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Document 52021IE2561

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La pubblicità al servizio di un consumo moderno e responsabile» (parere d’iniziativa)

EESC 2021/02561

GU C 105 del 4.3.2022, p. 6–10 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

4.3.2022   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 105/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La pubblicità al servizio di un consumo moderno e responsabile»

(parere d’iniziativa)

(2022/C 105/02)

Relatore:

Thierry LIBAERT

Decisione dell’Assemblea plenaria

25.3.2021

Base giuridica

Articolo 32, paragrafo 2, del Regolamento interno

 

Parere d’iniziativa

Sezione competente

Mercato unico, produzione e consumo

Adozione in sezione

30.9.2021

Adozione in sessione plenaria

20.10.2021

Sessione plenaria n.

564

Esito della votazione

(favorevoli/contrari/astenuti)

132/0/5

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea la necessità che l’Unione europea (UE) sostenga la propria industria pubblicitaria, duramente colpita dalla crisi della COVID-19. A fronte della transizione digitale e della concorrenza delle GAFA, la pubblicità rappresenta una leva più che mai importante per le attività economiche e l’occupazione.

1.2.

L’esigenza di un maggiore rispetto per i consumatori, oltre alle sfide della transizione ecologica e della lotta ai cambiamenti climatici, impone una riflessione generale volta a far sì che la filiera pubblicitaria tenga conto, in particolare, degli obiettivi dell’accordo di Parigi.

1.3.

Il CESE chiede alla filiera pubblicitaria di impegnarsi a ridurre la propria impronta di carbonio per conseguire, in linea con gli obiettivi dell’UE, la neutralità in termini di emissioni di carbonio delle proprie attività entro il 2050 e ridurre del 55 % le emissioni di gas a effetto serra (GES) entro il 2030, al fine di contribuire alla neutralità collettiva in termini di emissioni di carbonio entro il 2050.

1.4.

Il CESE chiede che ogni soggetto della filiera pubblicitaria, a seconda del settore di attività in cui opera, si impegni a ridurre il proprio impatto ambientale. Tale obiettivo può essere raggiunto riducendo il consumo energetico degli schermi pubblicitari digitali e aumentandone la riciclabilità, utilizzando di preferenza la carta proveniente da foreste gestite in modo sostenibile (marchi PEFC, PFC) e inchiostri conformi alle norme REACH e GreenGuard per i manifesti cartacei e gli opuscoli pubblicitari, nonché riducendo l’impatto tecnico, energetico e logistico delle produzioni audiovisive.

1.5.

Il CESE raccomanda agli operatori della filiera di aumentare il loro contributo pro bono a sostegno delle iniziative ecoresponsabili promosse da soggetti che non dispongono di risorse finanziarie sufficienti (PMI, start-up, cooperative ecc.).

1.6.

Il CESE chiede agli operatori della filiera di formare maggiormente i propri membri in merito alle sfide della transizione ecologica. Quest’opera di sensibilizzazione dovrebbe svolgersi, in parallelo, anche nel quadro della formazione universitaria per le professioni della comunicazione.

1.7.

Il CESE raccomanda che il settore della pubblicità porti avanti una riflessione sull’immaginario pubblicitario e sulle rappresentazioni ad esso associate. Ciò contribuirà a garantire che la pubblicità, anziché costituire un ostacolo, diventi una vera e propria leva per la transizione ecologica, permettendo, su basi fattuali e precise, di dare risalto ai prodotti che contribuiscono alla riduzione degli impatti ambientali.

1.8.

Il CESE chiede che le attività volte a rafforzare la regolamentazione della pubblicità a livello europeo per combattere il greenwashing e le dichiarazioni ambientali ingannevoli siano portate avanti e si prefiggano l’obiettivo di un’armonizzazione tra gli Stati membri dell’UE.

1.9.

Il CESE auspica che, accanto agli aspetti legati alla transizione ecologica, si presti particolare attenzione alla pubblicità rivolta ai più giovani, in particolare sui social media.

