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Document 52021XC0323(03)

    Comunicazione della Commissione Guida agli articoli da 34 a 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) (Testo rilevante ai fini del SEE) 2021/C 100/03

    C/2021/1457

    GU C 100 del 23.3.2021, p. 38–89 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    23.3.2021   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

    C 100/38


    COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE

    Guida agli articoli da 34 a 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)

    (Testo rilevante ai fini del SEE)

    (2021/C 100/03)

    PREFAZIONE

    Il piano d’azione a lungo termine per una migliore attuazione e applicazione delle norme del mercato unico (di seguito «piano d’azione per l’applicazione delle norme») (1), adottato nel marzo 2020, è incentrato sul mercato unico e sulla sua applicazione. Per migliorare la conformità ed evitare la segmentazione del mercato, l’azione 1 del piano d’azione per l’applicazione delle norme prevede che la Commissione fornisca strumenti di orientamento più specifici per le autorità nazionali e le parti interessate. Prevede inoltre l’aggiornamento degli orientamenti sull’applicazione degli articoli da 34 a 36 TFUE.

    È quindi in questo contesto che la Commissione ha aggiornato i presenti orientamenti. Il presente documento intende facilitare l’applicazione del diritto dell’UE in materia di libera circolazione delle merci, migliorarne l’applicazione e contribuire ai benefici che il mercato interno delle merci può apportare alle imprese e ai consumatori dell’UE. La sua finalità agevolare la comprensione dell’applicazione degli articoli da 34 a 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) alla luce della giurisprudenza più rilevante in materia formulata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea («la Corte»). Intende inoltre rafforzare l’applicazione coerente del principio della libera circolazione delle merci in tutto il mercato interno, contribuendo ad affrontare eventuali ostacoli rimanenti e impedendo che ne sorgano di nuovi.

    La presente guida si basa sulla precedente edizione del 2009 (2) e integra la giurisprudenza più rilevante formulata dalla Corte negli ultimi undici anni, fornendo così una panoramica circostanziata e aggiornata dell’applicazione degli articoli da 34 a 36 TFUE. Tuttavia, pur riassumendo la giurisprudenza e fornendo osservazioni supplementari, non può essere considerata esaustiva. La presente guida non costituisce un documento giuridicamente vincolante.

    La normativa e le sentenze dell’UE citate nella guida sono consultabili su Eur-lex (3); in particolare le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea sono disponibili anche sul sito web della Corte (4).

    INDICE

    1.

    IL RUOLO E L’IMPORTANZA DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI NEL MERCATO INTERNO 41

    2.

    LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO 41

    3.

    AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 34 TFUE 42

    3.1.

    Condizioni generali 42

    3.1.1.

    Settori non armonizzati 42

    3.1.2.

    Significato di «merci» 42

    3.1.3.

    Destinatari 43

    3.1.4.

    Misure attive e passive 44

    3.2.

    Ambito di applicazione territoriale 45

    3.3.

    Commercio transfrontaliero 45

    3.4.

    Tipi di restrizioni a norma dell’articolo 34 TFUE 46

    3.4.1.

    Restrizioni quantitative 46

    3.4.2.

    Misure di effetto equivalente 46

    3.4.2.1.

    Restrizioni dell’uso 47

    3.4.2.2.

    Modalità di vendita discriminatorie 48

    3.5.

    Il principio del reciproco riconoscimento 49

    4.

    TIPI DI MISURE 51

    4.1.

    Disposizioni nazionali connesse all’atto di importare (licenze d’importazione, ispezioni e controlli) 51

    4.2.

    Obblighi di nominare un rappresentate o di disporre di strutture di stoccaggio nello Stato membro di importazione 51

    4.3.

    Divieti nazionali riguardanti prodotti o sostanze specifici 52

    4.4.

    Misure concernenti i prezzi 53

    4.5.

    Procedure di autorizzazione 55

    4.5.1.

    Omologazione 55

    4.5.2.

    Immatricolazione di veicoli a motore 56

    4.6.

    Restrizioni pubblicitarie 56

    4.7.

    Regolamentazioni tecniche contenenti prescrizioni relative alla presentazione delle merci (peso, composizione, presentazione, etichettatura, forma, dimensioni, imballaggio) 57

    4.8.

    Indicazioni di origine, marchi di qualità e incitamento all’acquisto di prodotti nazionali 58

    4.9.

    Restrizioni alla vendita a distanza (vendita su internet, per corrispondenza ecc.) 59

    4.10.

    Obbligo di deposito cauzionale 59

    4.11.

    Rimborso e importazioni parallele 60

    4.12.

    Obbligo d’uso della lingua nazionale 62

    4.13.

    Restrizioni all’importazione di merci destinate all’utilizzo personale 62

    5.

    PRODOTTI AGRICOLI 63

    6.

    RESTRIZIONI ALL’ESPORTAZIONE (ARTICOLO 35 TFUE) 64

    6.1.

    Definizione di «esportazioni» 64

    6.2.

    Restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente 64

    7.

    GIUSTIFICAZIONI DELLE RESTRIZIONI AGLI SCAMBI COMMERCIALI 66

    7.1.

    Articolo 36 TFUE 66

    7.1.1.

    Moralità, ordine e sicurezza pubblici 67

    7.1.2.

    Tutela della salute e della vita di esseri umani, animali e vegetali (principio di precauzione) 68

    7.1.3.

    Protezione del patrimonio nazionale di valore artistico, storico o archeologico 69

    7.1.4.

    Tutela della proprietà industriale e commerciale 69

    7.2.

    Esigenze imperative 71

    7.2.1.

    Tutela dell’ambiente 72

    7.2.2.

    Protezione dei consumatori 73

    7.2.3.

    Altre esigenze imperative 73

    7.3.

    Verifica della proporzionalità 74

    7.4.

    Onere della prova 76

    8.

    RAPPORTI CON ALTRE LIBERTÀ E ALTRI ARTICOLI DEL TRATTATO CONNESSI ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI 76

    8.1.

    Libertà fondamentali 76

    8.1.1.

    Articolo 45 TFUE — Libera circolazione dei lavoratori 76

    8.1.2.

    Articoli 49 e 56 TFUE — Libertà di stabilimento e prestazione dei servizi 77

    8.1.3.

    Articoli 63 TFUE e seguenti — Libera circolazione dei capitali e dei pagamenti 79

    8.2.

    Altri articoli pertinenti del trattato 79

    8.2.1.

    Articolo 18 TFUE — Non discriminazione in base alla nazionalità 79

    8.2.2.

    Articoli 28 e 30 TFUE — L’unione doganale 80

    8.2.3.

    Articolo 37 TFUE — Monopoli di Stato 80

    8.2.4.

    Articolo 107 TFUE — Aiuti di Stato 82

    8.2.5.

    Articolo 110 TFUE — Disposizioni fiscali 83

    8.2.6.

    Articolo 351 TFUE 84

    9.

    APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 34 E 35 TFUE 84

    9.1.

    Efficacia diretta – applicazione da parte di privati 84

    9.2.

    SOLVIT 84

    9.3.

    Procedimento per infrazione a norma degli articoli 258 e 260 TFUE 85

    9.3.1.

    Procedura di infrazione 85

    9.3.2.

    Denunce 85

    10.

    STRUMENTI ATTINENTI DI DIRITTO DERIVATO 86

    10.1.

    Direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione 86

    10.2.

    Regolamento (UE) 2019/515 sul reciproco riconoscimento 87

    10.3.

    Regolamento (CE) n. 2679/98 — Il regolamento «fragole» 87

    1.   IL RUOLO E L’IMPORTANZA DELLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI NEL MERCATO INTERNO

    Il mercato interno è uno dei maggiori risultati raggiunti dell’UE. È al centro del progetto europeo, ha alimentato la crescita economica negli ultimi decenni e apportato benefici concreti ai consumatori e alle imprese in Europa. Un mercato unico ben funzionante diventa ancora più essenziale durante le crisi sanitarie come la pandemia di COVID-19. Consente ai prodotti di circolare liberamente, garantendone la disponibilità e raggiungendo coloro che più ne hanno bisogno in tutta l’UE.

    L’integrità del mercato unico è inoltre uno strumento necessario per alimentare la ripresa collettiva delle economie di tutti gli Stati membri. A tale riguardo il mercato interno non solo permette ai cittadini dell’UE di avere a disposizione una scelta più ampia di prodotti, ma offre anche agli operatori economici dell’UE un vasto mercato interno, stimolando gli scambi e la concorrenza e migliorando l’efficienza.

    L’odierno mercato interno agevola l’acquisto e la vendita di prodotti nei 27 Stati membri dell’UE, con una popolazione complessiva di oltre 450 milioni di persone, e offre ai consumatori un’ampia scelta di prodotti. Al tempo stesso la libera circolazione delle merci rappresenta un vantaggio per le imprese, dato che circa il 75 % degli scambi commerciali interni all’UE riguarda le merci. Il mercato unico europeo aiuta le imprese dell’UE a strutturare una solida piattaforma in un ambiente aperto, diversificato e competitivo. Tale solidità promuove la crescita e la creazione di posti di lavoro nell’UE e offre alle imprese europee le risorse di cui necessitano per ottenere risultati positivi nel mercato globale. Il corretto funzionamento del mercato interno delle merci è quindi un elemento essenziale per la prosperità attuale e futura dell’UE nel contesto di un’economia globalizzata (5).

    Dal punto di vista giuridico, un elemento chiave nella creazione e nello sviluppo del mercato interno è il principio della libera circolazione delle merci. Gli articoli da 34 a 36 TFUE definiscono l’ambito di applicazione e il contenuto del principio, vietando restrizioni ingiustificate al commercio interno all’UE. Tuttavia sono applicabili solo in settori non armonizzati.

    La normativa di armonizzazione è costituita da regolamenti e direttive dell’UE che mirano a creare norme comuni applicabili in tutti gli Stati membri. Mentre i regolamenti sono atti direttamente applicabili e vincolanti che devono essere applicati integralmente in tutta l’UE, le direttive sono atti che si limitano a fissare un obiettivo che tutti gli Stati membri devono raggiungere. La normativa di armonizzazione ha precisato il significato del mercato interno in molti settori, inquadrando il principio della libera circolazione delle merci in termini concreti per prodotti specifici. Tuttavia il ruolo fondamentale dei principi del trattato, che fungono da pilastro e rete di sicurezza del mercato interno, rimane immutato.

    La libera circolazione delle merci odierna racchiude molte politiche e si adatta facilmente a un mercato interno responsabile che permette di accedere agevolmente a prodotti di elevata qualità, pur garantendo un elevato livello di protezione di altri interessi generali.

    2.   LE DISPOSIZIONI DEL TRATTATO

    Le principali disposizioni del trattato che disciplinano la libera circolazione delle merci sono:

    l’articolo 34 TFUE, che riguarda le importazioni interne all’UE e vieta «restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente» fra gli Stati membri. Esso recita: «Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente»;

    l’articolo 35 TFUE, che riguarda le esportazioni da uno Stato membro all’altro e vieta analogamente «le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente». Esso recita: «Sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente»;

    l’articolo 36 TFUE, che prevede la possibilità di deroghe alle libertà del mercato interno di cui agli articoli 34 e 35 TFUE, se giustificate da motivi specifici. Esso recita: «Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri».

    Il capitolo del trattato sul divieto alle restrizioni quantitative tra gli Stati membri contiene anche, all’articolo 37 TFUE, norme sul riordinamento dei monopoli nazionali che presentano un carattere commerciale. Il suo ruolo e il rapporto con gli articoli da 34 a 36 TFUE sono descritti brevemente al capitolo 6 della presente guida, che contempla anche altri articoli del trattato.

    3.   AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 34 TFUE

    3.1.   Condizioni generali

    3.1.1.   Settori non armonizzati

    Gli articoli da 34 a 36 TFUE gettano le basi del principio della libera circolazione delle merci, ma non sono gli unici parametri giuridici per valutare la compatibilità delle misure nazionali con le norme del mercato interno. Tali articoli si applicano nei casi in cui un dato prodotto non è contemplato o è contemplato solo parzialmente dalla normativa di armonizzazione dell’UE. Ciò si verifica quando le specifiche tecniche di un determinato prodotto o le sue condizioni di vendita sono soggette ad armonizzazione per effetto di direttive o regolamenti adottati dall’UE. La prima regola da osservare è pertanto che, qualora un settore sia stato oggetto di armonizzazione esaustiva al livello dell’Unione, ogni misura nazionale ad esso relativa deve essere valutata alla luce delle disposizioni di tale misura di armonizzazione e non di quelle del diritto primario (6). Tuttavia, in caso di errato recepimento di norme di diritto derivato che puntano a rimuovere ostacoli al mercato interno, i privati danneggiati da tale errato recepimento possono avvalersi delle disposizioni del trattato concernenti la libera circolazione delle merci per chiamare in causa la responsabilità del relativo Stato membro per violazione del diritto dell’UE (7).

    Laddove si applichi la normativa di diritto derivato, qualsiasi misura nazionale ad essa relativa deve essere valutata in rapporto alle disposizioni di armonizzazione (8). Ciò è dovuto al fatto che la normativa di armonizzazione può essere intesa come una conferma del principio della libera circolazione delle merci in quanto crea diritti e doveri reali da osservare nel caso di prodotti specifici.

    Ciò può essere constatato nella causa C-292/12, Ragn-Sells, che riguardava taluni documenti redatti da un comune nel corso di un procedimento per l’attribuzione di una concessione per il servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti nel suo territorio. La Corte ha stabilito che, poiché il regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio (9) relativo alle spedizioni di rifiuti intende fornire un sistema armonizzato di procedimenti attraverso i quali limitare la circolazione dei rifiuti al fine di garantire la tutela dell’ambiente, non era necessario verificare se la misura nazionale fosse conforme agli articoli da 34 a 36 TFUE (10). Anche dopo decenni di attività scrupolosa da parte del legislatore dell’UE nello stabilire un sistema di norme armonizzate, le disposizioni del trattato sulla libera circolazione delle merci non sono diventate superflue e il loro ambito di applicazione è tuttora molto ampio. Non di rado emergono norme relative a taluni settori che non sono ancora armonizzate o che lo sono solo in parte. Nei casi in cui la normativa di armonizzazione non è presente o non è esaustiva, si applicano gli articoli da 34 a 36 TFUE. Da questo punto di vista gli articoli del trattato fungono da rete di sicurezza, assicurando che qualsiasi ostacolo agli scambi commerciali nel mercato interno sia sottoposto a un esame di compatibilità con il diritto dell’UE.

    3.1.2.   Significato di «merci»

    Gli articoli 34 e 35 TFUE contemplano le importazioni e le esportazioni di merci e prodotti di qualsiasi tipo. Qualsiasi merce può rientrare nell’ambito di applicazione degli articoli del trattato, a condizione che abbia un valore economico: «per merci ai sensi del trattato si devono intendere i prodotti pecuniariamente valutabili e come tali atti a costituire oggetto di negozi commerciali» (11).

    Nella sua giurisprudenza la Corte di giustizia ha chiarito la corretta designazione di specifici prodotti. Ad esempio le opere d’arte devono essere considerate merci (12). Le monete non più in circolazione come valuta rientrano parimenti nella definizione di merci, così come le banconote e gli assegni al portatore (13), ma non le donazioni in natura (14). I rifiuti devono essere considerati merci, a prescindere dalla possibilità di riciclarli o riutilizzarli (15). Anche l’energia elettrica (16) e il gas naturale (17) sono considerati merci, così come il sangue umano, il plasma e i medicinali da essi derivati (18).

    È tuttavia importante operare una distinzione giuridica tra beni e servizi ai fini delle libertà sancite dal trattato (19). Ad esempio, se il pesce rientra sicuramente tra le merci, il diritto di pesca e l’autorizzazione alla pesca al lancio non sono necessariamente contemplati dal principio della libera circolazione delle merci. Essi costituiscono piuttosto «un’attività di servizi» ai sensi delle disposizioni del trattato relative alla libera prestazione dei servizi (20). Se una misura statale incide sia sulla libera prestazione dei servizi sia sulla libera circolazione delle merci, la Corte può esaminare la misura in relazione a entrambe le libertà. Ad esempio nella causa C-591/17, Austria/Germania, concernente un canone per l’uso delle infrastrutture e l’esenzione dalla tassa sugli autoveicoli per i veicoli immatricolati in Germania, la Corte ha esaminato la questione alla luce dell’articolo 34 TFUE e della libera prestazione dei servizi a norma dell’articolo 56 TFUE. Inoltre ha esaminato l’oggetto della causa in relazione ai principi di non discriminazione di cui all’articolo 18 TFUE e all’articolo 92 TFUE, che proibisce qualsiasi discriminazione nel settore dei trasporti (21).

    3.1.3.   Destinatari

    Gli articoli da 34 a 36 TFUE concernono le misure adottate dagli Stati membri. Tali disposizioni sono state interpretate in maniera ampia per vincolare non solo le autorità nazionali, ma anche tutte le altre autorità di un paese, compresi gli enti locali e regionali (22), nonché gli organi giudiziari o amministrativi di uno Stato membro (23). Esse contemplano quindi le misure adottate da tutti gli organismi definiti dal diritto pubblico come «enti pubblici». Gli articoli da 34 a 36 TFUE possono inoltre applicarsi a misure adottate da attori non statali o altri organismi istituiti a norma del diritto privato, a condizione che assolvano talune funzioni pubbliche o che le loro attività possano essere altrimenti imputate allo Stato. Le misure adottate da un organismo professionale, cui la legislazione nazionale abbia accordato poteri regolamentari e disciplinari in rapporto alla relativa professione, possono dunque rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE (24).

    Lo stesso vale per i soggetti di diritto privato dotati di personalità giuridica che sono finanziati in modo maggioritario dallo Stato o da contributi obbligatori versati dalle imprese di un determinato settore e/o i cui membri sono designati da enti pubblici o sono soggetti al controllo di questi ultimi e le cui attività possono pertanto essere imputate allo Stato (25). Nella sentenza Fra.bo la Corte ha concluso che l’articolo 34 TFUE si applica orizzontalmente a un ente di certificazione di diritto privato. Le autorità nazionali consideravano i prodotti certificati da tale ente conformi all’ordinamento nazionale. In virtù di tale competenza, acquisita di fatto, l’ente di certificazione aveva il potere di regolamentare l’ingresso di prodotti, nel caso di specie raccordature di rame, sul mercato tedesco (26). La Corte ha riconosciuto che le dichiarazioni pubbliche di un funzionario statale, anche se prive di forza giuridica, sono imputabili a uno Stato membro e possono costituire un ostacolo alla libera circolazione delle merci, in particolare se i destinatari di tali dichiarazioni possono ragionevolmente supporre che si tratti di posizioni che il funzionario assume con l’autorità derivante dalla sua funzione (27).

    Sebbene il termine «Stato membro» sia stato interpretato in maniera ampia, generalmente esso non si applica a misure «puramente» private o a misure adottate da privati cittadini o imprese private, dato che tali misure non sono imputabili allo Stato. Tuttavia nella causa C-265/95, Commissione/Francia, la Corte ha ritenuto che la Francia, non avendo adottato tutti i provvedimenti necessari e adeguati per prevenire atti dannosi di privati, nel caso di specie agricoltori francesi che avevano sabotato derrate agricole importate, avesse violato l’articolo 34 TFUE in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TFUE (28). Benché la restrizione in questione fosse il risultato di azioni intraprese da individui, lo Stato membro è stato riconosciuto responsabile di una violazione del diritto dell’UE per non aver adottato provvedimenti sufficienti a tutelare la libera circolazione delle merci.

    L’articolo 34 TFUE è stato infine applicato anche a misure adottate dalle istituzioni dell’UE. Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale, al legislatore dell’UE va tuttavia riconosciuto un ampio potere discrezionale. Di conseguenza solo la manifesta inidoneità di una misura adottata da un’istituzione dell’UE, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale misura (29).

    3.1.4.   Misure attive e passive

    Spesso caratterizzata come un diritto di difesa, l’applicazione dell’articolo 34 TFUE alle misure nazionali che ostacolano il commercio transfrontaliero presuppone necessariamente un’attività da parte dello Stato. Di conseguenza le misure che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE consistono primariamente in disposizioni normative vincolanti degli Stati membri. Tuttavia anche misure non vincolanti possono comportare una violazione dell’articolo 34 TFUE (30). Ciò vale per le prassi amministrative che possono comportare un ostacolo per la libera circolazione delle merci, qualora risultino in una certa misura costanti e generali (31).

    Esempi di pratiche amministrative considerate misure di effetto equivalente dalla Corte di giustizia comprendono: il rifiuto sistematico di concedere l’omologazione di macchine affrancatrici, che è stato ritenuto per sua natura protezionistico e discriminatorio (32); la sistematica classificazione come medicinali per funzione, e il loro ritiro dal commercio in assenza di un’autorizzazione all’immissione in commercio, di prodotti a base di piante medicinali legalmente fabbricati o commercializzati in altri Stati membri come integratori alimentari o prodotti dietetici (33); la classificazione automatica dei preparati vitaminici come «medicinali» dopo essere stati legalmente fabbricati o commercializzati negli altri Stati membri come integratori alimentari, che contengono il triplo delle vitamine (34); l’istituzione di un requisito secondo cui prodotti alimentari arricchiti, legalmente prodotti o commercializzati in altri Stati membri, possono essere commercializzati in Danimarca solo se viene dimostrato che tale arricchimento in nutrienti soddisfa un bisogno della popolazione danese (35).

    Alla luce degli obblighi incombenti agli Stati membri a norma dell’articolo 4, paragrafo 3, TFUE, che impone loro di adottate tutte le misure atte ad assicurare l’adempimento degli obblighi sanciti dal trattato e l’effetto utile del diritto dell’Unione, la Corte ha concluso che l’articolo 34 TFUE vieta agli Stati membri non solo il compimento di azioni che costituiscono violazioni, ma anche l’omissione di azioni. Tale circostanza può verificarsi quando uno Stato membro si astiene dall’adottare misure necessarie a far fronte a ostacoli alla libera circolazione delle merci, e l’ostacolo specifico può perfino conseguire da attività di privati. Nella causa C-265/95 la Francia è stata ritenuta responsabile per atti commessi da agricoltori francesi che tentavano di limitare l’importazione di derrate agricole da Stati membri vicini intercettando gli autocarri che trasportavano tali merci e/o distruggendone il carico. Il mancato intervento delle autorità nazionali contro tali atti è stato considerato una violazione dell’articolo 34 TFUE, poiché gli Stati membri sono obbligati a garantire la libera circolazione dei prodotti sul loro territorio adottando i provvedimenti necessari e appropriati per eliminare qualsiasi ostacolo derivante da atti di privati (36).

    L’articolo 34 TFUE può inoltre comportare un obbligo di risultati. Tale obbligo è violato se uno Stato membro non persegue gli obiettivi a causa di una sua mancata o insufficiente attività. Nella causa C-309/02, ad esempio, la Corte, pronunciandosi in via pregiudiziale, ha ritenuto che le norme tedesche fossero contrarie all’articolo 34 TFUE, in quanto non assicuravano che soggetti privati potessero effettivamente partecipare a un sistema obbligatorio di ritiro di imballaggi monouso per bevande (37).

    3.2.   Ambito di applicazione territoriale

    L’obbligo di rispettare le disposizioni degli articoli da 34 a 36 TFUE si applica a tutti gli Stati membri dell’UE. Inoltre le disposizioni del trattato possono applicarsi a territori europei delle cui relazioni esterne è responsabile uno Stato membro, nonché a territori d’oltremare che dipendono o sono in altro modo associati a uno Stato membro (38).

    Per un resoconto dettagliato dei territori cui si applica l’articolo 34 TFUE, si veda l’allegato della presenta guida.

    Per quanto concerne i paesi EFTA che sono parti contraenti dell’accordo SEE e la Turchia, gli scambi di merci tra questi paesi e gli Stati membri dell’UE sono regolamentati da disposizioni di accordi specifici e non dal TFUE. Di conseguenza i prodotti di cui all’articolo 8, paragrafo 3, dell’accordo SEE e originari dell’Islanda, del Lichtenstein e della Norvegia godono di libera circolazione nell’UE in virtù dell’articolo 11 dell’accordo SEE. I prodotti industriali originari della Turchia godono di libera circolazione nell’UE in virtù degli articoli da 5 a 7 della decisione n. 1/95 del Consiglio di associazione CE-Turchia relativa all’attuazione della fase finale dell’Unione doganale (39).

    3.3.   Commercio transfrontaliero

    L’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE è circoscritto agli ostacoli agli scambi commerciali tra gli Stati membri. Per poter valutare un caso alla luce di tale disposizione è pertanto necessario un elemento transfrontaliero. Le misure esclusivamente nazionali, che riguardano solo merci nazionali, sono escluse dall’ambito di applicazione degli articoli da 34 a 36 TFUE. Affinché una misura soddisfi il requisito dell’elemento transfrontaliero, è sufficiente che sia idonea a ostacolare indirettamente o potenzialmente il commercio interno all’UE (40).

    Teoricamente l’elemento transfrontaliero richiesto dalle disposizioni del trattato non impedisce agli Stati membri di riservare alla propria produzione nazionale un trattamento meno favorevole rispetto ai prodotti importati («discriminazione inversa»), sebbene si tratti di un caso poco probabile nella pratica. Benché l’articolo 34 TFUE si applichi ai prodotti reimportati, ossia prodotti che lasciano lo Stato membro ma vengono importati nuovamente (41), esso non si applica se il solo scopo della reimportazione è quello di eludere le norme nazionali (42).

    Il requisito dell’elemento transfrontaliero è soddisfatto anche se il prodotto si limita a transitare nello Stato membro in questione. A tale proposito l’articolo 36 TFUE afferma chiaramente che le restrizioni al transito delle merci rientrano nell’ambito di applicazione delle disposizioni degli articoli 34 e 35 TFUE.

    Il principio della libera circolazione delle merci si applica ai prodotti originari degli Stati membri e ai prodotti provenienti da paesi terzi che si trovano in libera pratica negli Stati membri. L’articolo 29 TFUE stabilisce che sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da paesi terzi per i quali siano state adempiute le formalità di importazione e siano stati riscossi i dazi doganali esigibili. Nella causa C-30/01, Commissione/Regno Unito, la Corte ha confermato che, a norma dell’articolo 29, paragrafo 2, TFUE, le misure adottate ai fini degli scambi commerciali interni all’UE si applicano in maniera identica sia ai prodotti originari degli Stati membri sia ai prodotti provenienti da paesi terzi (43).

    In base a una giurisprudenza consolidata, una misura nazionale non si sottrae al divieto di cui agli articoli 34 e 35 TFUE per il solo fatto che l’ostacolo sia di lieve entità e sussistano altre possibilità di smercio dei prodotti (44). Anche se una misura ha una rilevanza economica relativamente ridotta, è applicabile solamente a un’area geografica molto limitata del territorio nazionale (45) o influenza solo un esiguo numero di importatori/esportatori o di operatori economici, può costituire comunque una misura di effetto equivalente vietata.

    Possono tuttavia essere distinte da quanto precede le misure statali che sono troppo aleatorie e indirette per avere un effetto restrittivo sul commercio tra gli Stati membri (46). Nella causa C-297/05, ad esempio, la Corte ha ritenuto che una formalità amministrativa introdotta dai Paesi Bassi che richiedeva l’identificazione dei veicoli importati nel paese prima della loro immatricolazione non fosse «tale da avere un qualsivoglia effetto deterrente sull’importazione di un veicolo nello Stato membro di cui trattasi o da rendere detta importazione meno interessante» (47). La misura in questione non rientrava dunque nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE.

    3.4.   Tipi di restrizioni a norma dell’articolo 34 TFUE

    3.4.1.   Restrizioni quantitative

    Le restrizioni quantitative sono state definite come misure aventi il carattere di proibizione, totale o parziale, di importare o di far transitare merci (48). Tra gli esempi di tali misure si può annoverare quello di un divieto esplicito di importazione o un sistema di contingenti (49). In altre parole, si applicano le restrizioni quantitative qualora siano stati raggiunti certi massimali di importazione o esportazione. Tuttavia solo i contingenti non tariffari rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE, dato che i contingenti tariffari sono contemplati all’articolo 30 TFUE che vieta i dazi doganali all’importazione o all’esportazione e le tasse di effetto equivalente.

    Una restrizione quantitativa può fondarsi su disposizioni statutarie o essere una semplice prassi amministrativa. Quindi persino un sistema di contingenti celato o nascosto rientrerà nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE.

    3.4.2.   Misure di effetto equivalente

    Il termine «misure di effetto equivalente» ha un ambito di applicazione molto più ampio rispetto alle restrizioni quantitative. Per quanto non sia semplice tracciare una precisa distinzione tra le restrizioni quantitative e le misure di effetto equivalente, nella pratica ciò non ha molta importanza, dato che le norme si applicano in generale con le stesse modalità sia alle restrizioni quantitative sia alle misure di effetto equivalente.

    Nella sentenza Dassonville la Corte ha dato un’interpretazione del significato e dell’ambito di applicazione delle misure di effetto equivalente (50):

    «Ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari va considerata come una misura d’effetto equivalente a restrizioni quantitative».

    Tale definizione è stata confermata dalla successiva giurisprudenza con piccole varianti. Il termine «normativa commerciale» oggi non compare più, poiché la formula della causa Dassonville non si limita in realtà alla normativa commerciale, ma comprende anche, ad esempio, regolamentazioni tecniche e persino atti non vincolanti.

    Nella sentenza Dassonville la Corte ha sottolineato che l’elemento più importante che determina se una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE è il suo effetto («[…]che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza») (51). Di conseguenza una misura nazionale non deve necessariamente contenere un elemento discriminatorio per essere contemplata dall’articolo 34 TFUE.

    La storica sentenza della Corte nella causa Cassis de Dijon (52) ha sancito tale approccio. Riconoscendo che l’esistenza di differenze tra le norme nazionali degli Stati membri possa inibire lo scambio di merci, la Corte ha confermato che l’articolo 34 TFUE può interessare anche misure nazionali che si applicano in egual misura alle merci nazionali e importate. In questo caso gli Stati membri possono derogare non solo sulla base dell’articolo 36 TFUE, ma anche in virtù di esigenze imperative, un concetto sancito per la prima volta in tale sentenza.

    In sintesi l’articolo 34 TFUE si applica alle misure nazionali che discriminano merci importate (le cosiddette misure distintamente applicabili) e alle misure nazionali che di diritto sembrano applicarsi in egual misura alle merci sia nazionali sia importate, ma che di fatto impongono un onere aggiuntivo alle importazioni (le cosiddette misure indistintamente applicabili) (53). Tale onere deriva dal fatto che le merci importate devono rispettare due insiemi di norme: quelle stabilite dallo Stato membro di produzione e quelle stabilite dallo Stato membro di importazione.

    Di conseguenza le misure di effetto equivalente a una restrizione quantitativa sono giunte a includere anche ogni altra misura in grado di ostacolare l’accesso al mercato (54). A tale proposito, nella causa Commissione/Spagna (55) la Corte ha affermato che dalla giurisprudenza emerge chiaramente che una misura, pur non avendo per oggetto o per effetto la penalizzazione di prodotti provenienti da altri Stati membri, rientra nella nozione di misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell’articolo 34 TFUE qualora ostacoli l’accesso al mercato di uno Stato membro di prodotti originari di altri Stati membri.

