egli avrebbe comunque dovuto esser posto in disponibilità.

a) Applicazione dello Statuto definitivo del personale della Comunità

Il ricorrente sostiene che lo Statuto definitivo del personale doveva a lui senz'altro applicarsi perchè la Commissione dei quattro Presidenti nella sua riunione del 12 dicembre 1955, ebbe a decidere che lo Statuto del personale era «definitivamente adottato» per le Istituzioni della Comunità, salvo il Consiglio di Ministri che aveva fatto delle riserve. Che con ciò il Regolamento provvisorio del personale di data 1o luglio 1953 era stato sostituito «di diritto» dal predetto Statuto in virtù dell'art. 51 del Regolamento stesso. Che inoltre tutti i dipendenti dell'Assemblea Comune avevano ottenuto nello stesso giorno un nuovo contratto che li ammetteva al regime dello Statuto per modo che con la firma di tale contratto essi venivano sottoposti allo Statuto che era stato appena adottato.

La convenuta ha ribattuto che sino al giorno dell'inizio della discussione essa non aveva ancora posto in vigore lo Statuto e che il testo approvato nella riunione del 12 dicembre 1955 non fu pubblicato e venne ancora modificato dalla Commissione dei Presidenti nella sua riunione del 28 gennaio 1955.

In'quanto il ricorrente espone a sostegno della tesi secondo cui si sarebbe dovuto applicargli il nuovo testo e le disposizioni relative alla messa in disponibilità, si possono distinguere tre argomenti :

1o

L'adozione dello Statuto da parte della Commissione dei Presidenti significherebbe che il suo testo era senz'altro applicabile a tutti i dipendenti delle tre Istituzioni.

2o

Tale «adozione» avrebbe comportato l'abrogazione del «Regolamento provvisorio» del 1o luglio 1953 il quale sarebbe stato sostituito dal nuovo Statuto.

3o

Il contratto d'ammissione al regime dello Statuto implicherebbe l'immediata applicazione di esso ai dipendenti che firmarono tale contratto; si sarebbe dovuto offrire un simile contratto anche al ricorrente.

Signori, voi disponete dei documenti necessari a giudicare il valore di questi tre argomenti; passo ora ad esaminarli.

Per quanto riguarda il primo, emerge dal processo verbale del 12 dicembre 1955 che la Commissione dei Presidenti ha esaminato e discusso il progetto articolo per articolo e lo ha approvato dopo avervi apportato numerosi emendamenti. Preso atto di una riserva del Presidente del Consiglio di Ministri, la Commissione ha allora deciso (pag. 30 del Processo verbale)

«que le statut est définitivement adopté en ce qui concerne le trois autres institutions».

Non vi è certo bisogno di ampi sviluppi per convincersi che il solo senso che si possa attribuire a tale decisione è che il testo era stato definitivamente adottato e che non si doveva più modificarlo. Questo tentativo di por fine alle discussioni sullo Statuto non ha però impedito che si discutessero nuovi emendamenti nella riunione della Commissione dei Presidenti del 28 gennaio 1956 nè che venissero apportate modifiche al testo adottato il 12 dicembre 1955; da ciò risulta che «l'adozione definitiva» del 12 dicembre 1955 valeva solo quale deliberazione interna della Commissione dei Presidenti e non escludeva la riapertura della discussione. Tanto è vero che il testo definitivo dello Statuto che fu pubblicato menziona che esso è stato adottato il 28 gennaio 1956 e che rimaneva ancora da stabilire la data della sua entrata in vigore presso le singole Istituzioni. Che non vi possa essere una diversa interpretazione, lo si può desumere dal semplice fatto che il suddetto testo rappresentava soltanto una parte di un complesso di norme sullo stato giuridico del personale: esso prevedeva l'elaborazione di allegati per ciascuna Istituzione nonché l'adozione da parte di una Commissione paritetica del Regolamento del personale, testi questi, essenziali ed indispensabili per dare applicazione allo Statuto propriamente detto.