1.10.

Il CESE ritiene che non vi possa essere una pubblicità pienamente responsabile se gli operatori pubblicitari in Europa non si assumono le proprie responsabilità per quanto riguarda la disinformazione. La Commissione europea (CE) deve intensificare gli sforzi volti a combattere la monetizzazione della disinformazione (1).

1.11.

Il CESE chiede al settore pubblicitario di aprirsi maggiormente alla società civile e di creare occasioni più frequenti di scambi con i diversi tipi di pubblico, in modo da poter evolvere in linea con le nuove aspettative della società.

2.   Definizioni

2.1.

La definizione di pubblicità utilizzata nel presente parere è quella stabilita dall’UE, ossia: «qualsiasi forma di messaggio che sia diffuso nell’esercizio di un’attività commerciale, industriale, artigianale o professionale, allo scopo di promuovere la fornitura di beni o servizi». Tuttavia, tale definizione non copre la pubblicità diretta ad un obiettivo di comunicazione istituzionale (il miglioramento della reputazione dell’azienda interessata) o promossa da soggetti pubblici o del settore associativo.

2.2.

La pubblicità responsabile è quella che fa appello alla propria responsabilità nei confronti delle principali sfide socioculturali e ambientali, in particolare l’urgenza di combattere i cambiamenti climatici.

3.   La pubblicità come vettore di attività economica e occupazione in Europa

3.1.

La pubblicità è strettamente correlata con la crescita e l’occupazione. Investimenti pubblicitari più elevati si accompagnano a una crescita maggiore, mentre dove tali investimenti sono più contenuti si assiste al fenomeno inverso (2). In Europa, secondo uno studio pubblicato nel 2017 dalla Federazione mondiale degli inserzionisti e relativo al 2016, i 92 miliardi di EUR di spese pubblicitarie in senso stretto avrebbero generato 643 miliardi di EUR di ricchezza supplementare (3).

3.2.

Secondo i diversi studi, investire un euro in pubblicità produce un effetto moltiplicatore e di ricaduta di 5-7 punti di crescita aggiuntivi. Applicato al Belgio, il coefficiente moltiplicatore sarebbe pari a 5 (2,2 miliardi di EUR di spese pubblicitarie hanno contribuito all’economia belga per 13 miliardi di EUR) (4).

3.3.

La pubblicità accelera la diffusione di nuovi prodotti e servizi, e a volte dell’innovazione, come dimostra chiaramente la durata operativa di determinati prodotti di consumo, ad esempio nel settore dell’informatica o della telefonia. La diffusione sempre più rapida di nuovi prodotti solleva tutta una serie di interrogativi circa il loro impatto ambientale.

3.4.

La pubblicità stimola la concorrenza. Senza pubblicità, saremmo tutti clienti dello stesso istituto bancario, che fisserebbe le proprie tariffe come ritiene opportuno. In effetti, i servizi bancari sono sostanzialmente simili da una banca all’altra, e la differenza risiede anche nella pubblicità. È una constatazione che vale per un gran numero di settori di attività (energia, distribuzione ecc.).

3.5.

La pubblicità fa vivere un gran numero di settori, a cominciare dai media. In molti paesi dell’UE, infatti, essa finanzia in larga misura la stampa, la radio o la televisione. D’altronde, questo sostegno rappresenta tanto una risorsa quanto una dipendenza, talvolta in grado di influenzare il contenuto delle produzioni e creare problemi di indipendenza editoriale.

3.6.

La pubblicità rappresenta un fatturato di 140 miliardi di EUR (2018) in Europa, con 280 000 imprese, spesso di piccole e medie dimensioni, che lavorano parzialmente o totalmente per la comunicazione d’impresa e danno lavoro a 998 000 persone (5).

3.7.

