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Document 52002IE0866

Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Strategia di coesione economica e sociale dell'UE"

GU C 241 del 7.10.2002, p. 151–160 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

52002IE0866

Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Strategia di coesione economica e sociale dell'UE"

Gazzetta ufficiale n. C 241 del 07/10/2002 pag. 0151 - 0160


Parere del Comitato economico e sociale sul tema "Strategia di coesione economica e sociale dell'UE"

(2002/C 241/29)

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 12 luglio 2001, di elaborare, a norma del disposto dell'articolo 23, paragrafo 3, del Regolamento interno, un parere d'iniziativa in merito al tema di cui sopra.

Il sottocomitato Strategia di coesione economica e sociale dell'UE, incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Christie in data 14 giugno 2002.

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 18 luglio 2002, nel corso della 392a sessione plenaria, con 84 voti favorevoli, 0 voti contrari e 6 astensioni, il seguente parere.

1. Il ruolo dei fondi strutturali nella strategia di coesione economica e sociale

1.1. Dal 1988 le attività di carattere strutturale dell'Unione europea sono state guidate da quattro principi: concentrazione degli sforzi, programmazione degli aiuti economici, addizionalità da parte degli Stati membri e partenariato nella definizione e attuazione degli interventi di aiuto finanziario a livello regionale. Successive relazioni della Commissione (la più recente è la seconda relazione sulla coesione) hanno stabilito che le misure attuate dalle azioni strutturali hanno compiuto costanti progressi nella riduzione delle disparità economiche e sociali tra le regioni dell'UE. Come previsto, i progressi verso la convergenza sono stati più evidenti nelle regioni ammissibili agli aiuti previsti nel quadro dell'obiettivo 1 dei fondi strutturali. Benchè permanga un forte divario fra i redditi pro capite delle regioni più ricche dell'UE e quelli delle regioni più povere, i dati dimostrano che, dal 1988, nelle regioni più povere il reddito pro capite si è avvicinato alla media UE.

1.2. Le riforme del 1998 hanno avuto un forte impatto, soprattutto per le regioni meno prospere dell'UE, dove sono stati conseguiti notevoli progressi in termini di coesione sociale.

1.2.1. Quanto alla coesione sociale valutata in termini di disparità regionali del reddito pro capite, i fondi strutturali hanno fatto notevoli progressi verso il conseguimento dei loro obiettivi. Secondo i dati presentati dalla Commissione nella seconda relazione sulla coesione, il reddito pro capite nei tre paesi UE più poveri (Grecia, Portogallo e Spagna) è passato dal 68 % della media UE nel 1988 al 79 % nel 1999. Tuttavia, trattandosi di un processo per sua natura di lungo periodo, anche se la convergenza economica mantenesse questo ritmo, la Commissione valuta che saranno necessari altri 20-30 anni per allineare il reddito pro capite di questi paesi alla media dell'UE attuale.

1.2.2. La coesione sociale misurata in termini di disoccupazione regionale si è dimostrata un problema più difficile da affrontare. Nonostante la forte creazione di posti di lavoro verificatasi nell'UE fin dalla metà degli anni '90, che ha visto il tasso di disoccupazione scendere da oltre l'11 % all'8 % circa, nel corso degli anni '90 le disparità regionali dei tassi di disoccupazione si sono accentuate dopo il calo seguito agli ultimi anni '80, che erano stati caratterizzati da un'elevata crescita occupazionale. Come risulta dalla seconda relazione sulla coesione, nel 1999 le regioni a disoccupazione minima registravano un tasso medio pari al 3 % (come all'inizio degli anni '70), mentre le regioni a disoccupazione più elevata accusavano un tasso medio del 23 % (di gran lunga superiore a quello dell'inizio degli anni '70). Per il 2000 la prima relazione intermedia sulla coesione economica e sociale evidenzia un tasso medio di occupazione del 77,2 % nel 10 % delle regioni più favorite al riguardo, mentre nel 10 % delle regioni che registrano le statistiche meno buone in assoluto tale tasso è del 46 %.

1.2.2.1. Un elemento positivo è stato il lieve declino del numero dei disoccupati di lungo periodo (ossia coloro che restano senza lavoro per oltre un anno), passato dal 49 % al 46 % del totale dei disoccupati tra il 1997 e il 1999. Tuttavia, come altri aspetti della disoccupazione, la disoccupazione di lungo periodo subisce forti variazioni nei diversi paesi dell'UE, passando da oltre il 60 % nell'Italia del sud, in diverse regioni della Grecia e in Belgio, a meno del 20 % in Austria, Regno Unito e Finlandia. Anche durante periodi di crescita relativamente sostenuta è particolarmente difficile ridurre il livello della disoccupazione di lungo periodo.

1.2.2.2. Un'altra componente che caratterizza i mercati del lavoro dell'UE è la disoccupazione giovanile. Nel 1999 in Spagna, Finlandia e Italia essa superava il 30 % e persino il 50 % in alcune regioni dell'Italia e della Spagna.

1.2.2.3. Per quanto dall'inizio degli anni '90 la disoccupazione femminile si sia ridotta, attestandosi al di sotto del 10 % nel 2000, in molti Stati membri e in numerose regioni il divario fra la disoccupazione maschile e femminile rimane sensibile. È chiaro che questo particolare problema è destinato ad accentuarsi con l'allargamento e che un maggior numero di posti di lavoro per le donne offre un notevole potenziale di crescita per l'intera UE.

1.3. L'andamento dei mercati del lavoro dell'UE mette in risalto le sfide da sormontare affinchè l'UE riesca a raggiungere gli obiettivi occupazionali decisi due anni fa a Lisbona. Allora l'UE aveva stabilito come obiettivo un tasso di occupazione del 70 % entro il 2010 (dal 63,8 % del 2000) e un aumento del numero delle donne occupate al 60 %. Questi obiettivi sono poi stati ulteriormente confermati dai capi di Stato e di governo dell'UE ai vertici di Nizza e di Barcellona.

1.3.1. Manifestamente le politiche dell'UE in materia di coesione economica e sociale sono cruciali per realizzare gli obiettivi occupazionali convenuti a Lisbona. Le politiche strutturali dell'UE costituiscono uno strumento chiave per promuovere il potenziale di crescita economica nelle regioni industriali in ritardo o in declino, e quindi accrescere le possibilità di creazione di posti di lavoro in tali regioni.

