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Document 52011IE1857

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le trasformazioni industriali atte a sviluppare industrie ad alta intensità energetica sostenibili che realizzino l'obiettivo di efficienza sotto il profilo delle risorse definito nella strategia Europa 2020» (parere di iniziativa)

GU C 43 del 15.2.2012, p. 1–7 (BG, ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, MT, NL, PL, PT, RO, SK, SL, FI, SV)

15.2.2012   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 43/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le trasformazioni industriali atte a sviluppare industrie ad alta intensità energetica sostenibili che realizzino l'obiettivo di efficienza sotto il profilo delle risorse definito nella strategia Europa 2020» (parere di iniziativa)

2012/C 43/01

Relatore: IOZIA

Correlatore: JARRÉ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le trasformazioni industriali atte a sviluppare industrie ad alta intensità energetica sostenibili che realizzino l'obiettivo di efficienza sotto il profilo delle risorse definito nella strategia Europa 2020.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 17 novembre 2011.

Alla sua 476a sessione plenaria, dei giorni 7 e 8 dicembre (seduta dell'8 dicembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni del CESE

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che solo applicando sistemi altamente innovativi e standard tecnologici, ambientali e produttivi, e innalzandoli in linea con lo sviluppo tecnologico, l'Europa potrà far fronte all'inasprimento della concorrenza con i paesi emergenti. Occorre proteggere i lavoratori dagli effetti dei cambiamenti, tramite una formazione adeguata e tempestiva. Le politiche dell'UE dovrebbero favorire tale evoluzione.

1.2   I prodotti delle industrie ad alta intensità energetica (IIE) costituiscono la base della catena di valore per tutti i settori manifatturieri, i quali assicurano una percentuale importante dei posti di lavoro dell'UE. La stabilità, la puntualità, la qualità e la sicurezza con cui tali settori vengono riforniti garantiscono la loro competitività sul mercato globale e assicurano un'occupazione altamente qualificata nell'UE.

1.3   Occorre predisporre un adeguato quadro europeo per affrontare le esigenze comuni delle IIE, con l'obiettivo prioritario di rafforzarne la competitività e mantenerle in Europa, in un quadro di sostenibilità economica, sociale ed ambientale. I settori interessati sono ugualmente importanti e interdipendenti tra loro.

1.4   Pur nelle difficoltà dell'attuale congiuntura, il CESE raccomanda di investire ancora di più in ricerca, sviluppo, applicazione e formazione e nelle attività scientifiche applicate all'industria. Tali investimenti dovrebbero trovare adeguata copertura nel prossimo programma quadro e consentire lo scambio di esperienze e risultati a livello almeno europeo. I programmi europei e nazionali dovrebbero essere maggiormente incentrati sulla ricerca e l'innovazione in materia di efficienza energetica (1).

1.5   È indispensabile, a giudizio del CESE, una politica industriale integrata, che tenga sempre sotto controllo le variabili esterne e consenta alle imprese europee di competere con i concorrenti a livello globale a «parità di condizioni» e in un contesto di reciprocità. Per garantire un livello adeguato di competitività servono politiche industriali e fiscali comuni con scelte strategiche, che riguardano l'insieme dell'industria europea.

1.6   L'Europa non può continuare a gestire la sua economia ponendo vincoli sempre più stringenti, senza assumere le adeguate misure atte a prendere decisioni comuni stabili e strategiche in materia di governance, necessarie per la difesa del suo modello economico e sociale nonché per ottenere i migliori risultati anche nella tutela ambientale.

1.7   Il CESE è convinto che l'Unione debba fare il massimo possibile per predisporre dei sistemi flessibili per il raggiungimento degli obiettivi che si affermano come necessari. Questi sistemi devono tenere conto della specificità dell'industria di base.

1.8   Il CESE si domanda se non sia il caso di sottomettere a misure equivalenti al sistema ETS anche gli importatori. L'obiettivo primario sarebbe quello di raggiungere un sistema efficiente a livello globale, attraverso un accordo rigoroso e vincolante. In mancanza di tale accordo, e nell'ottica di raggiungere gli obiettivi che l'Unione si è data autonomamente, le merci e i servizi che sono offerti sul suo territorio, così come quelli esportati, dovrebbero avere lo stesso trattamento e le stesse condizioni (level playing field).

1.9   Il CESE raccomanda vivamente di riflettere sulla possibilità di mantenere il sistema delle allocazioni gratuite di certificati ETS per quelle imprese che hanno già raggiunto livelli di eccellenza, vicine ormai ai limiti fisici e termodinamici relativi alle loro specifiche tecniche. Il sistema delle aste dei permessi di emissione, che sarà attivato dal 2013, è certamente un buon sistema, ma soltanto se sarà adottato da altre regioni nel mondo. L'UE è intenzionata ad aprire gli scambi ad altri operatori non UE, cercando di costruire un mercato globale degli ETS.