    Il presupposto alla base del cosiddetto criterio di accesso al mercato è che le condizioni di accesso siano in certa misura più ostiche per i prodotti importati. Spesso la Corte sottolinea la necessità di valutare se la misura in questione abbia un’influenza notevole sulle scelte dei consumatori, rendendo meno interessante l’acquisto di un prodotto importato (56).

    La definizione delle misure di effetto equivalente è dunque ampia e in costante evoluzione. Nella causa C-591/17, Austria/Germania, ad esempio, la Corte ha ritenuto che l’applicazione di un canone per l’uso delle infrastrutture e l’esenzione dalla tassa sugli autoveicoli per i veicoli immatricolati in Germania potessero ostacolare l’accesso al mercato tedesco dei prodotti provenienti da altri Stati membri e costituissero dunque una restrizione alla libera circolazione delle merci. La Corte ha rilevato che, benché il canone per l’uso delle infrastrutture non venisse riscosso sulle merci trasportate in quanto tali, esso poteva nondimeno incidere sulle merci trasportate mediante autoveicoli privati di peso inferiore o uguale a 3,5 tonnellate, immatricolati in uno Stato membro diverso dalla Germania (57).

    Un altro esempio della natura dinamica della nozione di misure di effetto equivalente è riscontrabile nella causa C-573/12, Ålands Vindkraft, concernente un regime nazionale di sostegno all’energia elettrica verde i cui certificati erano concessi solo ai produttori svedesi di energie rinnovabili, anche se l’energia elettrica da questi fornita o utilizzata poteva includere quella importata. La Corte ha ritenuto che un simile regime potesse ostacolare, quantomeno indirettamente e potenzialmente, le importazioni di energia elettrica (verde) da altri Stati membri. La Corte ha sottolineato che il fatto che uno Stato membro venga meno all’obbligo di adottare le misure sufficienti per impedire ostacoli alla libera circolazione delle merci è idoneo a ostacolare gli scambi commerciali interni all’UE esattamente come un atto positivo e ha ritenuto pertanto che la normativa in questione costituisse una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione (58).

    3.4.2.1.   Restrizioni dell’uso

    La giurisprudenza della Corte ha elaborato piuttosto di recente una categoria di restrizioni: le restrizioni dell’uso. Tali restrizioni sono introdotte da norme nazionali che autorizzano la vendita di un prodotto ma ne limitano in una certa misura l’uso. Le restrizioni dell’uso possono riferirsi allo scopo o alle modalità di un particolare uso, al contesto, al momento, alla portata o al tipo dell’uso. In determinate circostanze possono costituire misure di effetto equivalente a una restrizione quantitativa.

    Tre sono le cause rilevanti: la prima è la causa Commissione/Portogallo (59) in relazione a una legge portoghese che proibiva l’applicazione di pellicole colorate sui vetri degli autoveicoli. La Commissione ha sostenuto che gli eventuali interessati, commercianti o privati, sapendo di non poter applicare pellicole del genere sui vetri degli autoveicoli, non le avrebbero acquistate (60). La Corte ha accettato tale argomentazione, rilevando che «[...] gli eventuali interessati, commercianti o privati, sapendo che è loro vietato applicare pellicole del genere sul parabrezza e sui vetri che corrispondono ai sedili dei passeggeri degli autoveicoli, non hanno praticamente alcun interesse ad acquistarle» (61). Di conseguenza ha concluso che il Portogallo è venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 34 TFUE.

    La seconda causa è Commissione/Italia (62) nella quale si chiedeva alla Corte di valutare se, istituendo norme che vietavano il traino di rimorchi da parte dei motocicli, l’Italia fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 34 TFUE. La Corte ha affermato che, per i rimorchi concepiti per essere trainati dai motoveicoli, altre modalità d’uso sono possibili solo marginalmente, e che i consumatori, sapendo di non poter attaccare al proprio motoveicolo rimorchi specifici per motoveicoli, non hanno praticamente nessun interesse a comprare rimorchi di questo tipo (63). Conseguentemente il divieto in questione costituiva violazione dell’articolo 34 TFUE.

    Infine la terza causa è Mickelsson e Roos (64) concernente una domanda di pronuncia pregiudiziale che sollevava la questione se gli articoli 34 e 36 TFUE ostassero alle norme svedesi sull’uso di moto d’acqua. In base alla normativa svedese l’utilizzo di tali moto in corridoi non considerati corridoi pubblici di navigazione e in specchi d’acqua nei quali l’uso non era stato autorizzato dall’amministrazione provinciale era vietato e sanzionato con un’ammenda. La Corte ha affermato che, qualora tali norme producessero l’effetto di impedire agli utilizzatori di moto d’acqua di farne un uso appropriato e conforme a tali prodotti o di limitarne fortemente l’uso, esse avrebbero l’effetto di ostacolare l’accesso di tali prodotti al mercato nazionale. Dato che le concrete possibilità di utilizzo delle moto d’acqua in Svezia erano meramente marginali, le norme nazionali costituivano misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative (65). La Corte ha tuttavia ritenuto che le norme nazionali potessero essere giustificate in considerazione dell’obiettivo di tutelare l’ambiente, purché fossero rispettate talune condizioni supplementari (66). Nella causa Sandström la Corte ha ulteriormente precisato le condizioni che possono giustificare il divieto di utilizzare una moto d’acqua su specchi d’acqua diversi dai corridoi di navigazione designati (67).

    Come osservato in precedenza, la valutazione delle restrizioni dell’uso è guidata anche dal criterio di accesso al mercato. Oltre agli effetti della misura sul mercato, la Corte valuta anche gli effetti che potrebbe avere sulla condotta dei consumatori. In sintesi è possibile affermare che le misure che impongono un divieto totale di utilizzo di un determinato prodotto, impedendone un uso appropriato e conforme al fine cui esso è destinato o limitandone fortemente l’utilizzo, possono rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE.

    3.4.2.2.   Modalità di vendita discriminatorie

    Circa venti anni dopo la causa Dassonville, la Corte ha ritenuto necessario rivedere la propria giurisprudenza in merito all’ambito di applicazione della nozione di «misure di effetto equivalente» ai sensi dell’articolo 34 TFUE. La Corte ha pertanto istituito la nozione di modalità di vendita nella storica sentenza Keck e Mithouard concernente il divieto di rivendita in perdita imposto dalla legislazione francese (68), e ha statuito che «non può costituire ostacolo diretto o indiretto, in atto o in potenza, agli scambi commerciali tra gli Stati membri ai sensi della giurisprudenza Dassonville l’assoggettamento di prodotti provenienti da altri Stati membri a disposizioni nazionali che limitino o vietino talune modalità di vendita, sempreché:

    1.

    tali disposizioni valgano nei confronti di tutti gli operatori interessati che svolgano la propria attività sul territorio nazionale, e

    2.

    incidano in egual misura, tanto sotto il profilo giuridico quanto sotto quello sostanziale, sullo smercio dei prodotti sia nazionali sia provenienti da altri Stati membri» (69).

    Le norme che fissano requisiti cui le merci devono rispondere continuano a essere esaminate alla luce della sentenza Cassis de Dijon e rientrano quindi di per sé nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE. Invece le modalità di vendita rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE solo se la parte che invoca una violazione può provare che esse introducono una discriminazione, di diritto o di fatto, in base all’origine del prodotto.

    Nella causa C-591/17, Repubblica d’Austria, la Corte ha descritto le modalità di vendita come norme nazionali concernenti le «modalità secondo cui i prodotti possono essere venduti» (70). Di conseguenza tra le modalità di vendita rientrano misure relative alle condizioni e ai metodi di commercializzazione (cfr. sezione 4.6) (71), alle circostanze temporali della vendita delle merci (72), al luogo della vendita delle merci o a restrizioni concernenti chi può vendere le merci (73) nonché, in alcuni casi, misure riguardanti la fissazione dei prezzi dei prodotti (cfr. sezione 4.4) (74). Comprendere quali sono i tipi di misure che hanno per oggetto le caratteristiche dei prodotti è relativamente più semplice che comprendere quali sono i tipi di misure che costituiscono modalità di vendita. Le misure relative alle caratteristiche di un prodotto possono riguardare, ad esempio, forma, dimensioni, peso, composizione, presentazione o identificazione (cfr. sezione 4.7).

    A titolo di esempio di quanto sopra esposto, con la sentenza Alfa Vita (75), la Corte ha statuito che una normativa nazionale che subordinava la vendita di prodotti «bake-off» agli stessi requisiti applicabili all’intero processo di panificazione e di vendita del pane tradizionale e dei tradizionali prodotti da forno violava l’articolo 34 TFUE e non poteva considerarsi una modalità di vendita. La Commissione è pervenuta a tale conclusione basandosi sulla considerazione che imporre ai venditori di prodotti «bake-off» di adeguarsi a tutte le prescrizioni che si applicano a un panificio tradizionale non tiene conto della specificità di tali prodotti e comporta costi supplementari che rendono più difficile la loro vendita (76).

    Anche talune procedure o taluni obblighi non concernenti il prodotto o il suo imballaggio possono essere considerati modalità di vendita, come evidenziato nella causa Sapod Audic/Eco-Emballages (77). La misura nazionale esaminata in tale causa imponeva a ogni produttore o importatore di contribuire o di provvedere allo smaltimento di tutti i suoi rifiuti di imballaggio. La Corte ha sottolineato che la misura imponeva solo «un obbligo generico di indicare gli imballaggi che sono affidati, ai fini del loro smaltimento, ad un’impresa autorizzata» (78) e ha stabilito di conseguenza che «l’obbligo da essa imposto non si riferisce come tale al prodotto o al suo imballaggio e quindi non riguarda in se stesso una norma che detti requisiti a cui devono rispondere determinate merci, come quelli relativi, segnatamente, alla loro etichettatura o al loro confezionamento» (79). Di conseguenza tale obbligo poteva considerarsi una modalità di vendita.

    Ricapitolando, le modalità di vendita sono misure che riguardano la commercializzazione della merce piuttosto che le sue caratteristiche (80) e che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE nel caso in cui soddisfino le due suddette condizioni cumulative definite nella sentenza Keck.

    3.5.   Il principio del reciproco riconoscimento

    Ostacoli tecnici alla libera circolazione delle merci possono emergere quando le autorità nazionali applicano norme nazionali che stabiliscono requisiti che le merci legalmente commercializzate in altri Stati membri devono rispettare. Le merci «legalmente commercializzate in un altro Stato membro» sono merci, o merci di quel tipo, conformi alle pertinenti regole tecniche applicabili in quello Stato membro o non soggette a dette regole tecniche nazionali in quello Stato membro, e che sono messe a disposizione degli utilizzatori finali in quello Stato membro. Se non attuano normative di diritto derivato dell’UE, le norme nazionali costituiscono ostacoli tecnici contemplati dagli articoli 34 e 36 TFUE, anche se si applicano a tutti i prodotti senza distinzione.

    Il principio del reciproco riconoscimento è stato istituito dalla giurisprudenza della Corte. Nella sentenza Cassis de Dijon (81) la Corte ha statuito che, in assenza di armonizzazione, le norme nazionali che stabiliscono requisiti (ad esempio in relazione a designazione, forma, dimensioni, peso, composizione, prestazione, etichettatura, imballaggio) che devono essere rispettati da prodotti provenienti da altri Stati membri, in cui essi sono legalmente fabbricati e commercializzati, rappresentano ostacoli alla libera circolazione delle merci e costituiscono misure di effetto equivalente vietate dall’articolo 34 TFUE.

    Il principio del reciproco riconoscimento stabilisce che, se un’impresa vende legalmente un prodotto in uno Stato membro, conformemente alle regole tecniche nazionali applicabili in quello Stato membro, dovrebbe poterlo vendere in altri Stati membri senza doverlo adattare alle norme nazionali dello Stato membro di importazione.

    Di conseguenza, in linea di principio gli Stati membri di destinazione non possono limitare o rifiutare l’immissione sul mercato di merci che non sono soggette alle misure di armonizzazione dell’UE e che sono legalmente commercializzate in un altro Stato membro, anche se sono state fabbricate in base a regole tecniche e norme di qualità differenti da quelle cui devono attenersi i prodotti nazionali. Lo stesso vale se lo Stato membro di origine non assoggetta il prodotto in questione ad alcuna regola tecnica.

    Tuttavia tale principio non è assoluto: una restrizione può essere giustificata da un obiettivo di interesse generale.

    Di conseguenza il reciproco riconoscimento non dovrebbe essere considerato un elemento che comporta un abbassamento dei livelli di tutela della salute, dell’ambiente e della sicurezza o che limita le capacità di vigilanza del mercato delle autorità nazionali, ma piuttosto uno strumento per raggiungere un attento equilibrio tra la libera circolazione delle merci e gli obiettivi di interesse generale. Gli Stati membri devono rispettare tale principio solo se i legittimi interessi generali contemplati dalle norme tecniche nazionali applicabili sono adeguatamente tutelati.

    Le eccezioni alla libera circolazione delle merci devono essere interpretate restrittivamente (82). Gli ostacoli sono giustificati solo se le misure nazionali sono necessarie a soddisfare esigenze imperative o uno degli interessi elencati all’articolo 36 TFUE e se sono proporzionate all’obiettivo legittimo perseguito. In una recente sentenza della Corte relativa al rifiuto di riconoscere taluni punzoni, tale aspetto è ben sintetizzato come segue:

    «Pertanto, gli ostacoli alla libera circolazione delle merci derivanti, in mancanza di armonizzazione delle legislazioni nazionali, dall’assoggettamento, da parte di uno Stato membro, di merci provenienti da altri Stati membri, in cui siano legalmente fabbricate e messe in commercio, a norme che dettino requisiti ai quali le merci stesse devono rispondere, anche qualora tali norme siano indistintamente applicabili a tutti i prodotti, costituiscono misure di effetto equivalente, vietate dall’articolo 34 TFUE, laddove tale assoggettamento non risulti giustificato da finalità di interesse generale tali da prevalere sulle esigenze della libera circolazione delle merci» (83).

    Nella medesima sentenza la Corte ha inoltre osservato che il principio del reciproco riconoscimento non può applicarsi al commercio interno all’Unione di merci originarie di Stati terzi che si trovano in libera pratica qualora queste ultime, prima della loro esportazione in uno Stato membro diverso da quello in cui si trovano in libera pratica, non siano state legalmente commercializzate nel territorio di uno Stato membro (84).

    In sintesi sono possibili eccezioni al principio del reciproco riconoscimento che si applica ai settori non armonizzati:

    (1)

    la regola generale è che i prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro godono della libera circolazione delle merci; e

    2)

    la regola generale non si applica se lo Stato membro di destinazione può provare l’importanza fondamentale di imporre le proprie regole tecniche sui prodotti interessati, in base alle motivazioni delineate all’articolo 36 TFUE o in virtù delle esigenze imperative formulate nella giurisprudenza della Corte, nel rispetto del principio di proporzionalità.

    Dal 19 aprile 2020 è in vigore il nuovo regolamento (UE) 2019/515 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al reciproco riconoscimento delle merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro (85). Esso sostituisce il regolamento (CE) n. 764/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce procedure relative all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro (86).

    4.   TIPI DI MISURE

    Le misure di effetto equivalente a norma dell’articolo 34 TFUE assumono una varietà di forme differenti. A volte si tratta di misure che riguardano in modo diretto e specifico le importazioni o che garantiscono trattamenti preferenziali a merci nazionali; altre volte sono un’inattesa conseguenza secondaria di decisioni strategiche generali. In passato alcuni tipi di misure sono emersi ripetutamente nella giurisprudenza e nell’applicazione pratica degli articoli da 34 a 36 TFUE alle procedure di infrazione. Alcuni sono descritti di seguito.

    4.1.   Disposizioni nazionali connesse all’atto di importare (licenze d’importazione, ispezioni e controlli)

    Le misure nazionali connesse direttamente all’atto di importare prodotti da altri Stati membri possono rendere più gravose le importazioni e sono quindi regolarmente qualificate come misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative e dunque contrarie all’articolo 34 TFUE. L’obbligo di ottenere una licenza d’importazione prima di importare le merci ne è un chiaro esempio. Poiché formalità di questo tipo possono causare ritardi, un simile obbligo può violare l’articolo 34 TFUE anche quando le licenze sono concesse in modo automatico e lo Stato membro interessato non pretende di riservarsi il diritto di negare una licenza (87).

    Le ispezioni e i controlli, ad esempio quelli veterinari, sanitari, fitosanitari e d’altro tipo, compresi i controlli doganali sulle importazioni (e sulle esportazioni), sono ritenuti misure di effetto equivalente rispettivamente ai sensi degli articoli 34 e 35 TFUE (88). Tali ispezioni possono rendere più difficoltosa o onerosa l’importazione o l’esportazione a causa dei ritardi dovuti alla procedura di controllo e alle spese di trasporto supplementari che un operatore può dover sostenere.

    Il 1o gennaio 1993, con l’istituzione del mercato interno sono stati essenzialmente aboliti i controlli ricorrenti alle frontiere per il trasferimento delle merci. Da allora gli Stati membri non possono effettuare controlli alle frontiere, a meno che questi ultimi non rientrino in un sistema di controllo generale che si applica in egual misura sul territorio nazionale e/o a meno che non siano eseguiti sotto forma di verifiche a campione. Indipendentemente da dove si svolgano tali controlli, se si configurano come un’ispezione sistematica dei prodotti importati, sono comunque considerati misure di effetto equivalente (89) e possono essere giustificati solo in via eccezionale qualora siano soddisfatte rigorose condizioni (90).

    4.2.   Obblighi di nominare un rappresentate o di disporre di strutture di stoccaggio nello Stato membro di importazione

    La Corte ha dichiarato l’obbligo per un importatore di avere un domicilio professionale nello Stato membro di destinazione delle merci una violazione diretta degli articoli concernenti la libera circolazione delle merci nel mercato interno. La Corte ha ritenuto infatti che imporre alle imprese aventi sede in altri Stati membri di sostenere le spese relative alla presenza di un rappresentante nello Stato membro di importazione renda difficoltoso, se non impossibile, l’accesso al mercato in tale Stato membro per talune imprese, soprattutto se di dimensioni medio-piccole (91). Analogamente, in linea generale è contrario all’articolo 34 TFUE l’obbligo di nominare un rappresentante o agente o di avere una rappresentanza o sede secondaria o strutture di stoccaggio nello Stato membro di importazione.

    Alcuni Stati membri hanno cercato di giustificare tali vincoli sostenendo che fossero necessari a garantire la corretta applicazione di disposizioni nazionali di interesse generale, compresa talvolta la responsabilità penale. La Corte ha tuttavia respinto tale argomentazione dichiarando che, sebbene ciascuno Stato membro abbia il diritto di adottare nel suo territorio misure appropriate per garantire la tutela dell’ordine pubblico, tali misure sono giustificate solo se sono soddisfatte determinate condizioni. Occorre dimostrare che tali misure sono necessarie per rispondere a legittime ragioni di interesse generale e che ciò non può essere realizzato con mezzi che portino ad una minore restrizione alla libera circolazione delle merci (92). La Corte ha statuito che «anche se le sanzioni penali sono tali da esercitare un’efficacia preventiva sui comportamenti che esse reprimono, tale efficacia non è né assicurata né, in ogni modo, rafforzata nei confronti di un produttore […] per il solo fatto della presenza nel territorio nazionale di una persona qualificata a rappresentarlo giuridicamente» (93). Pertanto, sotto il profilo degli obiettivi di interesse generale l’obbligo di nominare un rappresentante sul territorio nazionale non fornisce garanzie aggiuntive sufficienti a giustificare un’eccezione al divieto di cui all’articolo 34 TFUE.

    Anche le prescrizioni nazionali che regolamentano lo stoccaggio e l’immagazzinamento di merci importate possono costituire una violazione dell’articolo 34 TFUE, se si ripercuotono sulle merci importate in modo discriminatorio rispetto ai prodotti nazionali. Tra queste si annovera qualsiasi norma che vieti, limiti o imponga lo stoccaggio solamente di merci importate. La Corte ha ritenuto che una misura nazionale che preveda che l’acquavite di vino importata sia immagazzinata per almeno sei mesi al fine di ottenere una determinata denominazione di qualità costituisca una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa (94).

    Simili ostacoli agli scambi di merci possono essere creati da qualsiasi normativa nazionale che preveda l’uso totale o parziale di strutture di stoccaggio per i soli prodotti nazionali o che subordini lo stoccaggio dei prodotti importati a condizioni diverse e più difficili da soddisfare di quelle previste per i prodotti nazionali. Di conseguenza una misura nazionale che incoraggi lo stoccaggio di merci di produzione nazionale potrebbe creare ostacoli alla libera circolazione delle merci ai sensi dell’articolo 34 TFUE.

    4.3.   Divieti nazionali riguardanti prodotti o sostanze specifici

    Il divieto di commercializzare un prodotto o una sostanza specifici rappresenta la misura più restrittiva che uno Stato membro possa adottare per quanto riguarda la libera circolazione delle merci. La maggior parte delle merci soggette a divieti nazionali consiste in prodotti alimentari, tra cui vitamine e altri integratori alimentari (95), e sostanze chimiche (96).

    Le giustificazioni più frequentemente invocate dagli Stati membri per tali divieti sono la tutela della salute e della vita delle persone e degli animali e la preservazione dei vegetali in conformità dell’articolo 36 TFUE, nonché esigenze imperative formulate dalla giurisprudenza della Corte, come la tutela dell’ambiente. Tali motivazioni sono spesso combinate. Lo Stato membro che impone un divieto nazionale su un prodotto o una sostanza deve dimostrare che la misura è necessaria ed eventualmente che la vendita dei prodotti in questione rappresenta un serio rischio, ad esempio, per la salute pubblica e che il divieto soddisfa il principio di proporzionalità (97). A tale scopo dovranno essere addotte tutte le prove del caso, come dati tecnici, scientifici, statistici o nutrizionali (98). Nella sentenza Humanplasma sebbene l’obiettivo della restrizione fosse assicurare la qualità e la sicurezza del sangue e delle relative componenti, tutelando così la salute pubblica, la misura è stata giudicata eccessiva rispetto a quanto necessario (99).

    Inoltre sullo Stato membro grava l’onere di provare che l’obiettivo fissato non può essere conseguito con nessun altro mezzo che abbia effetti meno restrittivi sul commercio interno all’UE (100). Ad esempio, in relazione al divieto stabilito dalla Francia di aggiungere alle bevande caffeina in quantità superiore a un determinato limite, la Corte ha stabilito che «un’adeguata etichettatura che informi i consumatori sulla natura, sugli ingredienti e sulle caratteristiche dei prodotti alimentari arricchiti potrebbe consentire ai consumatori potenzialmente minacciati da un consumo eccessivo di una sostanza nutritiva aggiunta a tali prodotti di decidere autonomamente se usare o no detti prodotti» (101). La Corte ha dunque ritenuto che il divieto di aggiungere caffeina oltre un determinato limite non rappresentasse la misura meno restrittiva a disposizione e non fosse pertanto necessario per il conseguimento dell’obiettivo della tutela dei consumatori.

    La causa Vitamine danesi (102) riguardava la prassi amministrativa danese di proibire l’arricchimento dei prodotti alimentari in vitamine e minerali a meno che non si potesse dimostrare che tale arricchimento rispondeva a un’esigenza della popolazione danese. La Corte ha inizialmente convenuto che spettasse alla Danimarca decidere in merito al livello al quale essa stessa intendeva garantire la tutela della salute e della vita delle persone, nel rispetto del principio di proporzionalità. Ha tuttavia osservato che spettava alle autorità danesi l’onere di «dimostrare in ciascun caso, alla luce delle abitudini alimentari nazionali e tenuto conto dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che la loro normativa è necessaria per tutelare effettivamente gli interessi considerati» e «che la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi presenta un rischio reale per la salute» (103). La Corte ha infine concluso che la misura non era giustificabile in virtù di un «rischio reale per la salute», il quale avrebbe richiesto una valutazione approfondita, caso per caso, degli effetti dell’aggiunta di minerali e vitamine ai prodotti alimentari (104).

    In generale la Corte ha assunto un approccio restrittivo rispetto a misure di questo tipo. Tuttavia in settori in cui non esiste una certezza scientifica riguardo all’impatto di un prodotto o di una sostanza specifici, ad esempio sulla salute pubblica o sull’ambiente, si è rivelato più difficile per la Corte respingere simili divieti (105). In questi casi anche il cosiddetto principio di precauzione svolge un ruolo importante nella valutazione generale della Corte in merito al caso (106).

    Possono inoltre verificarsi situazioni in cui, ai fini della tutela della salute pubblica, gli Stati membri non impongono un divieto assoluto su un prodotto o una sostanza autorizzati in un altro Stato membro, ma richiedono semplicemente che la loro aggiunta sia previamente autorizzata. In tali casi gli Stati membri rispettano gli obblighi derivanti dall’applicazione del diritto dell’Unione europea solo se le procedure in questione sono accessibili e possono essere completate in tempi ragionevoli e se il divieto imposto su un prodotto può essere impugnato dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali. Tale procedura deve essere espressamente prevista in una misura di applicazione generale vincolante per le autorità nazionali dello Stato membro. Le caratteristiche di questa «procedura semplificata» sono state definite dalla Corte nella causa C-344/90 (107).

    4.4.   Misure concernenti i prezzi

    Sebbene il trattato non contenga disposizioni specifiche relative alle norme nazionali in materia di controllo dei prezzi, in più occasioni la Corte ha applicato l’articolo 34 TFUE a tali norme.

    Le norme nazionali in materia di controllo dei prezzi comprendono varie misure: prezzi minimi e massimi, blocco dei prezzi, margini minimi e massimi di profitto e imposizione dei prezzi di rivendita.

    Prezzi minimi: un prezzo minimo fissato per una determinata quantità, anche se applicato senza distinzione a merci nazionali e importate, può limitare le importazioni, impedendo che un prezzo di costo inferiore possa riflettersi sul prezzo di vendita al dettaglio. Ciò impedisce agli importatori l’esercizio del proprio vantaggio concorrenziale e costituisce dunque una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 TFUE, dato che il consumatore non può trarre alcun beneficio dal suddetto prezzo (108). I prezzi minimi possono tuttavia essere disciplinati a livello dell’UE, come ad esempio nel caso delle normative nazionali che stabiliscono i prezzi minimi del tabacco, le quali andrebbero esaminate alla luce della direttiva 2011/64/UE del Consiglio, del 21 giugno 2011, relativa alla struttura e alle aliquote dell’accisa applicata al tabacco lavorato (109).

    Nella causa C-221/15, Colruyt, riguardante il prezzo dei prodotti del tabacco in Belgio, la Corte ha stabilito che il divieto per i venditori al dettaglio di vendere prodotti del tabacco a un prezzo unitario inferiore al prezzo che il produttore o l’importatore ha indicato sul prodotto, nella misura in cui tale prezzo sia stato fissato liberamente dal produttore o dall’importatore, non è precluso dall’articolo 34 TFUE (110). Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto che i prezzi minimi dei prodotti del tabacco costituiscano una determinata modalità di vendita che si applica a tutti gli operatori economici interessati che svolgono la propria attività sul territorio nazionale e che non è idonea a impedire l’accesso al mercato belga ai prodotti del tabacco provenienti da un altro Stato membro o ad ostacolarlo in misura maggiore di quanto non ostacoli quello dei prodotti del tabacco nazionali.

    Nella sentenza The Scotch Whisky Association la Corte ha valutato se il governo scozzese avesse violato l’articolo 34 TFUE imponendo prezzi minimi per unità di alcol. Le misure erano intese a eliminare dal mercato l’alcol a un prezzo molto basso e cercavano giustificazione in motivi di salute pubblica. La Corte ha ritenuto che la normativa nazionale impedisse «che il prezzo di costo inferiore dei prodotti importati possa riflettersi sul prezzo di vendita al consumatore», costituendo pertanto una misura di effetto equivalente (111).

    Prezzi massimi: prima della sentenza Keck la Corte riteneva che un prezzo massimo, applicato indistintamente a prodotti nazionali e importati, pur non costituendo di per sé una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa, può tuttavia divenire tale se viene fissato a un livello che renda lo smercio dei prodotti importati impossibile o più difficile di quello dei prodotti nazionali. Il prezzo massimo potrebbe vanificare l’eventuale vantaggio concorrenziale delle merci importate e/o, se è troppo basso, potrebbe non tenere conto dei costi sostenuti da un importatore per il trasporto (112).

    Blocco dei prezzi: analogamente, prima della sentenza Keck (cfr. sezione 3.4.2.2) la Corte aveva statuito nella sua precedente giurisprudenza che un regime di blocco dei prezzi, vigente indistintamente per i prodotti nazionali e per quelli importati, non costituisce di per sé una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa. Tuttavia può avere di fatto questo effetto se i prezzi hanno raggiunto un livello tale che la vendita dei prodotti importati diventa impossibile o più difficile di quella dei prodotti nazionali (113). Ciò vale anche se gli importatori possono commercializzare i prodotti importati solo in perdita.

    Margini minimi e massimi di profitto: si tratta di margini che sono fissati a un determinato importo, invece che in percentuale del prezzo di costo. Secondo la giurisprudenza della Corte precedente alla sentenza Keck, tali misure non costituirebbero necessariamente una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 TFUE. Lo stesso varrebbe per un margine di profitto fisso sulla vendita al dettaglio che sia una quota del prezzo di vendita al dettaglio liberamente determinato dal fabbricante, almeno quando tale margine costituisce un’adeguata remunerazione per i rivenditori. Ricade invece nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE un margine di profitto massimo, fissato sotto forma di importo unico applicabile sia ai prodotti nazionali sia ai prodotti importati, ma che non tenga conto del costo dell’importazione (114).

    A seguito della sentenza Keck si rileva che la Corte ha spesso ritenuto che le norme sul controllo dei prezzi rientrassero nella nozione di «modalità di vendita» (115). In tal senso simili norme possono esulare dall’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE se sono soddisfatte determinate condizioni. Il fatto che «i controlli sui prezzi» possano costituire modalità di vendita è confermato dalla sentenza Belgapom, la quale ha stabilito che il divieto imposto dalla legislazione belga di effettuare vendite in perdita o vendite che procurino solo margini di profitto molto bassi non rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE (116).

    Nella più recente causa LIBRO tuttavia la Corte ha inizialmente classificato come una modalità di vendita ai sensi della sentenza Keck una norma che vietava agli importatori di libri in lingua tedesca di fissare un prezzo inferiore al prezzo di vendita al pubblico fissato o consigliato dall’editore, per poi concludere che la norma costituiva di fatto una misura di effetto equivalente in quanto determinava una disciplina distinta che trattava meno favorevolmente prodotti provenienti da altri Stati membri (117).

    Nella sentenza Deutsche Parkinson Vereinigung la Corte ha applicato il criterio di accesso al mercato nel suo esame di un regime di fissazione dei prezzi per la vendita di medicinali per uso umano soggetti a prescrizione da parte delle farmacie, senza fare diretto riferimento alla sentenza Keck. Dopo aver confrontato l’impatto della fissazione dei prezzi sulle farmacie stabilite in Germania e in altri Stati membri, la Corte ha finito per considerare tale regime una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione (118). Secondo la Corte infatti, le farmacie per corrispondenza dispongono di una limitata capacità di competere con le farmacie tradizionali in termini di servizi ed essendo quindi loro competitività principalmente basata sui prezzi risultano più condizionate dalla fissazione dei prezzi. Nelle sue valutazioni la Corte ha fatto riferimento alla sentenza DocMorris concernente una normativa tedesca che vietava la vendita di medicinali al di fuori delle farmacie e dunque su internet, la quale applicava nel proprio ragionamento i principi della sentenza Keck (119).

