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Document 52009DC0179

Relazione della Commissione al Consiglio in conformità dell'articolo 8 della direttiva 2003/49/Ce del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.

/* COM/2009/0179 def. */

52009DC0179

Relazione della Commissione al Consiglio in conformità dell'articolo 8 della direttiva 2003/49/Ce del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi. /* COM/2009/0179 def. */


[pic] | COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE |

Bruxelles, 17.4.2009

COM(2009) 179 definitivo

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO

in conformità dell'articolo 8 della direttiva 2003/49/CE del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.

RELAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO

in conformità dell 'articolo 8 della direttiva 2003/49/CE del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi.

1. SINTESI

A norma dell'articolo 8 della direttiva 2003/49/CE del Consiglio concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (la "direttiva sugli interessi e i canoni" o "la direttiva")[1] la Commissione "… riferisce al Consiglio in merito all'applicazione della presente direttiva, in particolare al fine di estenderne l'ambito di applicazione a società o imprese diverse da quelle di cui all'articolo 3 e all'allegato". A tal fine, la Commissione ha preso in esame la tempestività e la completezza dell'applicazione nonché questioni concernenti l'interpretazione ed eventuali miglioramenti del testo esistente, tra cui la possibilità di ampliare il campo di applicazione della direttiva. La relazione conclude che sebbene l'applicazione della direttiva sia stata in genere tempestiva e completa, sono necessarie iniziative di orientamento e di coordinamento per quanto riguarda alcuni concetti chiave e vi è modo di migliorare il testo in vigore.

2. CONTESTO

LA DIRETTIVA È STATA APPROVATA IL 3 GIUGNO 2003. IL TER mine per l'attuazione era il 1° gennaio 2004. Essa è stata in seguito modificata dalle direttive 2004/66/CE[2] e 2004/76/CE[3] del Consiglio. La prima estende l'applicazione della direttiva alle società e alle imposte dei nuovi Stati membri (SM), mentre la seconda prevede per alcuni dei nuovi Stati membri deroghe temporanee da una o più disposizioni della direttiva. Entrambe le direttive di modifica dovevano essere applicate entro il 1° maggio 2004.

In previsione della relazione a norma dell'articolo 8, la Commissione ha chiesto all' International Bureau of Fiscal Documentation (IBFD) di effettuare un'indagine sull'applicazione di queste direttive. Sulla base delle informazioni ottenute con tale indagine la Commissione doveva valutare la necessità di:

- iniziative intese a garantire l'osservanza degli obblighi stabiliti per gli Stati membri nell'ambito della direttiva e del trattato;

- orientamenti sull'applicazione delle singole disposizioni della direttiva;

- ulteriori disposizioni legislative nel settore interessato dalla direttiva.

Si è deciso di limitare l'indagine a 20 Stati membri, escludendone cinque (Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia e Portogallo) che beneficiano di deroghe temporanee, poiché per detti Stati membri non è ancora previsto l'obbligo di applicare integralmente la direttiva. L'indagine è stata completata prima dell'adesione della Bulgaria e della Romania all'Unione europea, ma occorre sottolineare che anche questi Stati membri beneficiano di deroghe temporanee[4].

3. LA DIRETTIVA

3.1. Finalità e regime

Scopo della direttiva è di mettere su un piano di parità i pagamenti di interessi e di canoni transfrontalieri e quelli nazionali, eliminando la doppia imposizione giuridica e gli scompensi di cash-flow.

È inoltre importante evitare che tali pagamenti siano del tutto esenti da imposte. A norma del considerando 3, tali pagamenti devono essere "… assoggettati a imposizione fiscale una sola volta in uno Stato membro."

Il regime consiste nell'esentare i pagamenti di interessi e di canoni dalle imposte, previo accertamento o tramite ritenuta alla fonte, cercando tuttavia di assicurare che il beneficiario dei pagamenti sia assoggettato alle imposte nel suo Stato membro di residenza o, nel caso di stabili organizzazioni (SO), negli Stati membri in cui sono situate. La direttiva prevede una procedura di rimborso nei casi in cui è stata applicata una ritenuta alla fonte.

