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Document 52010DC0086

Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La politica internazionale sul clima dopo Copenaghen: intervenire subito per dare nuovo impulso all’azione globale sui cambiamenti climatici {SEC(2010) 261}

/* COM/2010/0086 def. */

52010DC0086




[pic] | COMMISSIONE EUROPEA |

Bruxelles, 9.3.2010

COM(2010) 86 definitivo

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

La politica internazionale sul clima dopo Copenaghen: intervenire subito per dare nuovo impulso all’azione globale sui cambiamenti climatici

{SEC(2010) 261}

COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI

La politica internazionale sul clima dopo Copenaghen: intervenire subito per dare nuovo impulso all’azione globale sui cambiamenti climatici

1. MESSAGGI PRINCIPALI

La dimensione internazionale è sempre stata una componente essenziale delle ambizioni dell’UE in materia di cambiamenti climatici. L’obiettivo principale dell’Europa è mantenere l’innalzamento della temperatura al di sotto dei 2 ºC in modo da evitare gli effetti più gravi dei cambiamenti climatici. Ciò sarà possibile solo con un impegno internazionale coordinato. Per questo motivo l’UE è sempre stata fortemente a favore del processo ONU e per lo stesso motivo i risultati ottenuti a Copenaghen non sono stati all’altezza delle nostre ambizioni. Tuttavia, il sostegno sempre più ampio che il testo approvato a Copenaghen (il cosiddetto Copenhagen Accord , di seguito “accordo di Copenaghen”) sta ottenendo dimostra la determinazione di una maggioranza di paesi ad andare avanti con gli interventi di lotta ai cambiamenti climatici. L’UE ha il compito di far leva su questa determinazione e contribuire a tradurla in azioni concrete. La presente comunicazione definisce una strategia finalizzata a mantenere l’impulso propizio all’impegno globale per la lotta ai cambiamenti climatici.

L’UE è da sempre all’avanguardia per quanto riguarda le azioni concrete di lotta ai cambiamenti climatici: basti pensare che è sulla buona strada per adempiere agli impegni assunti a Kyoto per il periodo 2008-2012, che ha adottato obiettivi ambiziosi per il 2020, tra cui l’impegno a ridurre le proprie emissioni di gas serra del 20% entro il 2020 e di spingersi fino al 30% se le condizioni[1] lo consentiranno. Adesso siamo pronti a trasformare l’Europa nella regione in assoluto più compatibile con il clima, proiettata verso un’economia a basse emissioni di carbonio, efficiente in termini di risorse e resiliente sotto il profilo climatico. La realizzazione di tale obiettivo, unita alla dimostrazione che l’UE è in grado di mettere in pratica il testo di Copenaghen, sarà il principale biglietto da visita per convincere i partner mondiali a raccogliere la sfida.

Una crescita economica maggiormente sostenibile è al centro della visione strategica per il futuro presentata nella strategia Europa 2020, perché crea nuovi posti di lavoro e incentiva la sicurezza energetica. La Commissione intende ora attivarsi per delineare la strada che l’UE dovrà percorrere per garantire la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050. Tale transizione rafforzerà anche la resilienza ai rischi climatici e aumenterà la capacità di prevenire e rispondere alle calamità.

Il processo ONU è essenziale per garantire un impegno più ampio a livello mondiale a favore degli interventi per la lotta ai cambiamenti climatici. Un elemento determinante per realizzare tale obiettivo è utilizzare il processo ONU nel periodo precedente alla conferenza sul clima che si terrà a Cancún per integrare nei testi negoziali delle Nazioni Unite gli orientamenti politici contenuti nell’accordo di Copenaghen. È inoltre necessario affrontare le carenze che ancora permangono e garantire l’integrità ambientale di un accordo che deve come minimo sfociare nella riduzione delle emissioni di gas serra della scala richiesta. A tal fine sarà indispensabile garantire un’ampia partecipazione e obiettivi più ambiziosi da parte di altri paesi; dovranno inoltre essere affrontati i possibili punti deboli del sistema, ad esempio le norme per contabilizzare le emissioni prodotte dalla silvicoltura e il trattamento delle emissioni in eccesso riportate dal periodo d’impegno 2008-2012 previsto dal protocollo di Kyoto. Ciò comporterà anche l’istituzione di un quadro valido e trasparente per contabilizzare le emissioni e le prestazioni, la mobilitazione in tempi rapidi e in maniera coordinata dei finanziamenti per i paesi in via di sviluppo e un contributo volto a garantire finanziamenti a lungo termine per le attività di mitigazione e adattamento. L’UE dovrebbe inoltre impegnarsi per incentivare lo sviluppo del mercato internazionale del carbonio, collegando tra loro i sistemi nazionali che presentano caratteristiche compatibili e promuovendo una transizione fluida dall’attuale meccanismo di sviluppo pulito (CDM) ai nuovi meccanismi di mercato settoriali.

