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Document 52014IR6247

    Parere del Comitato europeo delle regioni — Orientamenti sulle misure per collegare i Fondi strutturali e di investimento europei (fondi ESI) a una sana gestione economica

    GU C 140 del 28.4.2015, p. 28–31 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, HR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

    28.4.2015   

    IT

    Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

    C 140/28


    Parere del Comitato europeo delle regioni — Orientamenti sulle misure per collegare i Fondi strutturali e di investimento europei (fondi ESI) a una sana gestione economica

    (2015/C 140/06)

    Relatore

    :

    Bernard Soulage (FR/PSE), vicepresidente del consiglio della regione Rodano-Alpi

    Testo di riferimento

    :

    Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Orientamenti sull'applicazione delle misure per collegare l'efficacia dei Fondi strutturali e d'investimento europei a una sana gestione economica conformemente all'articolo 23 del regolamento (UE) 1303/2013

    COM(2014) 494 final

    I.   RACCOMANDAZIONI POLITICHE

    IL COMITATO EUROPEO DELLE REGIONI,

    1.

    ricorda che la politica di coesione dell'Unione europea dovrebbe continuare a svolgere un ruolo fondamentale nel rilancio economico delle regioni europee;

    2.

    ribadisce la sua opposizione di principio, già espressa nel parere sulla proposta di regolamento generale sui fondi del Quadro strategico comune (1), a imporre un qualsiasi tipo di condizionalità macroeconomica nell'attuazione della politica di coesione e, più precisamente, a stabilire un qualsiasi tipo di collegamento tra l'efficacia dei Fondi strutturali e di investimento europei (fondi ESI) e una sana gestione economica. Ogni collegamento si basa infatti sull'errata ipotesi che gli enti locali e regionali siano responsabili tanto quanto le autorità nazionali degli sforamenti di bilancio;

    3.

    rammenta peraltro la sua richiesta di elaborare un Libro bianco sulla politica di coesione territoriale inteso, in particolare, a rilanciare il dibattito su una misurazione della qualità della vita e della qualità della crescita economica che non si limiti al solo PIL; incita a elaborare indicatori nuovi e più affidabili, che corrispondano meglio alle attese della società;

    4.

    si interroga, al di là della sua opposizione di principio alla condizionalità macroeconomica, sul valore aggiunto di questi orientamenti, che si limitano a parafrasare l'articolo 23 del regolamento 1303/2013;

    5.

    è dell'avviso che un'eventuale riprogrammazione penalizzerebbe ingiustamente gli enti locali e regionali, che non sono responsabili del disavanzo pubblico eccessivo degli Stati e che anzi molto spesso sono tenuti, per obbligo costituzionale, a pareggiare i loro bilanci. In realtà, il deficit globale delle finanze pubbliche infranazionali dell'UE-27 era pari allo 0,1 % del PIL nel 2007 e a circa 0,8 % del PIL nel 2009 e 2010. Il deterioramento delle finanze pubbliche infranazionali, sebbene più marcato in un certo numero di paesi, in cui il disavanzo è aumentato di oltre 0,5 % tra il 2007 e il 2013, rimane comunque ben al di sotto di quello registrato per i bilanci nazionali (2);

    6.

    sottolinea che gli enti locali e regionali presentano una situazione molto analoga in termini di indebitamento, in quanto (come riconosce la Commissione nella Sesta relazione sulla coesione), l'aumento del debito pubblico proviene principalmente dalle attività dell'amministrazione centrale. L'indebitamento globale degli enti locali e delle regioni che non hanno poteri legislativi di rilievo rimane inferiore al 10 % del PIL in tutti gli Stati membri. Il debito rimane tuttavia preoccupante in un certo numero di paesi;

    7.

    ritiene che, come risulta da numerosi studi, l'efficacia della spesa pubblica sia più legata all'efficacia e alla buona gestione (3) che a fattori macroeconomici, e che inoltre la qualità dell'azione pubblica sia determinante ai fini della capacità della politica di coesione di trainare la crescita. Osserva altresì che i regolamenti del cosiddetto «Six Pack» prevedono già pesanti sanzioni in caso di mancato rispetto delle regole di stabilità macroeconomica. Dubita pertanto dell'efficacia di sanzioni che comportino la sospensione dei fondi strutturali, che oltretutto punirebbero la stessa mancanza una seconda volta;

    8.

    ritiene inoltre che nel contesto del «Six pack» si debbano rivedere i metodi di calcolo del cosiddetto «deficit strutturale» per tenere conto delle caratteristiche specifiche delle economie nazionali e delle differenze strutturali tra le spese pubbliche.

