EUR-Lex Access to European Union law

Back to EUR-Lex homepage

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 52015IR1689

Parere del Comitato europeo delle regioni — Norme per la remunerazione dei lavoratori nell’UE

GU C 51 del 10.2.2016, p. 22–24 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

10.2.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 51/22


Parere del Comitato europeo delle regioni — Norme per la remunerazione dei lavoratori nell’UE

(2016/C 051/04)

Relatore:

Mick ANTONIW (UK/PSE), rappresentante della circoscrizione di Pontypridd all’Assemblea nazionale del Galles

RACCOMANDAZIONI POLITICHE

IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

Legittimità del dibattito

1.

precisa che i governi nazionali o regionali sono i primi responsabili dell’occupazione e della politica sociale, che la competenza dell’Unione europea si limita al coordinamento di questo settore e che qualunque iniziativa dell’UE riguardante le norme salariali deve rispettare il principio di sussidiarietà;

2.

ricorda che, secondo un sondaggio di Eurobarometro sull’atteggiamento dei cittadini nei confronti della povertà, la grande maggioranza (73 %) ritiene che essa sia un problema diffuso nel proprio paese e chiede interventi urgenti a livello nazionale (89 %) e a livello di UE (74 %) per farvi fronte (1);

3.

afferma che il diritto di tutti i lavoratori ad una retribuzione equa che assicuri, a loro ed alle loro famiglie, un livello di vita soddisfacente è stabilito nella Carta sociale europea, che è stata accolta da quasi tutti gli Stati membri dell’UE;

4.

ritiene che la legittimità democratica dell’Unione europea sarà rafforzata se i cittadini europei riconoscono che si intende salvaguardare anche il progresso sociale quando la dimensione occupazionale e quella sociale sono pienamente integrate nel ciclo annuale di coordinamento delle politiche economiche (il semestre europeo) insieme alla promozione della crescita;

5.

ricorda che l’UE si è impegnata a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite e a rispettare la risoluzione che proclama il secondo decennio delle Nazioni Unite per l’eliminazione della povertà (2008-2017);

6.

prende atto che la convenzione C 94 dell’OIL sulle clausole di lavoro negli appalti pubblici è attualmente vincolante in nove Stati membri dell’UE ed è applicata su base volontaria in altri. Tuttavia, devono essere chiarite le eventuali incongruenze giuridiche tra detta convenzione e i trattati dell’UE;

7.

prende atto degli appelli del Parlamento europeo concernenti la questione del salario minimo (2) compreso il recente invito rivolto alla Commissione europea a «prendere in considerazione tutte le possibilità per rafforzare l’UEM e renderla più resiliente e favorevole alla crescita, all’occupazione e alla stabilità, con una dimensione sociale intesa a preservare l’economia sociale di mercato europea, e a rispettare il diritto alla contrattazione collettiva, in virtù del quale sarebbe garantito il coordinamento delle politiche sociali degli Stati membri, tra cui un meccanismo di salario o reddito minimo specifico di ciascuno Stato membro e stabilito da quest’ultimo (3).

Salari minimi e salari di sussistenza

8.

afferma che la povertà e l’esclusione sociale impediscono di condurre un’esistenza dignitosa, e violano quindi i diritti umani fondamentali dei cittadini e ritiene che tutti gli Stati membri dovrebbero garantire un’esistenza dignitosa ai cittadini, ad esempio fornendo i servizi necessari per un tenore di vita decente, e dovrebbero portare avanti politiche, soprattutto in campo sociale e nel settore del mercato del lavoro, atte ad assicurare salari equi nell’intero ciclo di vita lavorativa;

9.

mette in risalto l’urgenza di affrontare la questione, dato che la povertà e le disuguaglianze sociali si sono aggravate con la crisi economica nell’UE e che le politiche di pura austerità adottate in seguito alla stessa crisi hanno ulteriormente accentuato il problema; il numero di persone a rischio di povertà è aumentato, una tendenza che interessa in modo particolare le donne e i minori;

10.

sottolinea che l’obiettivo della strategia Europa 2020 sembra compromesso e dovrà essere rivisitato in occasione della prossima revisione del processo Europa 2020, dato che il numero di persone a rischio di povertà è passato da 114 milioni nel 2009 a 124 milioni nel 2012 (4);

11.