L’obiettivo primario dell’UE rimane sempre la conclusione di un accordo solido e giuridicamente vincolante nell’ambito dell’UNFCCC. A tal fine sarà innanzitutto auspicabile concentrarsi sull’adozione di una serie equilibrata di decisioni concrete e orientate all’azione nel corso della conferenza di Cancún alla fine del 2010, che dovrebbero essere il più esaustive possibile. Tenuto conto delle divergenze che ancora permangono tra le Parti l’UE dovrà tuttavia essere pronta a proseguire il suo impegno finalizzato all’adozione di un accordo giuridicamente vincolante alla conferenza del 2011 in Sudafrica. Fino a Copenaghen la pressione esercitata sulle aspettative ha avuto effetti molto utili e molte grandi economie hanno fissato obiettivi nazionali prima della conferenza. Adesso è giunto il momento di prendere in considerazione una strategia in grado di mantenere alto l’incentivo, senza mettere a rischio l’obiettivo primario.

Per questo motivo l’UE dovrà rafforzare la propria opera di coinvolgimento e sensibilizzazione creando fiducia nella possibilità di giungere ad un’intesa internazionale sul clima e prendendo in esame le misure specifiche che potrebbero essere adottate a Cancún. In altri termini l’UE deve ora puntare a creare un sostegno con diversi partner.

2. DARE NUOVO VIGORE AI NEGOZIATI INTERNAZIONALI SUL CLIMA

2.1. Un bilancio dopo Copenaghen

L’esito principale della conferenza sui cambiamenti climatici tenutasi a Copenaghen nel dicembre del 2009 è stato l’intesa raggiunta da un gruppo rappresentativo di 29 capi di Stato e di governo in merito al cosiddetto “accordo di Copenaghen”. Il testo conferma l’obiettivo dell’UE di limitare l’aumento del surriscaldamento del pianeta a +2°C rispetto ai livelli preindustriali[2]. Secondo quanto previsto dall’accordo a tal fine, entro il 31 gennaio 2010 i paesi industrializzati dovevano presentare i rispettivi obiettivi di riduzione delle emissioni e i paesi in via di sviluppo le azioni che intendono adottare. Il testo fornisce inoltre le basi per un monitoraggio, una rendicontazione e una verifica (MRV) regolari di tali azioni, contiene l’impegno a stanziare ingenti finanziamenti per l’azione a favore del clima e un quadro istituzionale associato; fornisce infine orientamenti per trattare aspetti quali la riduzione delle emissioni causate dalla deforestazione, la tecnologia e l’adattamento.

Il testo approvato a Copenaghen è ben lungi dal rispondere agli obiettivi ambiziosi che l’UE si era fissata per la conferenza, ossia la conclusione di un accordo valido, efficace e giuridicamente vincolante; inoltre, nelle conclusioni della conferenza le Parti si sono limitate a “prendere atto” del testo. Nonostante ciò, le oltre 100 proposte pervenute fino ad oggi da parte dei paesi industrializzati e in via di sviluppo[3], molte delle quali comprendono obiettivi o azioni, sono la dimostrazione che il testo presentato gode di un sostegno ampio e sempre crescente. Tali proposte testimoniano inoltre l’evidente determinazione di una grande maggioranza di paesi a rafforzare sin d’ora i propri interventi per la lotta ai cambiamenti climatici.

A Copenaghen sono stati fatti importanti passi avanti anche nei negoziati riguardanti molti altri aspetti, sotto forma di progetti di decisioni e testi negoziali[4]. Insieme all’accordo di Copenaghen essi costituiscono il punto di partenza per le tappe successive, sia in ambito negoziale - dove sarà ora necessario integrare gli orientamenti politici contenuti nel testo di Copenaghen anche nei testi negoziali dell’UNFCCC – sia per l’avvio immediato della fase di attuazione di varie azioni.

2.2. Una tabella di marcia per il futuro

L’UE dovrebbe continuare a perseguire l’adozione di un accordo internazionale valido ed efficace e il suo obiettivo primario rimane sempre la conclusione di un accordo giuridicamente vincolante nell’ambito dell’UNFCCC. Per conseguire tale risultato sarà opportuno che l’UE ridefinisca i suoi interventi incentrandosi su attività volte a creare fiducia e a soddisfare l’auspicio urgente di azioni concrete nell’immediato e tenti di ottenere risultati concreti a Cancún. A tal fine serve un approccio di più ampio respiro, con azioni più incisive di coinvolgimento a livello bilaterale.

2.2.1. Il processo ONU

La conferenza 2010 è prevista per dicembre a Cancún; la successiva sarà invece organizzata in Sudafrica alla fine del 2011. Nei mesi precedenti la conferenza in Messico saranno organizzate varie riunioni preparatorie, in particolare dal Messico e dalla Germania.

Le riunioni che si terranno ad aprile e a giugno a Bonn dovrebbero definire la tabella di marcia per le fasi successive dei negoziati, che riprenderanno puntando in particolare ad integrare gli orientamenti politici contenuti nell’accordo raggiunto a Copenaghen nei vari testi negoziali risultanti dalla conferenza di dicembre. Le riunioni dovrebbero servire a individuare le “carenze” presenti negli attuali testi negoziali, ad esempio in materia di monitoraggio, rendicontazione e verifica, per i quali l’accordo di Copenaghen fornisce importanti orientamenti politici. Nel corso delle riunioni andranno affrontate anche tematiche che non compaiono nell’accordo, come l’evoluzione del mercato internazionale del carbonio, la riduzione delle emissioni causate dal trasporto aereo e marittimo internazionale con l’intervento dell’ICAO e dell’IMO, l’agricoltura e la riduzione degli idrofluorocarburi. Ma la riunione di Bonn dovrebbe soprattutto integrare gli obiettivi che i paesi industrializzati hanno presentato nell’ambito dell’accordo di Copenaghen e le azioni comunicate nello stesso contesto dai paesi in via di sviluppo nel processo negoziale formale delle Nazioni Unite.