1.10   Nel caso delle industrie ad alta intensità energetica, il sistema degli ETS, se non gestito con grande accortezza, potrebbe causare danni incalcolabili all'industria interessata. La rilocalizzazione delle emissioni di carbonio è un tema che non può essere considerato esclusivamente in una prospettiva futura; essa si verifica da almeno dieci anni, da quando gli investimenti sono stati ridiretti dall'Europa verso altri paesi come Stati Uniti, Cina, India, Brasile, ecc. Un'analisi approfondita di questo fenomeno sarebbe estremamente utile.

1.11   Va riutilizzata l'energia conservata nei materiali, sostenendo le operazioni di riciclaggio ove possibile. Vetro, ferro e acciaio e alluminio possono dare un grande contributo. L'Europa esporta i suoi materiali nobili. Occorrerebbe invece incentivare il riutilizzo interno, risparmiando l'energia contenuta nei singoli materiali (2).

1.12   Si dovrebbero incoraggiare le IIE a realizzare, anche consorziandosi, investimenti di lungo periodo nel settore energetico, in particolare in quello delle energie rinnovabili, dando loro la possibilità di acquistare l'energia con contratti pluriennali e a costi stabili.

1.13   A giudizio del CESE un quadro regolamentare stabile, efficace e duraturo è estremamente importante. I cicli economici di investimento nelle IIE durano dai sette ai venti anni (ad esempio per gli altiforni) e non è un caso che in Europa da più di trent'anni si investa meno di quanto ci si potrebbe aspettare nel ciclo integrato dell'acciaio.

1.14   Le politiche finora adottate sono state orientate piuttosto a punire che a premiare prassi innovative, comportamenti e investimenti responsabili. È necessario modificare quest'approccio e sostenere con incentivi di natura fiscale le azioni di quelle imprese che dimostrano di avere realizzato notevoli risultati nel campo dell'efficienza energetica.

1.15   È opportuno sottolineare gli straordinari risultati già ottenuti dalle IIE nel periodo immediatamente precedente all'entrata in vigore del sistema ETS. Esse hanno anticipato l'emergere di nuove esigenze e i cambiamenti della nostra epoca, e sarebbe del tutto ingiustificato se adesso venissero penalizzate duramente, rischiando di perdere un milione di posti lavoro (sia diretti che indiretti) altamente stabili e qualificati.

1.16   La disseminazione transnazionale e transettoriale delle buone pratiche è sicuramente uno strumento da sostenere, come il sostegno a nuovi progetti pilota o dimostrativi.

1.17   Misure di sostegno pubblico alla ricerca e all'innovazione, con programmi specifici dedicati, si sono rivelate di straordinaria importanza. Il CESE chiede alla Commissione europea, al Consiglio e al Parlamento di rafforzare quei programmi, incentrati sull'efficienza energetica e la diversificazione, e di strutturarli permanentemente nelle azioni di sviluppo.

1.18   Il mondo delle piccole e medie imprese (PMI) può dare un contributo significativo al raggiungimento degli obiettivi, attraverso programmi specifici e mirati a loro favore. Le imprese ad alta intensità energetica appartengono a tutti i segmenti di mercato. Gli oneri per raggiungere livelli eccellenti di efficienza energetica, però, sono inversamente proporzionali alla dimensione dell'impresa. Ed è proprio nelle PMI che si possono ottenere complessivamente i migliori risultati, ed è lì che occorrerà indirizzare grandi sforzi e coerentemente grandi risorse.

2.   Introduzione

2.1   Le industrie ad alta intensità energetica costituiscono la base di tutte le catene di valore manifatturiere europee, poiché forniscono i materiali di base per la realizzazione dei prodotti industriali. Esse hanno un ruolo essenziale nello sviluppo di un'economia a bassa intensità di carbonio.

2.2   L'introduzione di normative intese a ridurre del 20 % i consumi rappresenta una sfida in vista dello sviluppo di una nuova generazione di prodotti delle industrie ad alta intensità energetica. Serve un gran numero di misure e di incentivi per aprire il mercato ai nuovi prodotti a risparmio energetico.

2.3   Il settore industriale manifatturiero, che contribuisce per il 17,6 % al PIL europeo, assorbe il 27 % della domanda finale di energia dell'UE. Le grandi industrie produttrici di materie prime, ad esempio prodotti chimici e petrolchimici (18 %), ferro e acciaio (26 %) e cemento (25 %), sono ad alta intensità energetica e rappresentano il 70 % del consumo energetico industriale.