Riassumendo, si può dire che dopo la riunione del 12 dicembre 1955 rimase definitivamente stabilito che il futuro statuto avrebbe previsto disposizioni sulla posizione di disponibilità — come del resto era il caso in tutti i precedenti progetti. Dalla decisione della Commissione dei Presidenti non discende invece che dette disposizioni fossero da quel momento senz'altro applicabili. Mi sembra che lo stesso patrono del ricorrente lo abbia riconosciuto in udienza. Consentitemi di citare dal verbale un passaggio dell'arringa dell'avvocato Chareyre:

«… à la séance du 12 décembre 1955 le statut a été déclaré adopté en ce qui concerne trois des institutions, et cela implique non pas, peut-ètre, que la mise en vigueur ait été réalisée pour ceux des agents qui étaient appelés à souscrire au statut mais d'après les termes mêmes de l'arrèt Kergall cela impliquait que les règles ainsi adoptées se substituaient sur le champ à celles qui résultaient du règlement intérieur.»

Gli argomenti che l'avvocato Rolin ha oggi esposti in merito «all'adozione» dello Statuto non bastano a convincermi che l'Assemblea Comune aveva l'obbligo di applicarlo senz'altro ed in via generale ai suoi dipendenti dopo ciò che la Commissione dei Presidenti aveva deciso nella sua riunione del 12 dicembre 1955.

E giungo così al secondo argomento del ricorrente che si richiama all'art. 51 del Regolamento provvisorio del personale di data 1o luglio 1953 ed alla sentenza Kergall. Per quanto riguarda detta sentenza il ricorrente può riferirsi solo al passaggio che vi si trova sub I A 4. Vi sono riprodotte le disposizioni dell'art. 15 del contratto d'impiego e dell'art. 51 del menzionato Regolamento per trarre, dal fatto che entrambi gli articoli parlano di uno statuto definitivo, delle deduzioni sul carattere giuridico del contratto d'impiego. Ma la Corte non ha dato un'interpretazione dell'art. 51 del Regolamento provvisorio. Voi conoscete la prima frase di tale articolo:

«Il presente Regolamento sarà sostituito di diritto dallo Statuto del personale della Comunità appena esso verrà adottato.»

Ammettiamo per un istante che sia esatta la tesi del ricorrente e poniamo che il testo adottato dalla Commissione dei Presidenti il 12 dicembre 1955 abbia effettivamente ed immediatamente sostituito il Regolamento provvisorio. Quali ne sarebbero state le conseguenze per il ricorrente? L'art. 2 dello Statuto indica i quattro gruppi di dipendenti cui esso si applica. Il ricorrente non appartiene ad alcuno di tali gruppi. Ai dipendenti in servizio già prima dell'entrata in vigore dello Statuto dovevano anzitutto applicarsi le Disposizioni transitorie necessariamente annesse a norme regolamentari tanto importanti quali erano quelle dello Statuto. L'art. 59 dispone infatti:

«I dipendenti possono venir passati in ruolo …»

E l'art. 3 dello Statuto dispone:

«É vietata qualsiasi nomina che non abbia lo scopo esclusivo di provvedere regolarmente ad un posto vacante.»

Orbene, la decisione del Bureau di data 25 novembre 1955 non prevedeva alcun posto per il ricorrente ed era pertanto impossibile applicargli lo Statuto. Ove lo si fosse nominato al solo scopo di porlo immediatamente in disponibilità, il relativo provvedimento sarebbe stato probabilmente viziato da sviamento di potere.

Ne consegue che anche ove si ammettesse la tesi del ricorrente non se ne potrebbero trarre le conseguenze giuridiche che egli pretende. Mi basti rilevare che la parola «adoption», la quale purtroppo non è un termine tecnico-giuridico, può intendersi nell'art. 51 solo nel senso di «applicabilità»; diversamente si sarebbe prodotto un vuoto giuridico e sarebbero sorte delle contraddizioni. Infine, la parola «Statuto» che figura nello stesso articolo deve essere intesa nel senso di completo ordinamento dello stato giuridico del personale mentre, come abbiamo visto, il testo adottato il 12 dicembre riguardava soltanto le norme fondamentali che andavano ulteriormente completate dagli allegati e dal Regolamento del personale che si dovevano ancora elaborare.

Ne consegue che neppure dal secondo argomento del ricorrente risulta che egli avrebbe dovuto esser posto in disponibilità.