1.4. Per il prossimo futuro restano varie perplessità circa il proseguimento dei progressi verso una maggiore coesione economica e sociale.

1.4.1. In primo luogo, il mantenimento di un tasso elevato di creazione di posti di lavoro dipende dal persistere di una crescita economica relativamente sostenuta nelle economie dell'UE. L'indebolimento dell'economia statunitense, insieme ai contraccolpi economici degli attacchi terroristici dell'11 settembre e delle persistenti incertezze sui mercati finanziari globali, hanno avuto ripercussioni negative sulle economie dell'UE: le previsioni circa la crescita economica per il prossimo anno sono state quindi rivedute verso il basso. Stando ai dati attualmente disponibili, nel 2001 la crescita economica dell'UE è stata dell'1,7 % rispetto alla previsione iniziale del 3 %.

1.4.2. In secondo luogo, nonostante l'elevato livello di disoccupazione, di recente molte economie dell'UE hanno risentito di carenze di mano d'opera. È un fenomeno che evidenzia l'emergere dell'inadeguatezza delle qualifiche, problema che può essere affrontato in modo ottimale mediante politiche orientate all'avvenire, intese ad adattare le qualifiche della forza lavoro all'evolvere dello sviluppo economico, alle quali partecipino tutti gli attori, compresi i datori di lavoro e i lavoratori.

1.4.3. In terzo luogo, talvolta vengono espresse perplessità circa la scarsa flessibilità dei mercati del lavoro dell'UE, che scoraggia le imprese dall'assumere ulteriore mano d'opera per timore di non poter poi ricorrere ai tagli di personale qualora la situazione economica cambi. Ne risulta che il potenziale occupazionale della crescita economica dell'UE è inferiore a quello, ad esempio, dell'economia degli Stati Uniti.

1.4.4. In quarto luogo, le disparità regionali fra i tassi di disoccupazione possono accentuarsi con un eventuale aumento degli shock economici settoriali, cosa molto probabile nelle regioni che dipendono fortemente dall'attività agricola e dalla pesca. Le ulteriori riforme della PAC provocheranno probabilmente nuove perdite di posti di lavoro nelle zone rurali, con conseguente aggravamento delle disparità sociali tra le regioni interessate e la media UE.

1.4.5. Tutti i fattori sopraindicati evidenziano l'esigenza persistente di attuare politiche efficaci in materia di fondi strutturali nelle regioni svantaggiate dell'UE.

1.5. La promozione di una maggiore coesione economica e sociale al livello dell'UE rappresenta il principale sforzo profuso dall'Unione per affrontare il problema della povertà. Benchè gli interventi in questo senso compiuti dall'UE attraverso i fondi strutturali rappresentino solo una piccola parte del pacchetto globale di misure intese a combattere la povertà (la maggior parte delle quali è a livello nazionale), resta il fatto che l'aspetto dei fondi strutturali diretto a promuovere l'attività economica ed a creare occupazione è un elemento visibile ed efficace nella lotta contro la povertà in tutta l'UE.

1.5.1. Tra le cause principali del persistere dei redditi bassi si annoverano la disoccupazione, lo scarso livello d'istruzione ed una forte dipendenza economica all'interno della famiglia. A parte l'incidenza di altri importanti fattori, tra cui quelli demografici, che esulano dal campo d'azione della politica dell'UE, si prevede che la quota delle persone con un basso reddito potrà essere ridotta grazie ad una persistente crescita economica e a livelli di occupazione più elevati. È in questo senso che i fondi strutturali UE hanno maggiori probabilità di contribuire efficacemente alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale.

1.6. Da questa panoramica del contesto e dei risultati conseguiti dai fondi strutturali risulta chiaro che essi restano un elemento centrale delle politiche dell'UE intese ad aumentare il tasso di crescita economica, a promuovere l'occupazione e a combattere l'esclusione sociale nelle regioni meno favorite dell'UE. È inoltre evidente che molto resta ancora molto da fare circa la coesione economica e sociale.

1.7. L'importanza di una maggiore coesione economica e sociale, tuttavia, può essere apprezzata considerando non solo i risultati conseguiti a vantaggio dell'intera società dell'UE, ma anche le conseguenze di un mancato rafforzamento della coesione. In quel caso, cioè qualora le politiche di coesione economica e sociale dell'UE venissero relegate ad un ruolo di secondo piano, verrebbe meno una condizione essenziale per sviluppare la coesione della nostra società e le condizioni materiali dei gruppi emarginati ed esclusi probabilmente si deteriorerebbe, cosa che potrebbe minare l'attuale grado di solidarietà politica nell'UE. Come messo in chiaro dal dibattito sulla "governance", l'UE deve dimostrare la sua capacità di rispondere ai bisogni fondamentali dei cittadini. Qualsiasi indebolimento degli sforzi dell'UE intesi a raggiungere una maggiore coesione economica e sociale comprometterebbe la credibilità della stessa Unione come sistema politico ed economico in grado di andare incontro alle aspirazioni dei cittadini.

2. Le sfide con le quali devono confrontarsi le politiche UE di coesione economica e sociale

2.1. L'imminente dibattito sul futuro dei fondi strutturali verterà fra l'altro sui motivi che giustificano il mantenimento o il potenziamento del ruolo dell'UE nell'attuazione delle politiche di coesione economica e sociale. Secondo il Comitato l'UE dovrebbe mantenere un ruolo centrale nella progettazione e nell'utilizzo dei fondi strutturali. Oltre a permettere di consolidare i successi delle azioni strutturali e di proseguire sulla loro scia, ciò sarà opportuno anche nel contesto delle sfide alla coesione economica e sociale che probabilmente emergeranno in futuro.

2.2. Allargamento - L'imminente allargamento porterà nell'UE fino a 10 paesi caratterizzati in genere da bassi livelli di reddito pro capite, problemi di disoccupazione e arretratezza economica, fermo restando che esistono eccezioni di rilievo sia tra i paesi candidati che all'interno di essi. Se di per sè l'adesione all'UE migliorerà le prospettive economiche di questi paesi grazie a maggiori possibilità di scambi commerciali ed a investimenti esteri diretti, è altamente improbabile che senza il fattivo aiuto economico dei fondi strutturali il processo di ripresa economica risulti poi abbastanza rapido da soddisfare le legittime aspirazioni dei cittadini di questi paesi. Inoltre, i fondi strutturali offrono vantaggi che vanno al di là degli aspetti finanziari: dal 1988, anno della loro riforma, hanno infatti permesso di trarre insegnamenti di fondamentale importanza per lo sviluppo economico. È indispensabile che l'UE rimanga in grado di sovrintendere gli sforzi di sviluppo economico a livello regionale, per assicurare l'applicazione delle migliori prassi ai nuovi Stati membri.