Per Cancún l’UE dovrebbe porsi due obiettivi: giungere a una serie di decisioni esaurienti ed equilibrate per integrare l’accordo raggiunto a Copenaghen nel processo negoziale delle Nazioni Unite e affrontare le carenze individuate. Sarebbe inoltre opportuno adottare una decisione formale sull’elenco degli obiettivi dei paesi industrializzati e sulla registrazione delle azioni presentate dai paesi in via di sviluppo, compresi i metodi per tenerne conto. Tutte le decisioni dovrebbero rientrare in una decisione “quadro” intesa a fornire il contesto politico generale. Infine, i risultati che si raggiungeranno a Cancún dovranno rappresentare un giusto equilibrio tra gli aspetti importanti per i paesi industrializzati e per i paesi in via di sviluppo.

L’UE è pronta ad adottare un accordo valido e giuridicamente vincolante già a Cancún, ma viste le notevoli divergenze che ancora permangono deve ammettere anche la possibilità di optare per un approccio più graduale. In questo scenario l’adozione di decisioni concrete alla conferenza di Cancún dovrebbe ancora offrire la base adeguata per approvare un quadro giuridico articolato in Sudafrica nel 2011. È importante fissare i risultati conseguiti e mantenere un notevole impulso senza compromettere l’obiettivo primario.

2.2.2. Coinvolgere i paesi terzi

I negoziati di Copenaghen hanno dimostrato chiaramente che qualsiasi passo avanti in ambito ONU era subordinato alla disponibilità di agire manifestata dai paesi partecipanti. Il varo di un programma attivo di coinvolgimento da parte dell’UE sarà determinante per incentivare il sostegno al processo ONU e servirà a far comprendere meglio le posizioni, i timori e le aspettative dei partner sulle tematiche principali oltre che a illustrare la posizione dell’UE sul contenuto dell’accordo in termini di ambizione, completezza e integrità ambientale. L’UE tenterà di promuovere un’azione immediata per dar seguito all’accordo di Copenaghen e favorire la convergenza al fine di far approvare a Cancún decisioni orientate all’azione. Ciò dovrebbe anche fornire valide opportunità di intensificare i colloqui bilaterali sugli sviluppi nazionali in termini di cambiamenti climatici e dare la possibilità all’UE di offrire un sostegno all’azione interna dei vari paesi. La Commissione svolgerà tali attività di coinvolgimento in stretto contatto con il Consiglio e con la Presidenza.

L’Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero continuare a sostenere i negoziati nel contesto delle Nazioni Unite. Se la Commissione assumerà un ruolo più forte sarà più semplice garantire che l’UE parli con una voce sola. Facendo tesoro degli insegnamenti di Copenaghen, sarà necessario avviare un dibattito su come aumentare al meglio l’efficienza e l’impulso che l’UE può portare ai negoziati internazionali.

La Commissione dovrebbe inoltre incoraggiare e assistere il Parlamento europeo nelle sue attività volte a coinvolgere appieno i parlamentari dei principali paesi partner.

Le attività di coinvolgimento devono avvenire a tutti i livelli e implicare tutti i principali interessati. Per il 2010 sono previste riunioni bilaterali e multilaterali, tra cui una serie di vertici e riunioni ministeriali; a questi si aggiungeranno riunioni a livello regionale e riunioni ad hoc atte a garantire il coinvolgimento di partner di tutte le regioni del mondo, in particolare dei paesi più vulnerabili, che in quella sede potranno esprimere e far meglio comprendere all’UE i loro timori e le loro ambizioni. Negli incontri, formali e informali, già avviati o futuri in preparazione della conferenza di Cancún e dell’attuazione tempestiva dell’accordo di Copenaghen, le Parti devono continuare a individuare le tematiche principali e i possibili compromessi da discutere in sede negoziale. La Commissione, sostenuta dalle delegazioni dell’UE e dal Servizio europeo per l’azione esterna, s’impegnerà attivamente in tutte queste attività, in stretta cooperazione con le future Presidenze (messicana e sudafricana) delle conferenze ONU del 2010 e del 2011.

È tuttavia opportuno sottolineare che, per fare dei passi avanti, è necessaria la volontà di tutte le Parti. In caso contrario, l’intesa raggiunta a Copenaghen, che rappresenta il minimo comun denominatore, rimarrà verosimilmente l’unico accordo possibile.

2.2.3. Integrità ambientale

Un accordo finalizzato alla lotta ai cambiamenti climatici deve permettere di ottenere le riduzioni necessarie a far rientrare le emissioni mondiali di gas serra in un andamento compatibile con l’obiettivo approvato a Copenaghen, ossia mantenere l’aumento delle temperature a livello planetario al di sotto dei 2 °C. Il protocollo di Kyoto rimane l’elemento centrale del processo ONU, ma occorrerà ovviare alle principali carenze: l’ambito di applicazione e i punti deboli che lo caratterizzano.

