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Document 52002DC0654

    Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima

    /* COM/2002/0654 def. */

    52002DC0654

    Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima /* COM/2002/0654 def. */


    LIBRO VERDE sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima

    (presentato dalla Commissione)

    INDICE

    Riepilogo delle domande

    1.1 Creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia

    1.2 Ruolo del diritto internazionale privato nella creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia

    1.3 La convenzione di Roma, il regolamento "Bruxelles I" e il futuro strumento "Roma II" - Tre strumenti complementari

    1.4 Obiettivi assegnati alle norme di conflitto di leggi in materia di contratti

    1.5 Breve illustrazione delle norme della convenzione di Roma

    1.6 Nesso col progetto "Diritto europeo dei contratti"

    1.7 Iniziative già prese

    2 TRASFORMAZIONE DELLA CONVENZIONE DI ROMA DEL 1980 IN STRUMENTO COMUNITARIO

    2.1 Una nuova base giuridica: l'articolo 61, lettera c) del trattato di Amsterdam ha impresso rinnovato slancio al diritto internazionale privato di origine comunitaria

    2.2 Coerenza della legislazione comunitaria in materia di diritto internazionale privato

    2.3 Interpretazione uniforme della convenzione da parte della Corte

    2.4 Applicazione delle norme di conflitto uniformate nei nuovi Stati membri

    2.5 Scelta dello strumento: regolamento o direttiva?

    3 Opportunità di un rinnovamento della convenzione di Roma del 1980

    3.1 Interrogativi sull'equilibrio generale della convenzione

    3.1.1 Nesso tra le norme di conflitto generali della convenzione di Roma e le norme contenute in strumenti settoriali, che hanno un'incidenza sulla legge applicabile

    3.1.1.1 Moltiplicazione delle norme settoriali che concorrono a determinare la legge applicabile

    3.1.1.2 Soluzioni ipotizzabili

    3.1.2 Prevedere una clausola per garantire l'applicazione della norma minima comunitaria, qualora tutti gli elementi di un contratto siano localizzati nella Comunità

    3.1.2.1 Rischio che il diritto comunitario non venga applicato correttamente, sebbene tutti gli elementi siano riuniti sul territorio dell'Unione

    3.1.2.2 Soluzioni ipotizzabili

    3.1.3 Relazioni con le convenzioni internazionali esistenti in materia

    3.2 Problemi incontrati nell'applicazione dei vari articoli

    3.2.1 Campo d'applicazione della convenzione - Esclusione delle clausole di arbitrato e di elezione del foro (articolo 1, paragrafo 2, lettera d))

    3.2.2 Norme applicabili al contratto d'assicurazione (articolo 1, paragrafo 3)

    3.2.2.1 Situazione attuale

    3.2.2.2 Interrogativi sulla situazione attuale

    3.2.2.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.3 Libertà di scelta (articolo 3, paragrafo 1) - Interrogativi sulla scelta di norme non statuali

    3.2.4 Libertà di scelta - Definizione della tacita scelta (articolo 3, paragrafo 1)

    3.2.4.1 Intenzione del legislatore

    3.2.4.2 Difficoltà incontrate

    3.2.4.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.5 Qual è la forza della presunzione generale di cui all'articolo 4, paragrafo 2?

    3.2.5.1 Situazione attuale

    3.2.5.2 Difficoltà incontrate

    3.2.5.3 Soluzione ipotizzabile

    3.2.6 Applicazione della presunzione speciale in fatto di beni immobili ai contratti d'affitto in località di villeggiatura (articolo 4, paragrafo 3)

    3.2.6.1 Soluzione attuale

    3.2.6.2 Difficoltà incontrate

    3.2.6.3 Soluzione ipotizzabile

    3.2.7 Protezione insufficiente del "consumatore mobile" (articolo 5)

    3.2.7.1 Contenuto e campo d'applicazione delle norme di tutela previste dall'articolo 5

    3.2.7.2 Difficoltà incontrate

    3.2.7.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.8 Interrogativi in ordine alla definizione del termine "disposizioni imperative"

    3.2.8.1 Il concetto di "disposizione imperativa" copre una realtà multiforme

    3.2.8.2 Difficoltà incontrate

    3.2.8.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.9 Incertezze in ordine all'interpretazione del termine "distacco temporaneo" del dipendente (articolo 6)

    3.2.9.1 Legge applicabile al contratto di lavoro

    3.2.9.2 Difficoltà incontrate

    3.2.9.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.10 Altri interrogativi riguardo all'articolo 6

    3.2.11 Applicazione delle leggi di polizia e sicurezza straniere (articolo 7, paragrafo 1)

    3.2.12 Legge applicabile alla forma del contratto (articolo 9)

    3.2.12.1 Soluzione attuale

    3.2.12.2 Difficoltà incontrate

    3.2.12.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.13 Legge applicabile all'opponibilità della cessione del credito a terzi (articolo 12)

    3.2.13.1 Soluzione attuale

    3.2.13.2 Difficoltà incontrate

    3.2.13.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.14 Campi d'applicazione rispettivi degli articoli 12 e 13, relativi alla cessione del credito e alla surrogazione

    3.2.14.1 Meccanismo della surrogazione nella convenzione di Roma

    3.2.14.2 Difficoltà incontrate

    3.2.14.3 Soluzioni ipotizzabili

    3.2.15 Assenza di regola di conflitto relativa alla compensazione legale

    3.2.15.1 Presentazione del meccanismo della compensazione

    3.2.15.2 Difficoltà incontrate

    3.2.15.3 Soluzioni ipotizzabili

    Allegato 1

    Allegato 2 50

    LIBRO VERDE

    sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima

    Il presente libro verde serve ad avviare un'ampia consultazione degli ambienti interessati su un certo numero di questioni di ordine giuridico relative alla trasformazione della convenzione di Roma del 1980, riguardante la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (qui di seguito "convenzione di Roma" o "convenzione"), in strumento comunitario, nonché al suo eventuale rinnovamento nel merito.

    Esso illustra il contesto generale del dibattito e prospetta determinate ipotesi.

    La Commissione invita le parti interessate a farle pervenire risposte debitamente motivate alle domande formulate nel presente libro verde, riepilogate a pagina 3. Beninteso, si tratta di quesiti che non hanno un carattere limitativo e saranno apprezzati commenti di natura più ampia. Le parti interessate sono inoltre pregate di fornire alla Commissione, per ciascuna domanda e nei limiti del possibile, informazioni sull'incidenza che le varie ipotesi discusse avrebbero:

    (a) sulla vita economica delle imprese in generale,

    (b) sulle piccole e medie imprese in particolare,

    (c) sulle relazioni imprese-consumatori/lavoratori.

    La Commissione terrà conto dei commenti pervenutile in sede di elaborazione di un'eventuale proposta di strumento comunitario sull'argomento.

    È opportuno precisare che la Commissione non ha preso posizione in merito alla necessità né di modernizzare la convenzione di Roma, né di trasformarla in strumento comunitario.

    Inoltre, il presente libro verde non si prefigge di esplorare il rapporto tra un eventuale strumento che riprendesse la convenzione di Roma e le norme del mercato interno. Per la Commissione è però chiaro che uno strumento del genere dovrà lasciare inalterati i principi del mercato interno sanciti dal trattato o dagli strumenti di diritto derivato.

    Le parti interessate sono pregate di inoltrare le loro risposte e osservazioni entro il 15 settembre 2003 all'indirizzo seguente, esclusivamente per e-mail o fax, oppure per posta:

    Commissione europea

    Direzione generale Giustizia e affari interni

    Unità A3 - Cooperazione in materia civile

    B-1049 Bruxelles

    Fax: + 32 (2) 299 64 57

    Posta elettronica: jai-coop-jud-civil@cec.eu.int

    Salvo espresse istruzioni contrarie del mittente, le risposte e osservazioni potranno essere diffuse sul sito Internet della Commissione.