2.3. Globalizzazione - Il fenomeno della globalizzazione continuerà inevitabilmente ad intensificarsi. Ciò avrà probabilmente un duplice effetto sull'UE nel quadro degli interventi dei fondi strutturali. In primo luogo non mancherà di modificare la struttura occupazionale dell'UE in tutti i settori produttivi, dato che le società "globali" adatteranno le loro strategie di acquisti e di vendite in funzione delle nuove opportunità offerte dalla progressiva liberalizzazione del commercio internazionale nel settore dei beni e dei servizi. Di conseguenza, col passar del tempo l'UE potrebbe incontrare sempre maggiori difficoltà legate all'adeguamento economico e, quindi, alla coesione economica e sociale. In secondo luogo, la quota degli investimenti delle imprese all'interno dell'UE potrebbe scendere man mano che le imprese nazionali e straniere si trasferiranno per approfittare di opportunità d'investimento più redditizie altrove. Man mano che aumenteranno gli investimenti dell'UE all'estero, e/o diminuiranno gli investimenti esteri nell'UE, si moltiplicheranno le difficoltà per assicurare la crescita occupazionale e salariale nella stessa Unione.

2.3.1. In tale contesto, e dato che da soli i singoli Stati membri difficilmente possono mettere a punto politiche in grado di riassestare i conseguenti squilibri economici, diventerà sempre più importante unire e coordinare gli sforzi di coesione al livello dell'UE.

2.3.2. In particolare il Comitato sottolinea la necessità di misure dei fondi strutturali che riducano gli squilibri regionali nei livelli di competitività e di produttività. Solo allora tutte le regioni dell'UE potranno beneficiare delle opportunità schiuse dal procedere della globalizzazione. Questo è in linea con la strategia di Lisbona e addita lo sviluppo delle risorse umane come elemento centrale di una futura strategia economica e di coesione.

2.4. Squilibri centro-periferia - Insieme l'allargamento e la globalizzazione, presentano il serio rischio di provocare, come conseguenza economica generale, l'esasperazione della dinamica centro-periferia nell'intera UE. Il Comitato, che ha già affrontato l'argomento, fa presente che la Commissione ha esplicitamente riconosciuto questo rischio nella seconda relazione sulla coesione.

2.4.1. Il concetto di dualismo economico viene spesso usato per descrivere un'economia caratterizzata da un centro prospero, con un elevato tasso di occupazione e una forte dinamica economica, e da una periferia afflitta da basso tasso di crescita, elevato tasso di disoccupazione e ristagno economico. In effetti ciò descrive una situazione nella quale coesistono due economie differenti (e potenzialmente divergenti) in un'unica area economica. In questi casi il problema è che, se lasciate a se stesse, le forze di mercato hanno maggiori probabilità di consolidare piuttosto che d'invertire il processo che porta al dualismo economico. Si rischia quindi che, distruggendo il potenziale produttivo e competitivo della periferia, a lungo termine il dualismo economico comprometta il potenziale produttivo di tutta l'area. Potrebbe inoltre produrre una sfasatura inaccettabile sotto il profilo della coesione economica e sociale.

2.4.2. Se, da un lato, le imprese traggono vantaggi dall'ubicazione al centro dell'area economica, dall'altro le politiche di coesione economica e sociale mirano ad accrescere il potere d'attrazione delle regioni periferiche. Il modo migliore per conseguire questo risultato non potrà consistere nel limitare la libertà delle imprese di decidere dove insediarsi: occorrerà piuttosto continuare a sviluppare e ad applicare politiche che accrescano la competitività delle regioni periferiche, investendo cioè nelle risorse umane, modernizzando le infrastrutture economiche periferiche (sistemi di comunicazione e trasporto) e introducendo misure che rendano più attraenti le località interessate (strutture per la ricerca e la formazione, miglioramento delle condizioni ambientali, ecc.).

2.4.3. L'argomento inconfutabile a favore dell'ulteriore affinamento e sviluppo delle politiche strutturali UE è che altrimenti i benefici economici della globalizzazione e dell'allargamento andranno solo a poche regioni centrali dell'UE. Nel contempo, le numerose regioni periferiche (incluse le aree montuose molto svantaggiate e le comunità insulari) sono destinate a perdere, non necessariamente in termini assoluti, ma certamente in termini relativi. Se negli ultimi 20-30 anni la distribuzione geografica delle attività economiche in tutta l'UE non è cambiata in maniera significativa, durante il prossimo decennio gli effetti combinati sull'Unione economica e monetaria, l'allargamento ai PECO e la rapida accelerazione della globalizzazione condurranno quasi certamente ad una maggiore concentrazione dell'attività economica. Vi sono quindi validi motivi per estendere le azioni strutturali a livello UE in modo da rispondere a queste nuove sfide che potrebbero avere conseguenze devastanti.

2.5. Stabilità macroeconomica - I progressi verso la coesione economica e sociale saranno nettamente facilitati da un contesto di stabilità macroeconomica e di crescita economica costante. Il completamento della terza fase dell'unione economica e monetaria ha consentito una maggiore stabilità economica e politica nell'intera UE ed ha accresciuto il ruolo dell'UE nell'economia globale. Per l'avvenire, tuttavia, l'unico modo per far avanzare la necessaria politica economica europea implicherà che la Commissione europea additi indirizzi di massima più efficaci per le politiche economiche e che si attuino procedure più coordinate con decisioni vincolanti. Il mix delle politiche macroeconomiche a livello comunitario, attuato in modo da tener conto delle diverse strutture degli Stati membri, va pertanto rafforzato e integrato da politiche strutturali incisive a tutti i livelli. Uno shock asimmetrico che colpisca tutta l'UE in maniera non uniforme potrebbe compromettere la stabilità economica di alcuni paesi per assicurare la stabilità nella maggioranza degli Stati membri.