E veniamo al terzo ed ultimo argomento che si basa sui cosidetti «contratti d'ammissione al regime dello Statuto». Dall'esame delle produzioni risulta trattarsi dei seguenti documenti:

1o

una richiesta di ogni dipendente perchè lo Statuto gli venga applicato;

2o

un decreto del Presidente dell'Assemblea Comune relativo ad ogni dipendente che prevede una soluzione temporanea: le clausole del contratto d'impiego e le disposizioni del Regolamento provvisorio del 1o luglio 1953 più non si applicheranno, in linea di principio, dal 31 dicembre 1955; tuttavia, in attesa dell'entrata in vigore dello Statuto ne restano applicabili le singole disposizioni menzionate in un allegato;

3o

una lettera del Segretario generale dell'Assemblea Comune diretta a ciascuno dei dipendenti interessati con cui esso viene assegnato al suo impiego con la data del 1o gennaio 1956 in ottemperanza alla decisione del Bureau del 25 novembre 1955 ed ai sensi dell'art. 12 del Regolamento provvisorio.

Da tali documenti si può dedurre soltanto:

1o

che anche ove il ricorrente avesse richiesto che gli venga applicato lo Statuto non si sarebbe potuto emettere a suo favore un decreto analogo a quelli sovramenzionati in quanto egli non poteva venir destinato ad un posto previsto in bilancio;

2o

che nemmeno ai dipendenti che chiesero l'applicazione dello Statuto ed a favore dei quali è stato emanato uno dei predetti decreti potevasi immediatamente applicare il testo adottato il 12 dicembre 1955. Tutt'al contrario, abbiamo appreso or ora che solo con decisione del 1o ottobre 1956 il Bureau dell'Assemblea Comune ha posto in vigore, con effetto dal 1o luglio 1956, lo Statuto, i suoi allegati ed il Regolamento del personale.

Posto che il contratto d'impiego di tutti i dipendenti scadeva il 31 dicembre 1955 l'Assemblea Comune ha dovuto affrontare il problema di come regolare dopo tale data i rapporti giuridici fra essa ed i suoi dipendenti. Si contava infatti che lo Statuto, i suoi allegati ed il Regolamento del personale sarebbero entrati in vigore entro il 1956 ed il 25 novembre 1955 il Bureau aveva' deciso un riordinamento del Segretariato ed adottato un nuovo organico. In tale situazione i cosidetti «contratti d'ammissione al regime dello Statuto» devono venir considerati come una particolare forma di proroga dei contratti allora in vigore, proroga imposta dal fatto che essi scadevano alla fine dell'anno. Il ricorrente però non poteva fruire di tale proroga in quanto nel nuovo organico che entrava in applicazione il 1o gennaio 1956, non vi era alcun posto per lui.

È con ciò dimostrato che la prima tesi del ricorrente secondo cui egli avrebbe dovuto esser posto in disponibilità in virtù dell'immediata applicazione dello Statuto definitivo del personale, è infondata.

b) Applicazione dei dettami della sentenza Kergall (No 1-55)

Resta ora da vagliare la seconda tesi del ricorrente secondo cui, in ossequio ai dettami della sentenza Kergall, lo si sarebbe comunque dovuto porre in disponibilità. In quella sentenza la Corte ha affermato che per fissare l'indennità prevista dal contratto d'impiego l'amministrazione doveva informarsi alle disposizioni del progetto di Statuto del personale (pag. 12, 1o comma) ed assegnare un'analoga indennità (pag. 14, 5o comma).

Signori, credo d'interpretare rettamente la vostra sentenza deducendone che la Corte non ha mai pensato si dovesse dare applicazione immediata a dei progetti ma che essa ha invece dichiarato che nell'applicazione del contratto d'impiego e del Regolamento provvisorio si doveva tener conto dei principi giuridici cui erano informati i progetti. Nel caso del Kergall ciò significava che applicando l'art. 15 del contratto il quale prevedeva solo il minimo dell'indennità lasciando così al Bureau la facoltà di liquidarla discrezionalmente, questo doveva tener conto della circostanza che il licenziamento del ricorrente era dovuto alla soppressione del posto da lui ricoperto e che per tale ipotesi il progetto prevedeva a favore dell'interessato la messa in disponibilità per tre anni, con la corresponsione integrale degli emolumenti durante un anno e della metà di essi per ulteriori due anni. Questo non è che uno dei principi — a dir vero il più importante, di cui si doveva tener conto nell'applicazione dell'art. 15 del contratto; altri se ne potevano aggiungere e ciò è infatti avvenuto nel caso Kergall; è per averne tenuto conto che la Corte è pervenuta ad assegnare una riparazione pecuniaria il cui importo non corrisponde pienamente a quello previsto dalle disposizioni del progetto di Statuto.