2.4   L'idea di ridurre i costi per mantenere ed eventualmente aumentare la competitività ha spinto molte industrie, in particolare quelle ad alta intensità energetica, a realizzare miglioramenti dell'efficienza energetica, facendo sì che il potenziale economico di tali industrie per il 2020 sia inferiore rispetto agli altri settori.

Tabella 1

Sviluppi previsti e potenziale di risparmio energetico nel 2020  (3)

 

2020

(PRIMES 2007)

[Mtep]

2020

(PRIMES 2009 EE)

[Mtep]

Progresso previsto per il 2020 senza azioni aggiuntive

[%]

Potenziale economico nel 2020

[%]

Potenziale tecnico nel 2020

[%]

 

1

2

3

[=(2-1)/1 (4)100]

4

5

Consumo interno lordo meno l'uso finale non energetico

1 842

1 678

–9 %

– 20 %

(obiettivo UE)

n.d.

Consumo energetico finale, di cui:

1 348

1 214

–10 %

–19 %

–25 %

Industria

368

327

–11 %

–13 %

–16 %

Trasporti

439

395

–10 %

–21 %

–28 %

Residenziale

336

310

–8 %

–24 %

–32 %

Terziario

205

181

–12 %

–17 %

–25 %

Trasformazione, trasmissione e distribuzione dell'energia

494

464

–6 %

–35 %

n.d.

Fonti: PRIMES per le colonne 1, 2 e 3 e Istituti Fraunhofer per le colonne 4 e 5.

2.5   Tuttavia, non sono ancora state sfruttate appieno tutte le opportunità, e ciò vale in particolare per le industrie di piccole e addirittura per alcune di medie dimensioni (5).

3.   Lo stato dell'arte tecnologico per le diverse industrie ad alta intensità energetica

Le industrie ad alta intensità energetica studiano e producono una serie di prodotti e tecnologie necessari per affrontare i cambiamenti climatici e le altre sfide globali. Una politica industriale attiva e l'innovazione rappresentano un prerequisito essenziale per migliorare l'efficienza energetica e delle risorse. Le attività di R&S devono essere incentrate maggiormente su soluzioni organizzative e tecnologiche che siano efficienti sul piano energetico e delle risorse. Inoltre, le imprese, unitamente ai lavoratori e ai loro rappresentanti, devono realizzare dei miglioramenti a livello di efficienza energetica e delle risorse al fine di promuovere l'innovazione nei prodotti e nei processi.

Si riporta di seguito una panoramica delle principali IIE.

3.1   Industria chimica e petrolchimica

3.1.1   L'industria dei prodotti chimici impiega 1 205 000 addetti per 29 000 imprese ed ha un valore della produzione pari a 449 miliardi di euro (2009 Eurostat), con un giro d'affari quasi doppio che corrisponde all'1,15 del PIL UE. Solo l'8 % del petrolio è usato nell'industria chimica come combustibile, la gran parte è destinata alla trasformazione. Per quanto riguarda i consumi energetici delle industrie di trasformazione, il 18 % è da attribuirsi a tale settore fra i comparti industriali.

3.1.2   L'industria chimica converte le materie prime in prodotti per le altre industrie e per i consumatori. Le materie prime di base si suddividono in organiche e inorganiche: le materie prime inorganiche includono l'aria, l'acqua e i minerali, mentre i combustibili fossili e la biomassa appartengono alla categoria delle materie prime organiche.

3.1.3   Circa l'85 % dei prodotti chimici viene realizzato a partire da una ventina di sostanze chimiche semplici, dette di base, che a loro volta derivano da circa 10 materie prime e sono poi trasformate in approssimativamente 300 prodotti intermedi. I prodotti chimici di base e intermedi sono classificati come bulk chemicals. Dai prodotti intermedi derivano circa 30 000 prodotti di consumo. Tali prodotti chimici costituiscono: il 12 % del costo di un'auto (cuscini dei sedili, manichette e cinghie; airbag), il 10 % del costo di una casa (tubi di isolamento e impianto elettrico), il 10 % dei prodotti acquistati e utilizzati quotidianamente da una famiglia media (prodotti alimentari, abbigliamento, calzature, prodotti per la salute e l'igiene personale, ecc.).

3.1.4   Il carbone, il petrolio e il gas naturale sono le materie prime principali per la produzione della maggior parte dei bulk chemicals. A ogni stadio si registra un'aggiunta di valore: valore relativo del petrolio greggio 1, combustibile 2, prodotto petrolchimico tipico 10, prodotto di consumo tipico 50.

3.1.5   I combustibili fossili rappresentano inoltre la più importante fonte di energia, con il petrolio al primo posto (~ 40 %), seguito dal carbone (~ 26 %) e dal gas naturale (~ 21 %).

3.1.6   L'industria chimica utilizza moltissima energia. Circa l'8 % della domanda complessiva di petrolio greggio è utilizzato come materia prima nell'industria chimica, il resto per la produzione di combustibile, principalmente per i trasporti.