2.5.1. Ad oggi l'UE non ha messo a punto alcuno strumento di politica economica esplicitamente finalizzato a stabilizzare i livelli di occupazione e/o di reddito degli Stati membri o delle regioni. Data la natura "globale" della politica monetaria per la zona dell'euro, e viste le restrizioni imposte dal Patto di stabilità e di crescita (PSC) sulle politiche di stabilizzazione degli Stati membri (cioè la riduzione del deficit di bilancio), nel medio termine le pressioni sulle politiche strutturali dell'UE possono intensificarsi. Come sono congegnati attualmente, questi fondi non sono in grado di far fronte opportunamente a perturbazioni improvvise dei livelli occupazionali o salariali degli Stati membri. Ciò potrebbe indurre i cittadini europei a mettere in dubbio il ruolo dell'UE, a pensare cioè che sia la stessa UE a contribuire a creare perturbazioni economiche, o che comunque essa non riesca a fronteggiare tali eventi imprevisti.

2.5.2. Benchè le conclusioni di Lisbona e il metodo di coordinamento aperto delle politiche presentino numerosi aspetti positivi, in ultima analisi l'UE potrebbe essere costretta a impegnarsi maggiormente nelle azioni strutturali (possibilmente estendendole, conferendo loro anche una funzione stabilizzatrice) per fornire aiuti appropriati alle regioni o agli Stati membri afflitti da difficoltà economiche che non possono essere affrontate adeguatamente in altri modi.

2.6. Modello sociale europeo - Il modello sociale europeo e l'economia sociale di mercato restano elementi centrali dei meccanismi economici e sociali dell'Unione europea. Prevedendo la partecipazione di tutti gli attori al processo decisionale economico e sociale, questi meccanismi servono a rafforzare i principi di solidarietà e d'integrazione sociale tra i cittadini dell'UE. Non a caso il modello sociale europeo svolge un ruolo chiave nella lotta contro la povertà e l'esclusione sociale negli Stati membri dell'UE. Ogni iniziativa intesa a modificare radicalmente questi meccanismi rischia di danneggiare la coesione e di assoggettare le azioni strutturali a livello UE a ulteriori pressioni.

2.6.1. Nel contempo è importante che i meccanismi del modello sociale continuino a sostenere il funzionamento del mercato del lavoro dell'UE promuovendo la cultura imprenditoriale necessaria per alimentare il processo di crescita economica. L'occupazione, come gli investimenti nel settore pubblico e privato, resta l'arma principale per combattere l'esclusione sociale e la povertà, soprattutto tra i gruppi che tradizionalmente incontrano difficoltà nel trovare occupazione, anzitutto le donne, i giovani, i disoccupati di lungo periodo e altri gruppi emarginati o svantaggiati della società. Le politiche del mercato del lavoro attuate dall'UE dovrebbero quindi continuare a svilupparsi in linea con un'economia di mercato dinamica, capace di far fronte alle sfide poste da una concorrenza internazionale più forte.

2.6.2. Ove necessario è quindi importante portare avanti le riforme delle prassi vigenti sul mercato del lavoro dell'UE, qualora esse producano livelli più elevati di occupazione ed una più forte coesione economica e sociale. In ultima analisi ciò consentirà di concentrare pienamente le azioni strutturali dell'UE sulle regioni che più delle altre hanno bisogno di aiuto. Questo punto di vista è in sintonia con le conclusioni del vertice di Lisbona, durante il quale i capi di Stato e di governo si sono impegnati a modernizzare il modello sociale europeo.

2.7. Unione monetaria. Per quanto l'unione monetaria offra notevoli vantaggi economici all'UE, permane il rischio che le regioni esposte a contraccolpi economici negativi abbiano difficoltà a fronteggiare le conseguenti eventuali perdite di posti di lavoro a livello locale. Al tempo stesso, i vincoli che il Patto di stabilità e di crescita impone possono limitare la capacità dei governi nazionali di venire direttamente in aiuto alle regioni soggette a tali contraccolpi. È sotto questo profilo che in avvenire i fondi strutturali potranno svolgere un ruolo maggiore di quello avuto sinora.

3. Il futuro delle politiche di coesione economica e sociale

3.1. È evidente che l'economia e la società europea si trovano di fronte a tutta una serie di difficoltà e che ciò andrà tenuto presente nel dibattito sull'avvenire dei fondi strutturali dopo il 2006. Per saper affrontare le sfide che si profilano è anzitutto utile esaminare cinque quesiti sottesi, di cui occorrerà tener conto nelle disposizioni da prendere in avvenire (e nel futuro dibattito), ossia:

3.1.1. I cittadini europei sono pronti ad impegnarsi, nel periodo successivo al 2006, a proseguire gli sforzi intrapresi sin dalla politica e dalle riforme del 1988 per conseguire un maggior grado di coesione economica e sociale nell'intera Unione?

3.1.2. Dopo il 2006 saranno disposti a proseguire lo stesso approccio di base della coesione economica e sociale che si era adottato dal 1998, un approccio che si basava sui quattro principi: concentrazione, programmazione, partenariato e addizionalità?

3.1.3. In quale modo è possibile tener conto delle lezioni apprese dal passato nel definire e attuare le future politiche di coesione, ossia far tesoro delle migliori pratiche?

3.1.4. Quale ruolo incomberà alla Commissione nelle future politiche di coesione? Dovremo mantenere il sistema attuale, che vede la Commissione occuparsi della definizione e dell'attuazione delle politiche insieme agli Stati membri, oppure agli Stati membri andrà affidato un ruolo più importante in questo processo politico?

3.1.5. Quale ruolo dovrà essere assegnato agli interlocutori economici e sociali in qualsiasi dispositivo rinnovato per la definizione e l'attuazione delle politiche di coesione?

3.2. La coesione in avvenire. La coesione economica e sociale è un obbligo che il trattato impone all'Unione europea, e non dovrebbe essere compromessa da considerazioni a breve termine. Da molto tempo, ormai, il Comitato ritiene che ciò implichi, per gli Stati membri, la disponibilità a finanziare il bilancio dell'UE nella misura necessaria per realizzare quest'obiettivo. Ciò può richiedere una revisione del "tetto" alla spesa dei fondi sociali, come quota della spesa complessiva, deciso al vertice di Berlino. È inoltre chiaro che gli obiettivi occupazionali stabiliti a Lisbona sono in sintonia con le attività dei fondi strutturali e possono beneficiarne, specie per quanto riguarda le misure destinate specificamente ad accrescere la competitività economica delle regioni in ritardo di sviluppo e di quelle che accusano un declino delle attività industriali.