    Come spiegato in precedenza, nella sentenza The Scotch Whisky Association la Corte ha concluso che la fissazione di prezzi minimi costituisse una misura di effetto equivalente in virtù del criterio di accesso al mercato, senza fare esplicito riferimento alla sentenza Keck, argomentando che «la normativa [in questione,]...per il solo fatto di impedire che il prezzo di costo inferiore dei prodotti importati possa riflettersi sul prezzo di vendita al consumatore, può ostacolare l’accesso al mercato (120)».

    4.5.   Procedure di autorizzazione

    I regimi nazionali che subordinano la commercializzazione di merci a una previa autorizzazione limitano l’accesso al mercato dello Stato membro di importazione e sono pertanto considerati una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell’articolo 34 TFUE (121). La Corte ha fissato una serie di condizioni alle quali può essere giustificata una procedura di previa autorizzazione (122):

    la procedura deve essere fondata su criteri oggettivi, non discriminatori e noti in anticipo alle imprese interessate, in modo da circoscrivere l’esercizio del potere discrezionale delle autorità nazionali affinché esso non sia usato in modo arbitrario;

    la procedura non dovrebbe costituire, sostanzialmente, una duplicazione di controlli già effettuati nell’ambito di altre procedure, nello Stato medesimo o in un altro Stato membro;

    la procedura è necessaria solamente quando un controllo a posteriori debba essere considerato troppo tardivo al fine di garantire la sua reale efficacia consentendo al medesimo di conseguire lo scopo perseguito;

    la procedura non deve essere tale, in considerazione della sua durata o dell’importo sproporzionato delle spese che ne derivano, da dissuadere gli operatori interessati dal perseguimento dei loro progetti;

    la procedura non può esigere analisi tecniche quando le medesime analisi sono già state effettuate in un altro Stato membro e i loro risultati sono disponibili (123).

    4.5.1.   Omologazione

    I requisiti per l’omologazione definiscono preventivamente le condizioni regolamentari, tecniche e di sicurezza che deve soddisfare un prodotto. Di conseguenza l’omologazione non è circoscritta a un settore industriale specifico, dato che esistono requisiti applicabili ai prodotti più diversi, dall’equipaggiamento marittimo ai telefoni cellulari, dalle autovetture agli apparecchi medici.

    In genere l’omologazione è necessaria prima che un prodotto possa essere immesso sul mercato. Il rispetto dei requisiti di omologazione è spesso indicato da una marcatura sul prodotto. La marcatura CE, ad esempio, garantisce la conformità a tali requisiti in virtù di un’autodichiarazione del fabbricante o di una certificazione da parte di terzi.

    Se i requisiti comuni per l’omologazione a livello dell’UE facilitano normalmente la commercializzazione dei prodotti sul mercato interno, l’omologazione nazionale in settori non armonizzati può creare ostacoli agli scambi di merci. Inoltre norme nazionali divergenti sui prodotti rendono difficile ai fabbricanti commercializzare lo stesso prodotto in Stati membri differenti e possono comportare maggiori costi di adeguamento. Di conseguenza devono considerarsi misure di effetto equivalente gli obblighi che prevedono un’omologazione nazionale prima dell’immissione sul mercato dei prodotti (124).

    Per motivi di salute o sicurezza uno Stato membro può avere il diritto di richiedere che un prodotto già omologato in un altro Stato membro sia sottoposto a una nuova procedura di esame e omologazione. In tali casi lo Stato membro di importazione deve tuttavia tenere conto delle prove e dei controlli effettuati nello Stato membro di esportazione che dimostrano garanzie o un livello di protezione equivalenti (125).

    Nella causa Commissione/Portogallo (126), a un’impresa era stata negata la necessaria autorizzazione dall’organismo di controllo per l’installazione di tubi di polietilene importati, poiché tali tubi non erano stati precedentemente omologati dal servizio tecnico nazionale. I certificati dell’impresa che non erano stati riconosciuti erano stati rilasciati da un centro di prova italiano. La Corte ha stabilito che le autorità, nel caso di specie le autorità portoghesi, sono obbligate a tenere conto dei certificati rilasciati dagli enti di certificazione di altri Stati membri, soprattutto se tali enti sono autorizzati dallo Stato membro a questo scopo. Le autorità portoghesi, se non disponevano di informazioni sufficienti per verificare i certificati in questione, avrebbero potuto ottenerle dalle autorità dello Stato membro di esportazione. L’ente nazionale cui viene presentata una domanda di omologazione o riconoscimento di un prodotto è tenuto ad adottare un approccio proattivo.

    4.5.2.   Immatricolazione di veicoli a motore

    Generalmente sono previste tre fasi per l’immatricolazione di un veicolo a motore, secondo la legislazione dell’UE. In primo luogo le caratteristiche tecniche del veicolo devono essere approvate, nella maggior parte dei casi mediante l’omologazione CE. Alcuni tipi di veicoli a motore sono tuttavia ancora soggetti a procedure di omologazione nazionali. In secondo luogo i veicoli usati sono soggetti a un controllo tecnico che ha lo scopo di verificarne il buono stato di manutenzione al momento dell’immatricolazione. Infine il veicolo viene immatricolato, ricevendo così un numero di immatricolazione che lo identifica ed essendo dunque autorizzato a circolare su strada.

    La Corte si è inoltre occupata di norme che vietavano l’immatricolazione di veicoli aventi il dispositivo di sterzo, compreso il volante, sul lato destro. Le sentenze nelle cause C-61/12 e C-639/11 hanno stabilito che simili norme costituiscono una misura di effetto equivalente alle restrizioni quantitative all’importazione, in quanto hanno l’effetto di ostacolare l’accesso al mercato dei veicoli dotati di posto di guida a destra che sono legalmente prodotti e immatricolati in un altro Stato membro. La Corte ha statuito che il divieto in questione non fosse necessario a conseguire l’obiettivo della sicurezza stradale (127).

    4.6.   Restrizioni pubblicitarie

    La pubblicità svolge un ruolo essenziale nel momento in cui i prodotti accedono al mercato, soprattutto per quanto riguarda quelli legalmente commercializzati in un altro Stato membro. Sia gli avvocati generali (128) che la Corte (129) hanno riconosciuto il ruolo fondamentale che la pubblicità riveste nel permettere a un prodotto di uno Stato membro di penetrare in un nuovo mercato di un altro Stato membro. L’obiettivo e l’effetto della pubblicità consistono, tra l’altro, nel convincere i consumatori a passare da un marchio a un altro o ad acquistare nuovi prodotti.

    Prima della sentenza Keck (cfr. sezione 3.4.2.2), la Corte aveva spesso stabilito che le misure nazionali che imponevano restrizioni pubblicitarie rientravano nell’ambito di applicazione dall’articolo 34 TFUE. Un caso di questo tipo è quello della sentenza Oosthoek relativa al divieto di offrire o donare prodotti in omaggio a scopo promozionale. Nella sentenza la Corte ha stabilito che «una normativa che limiti o vieti determinate forme di pubblicità e determinati mezzi di promozione delle vendite può essere idonea, pur non condizionando direttamente le importazioni, a restringere il volume delle stesse incidendo sulle possibilità di distribuzione dei prodotti importati» (130). A seguito della sentenza Keck la Corte sembra tuttavia aver mutato il proprio approccio sotto alcuni aspetti (trattando le restrizioni pubblicitarie come modalità di vendita). A prescindere da ciò, le misure riguardanti la pubblicità che rientrano nella categoria delle modalità di vendita vengono trattate come norme relative ai prodotti quando influiscono sulle condizioni che le merci devono rispettare (131).

    Di conseguenza si rileva che l’approccio abitualmente utilizzato oggi dalla Corte si basa sul presupposto che le restrizioni alla pubblicità e alla promozione devono considerarsi modalità di vendita e che, se non sono discriminatorie, esulano dall’ambito di applicazione dell’articolo 34 TFUE (132). Se tuttavia la misura in questione è discriminatoria, essa rientra nell’articolo 34 TFUE. Le restrizioni pubblicitarie nazionali che rendono la vendita di merci provenienti da altri Stati membri più difficoltosa rispetto alla vendita dei prodotti nazionali possono pertanto costituire una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa. La Corte ha statuito, per esempio, che un «divieto assoluto di pubblicità sulle caratteristiche di un prodotto» (133) potrebbe ostacolare l’accesso al mercato per nuovi prodotti originari di altri Stati membri più che per i prodotti nazionali, con i quali il consumatore ha una maggiore familiarità (134).

    Come osservato in precedenza, la Corte sembra collegare l’ambito di applicazione della restrizione alla discriminazione. In altri termini, se la restrizione è totale si presume che possa avere un impatto maggiore sui prodotti importati (135) e, se parziale, che possa influenzare i prodotti nazionali e importati allo stesso modo (136). È tuttavia opportuno sottolineare che, nelle cause Dior (137) e Gourmet (138), la Corte ha indicato che non è detto che alcuni divieti pubblicitari debbano necessariamente avere un impatto maggiore sulle importazioni rispetto alle merci nazionali.

    La Corte ha inoltre sottolineato che le restrizioni alla pubblicità su internet non colpiscono in eguale misura la vendita dei prodotti nazionali (nel caso di specie, medicinali) e quella dei prodotti provenienti da altri Stati membri (causa C-322/01, Deutscher Apothekerverband). Pertanto le restrizioni alla pubblicità su internet possono rappresentare un ostacolo ai sensi dell’articolo 34 TFUE.

    4.7.   Regolamentazioni tecniche contenenti prescrizioni relative alla presentazione delle merci (peso, composizione, presentazione, etichettatura, forma, dimensioni, imballaggio)

    I requisiti che i prodotti importati devono soddisfare quanto a forma, dimensioni, peso, composizione, presentazione, identificazione o condizionamento possono costringere i fabbricanti e gli importatori ad adattare i prodotti in questione alle norme in vigore nello Stato membro in cui sono commercializzati, ad esempio modificando l’etichettatura dei prodotti importati (139). Nella causa 27/80 Fietje (140), la Corte ha stabilito che l’estensione, da parte di uno Stato membro, di una disposizione che vieti la vendita di determinate bevande alcoliche sotto una denominazione diversa da quella prescritta dalle leggi nazionali alle bevande importate da altri Stati membri, in modo da rendere necessaria la modifica dell’etichetta sotto la quale la bevanda importata è legalmente distribuita nello Stato membro esportatore, debba considerarsi misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa vietata dall’articolo 34 TFUE.

    Dato che i requisiti relativi alla presentazione delle merci sono direttamente connessi al prodotto in sé, non sono considerati come modalità di vendita, bensì come misure di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 TFUE (141).

    Ad esempio sono state giudicate contrarie all’articolo 34 TFUE le misure seguenti:

    l’obbligo rigoroso di apporre la marcatura CE su prodotti da costruzione non armonizzati (142);

    l’obbligo che la margarina venga venduta in imballaggi cubici per distinguerla dal burro (143);

    il divieto, da parte di uno Stato membro, della commercializzazione di lavori in metalli preziosi senza i necessari punzoni (ufficiali nazionali) (144);

    il divieto di commercializzare video e DVD venduti per corrispondenza e su internet sprovvisti dell’indicazione di un limite di età risultante da una decisione di classificazione adottata da un’autorità regionale superiore o da un organismo nazionale di autoregolamentazione (145).

    4.8.   Indicazioni di origine, marchi di qualità e incitamento all’acquisto di prodotti nazionali

    Le norme nazionali che impongono l’indicazione dell’origine del prodotto sul prodotto stesso o sull’etichettatura costituiscono una misura di effetto equivalente contraria all’articolo 34 TFUE.

    La Corte ha statuito che le norme nazionali sull’indicazione obbligatoria dell’origine possono indurre i consumatori ad acquistare prodotti nazionali a scapito di prodotti equivalenti originari di altri Stati membri (146). Tali norme hanno secondo la Corte l’effetto di rendere più difficile lo sbocco in uno Stato membro della produzione degli altri Stati membri e di frenare l’interpenetrazione economica nel quadro dell’Unione sfavorendo la vendita di merci prodotte grazie a una divisione del lavoro tra Stati membri (147). La Corte ha inoltre fatto notare che potrebbe essere nell’interesse dell’operatore economico indicare di sua iniziativa l’origine dei propri prodotti, senza essere obbligato a farlo. In questo caso i consumatori possono essere protetti da indicazioni di origine false o fuorvianti che potrebbero derivare dall’applicazione delle norme vigenti che vietano tale comportamento (148).

    La Corte ha parimenti dichiarato che i regimi di qualità previsti dal diritto nazionale e connessi all’origine del prodotto possono avere un effetto analogo. Anche se un siffatto regime di qualità è facoltativo, esso non cessa di essere una misura di effetto equivalente se l’uso di questo marchio favorisce, o è atto a favorire, lo smercio dei prodotti in questione rispetto ai prodotti che non possono fregiarsene (149).

    La Corte ha statuito che gli Stati membri sono competenti a stabilire regimi di qualità dei prodotti agricoli messi in commercio sul loro territorio e possono subordinare l’uso di denominazioni di qualità al rispetto di tali regimi. Detti regimi e denominazioni non possono tuttavia essere legati alla localizzazione nel territorio nazionale del processo di produzione dei prodotti in questione, bensì dovrebbero unicamente dipendere dal possesso delle caratteristiche obiettive intrinseche che danno ai prodotti la qualità richiesta dalla legge (150). Un siffatto regime deve pertanto essere accessibile a tutti i produttori dell’Unione o a ogni altro potenziale operatore dell’Unione i cui prodotti ne soddisfano i requisiti. Qualsiasi requisito che preclude a prodotti originari di altri Stati membri la possibilità di accedere al regime in questione dovrebbe essere evitato in quanto idoneo ad agevolare l’immissione in commercio delle merci di origine nazionale a scapito delle merci importate (151).

    La Corte ha accettato i regimi di qualità stabiliti nel diritto nazionale se questi consentono l’importazione e la commercializzazione dei prodotti provenienti da altri Stati membri, recanti le rispettive denominazioni, anche nel caso di denominazioni simili, analoghe o identiche a quelle previste dalla normativa nazionale (152).

    Una campagna promozionale condotta dalle autorità degli Stati membri e riguardante l’etichettatura di qualità e/o di origine costituisce parimenti una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 34 TFUE. Il caso più famoso di un simile incitamento all’acquisto di prodotti nazionali è quello affrontato nella causa Buy Irish (153)«Compra irlandese») riguardante una campagna su larga scala che esortava all’acquisto di merci nazionali. La Corte ha altresì statuito che un regime stabilito dalle autorità al fine di promuovere la commercializzazione di prodotti provenienti da un paese o da una regione specifici può analogamente indurre i consumatori ad acquistare tali prodotti escludendo prodotti importati (154).

    4.9.   Restrizioni alla vendita a distanza (vendita su internet, per corrispondenza ecc.)

    Con il progresso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le merci sono sempre più oggetto di scambi nel mercato interno via internet. Di conseguenza è aumentato il numero di cause presentate dinanzi alla Corte di giustizia connesse a operazioni via internet che comportano il trasferimento di merci da uno Stato membro a un altro.

    Le questioni deferite alla Corte nella causa DocMorris (155) traggono origine da procedimenti nazionali in materia di vendite su internet di medicinali per uso umano in uno Stato membro differente da quello in cui la società DocMorris aveva sede. La vigente legislazione tedesca proibiva la vendita per corrispondenza di medicinali, i quali potevano essere venduti esclusivamente nelle farmacie.

    La prima questione trattata dal giudice nazionale era se fosse contrario all’articolo 34 TFUE vietare l’importazione commerciale, effettuata con ordine per corrispondenza in risposta a singole ordinazioni via internet da farmacie autorizzate domiciliate in altri Stati membri, di medicinali autorizzati che solo le farmacie potevano vendere nello Stato membro interessato.

    La Corte ha inizialmente trattato tale restrizione nazionale come una modalità di vendita che potrebbe violare l’articolo 34, dato il suo carattere discriminatorio. Innanzitutto, in linea con la causa De Agostini (concernente l’importanza della pubblicità per la vendita del prodotto in questione) (156), la Corte ha sottolineato l’importanza di internet per la vendita di un prodotto. Essa ha poi spiegato che un divieto così categorico rappresenta un ostacolo maggiore per le farmacie ubicate al di fuori della Germania rispetto a quelle sul suo territorio. Di conseguenza la misura comportava una violazione dell’articolo 34 TFUE.

    Più nello specifico la Corte ha stabilito che internet costituisce un mezzo più importante per le farmacie che non sono stabilite sul territorio tedesco per raggiungere direttamente il mercato tedesco (157) e che un divieto che colpisse in misura maggiore le farmacie stabilite al di fuori del territorio tedesco potrebbe essere tale da ostacolare maggiormente l’accesso al mercato dei prodotti provenienti da altri Stati membri rispetto a quello dei prodotti nazionali.

    Nella sentenza Ker-Optika (158) concernente una normativa nazionale che autorizzava la commercializzazione di lenti a contatto esclusivamente in negozi specializzati nella vendita di dispositivi medici, la Corte ha confermato che, vietando la vendita online del prodotto in questione, la misura nazionale violava la direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (159) e gli articoli da 34 a 36 TFUE per quanto riguardava il divieto di effettuare successive consegne di lenti a contatto agli acquirenti.

    La più recente sentenza Visnapuu ha preso in esame la legge finlandese sull’alcol, ai sensi della quale un venditore stabilito in un altro Stato membro è assoggettato a un requisito di autorizzazione di vendita al dettaglio per l’importazione di bevande alcoliche a fini di vendita al dettaglio di tali bevande a consumatori residenti in Finlandia. La Corte ha constatato che un requisito di autorizzazione di vendita al dettaglio per l’importazione di bevande alcoliche impedisce agli operatori stabiliti in altri Stati membri di importare liberamente bevande alcoliche in Finlandia, costituendo dunque una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi dell’articolo 34 TFUE. La Corte ha tuttavia sostenuto che gli articoli 34 e 36 TFUE non ostano a una simile normativa, a condizione che essa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo di tutelare la salute e l’ordine pubblico (160).

    4.10.   Obbligo di deposito cauzionale

    I sistemi di deposito cauzionale e restituzione, specialmente nel settore delle bevande, hanno generato negli ultimi decenni discussioni alla luce della normativa ambientale e delle norme del mercato interno. Per gli operatori attivi in vari Stati membri, tali sistemi rendono spesso difficoltosa la vendita dello stesso prodotto nello stesso imballaggio in più Stati membri. Produttori e importatori devono infatti adattare l’imballaggio alle necessità di ogni singolo Stato membro, il che implica generalmente costi aggiuntivi. L’effetto di compartimentazione dei mercati esercitato da tali sistemi è spesso contrario all’idea di un autentico mercato interno. Le disposizioni nazionali in questo senso possono dunque essere considerate ostacoli agli scambi commerciali ai sensi dell’articolo 34 TFUE. A prescindere da ciò, i regimi di deposito cauzionale possono essere giustificati da motivi di tutela ambientale.

    In due sentenze concernenti il sistema di deposito cauzionale obbligatorio vigente in Germania per gli imballaggi monouso per bevande all’inizio degli anni 2000, la Corte ha confermato che, in virtù del diritto dell’UE, gli Stati membri hanno il diritto di scegliere tra un sistema di deposito cauzionale e di ritiro individuale, un sistema globale di raccolta o una combinazione dei due sistemi (161).

    Oggi i sistemi di deposito cauzionale sono parzialmente disciplinati dalla normativa di armonizzazione, vale a dire dalla direttiva 94/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (162). Tuttavia nel 2020 non esiste ancora un sistema di deposito cauzionale esteso a tutta l’Unione. Quando una disposizione nazionale esula dall’ambito di applicazione delle pertinenti direttive, deve esserne valutata la compatibilità con gli articoli da 34 a 36 TFUE.

    4.11.   Rimborso e importazioni parallele

    Rimborso: il diritto dell’UE non priva gli Stati membri della facoltà di organizzare i propri sistemi previdenziali (163); in mancanza di un’armonizzazione a livello dell’UE, spetta alla legislazione di ciascuno Stato membro stabilire i requisiti per la concessione delle prestazioni di previdenza sociale. Tali normative possono tuttavia incidere sulle possibilità di commercializzazione e influire a loro volta sull’ambito delle importazioni. Ne consegue che una decisione nazionale sul rimborso dei medicinali può avere un impatto negativo sulla loro importazione.

    Dalla sentenza Duphar emerge inoltre che le disposizioni nazionali che disciplinano il rimborso dei dispositivi medici nel quadro del sistema di assistenza sanitaria nazionale possono essere compatibili con l’articolo 34 TFUE, purché siano soddisfatte talune condizioni. La scelta dei prodotti soggetti al rimborso e di quelli esclusi deve infatti essere operata senza discriminazione per quel che riguarda l’origine dei prodotti, secondo criteri obiettivi e controllabili. Inoltre dovrebbe essere possibile modificare l’elenco dei prodotti rimborsati ogniqualvolta ciò sia reso necessario dall’osservanza dei criteri seguiti. I «criteri obiettivi e controllabili» cui fa riferimento la Corte possono riguardare la presenza sul mercato di altri prodotti che hanno la stessa efficacia terapeutica ma sono meno costosi, o il fatto che si tratti di prodotti liberamente posti in vendita senza vincolo di ricetta medica o di prodotti non rimborsabili per motivi di natura farmaco-terapeutica giustificati dalla salvaguardia della pubblica sanità.

    Le norme procedurali per adottare le decisioni nazionali in materia di rimborso sono specificate nella direttiva 89/105/CEE del Consiglio riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità medicinali per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia (164).

    Nella sentenza Decker (165) la Corte ha stabilito che le norme nazionali che subordinano il rimborso di medicinali a un’autorizzazione previa dell’ente competente di uno Stato, quando i prodotti sono acquistati in un altro Stato membro, costituiscono una restrizione alla libera circolazione delle merci ai sensi dell’articolo 34 TFUE. Esse incoraggiano infatti gli assicurati ad acquistare i prodotti in questione nel loro Stato membro di residenza piuttosto che in altri Stati membri, e pertanto sono atte a frenare l’importazione di prodotti da altri Stati membri.

    Importazioni parallele: il commercio parallelo di prodotti è una legittima forma di scambio in seno al mercato interno. Viene definito «parallelo«perché riguarda prodotti con la stessa descrizione di quelli commercializzati dalle reti di distribuzione dei fabbricanti o dei fornitori originari, ma appartenenti a un lotto diverso, pur avvenendo esternamente (spesso parallelamente) a tali reti. Il commercio parallelo si manifesta per effetto della differenza dei prezzi di medicinali (166) o pesticidi (167), per esempio quando gli Stati membri fissano o controllano con altri mezzi il prezzo di prodotti venduti nell’ambito dei rispettivi mercati. Il commercio parallelo determina, in linea di principio, una sana concorrenza e riduzioni dei prezzi per i consumatori, oltre a essere una conseguenza diretta dello sviluppo del mercato interno, il quale garantisce la libera circolazione delle merci e previene la compartimentazione dei mercati nazionali (168).

    Sebbene la sicurezza e la commercializzazione iniziale di medicinali e prodotti fitosanitari siano regolamentate dalla normativa dell’UE, i principi che delimitano la legalità del commercio parallelo di tali prodotti sono emersi dalle sentenze della Corte basate sulle disposizioni del trattato concernenti la libera circolazione delle merci (169).

    Agli importatori paralleli non può essere imposto il rispetto di condizioni identiche a quelle applicabili alle imprese che chiedono per la prima volta un’autorizzazione all’immissione in commercio, purché non sia messa a repentaglio la tutela della salute umana (170). Ove le informazioni necessarie ai fini della tutela della salute pubblica siano già disponibili alle autorità competenti dello Stato membro di destinazione a seguito della prima immissione in commercio di un prodotto in tale Stato membro, un prodotto importato parallelamente è soggetto a un’autorizzazione concessa sulla base di una procedura proporzionalmente «semplificata» (rispetto alla procedura di autorizzazione all’immissione in commercio), a condizione che:

    al prodotto importato sia stata concessa un’autorizzazione all’immissione in commercio nello Stato membro di origine, a prescindere dalla cessazione della validità di tale autorizzazione, in particolare quando essa decade per motivi non concernenti la tutela della salute pubblica, ossia solo in virtù della volontà del detentore dell’autorizzazione (171); e

    il prodotto importato sia essenzialmente analogo a un prodotto che ha già ricevuto l’autorizzazione all’immissione in commercio nello Stato membro di destinazione, il che implica che i due prodotti, pur non essendo identici sotto tutti gli aspetti, debbano quantomeno essere stati fabbricati secondo la medesima formula e utilizzando il medesimo ingrediente attivo e debbano avere i medesimi effetti terapeutici (172). Il rifiuto di accordare un’autorizzazione all’immissione in commercio non può pertanto essere giustificato da ragioni attinenti alla tutela della salute, se tale rifiuto è dovuto al solo fatto che i due medicinali non hanno la stessa origine (173).

    Le autorità nazionali non possono inoltre rifiutare un’autorizzazione all’importazione parallela solamente per ragioni connesse all’assenza di documentazione relativa al medicinale soggetto all’importazione parallela quando dispongono dei mezzi legislativi e amministrativi per ottenere la documentazione interessata (174). Né possono rifiutare un’autorizzazione all’importazione parallela a coloro che desiderano importare medicinali veterinari da utilizzare nel proprio allevamento (175).

    È necessario inoltre distinguere il commercio parallelo dalla reimportazione. Nel caso dei medicinali ad esempio, con reimportazione si intendono le operazioni che implicano l’importazione, in uno Stato membro in cui sono autorizzati, di medicinali che una farmacia stabilita in un altro Stato membro aveva precedentemente acquistato presso grossisti stabiliti nello Stato membro di importazione. In proposito la Corte ha stabilito che un prodotto fabbricato sul territorio di uno Stato membro, che è esportato e successivamente reimportato in questo stesso Stato, costituisce un prodotto importato tanto quanto un prodotto fabbricato in un altro Stato membro (176). La Corte ha tuttavia sottolineato che una tale considerazione non si applica se è dimostrabile che i prodotti in esame sono stati esportati esclusivamente per essere reimportati al fine di eludere una normativa (177).

    4.12.   Obbligo d’uso della lingua nazionale

    Anche i requisiti linguistici stabiliti in settori non armonizzati possono rappresentare un ostacolo al commercio interno all’UE quando determinano oneri aggiuntivi per i prodotti originari di altri Stati membri. Tali requisiti possono dunque essere vietati a norma dell’articolo 34 TFUE qualora i prodotti provenienti da altri Stati membri debbano essere etichettati in modo diverso, con conseguenti spese supplementari di confezionamento (178). In alcuni casi può tuttavia essere necessario utilizzare la lingua nazionale per assicurare ai consumatori l’agevole comprensione delle informazioni concernenti il prodotto in questione (179).

    Nella sentenza Yannick Geffroy (180) la Corte ha statuito che l’articolo 34 TFUE va inteso nel senso che osta a una normativa nazionale che «impone l’uso di una lingua determinata per l’etichettatura dei prodotti alimentari, senza ammettere la possibilità che venga utilizzata un’altra lingua facilmente compresa dagli acquirenti o che l’informazione dell’acquirente venga garantita altrimenti».

    Per quanto riguarda la determinazione della lingua facilmente compresa dai consumatori, la Corte ha statuito nella sentenza Piageme (181) che possono essere presi in considerazione vari fattori, quali «l’eventuale somiglianza delle parole nelle diverse lingue, la generale conoscenza di più di una lingua da parte della popolazione interessata, o l’esistenza di circostanze particolari, quali una vasta campagna d’informazione o un’ampia diffusione del prodotto, purché si possa constatare che il consumatore è sufficientemente informato».

    In virtù del principio generale di proporzionalità, gli Stati membri possono adottare misure nazionali che prescrivono che talune informazioni sui prodotti nazionali o importati debbano essere fornite in una lingua facilmente compresa dal consumatore. La misura nazionale in questione non deve tuttavia escludere l’eventuale impiego di altri mezzi atti a una debita informazione dei consumatori, quali disegni, simboli o pittogrammi (182). Infine una misura di questo tipo deve comunque essere circoscritta alle informazioni rese obbligatorie dallo Stato membro interessato e per le quali l’uso di uno strumento differente da una traduzione non potrebbe fornire ai consumatori le informazioni necessarie.

    4.13.   Restrizioni all’importazione di merci destinate all’utilizzo personale

    L’articolo 34 TFUE non solo concede alle imprese il diritto di importare merci a fini commerciali, ma consente altresì agli individui di importare merci destinate all’uso personale, come evidenziato nella causa Schumacher (183). Le restrizioni all’importazione di merci destinate all’utilizzo personale riguardano prevalentemente prodotti che comportano potenziali rischi per la salute umana, come ad esempio l’alcol, il tabacco e i medicinali. Nella causa Schumacher un privato aveva ordinato per uso personale un medicinale proveniente dalla Francia. Le autorità doganali in Germania, dove la persona era residente, avevano tuttavia rifiutato di autorizzare l’immissione in consumo del prodotto in questione.

    Il giudice nazionale chiedeva alla Corte di stabilire se la normativa che proibiva a un privato di importare per suo uso personale un medicinale autorizzato nello Stato membro di importazione, venduto in tale Stato senza prescrizione medica e acquistato in una farmacia di un altro Stato membro, fosse contraria agli articoli 34 e 36 TFUE. La Corte ha ritenuto che tale normativa costituisse una violazione dell’articolo 34 TFUE che non era giustificata da motivi di tutela della salute pubblica e ha spiegato che l’acquisto di medicinali nella farmacia di un altro Stato membro forniva una garanzia di sicurezza equivalente a quella di una farmacia nazionale.

    Come evidenziato nella causa Escalier e Bonnarel (184) , i privati che importano merci per usarle a fini personali possono tuttavia essere soggetti a taluni obblighi applicabili agli importatori commerciali. Nella causa in questione sono stati promossi procedimenti penali a carico di due privati cui si contestava di aver detenuto, a fini di utilizzo, prodotti antiparassitari ad uso agricolo che non beneficiavano di un’autorizzazione all’immissione in commercio. Gli imputati hanno sostenuto che le disposizioni relative all’autorizzazione nazionale non sono applicabili agli agricoltori che importano prodotti a fini personali. La Corte ha statuito che gli Stati membri hanno l’obbligo di sottoporre l’importazione di prodotti fitosanitari nel loro territorio a una procedura di controllo, che può assumere la forma di una procedura cosiddetta «semplificata» che è intesa a verificare se il prodotto necessita di un’autorizzazione all’immissione in commercio o se si deve ritenere che esso sia stato già autorizzato nello Stato membro di importazione (185). La Corte ha sottolineato che i suddetti principi si applicano indipendentemente dallo scopo dell’importazione.