- Nella sua struttura attuale il protocollo di Kyoto, da solo, non è in grado di realizzare l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C . Oggi il protocollo riguarda solo il 30% delle emissioni. L’obiettivo fissato sarà raggiungibile solo se gli Stati Uniti e i principali emettitori dei paesi in via di sviluppo (ad esempio Brasile, Cina, India, Corea del Sud, Messico e Sudafrica, che figurano tra i primi 15 produttori di emissioni al mondo) faranno la loro parte. L’UE si è assunta enormi responsabilità nell’ambito di Kyoto ed è in linea con gli impegni assunti per il periodo d’impegno 2008-2012. Altri devono seguirne l’esempio. È evidente che gli sforzi dei paesi in via di sviluppo saranno diversi in funzione delle rispettive responsabilità e capacità e per questo potrebbero avere bisogno di un sostegno.

- Inoltre, il protocollo di Kyoto presenta attualmente seri punti deboli che rischiano di compromettere l’integrità ambientale di un futuro accordo . Gli impegni a ridurre le emissioni che finora i paesi industrializzati hanno proposto variano dal 13,2% circa entro il 2020 rispetto al 1990 (per gli impegni minimi) al 17,8% circa (per gli impegni massimi). Queste proposte sono già insufficienti a realizzare l’obiettivo dei 2 °C, per il quale i paesi industrializzati dovrebbero invece abbattere le proprie emissioni di una percentuale variabile tra il 25% e il 40%. Vi sono inoltre i due elementi descritti di seguito che potrebbero addirittura produrre risultati peggiori.

- Riporto delle emissioni in eccesso (unità di quantità assegnate, o AAU, previste dal protocollo di Kyoto) dal periodo di impegno 2008-2012 istituito dal protocollo ai periodi d’impegno futuri. A seguito del calo delle emissioni, dovuto in buona parte alle ristrutturazioni industriali avvenute nei primi anni Novanta, aver fissato il parametro di riferimento al 1990 significa che, nel periodo d’impegno 2008-2012, oltre 10 miliardi di tonnellate di unità di emissione di gas serra rimarranno inutilizzati, soprattutto in Russia e in Ucraina. Continuare ad applicare l’attuale protocollo di Kyoto significherebbe, pertanto, accantonare questo “eccesso” di emissioni, mettendo a rischio le riduzioni principali previste. Se tutte queste unità potessero essere riportate al secondo periodo di impegno, l’ambizione degli obiettivi fissati per i paesi industrializzati verrebbe ridotta del 6,8% circa rispetto al 1990: in altri termini, si passerebbe da una riduzione del 13,2% a una del 6,4% per gli impegni minimi proposti e dal 17,8% all’11% per gli impegni massimi.

- Norme per contabilizzare le emissioni connesse all’uso del suolo, al cambiamento d’uso del suolo e alla silvicoltura (attività (LULUCF) dei paesi sviluppati . L’UE non ha difficoltà a rispettare gli obblighi nel campo specifico, ma questo elemento assume notevole importanza per i principali paesi silvicoli al di fuori dell’UE e costituisce un aspetto critico anche dal punto di vista ambientale. Se non verranno modificate, le norme in materia attualmente previste dal protocollo di Kyoto potrebbero ridurre il livello effettivo di rigorosità degli attuali impegni ad abbattere le emissioni; si potrebbe pertanto arrivare a rivendicare riduzioni delle emissioni senza l’adozione di misure aggiuntive e ciò non avrebbe alcun beneficio reale in termini ambientali. In uno scenario estremo che consideri il peggiore dei casi possibili, le norme di contabilità delle attività LULUCF arriverebbero addirittura ad abbassare il livello di ambizione reale dei paesi industrializzati di un ulteriore 9% rispetto al 1990. Ciò significherebbe che, per i paesi che hanno proposto gli impegni di riduzione inferiori, si avrebbe addirittura un aumento del 2,6% delle emissioni nei paesi industrializzati rispetto ai livelli del 1990, e per quelli con gli impegni superiori una riduzione di appena il 2%, sempre rispetto al 1990.

Nella sua recente risoluzione successiva alla conferenza di Copenaghen, il Parlamento europeo ha espressamente sottolineato tali punti deboli del protocollo, ribadendo la necessità di impedire che questi compromettano l’integrità ambientale[5].

La Commissione valuterà i pro e i contro di altre forme giuridiche possibili, ad esempio un secondo periodo di impegno nell’ambito del protocollo di Kyoto.

Ripercussioni dei punti deboli che caratterizzano il protocollo di Kyoto

( eccesso di AAU e norme per la contabilizzazione delle attività LULUCF)

sugli impegni dei paesi industrializzati a ridurre le emissioni entro il 2020

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3. AGIRE SUBITO

3.1. Europa 2020: verso un’economia a basse emissioni di carbonio e resiliente al clima

L’esempio più convincente di leadership che l’UE possa dare in questo momento è l’adozione di azioni concrete e decise finalizzate a trasformarla nella regione mondiale più compatibile con il clima. È interesse dell’UE andare in questa direzione. La strategia Europa 2020 ha posto la crescita sostenibile – che promuove un’economia più efficiente in termini di risorse, più ecocompatibile e più competitiva – al centro della visione riguardante un futuro efficiente in termini di risorse per l’Europa, in grado di creare nuovi posti di lavoro “verdi” e di rafforzare l’efficienza e la sicurezza energetica.