3.2   Industrie dei metalli non ferrosi

3.2.1   Il panorama delle industrie di metalli non ferrosi è molto ampio e comprende la produzione di vari materiali come l'alluminio, il piombo, lo zinco, il rame, il magnesio, il nichel, il silicio e molti altri. Il settore nel suo complesso ha circa 400 000 addetti direttamente impiegati (Eurometaux luglio 2011). Il sub-settore più grande e significativo è quello dell'alluminio. Nel 2010 il personale ammontava a 240 000 addetti con un fatturato di 25 miliardi di euro. La produzione di bauxite era di circa 2,3 milioni di tonnellate, quella di ossido di alluminio 5,9 milioni di tonnellate mentre la produzione totale di alluminio (primario e riciclato) era pari a 6 milioni di tonnellate (270 impianti). Il benchmark di riferimento definito dalla Commissione europea è di 1 514 kg di CO2 equivalente/tonnellata per la produzione di alluminio primario.

3.2.2   Varie analisi hanno dimostrato che le materie prime e l'energia rappresentano i fattori di competitività più importanti per l'industria dei metalli non ferrosi dell'UE. A seconda del sottosettore, i costi per l'energia e le materie prime rappresentano approssimativamente una percentuale compresa tra il 50 % e il 90 % dei costi complessivi della produzione di metalli raffinati; i prezzi delle materie prime variano dal 30 % all'85 % dei costi totali mentre quelli dell'energia dal 2 % al 37 %. Per quanto riguarda le materie prime, per la produzione di metallo nell'UE il riciclaggio dei rottami ha un'importanza pari a quella dell'impiego di minerali e concentrati.

3.2.3   Nel 2005, in riferimento alla dipendenza dalle importazioni, l'industria dei metalli dell'UE classificava la bauxite, il magnesio, il silicio e i concentrati di rame come le materie prime più sensibili (ad esempio, il 50 % delle esportazioni mondiali di coke proviene dalla Cina e il 40 % delle esportazioni mondiali di concentrati di rame dal Cile).

3.2.4   Secondo l'industria sussistono rischi per l'approvvigionamento di rottami di alluminio, rottami di rame e rame da affinazione, concentrati di zinco e piombo, e lo stesso vale, nel lungo periodo, per i rottami di alluminio e rame e per i concentrati di rame e il rame da affinazione.

3.2.5   Quella dei metalli non ferrosi è un'industria ad alta intensità di energia elettrica; ciò vale in particolare per i produttori di alluminio, piombo e zinco, grandi consumatori di elettricità.

3.2.6   Già una parte considerevole del consumo di metalli non ferrosi dell'UE è fornita dalle importazioni e, se non si trovano dei rimedi, tale percentuale è destinata ad aumentare nettamente, mentre i produttori europei del settore cesseranno l'attività. Ciò comporterà una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

3.3   Industria siderurgica

3.3.1   L'industria siderurgica europea impiega direttamente 360 000 dipendenti ed ha avuto un fatturato nel 2010 di 190 miliardi di euro. La quota totale di consumo energetico ammonta a 3 700 GJ, corrispondente a circa il 25 % del consumo energetico dell'industria manifatturiera: le emissioni complessive di CO2 sono di ca. 350 milioni di tonnellate, corrispondenti al 4 % delle emissioni totali dell'UE.

3.3.2   Esistono due percorsi principali per la produzione dell'acciaio: il primo è denominato «percorso integrato», e si basa sulla produzione del ferro a partire dal minerale ferroso (in media, tuttavia, anche in questo percorso il 14 % è prodotto da rottami); il secondo è detto «percorso del riciclaggio» e utilizza i rottami di ferro come principale materia prima ferrosa in forni elettrici ad arco.

3.3.3   In entrambi i casi, il consumo energetico è correlato al combustibile (fondamentalmente carbone e coke) e all'energia elettrica. Il percorso del riciclaggio comporta un consumo energetico molto minore (80 % circa). Il «percorso integrato» comporta l'utilizzo di forni da coke, impianti di sinterizzazione, altiforni e forni convertitori per il processo basico a ossigeno.

3.3.4   Si stima che l'attuale consumo energetico nel percorso integrato si attesti tra 17 e 23 GJ per tonnellata di prodotto laminato a caldo [1][SET_Plan_Workshop_2010]. A livello europeo, il valore inferiore è considerato come un buon valore di riferimento per un impianto integrato, mentre un valore pari a 21 GJ per tonnellata è visto come un valore medio in tutta l'UE a 27.

3.3.5   La netta diminuzione (pari a circa il 50 %) del consumo energetico registrata nell'industria europea negli scorsi quaranta anni è da ricondurre in parte al maggior impiego del percorso del riciclaggio in luogo del percorso integrato (la percentuale è passata dal 20 % degli anni Settanta al 40 % odierno).