    5.   PRODOTTI AGRICOLI

    È opportuno notare che i prodotti agricoli costituiscono il fulcro delle sentenze della Corte sul mercato interno. Nella presente sezione vengono affrontate alcune questioni specifiche relative a tali prodotti. Per cominciare, è importante citare l’articolo 38, paragrafo 2, TFUE, secondo cui, salvo contrarie disposizioni degli articoli da 39 a 44 TFUE inclusi, le norme previste per l’instaurazione del mercato interno sono applicabili ai prodotti agricoli (tali prodotti sono definiti al paragrafo 1 di tale disposizione ed elencati nell’allegato I del TFUE).

    Una questione oggetto di recenti sentenze della Corte riguarda la misura in cui gli Stati membri possono legiferare in settori disciplinati da un’organizzazione comune di mercato. La Corte ha statuito che, nel quadro della politica agricola comune, la quale, a norma dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera d), TFUE, rientra nell’ambito delle competenze concorrenti tra l’Unione europea e gli Stati membri, questi ultimi dispongono di un potere legislativo che permette loro di esercitare la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria (186).

    Per di più, secondo una giurisprudenza costante, in presenza di un regolamento che istituisce un’organizzazione comune di mercato in un determinato settore, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi dall’adottare qualsiasi misura che possa costituirne una deroga o una violazione. Sono parimenti incompatibili con un’organizzazione comune di mercato le disposizioni che ostano al suo buon funzionamento, anche se la materia in esame non è stata disciplinata tassativamente dall’organizzazione comune di mercato (187).

    Per quanto concerne la fissazione di un prezzo minimo per unità di alcol per la vendita al dettaglio dei vini, in mancanza di un meccanismo di fissazione dei prezzi la libera determinazione del prezzo di vendita attraverso il libero gioco della concorrenza è una componente del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (188) e costituisce l’espressione del principio di libera circolazione delle merci in condizioni di concorrenza effettiva (189).

    Tuttavia l’instaurazione di un’organizzazione comune di mercato non impedisce agli Stati membri di applicare norme nazionali che perseguano uno scopo d’interesse generale diverso da quelli perseguiti da tale organizzazione, nemmeno se tali norme possono avere un’incidenza sul funzionamento del mercato comune nel settore interessato (190).

    Nella sentenza The Scotch Whisky Association la Corte è giunta alla conclusione che il regolamento (UE) n. 1308/2013 recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una misura nazionale che impone un prezzo minimo per unità di alcol per la vendita al dettaglio dei vini, a condizione che detta misura sia effettivamente idonea a garantire l’obiettivo della tutela della salute e della vita delle persone e che, tenuto conto degli obiettivi della politica agricola comune nonché del buon funzionamento dell’organizzazione comune dei mercati agricoli, non ecceda quanto è necessario per il raggiungimento del citato obiettivo della tutela della salute e della vita delle persone.

    Nella causa C-2/18 la Corte ha ritenuto che, adottando il regolamento (UE) n. 1308/2013, in particolare l’articolo 148, l’Unione non abbia esercitato in modo esauriente la propria competenza nell’ambito dei rapporti contrattuali tra le parti di un contratto per la consegna di latte crudo. Di conseguenza detto regolamento non può essere interpretato nel senso che vieta agli Stati membri, in linea di principio, di adottare qualsiasi misura in tale settore (191).

    La Corte ha inoltre considerato che riferimenti a determinate pratiche sleali non consentono di dimostrare che l’obiettivo della lotta contro le pratiche sleali perseguito dalla normativa di cui trattasi rientri nell’ambito di applicazione del regolamento (UE) n. 1308/2013, tanto più che tali pratiche non sono considerate nel loro complesso, e neppure disciplinate o individuate in tale regolamento (192). La Corte ha stabilito che tale esame della proporzionalità deve essere effettuato tenendo conto, in particolare, degli obiettivi della politica agricola comune, nonché del buon funzionamento dell’organizzazione comune di mercato, il che impone un bilanciamento tra tali obiettivi e quello perseguito dalla citata normativa, il cui fine è contrastare le pratiche commerciali sleali (193).

    In questo caso la Corte ha concluso che la normativa in questione non eccede quanto necessario per raggiungere gli obiettivi da essa perseguiti. Spetta tuttavia al giudice del rinvio, che è l’unico ad avere una conoscenza diretta della controversia di cui è investito, verificare se le misure adottate al fine di contrastare le pratiche commerciali sleali, rafforzando il potere contrattuale dei produttori di latte che non appartengono a un’organizzazione di produttori di latte riconosciuta e, pertanto, di contribuire allo sviluppo sostenibile della produzione, garantendo condizioni eque ai produttori di latte, mediante limiti del principio di libera negoziazione del prezzo, non eccedano quanto necessario (194).

    6.   RESTRIZIONI ALL’ESPORTAZIONE (ARTICOLO 35 TFUE)

    A norma dell’articolo 35 TFUE «sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’esportazione e qualsiasi misura di effetto equivalente».

    6.1.   Definizione di «esportazioni»

    Nell’ambito dell’articolo 35 TFUE il termine ‘‘esportazioni’’ si riferisce a scambi commerciali tra Stati membri, ossia esportazioni da uno Stato membro all’altro. Non si applica tuttavia alle esportazioni verso paesi terzi.

    6.2.   Restrizioni quantitative e misure di effetto equivalente

    Sebbene gli articoli 34 e 35 TFUE abbiano una formulazione molto simile, la Corte ha trattato queste due disposizioni in modo distinto. In sostanza l’articolo 35 TFUE si applica solo a misure discriminatorie contro le merci. Tale principio è stato stabilito nella sentenza Groenveld (195) in cui la Corte ha affermato che l’articolo 35 TFUE «riguarda i provvedimenti nazionali che hanno per oggetto o per effetto di restringere specificamente le correnti di esportazione e di costituire in tal modo una differenza di trattamento fra il commercio interno di uno Stato membro ed il suo commercio d’esportazione». Se ciò assicura «un vantaggio particolare alla produzione nazionale od al mercato interno dello Stato interessato, a detrimento della produzione o del commercio di altri Stati membri», allora si applica l’articolo 35 TFUE (196).

    Vi sono diverse ragioni che giustificano l’interpretazione restrittiva dell’articolo 35 TFUE da parte della Corte rispetto alla sua giurisprudenza in merito all’articolo 34 TFUE. Nel caso delle importazioni, eventuali misure non discriminatorie potrebbero pesare doppiamente sugli importatori se devono ottemperare alle norme nel proprio paese e a quelle del paese di importazione. Quindi si ritiene che tali misure rientrino giustamente nell’ambito della normativa dell’UE che tutela il mercato interno. Diversa è invece la situazione per gli esportatori, i quali devono semplicemente seguire le norme stabilite per il mercato interno. In secondo luogo, se l’ambito di applicazione dell’articolo 35 TFUE fosse troppo ampio, esso potrebbe comprendere restrizioni che non gravano sul commercio interno all’UE.

    Nella causa Rioja la differenza di trattamento è stata conseguenza di migliori condizioni di fabbricazione o commerciali per le società nazionali (197). Nella causa Parma ciò è stato possibile procurando un vantaggio speciale alle imprese situate nella regione di produzione. L’uso della denominazione di origine protetta «prosciutto di Parma» per il prosciutto commercializzato a fette è subordinato alla condizione che le operazioni di affettamento e di confezionamento siano effettuate nella zona di produzione (198). Tali vantaggi per il mercato interno danno luogo a svantaggi concorrenziali per le imprese con sede in altri Stati membri, a causa dei costi aggiuntivi che possono insorgere o a causa della difficoltà di reperimento di alcuni prodotti necessari per entrare in concorrenza con il mercato interno.

    In alcune delle sue decisioni più recenti concernenti l’articolo 35 TFUE, la Corte ha introdotto un approccio alternativo all’ultima condizione del metodo Groenveld («a detrimento della produzione o del commercio di altri Stati membri») (199). Nella sentenza Gysbrechts (200) la Corte si è occupata della legislazione belga che vietava ai venditori di esigere un pagamento anticipato o durante i sette giorni del periodo di ‘‘recesso’’, durante il quale il consumatore può recedere da un contratto a distanza. In tale sentenza la Corte ha confermato la definizione stabilita nella causa Groenveld. Ciononostante la Corte ha argomentato che tale divieto, quand’anche applicabile a tutti gli operatori attivi sul territorio nazionale, di fatto incide in genere più sulle vendite transfrontaliere effettuate direttamente ai consumatori, e dunque sull’uscita dei prodotti dal mercato dello Stato membro di esportazione, che sulla commercializzazione degli stessi sul mercato nazionale di detto Stato membro. In questo caso è interessante notare che gli effetti dell’ostacolo hanno compromesso principalmente le attività commerciali delle imprese con sede nello Stato membro di esportazione e non in quello di destinazione (201).

    L’approccio adottato nella causa Gysbrechts è stato avallato dalla sentenza New Valmar, nel quadro della quale è stato imposto alle imprese con sede nel territorio di uno Stato membro di redigere tutte le fatture relative a operazioni negoziali transfrontaliere solamente nella lingua ufficiale di tale Stato, a pena di nullità di tali fatture, che deve essere rilevata d’ufficio dal giudice. In tale contesto la Corte ha ritenuto che il criterio principale su cui basarsi fosse quello di stabilire se la misura in questione incidesse maggiormente sull’uscita dei prodotti dal mercato dello Stato membro di esportazione (202). Essa ha ritenuto che una siffatta restrizione rientrasse effettivamente nell’ambito di applicazione dell’articolo 35 TFUE. Sebbene l’obiettivo della misura di promuovere e incoraggiare l’uso di una delle lingue ufficiali di uno Stato membro sia un obiettivo legittimo, la misura non è stata tuttavia considerata proporzionata (203).

    La Corte ha adottato lo stesso approccio nella sentenza Hidroelectrica, in cui le misure nazionali che danno la priorità all’approvvigionamento in energia elettrica sul mercato nazionale sono state considerate misure di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell’articolo 35 TFUE, in quanto colpiscono maggiormente le esportazioni di energia elettrica (204).

    Nel quadro della recente sentenza VIPA concernente il divieto, a norma del diritto ungherese, di fornire medicinali soggetti a prescrizione in Ungheria ordinati da specialisti in altri Stati membri, la Corte è giunta ad affermare che effetti restrittivi di lieve entità, purché non siano troppo indiretti o aleatori, sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di una misura di effetto equivalente ai sensi dell’articolo 35 TFUE (205).

    7.   GIUSTIFICAZIONI DELLE RESTRIZIONI AGLI SCAMBI COMMERCIALI

    Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, una normativa nazionale che costituisce una misura di effetto equivalente alle restrizioni quantitative può essere giustificata da uno dei motivi di interesse generale di cui all’articolo 36 TFUE (cfr. sezione 7.1) o da esigenze imperative (cfr. sezione 7.2).

    In entrambi i casi la disposizione di diritto interno deve essere idonea a garantire il conseguimento dell’obiettivo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo (cfr. sezione 7.3).

    7.1.   Articolo 36 TFUE

    L’articolo 36 TFUE elenca le misure difensive che gli Stati membri possono attuare al fine di giustificare misure nazionali che impediscono gli scambi commerciali transfrontalieri: «Le disposizioni degli articoli 34 e 35 lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all’importazione, all’esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale».

    La giurisprudenza della Corte prevede altresì le cosiddette «esigenze imperative» (ad esempio la protezione dell’ambiente) che uno Stato membro può far valere al fine di difendere le misure nazionali.

    La Corte fornisce un’interpretazione rigida dell’elenco delle deroghe di cui all’articolo 36 TFUE, le quali riguardano tutte interessi non economici (206). Inoltre qualsiasi misura deve essere conforme al principio di proporzionalità. L’onere della prova nel giustificare le misure adottate a norma dell’articolo 36 TFUE spetta allo Stato membro (207). Tuttavia, quando uno Stato membro fornisce motivazioni convincenti, compete quindi alla Commissione dimostrare che le misure adottate non sono adeguate per il caso di cui trattasi (208).

    L’articolo 36 TFUE non può essere invocato per giustificare deviazioni rispetto alla normativa armonizzata dell’UE (209). Tuttavia, laddove non esista armonizzazione a livello dell’UE, spetta agli Stati membri definire i propri livelli di protezione. In caso di armonizzazione parziale è la stessa normativa di armonizzazione ad autorizzare, molto spesso, esplicitamente gli Stati membri a mantenere o adottare disposizioni più rigorose, a condizione che siano compatibili con il trattato. In tali casi la Corte dovrà valutare le suddette misure a norma dell’articolo 36 TFUE.

    Anche se è giustificabile in forza dell’articolo 36 TFUE, una misura non deve «costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri». La seconda parte dell’articolo 36 TFUE è finalizzata a evitare abusi da parte degli Stati membri. Come la Corte stessa ha statuito, «la seconda frase dell’art. [36 TFUE] mira ad impedire che le restrizioni degli scambi basate sui motivi indicati nella prima frase siano distolte dal loro fine e usate in maniera da creare discriminazioni nei confronti delle merci originarie di altri Stati membri o da proteggere indirettamente taluni prodotti nazionali» (210) , ossia nel caso dell’adozione di misure protezionistiche.

    Inizialmente si è ritenuto che le misure distintamente applicabili potessero essere giustificate solo dai motivi elencati all’articolo 36 TFUE, mentre le misure indistintamente applicabili anche sulla base di qualsiasi esigenza imperativa. Tuttavia la classificazione tra misure distintamente e indistintamente applicabili non è così pertinente come in precedenza.

    7.1.1.   Moralità, ordine e sicurezza pubblici

    Gli Stati membri possono decidere di vietare un prodotto per motivazioni connesse alla moralità. Anche se spetta ai singoli Stati membri definire le norme che consentono alle merci di ottemperare alle disposizioni nazionali in materia di moralità, tale potere discrezionale deve essere esercitato conformemente agli obblighi derivanti dal diritto dell’UE. Ad esempio qualsiasi divieto di importazione di prodotti la cui commercializzazione è ristretta ma non vietata risulterà discriminatorio e contrario alle disposizioni in tema di «libera circolazione delle merci». Molti dei casi in cui la Corte ha ammesso giustificazioni per motivi legati alla moralità pubblica riguardavano oggetti osceni o indecenti (211). In altri casi in cui è stata invocata la moralità pubblica, sono state addotte altre motivazioni connesse, come l’interesse generale in casi riguardanti scommesse (212) o la tutela dei minori in relazione alla marcatura di video e DVD (213).

    La nozione di ordine pubblico è interpretata in modo molto restrittivo dalla Corte e ha potuto solo raramente venire addotta con successo a motivo di una deroga in forza dell’articolo 36 TFUE. Non si può per esempio invocare l’ordine pubblico qualora si intenda farvi riferimento per una clausola generale di salvaguardia o unicamente per servire finalità economiche di natura protezionistica. Laddove sia possibile ricorrere a un’alternativa di deroga contemplata dall’articolo 36 TFUE, la Corte tende ad avvalersi di tale alternativa o a combinare una motivazione basata sull’ordine pubblico con altre possibili motivazioni (214). La sola motivazione basata sull’ordine pubblico è stata accettata in un caso eccezionale, quando uno Stato membro ha limitato l’importazione e l’esportazione di monete d’oro da collezione. La Corte ha ritenuto che tale limitazione fosse giustificata per motivi d’ordine pubblico, giacché attiene alla protezione del diritto di battere moneta, che per tradizione è ritenuto implicare interessi fondamentali dello Stato (215).

    La motivazione basata sulla pubblica sicurezza è stata invocata in un settore specifico, segnatamente quello del mercato dell’energia dell’UE, sebbene una decisione debba limitarsi ai fatti precisi del singolo caso e non essere di ampia applicabilità. Nel quadro della sentenza Campus Oil, uno Stato membro ha ordinato agli importatori di prodotti petroliferi di acquistare fino al 35 % del loro relativo fabbisogno da una società petrolifera nazionale a prezzi fissati dal governo. La Corte ha ritenuto che tale misura avesse chiaramente carattere protezionistico e costituisse una violazione dell’articolo 34 TFUE. È stato tuttavia possibile giustificarla per motivi di pubblica sicurezza, segnatamente per mantenere in funzione una raffineria di petrolio per garantire l’approvvigionamento in tempi di crisi (216). Nella sentenza Hidroelectrica (217) la Corte ha inoltre riconosciuto la sicurezza dell’approvvigionamento energetico come motivo di pubblica sicurezza ai sensi dell’articolo 36 TFUE.

    La Corte ha altresì accettato la motivazione basata sulla pubblica sicurezza in casi concernenti scambi di merci sensibili dal punto di vista strategico (218), poiché « […] il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli può minacciare la sicurezza esterna di uno Stato membro«. In tali casi la Corte ha statuito che l’ambito di applicazione dell’articolo 36 TFUE contempla tanto la sicurezza interna (ad esempio la ricerca in ambito criminologico e la prevenzione della criminalità, la regolamentazione della circolazione) quanto la sicurezza esterna (219).

    7.1.2.   Tutela della salute e della vita di esseri umani, animali e vegetali (principio di precauzione)

    La Corte ha statuito che «fra i beni od interessi tutelati dall’articolo [36 TFUE] la salute e la vita delle persone occupano il primo posto. Spetta agli Stati membri, nei limiti imposti dal trattato, stabilire a quale livello essi intendano assicurarne la protezione, ed imporre al riguardo controlli più o meno severi» (220). Nella stessa sentenza la Corte ha altresì stabilito che una normativa o prassi nazionale non può avvalersi della deroga di cui all’articolo 36 TFUE qualora la salute e la vita delle persone possano essere tutelate, con pari efficacia, con misure di minore pregiudizio per gli scambi dell’Unione (221).

    La tutela della salute e della vita delle persone e degli animali e la preservazione dei vegetali sono le motivazioni più diffuse con cui gli Stati membri giustificano gli ostacoli frapposti alla libera circolazione delle merci. Poiché si deve riconoscere agli Stati membri un certo margine discrezionale (222), è necessario osservare alcune norme fondamentali. Deve essere dimostrato che la commercializzazione dei prodotti rappresenta un rischio serio e reale per la salute pubblica (223). Tale rischio deve essere fondato, e gli Stati membri devono fornire tutte le prove e i dati (tecnici, scientifici, statistici, nutrizionali, ecc.) necessari, nonché altre informazioni pertinenti (224). La tutela della salute non può essere invocata se lo scopo reale della misura è proteggere il mercato interno, anche se, in assenza di armonizzazione, spetta allo Stato membro decidere il livello di tutela. Le misure adottate devono inoltre essere proporzionate, ossia limitate a ciò che è necessario al fine di raggiungere lo scopo legittimo di tutela della salute pubblica (225).

    Applicazione del«principio di precauzione». Il principio di precauzione è stato riconosciuto per la prima volta esplicitamente dalla Corte nella causa National Farmers Union (226), sebbene forse implicitamente incluso nella giurisprudenza precedente. La Corte ha statuito che «quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi». Il principio definisce le circostanze in cui un legislatore (nazionale, dell’UE o internazionale) può adottare misure volte a tutelare i consumatori contro rischi per la salute potenzialmente associati a un prodotto o servizio, in considerazione delle incertezze esistenti al momento in rapporto allo stadio raggiunto dalla ricerca scientifica.

    In generale, laddove gli Stati membri esprimano la volontà di mantenere o adottare misure destinate a proteggere la salute a norma dell’articolo 36 TFUE, spetta agli stessi Stati membri dimostrare la necessità di tali misure (227). Ciò vale anche per le situazioni riguardanti il principio di precauzione (228). Nelle sue sentenze la Corte ha sottolineato che i rischi reali devono essere dimostrati alla luce dei più recenti risultati della ricerca scientifica internazionale. La Corte ha costantemente statuito che gli Stati Membri debbano effettuare una valutazione dettagliata dei rischi prima di adottare misure cautelative a norma degli articoli 34 e 36 TFUE (229). Gli Stati membri non devono tuttavia dimostrare un legame definito tra la prova e il rischio (230). Se l’incertezza scientifica in merito a un rischio sussiste ed è stata accertata, la Corte lascia agli Stati membri o alle istituzioni pertinenti un notevole margine di manovra per decidere quali misure protettive adottare (231). Nella causa C-446/08, Solgar Vitamin’s, riguardante la fissazione di quantitativi massimi di vitamine o minerali utilizzati nella fabbricazione di integratori alimentari, la Corte ha confermato che gli Stati membri non devono attendere che la concretezza e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate (232). Tuttavia le misure non possono basarsi solo su «considerazioni puramente ipotetiche» (233), come confermato nella causa C-672/15, Noria Distribution, che ha altresì preso in considerazione i limiti tollerabili di vitamine e minerali nella fabbricazione di integratori alimentari (234).

    7.1.3.   Protezione del patrimonio nazionale di valore artistico, storico o archeologico

    Il dovere di uno Stato membro di proteggere il proprio patrimonio nazionale può giustificare misure che creano ostacoli alle importazioni o alle esportazioni.

    Gli Stati membri impongono restrizioni diverse sulle esportazioni di oggetti di antiquariato e altri manufatti appartenenti al patrimonio culturale, e tali restrizioni potrebbero ritenersi giustificate dall’articolo 36 TFUE.

    Nella sentenza LIBRO la Corte ha considerato che «non si può ritenere che la protezione della diversità culturale in generale rientri nella protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale» ai sensi dell’articolo 36 TFUE (235).

    7.1.4.   Tutela della proprietà industriale e commerciale

    L’articolo 36 TFUE fa riferimento alla «tutela della proprietà industriale e commerciale» come motivo giustificativo di restrizione all’importazione, all’esportazione o al transito. Per «proprietà industriale e commerciale» si intendono generalmente diritti di proprietà intellettuale quali brevetti, marchi, disegni, diritti d’autore e indicazioni geografiche (236).

    Nella sua giurisprudenza originaria la Corte di giustizia dell’UE ha sviluppato una serie di principi che sono stati importanti per definire l’ambito di applicazione della deroga a livello nazionale, ma anche per preparare il terreno per l’armonizzazione e l’unificazione dei diritti di proprietà intellettuale a livello dell’UE (la cui discussione va al di là dell’ambito di applicazione del presente capitolo).

    Il primo principio consiste nel fatto che il trattato non ha ripercussioni sull’esistenza di diritti di proprietà intellettuale accordati in applicazione della legislazione degli Stati membri. Di conseguenza la legislazione nazionale in merito all’acquisizione, al trasferimento e alla decadenza di tali diritti è legittima. Tale principio non si applica tuttavia laddove le norme nazionali contengano un elemento di discriminazione (237).

    Il secondo principio è la dottrina dell’esaurimento dei diritti. Il titolare della proprietà intellettuale può limitare l’uso, la fabbricazione e la vendita del prodotto protetto da proprietà intellettuale nello Stato membro in cui tale diritto è riconosciuto. Tuttavia, una volta che il titolare del diritto vende e distribuisce il prodotto o acconsente alla sua vendita e distribuzione legale nello Stato membro, il diritto di proprietà intellettuale si esaurisce alla frontiera. Il titolare del diritto non può in un secondo momento opporsi all’importazione del prodotto in qualunque Stato membro in cui sia già stato commercializzato, e quindi a importazioni parallele da altri luoghi dell’UE.

    La dottrina dell’esaurimento dei diritti intende conciliare la protezione dei diritti di proprietà industriale con la libera circolazione delle merci. Sono ammesse deroghe solo nella misura in cui siano giustificate ai fini della salvaguardia dell’oggetto specifico di tale proprietà. Questo principio consente di determinare, per ciascuna categoria di diritti di proprietà intellettuale, le condizioni alle quali il diritto dell’UE ne consente l’esercizio, anche se in una situazione transfrontaliera detto esercizio ostacola per definizione la libera circolazione. La giurisprudenza della Corte in materia di esaurimento dei diritti si applica in particolare ai brevetti, ai marchi, ai disegni (238) e ai diritti d’autore (239).

    Per i brevetti ad esempio la Corte ha accettato come oggetto in particolare «quello di garantire [...] al titolare, per compensare lo sforzo creativo concretatosi nell’invenzione, il diritto esclusivo di valersi di questa per la produzione e la prima immissione in commercio di beni industriali, sia direttamente sia mediante concessione di licenze a terzi, nonché il diritto di opporsi alle contraffazioni» (240). Spetta quindi al titolare del brevetto decidere in quali circostanze intende commercializzare il suo prodotto, compresa la possibilità di farlo in uno Stato membro in cui il prodotto non gode di protezione brevettuale. Se decide in tal senso, deve accettare le conseguenze della sua scelta per quanto riguarda la libera circolazione del prodotto all’interno del mercato unico. Consentire a un inventore di valersi del brevetto di cui è titolare in uno Stato membro per opporsi all’importazione di un prodotto che ha liberamente commercializzato in un altro Stato membro in cui lo stesso prodotto non era brevettabile provocherebbe una compartimentazione dei mercati nazionali contraria allo scopo del trattato (241).

    Per quanto riguarda i marchi la Corte ha stabilito in una giurisprudenza costante che l’oggetto specifico del diritto di marchio consiste segnatamente nel garantire al titolare il diritto di utilizzare il marchio per la prima immissione in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo da concorrenti che volessero abusare approfittare della posizione e della notorietà del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati con questo marchio. Al fine di stabilire l’esatta estensione di questo diritto, la Corte ha ritenuto che si debba tener conto della funzione essenziale del marchio, consistente nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza possibile confusione questo prodotto da quelli aventi diversa origine (242).

    Tale giurisprudenza è stata sviluppata e perfezionata, in particolare nel settore del riconfezionamento dei prodotti farmaceutici (243).

    È opportuno ricordare che la Corte ha pronunciato tale giurisprudenza in assenza di un corrispondente diritto derivato dell’Unione. Come ha dichiarato «nello stato attuale del diritto comunitario e in mancanza di unificazione nell’ambito della Comunità o di un ravvicinamento delle legislazioni, la determinazione dei casi e delle modalità di tale tutela dipende dalle norme nazionali» (244). Nel frattempo tuttavia il legislatore dell’UE ha adottato un’importante serie di direttive e regolamenti in materia di proprietà intellettuale. Ad esempio il quadro giuridico relativo ai marchi è stato armonizzato con la direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio (245) («direttiva sui marchi d’impresa») e unificato con il regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio sul marchio dell’Unione europea (246). Esiste una legislazione simile per i disegni, mentre l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di brevetti è ancora piuttosto frammentata (247).

    Nel settore del diritto d’autore e dei diritti connessi il legislatore dell’UE ha ampiamente armonizzato le legislazioni degli Stati membri, garantendo agli autori e ad altri titolari di diritti un elevato livello di protezione. Rientrano nel novero i diritti esclusivi di autorizzare o vietare determinati atti di sfruttamento dei contenuti, con una durata di protezione armonizzata, un quadro di eccezioni e limitazioni, la tutela giuridica delle misure tecnologiche di protezione e informazioni sulla gestione dei diritti, la gestione collettiva dei diritti e l’applicazione dei diritti. Nel settore della libera circolazione delle merci la direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (248) conferisce agli autori il diritto esclusivo di distribuzione delle loro opere. La direttiva 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (249) conferisce agli artisti, ai produttori di fonogrammi e di pellicole e agli organismi di radiodiffusione il diritto esclusivo di distribuzione del materiale protetto. La direttiva 2009/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (250) prevede inoltre un diritto esclusivo per la distribuzione di programmi per elaboratore.

    Le tre direttive summenzionate prevedono inoltre che la prima vendita o il primo altro trasferimento di proprietà nell’Unione di una copia dell’opera o di altro materiale protetto, effettuato dal titolare del diritto o con il suo consenso, esaurisca il diritto di distribuzione di tale copia all’interno dell’Unione. Questa norma garantisce la libera circolazione delle merci protette da diritto d’autore all’interno dell’Unione una volta immesse sul mercato dal titolare del diritto o con il suo consenso. La Corte di giustizia ha chiarito che tale principio si applica alle copie tangibili di opere e di altro materiale protetto. Tuttavia, nel caso dei programmi per elaboratore, la Corte ha precisato che il diritto di distribuzione della copia di un programma per elaboratore è esaurito anche in seguito allo scaricamento di tale copia da internet con il consenso del titolare del diritto, a determinate condizioni che lo rendono equivalente alla vendita della copia del programma per elaboratore (251). La Corte ha recentemente stabilito che tale estensione della norma dell’esaurimento a seguito della trasmissione online di copie digitali non si applica nel caso di opere diverse dai programmi per elaboratore (ad es. libri elettronici) (252).

    Inoltre la Corte ha previsto norme specifiche per le indicazioni geografiche ai fini dell’articolo 36 TFUE (253).

    7.2.   Esigenze imperative

    Nella sentenza Cassis de Dijon la Corte ha introdotto il concetto di esigenze imperative in quanto elenco non esauriente di interessi tutelati nell’ambito dell’articolo 34 TFUE. In tale sentenza la Corte ha statuito che le suddette esigenze imperative fanno in particolare riferimento all’efficacia dei controlli fiscali, alla tutela della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori (254). In seguito la terminologia della Corte è cambiata: attualmente fa spesso riferimento a esigenze prioritarie di interesse pubblico o di interesse generale invece che a esigenze imperative.

    Si possono invocare esigenze imperative per giustificare misure nazionali in grado di ostacolare gli scambi nel mercato interno e che non rientrano tra le deroghe di cui all’articolo 36 TFUE. La valutazione della giustificazione è analoga a quella condotta nel quadro dell’articolo 36: per essere ammissibili, le misure nazionali devono essere proporzionate all’obiettivo perseguito. In linea di principio le esigenze imperative possono giustificare solamente misure nazionali applicabili indistintamente a merci nazionali e a merci provenienti da altri Stati membri (255). Inoltre motivazioni differenti da quelle contemplate dall’articolo 36 TFUE non possono essere teoricamente usate per giustificare misure discriminatorie. Per quanto la Corte abbia trovato modalità per superare tale separazione senza rinunciare alla sua prassi precedente (256), è stato sostenuto che tale separazione sia artificiale e che la Corte stia procedendo verso una semplificazione, trattando le esigenze imperative allo stesso modo delle giustificazioni all’articolo 36 TFUE.

    7.2.1.   Tutela dell’ambiente

    Sebbene la tutela dell’ambiente non sia espressamente menzionata all’articolo 36 TFUE, la Corte ha riconosciuto che essa costituisce un’esigenza imperativa. La Corte ritiene che la tutela dell’ambiente rappresenti «uno degli scopi essenziali [dell’Unione], che, in quanto tale, può giustificare talune limitazioni del principio della libera circolazione delle merci» (257). Infatti l’elevato livello di tutela ambientale è stato riconosciuto come obiettivo di interesse generale già negli anni 80 e 90 (258).