La pubblicità esercita un effetto indiretto su molte professioni collegate, come la produzione audiovisiva, la creazione artistica o la fotografia. Lo studio belga ha dimostrato infatti che, nell’anno di riferimento, 87 000 persone dovevano il loro posto di lavoro agli introiti pubblicitari o partecipavano alla produzione pubblicitaria attraverso le catene di approvvigionamento.

3.8.

Inoltre, se si calcolano tutte le spese di comunicazione delle imprese, vanno aggiunte anche le considerevoli somme versate ogni anno nell’UE per sostenere attività di intrattenimento, sportive o culturali a titolo di sponsorizzazione e patrocinio.

4.   Un impatto che va al di là degli aspetti economici e sociali

4.1.

È generalmente riconosciuto che l’effetto della pubblicità sulla stampa è quello di consentire un accesso più ampio ai media. In assenza di pubblicità, infatti, il prezzo dei giornali aumenterebbe in misura considerevole, e una riduzione delle inserzioni porterebbe alla scomparsa di molte testate.

4.2.

È sempre la pubblicità che mette a disposizione testate gratuite, grazie alle quali diversi milioni di persone possono leggere ogni giorno le notizie di attualità.

4.3.

Anche l’aspetto artistico e creativo merita di essere evidenziato: sono tantissimi i registi cinematografici, i fotografi e i designer la cui carriera ha avuto inizio proprio nel settore della pubblicità.

4.4.

L’integrazione della pubblicità in alcuni paesaggi urbani ne ha fatto delle attrattive turistiche, come Times Square a New York o Piccadilly Circus a Londra. È proprio l’animazione pubblicitaria che imprime il suo marchio sulla città e conferisce un’attrattiva particolare ad alcuni luoghi. Ovviamente, questa influenza della pubblicità nello spazio pubblico può essere fortemente criticata.

4.5.

La pubblicità contribuisce a offrire una narrazione positiva sul mondo, sulla felicità, sul piacere o sulla bellezza. Confinato in un’attualità di crisi permanenti, il discorso pubblicitario contribuisce a diffondere messaggi ottimistici e stimolanti. È sempre la pubblicità che ci offre consigli di vita: «Non imitare, innova» (Hugo Boss), «Prenditi cura di te» (Garnier), «Niente è impossibile» (Adidas). In generale, quindi, la pubblicità trasmette una visione positiva del mondo, la quale può costituire una leva importante per la transizione ecologica.

5.   Il modello pubblicitario e le sue conseguenze sociali e ambientali

5.1.

La pubblicità produce effetti diretti in termini di gas a effetto serra. Essa infatti ha un impatto sull’uso della carta come pure sul consumo di varie risorse (in particolare con i nuovi schermi LCD) e di energia attraverso Internet o i media audiovisivi. L’impatto in materia di emissioni di GES o a livello ambientale più ampio (ad esempio la riciclabilità dei supporti) non figura praticamente mai tra i criteri principali per definire le modalità di una campagna pubblicitaria.

5.2.

La pubblicità all’esterno ha anche un impatto ambientale specifico, che si può osservare in particolare nel caso dei pannelli luminosi e digitali, il cui consumo energetico e impatto in termini di inquinamento luminoso non sono trascurabili. Per quanto riguarda gli schermi pubblicitari digitali, si stima che per la fabbricazione di un pannello standard di 200 kg siano necessarie 8 tonnellate di materiali (6).

5.3.

Puntando a fare aumentare sempre più il consumo di ciò che promuove, la pubblicità incoraggia un consumo eccessivo che non corrisponde necessariamente ai bisogni. Tanti sono gli esempi di prodotti e gadget la cui utilità reale è in definitiva molto limitata, talvolta non commisurata al loro impatto ambientale. Alcuni di essi finiscono nei rifiuti già dopo il primo utilizzo. La pubblicità dà forma ai bisogni e alle aspettative degli individui in funzione degli interessi dei distributori, e non necessariamente degli interessi collettivi.

5.4.