Con l'imposizione del beneficiario effettivo nello Stato membro di residenza – per le stabili organizzazioni, nello Stato membro in cui sono ubicate – si garantisce che tale reddito sia tassato nella stessa giurisdizione in cui possono essere dedotte le relative spese (cioè, il costo della raccolta di capitali nel caso di redditi da interessi, e le spese di ricerca e sviluppo per i canoni).

3.2. Attuazione

La maggior parte dei 20 Stati membri interessati dall'indagine ha apparentemente attuato la direttiva entro il termine legale. Degli altri, tutti tranne uno hanno adottato le rispettive disposizioni nazionali di attuazione con effetto retroattivo dal 1° gennaio 2004.

Quanto alle implicazioni pratiche della direttiva, l'indagine rileva che dieci Stati membri attualmente non impongono la ritenuta alla fonte sui pagamenti di interessi destinati all'estero (due altri Stati membri accordano ampie esenzioni), e che sei Stati membri non impongono la ritenuta alla fonte sui pagamenti di canoni (con un'eccezione, in uno Stato membro, per i canoni da brevetto).

In tale contesto è opportuno rilevare che la direttiva interessa anche gli Stati membri che non impongono ritenute alla fonte (o tramite accertamento) sui pagamenti di interessi e di canoni, nella misura in cui gli articoli 4 e 5 limitano il potere discrezionale di tutti gli Stati membri di qualificare i pagamenti di interessi o di canoni come utili e di applicarvi delle imposte.

3.3. Questioni specifiche di interpretazione e di applicazione

3.3.1. Articolo 1, paragrafi 1, 4 e 5 – "Beneficiario effettivo"

La condizione di beneficiario effettivo è intesa a garantire che l'esenzione ai sensi della direttiva non sia indebitamente ottenuta con l'intervento fittizio di un intermediario.

Anche se ci sono differenze testuali tra i criteri di beneficiario effettivo stabiliti rispettivamente per società e stabili organizzazioni, la differenza sostanziale consiste nel riferimento a "…redditi per i quali essa (la stabile organizzazione) è assoggettata … ad una delle imposte…". In tal modo la direttiva indica esplicitamente che i pagamenti di questo tipo devono essere oggetto di una tassazione al livello del beneficiario effettivo.

Gli Stati membri interessati dall'indagine hanno adottato impostazioni diverse riguardo ai criteri di beneficiario effettivo. Per quanto concerne le società, alcuni Stati membri hanno scelto di non procedere al recepimento della definizione di cui all'articolo 1, paragrafo 4, e altri si sono basati sulle definizioni nazionali, mentre un gruppo di Stati membri con il recepimento ha introdotto modifiche rispetto alla definizione iniziale. Per le stabili organizzazioni, alcuni Stati membri hanno deciso di non recepire affatto l'articolo 1, paragrafo 5, o di farlo con variazioni nazionali.

Da queste differenze di approccio potrebbero conseguire che l'esenzione è rifiutata in uno Stato membro ma concessa, nelle stesse circostanze, in un altro. A prescindere dalle osservazioni di alcuni Stati membri, che ritengono si tratti essenzialmente di un problema di valutazione caso per caso, resta il fatto che il termine utilizzato nella direttiva è un termine del diritto comunitario. La sua interpretazione deve essere uniforme in tutta la Comunità. La coesistenza di 27 interpretazioni potenzialmente diverse compromette l'efficacia della direttiva.

Tra le possibili soluzioni si può considerare lo sviluppo di orientamenti che siano il frutto di un dibattito condotto in un gruppo di lavoro tecnico o la modifica delle definizioni per renderle più precise.