accoglie con favore il fatto che nella maggioranza degli Stati membri dell’UE vi siano regimi relativi al salario minimo stabiliti per legge o mediante contrattazione collettiva. La competenza e la responsabilità per le questioni relative alla fissazione dei salari spettano agli Stati membri e/o alle parti sociali a livello nazionale. L’autonomia delle parti sociali e il loro diritto di stipulare contratti collettivi devono essere pienamente tutelati;

12.

sottolinea che i regimi salariali minimi variano sensibilmente e rileva che in alcuni paesi il livello fissato è inferiore al 50 % della retribuzione mediana (5), e che anche la povertà lavorativa costituisce un problema crescente;

13.

riconosce il ruolo essenziale della contrattazione collettiva per definire salari minimi, ma evidenzia che in molti settori e per numerose PMI non esistono accordi settoriali e che pertanto alcuni lavoratori risultano esclusi. Invita le parti sociali nazionali a rafforzare il dialogo sociale a livello nazionale, regionale e locale;

14.

ritiene pertanto che gli Stati membri debbano essere incoraggiati a definire un salario di sussistenza indicativo, calcolato prendendo orientativamente come parametro il 60 % del salario mediano e basato su bilanci di riferimento (6), vale a dire un insieme di beni e servizi di cui una persona ha bisogno per vivere dignitosamente, insieme a una serie di condizioni di lavoro ritenute eque. Secondo un recente studio di Eurofound (7), elaborato sulla base delle cifre relative al 2010, un ipotetico salario minimo fissato al 60 % della retribuzione mediana nazionale avrebbe, di media, arrecato benefici al 16 % di tutti i lavoratori europei;

15.

ricorda il lavoro svolto dalla Rete europea dei bilanci di riferimento volto ad elaborare una metodologia comune per i bilanci di riferimento in Europa in modo che il loro contenuto, ad esempio il paniere alimentare, sia comparabile in tutti gli Stati membri;

16.

sottolinea il fatto che l’indebitamento privato, che nella zona euro raggiungeva nel 2014 il 126 % del PIL rispetto al 92 % del debito pubblico, è un fattore che aggrava una situazione di calo dei consumi e degli investimenti; sottolinea in tale contesto che le strutture salariali eque sono degli stabilizzatori economici importanti e rappresentano uno strumento chiave per promuovere la competitività non basata sul prezzo; essi pertanto fungono da motore determinante della crescita economica e contribuiscono ad evitare il ristagno; inoltre, al fine di incrementare la sicurezza del reddito delle famiglie, occorre riflettere sull’adozione di una procedura di gestione del sovraindebitamento a livello europeo che definisca in particolare le condizioni relative agli espropri immobiliari delle famiglie;

17.

sostiene che grazie ad un salario equo il settore pubblico potrebbe non essere tenuto, se non in misura limitata, a fornire sostegno ai cittadini che lavorano a tempo pieno attraverso contributi integrativi o crediti d’imposta, il che potrebbe consentire agli Stati membri di rispettare i loro obblighi fiscali;

18.

propone di valutare le disposizioni in materia di salari minimi in collegamento con le condizioni occupazionali, in particolare per quanto concerne specifici regimi flessibili;

19.

ritiene che un salario equo, condizioni di lavoro e di occupazione eque e un adeguato sistema di protezione sociale siano fra i presupposti necessari per garantire una concorrenza equa tra gli Stati membri dell’UE, in modo che essi non tentino di superarsi l’un l’altro attraverso una «corsa al ribasso» e il «dumping sociale»;

20.

sottolinea che tale questione è particolarmente importante nel contesto della Direttiva sui lavoratori distaccati e delle successive sentenze della Corte europea di giustizia, che hanno fatto sì che le società non siano tenute a rispettare gli accordi in materia di retribuzione minima per un determinato settore che non siano stati dichiarati di applicabilità generale (8);

21.

esorta gli enti nazionali e regionali a dare piena applicazione alla Direttiva di applicazione relativa al distacco dei lavoratori; a tale proposito, aspetta il tanto atteso e già annunciato riesame da parte della Commissione europea della vigente legislazione sui lavoratori distaccati con l’obiettivo di combattere il dumping sociale e di garantire che per lo stesso lavoro nello stesso posto venga corrisposto un salario analogo in tutta l’UE;

22.

ritiene che il dibattito in questo settore potrebbe in particolare basarsi sugli articoli 9 e 156 del TFUE e dovrebbe, per assicurare il rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, proseguire sulla base di processi non vincolanti come il metodo aperto di coordinamento e nell’ambito del semestre europeo, che ha già affrontato questioni salariali;

23.