A causa della sua forte presenza nelle grandi metropoli, vi è anche il rischio che la pubblicità contribuisca ad uniformare lo spazio urbano delle grandi città europee. Facendo da sfondo a campagne pubblicitarie identiche, i paesaggi urbani diventano sempre più omogenei e perdono di qualità, un fenomeno, questo, spiegabile con il fatto che la maggior parte delle pubblicità proviene da un numero limitato di inserzionisti.

5.5.

Tramite i messaggi che diffonde, essa trasmette dei valori che spesso sono lontani da quelli della condivisione, della solidarietà e della moderazione. La pubblicità veicola un’immagine di felicità che passa attraverso l’acquisizione. L’immaginario della pubblicità ci ricorda che tutto si può comprare: per essere felici, dovremmo possedere e consumare di più. Tuttavia, stando ai sondaggi di opinione, non esiste una marcata correlazione statistica tra il consumo e la percezione della felicità, poiché quest’ultima dipende principalmente dal fatto di credere in taluni valori e dall’importanza del tessuto familiare e della rete sociale «fisica». La pubblicità può anche essere fonte di insoddisfazione costante per i consumatori, poiché ingiunge loro di consumare sempre di più, e anche di frustrazione per tutte le persone, in particolare le più svantaggiate, che non hanno i mezzi per acquistare i prodotti e i servizi pubblicizzati.

5.6.

A loro insaputa, le imprese europee spendono oltre 400 milioni di EUR su siti web di disinformazione (7). È riconosciuto che le principali fonti di disinformazione perseguono obiettivi finanziari, anche tramite un referenziamento che permette di recuperare considerevoli somme di denaro provenienti dalla pubblicità online.

5.7.

Il CESE ha osservato che sempre più pubblicità sui social media non sono indicate come tali, ma sono dissimulate negli interventi di influencer più o meno noti. Si stima che più di un quarto (26,6 %) degli annunci pubblicitari sui social media non menzionino il marchio e l’intento commerciale (8). La confusione che ne deriva rischia di danneggiare la fiducia nei marchi, una situazione che la legge sui servizi digitali (Digital Services Act) potrà contribuire a contrastare obbligando a comunicare il nome dell’organizzazione per conto della quale la pubblicità viene diffusa (9).

6.   Accelerare l’evoluzione della pubblicità per rendere il suo modello più compatibile con le sfide della transizione ecologica

6.1.

Mentre l’imperativo climatico si fa sempre più pressante, è difficilmente comprensibile che l’industria della pubblicità non si sia formalmente impegnata a rispettare l’accordo di Parigi. Più di recente, il Parlamento europeo (PE) ha adottato una risoluzione per arrivare ad una riduzione del 55 % delle emissioni di GES entro il 2030, e il 14 luglio 2021 la Commissione ha pubblicato il pacchetto di dodici misure «Pronti per il 55 %» volto a conseguire tale obiettivo. Tutti i settori professionali devono contribuire allo sforzo collettivo, e l’industria della pubblicità deve, come gli altri, integrare questo importante obiettivo nel giro di una decina d’anni.

6.2.

La maggior parte dei pubblicitari ha ben compreso le sfide poste dai cambiamenti climatici e la necessità di prestare ascolto alle grandi aspettative della società. Da diversi anni essi si mobilitano per lottare contro le dichiarazioni ambientali ingannevoli e il greenwashing. Ora devono intensificare i loro sforzi.

6.3.

Questa dinamica è sostenuta dalla Commissione. Nel 2012 la DG JUST ha istituito un gruppo di lavoro (gruppo multilaterale sulle dichiarazioni ambientali). Sono state pubblicate diverse relazioni, nel 2013 e poi nel 2016. Tali documenti hanno consentito di comprendere meglio il problema delle dichiarazioni ambientali ingannevoli e hanno influito sull’attuazione della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (10) sulle pratiche commerciali sleali. La Commissione sta lavorando all’aggiornamento di tali orientamenti, che dovrebbe essere pubblicato entro la fine del 2021. Il testo finale dovrebbe chiarire ulteriormente l’applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle dichiarazioni ambientali ingannevoli. Nel 2020 le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno effettuato uno screening, coordinato dalla Commissione, dei siti web di imprese che dichiaravano di vendere prodotti rispettosi dell’ambiente. Secondo le conclusioni di tale lavoro, nel 42 % dei casi le dichiarazioni erano esagerate, false o ingannevoli e potrebbero potenzialmente configurarsi come pratiche commerciali sleali ai sensi delle norme dell’UE (11).