    La Commissione si propone di organizzare un'audizione pubblica sull'argomento nell'ultimo trimestre 2003.

    Riepilogo delle domande

    Domanda 1 - Disponete di informazioni relative all'effettiva conoscenza, da parte dei soggetti economici, nonché di avvocati e magistrati, della convenzione di Roma del 1980 e delle sue norme? Le parti di un contratto sanno che possono scegliere liberamente la legge che a esso verrà applicata? Qualora giungiate alla conclusione che i soggetti economici dispongono di una conoscenza insufficiente della convenzione di Roma, ritenete che questa situazione comporti conseguenze negative sullo svolgimento dei negoziati contrattuali o dei procedimenti giudiziari?

    Domanda 2 - Ritenete opportuno trasformare la convenzione di Roma del 1980 in strumento comunitario? A vostro giudizio, quali argomenti depongono a favore o contro una scelta del genere?

    Domanda 3 - Vi constano difficoltà dovute al moltiplicarsi e alla dispersione, tra vari strumenti orizzontali e settoriali di diritto derivato, delle norme che hanno un'incidenza sulla legge applicabile? In caso affermativo, qual è a vostro giudizio la migliore soluzione per ovviare al problema?

    Domanda 4 - Vi sembra auspicabile introdurre una clausola di natura generale che garantisca l'applicazione di una norma minima comunitaria, qualora tutti gli elementi di un contratto, o quelli particolarmente significativi, siano localizzati nella Comunità? La formulazione proposta al punto 3.1.2.2 è in grado di rispondere all'obiettivo perseguito?

    Domanda 5 - Avete commenti da fare rispetto all'orientamento qui tratteggiato?

    Domanda 6 - Ritenete che sarebbe utile prevedere norme di conflitto applicabili alle clausole di arbitrato e di elezione del foro?

    Domanda 7 - Come valutate le attuali norme di conflitto in materia assicurativa? Ritenete che l'attuale trattamento delle ipotesi a) e c) risulti soddisfacente? Quale mezzo raccomandate per ovviare alle eventuali difficoltà incontrate?

    Domanda 8 - Ritenete che le parti dovrebbero poter scegliere direttamente una convenzione internazionale, o addirittura principi generali del diritto? Quali argomenti depongono a favore o contro una soluzione del genere?

    Domanda 9 - Ritenete che un futuro strumento "Roma I" dovrebbe contenere indicazioni più precise circa la definizione di tacita scelta della legge applicabile, oppure dare competenza alla Corte di giustizia, qualora si opti per una trasformazione in strumento comunitario è sufficiente per garantire la certezza del diritto?

    Domanda 10 - A vostro giudizio, è opportuno precisare la formulazione dell'articolo 4 per obbligare il giudice ad applicare in primo luogo la presunzione di cui al paragrafo 2, salvo disapplicare successivamente la legge così ottenuta, ove risulti palesemente inidonea a regolare il caso di specie? In caso affermativo, quale formulazione vi sembra più consona?

    Domanda 11 - Ritenete opportuno prevedere un'apposita norma per i contratti locativi di breve durata per alloggi di vacanza o il meccanismo attuale risulta soddisfacente?

    Domanda 12 - Valutazione delle norme relative alla protezione del consumatore

    A. Come valutate le attuali norme relative alla protezione del consumatore? Vi sembrano tuttora adeguate, in particolare alla luce dello sviluppo del commercio elettronico?

    B. Disponete di informazioni relative all'incidenza dell'attuale disciplina a) sulle imprese in generale, b) sulle piccole e medie imprese nonché c) sui consumatori?

    C. Tra le soluzioni proposte, a quale va la vostra preferenza e per quali motivi? Sono ipotizzabili altre soluzioni?

    D. A vostro giudizio, quale sarebbe l'incidenza delle varie soluzioni prospettate a) sulle imprese in generale, b) sulle piccole e medie imprese nonché c) sui consumatori?

    Domanda 13 - È opportuno precisare il senso rispettivo delle "disposizioni imperative" di cui agli articoli 3, 5, 6 e 9, da un lato, e all'articolo 7, dall'altro?

    Domanda 14 - È opportuno introdurre nell'articolo 6 precisazioni circa la definizione del concetto di "distacco temporaneo"? In caso affermativo, di che tipo?

    Domanda 15 - Ritenente che l'articolo 6 dovrebbe subire altre modifiche?

    Domanda 16 - Vi sembra necessaria una norma relativa alle disposizioni imperative straniere? Sarebbe auspicabile prevedere indicazioni più precise circa le loro condizioni d'applicazione?

    Domanda 17 - È opportuno modernizzare la norma di conflitto in materia di forma dei contratti?

    Domanda 18 - Vi sembra opportuno precisare in un futuro strumento quale legge si applichi all'opponibilità della cessione del credito? In caso affermativo, per quale norma di conflitto ritenete si debba optare?

    Domanda 19 - Sarebbe utile precisare il campo d'applicazione rispettivo degli articoli 12 e 13? A vostro giudizio, è opportuno prevedere una norma di conflitto per pagamenti surrogatori effettuati senza obbligazione?

    Domanda 20 - A vostro giudizio, occorre specificare la legge applicabile alla compensazione legale? In caso affermativo, quale norma di conflitto proponete di adottare?

    Introduzione

    1.1 Creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia

    Una delle conseguenze dell'incremento degli scambi e degli spostamenti all'interno dell'Unione europea, e in generale a livello mondiale, è il maggiore rischio per un cittadino europeo o per un'impresa stabiliti in uno Stato membro di essere coinvolti in una controversia i cui elementi non siano circoscritti all'interno dello Stato nel quale hanno la propria residenza abituale. Si può per esempio immaginare il caso di un consumatore greco che abbia acquistato in base a un catalogo o via Internet un apparecchio elettronico in Germania e che voglia successivamente citare in giudizio il fabbricante, in quanto l'apparecchio presenta un grave difetto che il fabbricante rifiuta di riparare, o ancora il caso di un'impresa tedesca che voglia citare in giudizio il proprio partner commerciale inglese per inadempimento ai suoi obblighi contrattuali.

    Tradizionalmente, le parti rinunciavano spesso a far valere i propri diritti in un paese straniero a causa dell'incompatibilità o della complessità dei sistemi giuridici e amministrativi nazionali. Ciò vale soprattutto per i singoli cittadini o le PMI, che solitamente non dispongono dei mezzi finanziari per avvalersi dei servizi di una rete internazionale di giuristi.

    All'interno dell'Unione europea, tuttavia, non si potrà parlare di un autentico mercato interno, che prevede la libera circolazione delle merci, delle persone, dei beni e dei capitali, finché non esisterà uno spazio comune di giustizia al cui interno ogni cittadino possa far valere i propri diritti in un altro Stato membro non meno che in quello in cui risiede.

    Per questo il Consiglio europeo di Tampere, riunito il 15-16 ottobre 1999 [1], ha definito tre direttrici d'azione prioritarie per la creazione di uno spazio siffatto, tra le quali figura il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze.

    [1] Conclusioni della presidenza del 16 ottobre 1999, punti 28-39.

    L'armonizzazione delle norme di diritto internazionale privato svolge un ruolo essenziale per il conseguimento di questo obiettivo.

    1.2 Ruolo del diritto internazionale privato nella creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia

    Il diritto internazionale privato [2] è costituito da meccanismi intesi ad agevolare la soluzione di controversie internazionali. Esso risponde a tre quesiti.

    [2] L'espressione "diritto internazionale privato" non ha lo stesso significato in tutti gli Stati membri. Nel diritto tedesco o portoghese, per esempio, essa designa soltanto le norme di conflitto di leggi, mentre in altri sistemi giuridici essa comprende altresì le norme relative alla competenza internazionale dei tribunali e al riconoscimento delle sentenze straniere. Ai fini del presente documento, il termine è usato nella sua accezione più ampia.