    La Corte ha riconosciuto una serie di misure che mirano alla tutela dell’ambiente, tra cui:

    regimi di sostegno nazionali all’elettricità verde, nella misura in cui contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che figurano tra le principali cause dei cambiamenti climatici, che l’Unione europea e i suoi Stati membri si sono impegnati a contrastare (259);

    l’imposizione di un sistema nazionale di verifica della sostenibilità dei bioliquidi, il quale stabilisca che tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di consegna sono tenuti a rispettare taluni obblighi (260);

    la tutela della qualità dell’aria ambiente,

    la tutela della qualità dell’aria ambiente è stata discussa in due cause (C-28/09 e C-320/03) riguardanti misure nazionali che miravano a ridurre le emissioni specifiche degli autoveicoli a motore e la densità del traffico stradale al fine di diminuire le emissioni di biossido di azoto nel Land Tirolo. Tali misure comprendevano divieti settoriali di transito, che proibivano agli autocarri con massa a pieno carico superiore alle 7,5 tonnellate che trasportavano determinate merci di circolare su un tratto dell’autostrada A12 in Austria. Pur potendo essere giustificate, in linea di principio, da motivi di tutela della qualità dell’aria ambiente nel quadro della protezione dell’ambiente e della salute dell’uomo, tali misure non erano proporzionate al raggiungimento degli obiettivi auspicati;

    l’impiego di fonti di energia rinnovabili per la produzione di biogas;

    la causa E.ON Biofor Sverige riguardava un sistema di verifica della sostenibilità del biogas. Il sistema in vigore in Svezia comportava che, di fatto, il biogas sostenibile prodotto in Germania e destinato ad essere trasportato in Svezia tramite le reti di gas tedesca e danese non potesse essere incluso in tale sistema di verifica riguardante la sostenibilità del biogas, né essere classificato come « sostenibile» (261),

    la Corte ha rilevato che l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili per la produzione di biogas è, in linea di principio, utile per la tutela dell’ambiente, in quanto tale normativa è volta a contribuire alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Ha inoltre affermato che l’aumento dell’uso delle fonti di energia rinnovabili costituisce uno degli elementi importanti del pacchetto di misure richieste per ridurre tali emissioni e conformarsi agli impegni assunti a livello dell’Unione e a livello internazionale per la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra, e che tale aumento mira altresì alla tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, nonché alla preservazione dei vegetali (262);

    un sistema di deposito e restituzione degli imballaggi (263).

    La tutela dell’ambiente è invocata dagli Stati membri con maggiore frequenza a seguito, tra l’altro, degli impegni assunti in materia di cambiamenti climatici, dei progressi scientifici e della maggiore consapevolezza del grande pubblico. Tuttavia la Corte ha confermato che le giustificazioni basate sulla salute pubblica e sull’ambiente non sono sempre sufficienti a ostacolare la libera circolazione delle merci. In diversi casi la Corte ha sostenuto gli argomenti avanzati dalla Commissione riguardo a misure nazionali sproporzionate rispetto all’obiettivo da conseguire o alla mancanza di prove che dimostrassero il rischio dichiarato (264).

    La tutela dell’ambiente è un buon esempio dell’approccio più flessibile adottato dalla Corte in termini di classificazione delle motivazioni. La Corte ha riconosciuto in diversi casi che la tutela dell’ambiente è legata anche agli obiettivi di tutela della vita o della salute dell’uomo e degli animali, nonché di preservazione dei vegetali (265). La Corte ha statuito nella causa Commissione/Austria che dall’articolo 174, paragrafo 1, CE (ora articolo 191 TFUE) risulta che la tutela della salute umana rientra tra gli obiettivi della politica dell’Unione nel settore dell’ambiente. Viene inoltre affermato che tali obiettivi sono strettamente connessi tra di loro, in particolare nell’ambito della lotta contro l’inquinamento atmosferico finalizzata a limitare i rischi per la salute legati al degrado dell’ambiente. In linea di principio l’obiettivo di tutela della salute è quindi già incorporato nell’obiettivo di tutela dell’ambiente (266).

    7.2.2.   Protezione dei consumatori

    La protezione dei consumatori è tra le motivazioni invocate più di frequente. Le informazioni da fornire ai consumatori vengono valutate sulla base «dell’aspettativa presunta di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto» (267). Ciò è stato ad esempio affermato nella causa C-481/12, Juvelta, riguardante la punzonatura di metalli preziosi. La Corte ha rilevato che l’obbligo dell’importatore di fare apporre sugli oggetti in metalli preziosi una punzonatura indicante il titolo è in linea di principio atto ad assicurare una tutela efficace dei consumatori e a promuovere la lealtà delle transazioni commerciali. La Corte ha tuttavia affermato che uno Stato membro non può imporre una nuova punzonatura a prodotti importati da un altro Stato membro, dove sono stati legalmente messi in commercio e punzonati, qualora le indicazioni fornite dal primo punzone siano equivalenti a quelle prescritte dallo Stato membro di importazione e comprensibili per i consumatori di quest’ultimo (268).

    Alla base di tutto ciò vi è il principio secondo cui i consumatori che ricevono informazioni chiare e adeguate siano in grado di operare scelte autonome. Secondo la Corte i consumatori traggono più benefici dall’offerta di un numero maggiore di prodotti di qualità differente piuttosto che da una selezione ristretta di prodotti di qualità più elevata determinata da norme nazionali (269). È possibile che un prodotto venga vietato nel caso si rischi seriamente di indurre in errore il consumatore.

    Tuttavia in base alla linea direttrice nella giurisprudenza della Corte, nel caso in cui i prodotti importati siano simili a quelli nazionali, un’adeguata etichettatura, che può essere richiesta dalla legislazione nazionale, sarà sufficiente a fornire al consumatore le informazioni necessarie sulla natura del prodotto. Non è ammissibile alcuna giustificazione in base a motivi di tutela dei consumatori per misure inutilmente restrittive (270).

    7.2.3.   Altre esigenze imperative

    Nel corso del tempo la Corte ha riconosciuto altre esigenze imperative in grado di giustificare gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, tra cui figurano le seguenti.

    Diritti fondamentali: nella sentenza Schmidberger, la Corte ha riconosciuto che in alcuni casi è necessario conciliare la tutela dei diritti fondamentali (in tale contesto, la libertà di espressione e di riunione) con le libertà fondamentali sancite dal trattato, quando i primi sono invocati quali giustificazioni per una limitazione delle seconde (271).

    Miglioramento delle condizioni di lavoro: per quanto la salute e la sicurezza sul lavoro rientrino nella nozione di salute pubblica di cui all’articolo 36 TFUE, il miglioramento delle condizioni di lavoro costituisce un’esigenza imperativa anche in assenza di qualsiasi considerazione pertinente alla salute (272).

    Obiettivi culturali (273): in una causa riguardante l’obiettivo della legislazione francese di promuovere la creazione di opere cinematografiche, la Corte sembra aver riconosciuto che la tutela della cultura costituisce, a condizioni specifiche, un’esigenza imperativa in grado di giustificare restrizioni alle importazioni o esportazioni. Inoltre la tutela del libro in quanto bene culturale è stata riconosciuta come esigenza imperativa di interesse generale (274).

    Salvaguardia del pluralismo della stampa (275): facendo seguito a un riferimento pregiudiziale concernente il divieto imposto dall’Austria sulle pubblicazioni che offrono ai lettori la possibilità di partecipare a giochi a premi, la Corte ha ritenuto che la preservazione del pluralismo della stampa possa costituire un’esigenza imperativa di interesse generale. La Corte ha rilevato che questo pluralismo contribuisce alla salvaguardia della libertà di espressione, tutelata dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

    Equilibrio finanziario del sistema previdenziale: fini puramente economici non possono giustificare un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Tuttavia nella causa C-120/95Decker, la Corte ha riconosciuto che un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario del sistema previdenziale può costituire un motivo imperativo di interesse generale atto a giustificare tale ostacolo alla libera circolazione delle merci (276).

    Sicurezza stradale: in diversi casi la Corte ha altresì riconosciuto che la sicurezza stradale costituisce un’esigenza imperativa di interesse generale tale da giustificare un ostacolo alla libera circolazione delle merci (277).

    Lotta alla criminalità: nella sentenza di una causa concernente il divieto imposto dal Portogallo di apporre pellicole colorate sui vetri degli autoveicoli (278), la Corte ha affermato che la lotta alla criminalità può costituire una ragione imperativa di interesse generale atta a giustificare un ostacolo alla libera circolazione delle merci.

    Tutela del benessere degli animali: nella causa C-219/07 la Corte ha rilevato che la protezione del benessere degli animali costituisce un obiettivo legittimo di interesse generale. La Corte ha altresì statuito che l’importanza di tale obiettivo ha dato luogo all’adozione da parte degli Stati membri del protocollo sulla protezione e il benessere degli animali, allegato al trattato che istituisce la Comunità europea (279).

    Promuovere e incoraggiare l’uso di una delle lingue ufficiali di uno Stato membro: la Corte ha altresì ritenuto che promuovere e incoraggiare l’uso di una lingua ufficiale di uno Stato membro possa costituire un obiettivo legittimo tale da giustificare, in linea di principio, una restrizione agli obblighi imposti dal diritto dell’UE (280).

    Come menzionato in precedenza, l’elenco delle esigenze imperative non è esaustivo, ma in costante evoluzione nella giurisprudenza della Corte.

    7.3.   Verifica della proporzionalità

    Per essere giustificata a norma dell’articolo 36 TFUE o in base alle esigenze imperative stabilite dalla giurisprudenza della Corte, una misura nazionale deve ottemperare al principio di proporzionalità (281). Secondo il principio di proporzionalità, i mezzi scelti dagli Stati membri devono essere limitati a quanto effettivamente appropriato e necessario per garantire l’obiettivo legittimo perseguito (282). In parole povere, l’adeguatezza presuppone che la misura in questione sia adeguata al raggiungimento dell’obiettivo desiderato, mentre la necessità implica che i mezzi scelti non limitino la libera circolazione delle merci più di quanto necessario. In tale contesto occorre valutare se esistono mezzi meno restrittivi per gli scambi commerciali all’interno dell’UE, in grado di raggiungere ugualmente lo stesso risultato. Pertanto un elemento importante nell’analisi della giustificazione fornita dallo Stato membro è l’esistenza di misure alternative. In diverse occasioni la Corte ha ritenuto che le misure adottate da uno Stato non fossero appropriate poiché erano disponibili misure alternative (283).

    Ad esempio nelle cause C-28/09 e C-320/03 la Corte ha affermato che, prima di adottare una misura così radicale come il divieto totale di circolazione su un tratto di autostrada che costituisce una via di comunicazione vitale tra taluni Stati membri, le autorità sono tenute a esaminare attentamente la possibilità di fare ricorso a misure meno restrittive della libertà di circolazione, escludendole solo qualora risulti chiaramente la loro inadeguatezza rispetto all’obiettivo perseguito (284). Nella causa C-549/15 riguardante un sistema di verifica della sostenibilità del biogas, la Corte ha ritenuto che non fosse dimostrato che la deroga al principio di libera circolazione delle merci fosse necessaria per realizzare gli obiettivi in questione. Il motivo risiedeva nel fatto che le autorità non avevano dimostrato concretamente la presenza di un siffatto motivo di interesse generale, né la proporzionalità di tale misura rispetto all’obiettivo perseguito. Pertanto la misura in questione è stata considerata ingiustificata (285).

    Nella sentenza Scotch Whisky Association la Corte ha ritenuto che l’aumento del prezzo del consumo di alcol per tutelare la salute e la vita delle persone imponendo un prezzo minimo per la vendita al dettaglio di alcolici potesse non essere proporzionato, poiché erano disponibili altri mezzi meno restrittivi come l’aumento delle accise. Tuttavia la Corte ha proseguito affermando che spettava al giudice del rinvio verificare se questo fosse in effetti il caso, alla luce di un’analisi circostanziata di tutti gli elementi pertinenti della controversia sulla quale è chiamato a giudicare. A questo proposito le giustificazioni che possono essere addotte da uno Stato membro devono essere corredate da prove adeguate o da un’analisi dell’idoneità e della proporzionalità della misura restrittiva adottata, nonché da elementi circostanziati che consentano di suffragare la sua argomentazione (286). L’esame della proporzionalità non si limita alla valutazione delle prove o delle informazioni disponibili al momento dell’adozione della misura, ma deve essere effettuato sulla base delle prove o informazioni di cui il giudice nazionale dispone nel momento in cui emette la propria sentenza (287).

    Lo Stato membro è altresì obbligato a perseguire gli obiettivi dichiarati in modo coerente e sistematico (288). Se uno Stato membro è in grado di dimostrare che l’adozione di una misura alternativa nuocerebbe agli altri interessi legittimi, ciò deve essere preso in considerazione nella valutazione della proporzionalità (289). Di conseguenza la valutazione della proporzionalità consiste nel bilanciare gli interessi in gioco nel quadro del caso esaminato.

    Va osservato che, in assenza di norme armonizzate a livello europeo, gli Stati membri sono liberi di decidere il grado di protezione che intendono garantire per provvedere al legittimo interesse in questione. In taluni ambiti la Corte ha concesso agli Stati membri un certo «margine di discrezionalità» in relazione alle misure adottate e al livello di tutela perseguito, che può variare da uno Stato all’altro in base alle circostanze nazionali. È alquanto naturale che tale margine di discrezionalità sia più ampio negli ambiti considerati più sensibili (290).

    Malgrado tale relativa libertà di stabilire il livello di tutela perseguito, il solo fatto che uno Stato membro abbia scelto un sistema di protezione differente da quello adottato da un altro Stato membro non può rilevare ai fini della valutazione della necessità e della proporzionalità delle disposizioni prese in materia (291). Queste vanno valutate soltanto alla stregua degli obiettivi perseguiti dalle autorità nazionali dello Stato membro interessato e del livello di tutela che intendono assicurare (292).

    Alla luce del numero crescente di giustificazioni possibili, la valutazione della proporzionalità costituisce un elemento essenziale e spesso determinante nel ragionamento della Corte (293).

    7.4.   Onere della prova

    Spetta allo Stato membro che invochi una ragione giustificativa di una restrizione della libera circolazione delle merci dimostrare in concreto l’esistenza di un motivo di interesse generale, la necessità della restrizione e il carattere proporzionato di quest’ultima rispetto all’obiettivo perseguito (294). Come spiegato in precedenza, la giustificazione fornita dallo Stato membro deve essere accompagnata da prove appropriate oppure da un’analisi dell’adeguatezza e della proporzionalità della misura restrittiva adottata, nonché da prove precise, tali da corroborare le sue argomentazioni (295). A tale proposito sarà considerata insoddisfacente una semplice dichiarazione che affermi che la misura è giustificata sulla base di una delle motivazioni accettate o che non proceda all’analisi di possibili alternative (296). Tuttavia la Corte ha rilevato che l’onere della prova non può estendersi fino a pretendere che lo Stato membro dimostri in positivo che nessun’altra possibile misura permette la realizzazione dello stesso obiettivo alle stesse condizioni (297).

    8.   RAPPORTI CON ALTRE LIBERTÀ E ALTRI ARTICOLI DEL TRATTATO CONNESSI ALLA LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE MERCI

    8.1.   Libertà fondamentali

    8.1.1.   Articolo 45 TFUE — Libera circolazione dei lavoratori

    L’articolo 45 TFUE (ex articolo 39 TCE) assicura la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’UE. Tale libertà implica l’abolizione di qualsiasi forma di discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori migranti dell’UE e i lavoratori nazionali, per quanto riguarda l’accesso al lavoro e le condizioni di lavoro, i vantaggi fiscali e sociali. L’articolo 45 TFUE non vieta solo discriminazioni fondate sulla nazionalità, ma anche le norme nazionali applicabili indipendentemente dalla nazionalità del lavoratore interessato ma che ostacolano la libera circolazione del medesimo.

    I problemi connessi alla circolazione degli effetti personali del lavoratore potrebbero teoricamente essere valutati a norma dell’articolo 34 TFUE o dell’articolo 45 TFUE. La Corte ha affrontato tale questione nella causa Weigel (298) concernente il trasferimento degli autoveicoli di proprietà di una coppia sposata dal loro paese (Germania) nello Stato membro dove il marito aveva trovato impiego (Austria). Al momento dell’immatricolazione dei loro autoveicoli in Austria, alla coppia era stata applicata una maggiorazione dell’imposta. La coppia ha sostenuto che l’imposta avrebbe loro impedito di esercitare i propri diritti di cui all’articolo 45 TFUE.

    In linea di principio la Corte ha convenuto che l’imposta «può incidere negativamente sulla scelta dei lavoratori migranti di esercitare il loro diritto di libera circolazione» (299). Per altre ragioni la Corte ha respinto tuttavia l’argomentazione della coppia circa la violazione, per mezzo dell’applicazione dell’imposta, dell’articolo 45 TFUE. Merita segnalare che la Corte non ha risposto esplicitamente in merito alla questione concernente la possibilità che restrizioni di questo tipo vengano trattate esclusivamente a norma dell’articolo 34 TFUE. Inoltre vi è ancora incertezza sulle situazioni in cui sarebbe più vantaggioso applicare l’articolo 45 TFUE piuttosto che l’articolo 34 TFUE, considerato che la prima di tali disposizioni si applica solo a cittadini di uno Stato membro, mentre l’articolo 34 TFUE si applica ai prodotti provenienti da paesi terzi che sono stati immessi sul mercato dell’UE.

    È opportuno rilevare che secondo la giurisprudenza della Corte costituiscono violazione dell’articolo 45 TFUE le norme nazionali che prevedono l’immatricolazione e/o tassazione di un veicolo aziendale nello Stato membro in cui è domiciliato il lavoratore che usa il veicolo, anche se il datore di lavoro che gli ha messo a disposizione il veicolo è stabilito in un altro Stato membro e anche se il veicolo è prevalentemente usato nello Stato membro in cui ha sede il datore di lavoro stesso (300). Il motivo è legato al fatto che tali misure possono avere l’effetto di impedire al lavoratore di godere di alcuni vantaggi, ad esempio avere a disposizione un veicolo, e possono impedirgli in definitiva di lavorare in un altro Stato membro.

    Ciò è stato confermato più di recente nella causa C-420/15 riguardante un procedimento penale avviato dalle autorità belghe a carico di un cittadino italiano, accusato di aver circolato con un autoveicolo immatricolato in Italia, sulla base del fatto che la sua residenza principale era in Belgio. Il veicolo era destinato essenzialmente ad essere utilizzato in Italia ed era utilizzato in Belgio solo occasionalmente per transitare. La Corte ha confermato che l’articolo 45 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro che obbliga un lavoratore ivi residente a immatricolare un veicolo immatricolato in un altro Stato membro destinato essenzialmente all’uso in quest’ultimo Stato (301).

    8.1.2.   Articoli 49 e 56 TFUE — Libertà di stabilimento e prestazione dei servizi

    La libertà di stabilimento di cui all’articolo 49 TFUE (ex articolo 43 TCE) e la libertà di prestare servizi (a livello transnazionale) di cui all’articolo 56 TFUE (ex articolo 49 TCE) sono altre libertà fondamentali sancite dal trattato, strettamente connesse alla libera circolazione delle merci. Entrambe le libertà menzionate si riferiscono ad attività di lavoro autonomo (302). In caso di stabilimento l’attività in questione è svolta o la società è fondata in modo stabile e continuo e presenta un carattere indefinito (303) con una dimensione transfrontaliera effettiva o meramente potenziale (304). Per contro, nel caso della prestazione di servizi transfrontalieri l’attività è svolta in modo temporaneo o occasionale (305) e sempre con una dimensione chiaramente transfrontaliera (306).

    Lo svolgimento di un’attività di lavoro autonomo è comune sia alla libertà di stabilimento che alla libera prestazione dei servizi. Poiché tale attività economica, che consiste nella prestazione di un servizio (con corrispettivo economico (307)), può riguardare merci, una misura nazionale che interessa tale servizio inciderà, di solito, anche sulla circolazione delle merci in questione. Ciò avviene chiaramente nel caso della distribuzione delle merci, definita in senso lato come trasporto di merci (308), commercio all’ingrosso e al dettaglio (309), ma anche nel caso in cui un bene venga utilizzato nello svolgimento di un’attività, sia come attrezzatura che come materiale considerato parte integrante del servizio erogato. D’altro canto è chiaro che la libera circolazione delle merci a norma dell’articolo 34 TFUE include non solo restrizioni sulle caratteristiche delle merci ma anche restrizioni sulla distribuzione e l’impiego. È dunque ricorrente la questione se occorra valutare una misura nazionale che incide su tali attività economiche secondo il principio della libertà di stabilimento/della libera prestazione dei servizi oppure della libera circolazione delle merci o di entrambi, e tale aspetto deve essere definito caso per caso. Ad esempio le restrizioni pubblicitarie (come la pubblicità di alcolici (310)) da un lato possono ripercuotersi sul settore della promozione, come quello dei prestatori di servizi, e dall’altro l’effetto di tali restrizioni può associarsi a merci specifiche e alle possibilità di penetrazione sul mercato, creando in tal modo ostacoli al commercio di prodotti.

    Secondo la Corte i trattati non stabiliscono alcuna priorità tra la libera prestazione dei servizi e le altre libertà fondamentali (311), neppure in relazione alla libera prestazione dei servizi a norma dell’articolo 57 TFUE, che definisce quest’ultima libertà in maniera ausiliaria rispetto al contenuto delle altre libertà fondamentali (312). Probabilmente per motivi di economia procedurale, nel caso in cui una misura nazionale interessasse più di una libertà fondamentale, la Corte ha spesso esaminato tale misura sulla base di una sola libertà fondamentale. A tal fine la Corte decide di solito quale delle libertà fondamentali prevalga (313). In alcuni casi essa ha esaminato la misura dal punto di vista di entrambe le libertà fondamentali.

    Lo si constata ad esempio nella causa C-591/17, Austria/Germania, riguardante un canone per l’uso delle infrastrutture e l’esenzione dalla tassa sugli autoveicoli per i veicoli immatricolati in Germania. La Corte ha concluso che la Germania, avendo introdotto il canone per l’uso delle infrastrutture per gli autoveicoli privati e avendo previsto, simultaneamente, un’esenzione dalla tassa sugli autoveicoli di importo almeno equivalente a quello del canone versato, a favore dei proprietari di veicoli immatricolati in Germania, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 18, 34, 56 e 92 TFUE (314).

    Misure che incidono sulla distribuzione delle merci: altre misure che incidono sul trasporto, sul commercio all’ingrosso e al dettaglio delle merci possono limitare al contempo sia la libera circolazione delle merci che la libera prestazione dei servizi di distribuzione. Da un lato, alcune misure con un impatto sulla distribuzione appartengono ancora chiaramente alla sfera della libera circolazione delle merci, come quelle che si concentrano sull’atto in sé di importare/esportare (cfr. sezione 4.1).

    Nel caso di altre misure che incidono su servizi di distribuzione, si può ritenere prima facie che esse si concentrino più sul servizio di distribuzione stesso che sulla merce distribuita. Tuttavia in seguito a una valutazione caso per caso dell’obiettivo e più in particolare dell’impatto della misura, si può ritenere che quest’ultima riguardi piuttosto le merci, se concerne:

    regimi di autorizzazione per gli operatori economici (non rivolti esclusivamente a importatori/esportatori) — cfr. sezione 4.5;

    obblighi per gli operatori di nominare rappresentanti o di fornire strutture di stoccaggio — cfr. sezione 4.2;

    obblighi in materia di controlli sui prezzi e di rimborso – cfr. sezioni 4.4 e 4.11;

    restrizioni pubblicitarie — cfr. sezione 4.6.

    Vi sono anche casi in cui la pertinenza principale della misura, in termini di obiettivo e impatto, non può essere facilmente attribuita né alle merci stesse né al servizio in questione. Le disposizioni nazionali che vietano la vendita all’asta di merci in determinate circostanze possono, ad esempio, da un lato essere considerate un ostacolo al servizio di un commissario d’asta (stabilito in uno Stato membro o che fornisce servizi transfrontalieri) e dall’altro creare ostacoli alla vendita delle merci (315).

    Un criterio utile sembra essere la constatazione di un impatto significativo sulla messa a disposizione del prodotto sul mercato. Nel corso del tempo la giurisprudenza della Corte è diventata più chiara rispetto ai servizi di distribuzione, dato che molte, se non tutte, le misure che riguardano o influenzano la distribuzione di un bene possono qualificarsi come «modalità di vendita» secondo la giurisprudenza Keck (cfr. sezione 3.4.2.2).

    Misure che incidono sull’impiego delle merci: infine sono spesso strettamente legate allo svolgimento di un servizio le misure mirate e/o aventi un impatto specifico sulle merci in relazione al loro utilizzo. Pertanto la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi svolgono in generale un ruolo di primo piano nella valutazione dell’ammissibilità della misura.

    Il primo aspetto da considerare è se l’attività che implica l’utilizzo di un bene costituisce un’attività di lavoro autonomo, ossia se consiste nell’offrire servizi e commercializzare i prodotti sul mercato dietro compenso economico. In caso contrario, per quanto si possa ritenere che si riferisca alla libera circolazione del bene in questione o che abbia un impatto particolare su di essa, tale misura non riguarderà né la libertà di stabilimento né la libera prestazione di servizi.

    Tuttavia, se il servizio che implica l’uso di un bene (compreso in senso lato il riciclaggio, il riutilizzo o lo smaltimento del bene) è un’attività di lavoro autonomo, allora la misura che incide sull’impiego del bene sarà pertinente ai fini della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

    In alcuni casi l’impatto sulla libera circolazione del bene in questione non è di secondaria importanza. Anche in questo caso un criterio utile sembra essere la constatazione di un impatto significativo (seppure indiretto) sulla messa a disposizione del prodotto sul mercato (316).

    8.1.3.   Articoli 63 TFUE e seguenti — Libera circolazione dei capitali e dei pagamenti

    Gli articoli 63 TFUE e seguenti (ex articolo 56 TCE e seguenti) disciplinano la libertà di movimento dei capitali e dei pagamenti. In particolare l’articolo 63 TFUE vieta tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e di pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

    La libertà di taluni movimenti di capitali costituisce, in pratica, una condizione per l’esercizio effettivo di altre libertà garantite dal TFUE (317).

    Nonostante il fatto che gli elementi in comune con la libera circolazione delle merci siano limitati, la Corte ha da tempo chiarito che i mezzi di pagamento non vanno considerati come merci (318). Per di più la Corte ha accertato che un trasferimento materiale di valori deve essere considerato un movimento di capitale ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE oppure un pagamento ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 2, nel caso in cui tale trasferimento costituisca un pagamento relativo a scambi di merci o di servizi (319).

    Per quanto i movimenti di capitali transfrontalieri possano interessare regolarmente gli investimenti di fondi (320), non può essere escluso che in circostanze specifiche essi possano anche riguardare trasferimenti in natura. La Corte ha statuito che, quando un soggetto passivo di uno Stato membro chiede la deduzione fiscale di una somma pari al valore delle donazioni eseguite a favore di terzi residenti in un altro Stato membro, non serve accertare se le sottostanti donazioni siano state eseguite in contanti o in natura. A tali donazioni si applicano inoltre le disposizioni dell’articolo 63 TFUE, anche quando sono state eseguite in natura sotto forma di beni di largo consumo (321).

    Inoltre la Corte si è occupata altresì di questioni relative all’immatricolazione di autoveicoli, anche dal punto di vista dell’articolo 63 TFUE (322). Sebbene tale procedura sia generalmente considerata un ostacolo alla libera circolazione delle merci se limita la circolazione di alcuni veicoli tra gli Stati membri, la Corte ha valutato in termini di libera circolazione di capitali il caso in cui un veicolo venga prestato, a titolo gratuito, nell’ambito di un’operazione transfrontaliera tra cittadini residenti in Stati membri diversi (323).

    8.2.   Altri articoli pertinenti del trattato

    8.2.1.   Articolo 18 TFUE — Non discriminazione in base alla nazionalità

    L’articolo 18 TFUE (ex articolo 12 TCE) vieta ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Per consolidata giurisprudenza, tale disposizione è destinata ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’UE per le quali non siano state stabilite norme specifiche di non discriminazione (324).

    Il principio di non discriminazione in base alla nazionalità sancito dall’articolo 18 TFUE trova espressione specifica nelle disposizioni del trattato relative alla libera circolazione delle persone, compresa la libera circolazione dei lavoratori di cui all’articolo 45 TFUE e la libera prestazione dei servizi di cui all’articolo 56 TFUE. Tuttavia nella causa Austria/Germania la Corte ha valutato il sistema di finanziamento delle autostrade non solo alla luce dell’articolo 18, ma anche degli articoli 34, 56 e 92 TFUE. In ultima analisi si è ritenuto che la misura fiscale applicata dalla Germania a livello nazionale violasse tutti gli obblighi del trattato menzionati, in quanto l’onere finanziario di un nuovo canone nel quadro del sistema di finanziamento sarebbe ricaduto esclusivamente sui proprietari di veicoli stranieri (325).

    8.2.2.   Articoli 28 e 30 TFUE —L’unione doganale

    Mentre l’articolo 34 TFUE ha per oggetto gli ostacoli non tariffari al commercio, gli articoli 28 e 30 TFUE (ex articolo 25 TCE) vietano i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente. Tale divieto è di carattere generale e assoluto, e si applica a tutti i dazi doganali o a tutte le tasse di effetto equivalente tra gli Stati membri, indipendente dall’importo, dalla denominazione, dalla struttura, oppure dallo scopo e dalla destinazione dei proventi che ne derivano (326).

    Diversamente dall’articolo 34 TFUE, gli articoli 28 e 30 TFUE non ammettono deroghe (327). Tuttavia gli oneri riscossi a causa di controlli effettuati per conformarsi ad obblighi imposti dal diritto dell’UE e quelli che costituiscono una contropartita proporzionata al servizio effettivamente offerto non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 30 TFUE (328).

    Il divieto ai sensi degli articoli 28 e 30 TFUE dovrebbe essere distinto da quello riguardante le imposizioni interne discriminatorie di cui all’articolo 110 TFUE, che può essere soggetto a giustificazioni. È opportuno tenere sempre presente che gli articoli 30 e 110 TFUE si escludono a vicenda (329).

    Le tasse di effetto equivalente ai dazi doganali a norma dell’articolo 30 TFUE vengono imposte unilateralmente alle merci in ragione del fatto che essere varcano una frontiera (330). Tuttavia se le misure nazionali prevedessero la stessa imposta per merci nazionali e merci esportate identiche allo stesso stadio commerciale in cui il fatto generatore dell’imposta è identico, esse rientrerebbero nell’ambito di applicazione dell’articolo 110 TFUE (331). In via eccezionale, qualora l’onere sopportato da un prodotto nazionale fosse interamente compensato dai benefici derivanti da tale tassa, quest’ultima rientrerebbe nell’ambito di applicazione degli articoli 28 e 30 TFUE (332).

    Infine la Corte ha chiarito che il contribuente dovrebbe poter ottenere la restituzione di una tassa contraria all’articolo 30 TFUE anche in una situazione in cui il meccanismo di pagamento della tassa è stato concepito, nella normativa nazionale, in modo che tale tassa si ripercuota sul consumatore (333).

    8.2.3.   Articolo 37 TFUE — Monopoli di Stato

    Ai sensi del primo paragrafo dell’articolo 37 TFUE (ex articolo 31 TCE), «gli Stati membri procedono a un riordinamento dei monopoli nazionali che presentano un carattere commerciale, in modo che venga esclusa qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all’approvvigionamento e agli sbocchi».

    Ciò non significa che i monopoli devono scomparire, piuttosto che devono essere modificati in modo da escludere un possibile effetto discriminatorio. In generale l’articolo 37 TFUE si applica nelle situazioni in cui lo Stato: 1) conferisce diritti esclusivi di acquisto o di vendita e permette quindi il controllo di importazioni ed esportazioni, e 2) conferisce diritti a un’impresa statale, un’istituzione statale o, per delega, a un’organizzazione privata.