3.3.2. Articolo 1, paragrafo 3 - stabili organizzazioni - "Spese fiscalmente deducibili"

Per quanto concerne i pagamenti effettuati da stabili organizzazioni, l 'obbligo dello Stato d'origine di accordare l'esenzione è subordinato alla condizione che tali pagamenti costituiscano una spesa fiscalmente deducibile per il pagatore.

Dal contesto risulta evidente che il requisito relativo alla "deducibilità fiscale" è inteso a garantire che i vantaggi della direttiva si applichino soltanto ai pagamenti che costituiscono spese imputabili alle stabili organizzazioni. Tuttavia tale disposizione, nella sua formulazione attuale, potrebbe essere applicata anche nei casi in cui la detrazione è negata per altri motivi.

Anche se l'IBFD non ha rilevato negli Stati membri esaminati alcun caso in cui l'esenzione è stata rifiutata con la motivazione che il pagamento non costituiva una spesa deducibile, non si può escludere che tali casi possano verificarsi in futuro e che lo Stato in cui ha sede la stabile organizzazione potrebbe in tale situazione operare una ritenuta sul pagamento.

Per evitare differenze di trattamento ingiustificabili tra una consociata e una stabile organizzazione, si potrebbe prendere in esame la possibilità di riformulare l'articolo 1, paragrafo 3, al fine di renderlo più preciso.

3.3.3. Articolo 1, paragrafo 10 - Periodo di partecipazione

Undici dei 20 Stati membri presi in esame si sono avvalsi della facoltà di cui all'articolo 1, paragrafo 10, per imporre un periodo di partecipazione minima come condizione per usufruire dei vantaggi previsti dalla direttiva. Dall'indagine risulta che in tre di questi Stati membri tale condizione deve essere soddisfatta al momento del pagamento e non vi è la possibilità di prendere in considerazione retroattivamente il successivo soddisfacimento di tale condizione.

Quest'ultimo requisito sembra essere in contrasto con le finalità della direttiva in generale e con quelle dell'articolo 1, paragrafo 10, in particolare nonché con la pertinente giurisprudenza della Corte di giustizia. Nella causa Denkavit, concernente la facoltà di prevedere un periodo di partecipazione ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, la Corte ha dichiarato che, costituendo una deroga al principio dell'esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista da detta direttiva, tale facoltà deve essere assoggettata ad un'interpretazione restrittiva[5]. Essa ha rilevato inoltre che la disposizione in esame " è intesa in particolare …. a lottare contro gli abusi risultanti da partecipazioni assunte nel capitale di società al solo scopo di approfittare delle agevolazioni fiscali previste e che non sono destinate a durare "[6].

Le suindicate constatazioni sono rilevanti per l'interpretazione dell'articolo 1, paragrafo 10, della direttiva. Come nel caso dell'articolo 3, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, l'articolo 1, paragrafo 10, costituisce una deroga al principio di esenzione dalla ritenuta alla fonte e deve pertanto essere oggetto di un'interpretazione rigorosa. Esso ha inoltre la stessa finalità dell'articolo 3, paragrafo 2, cioè evitare abusi consistenti nel beneficiare dei vantaggi previsti dalla direttiva grazie a partecipazioni temporanee aventi unicamente scopi fiscali. Tale finalità è conseguita se la partecipazione è mantenuta per il periodo minimo richiesto, indipendentemente dal fatto questo termini al momento del pagamento o in una data successiva, come la data di presentazione della domanda di esonero fiscale.

La Corte di giustizia europea ha sostenuto che gli Stati membri non devono accordare l'esenzione fin dall' inizio del periodo di partecipazione se non sono certi di potere recuperare l'imposta qualora non sia rispettato il periodo minimo di partecipazione o accordare l'esenzione immediatamente sulla base di un impegno unilaterale della società capogruppo[7]. Tuttavia, questa sentenza è stata pronunciata prima che il Consiglio modificasse la direttiva 76/308/CEE al fine di estendere l'ambito di applicazione della cooperazione amministrativa in materia di recupero dei crediti alle imposte sul reddito[8]. Il nuovo contesto normativo potrebbe modificare gli obblighi degli Stati membri a norma della direttiva, poiché questi dispongono ora di nuovi strumenti di recupero dei crediti fiscali.