    - Qual è il paese le cui giurisdizioni hanno competenza per conoscere di una controversia? Questa domanda riguarda la determinazione della "competenza internazionale dei tribunali", ovvero i "conflitti di giurisdizioni".

    - Quale legge nazionale sostanziale viene applicata dal giudice competente a conoscere della controversia? Questo problema della scelta applicabile va sotto la denominazione di "conflitti di leggi".

    - La decisione pronunciata dalla giurisdizione dichiaratasi competente può essere riconosciuta e, se del caso, eseguita in un altro Stato membro? Questo aspetto, cui si riferiscono le espressioni "effetto delle sentenze straniere" oppure "riconoscimento ed esecuzione reciproci delle sentenze straniere" è importante soprattutto se la parte soccombente non possiede averi nel paese in cui la decisione è stata pronunciata.

    In concreto, nell'ambito di una controversia internazionale, l'attore deve anzitutto chiedersi quale sia lo Stato i cui tribunali sono internazionalmente competenti. Una volta determinato il foro, quest'ultimo deciderà quale sia la legge applicabile alla controversia. Solo quando il giudice avrà pronunciato la propria sentenza, si porrà il problema della sua esecuzione all'estero.

    Tradizionalmente, ciascuno Stato dispone delle proprie soluzioni nazionali di diritto internazionale privato. Questa situazione comporta però il grosso inconveniente di non offrire uniformità e certezza del diritto, senza contare il rischio che una delle parti o entrambe tendano ad approfittare del fatto che il loro caso presenti collegamenti con vari sistemi giuridici per sfuggire alla legge normalmente applicabile nei loro confronti. Per tornare all'esempio del consumatore greco e del fornitore tedesco, è sufficiente immaginare che l'atto di vendita che essi hanno stipulato comporti una clausola che assoggetti il contratto alla legge di un paese in cui non è prevista alcuna disposizione in materia di protezione dei consumatori. Una pratica del genere, qualora fosse valida, sarebbe sconcertante in quanto priverebbe il consumatore della protezione riconosciutagli dal diritto greco e da quello tedesco.

    Per combattere siffatte pratiche gli Stati membri hanno quindi scelto di armonizzare le proprie norme di diritto internazionale privato. Finora gli sforzi si erano concentrati soprattutto sulla materia delle obbligazioni, contrattuali ed extracontrattuali, di natura civile o commerciale.

    1.3 La convenzione di Roma, il regolamento "Bruxelles I" e il futuro strumento "Roma II" - Tre strumenti complementari

    Gli obiettivi della convenzione di Roma risulterebbero incomprensibili se si tralasciasse di parlare dello strumento che l'ha preceduta, la convenzione di Bruxelles del 1968 (sostituita nel frattempo dal cosiddetto regolamento "Bruxelles I", entrato in vigore il 1° marzo 2002, tranne per la Danimarca) [3]. Quest'ultima era stata elaborata partendo dal presupposto, già contenuto nel trattato CE, che un mercato comune implichi la possibilità di ottenere, con la massima facilità, il riconoscimento e l'esecuzione in qualsiasi Stato membro di una decisione pronunciata in un altro Stato membro. Per conseguire tale obiettivo, la convenzione di Bruxelles comincia col fissare, attraverso una serie di norme, quali tribunali nazionali siano competenti [4].

    [3] Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22.12.2000, relativo alla competenza giudiziaria, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, che sostituisce la convenzione di Bruxelles del 1968, la cui versione consolidata è stata pubblicata nella GU n. C 27, del 26.1.1998, pagg. 1-18. La convenzione di Bruxelles del 1968 resta nondimeno in vigore per le relazioni tra la Danimarca e gli altri Stati membri.

    [4] Benché le norme di competenza contenute nella convenzione del 1968 e nel regolamento "Bruxelles I" non formino oggetto, in linea di principio, del presente libro verde, torneremo su alcune di esse nel discutere delle varie norme di conflitto di leggi (punto 3).

    La semplice esistenza di norme che disciplinano la competenza dei tribunali non permette di evitare qualsiasi rischio nella soluzione degli aspetti sostanziali della controversia. La convenzione di Bruxelles, come pure il regolamento che l'ha sostituita, offrono infatti un certo numero di scelte che permettono all'attore di optare per questo o quel tribunale. Il rischio è quindi che una delle parti scelga i tribunali di uno Stato membro piuttosto che quelli di un altro esclusivamente perché la legge applicabile in quel paese le sarebbe più favorevole nel merito, pratica questa designata dall'espressione "forum shopping". Unificando le norme di conflitto di leggi degli Stati membri, la convenzione di Roma garantisce che la soluzione nel merito sarà identica a prescindere dal tribunale adito, riducendo così il rischio di forum shopping all'interno dell'Unione europea.

    Esiste però una differenza di rilievo tra la convenzione di Bruxelles e quella di Roma, con riferimento ai rispettivi campi d'applicazione: mentre la prima copre le obbligazioni sia contrattuali sia derivanti da illecito, la seconda verte soltanto sulle prime. Il futuro strumento "Roma II" relativo alla legge applicabile alle relazioni extracontrattuali [5] sarà quindi il naturale prolungamento dell'opera unificatrice delle norme di diritto internazionale privato in materia di obbligazioni, contrattuali o extracontrattuali, di natura civile e commerciale, a livello comunitario.

    [5] Il 3 maggio 2002 la Commissione ha avviato un'ampia consultazione su un progetto preliminare di proposta di regolamento del Consiglio, riguardante la legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, per raccogliere i commenti degli ambienti interessati. Il testo può essere consultato su Internet: http://europa.eu.int/comm/justice_home/unit/civil_fr.htm. .

    Prima di illustrare più in dettaglio le norme di conflitto della convenzione di Roma, è opportuno illustrare in breve le loro finalità.

    1.4 Obiettivi assegnati alle norme di conflitto di leggi in materia di contratti

    Per ciascuna norma di conflitto di leggi, il legislatore può scegliere tra varie ipotesi. Per spiegare in base a quali considerazioni egli opti per l'una o l'altra di esse, è opportuno richiamare i principi di prossimità e di libertà di scelta.

    Il primo principio tende ad assoggettare un caso all'ordinamento giuridico che presenta con esso il collegamento più stretto. Si tratta di un principio particolarmente eloquente in materia di competenza internazionale, ove per esempio una controversia riguardi un edificio o un incidente stradale: il tribunale del luogo in cui è ubicato l'edificio o in cui è avvenuto l'incidente, generalmente è il più idoneo a valutare i fatti e a riunire gli elementi di prova. Per quel che riguarda il principio della libertà di scelta, esso permette alle parti di scegliere autonomamente la legge che disciplinerà le loro relazioni, una soluzione facilmente comprensibile nell'esempio citato in precedenza di un contratto tra due imprese, tedesca e inglese. Si tratta del principio dominante in materia contrattuale, sancito da quasi tutti i diritti positivi.

    Da una ventina d'anni si è imposto un altro principio, quello della tutela della parte debole. Nell'esempio del consumatore greco e del fornitore tedesco, infatti, le due parti non si affrontano ad armi pari. Ove non vengano fissati limiti alla libertà di scelta, il consumatore rischia di vedersi imporre una legge che gli è sfavorevole, tale da privarlo della tutela cui può legittimamente aspirare qualora acquisti un bene di consumo, anche all'estero. Lo stesso ragionamento vale per la relazione datore di lavoro dipendente.

    Tutti questi principi si ritrovano nelle norme della convenzione di Roma del 1980.