    L’articolo 37 TFUE ha efficacia diretta e si applica unicamente alle merci (pertanto non riguarda la libera circolazione dei servizi o dei capitali (334)). Inoltre la disposizione del trattato riguarda le attività intrinsecamente connesse all’esercizio della funzione specifica del monopolio e non ha quindi alcuna rilevanza nei confronti delle disposizioni nazionali estranee a tale connessione. Tale approccio suggerisce che l’articolo 37 TFUE costituisce una lex specialis rispetto alla disposizione generale di cui all’articolo 34 TFUE. Nella causa Franzén riguardante il monopolio svedese di vendita al dettaglio delle bevande alcoliche, la Corte ha ritenuto che «le norme relative all’esistenza ed al funzionamento del monopolio» (335) rientrassero nell’ambito di applicazione dell’articolo 37 TFUE, laddove «le altre disposizioni della legge nazionale, che sono scindibili dal funzionamento del monopolio pur avendo un’incidenza su quest’ultimo, dovranno essere esaminate alla luce dell’[articolo 34 TFUE]» (336).

    Nella causa Hanner relativa al monopolio svedese di vendita al dettaglio dei medicinali, la Corte ha sostenuto che l’articolo 37 TFUE «mira ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione delle merci, ad eccezione tuttavia degli effetti restrittivi sugli scambi che sono inerenti all’esistenza dei monopoli di cui trattasi» (337). Successivamente nella causa Rosengren la Corte ha spiegato che «anche se […] la misura controversa nella causa principale incide sulla libera circolazione delle merci in seno alla Comunità europea, essa non disciplina, in quanto tale, l’esercizio, da parte del monopolio [svedese di vendita al dettaglio di alcolici] del suo diritto di esclusiva per la vendita al dettaglio delle bevande alcoliche nel territorio svedese. Tale misura, la quale non riguarda dunque l’esercizio da parte del monopolio della sua funzione specifica, non può pertanto essere considerata relativa all’esistenza stessa di quest’ultimo» (338).

    La stessa argomentazione è stata ribadita nella giurisprudenza più recente della Corte, come nella causa ANETT riguardante la normativa nazionale che vieta ai rivenditori di tabacco di importare tabacchi lavorati da altri Stati membri. In primo luogo la Corte ha affermato che l’articolo 37 TFUE si applica se la normativa in questione riguarda il funzionamento di un monopolio a carattere commerciale e comporta effetti di restrizione agli scambi intrinseci all’esistenza di un tale monopolio. In secondo luogo ha statuito che le norme relative all’esistenza e al funzionamento di un monopolio si devono esaminare alla luce delle disposizioni dell’articolo 37 TFUE specificamente applicabili all’esercizio dei diritti di esclusiva di un monopolio. A loro volta le disposizioni della normativa nazionale, che sono scindibili dal funzionamento del monopolio pur avendo un’incidenza su quest’ultimo, devono essere esaminate alla luce dell’articolo 34 TFUE (339).

    Nella causa ANETT la Corte ha statuito che, poiché la funzione specifica assegnata al monopolio di cui trattasi consisteva nel riservare ai concessionari l’esclusiva della vendita al pubblico di tabacchi lavorati, la misura di divieto ha inciso sulla libera circolazione delle merci senza tuttavia disciplinare l’esercizio del diritto di esclusiva attinente al monopolio. Tale misura è risultata scindibile dal funzionamento del monopolio, poiché non si riferiva alle modalità della vendita al pubblico dei tabacchi lavorati, bensì al mercato a monte di tali prodotti. Allo stesso modo detta misura non si concentrava né sulla rete di vendita del monopolio né sulla commercializzazione o sulla pubblicità dei prodotti distribuiti da esso. La Corte ha concluso che la misura nazionale non poteva essere vista come una norma relativa all’esistenza o al funzionamento del monopolio e che l’articolo 37 TFUE era quindi irrilevante al fine di verificarne la compatibilità con il diritto dell’Unione (340).

    Nella causa Visnapuu la Corte ha esaminato se il requisito dell’autorizzazione di vendita al dettaglio per l’importazione di bevande alcoliche a fini di vendita al dettaglio a consumatori residenti in Finlandia dovesse essere valutato alla luce dell’articolo 34 TFUE o dell’articolo 37 TFUE. Secondo il governo finlandese, il regime di monopolio avrebbe dovuto essere esaminato alla luce dell’articolo 37 TFUE, mentre i regimi di autorizzazione alla luce dell’articolo 34 TFUE. La Corte ha convenuto e statuito che i regimi di autorizzazione non disciplinano il funzionamento del monopolio o l’esercizio dei diritti di esclusiva, poiché essi prevedono il diritto per persone debitamente autorizzate di vendere al dettaglio talune categorie di bevande alcoliche. Di conseguenza questi regimi di autorizzazione sono scindibili dal funzionamento del monopolio e devono essere esaminati alla luce dell’articolo 34 TFUE (341). In linea con la causa Franzén la Corte ha ricordato che l’articolo 37 TFUE impone che il monopolio sia riordinato in modo da escludere qualsiasi discriminazione tra gli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all’approvvigionamento e agli sbocchi delle merci, di guisa che lo scambio di merci in provenienza dagli altri Stati membri non sia svantaggiato e che la concorrenza tra le economie degli Stati membri non sia falsata (342).

    Alla luce della giurisprudenza sembra che la Corte abbia scelto di considerare che gli articoli 34 e 37 TFUE si escludano a vicenda. Nel caso in cui la misura nazionale in questione non riguardi l’esercizio della funzione specifica assegnata al monopolio, essa non rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 37 TFUE e deve dunque essere esaminata ai sensi degli articoli 34 e 36 TFUE.

    Dall’altro lato è inoltre possibile sostenere che vi sia una sovrapposizione tra l’articolo 37 TFUE e gli altri articoli del trattato. La Corte, in occasione di casi di violazione che vertevano su diversi monopoli nazionali nel settore dell’elettricità e del gas (343), ha sostenuto che è possibile in effetti un’applicazione congiunta degli articoli 37 e 34 TFUE. Tale approccio implicherebbe che una misura connessa a un monopolio nazionale debba essere prima esaminata alla luce dell’articolo 37 TFUE. Se la misura è considerata discriminatoria, non sarà più necessario procedere al suo esame alla luce degli articoli 34 e 35 TFUE. Per contro, laddove si concluda che la misura non è discriminatoria a norma all’articolo 37 TFUE, sarà necessario esaminarla alla luce delle disposizioni generali concernenti la libera circolazione delle merci.

    8.2.4.   Articolo 107 TFUE — Aiuti di Stato

    L’articolo 107 TFUE (ex articolo 87 TCE) stabilisce che sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

    In proposito le norme relative agli aiuti di Stato e gli articoli da 34 a 36 TFUE perseguono uno scopo comune, quello cioè di garantire la libera circolazione delle merci fra Stati membri in condizioni normali di concorrenza (344). Poiché tuttavia hanno oggetti diversi, il fatto che una misura statale sia qualificata come aiuto di Stato non osta automaticamente a che un regime di sovvenzioni sia valutato alla luce di norme dell’UE diverse, quali gli articoli da 34 a 36 TFUE (345). Nella storica causa Commissione/Francia (346), ad esempio, la Corte ha esaminato la legalità di una misura che permetteva alle imprese editoriali di beneficiare di agevolazioni fiscali a condizione che i giornali venissero stampati in Francia. Mentre la Commissione sosteneva che ciò costituisse violazione dell’articolo 34 TFUE, il governo francese argomentava che la misura avrebbe dovuto essere esaminata alla luce dell’articolo 107 TFUE, poiché le disposizioni fiscali non potevano essere separate dal regime di aiuti generali alla stampa. La Corte, avendo constatato che la Francia non aveva notificato l’aiuto ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3, TFUE, ha formulato la seguente dichiarazione di principio: «il fatto che una misura nazionale possa essere eventualmente qualificata come aiuto […] non è un motivo sufficiente per esentarla» dall’applicazione delle disposizioni in materia di libera circolazione delle merci (347). Per di più, nella pronuncia pregiudiziale della causa PreussenElektra (348) la Corte ha riscontrato che la misura nazionale relativa alla fornitura di energia elettrica a livello regionale avrebbe potuto, almeno potenzialmente, ostacolare il commercio intracomunitario. Tuttavia, poiché la misura era destinata a tutelare l’ambiente contribuendo alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, non è stata considerata contraria alla libera circolazione delle merci.

    Per altro il mero fatto che un aiuto di Stato in quanto tale abbia ripercussioni sugli scambi interni all’UE non è di per sé sufficiente a qualificare al contempo il provvedimento come misura di effetto equivalente a norma dell’articolo 34 TFUE. La Corte invece opera una distinzione tra aspetti che sono indissolubilmente legati all’oggetto dell’aiuto e aspetti che possono essere isolati da condizioni e azioni che, pur facendo parte del regime di aiuti, possono essere considerati non necessari ai fini del raggiungimento dello scopo dell’aiuto o del suo funzionamento (349). Solo gli ultimi aspetti rientrano nell’ambito di applicazione degli articoli da 34 a 36 TFUE. Come affermato dal Tribunale nella causa Castelnou Energía, SL (350), «la circostanza che un sistema di aiuti concessi da uno Stato o mediante risorse statali, per il solo fatto che agevola talune imprese o produzioni nazionali, possa ostacolare, quantomeno indirettamente, l’importazione di prodotti simili o concorrenti da altri Stati membri, di per sé, non è sufficiente per assimilare un aiuto, in quanto tale, a una misura di effetto equivalente a una restrizione quantitativa ai sensi dell’articolo 34 TFUE».

    Dalla giurisprudenza è inoltre chiaro che un giudice nazionale è competente per la valutazione della conformità di un regime di aiuti alle disposizioni del trattato aventi un effetto diretto, diverse da quelle relative agli aiuti di Stato (ad esempio gli articoli da 34 a 36 e l’articolo 63 TFUE (351)), solo se le disposizioni possono essere valutate isolatamente e se non sono necessarie alla realizzazione dell’obiettivo o al funzionamento del regime di aiuti. (352) Di conseguenza gli articoli 107 e 108 TFUE ostano a che un giudice nazionale proceda alla valutazione di una misura statale in base ad altre disposizioni aventi un effetto diretto, qualora queste ultime siano connesse al funzionamento e all’oggetto della misura in questione.

    8.2.5.   Articolo 110 TFUE – Disposizioni fiscali

    L’articolo 110 TFUE (ex articolo 90 TCE) costituisce un complemento delle disposizioni relative all’abolizione dei dazi doganali e delle tasse di effetto equivalente. Tale disposizione è intesa a garantire la libera circolazione delle merci fra gli Stati membri in normali condizioni di concorrenza, mediante l’eliminazione di ogni forma di protezione che possa risultare dall’applicazione di tributi interni discriminatori nei confronti delle merci originarie di altri Stati membri (353). In relazione all’articolo 34 TFUE, l’articolo 110 TFUE è considerato lex specialis, vale a dire che i casi contemplati dall’articolo 110 TFUE escludono l’applicazione dell’articolo 34 TFUE. È il caso della sentenza Kawala (354), nella quale la Corte ha deciso che una tassa di immatricolazione per i veicoli di seconda mano importati, essendo di natura fiscale, rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 110 TFUE e che di conseguenza l’articolo 34 TFUE non è applicabile. Tuttavia è opportuno ricordare che, in virtù di una giurisprudenza costante, gli Stati membri devono esercitare la propria competenza in materia di fiscalità diretta nel rispetto del diritto dell’UE, in particolare delle libertà fondamentali garantite dal trattato (355).

    Il primo comma dell’articolo 110 TFUE vieta a tutti gli Stati membri di applicare ai prodotti di altri Stati membri imposizioni interne superiori a quelle applicate a prodotti nazionali similari. Si ha violazione di tale disposizione quando l’imposta applicata a un prodotto importato e quella gravante su un prodotto nazionale similare sono calcolate secondo criteri e modalità differenti, con la conseguenza che il prodotto importato viene assoggettato, sebbene solo in determinati casi, a un onere più gravoso.

    La Corte ha definito i prodotti similari come prodotti che, dal punto di vista dei consumatori, presentano proprietà analoghe e rispondono alle stesse esigenze, e ciò in funzione di un criterio non di rigorosa identità, ma di analogia e di comparabilità nell’utilizzazione. Nella causa Commissione/Francia (356) la Corte ha statuito che le sigarette di tabacco scuro e le sigarette di tabacco chiaro potevano essere considerate prodotti similari.

    Non possono essere addotte difficoltà di carattere pratico per giustificare l’applicazione di imposizioni interne di natura discriminatoria ai prodotti originari di altri Stati membri (357).

    Il secondo comma dell’articolo 110 TFUE intende eliminare qualsiasi forma di protezionismo fiscale indiretto nel caso di prodotti provenienti da altri Stati membri che, sebbene non siano similari ai prodotti nazionali, si trovano tuttavia con alcuni di essi in un rapporto di concorrenza. La maggiore tassazione dei prodotti provenienti da altri Stati membri rispetto ai prodotti nazionali concorrenti è vietata quando è tale da comportare, sul mercato in questione, una riduzione del consumo potenziale di prodotti importati a vantaggio dei prodotti nazionali concorrenti. Nella causa Commissione/Svezia (358) la Corte ha considerato che i vini della categoria intermedia (principalmente importati) presentassero sufficienti caratteristiche comuni con la birra forte (principalmente nazionale) da poter essere considerati in rapporto di concorrenza con la birra forte. Tuttavia la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, non vi fosse alcuna prova che la differenza di tassazione tra questi due prodotti fosse in grado di influire sul comportamento del consumatore nel settore considerato (nessun effetto protezionistico).

    Laddove venga imposta una tassa su prodotti nazionali e importati e gli introiti siano destinati a finanziare attività di cui beneficiano solo i prodotti nazionali, compensando così parzialmente (359) l’onere fiscale sostenuto da questi ultimi prodotti, una tale tassa costituisce un’imposizione discriminatoria vietata ai sensi dell’articolo 110 TFUE (360).

    8.2.6.   Articolo 351 TFUE

    L’articolo 351 TFUE (ex articolo 307 TCE) concerne i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni di diritto internazionale concluse dagli Stati membri anteriormente al 1958 o anteriormente alla data della loro adesione con uno o più paesi terzi. La norma è che tali diritti e obblighi non sono pregiudicati dalle disposizioni del trattato, purché siano soddisfatte le seguenti condizioni cumulative:

    l’accordo internazionale deve imporre e non semplicemente consentire allo Stato membro di adottare una misura incompatibile con un obbligo di tale Stato membro ai sensi del diritto dell’Unione. In relazione all’articolo 34 TFUE la Corte nella causa C-324/93 (361) ha definito i confini entro i quali gli Stati membri possono adottare misure in contrasto con gli obblighi derivanti da tale articolo. Il problema riguardava il rifiuto di concedere una licenza per l’importazione di diamorfina (uno stupefacente soggetto alla convenzione unica del 1961 sugli stupefacenti) nel Regno Unito. La Corte ha stabilito che il fatto che un provvedimento «possa derivare da una convenzione internazionale precedente al Trattato o all’adesione di uno Stato membro e che lo Stato membro mantenga questo provvedimento in forza dell’art. [351], nonostante il suo carattere di ostacolo, non ha l’effetto di sottrarlo all’ambito di applicazione dell’ art. [34], in quanto l’art. [351] interviene unicamente allorché la convenzione imponga a uno Stato membro un obbligo incompatibile con il Trattato».

    La conclusione è che gli Stati membri devono astenersi dall’adottare misure contrarie al diritto dell’UE, in particolare alle norme sulla libera circolazione delle merci, qualora gli accordi internazionali dei quali sono firmatari non impongano loro di adottare tali misure.

    L’accordo non mette in discussione i principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

    9.   APPLICAZIONE DEGLI ARTICOLI 34 E 35 TFUE

    9.1.   Efficacia diretta — applicazione da parte di privati

    La Corte ha riconosciuto che il divieto di cui all’articolo 34 TFUE è «assoluto ed esplicito, e non richiede alcun ulteriore provvedimento di attuazione da parte degli Stati membri o delle istituzioni [dell’Unione]». Pertanto l’articolo 34 TFUE ha «efficacia diretta e attribuisce ai singoli diritti che i giudici nazionali devono tutelare» (362).

    Successivamente la Corte ha statuito che anche l’articolo 35 TFUE ha efficacia diretta e che le sue disposizioni sono anch’esse «direttamente efficaci» e «conferiscono ai singoli diritti che i giudici degli Stati membri sono tenuti tutelare» (363).

    I singoli possono invocare il principio e il diritto alla libera circolazione delle merci ricorrendo dinanzi a un giudice nazionale. Quest’ultimo può rifiutare di applicare qualsiasi norma nazionale che consideri essere in contrasto con gli articoli 34 e 35 TFUE. I giudici nazionali possono altresì valutare in che misura un ostacolo alle importazioni o alle esportazioni possa essere giustificato in rapporto alle esigenze imperative o finalità d’interesse generale elencate all’articolo 36 TFUE.

    9.2.   SOLVIT

    SOLVIT (www.europa.eu/solvit) è una rete per la soluzione di problemi derivanti dall’applicazione scorretta della normativa relativa al mercato interno a opera delle autorità pubbliche (364). A tal fine tutti gli Stati membri del SEE hanno istituito i loro centri SOLVIT, i quali comunicano direttamente attraverso una banca dati online. I centri SOLVIT fanno parte dell’amministrazione nazionale e si occupano di fornire sia a cittadini che a imprese soluzioni ai problemi, entro un limite di tempo di dieci settimane. Una raccomandazione della Commissione del 2001 (365) approvata dal Consiglio stabilisce il regolamento interno di SOLVIT. La Commissione europea sorveglia la rete e, laddove necessario, offre la propria assistenza per accelerare la risoluzione dei reclami. Nel 2018 SOLVIT ha trattato oltre 2 000 casi con tassi di risoluzione in quell’anno pari al 90 %.

    Inoltre il regolamento (UE) 2019/515 relativo al reciproco riconoscimento ha introdotto una nuova procedura di risoluzione dei problemi relativa a SOLVIT. L’articolo 8 del regolamento stabilisce una procedura applicabile ai casi in cui le autorità nazionali hanno adottato una decisione amministrativa. Il centro SOLVIT coinvolto in tale procedura può chiedere alla Commissione di valutare la compatibilità di una decisione amministrativa e di esprimere un parere. Questa procedura comporta tempi più lunghi rispetto alla consueta procedura SOLVIT.

    9.3.   Procedimento per infrazione a norma degli articoli 258 e 260 TFUE

    9.3.1.   Procedura di infrazione

    In quanto «custode del trattato» la Commissione può, a seguito di denuncia o per propria iniziativa, avviare un procedimento per infrazione nei confronti di uno Stato membro che si ritiene che non abbia adempiuto agli obblighi a lui incombenti in virtù del diritto dell’UE.

    L’articolo 258 TFUE (ex articolo 226 TCE) indica le tappe formali della procedura di infrazione. La prima fase è l’invio allo Stato membro interessato di una lettera di costituzione in mora, con la quale gli si chiede di presentare, generalmente entro il termine di due mesi, le sue osservazioni.

    Alla luce della risposta fornita o in assenza di risposta, la Commissione può decidere di emettere un parere motivato nei confronti dello Stato membro. Il parere motivato illustra i motivi per cui la Commissione ritiene che sussista violazione del diritto dell’UE, e lo Stato membro è invitato a conformarsi ad esso entro un dato termine, pari, di solito, a due mesi. Se lo Stato membro non si conforma al diritto dell’UE, la Commissione può decidere di adire la Corte di giustizia dell’Unione europea per ottenere una dichiarazione che attesti la violazione del diritto dell’UE.

    La lettera di costituzione in mora e il parere motivato della Commissione delimitano la materia del contendere, che quindi non può essere più ampliata. Di conseguenza il parere motivato e il ricorso della Commissione devono vertere sulle stesse motivazioni già addotte nella lettera di costituzione in mora che apre il procedimento precontenzioso (366).

    Se nella sentenza definitiva la Corte conferma che vi è stata violazione del diritto dell’UE, lo Stato membro interessato è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza della Corte comporta. Se la violazione persiste, la Commissione può nuovamente adire la Corte e chiedere l’applicazione di sanzioni pecuniarie (somma forfettaria e penalità di mora quotidiana). La procedura per il secondo ricorso alla Corte è stabilita dall’articolo 260, paragrafo 2, TFUE. Nel quadro di tale procedura e finché lo Stato membro non si sarà conformato alla sentenza della Corte, la Commissione 1) invia una lettera allo Stato membro riguardante gli obblighi da rispettare, 2) invia una lettera di costituzione in mora e infine 3) può adire la Corte (secondo ricorso). Se la Corte accerta che lo Stato membro interessato non ha dato esecuzione alla prima sentenza, può imporre sanzioni pecuniarie, che hanno uno scopo dissuasivo e sono dirette a indurre gli Stati membri a conformarsi al diritto dell’UE il più rapidamente possibile (367).

    9.3.2.   Denunce

    Chiunque ritenga che una misura imputabile a uno Stato membro sia contraria agli articoli da 34 a 36 TFUE può presentare denuncia presso la Commissione europea. In effetti la Commissione avvia molti procedimenti per infrazione relativi alla libera circolazione delle merci in seguito a denunce. Le regole che presiedono al trattamento delle denunce figurano in una serie di comunicazioni della Commissione relative ai rapporti con gli autori di denunce in materia di violazioni del diritto dell’UE (368).

    Le denunce vengono presentate con un modulo di denuncia standard. Il modulo di denuncia è disponibile su richiesta presso la Commissione oppure online sul sito Europa (369). Le denunce devono essere presentate online oppure mediante lettera indirizzata al Segretariato generale della Commissione, 1049, Bruxelles, Belgio, oppure depositate in uno degli Uffici di rappresentanza della Commissione negli Stati membri. Il modulo di denuncia standard può essere inviato online o per posta, e redatto in qualsiasi lingua ufficiale dell’UE.

    La Commissione invia un avviso di ricevimento all’autore della denuncia entro 15 giorni lavorativi. Entro il mese successivo a tale invio la Commissione decide se registrare o meno la denuncia inviata.

    Anche se non è parte in causa di un procedimento avviato contro uno Stato membro, il denunciante gode di alcuni importanti diritti amministrativi:

    la Commissione non ne rivela l’identità a meno che il denunciante non abbia espressamente dato il consenso in tal senso;

    la Commissione si impegna ad adottare una decisione nel merito (di apertura di un procedimento per infrazione o di archiviazione del caso) entro 12 mesi dalla registrazione della denuncia;

    la Commissione terrà informati gli autori delle denunce sulle fasi principali del processo. I servizi competenti della Commissione comunicheranno tempestivamente se intendono archiviare il caso, consentendo loro di fornire nuovi fatti o elementi;

    se, espletate le necessarie indagini, la Commissione ritiene che sussista violazione del diritto dell’UE, può decidere di avviare un procedimento per infrazione in applicazione dell’articolo 258 TFUE.

    Come custode del trattato, la Commissione vigila attentamente per assicurare una generale conformità al diritto dell’UE e per monitorare il rispetto, da parte degli Stati membri, delle norme e degli obblighi previsti dal trattato e dal diritto derivato. Tuttavia per motivi differenti i procedimenti giudiziari, quali le procedure di infrazione in applicazione dell’articolo 258 TFUE, possono non sempre fornire gli strumenti migliori per affrontare una particolare questione. È dunque importante sottolineare che la Commissione, anche se totalmente impegnata a svolgere il suo ruolo e dunque a vigilare sull’osservanza del diritto dell’UE da parte degli Stati membri, gode di un ampio margine di discrezionalità in merito all’apertura o meno di un procedimento per infrazione (370).

    10.   STRUMENTI ATTINENTI DI DIRITTO DERIVATO

    10.1.   Direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 settembre 2015, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (371)

    La direttiva (UE) 2015/1535 impone agli Stati membri dell’Unione europea di notificare alla Commissione e alle loro controparti qualsiasi progetto di regolamentazione tecnica relativa a un bene o a un servizio pertinente alla società dell’informazione prima di recepirlo. I paesi del SEE, la Svizzera e la Turchia notificano inoltre i loro regolamenti tecnici nell’ambito del sistema di informazione sulle regolamentazioni tecniche (Technical Regulation Information System -TRIS).

    Commissione e Stati membri operano tramite un sistema di controlli preventivi. Durante il termine di differimento gli Stati membri devono astenersi dall’adottare il progetto di regola tecnica notificato per almeno tre mesi intanto che si procede ad esaminarlo. Durante tale termine possono aver luogo discussioni bilaterali con le autorità degli Stati membri. Se il progetto di regolamento risulta in violazione del diritto del mercato interno dell’UE, il termine sospensivo può essere prorogato fino a sei mesi. Una proroga fino a 18 mesi può inoltre essere imposta da una decisione di sospensione se il Consiglio adotta una posizione sulla stessa materia oggetto del progetto di regolamento notificato (372).

    Questa procedura mira così ad eliminare qualsiasi ostacolo al buon funzionamento del mercato interno addirittura prima che insorga, evitando così la necessità di interventi correttivi che si rivelano sempre più onerosi.

    In base alla giurisprudenza della Corte (cfr. sentenze CIA Security e Unilever (373)), qualsiasi regola tecnica che non sia stata notificata in fase di progetto o che sia stata adottata durante il periodo di sospensione obbligatorio non può essere applicata e dunque opposta dal giudice nazionale ai singoli. Ciò è stato in seguito confermato dalla Corte (374).

    10.2.   Regolamento (UE) 2019/515 sul reciproco riconoscimento

    Nel 2008 il legislatore dell’UE ha adottato il regolamento (CE) n. 764/2008 che stabilisce procedure relative all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro. L’obiettivo principale di questo regolamento era definire i diritti e gli obblighi delle autorità nazionali e delle imprese qualora le prime intendano rifiutare l’accesso al mercato di un prodotto legalmente commercializzato in un altro Stato membro. Il regolamento ha lasciato l’onere della prova alle autorità nazionali che intendono negare l’accesso al mercato, alle quali viene richiesto di indicare le ragioni tecniche o scientifiche alla base della loro intenzione di negare l’accesso del prodotto al mercato nazionale. All’operatore economico è stato concesso il diritto di far valere le proprie ragioni e di presentare solide argomentazioni alle autorità competenti.

    Il regolamento ha altresì istituito dei «punti di contatto prodotti» in ciascuno Stato membro, i quali forniscono informazioni a imprese e autorità competenti in altri Stati membri circa le regole tecniche concernenti i prodotti e l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento.

    Il regolamento (UE) 2019/515 relativo al reciproco riconoscimento delle merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro abroga il regolamento (CE) n. 764/2008 con effetto a decorrere dal 19 aprile 2020.

    Il regolamento (UE) 2019/515 intende migliorare la certezza del diritto per le imprese e le autorità nazionali. Esso introduce la dichiarazione sul reciproco riconoscimento (autodichiarazione) affinché gli operatori economici possano dimostrare che le merci sono state legalmente commercializzate in un altro Stato membro, stabilisce una nuova procedura di risoluzione dei problemi basata su SOLVIT e prevede una più stretta cooperazione amministrativa e uno strumento informatico comune per migliorare la comunicazione, la cooperazione e la fiducia tra le autorità nazionali.

    Un documento di orientamento distinto spiega in modo più dettagliato il regolamento (UE) 2019/515.

    10.3.   Regolamento (CE) n. 2679/98 — Il regolamento «fragole»

    Il regolamento (CE) n. 2679/98 del Consiglio sul funzionamento del mercato interno in relazione alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri (375) dispone che vengano seguite procedure speciali per affrontare il problema posto da ostacoli gravi alla libera circolazione delle merci tra Stati membri, tali da causare pesanti perdite agli interessati ed esigere pertanto un intervento immediato. Detti ostacoli possono costituire il risultato di un atteggiamento passivo delle autorità nazionali nel fronteggiare atti di violenza compiuti da singoli individui o blocchi non violenti delle frontiere, ovvero atti compiuti da uno Stato membro quali un boicottaggio istituzionale dei prodotti d’importazione.

    Il regolamento stabilisce una procedura di prevenzione volta a consentire lo scambio di informazioni tra Stati membri e Commissione, ricorda agli Stati membri l’obbligo di adottare misure obbligatorie e commisurate per garantire la libera circolazione delle merci e di informarne la Commissione, e conferisce a quest’ultima la facoltà d’inviare agli Stati membri interessati una notifica con la quale si richiede l’adozione di tali misure in tempi estremamente brevi (376).


    (1)  COM(2020) 94 del 10.3.2020.

    (2)  Guida all’applicazione delle disposizioni del trattato che regolano la libera circolazione delle merci (2010).

    (3)  http://eur-lex.europa.eu/it/index.htm

    (4)  http://curia.europa.eu/juris/recherche.jsf?language=it. Si osservi che la guida utilizza la numerazione degli articoli del TFUE anche quando sono citate sentenze della Corte che fanno riferimento alle disposizioni del trattato CE.

    (5)  Comunicazione della Commissione «Il mercato unico in un mondo che cambia — Una risorsa straordinaria che richiede un rinnovato impegno politico», [COM(2018) 772 final].

    (6)  Cfr. ad esempio causa C-573/12, Ålands Vindkraft, ECLI:EU:C:2014:2037, punto 57, e causa C-242/17, L.E.G.O, ECLI:EU:C:2018:804, punto 52.

    (7)  Causa C-445/06 Danske Slagterier/Bundesrepublik Deutschland, ECLI:EU:C:2009:178, punto 26.

    (8)  Causa C-309/02 Radlberger Spitz, ECLI:EU:C:2004:799, punto 53.

    (9)  Regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006 , relativo alle spedizioni di rifiuti (GU L 190 del 12.7.2006, pag. 1).

    (10)  Causa C-292/12, Ragn-Sells, ECLI:EU:C:2013:820, punti 49-50.

    (11)  Causa 7/68 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1968:51.

    (12)  Causa 7/68 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1968:51; causa 7/78 Regina/Thompson, Johnson e Woodiwiss, ECLI:EU:C:1978:209.

    (13)  Causa C-358/93 Bordessa, ECLI:EU:C:1995:54.

    (14)  Causa C-318/07 Persche, ECLI:EU:C:2009:33, punto 29.

    (15)  Causa C-2/90, Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:1992:310, punti 23-28.

    (16)  Causa C-393/92 Comune di Almelo e altri/NV Energiebedrijf Ijsselmij, ECLI:EU:C:1994:171.

    (17)  Causa C-159/94 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1997:501.

    (18)  Causa C-421/09 Humanplasma GmbH/Repubblica d’Austria, ECLI:EU:C:2010:760, punti 27-30, come confermato nella causa C-296/15, Medisanus, ECLI:EU:C:2017:431, punto 53.

    (19)  Cfr. sezione 7.1.2 per maggiori informazioni sulla relazione tra gli articoli da 34 a 36 TFUE e l’articolo 56 TFUE.

    (20)  Causa C-97/98 Peter Jägerskiöld /Torolf Gustafsson, ECLI:EU:C:1999:515.

    (21)  Causa C-591/17, Austria/Germania, ECLI:EU:C:2019:504, punti 39-40.