3.3.4. Articolo 2 – "Interessi" e "Canoni"

L'indagine non ha rilevato discordanze significative tra la definizione di "interesse" di cui all'articolo 2, lettera a), e quelle utilizzate nel contesto della legislazione nazionale di recepimento della direttiva. Non sembra neppure che vi siano differenze evidenti tra la definizione dell'articolo 2, lettera a), e quella dell'articolo 11 del modello OCSE di convenzione in materia fiscale che potrebbe essere pertinente ai fini dell'applicazione della direttiva.

Secondo l'indagine, due Stati membri hanno applicato una definizione di canone più restrittiva di quella contenuta nell'articolo 2, lettera b). Pertanto, su alcuni pagamenti di canoni da detti Stati membri è possibile che all'epoca sia stata applicata una ritenuta alla fonte, in base al diritto nazionale e alle convenzioni applicabili sulla doppia imposizione. In seguito alla conclusione dell'indagine, uno Stato membro ha modificato la propria legislazione per allineare la definizione nazionale con quella della direttiva.

La definizione di cui all'articolo 2, lettera b), è precisa ed inequivocabile. Ne consegue che gli Stati membri possono discostarsi da tale definizione soltanto se così facendo concedono un'esenzione identica a, o più generosa di, quella prescritta dalla direttiva.

3.3.5. Articolo 3, lettera a) – "Società di uno Stato membro"

3.3.5.1. Allegato - Elenco delle società

Diversi Stati membri hanno deciso di estendere i benefici della direttiva ai pagamenti di una gamma più ampia di entità rispetto a quelle elencate nell'allegato, mantenendo i requisiti indicati nell'allegato per i beneficiari dei pagamenti.

3.3.5.2. Società di persone (entità trasparenti)

Non si può escludere che una o più delle società elencate nell'allegato possano essere considerate fiscalmente trasparenti da uno Stato membro diverso da quello in cui la società è registrata o costituita.

La direttiva non prevede alcuna disposizione che permetta agli Stati membri "di rendere trasparenti" le società non residenti ammissibili[9]. Pertanto non vi è alcuna norma giuridica sulla quale uno Stato membro possa basare il rifiuto di applicare la direttiva a una società non residente che soddisfa i requisiti dell'articolo 3.

Tuttavia, anche se fosse ammissibile applicare l'approccio della trasparenza, la logica di tale approccio richiede da parte degli Stati membri in questione l'estensione dei benefici della direttiva al socio/azionista. Tale opinione è conforme alla posizione adottata nella relazione sul partenariato OCSE e nei commenti sull'articolo 1 del modello di convenzione fiscale[10].

3.3.5.3. Sede di direzione effettiva

A quanto pare, tre degli Stati membri oggetto dell'indagine chiedono, per accordare l'esenzione, che la società destinataria di un pagamento sia soggetta all'imposta sulle società nello Stato membro in cui ha la propria sede di direzione effettiva. Ciò potrebbe comportare che i benefici della direttiva siano rifiutati quando, ad esempio, lo Stato membro nel quale la società è costituita e quello nel quale essa ha la propria sede di direzione effettiva prevedono, nel loro ordinamento giuridico interno, che il luogo di costituzione è il fattore rilevante per determinare la residenza fiscale.

La direttiva non prevede alcuna disposizione che imponga di basarsi su un criterio piuttosto che un altro per determinare la residenza fiscale. Se la società è residente in un solo Stato membro, non importa se il criterio applicato dallo Stato membro di residenza sia il luogo di costituzione o di direzione effettiva. Se la società ha doppia residenza, la disposizione decisiva della convenzione applicabile sulla doppia imposizione determinerà perlopiù la residenza in base al criterio della "sede di direzione effettiva". Nell'ultima situazione, si può ragionevolmente prevedere che la società debba essere "assoggettata, senza esserne esentata, ad una delle imposte seguenti" [articolo 3, lettera a), punto (iii)] nello Stato membro in cui la società ha la propria sede di direzione effettiva[11].