    1.5 Breve illustrazione delle norme della convenzione di Roma

    Le norme uniformi della convenzione di Roma sono applicabili "alle obbligazioni contrattuali nelle situazioni che implicano un conflitto di leggi" [6]. Si può per esempio pensare alle situazioni in cui non tutti gli elementi si ricollegano a un unico ordinamento giuridico perché, poniamo, le parti che hanno concluso un contratto sono di nazionalità diversa, sono domiciliate in paesi differenti, o ancora perché il contratto è concluso o eseguito in paesi diversi oppure in un paese differente da quello del giudice adito.

    [6] Articolo 1.

    La convenzione di Roma riveste un cosiddetto carattere "universale" [7], il che significa che le norme di conflitto che essa stabilisce possono condurre all'applicazione della legge di uno Stato non membro dell'Unione europea.

    [7] Articolo 2.

    La convenzione prevede inoltre l'esclusione delle materie seguenti: lo stato e la capacità delle persone fisiche; il diritto patrimoniale della famiglia (testamenti, successioni, regimi matrimoniali, contratti aventi ad oggetto un obbligo alimentare); gli obblighi nati da strumenti negoziabili (cambiali, assegni, vaglia cambiari); il diritto delle società, associazioni e altre persone giuridiche; le convenzioni d'arbitrato e di scelta del foro; i "trust"; l'amministrazione della prova e la procedura [8].

    [8] Fatto salvo l'articolo 14 della convenzione.

    La chiave di volta del sistema è la libertà di scelta (articolo 3), principio che autorizza le parti a scegliere la legge applicabile al loro contratto. Tale libertà non è tuttavia illimitata: esse possono scegliere qualunque legge, anche se non presenta connessioni oggettive col contratto; possono scegliere la legge che disciplina il contratto posteriormente alla sua conclusione e modificarla in qualsiasi momento della durata del contratto, perfino in corso di procedura. Quanto alla forma della scelta, essa "dev'essere espressa o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze", il che può derivare dall'inserimento nel contratto di una clausola esplicita, ma la scelta può risultare altresì da elementi del contesto contrattuale, e la verifica del carattere tacito o implicito della scelta della legge è affidata al giudice.

    In assenza di scelta di legge ad opera delle parti, la convenzione opta per il principio di prossimità, in quanto il contratto è disciplinato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto (articolo 4). Si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte tenuta a fornire la "prestazione caratteristica" ha, all'atto della conclusione del contratto, la sua residenza abituale. La "prestazione caratteristica" è quella che permette di distinguere un contratto da un altro (il venditore, ovvero colui che opera il trasferimento della proprietà, in un contratto di vendita; il trasportatore, ovvero chi presta servizi, in un contratto di trasporto, ecc.); ne consegue che l'obbligo di pagare una somma di denaro non costituisce, salvo eccezione, la prestazione caratteristica ai sensi dell'articolo 4. La convenzione prevede quindi altre presunzioni in materia di diritti reali o di trasporto di merci. Il giudice può tuttavia disapplicarle, "quando dal complesso delle circostanze risulta che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese".

    A determinate condizioni, analogamente al regolamento "Bruxelles I", la convenzione di Roma comporta norme specifiche a favore delle cosiddette parti "deboli" (consumatori e lavoratori, articoli 5 e 6). La scelta di una legge ad opera delle parti che hanno concluso un contratto non può quindi privare un consumatore o un lavoratore dipendente della tutela delle disposizioni imperative della legge normalmente applicabile nei loro confronti - quale determinata in base alle norme generali della convenzione - in assenza di scelta della legge. Se invece la legge non è stata scelta, al contratto di consumo viene applicata la legge del paese di residenza abituale del consumatore, mentre il contratto di lavoro è disciplinato dalla legge del luogo in cui il lavoratore dipendente solitamente svolge il proprio lavoro e, in assenza di siffatto luogo, dalla legge del luogo in cui ha sede l'impresa che lo ha assunto.

    La convenzione fissa norme speciali per determinate materie (in particolare cessione del credito e surrogazione). Alla legge del contratto viene riconosciuta un'ampia sfera d'applicazione, giacché essa disciplina sia l'interpretazione del contratto medesimo che la sua esecuzione o mancata esecuzione, o ancora l'estinzione e la nullità del contratto.

    1.6 Nesso col progetto "Diritto europeo dei contratti"

    Alcuni s'interrogano fin d'ora sul nesso tra il progetto "Roma I" e il cosiddetto "Diritto europeo dei contratti" [9].

    [9] Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa al diritto europeo dei contratti (GU C 255, 13.9.2001, pag.1).

    La comunicazione 2 luglio 2001 mirava ad ampliare il dibattito di fondo sul futuro del diritto europeo dei contratti nell'Unione europea e sulla necessità di una nuova impostazione a livello del diritto sostanziale dei contratti [10], nonché sull'opportunità di un intervento del legislatore comunitario ispirato a una visione globale in questo settore. In quel documento, la Commissione s'interrogava in particolare sulla coerenza dell'acquis comunitario in materia di diritto dei contratti, nonché sugli eventuali ostacoli che le divergenze nazionali in questo settore potevano frapporre a un corretto funzionamento del mercato interno. Una delle ipotesi evocate, ove si rivelasse necessaria una nuova impostazione, era l'adozione di un nuovo strumento comunitario che contribuisse a ravvicinare il diritto sostanziale dei contratti. Alcuni arrivavano addirittura a dubitare dell'utilità di discutere su norme che prescrivessero l'applicazione di questo o quel diritto nazionale.

    [10] Il diritto sostanziale disciplina questioni quali la validità, la formazione o l'esecuzione del contratto, mentre il diritto internazionale privato dei contratti riguarda esclusivamente il problema della legge applicabile.

    Interrogativi del genere sono privi di fondamento. A giudizio della Commissione, in questa fase l'obiettivo del progetto "Diritto europeo dei contratti" non è né l'uniformizzazione del diritto degli Stati membri in materia di contratti né la creazione di un codice civile europeo. La Commissione aveva già annunciato che avrebbe presentato un documento sull'evoluzione delle discussioni all'inizio del 2003. Inoltre, anche nell'ipotesi in cui in un futuro più lontano si arrivasse a una maggiore armonizzazione del diritto dei contratti a livello comunitario, è probabile che essa verterebbe solo su determinati aspetti di particolare rilievo, di modo che occorrerà sempre determinare la legge applicabile agli aspetti non armonizzati. Le norme di diritto internazionale privato mantengono quindi tutta la loro importanza per le transazioni comunitarie transfrontaliere, oggi come in futuro.

    Ecco perché l'esistenza del progetto "Diritto europeo dei contratti" non sminuisce in nulla la pertinenza degli argomenti a favore della trasformazione della convenzione di Roma in strumento comunitario, nonché a favore del suo rinnovamento.

    1.7 Iniziative già prese

    Al fine di preparare le discussioni relative a un eventuale rinnovamento della convenzione, nel quadro del programma Grotius civil 2000 la Commissione ha finanziato un progetto presentato dall'Accademia di diritto europeo di Treviri, che consiste nella creazione di una base dati accessibile in linea, relativa all'applicazione della convenzione ad opera dei tribunali degli Stati membri. Il sito Internet allestito [11] contiene già un certo numero di riferimenti alla giurisprudenza.

    [11] http://www.rome-convention.org.

    Inoltre, nel quadro della preparazione del regolamento (CE) n. 44/2000 "Bruxelles I", la DG GAI ha organizzato, il 4-5 novembre 1999, un'audizione sul tema "diritto internazionale privato e commercio elettronico". Essa ha permesso di riunire 74 contributi scritti, provenienti da organizzazioni di categoria, associazioni di consumatori, enti pubblici, imprese e studiosi. Una gran parte dei commenti verte sulla problematica della legge applicabile ai contratti conclusi via Internet.

    Infine, i lavori pubblicati dal Gruppo europeo di diritto internazionale privato hanno riguardato le eventuali migliorie alla convenzione, e hanno portato alla formulazione di concrete proposte di modifica dell'attuale testo [12].