3.3.6   Tuttavia, la prospettiva di un passaggio verso il riciclaggio è limitata dalla disponibilità e dalla qualità dei rottami. In Europa, circa l'80 % delle emissioni di CO2 correlate al percorso integrato deriva dagli scarichi gassosi, i quali vengono utilizzati in larga misura dalla stessa industria per produrre circa l'80 % del suo fabbisogno di elettricità [EUROFER_2009a].

3.3.7   Nel 2008, la produzione di acciaio grezzo nell'UE ammontava a 198 milioni di tonnellate, vale a dire il 14,9 % della produzione mondiale complessiva (pari a 1 327 milioni di tonnellate) [WorldSteel_2009]. Dieci anni prima, con una produzione leggermente inferiore (191 milioni di tonnellate), la quota degli stessi paesi europei rispetto alla produzione mondiale era pari al 24,6 %.

3.4   Industria ceramica

3.4.1   L'industria ceramica impiega direttamente 300 000 addetti e comprende una vasta gamma di prodotti che vanno dai mattoni alle tegole, alle tubazioni in argilla, alle piastrelle per pavimenti e rivestimenti, passando per i sanitari, il vasellame e gli oggetti decorativi, fino ai prodotti abrasivi, refrattari e alla ceramica tecnica (6).

3.4.2   Questi settori comprendono applicazioni per l'edilizia, i processi ad elevate temperature, il comparto automobilistico, l'energia, l'ambiente, i beni di consumo, l'industria mineraria, la costruzione navale, la difesa, l'industria aerospaziale, i dispositivi medici e molto altro ancora. I settori delle ceramiche sono caratterizzati dalla loro dipendenza dalle materie prime sia nazionali che di importazione.

3.4.3   Il panorama dell'industria ceramica europea è composto in gran parte da PMI, che rappresentano circa il 10 % degli impianti interessati dal sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS), ma che sono responsabili di meno dell'1 % delle emissioni.

3.5   Cemento

3.5.1   L'industria europea del cemento nel 2010 occupava direttamente 48 000 addetti, per una produzione di 250 milioni di tonnellate ed un fatturato di 95 miliardi di euro. Il valore di riferimento per il consumo energetico è di 110 kWh/tonnellata: le emissioni complessive di CO2 sono state pari al 3 % delle emissioni totali dell'UE.

3.5.2   Il cemento è un materiale essenziale per l'edilizia come pure per l'ingegneria civile ed idraulica. La produzione dell'industria cementiera è in relazione diretta con l'andamento del settore delle costruzioni e rispecchia da vicino la situazione economica nel complesso.

3.5.3   Nell'Unione europea, il cemento è prodotto principalmente utilizzando la tecnologia moderna del processo a via secca, che richiede circa il 50 % in meno di energia rispetto al metodo di combustione di clinker nei forni a via umida.

3.5.4   Nel 2009, la produzione di cemento nei 27 Stati membri dell'UE è stata di circa 250 milioni di tonnellate, corrispondenti all'8,6 % della produzione mondiale di cemento, che è pari a circa 3 miliardi di tonnellate (7). La produzione mondiale è concentrata per lo più in Asia (75 %), e la sola Cina produce circa la metà del cemento mondiale (54,2 %). Questo dato indica che una percentuale molto elevata del cemento è prodotta in paesi che non applicano il protocollo di Kyoto.

3.5.5   L'industria europea del cemento è caratterizzata da un'elevata intensità di capitale (150 milioni di euro per milione di tonnellate di capacità di produzione) e da un elevato consumo energetico (60-130 kg di petrolio equivalente e 90-130 kWh di energia elettrica per tonnellata).

3.5.6   Un'ulteriore caratteristica importante dell'industria del cemento europea è la presenza di mercati regionali del cemento in un raggio inferiore a 200 miglia.

3.5.7   L'industria del cemento è uno dei principali responsabili delle emissioni di CO2. Le sue emissioni di anidride carbonica rappresentano circa il 5 % circa delle emissioni globali dovute all'attività umana (8). Le principali fonti di emissioni di CO2 nei cementifici sono il processo di decarbonatazione delle materie prime e la combustione dei carburanti.

3.5.8   Si stima che la decarbonatazione generi il 50 % circa delle emissioni totali di un cementificio e la combustione di carburanti il 40 %. Le emissioni di CO2 generate da questi due processi vengono denominate «emissioni dirette». Le fonti principali di emissioni indirette (circa il 10 % delle emissioni dei cementifici) sono il trasporto e la produzione di energia elettrica utilizzata nel cementificio (9).