Nella sentenza No 1-55 vi è un passaggio (I A 7) in cui vengono enunciati gli elementi fondamentali della posizione di disponibilità. Dal contesto si envince chiaramente che la Corte li ha enunciati soltanto per delineare il concetto della disponibilità il cui principio è stato mantenuto in tutti i progetti di Statuto del personale e nel testo definitivo, principio che si ritrova nelle norme sul pubblico impiego vigenti in diversi paesi della Comunità. Ma, e ciò risulta dalle conseguenze che ne ha tratte, la Corte non ha inteso affermare che tali disposizioni dovevano venir applicate sin da quell'epoca. Non è quindi esatto affermare, come ha fatto in udien za il ricorrente, (per bocca dell'Avv. Rolin) che in ossequio alla sentenza No 1-55 le disposizioni sulla messa in disponibilità ed in ispecie quella relativa alla precedenza nella riassunzione, erano senz'altro applicabili ad un funzionario contrattualmente assunto. La convenuta non ha nemmeno cercato di applicare direttamente tali disposizioni; ciò risulta dalla circostanza che al ricorrente sono state corrisposte l'indennità di partenza ed una somma globale in contanti, che egli ha accettato, mentre nell'ipotesi di messa in disponibiltà non sono previsti tali versamenti. La convenuta non poteva nemmeno continuare a versare al ricorrente degli importi mensili corrispondenti al suo stipendio stante la mancanza di una base giuridica e di assegnazioni in bilancio a tal fine.

Nella discussione orale è stata sollevata la questione se non sarebbe spettata al ricorrente un'indenità di maggior importo posto che un successivo progetto, presentato nel 1955, prevedeva un periodo di disponibilità di quattro anni in luogo di tre. Tale questione non presenta alcun interesse perchè nel ricorso non si contesta l'importo dell'indennità assegnata e la Corte non potrebbe pronunciarsi ultra petita. Nemmeno la situazione personale del ricorrente nel suo paese d'origine ed il carattere del suo impiego colà offrono qualche interesse in relazione all'ammontare dell'indennità; non è quindi il caso di parlarne.

Per quanto ha tratto alla seconda tesi del ricorrente risulta dunque che le decisioni impugnate non contravvengono ai principi affermati dalla Corte nella sentenza No 1-55. Ad un funzionario contratiaiualmente assunto — il cui stato giuridico, secondo la citata sentenza, è quello di un pubblico funzionario con assunzione temporanea — possono immediatamente applicarsi soltanto le norme del Regolamento provvisorio del personale le quali non prevedono la messa in disponibilità ma consentono soltanto l'assegnazione di una «analoga indennità». Mi sembra che lo stesso patrono del ricorrente lo abbia riconosciuto e precisamente quando in udienza ha affermato, cito l'avvocato Chareyre:

«Le succès de ce deuxième moyen est conditionné par l'opinion que vous aurez du point de savoir quel était le statut auquel était soumis Monsieur Bourgaux au moment où a été prise à son égard la mesure de non renouvellement de son contrai.»

L'esposizione che vi ho fatta dimostra, io credo, che non vi era alcuna norma che prescrivesse di porre in disponibilità il ricorrente. Le decisioni impugnate non potevano pertanto metterlo in disponibilità ed esse non sono quindi inficiate da alcun vizio.

V — RISULTATO DEL MIO ESAME, SPESE E CONCLUSIONI

Appare da quanto ho esposto che il ricorso è infondato. L'art. 60 paragrafo 1 del Regolamento della Corte prevede ciò che ne consegue in materia di spese. Per ciò che riguarda le spese ripetibili mi richiamo alle mie conclusioni nella causa Kergall e secondo le quali, in linea di principio, nelle vertenze fra l'amministrazione ed i suoi dipendenti non si dovrebbero porre a carico del dipendente soccombente gli onorari dell'avvocato dell'amministrazione. Nel caso in esame, la convenuta ha chiesto condannarsi il ricorrente a tutte le spese di causa per il motivo che la lite sarebbe temeraria. Se dovessi esaminare tale pretesa sarei costretto ad addentrarmi in un'esposizione troppo ampia ed esaminare ancora una volta il materiale di causa ed il procedimento. Consentitemi pertanto di rimettermi pienamente alla vostra prudenza per deciderne, anche in via equitativa.

Ciò premesso, io concludo,

per la reiezione del ricorso.

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