    [12] I risultati di questi lavori possono essere consultati sul seguente sito: http://www.drt.ucl.ac.be/gedip.

    Prima di chiedersi se sia opportuno rinnovare nel merito le norme di conflitto di leggi contenute nella convenzione (sezione 3), è opportuno riflettere sui vantaggi che potrebbero giustificare la sua trasformazione in strumento comunitario (sezione 2).

    Innanzi tutto, però, la Commissione desidera cogliere l'occasione del presente libro verde per riunire informazioni precise relative all'effettiva conoscenza della convenzione e delle sue norme da parte dei soggetti economici - imprese, consumatori, lavoratori - e dei giuristi. Essa vuole anche stabilire se la conoscenza o non conoscenza della convenzione incida sul loro concreto comportamento nel negoziare le proprie relazioni contrattuali o in sede di procedimenti giudiziari.

    Domanda 1 - Disponete di informazioni relative all'effettiva conoscenza, da parte dei soggetti economici, nonché di avvocati e magistrati, della convenzione di Roma del 1980 e delle sue norme? Le parti di un contratto sanno che possono scegliere liberamente la legge che a esso verrà applicata? Qualora giungiate alla conclusione che i soggetti economici dispongono di una conoscenza insufficiente della convenzione di Roma, ritenete che questa situazione comporti conseguenze negative sullo svolgimento dei negoziati contrattuali o dei procedimenti giudiziari?

    2. TRASFORMAZIONE DELLA CONVENZIONE DI ROMA DEL 1980 IN STRUMENTO COMUNITARIO

    A livello comunitario, la convenzione di Roma è oggigiorno l'unica che presenti ancora la forma di un trattato internazionale, in materia di diritto internazionale privato a livello comunitario. Ecco perché alcuni si chiedono se sia opportuno trasformarla in strumento comunitario.

    Una trasformazione del genere potrebbe presentare un certo numero di vantaggi, primo fra tutti quello di rendere più coerente la politica legislativa comunitaria in materia di diritto internazionale (punto 2.2), conformemente all'articolo 61, lettera c) del trattato (punto 2.1). Essa permetterebbe tra l'altro di attribuire alla Corte, in condizioni ottimali, una competenza interpretativa (punto 2.3) ed agevolerebbe infine l'applicazione delle norme uniformate di conflitto nei nuovi Stati membri (punto 2.4).

    2.1 Una nuova base giuridica: l'articolo 61, lettera c) del trattato di Amsterdam ha impresso rinnovato slancio al diritto internazionale privato di origine comunitaria

    Benché gli strumenti comunitari in materia di diritto internazionale privato siano stati adottati in base all'articolo 293 (ex-articolo 220) del trattato (con riferimento alla convenzione di Bruxelles del 1968) o siano stati assimilati a strumenti adottati su quella base (è il caso della convenzione di Roma del 1980), questo settore, dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam, rientra nel primo pilastro dell'Unione europea.

    La Comunità ha inoltre adottato, sulla scorta dell'articolo 61, lettera c) del trattato, vari nuovi regolamenti nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile ("Bruxelles II" [13], "fallimento" [14], "trasmissione degli atti" [15] e "assunzione delle prove" [16]) oltre a trasformare la convenzione di Bruxelles del 1968 in regolamento. In aggiunta, la Commissione sta attualmente preparando uno strumento comunitario sulla legge applicabile alle relazioni extracontrattuali ("Roma II").

    [13] Regolamento (CE) n. 1347/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di potestà dei genitori sui figli di entrambi i coniugi, GU L 160 del 30.6.2000, pag. 19.

    [14] Regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvibilità, GU L 160 del 30.6.2000, pag. 1.

    [15] Regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, GU L 160 del 30.6.2000, pag. 37.

    [16] Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziali degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale, GU L 174 del 27.6.2001, pag. 1.

    Il piano d'azione di Vienna del Consiglio e della Commissione [17], adottato dal Consiglio nel 1998, si prefigge esplicitamente di rendere compatibili le norme relative al conflitto di leggi. Al punto 40, lettera c) si raccomanda la "revisione, se necessario, di singole disposizioni della convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, tenendo conto delle disposizioni speciali sulle norme di conflitto in altri strumenti comunitari". Il programma di reciproco riconoscimento [18] precisa che le misure relative all'armonizzazione delle norme di conflitto costituiscono misure d'accompagnamento, intese ad agevolare l'attuazione del principio di reciproco riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale.

    [17] GU C 19 del 23.1.1999, pag. 1, punto 51, lettera c).

    [18] GU C 12 del 15.1.2001, pag. 8.

    Vale la pena di rammentare che il settore della cooperazione giudiziaria civile, tranne in materia di diritto di famiglia, con l'entrata in vigore del trattato di Nizza rientrerà nella procedura di "codecisione", che associa strettamente il Parlamento europeo al processo legislativo.

    2.2 Coerenza della legislazione comunitaria in materia di diritto internazionale privato

    Dato che le norme di competenza internazionale e quelle di conflitto relative alle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali, di natura civile o commerciale, costituiscono in realtà un complesso unico, il fatto che la convenzione di Roma si distingua per forma dagli altri strumenti di diritto internazionale privato a livello comunitario nuoce alla necessaria coerenza.

    A ciò si aggiunge il fatto che la convenzione di Roma, avendo la forma di un trattato internazionale, contiene un certo numero di disposizioni che sarà opportuno valutare nella prospettiva della necessaria coerenza da imprimere alla politica legislativa comunitaria.

    Si tratta in particolare delle disposizioni seguenti:

    - il diritto degli Stati membri di emettere riserve (in ordine all'articolo 7, paragrafo 1 e all'articolo 10, paragrafo 1, lettera e), ai sensi dell'articolo 22;

    - il diritto degli Stati membri, di cui all'articolo 23, di adottare norme nazionali di conflitto per una determinata categoria di contratti;

    - il diritto degli Stati membri, a norma dell'articolo 24, di aderire a convenzioni multilaterali in materia di conflitti di legge;

    - la durata limitata (ancorché rinnovabile) della convenzione (articolo 30).

    Non è pacifico che queste disposizioni risultino compatibili con l'obiettivo di creare un autentico spazio di libertà, sicurezza e giustizia europeo.

    2.3 Interpretazione uniforme della convenzione da parte della Corte

    L'analisi delle prime decisioni pronunciate dai tribunali nazionali permette fin d'ora di constatare che l'applicazione uniforme di determinati articoli della convenzione non sempre è garantita, dato in particolare che le giurisdizioni nazionali tendono a interpretare la convenzione alla luce delle scelte precedenti, per colmare alcune lacune della convenzione o per modificare l'interpretazione di certe disposizioni più elastiche. Per illustrare questi divari si può citare l'articolo 1, paragrafo 1 (campo d'applicazione sostanziale: definizione della materia contrattuale, per stabilire ad esempio se vi si debbano o no includere le catene di contratto) o l'articolo 3, paragrafo 1 (definizione della scelta tacita: come interpretare il riferimento a un concetto giuridico proprio di un determinato ordinamento?) [19].

    [19] Un'altra divergenza di interpretazione è riconducibile al fatto che alcuni Stati membri hanno scelto di incorporare le disposizioni della convenzione nel proprio diritto nazionale per via legislativa, modificando talvolta il testo originario.

    Le norme di conflitto a livello comunitario potrebbero probabilmente essere rese più coerenti con un'interpretazione uniforme delle disposizioni della convenzione di Roma.

    Gli Stati hanno espresso, in una dichiarazione comune [20], la loro volontà di esaminare la possibilità che determinate competenze vengano attribuite alla Corte di giustizia. Ecco perché la convenzione è completata da due protocolli che attribuiscono competenza alla Corte per interpretare la convenzione. Ebbene, quei due protocolli non sono ancora mai entrati in vigore [21].