La Commissione intende delineare un percorso per trasformare l’UE in un’economia a basse emissioni di carbonio entro il 2050 e per realizzare l’obiettivo concordato a livello di UE di abbattere le emissioni dell’80-95% nell’ambito del contributo che i paesi industrializzati sono chiamati a dare per ridurre le emissioni globali di almeno il 50% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2050[6]. L’UE si è impegnata ad abbattere le proprie emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 e ad arrivare al 30% di riduzione se sussisteranno le condizioni per farlo. In vista del Consiglio europeo di giugno la Commissione preparerà pertanto un’analisi delle politiche pratiche necessarie per ottenere quest’ultima riduzione e successivamente procederà a un’analisi delle tappe principali sulla via della transizione prevista per il 2050; quest’ultima analisi comprenderà gli scenari necessari che rifletteranno il livello di ambizione per il 2030 tenuto conto dei contributi dei principali settori che producono emissioni, ad esempio la produzione e il consumo di energia e i trasporti, e definirà le strategie più opportune per tali settori in linea con la strategia UE 2020. Si tratterà dunque di proporre soluzioni intelligenti che siano soddisfacenti per la lotta ai cambiamenti climatici ma anche per la sicurezza energetica e l’occupazione e che s’inseriscano nell’impegno dell’UE di “decarbonizzare” l’economia.

Tali azioni dovranno essere fortemente incentrate sulle politiche volte ad accelerare l’innovazione e la diffusione tempestiva di nuove tecnologie e infrastrutture, che permettano così di creare un margine competitivo per le imprese europee nei settori chiave che si profileranno in futuro (ad esempio, efficienza energetica, automobili verdi, reti intelligenti, tecnologie per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS), energie rinnovabili). Per tali azioni serviranno approcci in grado di mantenere e promuovere l’esistenza di ecosistemi forti e resilienti.

Alla luce dei risultati di Copenaghen e in linea con la scadenza concordata nella direttiva sul sistema di scambio delle quote di emissione (ETS), la Commissione analizzerà anche la situazione delle industrie ad alta intensità energetica qualora si registrasse il fenomeno della rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

3.2. Dare attuazione all’accordo di Copenaghen

3.2.1. Mantenere l’aumento della temperatura al di sotto di 2°C: obiettivi e azioni

I risultati ottenuti a Copenaghen e l’ampio sostegno che l’accordo raggiunto in quella sede sta ottenendo sono la dimostrazione della volontà politica della maggior parte dei paesi di agire subito. L’esito di gran lunga più importante della conferenza di Copenaghen è il fatto che, alla fine di gennaio 2010, i paesi industrializzati e in via di sviluppo che rappresentano oltre l’80% delle emissioni mondiali di gas serra avevano presentato i propri obiettivi e azioni in materia di riduzione di tali emissioni[7].

Anche se questo dato mette in evidenza una reale volontà di agire, finora è difficile valutare il livello di ambizione generale degli obiettivi e delle azioni proposti. Le valutazioni più ottimistiche degli obiettivi e delle azioni di mitigazione in tutti i settori economici indicano che è ancora possibile limitare l’aumento delle temperatura planetaria a 2 °C, mentre quelle più pessimistiche vedono scomparire rapidamente questa possibilità.

Anche se fossero superate le carenze descritte in precedenza, gli obiettivi proposti dai paesi industrializzati, anche quelli che rientrano negli impegni condizionali più elevati, sono ben lontani dalle riduzioni del 25-40% che l’IPCC ritiene necessario realizzare entro il 2020 per contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2 °C. Occorre inoltre aggiungere che finora solo l’UE ha adottato la legislazione necessaria a conseguire il proprio obiettivo di riduzione per il 2020; in altri paesi industrializzati, invece, le normative in materia sono ancora in fase di discussione.

Il fatto che i paesi in via di sviluppo abbiano presentato le azioni che intendono adottare rappresenta un passo in avanti senza precedenti. C’è tuttavia ancora molta incertezza sulle azioni effettive da adottare, sui tempi e sulla relazione tra tali azioni e il riferimento comparabile fissato per le riduzioni a partire dal 1990.

Ora che è disponibile un’ampia rosa di impegni in merito a obiettivi e azioni, i negoziati dovrebbero puntare a ottenere chiarimenti su detti impegni, a discuterne il livello generale di ambizione e a come rafforzarlo ulteriormente. Il processo ONU dovrebbe concentrarsi in particolare su questa priorità.

3.2.2. Creare un quadro solido e trasparente per contabilizzare le emissioni e le prestazioni

Uno dei punti sui quali i negoziati di Copenaghen si sono rivelati maggiormente difficoltosi ha riguardato il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica delle emissioni. La trasparenza è l’elemento fondamentale per garantire la fiducia reciproca e dimostrare l’efficacia e l’idoneità degli obiettivi e delle azioni proposti. La convenzione quadro sui cambiamenti climatici e il relativo protocollo di Kyoto definiscono le norme di base per le attività di monitoraggio, rendicontazione e verifica introducendo il concetto delle comunicazioni e degli inventari nazionali. L’accordo di Copenaghen prevede che questo sistema sia rafforzato. Questo punto dovrà figurare tra le priorità dei lavori finalizzati a integrare le posizioni di compromesso contenute nel testo di Copenaghen nel processo ONU.