3.5.9   Lo sviluppo del settore della produzione del cemento nell'UE dipende in larga misura dalle politiche e dalle decisioni dell'UE riguardanti le emissioni di CO2 e di altre sostanze inquinanti.

3.5.10   Nel settore del cemento, il sistema ETS riguarda la produzione di cemento (clinker) nei forni rotanti con una capacità superiore alle 500 tonnellate al giorno. I dati degli ultimi anni (10) indicano che le emissioni prodotte dall'industria del cemento sono state inferiori al previsto. I prezzi elevati delle quote di emissione di CO2 possono risultare più attraenti rispetto alla produzione di quantità maggiori di cemento. Il sistema di scambio delle quote di emissione potrebbe comportare una limitazione della produzione, per cui l'assegnazione di quote dovrebbe essere preceduta da un'analisi che consenta di fissare obiettivi sostenibili, di evitare perturbazioni sul mercato e di motivare gli imprenditori a migliorare l'efficienza energetica e al tempo stesso a ridurre le emissioni di CO2.

3.6   Industria del vetro

3.6.1   L'industria europea del vetro impiega direttamente 200 000 addetti: 1 300 sono i produttori ed i trasformatori, con una produzione che nel 2010 è stata di 34 milioni di tonnellate (30 % della quota mondiale). Il riciclo di una tonnellata di vetro evita la produzione di 670 kg di CO2. Le emissioni di CO2 annualmente ammontano a circa 25 milioni di tonnellate.

3.6.2   Il vetro è costituito principalmente da materiale vetrificabile come la silice (sabbia di elevata qualità), alcali per modificare lo stato della silice da solido a liquido (principalmente soda e potassa), stabilizzanti per ridurre la corrosione superficiale dei vetri (ossido di calcio, magnesio e ossido di alluminio), alcuni agenti affinanti e piccole quantità di altri additivi per conferire diverse caratteristiche ai singoli vetri.

3.6.3   La classificazione del tipo di vetro più diffusa è quella in funzione della composizione chimica, che dà origine a quattro raggruppamenti principali: vetro sodico calcico, cristallo al piombo e cristallo, vetro borosilicato e vetri speciali.

3.6.4   Per quanto riguarda i sottosettori, il «vetro per imballaggio» rappresenta il maggiore comparto dell'industria del vetro dell'UE con più del 60 % della produzione complessiva. I suoi prodotti sono recipienti in vetro (bottiglie e barattoli). Il vetro per contenitori viene prodotto in tutti gli Stati membri dell'UE, ad eccezione di Irlanda e Lussemburgo; a livello globale, l'UE è la maggiore regione produttrice di vetro per imballaggio, con circa 140 impianti.

3.6.5   Il vetro piano, con circa il 22 % della produzione complessiva di vetro, rappresenta il secondo settore per dimensioni dell'industria vetraria dell'UE e comprende la produzione di vetro flottato e vetro laminato. Nell'UE operano cinque produttori di vetro flottato e cinque produttori di vetro laminato. Nel 2008, le emissioni complessive di CO2 derivanti dal settore del vetro piano ammontavano a 7 milioni di tonnellate, di cui circa 6,5 riconducibili alla produzione del vetro flottato e circa 0,5 a quella del vetro laminato (fonte: CITL).

3.6.6   La fibra di vetro a filamento continuo è prodotta e fornita in forme diverse: roving, mat, filo tagliato, filati tessili, tessuto, fibre macinate. Il suo principale utilizzo finale (circa il 75 %) consiste nel rinforzo di materiali composti, soprattutto resine termoindurenti ma anche termoplastica. I principali mercati per i materiali composti sono l'edilizia, il settore automobilistico e dei trasporti (50 %) e l'industria elettrica ed elettronica.

3.6.7   Alcuni dati relativi all'impronta di CO2:

produzione media: 870 000 tonnellate l'anno di prodotto in fibra di vetro a filamento continuo

media delle emissioni dirette di CO2: 640 000 tonnellate

media CO2/tonnellata: 735 kg di CO2 / tonnellata di prodotto in fibra di vetro a filamento continuo.

3.6.8   Il settore dei vetri speciali rappresenta circa il 6 % della produzione dell'industria del vetro e si attesta al quarto posto in termini di massa prodotta. Tra i prodotti principali si annoverano: vetro per televisioni e monitor, vetro da illuminazione (tubi e lampade), vetro da ottica, vetreria da laboratorio e tecnica, vetro borosilicato e vetroceramica (articoli per cottura e applicazioni domestiche ad elevate temperature) e vetro per l'industria elettronica (pannelli LCD).

3.6.9   Il settore degli articoli in vetro per la casa è uno dei comparti più piccoli dell'industria del vetro e rappresenta circa il 4 % della produzione complessiva. Tale settore comprende la produzione di stoviglie da tavola, stoviglie da cucina e oggetti decorativi, tra cui bicchieri, tazze, ciotole, piatti, pentole, vasi e ornamenti.