3.3.5.4. Criteri di assoggettamento all'imposta

Mentre la maggior parte degli Stati membri sembra applicare un criterio "soggettivo" di assoggettamento all'imposta – cioè che si applica alla società in quanto tale e non allo specifico pagamento di interesse o di canone - alcuni di essi esigono che il pagamento stesso sia assoggettato ad imposta (criterio "oggettivo" di assoggettamento all'imposta).

Secondo l'indagine, uno Stato membro esige che la società non abbia la possibilità di essere esonerata. Detto Stato membro chiede inoltre che la società sia assoggettata, nello Stato membro di residenza, a un'imposta che per natura è identica o simile all'imposta sul reddito nel primo Stato membro.

Nessuna disposizione della direttiva prevede l'una o l'altra di queste esigenze. Anzi, le condizioni stabilite all'articolo 3, lettera a), sono esaustive e non vi è pertanto la necessità di imporre ulteriori condizioni e restrizioni.

3.3.6. Articolo 3, lettera b) – "Società consociata"

3.3.6.1. Soglia della partecipazione

Dall'indagine risulta che nessuno Stato membro ha reso meno rigida la soglia di partecipazione minima diretta del 25%, anche se uno accetta le partecipazioni indirette. Tuttavia, diversi Stati membri sono passati dal criterio "capitale" al criterio "diritti di voto", o hanno consentito che si facesse uso alternativamente dell'uno o dell'altro criterio.

Dall'indagine risulta che uno Stato membro richiede che siano soddisfatti simultaneamente entrambi i criteri, "capitale" e "diritti di voto". Nessuna disposizione della direttiva prevede l'imposizione di tale doppio criterio.

3.3.6.2. Società interessate

Uno Stato membro ha esteso la possibilità di esenzione prevista dalla direttiva, dispensando dalla prescrizione relativa alla residenza UE della società madre nella situazione descritta all'articolo 3, lettera b), punto (iii). Gli Stati membri possono essere più generosi della direttiva.

3.3.7. Articolo 3, lettera c) - SO - Definizione

La definizione di una stabile organizzazione è chiaramente modellata su quella dell'articolo 5 del modello OCSE di convenzione in materia fiscale, di cui non riproduce tuttavia l'elenco di esempi e di eccezioni che figurano all'articolo 5, paragrafi da 2 a 7.

Il fatto che la definizione della direttiva differisca leggermente da quella dell'articolo 2, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie e che nessuna delle due riproduca esattamente l'articolo 5 del modello OCSE di convenzione in materia fiscale può creare una situazione d'incertezza giuridica, in particolare nel caso di stabili organizzazioni che sono agenti dipendenti.

Per l'attuazione della direttiva, la maggior parte degli Stati membri ha scelto di utilizzare la definizione generale di stabili organizzazioni che figura nella loro normativa fiscale interna, anche se cinque Stati membri hanno introdotto una definizione specifica.

3.3.8. Articolo 4, paragrafo 2 - Esclusione di pagamenti a titolo di interessi o canoni

L'articolo 4, paragrafo 2, concerne i prezzi di trasferimento. Come risulta dal commento su tale articolo che figura nel documento COM(1998) 67 def., l'articolo è stato concepito come norma in materia di "capitalizzazione sottile". Nel commento si sostiene che qualsiasi importo riqualificato come distribuzione di profitti deve fruire dei benefici della direttiva sulle società madri e figlie[12].

Dall'indagine risulta che uno Stato membro negherebbe i benefici previsti dalla direttiva sulle società madri e figlie per i pagamenti di interessi e di canoni classificati come distribuzioni occulte di profitti, in quanto a norma della giurisprudenza nazionale tali distribuzioni non possono essere considerate dividendi. Tuttavia, tale Stato membro si trova nell'impossibilità di far pagare la ritenuta alla fonte in presenza di una convenzione sulla doppia imposizione, poiché l'articolo relativo al dividendo di detta convenzione non è applicabile[13].