La trasparenza, tuttavia, non può limitarsi alla sola comunicazione delle emissioni perché, in ultima analisi, ciò che conta sono le prestazioni dei vari paesi, cioè i risultati raggiunti nel mettere in pratica i rispettivi obiettivi o azioni. Come si è già evidenziato in precedenza, le norme per contabilizzare le emissioni hanno un enorme impatto sulla portata reale delle azioni. È pertanto fondamentale che le norme in materia siano valide, trasparenti e prevedibili in modo da consentire di valutare correttamente le prestazioni dei paesi.

Nel frattempo la Commissione propone di avviare programmi per creare capacità in ambito regionale per i paesi in via di sviluppo che fossero interessati a sviluppare le proprie capacità di monitoraggio, rendicontazione e verifica, anche per quanto riguarda gli inventari delle emissioni.

3.2.3. Coordinare la mobilitazione dei finanziamenti rapidi

L’accordo di Copenaghen prevede un sostegno in tempi brevi ai paesi in via di sviluppo che ammonta a quasi 30 miliardi di USD per il periodo 2010-2012; tali finanziamenti sono equamente distribuiti tra interventi di mitigazione e di adattamento. Il Consiglio europeo di dicembre ha fissato il contributo dell’UE e degli Stati membri a 2,4 miliardi di EUR l’anno per il periodo 2010-2012. È essenziale che l’UE traduca rapidamente in pratica questo impegno sia per la propria credibilità sia per l’urgente necessità di rafforzare la capacità di molti paesi in via di sviluppo di formulare e mettere in atto delle politiche efficaci in materia di clima per quanto riguarda l’adattamento, la mitigazione e la cooperazione tecnologica.

L’UE deve impegnarsi con altri donatori e beneficiari per garantire che i finanziamenti rapidi concordati a Copenaghen siano attuati in maniera coordinata.

Le azioni che rientrano nei finanziamenti rapidi comprendono, ad esempio, la creazione di capacità volte a integrare le misure di adattamento nelle strategie di sviluppo e riduzione della povertà o l’attuazione di azioni pilota e urgenti in materia di adattamento individuate nei piani d’azione nazionali; la creazione di capacità nel settore della mitigazione, cioè strategie per uno sviluppo a basse emissioni, azioni adeguate di mitigazione a livello nazionale e monitoraggio, rendicontazione e verifica delle emissioni; progetti pilota e di creazione di capacità per i meccanismi di mercato settoriali; progetti di preparazione e progetti pilota per la riduzione delle emissioni causate dalla deforestazione nei paesi in via di sviluppo; progetti pilota e di creazione di capacità in materia di cooperazione tecnologica. I finanziamenti rapidi devono essere mirati a varie regioni del mondo perché solo così sarà possibile creare efficacemente capacità in materia di politiche climatiche, rispondere ad esigenze e proposte specifiche dei paesi in via di sviluppo e ottenere risultati ambientali dove sono più necessari[8].

Per garantire l’efficacia ed evitare ritardi nell’attuazione di interventi ambiziosi, i finanziamenti rapidi devono ispirarsi ad iniziative esistenti e tenerne conto. Una parte consistente dei finanziamenti rapidi dell’UE sarà erogata nell’ambito di iniziative esistenti[9], canali bilaterali, soprattutto nell’ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo degli stessi Stati membri, o attraverso istituzioni internazionali. Gli interventi dell’UE possono fare riferimento ad iniziative esistenti oppure riguardare nuove esigenze come le attività di monitoraggio, rendicontazione e verifica e le strategie di sviluppo a basse emissioni di carbonio. La Commissione e i singoli Stati membri potrebbero assumere la leadership in determinati paesi o regioni e per tematiche specifiche, in funzione delle rispettive priorità di finanziamento e delle priorità dei paesi partner.

L’UE dovrà intervenire e riferire in merito alle azioni condotte in maniera coerente ed efficiente, evitando doppioni e incentivando al massimo le sinergie. In tal senso il coordinamento degli sforzi dell’UE sarà un elemento determinante. La Commissione è disposta ad assumere un ruolo di facilitazione e coordinamento per mettere in pratica l’impegno UE di finanziamento rapido e propone di:

1. operare, con il Consiglio ECOFIN e con il sostegno delle formazioni del Consiglio interessate, per coordinare e monitorare l’impegno di finanziamento rapido dell’UE;

2. istituire un programma comune dell’UE – che integri i programmi finanziari dell’UE già esistenti - per la creazione di capacità a livello regionale (ad esempio per le strategie di sviluppo a basse emissioni e le strategie di adattamento) al fine di riunire e assegnare i finanziamenti UE. Tale programma potrebbe coinvolgere direttamente i paesi interessati alla creazione di capacità (ad esempio mediante accordi di “gemellaggio”);

3. garantire la trasparenza presentando una relazione semestrale sui progressi realizzati per quanto riguarda l’impegno di finanziamento rapido dell’UE; la prima relazione dovrebbe essere disponibile per la riunione UNFCCC di Bonn del giugno 2010.