    La politica di coesione deve rimanere una politica europea d'investimento

    9.

    esprime profonda preoccupazione per il rischio che le misure previste per il periodo 2014-2020 possono far pesare sulla crescita europea e sui progetti di sviluppo economico e sociale creando un'insicurezza intorno alla programmazione del FESR e dell'FSE a partire dal 2015, oggi già sufficientemente minacciata dai ritardi dovuti alla conclusione tardiva dei negoziati sul quadro finanziario pluriennale e alla difficoltà, per gli Stati membri e gli enti territoriali, di soddisfare i requisiti in materia di condizionalità ex ante;

    10.

    sottolinea, a questo proposito, il ruolo importante e sempre più significativo svolto dagli enti locali e regionali, che garantiscono circa il 33 % della spesa pubblica, con un leggero aumento di 2 punti negli ultimi due decenni (1995-2013), ossia il 16 % del PIL. Sebbene il loro peso vari da un paese all'altro in funzione dell'architettura istituzionale, essi svolgono un ruolo molto più importante delle amministrazioni centrali nella fornitura di servizi pubblici e soprattutto nelle spese a favore della crescita, come vengono definite dalla Commissione stessa (cfr. Sesta relazione sulla coesione), nell'istruzione, nell'assistenza sanitaria, nella protezione dell'ambiente, nei trasporti, nella R&S e nell'energia;

    11.

    chiede, a questo proposito, la revisione della clausola d'investimento per permettere che gli investimenti regionali e nazionali effettuati a titolo di cofinanziamento dei fondi europei (fondi ESI e Meccanismo per collegare l'Europa) siano esclusi dal computo dei deficit pubblici nazionali nel quadro del semestre europeo;

    12.

    evidenzia la contraddizione intrinseca tra, da una parte, le disposizioni in materia di condizionalità macroeconomica e, dall'altra, le disposizioni del Patto di stabilità e di crescita, che autorizza una certa flessibilità nell'applicazione del patto stesso in circostanze eccezionali e temporanee, definite dal regolamento n. 1177/2011; evidenzia altresì le considerazioni della stessa Commissione, per cui il quadro di bilancio dell'Unione permette di equilibrare la necessità di investimenti pubblici produttivi con gli obiettivi della disciplina di bilancio (4);

    13.

    ricorda, in questo contesto, la preoccupazione già espressa riguardo alla nuova norma contabile SEC 2010 di Eurostat, in vigore dal settembre 2014, che non distingue tra le spese e gli investimenti e che comporta, per gli enti locali e regionali, l'obbligo di applicare massimali di investimento per anno e per abitante. Tali massimali rischiano infatti di impedire agli enti locali e regionali di taluni Stati membri di fornire il cofinanziamento necessario per i progetti realizzati grazie ai fondi strutturali e di investimento europei. Esorta pertanto la Commissione europea a presentare una relazione sull'applicazione della norma SEC 2010;

    14.

    ricorda che le misure di risanamento di bilancio adottate a livello nazionale in risposta alla crisi economica e finanziaria hanno avuto un triplice effetto sugli enti locali e regionali: in primo luogo, hanno fortemente limitato la loro capacità di contribuire agli investimenti pubblici, scesi nell'UE-27 da una media di 2,3 % del PIL tra il 2002 e il 2007 all'1,8 % del PIL, e soprattutto diminuiti in termini reali del 7,2 % nel 2010, del 5,9 % nel 2011, del 3,3 % nel 2012 e dell'8,6 % nel 2013;

    15.

    in secondo luogo, i trasferimenti correnti e i trasferimenti in conto capitale in provenienza dall'amministrazione centrale, che nella quasi totalità degli Stati membri dell'UE costituiscono le fonti principali di finanziamento degli enti locali e regionali, hanno subito forti riduzioni, con un immediato effetto di squilibrio sui loro bilanci. Un caso ancor più grave è stato quello delle regioni spagnole, che hanno visto diminuire le loro entrate del 62 % in termini reali in seguito, da un lato, a una forte riduzione dei trasferimenti dell'amministrazione centrale (45 %) e, dall'altro, a un aumento sostanziale dei trasferimenti dalle regioni all'amministrazione centrale (passati da soli 1,4 miliardi di euro a 10,1 miliardi di euro in base ai prezzi del 2005);

    16.

    in terzo luogo, secondo l'OCSE, le misure di risanamento di bilancio hanno ulteriormente ridotto la capacità d'investimento degli enti locali e regionali, che per giunta hanno dovuto far fronte anche al deterioramento delle condizioni di prestito;

    17.

    sottolinea la portata del contributo dei fondi ESI allo sforzo di investimento pubblico in tempo di crisi — contributo passato dall'11,5 % dell'investimento pubblico UE (FLCF) nel 2007 al 18,1 % nel 2013. In taluni paesi l'apporto dei fondi ESI ha rappresentato più del 75 % degli investimenti pubblici. Nel periodo 2007-2013, gli stanziamenti dei fondi strutturali e del fondo di coesione e il cofinanziamento nazionale associato hanno rappresentato annualmente, in media, lo 0,55 % circa del PIL dell'UE-27;

    18.

    ritiene quindi contraddittorio introdurre una minaccia sui crediti del FESR e dell'FSE qualora un paese si trovi in difficoltà economiche. La diminuzione delle spese pubbliche non comporta la riduzione automatica del disavanzo pubblico e può avere ripercussioni negative sul piano sociale;

    19.

    esprime preoccupazione per il potenziale aggravamento della situazione delle finanze pubbliche nazionali e infranazionali in caso di sospensione dei pagamenti e non soltanto degli impegni. Ricorda peraltro che il collegamento tra fondi strutturali e buona gestione economica del deficit pubblico ha già mostrato i suoi limiti nella sua prima applicazione (nel quadro del fondo di coesione), visto che le sanzioni legate ai deficit tendono piuttosto ad aggravare la situazione economica degli Stati interessati;

    20.

    ribadisce l'invito alla Commissione europea a presentare un Libro bianco che definisca una tipologia a livello di UE per la qualità degli investimenti pubblici nella contabilità della spesa pubblica in funzione dei loro effetti a lungo termine. Col tempo, tale tipologia potrebbe portare a una considerazione ponderata della qualità degli investimenti pubblici nel calcolo del disavanzo di bilancio e/o a una migliore considerazione dell'effettivo ciclo/contesto macroeconomico.