    (22)  Causa C-1/90 Aragonesa de Publicidad/Departamento de sanidad, ECLI:EU:C:1991:327.

    (23)  Causa 434/85 Allen & Hanburys, ECLI:EU:C:1988:109, punto 25; causa C-227/06 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2008:160, punto 37.

    (24)  Cfr. cause riunite 266/87 e 267/87 The Queen/Royal Pharmaceutical Society of Great Britain, ECLI:EU:C:1989:205; causa C-292/92 Hünermund, ECLI:EU:C:1993:932.

    (25)  Cfr. causa 249/81 Commissione/Irlanda (Buy Irish), ECLI:EU:C:1982:402; causa 222/82 Apple and Pear Development Council, ECLI:EU:C:1983:370; causa C-325/00 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2002:633; causa C-227/06 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2008:160.

    (26)  Causa C-171/11 Fra.bo Spa/Deutsche Vereinigung des Gas und Wasserfaches eV (DVGW) — Technisch Wissenschaftlicher Verein, ECLI:EU:C:2012:453, punti 31-32.

    (27)  Causa C-470/03 AGM-Cosmet SRl, ECLI:EU:C:2007:213.

    (28)  Causa C-265/95 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1997:595.

    (29)  Cause riunite C-154/04 e C-155/04 Alliance for Natural Health, ECLI:EU:C:2004:848, punti 47 e 52.

    (30)  Causa 249/81 Commissione/Irlanda (Buy Irish), ECLI:EU:C:1982:402; causa C-227/06 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2008:160.

    (31)  Causa 21/84 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1985:184; causa C-387/99 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2004:235, punto 42; causa C-88/07 Commissione/Spagna, ECLI:EU:C:2009:123; causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492, punto 40.

    (32)  Causa 21/84 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1985:184, punti 11-15.

    (33)  Causa C-88/07 Commissione/Spagna, ECLI:EU:C:2009:123, punti 54-66, 116.

    (34)  Causa C-387/99 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2004:235, punto 83.

    (35)  Causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492, punto 40.

    (36)  Causa C-265/95 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1997:595, punto 31; cfr. anche causa C-112/00 Schmidberger, ECLI:EU:C:2003:333, punto 60, segnatamente in merito alle possibili motivazioni (libertà di espressione e libertà di assemblea).

    (37)  Causa C-309/02 Radlberger Spitz, ECLI:EU:C:2004:799, punto 80.

    (38)  Cfr. articolo 355 TFUE.

    (39)  GU L 35 del 13.2.1996, pag. 1.

    (40)  Causa 8/74 Dassonville, ECLI:EU:C:1974:82, punto 5.

    (41)  Causa 78/70 Deutsche Grammophon/Metro, ECLI:EU:C:1971:59.

    (42)  Causa 229/83 Leclerc/Au Ble Vert, ECLI:EU:C:1985:1.

    (43)  Causa C-30/01 Commissione/Regno Unito, ECLI:EU:C:2003:489, punti 49-54.

    (44)  Causa 177/82 Van de Haar, ECLI:EU:C:1984:144; 269/83 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1985:115; 103/84 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1986:229.

    (45)  Causa C-67/97 Ditlev Blühme, ECLI:EU:C:1998:584.

    (46)  Causa C-379/92 Peralta, ECLI:EU:C:1994:296; causa C-44/98 BASF, ECLI:EU:C:1999:440. Cfr. anche C-20/03 Burmanjer, ECLI:EU:C:2005:307.

    (47)  Causa C-297/05 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2007:531, punto 63.

    (48)  Causa 2/73 Riseria Luigi Geddo/Ente Nazionale Risi, ECLI:EU:C:1973:89.

    (49)  Causa 13/68 Salgoil SpA/Ministero del commercio con l’estero della Repubblica italiana, ECLI:EU:C:1968:54.

    (50)  Causa 8/74 Dassonville, ECLI:EU:C:1974:82. Per maggiori informazioni sul contesto storico si veda anche la direttiva 70/50/CEE della Commissione, del 22 dicembre 1969, che trova la sua fonte normativa nel disposto dell’articolo 33 paragrafo 7, del Trattato, relativa alla soppressione delle misure d’effetto equivalente a restrizioni quantitative non contemplate da altre disposizioni prese in virtù del Trattato CEE (GU L 13 del 19.1.1970, pag. 29).

    (51)  Causa 8/74 Dassonville, ECLI:EU:C:1974:82, punto 5.

    (52)  Causa 120/78 Rewe Zentrale/Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, ECLI:EU:C:1979:42.

    (53)  Tra gli esempi di misure di effetto equivalente figurano i requisiti di composizione o eventuali altri requisiti riguardanti i prodotti che limitano i canali di distribuzione e riconoscono un trattamento preferenziale alle merci nazionali.

    (54)  Cfr. tra l’altro causa C-110/05, Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2009:66, punto 37; causa C-456/10, ANETT, ECLI:EU:C:2012:241; e causa C-148/15, Deutsche Parkinson Vereinigung, ECLI:EU:C:2016:776.

    (55)  Causa C-428/12, Commissione/Spagna, ECLI:EU:C:2014:218, punto 29.

    (56)  Causa C-110/05, Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2009:66, punto 56.

    (57)  Causa C-591/17 Austria/Germania, ECLI:EU:C:2019:504, punti 125-134.

    (58)  Causa C-573/12 Ålands Vindkraft, ECLI:EU:C:2014:2037, punti 67-75, 82 e 119. La Corte ha tuttavia ritenuto giustificata la misura in questione in virtù dell’obiettivo di promuovere l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili per la produzione di energia elettrica.

    (59)  Causa C-265/06 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2008:210.

    (60)  Ibid, punto 15.

    (61)  Ibid, punto 33.

    (62)  Causa C-110/05 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2009:66.

    (63)  Causa C-110/05 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2009:66, punto 57.

    (64)  Causa C-142/05 Mickelsson e Roos, ECLI:EU:C:2009:336.

    (65)  Causa C-142/05 Mickelsson e Roos, ECLI:EU:C:2009:336, punto 28.

    (66)  Causa C-142/05 Mickelsson e Roos, ECLI:EU:C:2009:336, punti 39-40. Cfr. in proposito anche causa C-433/05, Sandström, ECLI:EU:C:2010:184.

    (67)  Causa C-433/05 Sandström, ECLI:EU:C:2010:184, punto 40. Questa causa è anche esempio di un approccio alla proporzionalità orientato al processo, sulla base della valutazione formulata dalla Corte nella causa Mickelsson.

    (68)  Cause riunite C-267/91 e C-268/91 Keck e Mithouard, ECLI:EU:C:1993:905.

    (69)  Cause riunite C-267/91 e C-268/91 Keck e Mithouard, ECLI:EU:C:1993:905, punto 16.

    (70)  Causa C-591/17 Repubblica d’Austria, ECLI:EU:C:2019:504, punto 129.

    (71)  Cfr. causa C-412/93 Leclerc-Siplec, ECLI:EU:C:1995:26, punto 22 e causa C-6/98 ARD, ECLI:EU:C:1999:532, punto 46.

    (72)  Cfr. ad esempio, cause C-401/92 e C-402/92 Tankstation ‘t Heukske e Boermans, ECLI:EU:C:1994:220, punto 14 e cause riunite C-69/93 e C-258/93 Punto Casa, ECLI:EU:C:1994:226.

    (73)  Cfr. causa C-391/92 Commissione/Grecia, ECLI:EU:C:1995:199, punto 15.

    (74)  Cfr. causa C-63/94 Belgapom, ECLI:EU:C:1995:270 e causa C-221/15 Etablissements Fr. Colruyt NV, ECLI:EU:C:2016:704, punto 37.

    (75)  Causa riunite C-158/04 e C-159/04 Alfa Vita, ECLI:EU:C:2006:562.

    (76)  Ibid, punti 18-19.

    (77)  Causa C-159/00 Sapod Audic/Eco-Emballages, ECLI:EU:C:2002:343.

    (78)  Ibid, punto 71. Qualora fosse interpretata come un obbligo di marchiatura o di etichettatura, allora la misura costituirebbe una regola tecnica a norma della direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 giugno 1998, che prevede una procedura d'informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche (GU L 204 del 21.7.1998, pag, 37). In tal caso un privato potrebbe invocare l’omessa comunicazione di tale disposizione nazionale. Spetterebbe poi al giudice nazionale rifiutarne l’applicazione.

    (79)  Causa C-159/00 Sapod Audic/Eco-Emballages, ECLI:EU:C:2002:343, punto 72.

    (80)  Cfr. causa C-71/02 Karner, ECLI:EU:C:2004:181 (divieto di fare riferimento all’origine commerciale di merci provenienti dal fallimento di un’impresa); causa C-441/04 A-Punkt, ECLI:EU:C:2006:141 (vendita a domicilio) e il ragionamento analogo nella causa C-20/03 Burmanjer, ECLI:EU:C:2005:307.

    (81)  Causa 120/78 Rewe Zentrale/Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, ECLI:EU:C:1979:42. Mentre all’inizio il principio non era esplicitamente menzionato nella giurisprudenza della Corte, ora è pienamente riconosciuto (cfr. ad esempio causa C-110/05, Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2009:66, punto 34; e causa C-385/10, Elenca, ECLI:EU:C:2012:634, punto 23).

    (82)  Causa 111/89 Staat der Nederlanden/P. Bakker Hillegom BV, ECLI:EU:C:1990:177, punto 8.

    (83)  Causa C-525/14 Commissione/Repubblica ceca, ECLI:EU:C:2016:714, punto 35.

    (84)  Causa C-525/14 Commissione/Repubblica ceca, ECLI:EU:C:2016:714, punto 39.

    (85)  Regolamento (UE) 2019/515 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019, relativo al reciproco riconoscimento delle merci legalmente commercializzate in un altro Stato membro e che abroga il regolamento (CE) n. 764/2008 (GU L 91 del 29.3.2019, pag. 1).

    (86)  Regolamento (CE) n. 764/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008, che stabilisce procedure relative all’applicazione di determinate regole tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro e che abroga la decisione n. 3052/95/CE (GU L 218 del 13.8.2008, pag. 21). Per maggiori informazioni cfr. sezione 8.3 della presente guida.

    (87)  Cause riunite 51-54/71 International Fruit Company/Produktschap voor Groenten en Fruit, ECLI:EU:C:1971:128; causa C-54/05 Commissione/Finlandia, ECLI:EU:C:2007:168, punto 31.

    (88)  Causa 4/75 Rewe Zentralfinanz/Landwirschaftskammer, ECLI:EU:C:1975:98.

    (89)  Causa C-272/95 Dt. Milchkontor II, ECLI:EU:C:1997:191.

    (90)  Causa C-28/09 Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2011:854, punto 119.

    (91)  Causa 155/82 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:1983:53, punto 7.

    (92)  Ibid, punto 12. Cfr. anche causa C-12/02 Grilli, ECLI:EU:C:2003:538, punti 48 e 49; C-193/94 Skanavi e Chryssanthakopoulos, ECLI:EU:C:1996:70, punti da 36 a 38.

    (93)  Causa 155/82 Commissione/Belgio , ECLI:EU:C:1983:53, punto 15.

    (94)  Causa 13/78 Eggers/Freie Hansestadt Bremen, ECLI:EU:C:1978:182.

    (95)  Causa 174/82 Officier van Justitie/Sandoz, ECLI:EU:C:1983:213; C-24/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2004:70; C-420/01 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2003:363; C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492; C-41/02 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2004:762; C-319/05 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2007:678.

    (96)  Causa C-473/98 Kemikalieinspektionen/Toolex-Alpha AB, ECLI:EU:C:2000:379.

    (97)  Causa C-421/09 Humanplasma GmbH/Repubblica d’Austria, ECLI:EU:C:2010:760, punto 45.

    (98)  Causa C-270/02 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2004:78.

    (99)  Causa C-421/09 Humanplasma GmbH/Repubblica d’Austria, ECLI:EU:C:2010:760, punto 45.

    (100)  Causa 104/75 De Peijper, ECLI:EU:C:1976:67.

    (101)  Causa C-24/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2004:70, punto 75.

    (102)  Causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492.

    (103)  Causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492, punto 46.

    (104)  Ibid, punto 56.

    (105)  Causa C-473/98 Kemikalieinspektionen/Toolex-Alpha AB, ECLI:EU:C:2000:379; causa C-24/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2004:70.

    (106)  Cfr. sezione 7.1.2.

    (107)  Causa C-344/90 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1992:328.

    (108)  Causa 231/83 Cullet, ECLI:EU:C:1985:29; causa 82/77 Van Tiggele, ECLI:EU:C:1978:10.

    (109)  GU L 176 del 5.7.2011, pag. 24.

    (110)  Causa C-221/15 Colruyt, ECLI:EU:C:2016:704, punto 41.

    (111)  Causa C-333/14 Scottish Whiskey Association e altri/The Lord Advocate e The Advocate General of Scotland, ECLI:EU:C:2015:845, punto 50.

    (112)  Causa 65/75 Tasca, ECLI:EU:C:1976:30; causa 88-90/75 SADAM, ECLI:EU:C:1976:32; causa 181/82 Roussel, ECLI:EU:C:1983:352; causa 13/77 GB-INNO/ATAB, ECLI:EU:C:1977:185.

    (113)  Causa 16-20/79 Danis, ECLI:EU:C:1979:248.

    (114)  Causa 116/84 Roelstrate,ECLI:EU:C:1985:237; causa 188/86 Lefevre, ECLI:EU:C:1987:327.

    (115)  Per informazioni supplementari sulle modalità di vendita si veda la sezione 3.4.2.2.

    (116)  Causa C-63/94 Belgapom/ITM e Vocarex, ECLI:EU:C:1995:270.

    (117)  Causa C-531/07 Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft/LIBRO, ECLI:EU:C:2009:276.

    (118)  Causa C-148/15 Deutsche Parkinson Vereinigung, ECLI:EU:C:2016:394, punti 23-27.

    (119)  Causa C-322/01 DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664, punto 6.

    (120)  Causa C-333/14 The Scotch Whisky Association, ECLI:EU:C:2015:845, punto 32 (corsivo aggiunto).

    (121)  Cfr. ad esempio causa C-254/05 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2007:319; causa C-432/03 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2005:669, punto 41; causa C-249/07 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2008:683, punto 26.

    (122)  Causa C-390/99 Canal Satélite Digital, ECLI:EU:C:2002:34; causa C-333/08 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2010:44; causa C-423/13 Vilniaus Energija, ECLI:EU:C:2014:2186.

    (123)  Causa C-423/13 Vilniaus Energija, ECLI:EU:C:2014:2186, punto 55.

    (124)  Causa 21/84 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1985:184.

    (125)  Causa C-455/01 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2003:551.

    (126)  Causa C-432/03 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2005:514.

    (127)  Causa C-61/12 Commissione/Lituania, ECLI:EU:C:2014:172, punti 57 e 69. Cfr. anche causa C-639/11, Commissione/Polonia, ECLI:EU:C:2014:173.

    (128)  Cfr. ad esempio le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa C-412/93, Leclerc-Siplec, ECLI:EU:C:1995:26, e dell’avvocato generale Geelhoed nella causa C-239/02, Douwe Egberts, ECLI:EU:C:2004:445.

    (129)  Cfr. ad esempio cause riunite C-34/95 e C-36/95, De Agostini, ECLI:EU:C:1997:344.

    (130)  Causa 286/81 Oosthoek, ECLI:EU:C:1982:438, punto 15. Cfr. anche la giurisprudenza precedente alla sentenza Keck: causa 362/88 GB-INNO, ECLI:EU:C:1990:102 e causa C-1/90 Aragonesa, ECLI:EU:C:1991:327.

    (131)  Causa C-470/93 Mars, ECLI:EU:C:1995:224, punto 13 (la misura comporta un aggravio delle spese di confezionamento e pubblicità). Cfr. anche causa C-368/95, Familiapress, ECLI:EU:C:1997:325, punto 11.

    (132)  Cfr. causa C-292/92 Hünermund, ECLI:EU:C:1993:932 (divieto di pubblicizzare prodotti «parafarmaceutici» al di fuori delle farmacie); e causa C-412/93, Leclerc-Siplec, ECLI:EU:C:1995:26 (restrizioni alla pubblicità televisiva); cfr. cause riunite C-34/95 e C-36/95 De Agostini, ECLI:EU:C:1997:344; causa C-405/98 Gourmet, ECLI:EU:C:2001:135.

    (133)  Causa C-239/02 Douwe Egberts, ECLI:EU:C:2004:445, punto 53.

    (134)  Per quanto concerne la discriminazione tra gli operatori economici nazionali e gli operatori economici degli altri Stati membri, cfr. causa C-322/01, DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664, punto 74 e causa C-254/98 Heimdienst, ECLI:EU:C:2000:12, punto 26. Cfr. anche cause 87/85 e 88/85 Legia e Gyselinx, ECLI:EU:C:1986:215, punto 15 e causa C-189/95 Franzén, ECLI:EU:C:1997:504, punto 71.

    (135)  A tale proposito cfr. causa C-405/98 Gourmet, ECLI:EU:C:2001:135; cause C-34/95 e C-36/95 De Agostini, ECLI:EU:C:1997:344 e causa C-239/02 Douwe Egberts, ECLI:EU:C:2004:445 (divieto di fare riferimento al «dimagrimento» e a «raccomandazioni mediche, certificati, citazioni, pareri o dichiarazioni di approvazione»).

    (136)  A tale proposito cfr. causa C-292/92, Hünermund, ECLI:EU:C:1993:932; e causa C-71/02, Karner, ECLI:EU:C:2004:181 (divieto di fare riferimento all’origine commerciale di merci provenienti dal fallimento di un’impresa).

    (137)  Causa C-337/95 Dior, ECLI:EU:C:1997:517.

    (138)  Causa C-405/98 Gourmet, ECLI:EU:C:2001:135.

    (139)  Causa C-33/97 Colim, ECLI:EU:C:1999:274, punto 37 e causa C-416/00 Morellato, ECLI:EU:C:2003:475, punti 29 e 30; causa C-217/99 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2000:638, punto 17.

    (140)  Causa 27/80 Fietje, ECLI:EU:C:1980:293, punto 15.

    (141)  Causa C-385/10 Elenca Srl/Ministero dell’Interno, ECLI:EU:C:2012:634.

    (142)  Ibid.

    (143)  Causa 261/81 Rau/De Smedt, ECLI:EU:C:1982:382.

    (144)  Causa C-30/99 Commissione/Irlanda, ECLI:EU:C:2001:346; causa C-525/14 Commissione/Repubblica ceca, ECLI:EU:C:2016:714; cfr. anche causa C-481/12 UAB Juvelta/VĮ Lietuvos prabavimo rūmai, ECLI:EU:C:2014:11.

    (145)  Causa C-244/06 Dynamic Medien Vertriebs GmbH/Avides Media AG, ECLI:EU:C:2008:85; in questa sentenza gli ostacoli commerciali sono stati giustificati per ragioni di tutela dei minori.

    (146)  Cfr. ad esempio causa 207/83 Commissione/Regno Unito, ECLI:EU:C:1985:161, punto 17.

    (147)  Cfr. causa C-95/14 UNIC e Uni.co.pel, ECLI:EU:C:2015:492, punto 44.

    (148)  Cfr. causa 207/83 Commissione/Regno Unito, ECLI:EU:C:1985:161, punto 21.

    (149)  Cfr. causa C-325/00 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2002:633, punto 24 e causa C-255/03 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2004:378.

    (150)  Cfr. causa 13/78 Eggers, ECLI:EU:C:1978:182, punti 24-25.

    (151)  Cfr. sentenza della Corte nelle cause riunite da C-321/94 a C-324/94, Pistre e altri, ECLI:EU:C:1997:229, punto 45.

    (152)  Causa C-169/17 Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino, ECLI:EU:C:2018:440, punti 24-28 e giurisprudenza citata.

    (153)  Causa 249/81 Commissione/Irlanda, ECLI:EU:C:1982:402.

    (154)  Cfr. ad esempio causa C-325/00 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2002:633, causa C-6/02 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2003:136. Cfr. anche cause riunite da C-204/12 a C-208/12 Essent Belgium, ECLI:EU:C:2014:2192 punti 88, 90-95 e 116. Cfr. anche causa C-573/12, Ålands Vindkraft, ECLI:EU:C:2014:2037.

    (155)  Causa C-322/01 DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664.

    (156)  Cause riunite C-34/95 e C-36/95 De Agostini, ECLI:EU:C:1997:344, punti 43-44. L’avvocato generale Geelhoed (causa C-239/02 Douwe Egberts, ECLI:EU:C:2004:445, punto 68) contrappone questa argomentazione con l’argomentazione della Corte nella causa C-292/92 Hünermund, (ECLI:EU:C:1993:932) e nella causa C-412/93 Leclerc-Siplec, (ECLI:EU:C:1995:26). Egli ha sostenuto che i divieti di pubblicità in queste ultime due cause avevano una portata limitata e che, nelle relative sentenze, la Corte ha attribuito rilevanza al fatto che le restrizioni in questione lasciavano impregiudicata la possibilità per altri operatori economici di pubblicizzare questi prodotti in altro modo. In altri termini «la funzione propria della pubblicità in relazione alla promozione dell’accesso al mercato per i prodotti in questione rimaneva intatta».

    (157)  Causa C-322/01 DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664, punto 74.

    (158)  Causa C-108/09 Ker-Optika, ECLI:EU:C:2010:725, punti 43-44.

    (159)  Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («Direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178 del 17.7.2000, pag. 1).

    (160)  Causa C-198/14 Visnapuu, ECLI:EU:C:2015:751, punti 99, 102, 208 e 129.

    (161)  Causa C-463/01 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2004:797; causa C-309/02 Radlberger Spitz, ECLI:EU:C:2004:799.

    (162)  GU L 365 del 31.12.1994, pag. 10.

    (163)  Cfr. causa 238/82 Duphar, ECLI:EU:C:1984:45 e causa C-70/95 Sodemare e altri, ECLI:EU:C:1997:301.

    (164)  Direttiva 89/105/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988, riguardante la trasparenza delle misure che regolano la fissazione dei prezzi delle specialità per uso umano e la loro inclusione nei regimi nazionali di assicurazione malattia (GU L 40 dell’11.2.1989, pag. 8).

    (165)  Causa C-120/95 Decker, ECLI:EU:C:1998:167.

    (166)  Causa C-201/94 Smith & Nephew, ECLI:EU:C:1996:432.

    (167)  Causa C-100/96 British Agrochemicals, ECLI:EU:C:1999:129; causa C-201/06 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2008:104, punto 33.

    (168)  Causa C-44/01 Pippig Augenoptik/Hartlauer, ECLI:EU:C:2003:205, punto 63.

    (169)  Causa 104/75 De Peijper, ECLI:EU:C:1976:67.

    (170)  Causa C-94/98 Rhône-Poulenc Rorer e May & Baker, ECLI:EU:C:1999:614, punto 40.

    (171)  Causa C-172/00 Ferring, ECLI:EU:C:2002:474.

    (172)  Causa C-201/94 Smith&Nephew, ECLI:EU:C:1996:432, causa C-94/98 Rhone Poulenc, ECLI:EU:C:1999:614.

    (173)  Causa C-112/02 Kolpharma, ECLI:EU:C:2004:208, punti 15-18.

    (174)  Cause 104/75 De Peijper, ECLI:EU:C:1976:67, causa C-201/94 Smith&Nephew, ECLI:EU:C:1996:432, causa C-387/18 Delfarma, ECLI:EU:C:2019:556.

    (175)  Causa C-114/15 Audace, ECLI:EU:C:2016:813.

    (176)  Causa C-322/01 DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664, punto 127. Cfr. a tale proposito causa 229/83 Leclerc e altri, ECLI:EU:C:1985:1, punto 26 e causa C-240/95 Schmit, ECLI:EU:C:1996:259, punto 10.

    (177)  Causa C-322/01 DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664, punto 129.

    (178)  Causa C-33/97 Colim/Bigg’s Continent Noord, ECLI:EU:C:1999:274.

    (179)  Cfr. a tale riguardo anche:

    direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64),

    direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29),

    direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12), nonché

    regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che modifica i regolamenti (CE) n. 1924/2006 e (CE) n. 1925/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio e abroga la direttiva 87/250/CEE della Commissione, la direttiva 90/496/CEE del Consiglio, la direttiva 1999/10/CE della Commissione, la direttiva 2000/13/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 2002/67/CE e 2008/5/CE della Commissione e il regolamento (CE) n. 608/2004 della Commissione (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 18).

    (180)  Causa C-366/98 Yannick Geffroy, ECLI:EU:C:2000:430, punto 28.

    (181)  Causa C-85/94 Piageme/Peeters, ECLI:EU:C:1995:312.

    (182)  Causa C-33/97 Colim/Bigg’s Continent Noord, ECLI:EU:C:1999:274, punti 41-43.

    (183)  Causa 215/87 Schumacher, ECLI:EU:C:1989:111.

    (184)  Cause C-260/06 e C-261/06 Escalier e Bonnarel, ECLI:EU:C:2007:659.

    (185)  Ibid, punto 32

    (186)  Causa C-373/11 Panellinios Sindesmos Viomikhanion Metapoiisis Kapnou, ECLI:EU:C:2013:567, punto 26.

    (187)  Causa C-283/03 Kuipers, ECLI:EU:C:2005:314, punto 37 e giurisprudenza citata.

    (188)  Regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli e che abroga i regolamenti (CEE) n. 922/72, (CEE) n. 234/79, (CE) n. 1037/2001 e (CE) n. 1234/2007 del Consiglio (GU L 347 del 20.12.2013, pag. 671).

    (189)  Causa C-333/14 The Scotch Whisky Association e altri, ECLI:EU:C:2015:845, punto 20.

    (190)  Ibid, punto 26 e giurisprudenza citata.

    (191)  Causa C-2/18 Lietuvos Respublikos Seimo narių grupė, ECLI:EU:C:2019:962, punto 45.

    (192)  Ibid, punto 49.

    (193)  Ibid, punto 57.

    (194)  Ibid, punto 69.

    (195)  Causa 15/79 P. B. Groenveld BV/Produktschap voor Vee en Vlees, ECLI:EU:C:1979:253.

    (196)  Causa 15/79 P. B. Groenveld BV/Produktschap voor Vee en Vlees, ECLI:EU:C:1979:253, punto 7. Cfr. anche causa C-12/02 Marco Grilli, ECLI:EU:C:2003:538, punto 41.

    (197)  Causa C-47/90 Delhaize/Promalvin, ECLI:EU:C:1992:250 (in questa causa la Corte ha omesso nella sua argomentazione la condizione di un vantaggio particolare per la produzione nazionale, anche se era presente in modo manifesto nei fatti). Tuttavia nella successiva sentenza nella causa C-388/95 Regno del Belgio/Regno di Spagna, ECLI:EU:C:2000:244, la Corte ha ritenuto che la condizione controversa (nel caso di specie, l’obbligo di imbottigliare nella regione il vino a denominazione di origine protetta), malgrado i suoi effetti restrittivi sugli scambi, debba essere considerata conforme al diritto dell’UE se è dimostrato che costituisce un mezzo necessario e proporzionato idoneo a preservare la notevole reputazione di cui gode incontestabilmente la «denominación de origen calificada» Rioja. La Corte ha confermato tale interpretazione principalmente perché gli operatori della regione possiedono le competenze necessarie per effettuare operazioni di imbottigliamento complesse. Lo stesso ragionamento vale per i controlli condotti nella regione. Inoltre il trasporto alla rinfusa del vino al di fuori della regione comportava rischi di degrado qualitativo dovuto all’ossidazione.

    (198)  Causa C-108/01 Consorzio del Prosciutto di Parma, ECLI:EU:C:2003:296. La Corte ha tuttavia dichiarato in tale causa che una condizione quale quella in questione nella causa principale, secondo cui l’affettamento e il condizionamento devono avvenire nella regione, malgrado i suoi effetti restrittivi sugli scambi, deve essere considerata conforme al diritto dell’UE se è dimostrato che costituisce un mezzo necessario e proporzionato idoneo a preservare la qualità del prodotto in questione, a garantirne l’origine o ad assicurare il controllo del disciplinare di tale IGP (cfr. punto 66 della sentenza). La Corte ha ritenuto che ciò si verifichi in particolare quando la procedura prevista dal disciplinare attribuisce l’esecuzione di controlli sistematici e approfonditi a professionisti che hanno una conoscenza specializzata delle caratteristiche dei prodotti in questione e che, di conseguenza, sia difficilmente concepibile che tali controlli possano essere instaurati efficacemente in altri Stati membri (cfr. punto 75). Cfr. in tal senso anche la causa C-469/00 Ravil/Bellon, ECLI:EU:C:2003:295. Tale approccio è stato confermato nella causa C-367/17, EA e altri, ECLI:EU:C:2018:1025, nonché nella causa C-569/18 Caseificio Cirigliana, ECLI:EU:C:2019:873 (cfr. punto 39).

    (199)  Causa 155/80 Oebel, ECLI:EU:C:1981:177; causa C-388/95 Regno del Belgio/Regno di Spagna, ECLI:EU:C:2000:244, punto 41.

    (200)  Causa C-205/07 Gysbrechts e Santurel Inter, ECLI:EU:C:2008:730.

    (201)  Ibid, punti 40-43; C-169/17 Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino, ECLI:EU:C:2018:440, punto 29.

    (202)  Causa C-15/15 New Valmar, ECLI:EU:C:2016:464, punto 36. Cfr. anche causa C-169/17 Asociación Nacional de Productores de Ganado Porcino, ECLI:EU:C:2018:440, punto 29.

    (203)  Causa C-15/15 New Valmar, ECLI:EU:C:2016:464, punti 47 e 50-56.

    (204)  Causa C- 648/18 Hidroelectrica, ECLI:EU:C:2020:723, punto 33.

    (205)  Causa C-222/18 VIPA, ECLI:EU:C:2019:751, punto 62.

    (206)  Causa C-120/95 Decker, ECLI:EU:C:1998:167; causa 72/83 Campus Oil, ECLI:EU:C:1984:256.

    (207)  Causa 251/78 Denkavit Futtermittel/Ministro dell’Agricoltura, ECLI:EU:C:1979:252.

    (208)  Causa C-55/99 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2000:693.

    (209)  Causa C-473/98 Kemikalieinspektionen/Toolex-Alpha AB, ECLI:EU:C:2000:379; causa C-5/77 Tadeschi/Denkavit, ECLI:EU:C:1977:144.

    (210)  Causa 34/79 Henn e Darby, ECLI:EU:C:1979:295, punto 21, e cause riunite C-1/90 e C-176/90 Aragonesa de Publicidad Exterior e Publivía, ECLI:EU:C:1991:327, punto 20.

    (211)  Causa 121/85 Conegate/Customs and Excise Commissioners, ECLI:EU:C:1986:114 ; causa 34/79 Regina/Henn e Darby, ECLI:EU:C:1979:295.

    (212)  Causa C-275/92 Schindler, ECLI:EU:C:1994:119, punto 58; causa C-124/97 Läärä e altri, ECLI:EU:C:1999:435, punto 33; causa C-98/14 Berlington Hungary, ECLI:EU:C:2015:386, punto 58.

    (213)  Causa C-244/06 Dynamic Medien Vertriebs/Avides Media, ECLI:EU:C:2008:85.