È necessaria un'ulteriore riflessione per quanto riguarda il trattamento fiscale degli importi eccessivi di interessi o di canoni, che siano o meno riclassificati come distribuzioni di profitti. A seconda delle circostanze, potrebbe anche trattarsi di una discriminazione rispetto al trattamento di pagamenti nazionali dello stesso tipo.

In tale contesto occorre rilevare come secondo la Corte l'applicazione discriminatoria di disposizioni relative alla sottocapitalizzazione che comportano un rapporto fisso debiti/fondi propri ("debt/equity ratio"), senza possibilità di deroga, costituisce una restrizione sproporzionata, e dunque ingiustificabile, della libertà di stabilimento[14].

3.3.9. Articolo 5 - Frodi e abusi

Sembra che diversi Stati membri diano un'interpretazione dell'articolo 5 che autorizza il rifiuto dell'esenzione se la società destinataria è controllata da un residente in un paese terzo.

Sembra che uno Stato membro rifiuti di accordare i benefici previsti dalla direttiva a una società destinataria di un altro Stato membro che è posseduta o controllata da una persona abitualmente residente o domiciliata nel primo Stato membro.

L'articolo 3, lettera b), prevede che le "partecipazioni devono comprendere soltanto le società residenti nel territorio della Comunità". La direttiva tuttavia non stabilisce che una società capogruppo che riceve un pagamento di interessi o canoni da una società di cui detiene in parte o interamente le quote deve essere controllata da un residente nell'UE (o da un residente in uno Stato membro diverso da quello della filiale) affinché al pagamento si applichi l'esenzione.

Perdipiù l'articolo 5 deve essere interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea applicabile in materia di abusi, a norma della quale le misure antiabuso devono essere opportune e proporzionate[15]. È assai improbabile che una disposizione di diritto interno o di una convenzione sulla doppia imposizione che permette a uno Stato membro di rifiutare l'esenzione soltanto perché la società capogruppo è controllata da un residente di un paese terzo - o da un suo residente – soddisfi il criterio della proporzionalità, in quanto " non ha lo specifico obiettivo di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni di puro artificio "[16].

Occorre rammentare che la condizione di "beneficiario effettivo" dell'articolo 1 è specificamente destinata a far fronte alle costruzioni puramente artificiose. È lecito dubitare che una società che soddisfa la condizione di "beneficiario effettivo", possa essere considerata una costruzione artificiosa in applicazione dell'articolo 5.

3.4. Temi non affrontati dall'indagine

3.4.1. Pagamenti tra società

Il campo d'applicazione della direttiva è attualmente limitato ai pagamenti tra enti giuridici distinti. La direttiva non concerne dunque i casi di pagamenti all'interno di una società, ad esempio pagamenti reali o fittizi tra una sede e una stabile organizzazione, o tra due stabili organizzazioni della stessa società.

Nell'ambito dei lavori dell'OCSE sull'attribuzione di profitti alle stabili organizzazioni, è sorta l'esigenza di sapere se, sulla base di una convenzione sulla doppia imposizione, lo Stato di origine (di norma lo Stato della SO) è autorizzato a prelevare una ritenuta alla fonte, o un'altra forma di imposizione, su pagamenti fittizi di interessi o di canoni a favore della sede principale o di un'altra SO della stessa società.

La questione è ancora dibattuta, ma alcuni paesi OCSE hanno indicato di essere favorevoli all'imposizione di una ritenuta alla fonte su tali pagamenti.

La ritenuta alla fonte sui pagamenti tra società comporterebbe per gli investimenti transfrontalieri svantaggi simili o uguali a quelli che hanno portato all'adozione della direttiva. Sembra perciò opportuno valutare l'opportunità di estendere il campo d'applicazione della direttiva a tali pagamenti.