    [20] Per il testo della convenzione quale modificato dalle varie convenzioni di adesione, le dichiarazioni e gli allegati protocolli, si veda la versione consolidata pubblicata nella GU C 27 del 26.1.1998, pag. 34.

    [21] Affinché il primo protocollo che attribuisce competenza alla Corte entri in vigore negli Stati membri che l'hanno già ratificato (vale a dire tutti tranne Belgio e Irlanda), manca la ratifica del secondo protocollo da parte del Belgio; si veda lo stato avanzamento delle procedure di ratifica sul sito: http://ue.eu.int/accords/default.asp.

    Trasformare la convenzione in strumento comunitario conferirebbe alla Corte competenze identiche per tutti gli strumenti di diritto internazionale privato di fonte comunitaria. La Corte potrebbe in tal modo vigilare sulla coerenza nell'interpretazione dei concetti giuridici comuni alla convenzione di Roma e al regolamento "Bruxelles I" [22].

    [22] Per esempio il concetto di "consumatore".

    In tale contesto occorrerebbe poi tener conto del fatto che i poteri conferiti alla Corte nel quadro del titolo IV in futuro potrebbero evolvere.

    La ratifica dei due protocolli della convenzione di Roma da parte di tutti gli Stati membri resta in ogni caso auspicabile. Tutti i contratti conclusi prima dell'entrata in vigore di un eventuale futuro strumento "Roma I" continueranno infatti a essere soggetti alla convenzione di Roma, di modo che, per un numero tutt'altro che trascurabile di contratti esistenti, entrambi i protocolli manterrebbero inalterata la loro utilità.

    2.4 Applicazione delle norme di conflitto uniformate nei nuovi Stati membri

    La convenzione di Roma del 1980 fa parte dell'acquis comunitario. Nella prospettiva dell'allargamento dell'Unione, l'adozione di uno strumento comunitario eviterebbe di ritardare con procedure di ratifica l'entrata in vigore di norme di conflitto uniformi nei paesi candidati.

    A mo' di illustrazione, basterà ricordare che le convenzioni di Funchal [23] e di Roma [24], relative rispettivamente all'adesione di Spagna e Portogallo, nonché di Austria, Finlandia e Svezia, a tutt'oggi non sono state ratificate da tutti gli Stati membri. Dato che coll'occasione il testo iniziale è stato lievemente modificato, attualmente coesistono nell'Unione europea due versioni differenti della convenzione di Roma [25].

    [23] GU L 333 del 18.11.1992, pag. 1.

    [24] GU C 15 del 15.1.1997, pag. 10.

    [25] La modifica introdotta dalla convenzione di Funchal verte sostanzialmente sulla soppressione dell'articolo 27 relativo all'applicazione territoriale della convenzione.

    2.5 Scelta dello strumento: regolamento o direttiva?

    Quanto alla scelta del tipo di atto da adottare, regolamento o direttiva, è opportuno tener conto del fatto che, conformemente al programma di reciproco riconoscimento, l'armonizzazione delle norme di conflitto di leggi contribuisce al reciproco riconoscimento delle decisioni di giustizia all'interno dell'Unione.

    Occorre anche tener conto del fatto che non si tratta di regolamentare singoli aspetti di una materia - come avviene per le direttive settoriali - ma di armonizzare nel suo complesso la materia del diritto internazionale privato in fatto di obbligazioni.

    Sembra che questi obiettivi possano essere conseguiti più agevolmente se l'eventuale futuro strumento "Roma I" assumerà la forma del regolamento. Quest'ultimo è infatti d'applicazione immediata e la sua attuazione è sottratta alle incertezze che possono permanere col recepimento di una direttiva.

    Domanda 2 - Ritenete opportuno trasformare la convenzione di Roma del 1980 in strumento comunitario? A vostro giudizio, quali argomenti depongono a favore o contro una scelta del genere?

    3. OPPORTUNITÀ DI UN RINNOVAMENTO DELLA CONVENZIONE DI ROMA DEL 1980

    Dato che la convenzione è entrata in vigore solo 11 anni fa, potrà sorprendere che si pensi fin d'ora alla sua revisione. Varie considerazioni depongono tuttavia a favore di un'impresa del genere.

    Anzitutto, valutare l'opportunità di una revisione dell'articolo 5 relativo alla protezione dei consumatori costituisce un obbligo che gli Stati membri hanno sottoscritto all'atto dell'adesione dell'Austria alla convenzione di Roma: la relazione esplicativa sulla convenzione di adesione precisava che l'esame sarebbe dovuto intervenire in un futuro prossimo, e una dichiarazione in tal senso è stata allegata al verbale della conferenza dei governi degli Stati membri [26].

    [26] GU C 191 del 23.6.1997 pagg. 11 e 12.

    Va poi rammentato lo stretto legame tra la convenzione di Roma e il suo "pendant" in materia di conflitto di giurisdizioni, che è la convenzione di Bruxelles. Quando quest'ultima fu trasformata in regolamento comunitario, si è proceduto altresì a una revisione di alcuni articoli della prima [27]. Secondo alcuni, in nome della coerenza del diritto internazionale privato comunitario si dovrebbe tener conto di queste modifiche nello strumento sui conflitti di leggi.

    [27] In particolare gli articoli 5, 15 e 22, paragrafo 1.

    Del resto, la giurisprudenza copre di fatto un periodo superiore a quello durante il quale la convenzione è rimasta in vigore. Vari Stati firmatari, infatti, avevano già introdotto unilateralmente le sue disposizioni nella propria legislazione nazionale, ancor prima che la convenzione entrasse in vigore [28]. In altri Stati membri, i giudici si sono ispirati alle sue norme senza attendere che venissero recepite.

    [28] Danimarca, Lussemburgo, Germania e Belgio.

    Dalla giurisprudenza emerge che alcune norme essenziali della convenzione hanno suscitato critiche, in quanto difetterebbero di precisione. Non va tuttavia perso di vista che la materia non è di quelle che sempre si prestano a specificazioni rigorose, e che occorre necessariamente cercare un punto di equilibrio tra, da un lato norme che lascino ai tribunali completa libertà nel determinare la legge applicabile, dall'altro norme rigide che non lascino spazio per adeguamenti di sorta.

    L'eventuale revisione nel merito servirebbe pertanto, non già a precisare nei minimi dettagli tutti i punti che possono dar adito a interpretazioni divergenti, ma solo a permettere un riordino degli elementi più discutibili. Prima di tornare su questi ultimi, articolo per articolo (punto 3.2), tratteremo di interrogativi più ampi, che vertono sull'equilibrio generale del testo della convenzione (punto 3.1).

    3.1 Interrogativi sull'equilibrio generale della convenzione

    3.1.1. Nesso tra le norme di conflitto generali della convenzione di Roma e le norme contenute in strumenti settoriali, che hanno un'incidenza sulla legge applicabile

    3.1.1.1. Moltiplicazione delle norme settoriali che concorrono a determinare la legge applicabile

    Molto si è scritto sul moltiplicarsi degli strumenti comunitari settoriali di diritto derivato, contenenti singole norme di conflitto di leggi [29], o sulle norme che determinano la sfera territoriale d'applicazione del diritto comunitario, e comportano quindi un'incidenza sulla legge applicabile [30]. Ai sensi dell'articolo 20 della convenzione, nonché in base ai principi generali del diritto [31], le norme speciali che disciplinano materie particolari derogano alle norme della convenzione che hanno portata generale. Nella maggior parte dei casi, tali norme settoriali sono dettate dalla legittima volontà di rafforzare la protezione delle cosiddette parti "deboli" [32].