3.2.1. Le regioni con bassi livelli di reddito pro capite richiedono cospicui trasferimenti finanziari affinchè siano possibili livelli di consumo privato e pubblico comparabile sia all'interno degli Stati membri che fra di essi. Per evitare la dipendenza nel lungo periodo occorre prendere le disposizioni necessarie per assicurare che le regioni più povere beneficino delle condizioni indispensabili al loro sviluppo economico a lungo termine e per assicurare alle loro popolazioni un accesso a servizi pubblici di qualità pari a quella disponibile nelle altre regioni.

3.2.2. Ciò implica che dopo il 2006 le azioni strutturali dell'UE andranno finanziate e mirate adeguatamente, oltre che gestite a dovere, se si vuole che continuino ad aver successo. Può risultare necessario rivedere l'attuale tetto sul totale complessivo dei fondi strutturali che può essere applicato ad uno Stato membro (pari al 4 % del PIL), e ciò tenendo conto delle esigenze degli Stati candidati in materia di sviluppo economico regionale. Beninteso, al tempo stesso sarà indispensabile che tali paesi abbiano la capacità di assorbire l'assistenza dei fondi strutturali in programmi di sviluppo economico che diano un effettivo contributo positivo all'espansione economica regionale, e che non provochino distorsioni sui mercati locali del lavoro e/o dei capitali.

3.3. I quattro principi della coesione economica e sociale. Alla luce dei dati forniti dalla Commissione, sia nella seconda relazione sulla coesione economica e sociale che nella Prima relazione intermedia sulla coesione economica e sociale, il Comitato conclude che durante il periodo di finanziamenti successivo al 2006 occorrerà mantenere, e sviluppare, i quattro principi che sottendono ai fondi strutturali.

3.3.1. Di questi quattro principi, la questione più controversa riguarderà l'avvenire del principio della concentrazione. Tenuto conto delle sfide che l'ampliamento comporta, sembra emergere un consenso (condiviso dallo stesso Comitato) sulla necessità di mantenere l'obiettivo 1 dei fondi strutturali anche dopo il 2006, e ciò non solo per i paesi candidati. Può risultare tuttavia necessario un ritocco verso l'alto della soglia del 75 % in termini di PIL pro capite relativa all'ammissibilità all'obiettivo 1, ciò per assicurare che le regioni attualmente ammissibili agli aiuti, e il cui stato di necessità proseguirà oltre il 2006, non perdano l'ammissibilità a causa dell'effetto statistico dell'allargamento, il quale abbasserà il livello del PIL pro capite medio nell'UE portando alcuni attuali beneficiari al di sopra della soglia di ammissibilità.

3.3.1.1. Nel successivo lavoro di revisione occorrerà prestare particolare attenzione alle regioni insulari, di montagna, a bassa densità demografica e ultraperiferiche dell'UE.

3.3.2. Occorrerà inoltre riflettere sull'avvenire dell'obiettivo 2. Dopo le riforme dell'Agenda 2000 l'obiettivo 2 comprende non solo i comprensori industriali in declino, ma anche aree urbane, zone rurali e aree dipendenti dalla pesca. Il Comitato giudica necessario mantenere gli aiuti previsti dall'obiettivo 2, fermo restando che potrebbe essere necessario rivedere il livello del sostegno (ad esempio la percentuale dell'intervento finanziario dei fondi strutturali e la definizione dei progetti ammissibili).

3.3.2.1. Il mantenimento degli aiuti alle zone che rientrano nell'obiettivo 2 è motivato non solo dal persistere dei problemi di sviluppo economico che le zone ammissibili continueranno probabilmente ad avere, ma anche dal fatto che i fondi strutturali dell'UE costituiscono uno strumento chiave per mantenere il sostegno fornito dalle politiche regionali a livello nazionale e per coinvolgere finanziamenti privati nelle iniziative di sviluppo economico a livello regionale. Inoltre, la politica dell'UE offre agli Stati membri un meccanismo prezioso per far tesoro, nelle rispettive politiche, delle "migliori pratiche" negli approcci adottati in materia di sviluppo economico a livello regionale. Sotto entrambi questi punti di vista le politiche strutturali dell'UE offrono un notevole valore aggiunto alle regioni dell'obiettivo 2.

3.3.3. È altresì indispensabile mantenere come prioritario l'impegno dell'UE in materia di sviluppo delle risorse umane attraverso le misure orizzontali previste nel quadro dell'obiettivo 3 dei fondi strutturali. Sarà grazie a queste misure che l'UE riuscirà a innalzare i livelli occupazionali e la crescita economica nel lungo periodo e a realizzare gli obiettivi decisi al vertice di Lisbona.

3.4. Tecniche basate sulle migliori prassi nello sviluppo economico a livello regionale. Come si può desumere da quanto precede, le politiche strutturali dell'UE e i relativi regolamenti offrono la possibilità di diffondere nell'intera Unione politiche di sviluppo economico regionale basate sulle migliori prassi. Anche se probabilmente, a causa delle differenze di potenziale e di condizioni economiche, non esiste un unico approccio che possa funzionare in tutti gli Stati membri, la Commissione dispone comunque di abbondanti informazioni sugli approcci più o meno efficaci. È nell'interesse di tutti che la Commissione faccia tesoro di queste informazioni nella messa a punto sia dei regolamenti che saranno applicabili ai fondi strutturali dopo il 2006 sia delle relative disposizioni amministrative.

3.4.1. Un utile esempio al riguardo potrà venire dagli insegnamenti che si possono trarre dallo sviluppo economico dei nuovi Länder tedeschi e dall'utilità che tale esperienza può offrire per i paesi candidati Peco.

3.5. Il ruolo della Commissione - In quale misura i governi degli Stati membri, a livello sia nazionale che subnazionale, dovrebbero svolgere un ruolo diverso nella definizione e attuazione dei programmi dei fondi strutturali? Il Comitato rimane convinto che la supervisione finale dei fondi strutturali al livello dell'UE abbia costituito un aspetto importante del successo conseguito finora, soprattutto nelle regioni dell'obiettivo 1. Come si è accennato in precedenza, oltre ad esercitare la responsabilità legata all'erogazione di fondi comuni, la Commissione deve svolgere un ruolo fondamentale per garantire che i programmi di sviluppo regionale siano conformi agli obiettivi dei fondi e che tutti i beneficiari applichino le migliori prassi.