4.   Panoramica generale delle emissioni di CO2 nel 2010 in Europa

4.1   Il sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) pone un limite a circa 12 600 impianti tra cui centrali elettriche, fabbriche e raffinerie di petrolio. Il sistema copre circa il 40 % delle emissioni totali di gas serra dell'UE. Sulla base dei dati relativi alla produzione industriale, gli analisti stimano che nel 2010 le emissioni siano aumentate del 3,2 % rispetto al calo dell'11,3 % circa registrato nel 2009 (Barclays Capital, Nomisma Energia, IdeaCarbon).

4.2   Secondo l'Agenzia europea dell'ambiente, nel 2009 le emissioni totali di gas serra dell'UE ammontavano a circa 4,6 miliardi di tonnellate. Se queste fossero aumentate in linea con l'evoluzione delle emissioni industriali di carbonio registrate lo scorso anno, l'UE avrebbe superato di circa 300 milioni di tonnellate l'obiettivo di 4,5 miliardi di tonnellate di gas serra stabilito per il 2020. Secondo i funzionari UE responsabili delle questioni climatiche, l'UE resterà al di sotto di tale obiettivo se soddisferà gli obiettivi in materia di energie rinnovabili ed efficienza.

4.3   CO2

Le emissioni coperte dal sistema ETS dell'UE sono aumentate nel 2010, con l'incremento della domanda di energia e della produzione di tutto il settore industriale che ha determinato un maggior utilizzo di combustibili fossili da parte delle imprese per generare elettricità e calore (Sikorski).

Il rincaro del gas ha costretto le centrali termoelettriche ad avvalersi maggiormente del carbone, che rilascia maggiori quantità di biossido di carbonio.

5.   Osservazioni del CESE

5.1   La catena del valore dipende dalla disponibilità e dalla qualità dei materiali e le industrie di base europee forniscono materiali di primissima qualità. L'industria di trasformazione europea beneficia dell'alto livello qualitativo e dell'innovazione continua che la ricerca propone. Per esempio nell'industria dell'acciaio, il 70 % della qualità dipende dal tipo di colata. Questa qualità va mantenuta e dove possibile rafforzata.

5.2   Senza un'industria forte, competitiva e innovativa, l'Europa non potrà raggiungere nessun obiettivo sostenibile, quali ad esempio quelli fissati dalla Commissione in materia di emissioni di CO2.

5.3   Il sistema UE di scambio delle quote di emissione (UE ETS) è un sistema cap and trade adottato come strumento importante per raggiungere l'obiettivo che l'UE si è posta di ridurre le emissioni di gas a effetto serra almeno del 20 % entro il 2020 rispetto al 1990 e del 30 % nel caso di un accordo internazionale. L'ETS copre circa 12 500 impianti nel settore energetico e industriale, che insieme rappresentano quasi la metà delle emissioni di CO2 dell'UE e il 40 % delle emissioni totali di gas serra.

5.4   L'ETS opera oggi in trenta paesi (i ventisette Stati membri dell'UE più Islanda, Liechtenstein e Norvegia). Rispetto ad altri settori esclusi dal sistema, come quello dei trasporti, le industrie che fanno parte dell'ETS hanno registrato una significativa riduzione dei gas a effetto serra. Tuttavia, le IIE sono costantemente impegnate a migliorare l'efficienza energetica, a causa dell'aumento dei costi energetici. Sarebbe altamente auspicabile condurre un'analisi approfondita della riduzione delle emissioni riconducibile all'ETS dell'UE.

6.   L'aspetto sociale e ambientale

6.1   La difesa del sistema industriale europeo, dei lavoratori e degli interessi europei, della tutela dell'ambiente, della salute e dei consumatori, si realizza esclusivamente se nessuno di questi interessi prevale sugli altri, e se si ricerca il miglior punto di equilibrio tra le politiche ambientali, sociali ed economiche.

6.2   Il CESE, condividendo gli obiettivi ambientali e di sostenibilità sociale, individua in alcune aree prioritarie di intervento le direttrici su cui impostare un'azione integrata con una visione olistica del tema.

6.3   Occorrono innanzitutto seri programmi di sostegno alla crescita professionale, attraverso la formazione mirata a creare competenze idonee per affrontare le sfide tecnologiche, e realizzare ulteriori e migliori risultati nel campo dell'efficienza energetica. Le IIE sono caratterizzate da processi di produzione continui e da un elevato livello di responsabilità; questo non le rende allettanti agli occhi dei giovani e, pertanto, al fine di preservare le competenze europee in questo settore, occorre introdurre incentivi specifici a sostegno dei programmi di formazione professionale (comprese le borse di studio).