    [29] Si tratta in particolare degli strumenti seguenti: direttiva relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (93/7/CEE del 15 marzo 1993); direttiva "distacco di lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi" (96/71/CE del 16 dicembre 1996); direttiva "clausole abusive" (93/13/CEE del 5 aprile 1993); direttiva "diritto di godimento a tempo parziale" (94/47/CEE del 26 ottobre 1994); direttiva 97/7/CE, del 20 maggio 1997, sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; direttiva 1999/44/CE, del 25 maggio 1999, su alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo. Esiste inoltre un complesso coerente di norme di conflitto applicabili al settore dell'assicurazione nelle direttive seguenti: seconda direttiva "assicurazione non vita" (88/357/CEE del 22 giugno 1988), quale completata e modificata dalle direttive 92/49/CEE e 2002/13/CE; seconda direttiva "assicurazione vita" (90/619/CEE dell'8 novembre 1990), quale completata e modificata dalle direttive 92/96/CEE e 2002/12/CE.

    [30] Un certo numero di direttive contiene infatti una clausola che, pur non costituendo una norma di conflitto vera e propria, non è priva di incidenza sulla determinazione della legge applicabile al contratto. Ove quest'ultimo presenti uno stretto collegamento col territorio di uno o più Stati membri, queste clausole mirano a garantire l'applicazione del diritto comunitario qualora le parti abbiano scelto il diritto di un paese terzo. Clausole del genere figurano negli strumenti seguenti: direttiva "clausole abusive" (93/13/CEE del 5 aprile 1993); direttiva "diritto di godimento a tempo parziale" (94/47/CEE del 26 ottobre 1994); direttiva 97/7/CE, del 20 maggio 1997, sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza; direttiva 1999/44/CE, del 25 maggio 1999, su alcuni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo; direttiva 2002/65/CE, del 23 settembre 2002, sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari presso i consumatori.

    [31] "Generalia specialibus derogant", il che significa che le leggi speciali derogano da quelle che hanno una portata generale.

    [32] Le norme relative alla sfera territoriale d'applicazione delle direttive "consumi" traggono la loro ragion d'essere soprattutto dal fatto che la protezione prevista dall'articolo 5 non sempre è ritenuta idonea; si veda più oltre il punto 3.2.7.

    Questo moltiplicarsi desta tuttavia vari interrogativi. Secondo alcuni, esso rischia di nuocere alla coerenza del corpus di norme di conflitto di leggi applicabili nell'Unione. A mo' d'esempio vengono talvolta citate le norme che hanno un'incidenza sulla legge applicabile, contenute nelle direttive intese a migliorare la protezione dei consumatori, le quali, da un lato si avvalgono di un meccanismo diverso da quello delle norme di conflitto vere e proprie [33], dall'altro contengono formulazioni che variano leggermente da uno strumento all'altro. L'attuazione da parte degli Stati membri, inoltre, non sempre rispetta lo spirito delle direttive, in particolare ove una norma bilaterale diventi unilaterale [34].

    [33] Si veda la nota 30.

    [34] La maggior parte delle norme di conflitto è di natura bilaterale, ovvero designa indifferentemente, a seconda dei casi di specie, una legge straniera o la legge del giudice adito. Quale esempio si può citare la norma francese secondo cui il giudice, per determinare la filiazione del bambino, deve applicare la legge della nazionalità della madre. Se la madre è francese, il giudice francese applicherà la legge francese; se è italiana, applicherà quella italiana. Secondo il metodo unilateralista, che oggi costituisce piuttosto l'eccezione, ciascuno Stato si limita invece a determinare i casi nei quali è applicabile la propria legge. Si può citare l'esempio dell'articolo 3, terzo comma del codice civile francese: "Ai francesi, anche residenti all'estero, si applicano le leggi relative allo stato e alla capacità delle persone".

    Secondo altri, questa dispersione delle norme di conflitto rende soprattutto scarsamente perspicuo, in particolare per i giuristi, quale sia il testo da applicare, mentre proprio ora è in corso all'interno dell'Unione europea una riflessione più ampia sulla codificazione dell'acquis comunitario, per migliorarne la trasparenza [35].

    [35] Si veda la comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla codificazione della normativa comunitaria, COM (2001) 645 def., 21.11.2001.

    3.1.1.2. Soluzioni ipotizzabili

    Attualmente si discute di varie possibili soluzioni, che vanno da meccanismi per consentire ai giuristi di raccapezzarsi più facilmente nella miriade di testi vigenti, a un'autentica codificazione delle norme di conflitto di origine comunitaria.

    i) Per migliorare la leggibilità dei testi esistenti, si potrebbe prevedere un allegato al futuro strumento, nel quale verrebbero elencati i riferimenti degli strumenti settoriali di diritto derivato che comportano norme di conflitto di leggi, elenco da aggiornare a mano a mano che i vari testi vengono adottati.

    ii) Le norme speciali potrebbero essere riprese nel testo di un futuro strumento comunitario. Il vero problema sarebbe in tal caso stabilire se ci si voglia orientare verso un testo globale, in grado di coprire tutte le norme di conflitto di leggi d'origine comunitaria in materia contrattuale. Di fatto, ciò equivale ad affrontare il problema di una "codificazione" della normativa comunitaria in materia.

    iii) Le norme contenute in strumenti settoriali, che hanno un'incidenza sulla legge applicabile, in genere mirano a proteggere meglio le parti deboli. Il presente libro verde riprende per l'appunto alcune riflessioni condotte attualmente in sede di dottrina per, da un lato introdurre una clausola generale che garantisca l'applicazione di una norma comunitaria di protezione minima (si veda il seguente punto 3.1.2), dall'altro per riscrivere eventualmente l'articolo 5 della convenzione (si veda più oltre il punto 3.2.7). Qualora si procedesse a modifiche del genere, alcuni hanno già proposto di abrogare le norme contenute negli strumenti settoriali.

    Domanda 3 - Vi constano difficoltà dovute al moltiplicarsi e alla dispersione, tra vari strumenti orizzontali e settoriali di diritto derivato, delle norme che hanno un'incidenza sulla legge applicabile? In caso affermativo, qual è a vostro giudizio la migliore soluzione per ovviare al problema?

    3.1.2. Prevedere una clausola per garantire l'applicazione della norma minima comunitaria, qualora tutti gli elementi di un contratto siano localizzati nella Comunità

    3.1.2.1. Rischio che il diritto comunitario non venga applicato correttamente, sebbene tutti gli elementi siano riuniti sul territorio dell'Unione

    Esistono e sempre esisteranno situazioni in cui una parte debole non beneficia della protezione prevista dalla convenzione, per le circostanze particolari del caso di specie. La libertà di scelta potrà condurre all'applicazione della legge di un paese terzo. Qualora tutte le parti coinvolte siano cittadini comunitari, una soluzione del genere potrebbe trovarsi in contrasto con lo spirito della convenzione e del diritto comunitario in genere.

    Come verrà dimostrato più oltre (si veda il punto 3.2.7), potrebbe accadere che il consumatore cosiddetto "mobile" non sia protetto contro l'applicazione della legge di un paese terzo. Nell'ipotesi, per esempio, di un consumatore portoghese che si rechi in Belgio per effettuare un acquisto, nessuna disposizione della convenzione di Roma vieta al commerciante di assoggettare il contratto alla legge di un paese non europeo che ignori qualunque regola in materia di protezione dei consumatori [36].

    [36] Restano ovviamente le garanzie minime offerte dalle "leggi di polizia e sicurezza" - vale a dire delle norme che il giudice può applicare a prescindere dalla legge applicabile al contratto (si veda più oltre il punto 3.2.8). Questo meccanismo presenta però degli inconvenienti: esistono pochissime norme che siano state inequivocabilmente individuate come appartenenti a questa categoria - la prevedibilità delle soluzioni giuridiche è quindi lungi dall'essere garantita.