3.5.1. Affinchè le regioni più povere possano guadagnare terreno è indispensabile una politica regionale proattiva a favore del capitale materiale e umano sotto l'egida dei fondi strutturali. Ciò presuppone la costante valutazione dell'efficienza e delle incidenze a lungo termine, che non dovrebbe concentrarsi prevalentemente sui benefici a breve termine per l'occupazione. La Commissione è l'istituzione più idonea per svolgere questo compito e assicurare un opportuno grado di coordinamento fra le politiche strutturali e altre politiche dell'UE.

3.6. Nel contempo, è evidente che la definizione e la gestione dei programmi dei fondi strutturali devono svolgersi nel pieno rispetto della sussidiarietà. Ciò implica la partecipazione piena e attiva dei poteri locali e degli interlocutori economici e sociali, e non, o almeno non soltanto, il rafforzamento del ruolo dei governi nazionali. Il Comitato non ravvisa alcun interesse in proposte che, nei fatti, restituissero il controllo dei fondi strutturali ai governi degli Stati membri, come accadeva prima della riforma del 1988.

3.6.1. In effetti, le regole che disciplinano i fondi strutturali dovrebbero continuare a tener conto delle priorità comuni dell'UE nella progettazione e nella realizzazione delle azioni strutturali. In avvenire potrebbe essere opportuno un maggior grado di condizionalità (come per l'attuale riserva di efficacia ed efficienza). Ad esempio, la Commissione potrebbe puntare maggiormente sugli obiettivi (ad es. i tassi di riuscita in termini di occupazione e crescita) che i fondi si prefiggono. Dato che la domanda eccede le risorse limitate, è fondamentale che i fondi diano il massimo rendimento.

3.7. Modulazione degli aiuti - Il Comitato invita la Commissione a prevedere una modulazione più marcata degli aiuti disponibili nel quadro dei fondi strutturali, soprattutto per quanto riguarda le regioni dell'obiettivo 1. Dato che può non essere possibile finanziare interamente le maggiori richieste cui i fondi saranno soggetti in un'Unione allargata, potrebbe essere necessario coinvolgere maggiormente il settore privato (e quindi i finanziamenti privati) nelle attività di sviluppo regionale. Una delle soluzioni potrebbe consistere nell'incoraggiare, alle condizioni dei regolamenti sui fondi strutturali del periodo successivo al 2006, un maggiore apporto dei partenariati fra i settori pubblico e privato là dove ciò è possibile e al tempo stesso contribuisce alla realizzazione degli obiettivi delle politiche dell'UE. Probabilmente una tale soluzione si presterà meglio, ad esempio, alle regioni che attualmente rientrano nell'obiettivo 2, e si presterà meno alle regioni dell'obiettivo 1 dei paesi candidati.

3.8. Ruolo delle politiche nazionali - Le misure dei fondi strutturali funzioneranno in maniera ottimale se accompagnate dalla riforma delle politiche e delle prassi nazionali che o non riescono a sfruttare, o cancellano, le possibilità di crescita economica a livello regionale. Le politiche nazionali svolgono un ruolo più importante, ed è poco realistico aspettarsi che gli interventi comunitari ne controbilancino quegli effetti che tendono ad accentuare le disparità economiche e sociali tra le regioni.

3.8.1. Nel quadro della politica macroeconomica dell'Unione monetaria europea gli Stati membri mantengono il controllo delle proprie politiche di bilancio nazionali, benchè alle condizioni previste dal Patto di stabilità e di crescita (PSC). C'è il pericolo che nell'eventualità di un calo ciclico o di uno shock asimmetrico un particolare Stato membro non sia in grado di continuare a rispettare gli indirizzi del Patto di stabilità e di crescita.

3.8.1.1. Durante tali fasi le spese sociali del governo aumentano, mentre gli introiti fiscali diminuiscono, cosa che può portare ad un aumento nel deficit pubblico vicino, se non superiore, al tetto massimo del 3 % del PIL stabilito dal PSC. In questo caso i governi dovranno diminuire la spesa pubblica e/o aumentare la pressione fiscale, ed entrambe le cose accentueranno la recessione economica, rendendo più difficile la coesione economica e sociale. È quindi importante che le politiche di bilancio degli Stati membri siano, di norma, in equilibrio o in surplus, onde garantire una flessibilità fiscale sufficiente per permettere di seguire politiche anticicliche durante i periodi di recessione. In caso contrario l'obiettivo della coesione economica e sociale diventerà molto più difficile da conseguire.

3.8.2. Lo sviluppo di risorse nazionali nel campo dell'istruzione riveste un'importanza fondamentale per gli sforzi di coesione in tutta l'UE. In assenza d'istruzione e formazione adeguate, i risultati conseguiti dagli interventi strutturali dell'UE potrebbero essere inferiori al loro potenziale. Il Comitato ritiene che, per massimizzare i benefici derivanti dalla politica regionale dell'UE, sarebbe opportuno prestare maggiore attenzione sia allo sviluppo delle politiche nazionali d'istruzione e formazione, e delle risorse umane in generale (ciò durante la preparazione dei piani di sviluppo economico regionale), sia alla loro integrazione con azioni finanziate dai fondi strutturali. Questo è particolarmente importante nelle regioni dell'obiettivo 1, dove si registra una tendenza al sotto-investimento nel campo dell'istruzione.

3.8.2.1. Il Comitato raccomanda inoltre che si presti maggiore attenzione alla realizzazione dei programmi d'istruzione e di formazione nelle regioni ammissibili. Per sfruttare il potenziale di sviluppo economico delle singole regioni è indispensabile coinvolgere a sufficienza sia il settore privato che quello pubblico nell'offerta d'istruzione e di formazione, la quale interviene in larga misura nell'ambito d'imprese e di altri soggetti non statali.

3.8.3. Le conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona hanno introdotto l'idea di un nuovo metodo di coordinamento delle politiche tra gli Stati membri, detto "metodo di coordinamento aperto", con l'obiettivo di garantire un approccio coerente tra gli Stati membri per quanto riguarda gli obiettivi strategici dell'Unione. Il Comitato ritiene che le politiche di sviluppo economico siano un ambito per il quale questo metodo di coordinamento "aperto" può essere utilizzato. Ciò non solo incoraggerà la diffusione delle politiche di sviluppo economico basate sulle migliori pratiche, ma contribuirà anche alla realizzazione di strategie coerenti di sviluppo economico sia all'interno delle regioni degli obiettivi 1 e 2 che tra di loro. Inoltre, l'estensione del metodo "aperto" alle politiche regionali è pienamente in sintonia con il principio di sussidiarietà; essa non dovrebbe tuttavia essere usata per sostituire gli impegni finanziari dell'UE in materia di fondi strutturali.