    (214)  La Corte ha ammesso che una normativa «la quale ha come obiettivo di orientare il consumo di alcol in modo da prevenire gli effetti dannosi causati dalle sostanze alcoliche alla salute delle persone e alla società e che tenta così di combattere l’abuso di alcol, risponde a preoccupazioni di salute e di ordine pubblico riconosciute dall’art. [36 TFUE]» – causa C-434/04 Ahokainen e Leppik, ECLI:EU:C:2006:609, punto 28; cfr. anche causa C-170/04 Rosengren e altri, ECLI:EU:C:2007:313, punto 40; causa C-198/14 Visnapuu, ECLI:EU:C:2015:751, punto 116.

    (215)  Causa 7/78 Regina/Thompson, ECLI:EU:C:1978:209.

    (216)  Causa 72/83 Campus Oil, ECLI:EU:C:1984:256.

    (217)  Causa C-648/18 Hidroelectrica, ECLI:EU:C:2020:723, punto 36.

    (218)  Causa 367/89 Procedimento penale contro Aimé Richardt e Les Accessoires Scientifiques SNC, ECLI:EU:C:1991:376.

    (219)  Ibid.

    (220)  Causa 104/75 De Peijper, ECLI:EU:C:1976:67.

    (221)  Cfr. anche causa C-333/14 The Scotch Whisky Association, ECLI:EU:C:2015:845, punto 59.

    (222)  Causa C-198/14 Visnapuu, ECLI:EU:C:2015:751, punto 118; causa C-108/09 Ker-Optika, ECLI:EU:C:2010:725, punto 58.

    (223)  Causa C-270/02 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2004:78, punto 22; causa C-319/05 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2007:678, punto 88; C-421/09 Humanplasma GmbH/Austria, ECLI:EU:C:2010:760, punto 34.

    (224)  Causa C-270/02 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2004:78; causa C-319/05 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2007:678; causa C-148/15 Deutsche Parkinson Vereinigung, ECLI:EU:C:2016:776, punti 36, 40.

    (225)  Causa C-108/09 Ker-Optika, ECLI:EU:C:2010:725, punto 35.

    (226)  Causa C-157/96 National Farmers Union, ECLI:EU:C:1998:191, punto 63.

    (227)  Cfr. ad esempio causa 227/82 Van Bennekom, ECLI:EU:C:1983:354, punto 40 e causa 178/84 Commissione/Germania (Reinheitsgebot), ECLI:EU:C:1987:126, punto 46.

    (228)  Causa C-41/02 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2004:762, punto 47; causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492, punto 46; causa C-24/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2004:70, punto 53.

    (229)  Causa C-249/07 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2008:683, punto 50-51; causa C-41/02 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2004:762; causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492; causa C-24/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2004:70.

    (230)  La Commissione ha adottato una comunicazione sul principio di precauzione [COM(2000) 1 final].

    (231)  Cfr. causa C-132/03 Codacons e Federconsumatori, ECLI:EU:C:2005:310, punto 61 e causa C-236/01 Monsanto Agricoltura, ECLI:EU:C:2003:431, punto 111.

    (232)  Causa C-446/08 Solgar Vitamin’s France, ECLI:EU:C:2010:233, punto 67.

    (233)  Causa C-236/01 Monsanto Agricoltura, ECLI:EU:C:2003:431, punto 106; causa C-41/02 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2004:762, punto 52; causa C-192/01 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2003:492, punto 49; causa C-24/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2004:70, punto 56; causa C-446/08 Solgar Vitamin’s France, ECLI:EU:C:2010:233, punto 67.

    (234)  Causa C-672/15 Noria Distribution SARL, ECLI:EU:C:2017:310, punto 33.

    (235)  Causa C-531/07 Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft/LIBRO, ECLI:EU:C:2009:276, punto 32

    (236)  Per un elenco di diritti di proprietà intellettuali specifici, cfr. dichiarazione della Commissione relativa all’articolo 2 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (2005/295/CE) (GU L 94 del 13.4.2005, pag. 37).

    (237)  Causa 235/89 Commissione/Italia, pag. I-777.

    (238)  Cfr. ad esempio causa 53/87 Circa e altri/Renault, ECLI:EU:1988:472.

    (239)  Cfr. ad esempio causa C-5/11 Donner, ECLI:EU:C:2012:370, punti 31-37, con riferimenti alla giurisprudenza precedente.

    (240)  Cfr. ad esempio cause riunite C-267/95 e C-268/95 Merck & Co e.a./Primecrown Ltd e.a., ECLI:EU:C:1996:468, punto 30, con riferimenti alla giurisprudenza precedente.

    (241)  Cfr. cause riunite C-267/95 e C-268/95, Merck & Co e.a./Primecrown Ltd e.a., ECLI:EU:C:1996:468, punto 32, con riferimenti alla giurisprudenza precedente.

    (242)  Cfr. causa 10/89 SA CNL-SUCAL NV /HAG GF AG, ECLI:EU:1990:359, punto 14, con riferimenti alla giurisprudenza precedente.

    (243)  Per una buona panoramica della giurisprudenza della Corte, cfr. causa C-143/00 Boehringer Ingelheim, ECLI:EU:C:2002:246.

    (244)  Causa 53/87 Circa e altri/Renault, ECLI:EU:1988:472, punto 10.

    (245)  Direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, (GU L 336 del 23.12.2015, pag. 1), articolo 15, paragrafo 1.

    (246)  Regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU L 154 del 16.6.2017, pag. 1).

    (247)  Per una panoramica della normativa in materia di proprietà intellettuale, cfr.https://ec.europa.eu/growth/industry/policy/intellectual-property_it.

    (248)  Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167 del 22.6.2001, pag. 10).

    (249)  Direttiva 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006 concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 28).

    (250)  Direttiva 2009/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (GU L 111 del 5.5.2009, pag. 16).

    (251)  Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-128/11 Usedsoft.

    (252)  Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-263/18 Tom Kabinet.

    (253)  Causa C-3/91 Exportur/LOR, pag. I-5529, punto 37; causa C-216/01 Budějovický Budvar, ECLI:EU:C:2003:618, punto 99.

    (254)  Causa 120/78 Rewe/Bundesmonopolverwaltung für Branntwein, ECLI:EU:C:1979:42, punto 8.

    (255)  Cfr. ad esempio cause riunite C-1/90 e C-176/90 Aragonesa de Publicidad Exterior and Publivia/Departamento de Sanidad y Seguridad Social de Cataluña, ECLI:EU:C:1991:327, punto 13.

    (256)  Cfr. ad esempio causa C-2/90 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:1992:310, nel quadro della quale la Corte ha deciso che la misura che poteva sembrare discriminatoria in realtà non lo era a ragione della natura speciale dell’oggetto della causa e ha accettato la giustificazione ambientale. Nella causa C-320/03, Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2005:684, la Corte ha scelto di considerare una misura come indistintamente applicabile piuttosto che indirettamente discriminatoria.

    (257)  Causa 302/86 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:1988:421, punto 8.

    (258)  Causa 240/83 Procureur de la République/ADBHU, ECLI:EU:C:1985:59, punti 12-13, 15; causa 302/86 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:1988:421, punti 8-9; causa C-487/06 British Aggregates/Commissione, ECLI:EU:C:2008:757, punto 91.

    (259)  Causa C-573/12 Ålands Vindkraft, ECLI:EU:C:2014:2037, punto 78.

    (260)  Causa C-242/17 L.E.G.O., ECLI:EU:C:2018:804, punto 72.

    (261)  Causa C-549/15 E.ON Biofor Sverige, ECLI:EU:C:2017:490, punti 74, 80 e 84.

    (262)  Ibid., punti 88-89.

    (263)  Causa 302/86 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:1988:421. Tuttavia, come menzionato in precedenza, i regimi di deposito rientrano in parte nell’ambito di applicazione della direttiva 94/62/CE del 20 dicembre 1994 sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio e della direttiva (UE) 2018/852 del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (GU L 150 del 14.6.2018, pag. 141)..

    (264)  Cfr. ad esempio causa C-319/05 Commissione/Germania, ECLI:EU:C:2007:678; causa C-186/05 Commissione/Svezia, ECLI:EU:C:2007:571; causa C-297/05 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2007:531; causa C-254/05 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2007:319; causa C-432/03 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2005:669.

    (265)  Causa C-242/17 L.E.G.O., ECLI:EU:C:2018:804, punto 65; causa C-573/12 Ålands Vindkraft, ECLI:EU:C:2014:2037, punti 79 e 93.

    (266)  Causa C-28/09 Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2011:854, punti 121-122; causa C-67/97 Bluhme, ECLI:EU:C:1998:584.

    (267)  Causa C-481/12 Juvelta, ECLI:EU:C:2014:11, punto 23.

    (268)  Causa C-481/12 Juvelta, ECLI:EU:C:2014:11, punti 21-22.; causa 220/81 Robertson e altri, ECLI:EU:C:1982:239, punti 11-12.

    (269)  Causa C-456/10 ANETT, ECLI:EU:C:2012:241, punto 54.

    (270)  Causa C-448/98, Guimont, ECLI:EU:C:2000:663, relativa alla legislazione francese che riserva la denominazione di Emmenthal a una determinata categoria di formaggio con crosta; causa 261/81 Rau/De Schmedt, ECLI:EU:C:1982:382, relativa all’obbligo imposto dal Belgio che prevede che la margarina sia venduta in forme cubiche.

    (271)  Causa C-112/00 Schmidberger, ECLI:EU:C:2003:333, punto 77.

    (272)  Nella causa 155/80 Oebel, ECLI:EU:C:1981:177, la Corte ha statuito che il divieto ai fornai di lavorare di notte costituisse una decisione legittima di politica economica e sociale in un settore manifestamente delicato.

    (273)  Cause riunite 60/84 e 61/84 Cinéthèque SA/Fédération nationale des cinémas français, ECLI:EU:C:1985:329.

    (274)  Causa C-531/07 Fachverband der Buch- und Medienwirtschaft, ECLI:EU:C:2009:276, punto 34.

    (275)  Causa C-368/95 Familiapress, ECLI:EU:C:1997:325.

    (276)  Causa C-120/95 Decker, ECLI:EU:C:1998:167, punti 39-40 e le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa C-148/15 Deutsche Parkinson Vereinigung, ECLI:EU:C:2016:394, punto 42.

    (277)  Cfr. ad esempio la causa C-54/05 Commissione/Finlandia, ECLI:EU:C:2007:168, punto 40 e la giurisprudenza citata e la causa C-61/12 Commissione/Lituania, ECLI:EU:C:2014:172, punto 59.

    (278)  Causa C-265/06 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2008:210, punto 38.

    (279)  Causa C-219/07 Nationale Raad van Dierenkwekers en Liefhebbers e Andibel, ECLI:EU:C:2008:353, punto 27.

    (280)  Causa C-15/15 New Valmar, ECLI:EU:C:2016:464, punto 50. Cfr. a tale proposito causa 379/87, Groener/Minister for Education and City of Dublin Vocational Education Committee, ECLI:EU:C:1989:599, punto 19; causa C-391/09 Runevič-Vardyn e Wardyn, ECLI:EU:C:2011:291, punto 85 e causa C-202/11 Las, ECLI:EU:C:2013:239, punti 25-27.

    (281)  Causa C-390/99 Canal Satélite Digital, ECLI:EU:C:2002:34, punto 33; causa C-254/05 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2007:319, punto 33 e giurisprudenza citata; causa C-286/07 Commissione/Lussemburgo, ECLI:EU:C:2008:251, punto 36.

    (282)  Cfr. ad esempio causa C-320/03 Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2005:684, punto 85; e causa C-319/05 Commissione/Germania (Aglio), ECLI:EU:C:2007:678, punto 87 e giurisprudenza citata.

    (283)  Cfr. causa 104/75 De Peijper, ECLI:EU:C:1976:67; causa C-54/05 Commissione/Finlandia, ECLI:EU:C:2007:168, punto 46 e C-297/05 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:2007:53, punto 79, in cui la Corte specifica le alternative disponibili alle misure impugnate.

    (284)  Causa C-28/09 Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2011:854, punti 116-117, 140 e 150-151; causa C-320/03 Commissione/Austria, ECLI:EU:C:2005:684, punti 87 e 91.

    (285)  Causa C-549/15 E.ON Biofor Sverige, ECLI:EU:C:2017:490, punti 85, 88-99.

    (286)  Causa C-333/14 The Scotch Whisky Association, ECLI:EU:C:2015:845, punti 50 e 54.

    (287)  Causa C-333/14 The Scotch Whisky Association, ECLI:EU:C:2015:845, punto 65.

    (288)  Cfr. ad esempio la causa C-169/07 Hartlauer, ECLI:EU:C:2009:141, punto 55 e causa C-333/14 The Scotch Whisky Association, ECLI:EU:C:2015:845, punto 37.

    (289)  Cfr. conclusioni dell’avvocato generale Maduro nella causa C-434/04 Ahokainen e Leppik, ECLI:EU:C:2006:609, punto 25.

    (290)  Vale in particolare per l’obiettivo della tutela della salute e della vita delle persone, che è tra i beni o gli interessi principali protetti dall’articolo 36 TFUE. Questo margine di discrezionalità è stato altresì riconosciuto per misure motivate dalla necessità di garantire ordine pubblico, moralità pubblica e pubblica sicurezza. Per esempi relativi alla motivazione della salute pubblica, cfr. causa C-322/01 DocMorris, ECLI:EU:C:2003:664, punto 103 e giurisprudenza citata. Relativamente alla motivazione della moralità pubblica, cfr. causa 34/79 Henn e Darby, ECLI:EU:C:1979:295; e causa C-244/06 Dynamic Medien, ECLI:EU:C:2008:85. Per quanto riguarda le misure in relazione all’alcol e alla giustificazione per motivi di salute pubblica e ordine pubblico, cfr. ad esempio causa C-434/04 Ahokainen e Leppik, ECLI:EU:C:2006:609. In relazione alle misure contro le scommesse e alla giustificazione per motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, cfr. causa C-65/05 Commissione/Grecia, ECLI:EU:C:2006:673 ; relativamente alle misure connesse alla tutela degli animali, cfr. causa C-219/07 Nationale Raad van Dierenkwekers en Liefhebbers e Andibel,ECLI:EU:C:2008:353.

    (291)  Cfr. ad esempio causa C-219/07 Nationale Raad van Dierenkwekers en Liefhebbers e Andibel, ECLI:EU:C:2008:353, punto 31.

    (292)  Causa C-124/97 Läärä e altri, ECLI:EU:C:1999:435, punto 36.

    (293)  Cfr. ad esempio causa C-204/12 Essent Belgium, ECLI:EU:C:2014:2192, punti 96-116.

    (294)  Causa C-14/02 ATRAL, ECLI:EU:C:2003:265, punto 69,

    (295)  Ibid, punto 69, causa C-254/05 Commissione/Belgio, ECLI:EU:C:2007:319, punto 36.

    (296)  Causa C-265/06 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2008:210, punti da 40 a 47.

    (297)  Causa C-110/05 Commissione/Italia ECLI:EU:C:2009:66, punto 66; causa C-333/14 The Scotch Whisky Association, ECLI:EU:C:2015:845, punto 55.

    (298)  Causa C-387/01 Weigel, ECLI:EU:C:2004:256.

    (299)  Ibid, punto 54.

    (300)  Causa C-232/01 Van Lent, ECLI:EU:C:2003:535 e causa C-464/02 Commissione/Danimarca, ECLI:EU:C:2005:546.

    (301)  Causa C-420/15 U, ECLI:EU:C:2017:408, punti 21-22.

    (302)  Contrariamente all’attività di un lavoratore con un contratto di lavoro subordinato, disciplinata dalla libera circolazione dei lavoratori (cfr. sezione 7.1). Cfr. causa C-337/97 Meeusen, ECLI:EU:C:1999:284, punto 17 e causa C-413/13 FNV, ECLI:EU:C:2014:241, punto 37.

    (303)  Causa 221/89 Factortame, ECLI:EU:C:1991:320, punto 20.

    (304)  Causa C-384/08 Attanasio Group, ECLI:EU:C:2010:133, punto 39.

    (305)  Cfr. secondo comma dell’articolo 57 TFUE e causa C-55/94 Gebhard, ECLI:EU:C:1995:411, punto 39.

    (306)  Cfr. primo comma dell’articolo 56 TFUE e causa C-97/98 Jägerskiöld, ECLI:EU:C:1999:515, punti 43 e 44.

    (307)  Di norma si riferisce alla remunerazione che copre sostanzialmente parte dei costi dell’attività. Cfr. causa 263/86 Humbel, ECLI:EU:C:1988:451, punto 17.

    (308)  I servizi di trasporto non sono contemplati dall’articolo 56 TFUE, a norma dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE.

    (309)  Nelle cause riunite C-360/15 e C-31/16, Visser, ECLI:EU:C:2018:44, la Corte ha chiaramente statuito che le attività di vendita al dettaglio rappresentano un servizio.

    (310)  Causa C-405/98 Gourmet International, ECLI:EU:C:2001:135.

    (311)  Causa C-452/04 Fidium Finanz, ECLI:EU:C:2006:631, punto 32

    (312)  Ibid.

    (313)  Causa C-20/03 Burmanjer, ECLI:EU:C:2005:307, punto 34.

    (314)  Causa C-591/17 Austria/Germania, ECLI:EU:C:2019:504, punto 164. Alla luce della sentenza Visser (causa C-31/16), l’ambito di applicazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 , relativa ai servizi nel mercato interno (GU L 376 del 27.12.2006, pag. 36) non è influenzato dalla sottile separazione delle libertà ai sensi del TFUE. Nel concludere che il commercio al dettaglio dovrebbe essere considerato un servizio ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sui servizi e che il capo III della direttiva, sulla libertà di stabilimento dei prestatori, si applica a situazioni interne, la Corte non ha ammesso che il diritto primario limitasse l’interpretazione della direttiva sui servizi alle proprie condizioni (cfr. punti 92-94 e 107 della sentenza).

    (315)  Causa C-239/90 SCP Boscher, ECLI:EU:C:1991:180.

    (316)  L’impatto (diretto) della misura sull’impiego di un bene può essere tale da limitare fortemente o addirittura azzerare la domanda delle merci non conformi a tale uso particolare, sebbene legalmente vendute sul mercato.

    (317)  Causa 203/80 Casati, ECLI:EU:C:1981:261, punto 8.

    (318)  Causa 7/78 Thompson, ECLI:EU:C:1978:209, punto 25.

    (319)  Causa C-358/93 Bordessa e altri, ECLI:EU:C:1995:54, punti 13-14.

    (320)  Sebbene il trattato non definisca le nozioni di «movimenti di capitale» e «pagamenti», secondo una giurisprudenza costante è possibile fare riferimento alla direttiva 88/361/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1988. per l'attuazione dell'articolo 67 del Trattato (GU L 178 del 8.7.1988, pag. 5) nonché alla nomenclatura ad essa allegata, per definire il concetto di «movimento di capitale» (causa C-222/97 Trummer e Mayer, ECLI:EU:C:1999:143, punti 20 e 21).

    (321)  Causa C-318/07 Persche, ECLI:EU:C:2009:33, punti 25 e 30.

    (322)  Cfr. sezione 4.2.

    (323)  Causa C-583/14 Nagy, ECLI:EU:C:2015:737, punto 23.

    (324)  Causa C-591/17 Austria/Germania, ECLI:EU:C:2019:504, punto 39; causa C-296/15 Medisanus, EU:C:2017:431.

    (325)  Causa C-591/17 Austria/Germania, ECLI:EU:C:2019:504, punti 162-164.

    (326)  Causa 24/68 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1969:29, punto 7; C-441/98 Michailidis, ECLI:EU:C:2000:479, punto 15; causa C-313/05 Brzeziński, ECLI:EU:C:2007:33, punto 22, causa C-254/13 Orgacom, ECLI:EU:C:2014:2251, punto 23; causa C-65/16 Istanbul Logistik, ECLI:EU:C:2017:770, punto 39.

    (327)  Causa C-173/05 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:2007:362, punto 42, causa C-65/16 Istanbul Logistik, ECLI:EU:C:2017:770, punto 40, causa C-305/17, FENS, ECLI:EU:C:2018:986, punto 53.

    (328)  Cause riunite C-149/91e C-150/91Sanders Adour e Guyomarc’h Orthez Nutrition animale, ECLI:EU:C:1992:261, punto 17, causa C-72/03 Carbonati Apuani, ECLI:EU:C:2004:506, punto 31 e causa C-39/17 Lubrizol, ECLI:EU:C:2018:438, punto 26.

    (329)  Causa C-39/17 Lubrizol, ECLI:EU:C:2018:438, punto 25.

    (330)  Causa 24/68, Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1969:29, punto 14; C-441/98 Michailidis ECLI:EU:C:2000:479, punto 15, causa C-313/05 Brzeziński ECLI:EU:C:2007:33, punto 22, causa C-254/13 Orgacom, ECLI:EU:C:2014:2251, punto 23, causa C-65/16 Istanbul Logistik, ECLI:EU:C:2017:770, punto 39.

    (331)  Causa C-254/13 Orgacom, ECLI:EU:C:2014:2251, punto 29.

    (332)  Causa C-28/96 Fricarnes, ECLI:EU:C:1997:412, punti 24 e 25. Causa C-76/17, Petrotel-Lukoil e Georgescu, ECLI:EU:C:2018:139, punto 24.

    (333)  Causa C-76/17 Petrotel-Lukoil e Georgescu, ECLI:EU:C:2018:139, punto 39.

    (334)  Causa 155/73 Sacchi, ECLI:EU:C:1974:40.

    (335)  Causa C-189/95 Franzén, ECLI:EU:C:1997:504, punto 35.

    (336)  Causa C-189/95 Franzén, ECLI:EU:C:1997:504, punto 36.

    (337)  Causa C-438/02 Hanner, ECLI:EU:C:2005:332, punto 35.

    (338)  Causa C-170/04 Rosengren, ECLI:EU:C:2007:313, punti 21-22; cfr. anche causa C-186/05 Commissione/Svezia,ECLI:EU:C:2007:571.

    (339)  Causa C-456/10 ANETT, ECLI:EU:C:2012:241, punti 21-23.

    (340)  Causa C-456/10 ANETT, ECLI:EU:C:2012:241, punti 25-31.

    (341)  Causa C-198/14 Visnapuu, ECLI:EU:C:2015:751, punti 90-91.

    (342)  Causa C-198/14 Visnapuu, ECLI:EU:C:2015:751, punto 95.

    (343)  Causa C-159/94 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1997:501, punto 41; causa C-158/94 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1997:500, punto 33; C-157/94 Commissione/Paesi Bassi, ECLI:EU:C:1997:499, punto 24.

    (344)  Causa 103/84 Commissione/Italia, ECLI:EU:C:1986:229, punto 19.

    (345)  Causa C-234/99 Nygård, ECLI:EU:C:2002:244, punto 56; causa 351/88 Laboratori Bruneau, ECLI:EU:C:1991:304, punto 7.

    (346)  Causa 18/84 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:1985:175.

    (347)  Causa 21/88 Du Pont de Nemours Italiana Spa, ECLI:EU:C:1990:121; causa 351/88 Laboratori Bruneau Srl, ECLI:EU:C:1991:304; C-156/98 Germania, ECLI:EU:C:2000:467, punto 78 e causa C-114/00 Spagna/Commissione, ECLI:EU:C:2002:508, punto 104.

    (348)  Causa C-379/98 PreussenElektra, ECLI:EU:C:2001:160.

    (349)  Causa 74/76 Ianelli, ECLI:EU:C:1977:51, punto 17.

    (350)  Causa T-57/11 Castelnou Energía/Commissione, ECLI:EU: T:2014:1021, punto 196.

    (351)  Causa C-598/17 A-Fonds, ECLI:EU:C:2019:352.

    (352)  Ibid, punto 47. A tale proposito, cfr. anche causa C-234/99 Nygård, ECLI:EU:C:2002:244, punto 57.

    (353)  Causa C-91/18 Commissione/Grecia, ECLI:EU:C:2019:600, punto 52.

    (354)  Causa C-134/07 Piotr Kawala/Gmina Miasta Jaworzna, ECLI:EU:C:2007:770.

    (355)  Cfr. ad esempio causa C-591/17 Austria/Germania, ECLI:EU:C:2019:504, punto 56 e giurisprudenza citata.

    (356)  Causa C-302/00 Commissione/Francia, ECLI:EU:C:2002:123.

    (357)  Causa C-221/06 Stadtgemeinde Frohnleiten, ECLI:EU:C:2007:185, punto 70.

    (358)  Causa C-167/05 Commissione/Svezia, ECLI:EU:C:2008:202.

    (359)  In caso di compensazione integrale, tale tassa costituisce una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale, e quindi non conforme agli articoli 28 e 30 TFUE.

    (360)  Causa C-76/17 Petrotel-Lukoil, ECLI:EU:C:2018:139, punti 22-25.

    (361)  Causa C-324/93 The Queen/Secretary of State for Home Department, ex parte Evans Medical e Macfarlan Smith, ECLI:EU:C:1995:84.

    (362)  Causa 74/76 Iannelli/Meroni, ECLI:EU:C:1977:51.

    (363)  Causa 83/78 Pigs Marketing Board/Redmond, ECLI:EU:C:1978:214.

    (364)  Per maggiori informazioni si veda la comunicazione della Commissione: «Piano d’azione sul potenziamento di SOLVIT» [COM(2017) 255] e la raccomandazione della Commissione sui principi di funzionamento di SOLVIT, C(2013) 5869.

    (365)  Raccomandazione della Commissione, del 7 dicembre 2001, relativa ai principi per l’utilizzo di «SOLVIT» — la rete per la soluzione dei problemi nel mercato interno [C(2001) 3901] (GU L 331 del 15.12.2001, pag. 79).

    (366)  Causa C-457/07 Commissione/Portogallo, ECLI:EU:C:2009:531, punto 55.

    (367)  Per maggiori informazioni sulla procedura di infrazione e sul metodo impiegato per calcolare le sanzioni pecuniarie, vedihttps://ec.europa.eu/info/law/law-making-process/applying-eu-law/infringement-procedure_it.

    (368)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al mediatore europeo relativa ai rapporti con gli autori di denunce in materia di violazioni del diritto comunitario [COM(2002) 141 final]. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo «Migliorare la gestione dei rapporti con gli autori di denunce in materia di applicazione del diritto dell’Unione», [COM(2012) 154 final]. Comunicazione della Commissione «Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione» [C(2016) 8600] (GU C 18 del 19.1.2017, pag. 10).

    (369)  https://ec.europa.eu/assets/sg/report-a-breach/complaints_it/;https://ec.europa.eu/info/about-european-commission/contact/problems-and-complaints/complaints-about-breaches-eu-law/how-make-complaint-eu-level_it#submitting-a-complaint-online.

    (370)  Causa 200/88 Commissione/Grecia, ECLI:EU:C:1990:346; ordinanza nella causa T-47/96, ECLI:EU:T:1996:164, punto 42; cfr. anche ordinanza del 9 gennaio 2006 nella causa T-177/05 Finlandia/Commissione, punti 37-40.

    (371)  GU L 241 del 17.9.2015, pag. 1.

    (372)  Cfr. articoli 5 e 6 della direttiva.

    (373)  Causa C-194/94 CIA Security, ECLI:EU:C:1996:172; causa C-443/98 Unilever, ECLI:EU:C:2000:496.

    (374)  Causa C-20/05 Schwibbert, ECLI:EU:C:2007:652; causa C-390/18 Airbnb Ireland, ECLI:EU:C:2019:1112.

    (375)  Regolamento (CE) n. 2679/98 del Consiglio, del 7 dicembre 1998, sul funzionamento del mercato interno in relazione alla libera circolazione delle merci tra gli Stati membri (GU L 337 del 12.12.1998, pag. 8).

    (376)  Per maggiori informazioni cfr.https://ec.europa.eu/growth/single-market/barriers-to-trade/physical_it e il documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD(2019) 371 final.


    ALLEGATO

    APPLICAZIONE TERRITORIALE

    Territori di cui all’articolo 52, paragrafo 1, TUE cui si applica l’articolo 34 TFUE in linea con l’articolo 355 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea

    Il territorio dei 27 Stati membri dell’UE comprendente:

    Isole Åland (provincia autonoma della Finlandia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 4, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 5, TCE).

    Isole Azzorre (regione autonoma del Portogallo). Composte da São Miguel, Pico, Terceira, São Jorge, Faial, Flores, Santa Maria, Graciosa, Corvo.

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Isole Canarie (comunità autonoma della Spagna). Composte da Tenerife, Fuerteventura, Gran Canaria, Lanzarote, La Palma, La Gomera, El Hierro.

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Guyana francese (regione d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Guadalupa (regione d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Madeira (regione autonoma del Portogallo). Composta da Madeira, Porto Santo, isole Desertas, isole Savage.

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Martinica (regione francese d’oltremare).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Mayotte (regione d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: Articolo 355, paragrafo 1, TFUE.

    Riunione (regione d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 1, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 2, TCE).

    Saint-Martin (collettività d’oltremare della Francia)

    Base giuridica: Articolo 355, paragrafo 1, TFUE.

    Territori connessi a Stati membri dell’UE cui non si applica l’articolo 34 TFUE

    Aruba (nazione costitutiva dei Paesi Bassi).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Ceuta e Melilla (città autonome soggette alla sovranità della Spagna).

    Base giuridica: a causa della formulazione degli articoli 24 e 25 dell’atto di adesione della Spagna alle Comunità europee (1), sebbene l’articolo 34 TFUE si applichi probabilmente alle merci che entrano in questi territori dal resto dell’UE, lo stesso non sembra valere per le merci originarie di Ceuta e Melilla e che fanno il loro ingresso nel resto dell’UE. Non sembra dunque che l’articolo 34 TFUE si estenda alle merci originarie di Ceuta e Melilla.

    Isole Fær Øer (provincia autonoma della Danimarca).

    Sebbene la Danimarca sia responsabile per le relazioni esterne delle 18 isole che ne costituiscono il territorio, esse mantengono un elevato grado di autonomia e il TFUE sancisce espressamente che non rientrano nel suo ambito di applicazione territoriale.

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 5, lettera a), TFUE (ex articolo 299, paragrafo 6, lettera a), TCE).

    Polinesia francese (collettività d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Terre australi e antartiche francesi (territorio d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Antille olandesi (nazione costitutiva dei Paesi Bassi). Composte da Bonaire, Curaçao, Saba, Sint Eustatius e Sint Maarten.

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Nuova Caledonia e relative dipendenze (collettività sui generis della Francia). Comprende un’isola principale (Grande Terre), le isole della Lealtà e numerose isole minori.

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Saint Pierre e Miquelon (collettività d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Saint-Barthélemy (collettività d’oltremare della Francia)

    Base giuridica: Articolo 355, paragrafo 2, TFUE.

    Isole Wallis e Futuna (collettività d’oltremare della Francia).

    Base giuridica: articolo 355, paragrafo 2, TFUE (ex articolo 299, paragrafo 3, TCE).

    Da ultimo gli Stati membri dello Spazio economico europeo (SEE), Islanda, Liechtenstein e Norvegia, godono della libera circolazione delle merci nell’UE nel quadro dell’accordo sullo Spazio economico europeo (accordo SEE).


    (1)  GU L 302 del 15.11.1985, pag. 23.


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