sostiene inoltre che anche il salario equo quale fattore economico potrebbe essere preso in considerazione nelle raccomandazioni specifiche per paese, nelle quali già figurano la determinazione delle retribuzioni in funzione del mercato del lavoro e la moderazione salariale;

24.

riconosce che i salari minimi variano considerevolmente tra gli Stati membri dell’UE che li applicano e sottolinea che un meccanismo di salario minimo specifico di ciascuno Stato membro e stabilito da quest’ultimo, vuoi per legge vuoi attraverso contrattazione collettiva, ma comunque nel pieno rispetto delle sue tradizioni e delle sue pratiche, potrebbe permettere di realizzare l’obiettivo della strategia Europa 2020 di far uscire 20 milioni di persone dalla povertà e dall’esclusione sociale;

25.

ritiene che i salari equi contribuirebbero a combattere i livelli inaccettabili di ineguaglianza esistenti in Europa, che sono una fonte di preoccupazione per la coesione sociale, una questione di natura politica e un rischio per il potenziale di crescita futura dell’UE;

26.

rileva che vi sono diversi esempi positivi negli Stati membri in cui i lavoratori a bassa retribuzione rappresentano solo una frazione limitata del numero di dipendenti. In tre di essi, vale a dire Svezia, Danimarca e Italia, non sono previsti né il salario minimo stabilito per legge né la dichiarazione del carattere vincolante dei contratti collettivi, ma i meccanismi di fissazione dei salari funzionano bene perché sono radicati nelle tradizioni e nella prassi (9).

Dimensione regionale

27.

invita gli enti locali e regionali dell’UE ad assumere la guida, nella loro veste di datori di lavoro e ad adoperarsi per garantire ai loro dipendenti salari equi e chiede che a livello dell’UE si proceda allo scambio di buone pratiche;

28.

accoglie inoltre con favore il fatto che alcune autorità pubbliche a livello locale e regionale abbiano utilizzato le proprie politiche in materia di appalti per incoraggiare e obbligare gli appaltatori ad offrire retribuzioni eque al loro personale. A tal fine, prende atto con soddisfazione che la direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici, che entrerà in vigore nell’aprile 2016, indica esplicitamente che non dovrebbe essere in alcun modo impedita l’applicazione di condizioni di lavoro e di occupazione che siano più favorevoli ai lavoratori (considerando 37) e prevede che le amministrazioni aggiudicatrici non possano usare solo il prezzo o il costo come unico criterio di aggiudicazione degli appalti pubblici (articolo 67). Accoglie inoltre favorevolmente la sentenza della Corte di giustizia dell’UE che, nella causa C-115-14 (17 novembre 2015) ha stabilito che il diritto dell’UE consente di escludere da una procedura di aggiudicazione di un pubblico appalto un offerente che si rifiuti di impegnarsi a versare il salario minimo al personale interessato (10).

Bruxelles, 3 dicembre 2015.

Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

Markku MARKKULA


(1)  Relazione speciale di Eurobarometro (2010) in materia di povertà e inclusione sociale.

(2)  Risoluzioni del Parlamento europeo sui seguenti argomenti: 1) il ruolo del reddito minimo nella lotta alla povertà e nella promozione di una società inclusiva in Europa, adottata il 20 ottobre 2010 [2010/2039(INI)], e 2) la Piattaforma europea contro la povertà e l’esclusione sociale, adottata il 15 novembre 2011 [2011/2052(INI)].

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo sul programma di lavoro della Commissione per il 2016 [2015/2729(RSP)], punto 16.

(4)  COM(2014) 130 — Bilancio della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

(5)  «I contorni di una politica europea del salario minimo» Studio di Thorsten Schulten, Friedrich Ebert Stiftung, ottobre 2014 http://epsu.org/IMG/pdf/Contours_of_a_Minimum_Wage_Policy_Schulten.pdf

(6)  COM(2013) 83 — Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020.

(7)  «Il salario in Europa nel 21o secolo»: relazione di Christine Aumayr-Pintar e altri, Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), aprile 2014.

(8)  Causa C-346/06 Dirk Rüffert contro Land Niedersachsen.

(9)  Eurostat, Structure of earnings survey 2010. Sono escluse le imprese con meno di 10 dipendenti. Cfr. in particolare il grafico 5.34.

(10)  La legislazione di un ente regionale di uno Stato membro, in base alla quale si impone agli offerenti e ai subappaltatori di impegnarsi a versare un salario minimo al personale che effettua il servizio previsto dal contratto di pubblico appalto, è stata dichiarata compatibile con il diritto dell’UE.


Top