3.9. Allargamento - L'allargamento cambierà radicalmente il contesto delle iniziative di coesione dell'UE. Se prendiamo in considerazione solo l'ampliamento ai paesi candidati dell'Europa centrale e orientale, esso farà infatti aumentare il territorio UE di oltre un terzo e la popolazione del 36 %, pur accrescendone la ricchezza soltanto del 5 % circa. Dopo il 2004 l'UE comprenderà quindi fino a 10 nuovi Stati membri con un reddito pro capite inferiore alla metà dell'attuale media UE. Ciò porrà problemi di coesione completamente nuovi, e comporterà forti pressioni intese ad aumentare in misura sensibile le risorse destinate alle politiche di coesione UE.

3.9.1. Molto probabilmente uno dei principali problemi da risolvere sarà la capacità, all'interno dei paesi candidati, di gestire in maniera efficiente i finanziamenti dei fondi strutturali in base alle rispettive regolamentazioni. È pertanto essenziale che la Commissione destini risorse per assistere tali paesi a preparare le procedure e le disposizioni amministrative necessarie ancor prima dell'ampliamento.

3.10. Problemi connessi alla transizione. Le sfide dell'allargamento non sono unicamente di carattere finanziario. Infatti è probabile che alcune regioni che attualmente beneficiano degli aiuti dei fondi strutturali non siano più ammissibili agli interventi. Ciò presenta non solo problemi di ordine politico, ma anche difficoltà economiche potenzialmente notevoli per le regioni che rimangono insufficientemente sviluppate e incapaci di generare sufficiente occupazione sostenibile.

3.10.1. Secondo il Comitato sarebbe errato escludere automaticamente dall'ammissibilità agli aiuti previsti dai fondi strutturali quelle regioni dell'obiettivo 1 che, pur avendo un reddito pro capite superiore al 75 % della media UE, non sono in grado di conseguire una crescita economica autonoma nè di creare opportunità di lavoro sufficienti.

3.10.1.1. In tal caso la Commissione dovrebbe introdurre opportuni meccanismi per garantire la progressività nella soppressione degli aiuti, oppure spostare la soglia di ammissibilità al di sopra del 75 % per soddisfare le legittime necessità delle regioni sottosviluppate dell'intera UE. La soglia del 75 % è stata stabilita nel 1988, in quanto adeguata alle condizioni economiche dell'UE in quel momento: vista l'entità dei cambiamenti che seguiranno all'allargamento, non c'è ragione di mantenerla. È indispensabile discutere con notevole anticipo delle possibili soluzioni. Al riguardo sono in gioco molti problemi, e la Commissione e gli Stati membri dovrebbero ricercare una soluzione consensuale che soddisfi al meglio le esigenze delle regioni dell'obiettivo 1.

4. Il futuro dibattito sulla coesione

4.1. Dalla relazione risulta evidente che nei prossimi anni le politiche di coesione economica e sociale si troveranno di fronte a diverse importanti sfide. È tuttavia fondamentale evitare un generale indebolimento, finanziario o di altro tipo, degli sforzi dell'UE intesi a promuovere la coesione, la quale rimane un obbligo fondamentale ai sensi dei trattati dell'UE. È inoltre chiaro che i fondi strutturali rappresentano il fulcro degli sforzi profusi dall'Unione per ridurre le disparità economiche e sociali tra le regioni e i cittadini. Il Comitato ritiene quindi che il dibattito sulle future politiche di coesione dell'UE dovrebbe essere avviato sin d'ora. Considera tuttavia inopportuno comprimere tale dibattito in un calendario serrato, poichè ciò farebbe probabilmente prevalere considerazioni di ordine finanziario piuttosto che di ordine socioeconomico.

4.2. Affinchè il dibattito procedesse con cognizione di causa, il 29 aprile 2002 il Comitato ha condotto una serie di audizioni nel corso delle quali varie organizzazioni hanno espresso il proprio punto di vista circa il futuro delle azioni dell'UE in materia di coesione economica e sociale.

4.2.1. Il tenore generale delle osservazioni espresse dalle delegazioni presenti all'audizione ha coinciso, in linea di massima, con il punto di vista esposto dal Comitato nel presente parere. Quest'ultima parte riprende i vari temi affrontati.

4.3. Si delinea un evidente consenso sull'opportunità di mantenere, anche dopo il 2006, gli aiuti territoriali nel quadro dell'obiettivo 1 dei fondi strutturali. Si riconosce che ciò costituisce una sfida finanziaria per gli Stati membri, ma si concorda ampiamente sulla necessità di affrontare tale sfida. Le lacune dei paesi candidati in materia di coesione economica e sociale sono notevoli, e, nel contempo, diverse regioni degli attuali Stati membri continueranno ad avere bisogno di aiuto dopo il 2006. Privarli di tale sostegno potrebbe rimettere in gioco i benefici finora tratti dagli aiuti accordati nel quadro dei fondi strutturali.

4.3.1. È quindi fondamentale che le regioni attualmente ammissibili agli aiuti previsti dall'obiettivo 1, e la cui ammissibilità dopo il 2006 è compromessa soltanto dall'impatto statistico dell'allargamento sul PIL medio pro capite dell'UE, continuino a beneficiarne. Ciò è possibile aumentando l'attuale soglia del 75 %, oppure accordando a tali regioni, in via transitoria, aiuti soddisfacenti nel medio termine. Se si sceglie la seconda alternativa, però, il periodo di transizione deve essere legato al reale miglioramento delle condizioni economiche nelle regioni ammissibili.

4.4. Le ripercussioni finanziarie dirette dell'allargamento sulla coesione economica e sociale, insieme al perdurante bisogno di sostegno da parte delle regioni degli attuali Stati membri nel quadro dell'obiettivo 1, fanno sì che l'attuale soglia dello 0,45 % del PIL per i fondi strutturali dovrà essere quasi certamente aumentata. Il Comitato appoggia quest'opzione ritenendola una conseguenza inevitabile dell'allargamento. La nuova soglia dovrà rispettare l'obbligo, imposto dal trattato, di conseguire un livello più elevato di coesione economica e sociale.