3.2.4. Garantire finanziamenti a lungo termine

Nell’accordo raggiunto a Copenaghen l’UE e altri paesi industrializzati si sono impegnati a mettere a disposizione congiuntamente 100 miliardi di USD (pari a 73 miliardi di EUR) l’anno entro il 2020, da stanziare per azioni di mitigazione e adattamento nei paesi in via di sviluppo. Tali finanziamenti potrebbero provenire da varie fonti diverse:

- il mercato internazionale del carbonio: se concepito adeguatamente, potrà creare flussi finanziari sempre più consistenti verso i paesi in via di sviluppo e potrebbe arrivare a dare un contributo di 38 miliardi di EUR l’anno da qui al 2020. Il sistema ETS dell’UE sta già generando ingenti flussi verso i paesi in via di sviluppo grazie al sostegno che offre al meccanismo di sviluppo pulito (CDM), mentre la legislazione UE prevede altri flussi a partire dal 2013. Gli Stati membri, infine, si sono impegnati a utilizzare allo stesso scopo e a partire dallo stesso anno una parte degli introiti derivanti dalle aste contemplate dal sistema ETS dell’UE;

- i trasporti aerei e marittimi internazionali: questi due settori possono rappresentare un’importante fonte di finanziamento innovativo, preferibilmente nell’ambito di strumenti globali[10], facendo leva sull’impegno già previsto nell’ambito del sistema ETS dell’UE, secondo il quale tutti i proventi derivanti dalla vendita all’asta di quote nel settore aereo dovranno essere destinati a misure per la lotta ai cambiamenti climatici;

- i finanziamenti pubblici internazionali: tali finanziamenti, ai quali l’UE dovrebbe garantire un equo contributo, variano da 22 a 50 miliardi di EUR l’anno fino al 2020. Per il periodo post-2012 l’UE dovrebbe continuare a proporre un’unica offerta globale per l’UE[11].

Il Gruppo ad alto livello delle Nazioni Unite sui finanziamenti e il Gruppo consultivo ad alto livello sui finanziamenti per la lotta ai cambiamenti climatici, di prossima istituzione, dovrebbero esaminare le modalità per sfruttare tali fonti con efficacia al fine di finanziare le future azioni per il clima. Gli stanziamenti pubblici dovrebbero essere destinati essenzialmente a settori che non possono essere adeguatamente finanziati dal settore privato o essere sfruttati per promuovere gli investimenti privati. Infine, occorre definire con precisione il mandato del Fondo verde per il clima istituito a Copenaghen affinché questo possa garantire un valore aggiunto alle iniziative esistenti.

La governance della futura architettura finanziaria internazionale dovrà essere trasparente, consentire un monitoraggio effettivo e rispettare principi concordati in materia di efficacia degli aiuti. Occorre un sistema di rendicontazione completamente trasparente, fondato su una serie esauriente di dati statistici che si rifacciano al sistema OCSE-DAC. In tal modo sarà possibile assicurare che l’azione a favore del clima sia sinergica all’impegno volto a ridurre la povertà e agli sforzi messi in atto per conseguire gli obiettivi di sviluppo del millennio.

La dimensione internazionale dei finanziamenti a lungo termine è solo un elemento nel quadro globale. Nei contatti con i paesi in via di sviluppo, soprattutto quelli economicamente più avanzati, occorre chiarire che anch’essi dovranno dare un contributo allo sforzo globale, anche impegnandosi in azioni significative di mitigazione e garantendo la trasparenza all’atto dell’applicazione.

3.3. Sviluppare il mercato internazionale del carbonio

Il corretto funzionamento del mercato del carbonio rappresenta un elemento essenziale per attrarre investimenti nelle tecnologie a basse emissioni di carbonio e per realizzare gli obiettivi di mitigazione a livello mondiale all’insegna dell’efficacia dei costi. Esso permette inoltre di generare ingenti flussi finanziari verso i paesi in via di sviluppo. Sarebbe opportuno istituire un mercato internazionale del carbonio collegando tra loro i sistemi cap-and-trade nazionali che presentano caratteristiche compatibili. L’obiettivo è lo sviluppo di un mercato OCSE entro il 2015 e di un mercato più ampio entro il 2020; quest’ultimo dovrebbe essere concepito nell’ottica di coinvolgere gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia, tenuto conto dei progressi che questi paesi hanno realizzato finora.

L’UE ha proposto nuovi meccanismi settoriali per il mercato del carbonio come fase intermedia verso l’istituzione di sistemi cap-and-trade (multisettoriali), in particolare nei paesi in via di sviluppo più avanzati. Meccanismi di questo genere potranno inviare segnali di prezzo più completi e generare crediti su una scala più vasta. Essi possono infine offrire una soluzione per riconoscere gli investimenti dei paesi in via di sviluppo in misure di mitigazione: potrebbero, ad esempio, rilasciare crediti a fronte di soglie di emissioni ambiziose fissate ad un livello inferiore alle emissioni previste, garantendo in tal modo un beneficio netto in termini di mitigazione.

Il meccanismo di sviluppo pulito (CDM) non si concluderà nel 2012, ma dovrà essere riformato per migliorarne l’integrità ambientale, l’efficacia, l’efficienza e la governance . Nel tempo sarebbe auspicabile che fosse sempre più mirato verso i paesi meno sviluppati. Per garantire una transizione coerente dai meccanismi basati sui progetti ad altri meccanismi settoriali l’UE dovrebbe tentare di raggiungere un terreno d’intesa con gli Stati Uniti e altri paesi, applicando sistemi di cap-and-trade e generando una domanda di crediti in maniera coordinata.