    La riprogrammazione dei fondi è controproducente

    21.

    dubita che il contenuto e le modalità della riprogrammazione siano sistematicamente positivi e contribuiscano a rafforzare la competitività a lungo termine del paese e a riorientare lo sviluppo economico verso i settori del futuro. L'analisi di quanto realizzato dal 2009 a questa parte mostra che l'urgenza della situazione ha portato la Commissione e gli Stati membri a privilegiare i progetti già in corso, così da accelerare la fruizione dei crediti e fornire liquidità. Queste scelte hanno complessivamente consentito di accrescere la parte dedicata alla R&S e all'innovazione, al sostegno generico alle imprese, alle energie rinnovabili, alla rete stradale e al mercato del lavoro con misure più specificamente incentrate sull'occupazione giovanile. Ma hanno anche comportato, in alcuni casi, l'abbandono di settori che favoriscono la crescita come i servizi TIC, gli investimenti ambientali, le ferrovie, l'istruzione e la formazione e il rafforzamento della capacità;

    22.

    esprime preoccupazione per il carattere poco operativo delle limitazioni giuridiche della riprogrammazione risultanti dall'obbligo di rispettare gli orientamenti tematici, l'equilibrio FSE-FESR, ecc.;

    23.

    ritiene poco realistico che si riesca ad attuare questo meccanismo dal 2015 al 2019;

    24.

    ritiene che la riprogrammazione non sarà affatto un'operazione facile e di rapida esecuzione ma che anzi, stando all'esperienza riferita nella Sesta relazione sulla coesione per gli ultimi cinque anni, che ha comportato la mobilitazione, negli otto Stati membri interessati, di risorse umane considerevoli, anche da parte della Commissione europea, essa sarà costosa e complessa da gestire per le amministrazioni nazionali e per gli enti locali e regionali;

    25.

    teme che la riprogrammazione comporti ulteriori oneri burocratici, in quanto sarà accompagnata dagli stessi obblighi previsti per l'elaborazione degli accordi di partenariato (indicatori di risultato, condizioni, ecc.), che dovrebbe richiedere la mobilitazione di nuovi esperti e l'autorizzazione di nuove spese; questi oneri aggiuntivi possono, gravando di un carico di lavoro eccessivo il personale già disponibile, renderne il lavoro meno efficace, ossia condurre a una situazione opposta a quella voluta;

    26.

    deplora gli oneri amministrativi aggiuntivi legati alla riprogrammazione, oneri che gravano non soltanto sull'amministrazione europea e su quelle nazionali, ma anche e soprattutto sugli enti regionali che fungono da autorità di gestione, e che possono tradursi in maggiori costi considerevoli vista la necessità di rispondere con urgenza alle richieste della Commissione e di ricorrere a personale aggiuntivo.

    La condizionalità macroeconomica è in contraddizione con lo spirito europeo

    27.

    deplora il riaccentramento, sia nazionale che europeo, che sottende il meccanismo previsto nel suo insieme, con una forte ingerenza della Commissione. I tempi stretti della riprogrammazione porteranno probabilmente a rimettere in discussione il principio di partenariato e la governance multilivello propria della politica di coesione;

    28.

    sottolinea l'impatto negativo che avrà sull'opinione pubblica una tale sanzione, che sicuramente acuirà l'ostilità nei confronti dell'UE;

    29.

    si sorprende, infine, che, il Parlamento europeo non possa esercitare in maniera più completa il suo controllo democratico su questo nuovo sistema di condizionalità macroeconomica, nel contesto di una deriva che appare sempre più tecnocratica, in particolare per quanto riguarda la riprogrammazione dei fondi; invita dunque fermamente la Commissione europea a rimettere il Parlamento europeo al centro del processo decisionale affinché sia esso a decidere, in collegamento con il Comitato europeo delle regioni, in merito ad un'eventuale attuazione del principio di condizionalità macroeconomica.

    Bruxelles, 12 febbraio 2015

    Il Presidente del Comitato europeo delle regioni

    Markku MARKKULA


    (1)  CdR 4/2012 fin.

    (2)  Eurostat — DG REGIO.

    (3)  OCSE, Quality of Government and Returns of Investment, Regional Development Working Papers, n. 2013/12.

    (4)  Cfr. Commissione europea, The Quality of Public Expenditures in the EU («La qualità delle spese pubbliche nell'UE»), pag. 31.


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