6.4.

Più di recente, il nuovo piano d’azione per l’economia circolare pubblicato dalla Commissione l’11 marzo 2020 prevede, per la prima volta, un asse relativo alla responsabilità della pubblicità. Nel punto 2.2 la Commissione esprime la volontà di rafforzare la protezione dei consumatori contro l’ecologismo di facciata, e prevede che le imprese forniscano ulteriori elementi a sostegno delle loro dichiarazioni ambientali relative al prodotto o all’organizzazione utilizzando i metodi per misurare l’impronta ambientale. Nel punto 3.2 formula l’auspicio di mettere a punto degli incentivi per aumentare il tasso di occupazione dei veicoli (obiettivo che può essere realizzato riducendo le pubblicità che mostrano conducenti soli nelle loro automobili).

6.5.

Nel novembre 2020 il PE ha adottato una risoluzione dal titolo Verso un mercato unico sostenibile per le imprese e i consumatori (12), elaborata dalla commissione IMCO (Mercato interno). Il testo «sottolinea l’importanza di una pubblicità responsabile che rispetti le norme pubbliche in materia di ambiente e salute dei consumatori».

6.6.

Il CESE è stato particolarmente attivo nel chiedere il divieto delle dichiarazioni ambientali ingannevoli, tra l’altro in un parere sul tema Dichiarazioni ambientali, sociali e sulla salute nel mercato interno (13). Inoltre, ha adottato un parere sul tema Verso una strategia dell’UE per un consumo sostenibile (14), nel quale ha sottolineato l’importanza di un migliore inquadramento della pubblicità per un consumo più sostenibile. Più di recente, il parere sulla nuova agenda dei consumatori (15) ha ricordato la necessità di assicurare una migliore informazione dei consumatori e di combattere il greenwashing.

7.   Per una pubblicità europea al servizio di un consumo più sostenibile e responsabile

7.1.

Il CESE raccomanda un approccio basato sugli incentivi che faccia appello alla responsabilità dei pubblicitari stessi. Tale approccio è motivato dai progressi compiuti dalla professione, in particolare nella lotta contro le dichiarazioni ambientali ingannevoli, come pure dalla regolamentazione. Esso va ricondotto anche alla necessità di sostenere un settore che crea crescita e occupazione in un periodo particolarmente delicato. Il CESE ritiene che qualsiasi ostacolo ai modelli pubblicitari europei rischi di andare a vantaggio dei dispositivi pubblicitari digitali, che sono principalmente di proprietà delle GAFA, le quali sfuggono ancora in larga misura ai regimi fiscali europei. Anche questo modello dovrà cambiare in futuro, per via dell’evoluzione delle norme sui cookie. Tuttavia, il CESE riconosce che, per alcuni tipi di prodotti che hanno un impatto particolare, come i combustibili fossili, possono essere previste forme di regolamentazione più rigorose.

7.2.

Nel quadro dell’attuale crisi economica, il CESE raccomanda di concedere un sostegno finanziario rapido ed eccezionale agli attori più piccoli e più fragili del settore pubblicitario (PMI), affinché tali strutture possano sopravvivere nel contesto attuale, chiedendo come contropartita l’impegno ad effettuare dei cambiamenti strutturali nei punti sopra descritti.

7.3.

Tutte le professioni del settore pubblicitario in Europa e le agenzie pubblicitarie operanti nell’Unione europea integrano gli obiettivi dell’accordo di Parigi del 2015 nella loro politica di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, e in particolare i recenti obiettivi dell’UE di una riduzione del 55 % entro il 2030.