3.4.2. Partecipazioni

La soglia : l'articolo 3, lettera b), della direttiva prevede attualmente che le "partecipazioni" ai sensi di detta disposizione devono essere pari o superiori al 25% del capitale o dei diritti di voto. A norma dell'articolo 3 della direttiva sulle società madri e figlie, che contiene una disposizione simile, la soglia per le partecipazioni è stata progressivamente ridotta dal 25% all'attuale 10% del capitale o dei diritti di voto a partire dal 2009 (cfr. anche articolo 7, paragrafo 2, della direttiva sulle fusioni).

Pertanto, nonostante le tre direttive comunitarie in materia di imposte sulle società abbiano lo scopo comune di creare condizioni analoghe a quelle di un mercato interno, un gruppo di società ai sensi delle ultime due direttive non è esattamente un gruppo di società ai sensi della direttiva sugli interessi e i canoni, con la conseguenza che aumentano i costi di pianificazione e di adeguamento per le società che effettuano operazioni transfrontaliere.

La differenza tra le soglie può portare a conseguenze assurde, ad esempio quando un pagamento di interessi o di canoni è riqualificato come distribuzione di profitti. Un pagamento di interessi o di canoni tra società consociate, con una partecipazione pari ad almeno il 10% ma inferiore al 25%, non dovrebbe beneficiare dell'esenzione ai sensi della direttiva sugli interessi e i canoni, ma lo sarebbe ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie se il pagamento fosse riqualificato come distribuzione di profitti.

Partecipazioni indirette : il campo d'applicazione della direttiva è attualmente limitato alle partecipazioni dirette, mentre la direttiva sulle società madri e figlie non prevede tale limitazione. Poiché le due direttive condividono la stessa finalità - eliminare la doppia imposizione - non vi è alcuna giustificazione per tale differenza.

Estensione dell'ambito di applicazione : mentre l'eliminazione di incoerenze in merito a soglie e partecipazioni dirette o indirette rappresenterebbe un significativo miglioramento sulla situazione esistente, dalla lettura dell'articolo 8, in combinato disposto con i considerando 2, 4 e 9, si può dedurre che nelle intenzioni la direttiva doveva essere applicata anche alle imprese non collegate e l'attuale limitazione alle imprese consociate deve essere considerata come una prima fase sperimentale. È evidente che la doppia imposizione internazionale, le pesanti formalità amministrative e i problemi di liquidità nonché gli ostacoli transfrontalieri alle transazioni tra le società collegate esistono anche per i pagamenti tra parti non collegate.

Per quanto riguarda i pagamenti dei canoni, un'estensione del campo d'applicazione della direttiva alle imprese non collegate sarebbe conforme all'obiettivo dell'articolo 163 del trattato CE " … di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell'industria della Comunità, di favorire lo sviluppo della sua competitività internazionale… "

L'ampliamento del campo d'applicazione sarebbe coerente con gli articoli 11 e 12 del modello OCSE di convenzione in materia fiscale, che non prevedono distinzioni tra imprese collegate e non collegate.

Infine, andrebbe valutato l'impatto finanziario di un ampliamento. Tuttavia, probabilmente tale impatto sarebbe limitato, dato che la maggior parte degli Stati membri prevede già una rinuncia parziale o totale ai propri diritti in materia di fiscalità nell'ordinamento giuridico interno o nelle convenzioni in materia di doppia imposizione firmate con altri Stati membri.

4. CONCLUSIONE

DALL 'indagine risulta che complessivamente l'applicazione è stata soddisfacente, ma anche che in alcuni casi si sono avute un recepimento e un'interpretazione discutibili, ad esempio per quanto riguarda il periodo minimo di partecipazione, la residenza fiscale del beneficiario effettivo, la soglia della partecipazione, la riqualificazione dei profitti occulti, la correlazione tra la direttiva sugli interessi e i canoni e quella sulle società madri e figlie nonché la clausola su frodi e abusi.