4.5. Circa il futuro degli aiuti nel quadro dell'obiettivo 2 dopo il 2006 non è ancora emersa una prospettiva chiara. Se è evidente la necessità di accrescere l'impegno finanziario globale per l'obiettivo 1, non c'è consenso sul fatto che ciò debba andare a scapito degli aiuti previsti nel quadro dell'obiettivo 2.

4.5.1. Da varie parti si è fatta presente al Comitato l'importanza di questo strumento, per ovviare a contraccolpi economici inattesi che destabilizzano specifici settori economici in determinate regioni, nonché per agevolare la diversificazione economica di regioni finora dipendenti dalle industrie tradizionali, adesso in declino. Con ogni probabilità l'allargamento e la crescente tendenza verso la globalizzazione acuiranno il problema sia per gli attuali Stati membri che per i paesi candidati.

4.5.1.1. La Commissione dovrebbe prendere in seria considerazione l'ipotesi di prevedere, nel bilancio dell'UE, uno strumento cui far ricorso per contribuire a stabilizzare il reddito regionale in caso di shock economici imprevisti che gli Stati membri potrebbero non essere in grado di gestire, a causa delle restrizioni che il patto di stabilità e crescita impone ai bilanci nazionali. Questo strumento non deve necessariamente essere di ampia portata, dato che verrebbe usato soltanto in via eccezionale, e potrebbe essere attivato solo a condizioni rigorose, determinate di concerto dalla Commissione e dal Consiglio. Lo si potrebbe definire uno strumento "d'iniziativa" avanzato.

4.5.2. Il Comitato richiama l'attenzione su due punti fondamentali. In primo luogo l'opportunità di mantenere alcuni degli strumenti offerti dai fondi strutturali per consentire all'UE di far fronte a shock economici inattesi che minaccino di destabilizzare seriamente una determinata regione. Ciò potrebbe essere possibile estendendo e rafforzando ulteriormente il programma delle iniziative comunitarie. In secondo luogo, si dovrà tener conto del fatto che le regioni geograficamente svantaggiate (come le regioni periferiche, rurali, montuose e marittime), date le loro specifiche necessità, dovranno continuare a beneficiare dei fondi strutturali dell'UE.

4.5.3. Come per le regioni dell'obiettivo 1, gli svantaggi economici sono strettamente legati agli svantaggi sociali, ed è fondamentale che l'UE continui ad impegnarsi per tutte le regioni svantaggiate, e non solo per il sottogruppo dominante all'interno di questa categoria.

4.5.4. Per affrontare alcuni aspetti dei problemi di coesione economica e sociale nelle regioni dell'obiettivo 2 potrebbe tuttavia essere possibile adottare meccanismi alternativi. Il Comitato raccomanda, in particolare, di esaminare se in questo settore sia possibile adottare il metodo di coordinamento aperto. Gli Stati membri verrebbero così ad adottare obiettivi specifici per le misure di coesione economica e sociale (benchmarks) orientando poi in questo senso la politica economica interna. Tale sistema, oltre ad avere il vantaggio di ridurre l'onere a carico del bilancio dell'Unione, garantisce che le decisioni vengano prese al livello più adeguato nella struttura di governo dell'UE.

4.5.4.1. Se per questo settore si adotta un "metodo aperto", è fondamentale che esso metta in pratica gli insegnamenti tratti nel periodo successivo alle riforme del 1988, nate dall'adozione generalizzata di un metodo comunitario di sostegno alle politiche strutturali, in primo luogo il partenariato e la programmazione. È fondamentale che nel contesto degli sforzi dell'UE in materia di coesione il rafforzamento del ruolo degli Stati membri continui ad osservare i principi alla base di tale politica, che sono stati determinanti per il suo successo.

4.5.5. Pur incoraggiando ad esaminare l'adeguatezza del metodo aperto ad affrontare alcuni aspetti dei problemi di sviluppo economico delle attuali regioni dell'obiettivo 2, il Comitato giudica necessario tener presente che un'azione di questo tipo dovrebbe integrare i vari meccanismi di "migliori prassi" per quanto riguarda la messa a punto, l'attuazione e il monitoraggio.

4.6. Le politiche di coesione economica e sociale, sotto qualsiasi forma, dovrebbero continuare a dare priorità agli investimenti in aree d'intervento necessarie a stimolare il potenziale di crescita economica della regione in questione nel lungo periodo. Nelle regioni svantaggiate la politica attuata dai pubblici poteri attraverso i fondi strutturali continuerà a svolgere un ruolo chiave in tre aree:

- investimenti nelle infrastrutture economiche;

- investimenti nei programmi d'istruzione e formazione;

- investimenti in materia di tecnologia e trasferimento delle tecnologie.

4.7. Il Comitato raccomanda un più ampio riesame della coesione economica e sociale nella fase che precede il prossimo periodo di azioni di politica strutturale. Dopo la riforma del 1988 la coesione economica e sociale è stata definita in base a criteri economici ristretti: livelli di reddito pro capite e dati sulla disoccupazione. Benché entrambi gli indicatori offrano il vantaggio di essere disponibili, oggettivi e comparabili, nessuno dei due coglie gli aspetti cruciali degli svantaggi sociali da affrontare. Il Comitato si compiace del lavoro svolto dal comitato per la protezione sociale allo scopo di definire indicatori adeguati in tema d'inclusione sociale e precisa che tali indicatori tengono conto anche della dimensione territoriale.

4.8. Quanto agli interventi nel quadro dell'obiettivo 3, c'è un'ampia convergenza di vedute sul fatto che essi costituiscono una componente fondamentale per il successo di una strategia di coesione economica e sociale, e che tali misure dovrebbero essere mantenute nelle future riforme delle politiche strutturali. Nel quadro di questo obiettivo è importante sviluppare percorsi efficienti d'integrazione nel mondo del lavoro per i gruppi più svantaggiati della società. In proposito sarebbe opportuno tener presente il ruolo delle imprese, o quanto meno dell'imprenditorialità, nell'offerta di azioni di formazione e di riconversione professionale. Benché difficile da quantificare, è generalmente riconosciuto che l'atteggiamento culturale ed educativo nei confronti dello spirito imprenditoriale è importante per liberare il potenziale di sviluppo economico a livello regionale. Il Comitato raccomanda vivamente di tener conto dei punti sopraelencati nel processo di riesame al livello sia dell'UE che dei singoli Stati membri.

Bruxelles, 18 luglio 2002.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Göke Frerichs

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