7.4.

Tutti gli operatori economici della filiera pubblicitaria riconoscono gli obiettivi connessi alla transizione ecologica e li integrano nel funzionamento delle loro strutture, proponendo valutazioni dei loro bilanci in termini di GES, percorsi di riduzione e piani d’azione adattati a tali obiettivi. Questa transizione della funzione della pubblicità deve avvenire in modo flessibile, in particolare per incoraggiare e sostenere le agenzie di medie dimensioni.

7.5.

Gli operatori della filiera pubblicitaria devono impegnarsi a valutare l’impatto in termini di carbonio della produzione pubblicitaria al fine di farne evolvere le pratiche, proporre alternative di produzione più ecologiche ed esaminare le possibilità di rilocalizzazione in Europa.

7.6.

Gli operatori del settore pubblicitario devono aumentare il loro contributo pro bono alle organizzazioni più attive nel campo della transizione climatica e dell’inclusione sociale. Più in generale, l’evoluzione della governance della regolamentazione della pubblicità deve essere pensata per dare maggiore spazio alla società civile, possibilmente reinventando le forme nelle quali tale governance viene esercitata.

7.7.

Gli operatori della filiera pubblicitaria devono intraprendere un percorso di formazione sistematica sulle questioni relative alla transizione ambientale e sulle pratiche pubblicitarie più responsabili, impartendo una formazione interna al loro personale, nonché contribuendo alla formazione degli studenti di marketing e comunicazione.

7.8.

Il settore pubblicitario deve impegnarsi a rafforzare ulteriormente i meccanismi di regolamentazione professionale della pubblicità ampliando i poteri di controllo degli organi di regolamentazione in Europa e proponendo un maggiore coinvolgimento effettivo della società civile (ONG ambientali, associazioni di consumatori, organizzazioni sindacali ecc.) nella sua governance.

Bruxelles, 20 ottobre 2021

La presidente del Comitato economico e sociale europeo

Christa SCHWENG


(1)  Orientamenti della Commissione europea sul rafforzamento del codice di buone pratiche sulla disinformazione, 26 maggio 2021. https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/ip_21_2585.

(2)  Maximilien Nayaradou, L’impact de la régulation de la publicité sur la croissance économique (L’impatto della regolamentazione della pubblicità sulla crescita economica), in Publicité et croissance économique (Pubblicità e crescita economica), Union des annonceurs, 2006. Tesi sostenuta all’Università di Parigi Dauphine nel 2004.

(3)  World Federation of Advertising (Federazione mondiale della pubblicità), The value of advertising (Il valore della pubblicità), Deloitte, 2017.

(4)  Union belge des annonceurs, L’impact de la publicité sur la croissance économique en Belgique (L’impatto della pubblicità sulla crescita economica in Belgio), 3 dicembre 2015.

(5)  Eurostat, Advertising and Market Research Statistics (Statistiche sulla pubblicità e sulla ricerca di mercato).

(6)  ADEME (Agenzia francese della transizione ecologica), Modélisation et évaluation environnementale des panneaux publicitaires numériques (Modellizzazione e valutazione ambientale dei pannelli pubblicitari digitali), settembre 2020.

(7)  Claudia Cohen, Des marques financent, malgré elles, la désinformation (Senza volerlo, alcuni marchi finanziano la disinformazione), Le Figaro, 5 agosto 2021.

(8)  Observatoire de l’influence responsable (Osservatorio dell’influenza responsabile), Autorité de régulation professionnelle de la publicité (Autorità di regolamentazione professionale della pubblicità, ARPP), 13 settembre 2021.

(9)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 70.

(10)  Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22).

(11)  Bollettino quotidiano dell’Agence Europe, n. 12646, 24 gennaio 2021.

(12)  https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?reference=2020/2021(INI)&l=it

(13)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 8.

(14)  GU C 429 dell'11.12.2020, pag. 51.

(15)  GU C 286 del 16.7.2021, pag. 45.


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