Uno degli obiettivi di maggiore rilievo cui puntare in vista della conferenza di Cancún dovrebbe essere la possibilità di integrare i meccanismi del mercato del carbonio (nuovi e perfezionati) da intendersi come strumenti per conseguire risultati ambiziosi in termini di mitigazione e per generare flussi finanziari verso i paesi in via di sviluppo. Tale obiettivo dovrebbe inoltre costituire il punto di partenza per l’istituzione di nuovi meccanismi a carattere settoriale. Negli ultimi anni, tuttavia, i negoziati sui meccanismi di mercato sono stati aspramente criticati da vari paesi in via di sviluppo e per questo si nutrono dubbi sull’opportunità di trattare questo aspetto nell’ambito dell’UNFCCC.

L’UE dovrebbe pertanto sfruttare le disposizioni contenute nella legislazione ETS attualmente in vigore[12] per promuovere lo sviluppo di meccanismi settoriali per il mercato del carbonio e favorire la riforma del CDM. A tal fine la Commissione intende:

4. collaborare con i paesi industrializzati e in via di sviluppo interessati a formulare meccanismi settoriali i cui crediti potrebbero essere successivamente riconosciuti e utilizzati nel sistema ETS dell’UE, nel mercato OCSE emergente e nell’ambito della decisione UE sulla condivisione degli oneri che contempla impegni di riduzione delle emissioni per gli Stati membri e

5. in funzione dei progressi realizzati nello sviluppo di tali meccanismi settoriali, formulare e proporre misure rigorose volte a migliorare i requisiti di qualità per i crediti ottenuti con i meccanismi basati su progetti.

4. CONCLUSIONI

La presente comunicazione fa propri alcuni insegnamenti tratti dalla conferenza di Copenaghen che ha raggiunto obiettivi molto meno ambiziosi di quelli inizialmente fissati, che tuttavia godono di un notevole e ampio sostegno a testimonianza della volontà di rafforzare l’impegno per la lotta ai cambiamenti climatici. La comunicazione delinea anche varie fasi a breve e medio termine e mette soprattutto in evidenza la determinazione della Commissione a proseguire nel suo impegno per garantire che a livello mondiale vengano intraprese azioni adeguate per far fronte alla gravità della sfida planetaria che ci troviamo ad affrontare.

[1] Come indicato nelle conclusioni del Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009 “[n]el quadro di un accordo globale e completo per il periodo successivo al 2012, l’UE ribadisce l’offerta condizionale di passare a una riduzione del 30% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, a condizione che altri paesi sviluppati si impegnino ad analoghe riduzioni delle emissioni e i paesi in via di sviluppo contribuiscano adeguatamente in funzione delle loro responsabilità e capacità rispettive.”

[2] Il testo stabilisce anche di considerare il rafforzamento dell’obiettivo nel lungo termine, ad esempio puntando ad aumenti della temperatura di 1,5°C.

[3] Per una visione generale delle informazioni inviate finora, cfr. il documento di lavoro dei servizi della Commissione che correda la presente comunicazione e il seguente sito web: http://www.unfccc.int.

[4] I progetti di decisione e i testi negoziali sono contenuti nella relazione della COP-16 e della CMP-6, disponibili al sito: http://www.unfccc.int.

[5] Risoluzione adottata il 10 febbraio 2010, disponibile al sito: http://www.europarl.europa.eu.

[6] Il Consiglio europeo del 29-30 ottobre 2009 ha concluso quanto segue: “Il Consiglio europeo esorta tutte le parti ad aderire all’obiettivo dei 2° C e a concordare l’obiettivo di conseguire, entro il 2050, una riduzione delle emissioni a livello globale di almeno il 50% e, nel quadro di tale riduzione a livello globale, riduzioni aggregate delle emissioni dei paesi sviluppati di almeno l’80-95% rispetto ai livelli del 1990; tali obiettivi dovrebbero fungere da aspirazione e da parametro per la fissazione di finalità a medio termine subordinate a riesame scientifico periodico. Nel contesto delle riduzioni che secondo l’IPCC i paesi sviluppati dovrebbero realizzare collettivamente, il Consiglio sostiene l’obiettivo dell’UE di ridurre, entro il 2050, le emissioni dell’80-95% rispetto ai livelli del 1990.”

[7] Il quadro generale degli obiettivi e delle azioni presentati finora è contenuto nel documento di lavoro dei servizi della Commissione che correda la presente comunicazione.

[8] L’accordo di Copenaghen prevede che i finanziamenti destinati all’adattamento vadano in via prioritaria ai paesi in via di sviluppo più vulnerabili come i paesi meno sviluppati, gli Stati insulari in via di sviluppo e l’Africa.

[9] Compresa l’Alleanza mondiale per lotta contro i cambiamenti climatici (GCCA).

[10] Consiglio ECOFIN del 9 giugno 2009 e COM(2009) 475/3.

[11] Cfr. COM(2009) 475/3.

[12] Articolo 11 bis, paragrafi 5 e 9, della direttiva 2009/29/CE (direttiva ETS) e articolo 5, paragrafo 2, della decisione n. 406/2009/CE.

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