6.4   Vanno previsti incentivi per favorire la mobilità di tecnici e di lavoratori specializzati per diffondere conoscenze e buone pratiche a livello nazionale e transfrontaliero.

6.5   Particolare attenzione dovrà essere dedicata ai periodi di transizione, garantendo una assistenza adeguata ai lavoratori interessati dai processi di ristrutturazione dovuta ai cambiamenti necessari per adeguare le produzioni ai nuovi fabbisogni. Gli investimenti pubblici dovrebbero sostenere tale processo.

6.6   Un reale impegno nei confronti dei processi di mutazione industriale nelle IIE dovrà essere accompagnato da congrue valutazioni di impatto sulla società e sui lavoratori, per evitare conseguenze sociali negative e prepararsi in anticipo per l'introduzione di nuovi modelli produttivi.

6.7   Fondamentale lo sviluppo della conoscenza, della comprensione e della consapevolezza da parte dei cittadini, dei benefici che si possono ottenere attraverso un'industria ad alta efficienza energetica. A questo fine, oltre a promuovere l'etichettatura dei prodotti, occorrerebbe segnalare quella dei processi energeticamente efficienti che li hanno realizzati, cioè avere una doppia etichettatura, quella del prodotto, ma anche quella dello stabilimento che ha contribuito a mantenere alta l'efficienza complessiva.

6.8   Le IIE necessitano di maggiore sostegno per la ricerca e l'innovazione. L'attuale sistema di finanziamento dell'UE dovrebbe prevedere strumenti specifici (ad esempio sul modello del partenariato tra settore pubblico e settore privato SPIRE per l'industria sostenibile) per garantire maggior spazio ai progetti industriali. Le piattaforme tecnologiche hanno lavorato alacremente per preparare un ambiente più favorevole in cui le industrie possano confrontarsi nel modo migliore con i programmi quadro dell'UE. Anche il ruolo delle organizzazioni di ricerca e tecnologia dovrebbe essere posto in evidenza, poiché queste svolgono un ruolo essenziale nella catena dell'innovazione, favorendo la conversione di un'idea in applicazione industriale.

7.   La dimensione internazionale

7.1   USA, Giappone, Russia, Brasile, India e soprattutto la Cina (1° paese per valori di emissione, il 22 % del totale), devono assumersi le loro responsabilità. Questi paesi, con l'Europa, producono oltre il 70 % delle emissioni di CO2 (2007). Un accordo per il clima e per la salute del pianeta è indispensabile per poter affrontare le sfide poste dall'innalzamento della temperatura dovuta a cause antropiche.

7.2   Il CESE si è più volte espresso a sostegno di tali politiche europee, raccomandando ogni sforzo per arrivare a un giusto accordo internazionale, che ripartisca le responsabilità e gli oneri, tenendo conto di molteplici considerazioni e non solo dei fatti e dei numeri.

7.3   Le politiche in materia di cambiamento climatico avranno successo soltanto se la prossima Conferenza di Durban sarà in grado di sancire i nuovi obiettivi post Kyoto per i paesi maggiormente responsabili delle emissioni. L'Europa si è impegnata a realizzare obiettivi anche più ambiziosi, in presenza di un accordo globale. Il CESE è favorevole a questo, purché le considerazioni espresse in merito alle condizioni di sostenibilità per le imprese europee e per i lavoratori siano strutturalmente riconosciute e rispettate.

Bruxelles, 8 dicembre 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 38.

(2)  GU C 107 del 6.4.2011, pag. 1, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 25.

(3)  SEC(2011) 779 definitivo.

(4)  I dati relativi al potenziale economico nel settore della trasformazione dell'energia si basano sui calcoli della DG ENER.

(5)  Piano di efficienza energetica 2011, COM(2011) 109 definitivo, studio di valutazione di impatto, Ib. n. 3, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 38; Gazzetta ufficiale C 318, del 29.10.2011, pag. 76.

(6)  GU C 317 del 23.12.2009, pag. 7.

(7)  Relazione informativa Lo sviluppo dell'industria del cemento europea, CCMI/040, CESE 1041/2007, Cembureau, Evolution and Energy Trends - web site Cembureau, maggio 2011.

(8)  Carbon dioxide emissions from the global cement industry. Autori: Ernst Worrell, Lynn Price, Nathan Martin, Chris Hendriks, Leticia Ozawa Meida. Annual Review of Energy and the Environment, novembre 2001, vol. 26, pagg. 303-329.

(9)  Vanderborght B, Brodmann U. 2001. The Cement CO2 Protocol: CO2 Emissions Monitoring and Reporting Protocol for the Cement Industry. Guide to the Protocol, version 1.6 - www.wbcsdcement.org.

(10)  Relazione pubblicata su Euronews nel maggio 2006.


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