È inoltre chiaro che potrebbero essere necessari un dibattito più approfondito e ulteriori orientamenti per quanto riguarda i concetti fondamentali della direttiva, al fine di giungere a un'uniformità di interpretazione e ridurre l'incertezza giuridica. È necessario riflettere sulle implicazioni di un'applicazione e di un'interpretazione non uniformi del concetto di stabile organizzazione nel contesto della direttiva e di utilizzare una definizione di SO diversa da quella dell'articolo 5 del modello di convenzione fiscale, ad esempio per quanto riguarda l'eventuale esclusione di stabili organizzazioni che sono agenzie.

Quanto agli emendamenti intesi a migliorare il funzionamento della direttiva, una nuova formulazione dell'articolo 1, paragrafo 3, permetterebbe di eliminare quella che può essere considerata come una discriminazione ingiustificabile tra controllate e stabili organizzazioni. E a livello di coerenza e di concordanza, l'allineamento dei criteri di partecipazione previsti dalla direttiva con quelli delle direttive sulle società madri e figlie e sulle fusioni dovrebbe chiaramente costituire una priorità. Si potrebbe prendere in esame l'eventuale ampliamento del campo di applicazione della direttiva alle imprese non collegate, per valutarne il potenziale al fine di promuovere gli obiettivi di Lisbona.

[1] GU L 157 del 26.6.2003, pag. 49.

[2] GU L 168 dell'1.5.2004, pag. 35.

[3] GU L 157 del 30.4.2004, pag. 106.

[4] Le deroghe per la Bulgaria e la Romania sono previste nell'atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l'Unione europea, allegato VI, punto 6, e allegato VII, punto 7, GU L 157 del 21.6.2005, pagg. 289 e 329.

[5] Sentenza del 17 ottobre 1996 nella cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94 Denkavit International BV contro Bundesamt für Finanzen , punto 27.

[6] Punto 31.

[7] Denkavit , punto 33.

[8] Direttiva 2001/44/CE del Consiglio, del 15 giugno 2001, che modifica la direttiva 76/308/CEE relativa all'assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da operazioni che fanno parte del sistema di finanziamento del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia, nonché dei prelievi agricoli, dei dazi doganali, dell'imposta sul valore aggiunto e di talune accise. GU L 175 del 28.6.2001, pagg. 17-20.

[9] Che soddisfano tutti i criteri di cui all'articolo 3.

[10] Cfr. in particolare i paragrafi 6.4 e 6.5.

[11] Tale posizione potrebbe essere contestata in quanto se una stabile organizzazione è beneficiaria di un pagamento di interessi o di canoni dovrebbe essere sufficiente che la società sia soggetta nello Stato membro della stabile organizzazione all’imposta sui profitti a questa attribuibili

[12] Cfr. il parere dell’AG Mischo del 26.9.2002 nella causa C-324/00 Lankhorst-Hohorst .

[13] Si possono esprimere dubbi su questa affermazione. In una riserva formulata sull'articolo 10, paragrafo 3, del modello OCSE di convenzione in materia fiscale, lo Stato membro in questione si riserva il diritto di ampliare la definizione di dividendi del paragrafo 3 in modo da includere tutti i redditi assoggettati al regime fiscale delle partecipazioni. Un pagamento non deve pertanto necessariamente essere qualificato come 'dividendo' nell’ambito del diritto interno di detto Stato membro per essere considerato un 'dividendo' ai fini dell’applicazione dell'articolo 10, paragrafo 3.

[14] Causa C-105/07 Lammers , punto 32. Cfr. inoltre causa C-524/04 Thin Cap Group Litigation , punto 92.

[15] Sentenza della Corte del 17 luglio 1997 nella causa C-28/95 Leur-Bloem contro Inspecteur der Belastingdienst/Ondernemingen Amsterdam 2, punto 44.

[16] Sentenza della Corte del 13 marzo 2007 nella causa C-524/04 Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation v Commissioners of Inland Revenue, punto 79.

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