    Naturalmente occorre non perdere di vista che la protezione delle parti deboli passa anche, in primo luogo, per le varie direttive comunitarie che ormai comportano norme relative al loro campo d'applicazione, proprio per evitare che la semplice scelta della legge di un paese terzo permetta alle parti di sottrarsi alla loro applicazione (si veda il punto 3.1.1). Secondo alcuni, però, il ricorso a un meccanismo del genere è insufficiente: oltre al fatto che non sempre è chiaro quale sia la norma applicabile, le direttive settoriali - lo dice la parola stessa - non disciplinano la totalità del diritto civile, ma solo alcuni aspetti del diritto contrattuale. Da ultimo, il procedimento delle direttive settoriali è insufficiente anche perché, in caso di mancato recepimento o di recepimento scorretto, il consumatore non può invocare le loro disposizioni nei confronti del partner contrattuale [37].

    [37] In quanto le direttive non hanno effetto orizzontale diretto. La mancata trasposizione ad opera della Spagna della direttiva 85/577, del 20.12.1985, relativa alle vendite a domicilio, è per esempio all'origine della cosiddetta giurisprudenza "Gran Canaria" del tribunale federale tedesco.

    3.1.2.2. Soluzioni ipotizzabili

    Il rinnovamento degli articoli 5 e 6 - che verrà discusso più oltre al punto 3.2.7 - permetterebbe di ovviare a certe lacune nella loro formulazione. È tuttavia opportuno ipotizzare un'altra soluzione, che consisterebbe nell'introdurre una clausola per garantire l'applicazione della norma minima comunitaria quando tutti gli elementi del contratto, o comunque determinati elementi molto significativi, sono localizzati nella Comunità.

    Una clausola del genere potrebbe ricalcare l'attuale articolo 3, paragrafo 3 della convenzione in cui si precisa che, "qualora all'atto della scelta tutti gli altri dati di fatto si riferiscano a un unico paese", le disposizioni imperative dell'ordinamento di quest'ultimo restano d'applicazione.

    Allo stesso modo, in un futuro strumento "Roma I" si potrà precisare che, qualora una direttiva prescriva il rispetto di norme minime, le parti non possono sottrarvisi scegliendo la legge di un paese terzo, per sfruttare a proprio vantaggio le norme di conflitto, nel caso di contratti meramente interni alla Comunità. È stato suggerito di stilare una disposizione nei termini seguenti: "La scelta ad opera delle parti della legge di uno Stato terzo, qualora tutti gli altri dati di fatto si riferiscano a uno o più Stati membri all'atto della conclusione del contratto, lascia impregiudicata l'applicazione delle disposizioni imperative del diritto comunitario." [38]

    [38] Per il concetto di "disposizione imperativa", si veda più oltre al punto 3.2.8.

    Sarà altresì opportuno valutare questa proposta alla luce della giurisprudenza Ingmar della Corte di giustizia. Sebbene infatti tutti gli elementi di quella causa non fossero localizzati nella Comunità - il proponente era stabilito negli Stati Uniti -, basandosi sul fatto che l'agente commerciale esercitava la propria attività in uno Stato membro, la Corte ha concluso che andavano applicati determinati articoli della direttiva 86/653 riguardante gli agenti commerciali [39].

    [39] CGCE, 9.11.2000, Ingmar GB Ltd c/ Eaton Loanard Technologies Inc, causa C-381/98.

    Domanda 4 - Vi sembra auspicabile introdurre una clausola di natura generale che garantisca l'applicazione di una norma minima comunitaria, qualora tutti gli elementi di un contratto, o quelli particolarmente significativi, siano localizzati nella Comunità? La formulazione proposta al punto 3.1.2.2 è in grado di rispondere all'obiettivo perseguito?

    3.1.3. Relazioni con le convenzioni internazionali esistenti in materia

    Anche nel quadro di uno strumento comunitario si potrebbe immaginare di permettere che gli Stati membri continuino ad applicare norme di conflitto contenute nelle convenzioni internazionali alle quali hanno aderito. Questa soluzione servirebbe a evitare un conflitto tra le norme previste da dette convenzioni e quelle previste da uno strumento comunitario. Essa permetterebbe inoltre agli Stati membri che già aderiscono a tali convenzioni di non doverle denunciare.

    Indubbiamente la soluzione presenta inconvenienti, in quanto consente agli Stati in questione di applicare norme che potrebbero discostarsi da quelle previste da uno strumento comunitario, pregiudicando in tal modo la creazione di un autentico spazio comune di giustizia. Questo rischio è tuttavia ridotto giacché, da un lato il contenuto di tali norme è allo stato attuale perfettamente noto, dall'altro la facoltà per gli Stati membri di aderire in via individuale ad altre convenzioni cesserà non appena lo strumento comunitario proposto verrà adottato. In applicazione della giurisprudenza "AETR" [40], infatti, l'adozione di uno strumento comunitario che uniformizzi i conflitti di legge in materia contrattuale, di tipo civile e commerciale, attribuirebbe alla Comunità una competenza esclusiva per negoziare e adottare strumenti internazionali in questo settore.

    [40] CGCE 31.3.1971, Commissione c/Consiglio, causa 22/70, Racc. 263.

    In aggiunta si potrebbe prevedere l'obbligo, per gli Stati membri, di notificare le convenzioni internazionali cui tale disposizione si applica, per garantire la trasparenza e la certezza del diritto. L'elenco delle convenzioni potrebbe eventualmente figurare in allegato a uno strumento "Roma I".

    Domanda 5 - Avete commenti da fare rispetto all'orientamento qui tratteggiato?

    3.2 Problemi incontrati nell'applicazione dei vari articoli

    3.2.1. Campo d'applicazione della convenzione - Esclusione delle clausole di arbitrato e di elezione del foro (articolo 1, paragrafo 2, lettera d))

    La convenzione esclude dal proprio campo d'applicazione le clausole di arbitrato - che in caso di controversia prevedono la designazione di un arbitro o di un tribunale arbitrale anziché di una giurisdizione nazionale - e le clausole di elezione del foro - cioè le clausole che designano il tribunale nazionale competente, dette anche "clausole attributive di giurisdizione".

    L'esclusione delle convenzioni di arbitrato crea forse minori perturbazioni, dato il gran numero di trattati in materia. Questi trattati interessano però più spesso il riconoscimento e l'esecuzione della sentenza arbitrale che la legge applicabile alla convenzione stessa di arbitrato.

    Quanto alle clausole attributive di giurisdizione, l'articolo 23 del regolamento "Bruxelles I" contiene bensì delle norme sostanziali, che stabiliscono direttamente determinate condizioni di validità di tali clausole, ma l'applicazione di questo articolo non permetterà di rispondere a tutti gli interrogativi.

    Domanda 6 - Ritenete che sarebbe utile prevedere norme di conflitto applicabili alle clausole di arbitrato e di elezione del foro?

    3.2.2. Norme applicabili al contratto d'assicurazione (articolo 1, paragrafo 3)

    3.2.2.1. Situazione attuale

    La convenzione esclude dal proprio campo d'applicazione i contratti assicurativi che coprono rischi localizzati sul territorio dell'Unione. Questa esclusione è dovuta al fatto che, parallelamente alle trattative sulla convenzione di Roma, i lavori di un altro gruppo di esperti vertevano per l'appunto sul regime di diritto internazionale privato e di libera prestazione di servizi in materia di assicurazioni. Varie direttive settoriali [41] organizzano questo regime di conflitto di leggi solo per il settore assicurativo.

    [41] Si tratta delle direttive rammentate in precedenza nella nota 29. Vale la pena di rilevare che il Consiglio, in data 27 maggio 2002, ha adottato una posizione comune per l'adozione di una versione consolidata delle direttive "assicurazione vita" (GU C 170 E/45 del 16.7.2002). Sono altresì in corso lavori per stilare una versione consolidata delle direttive "assicurazioni non vita", che dovranno concludersi nel 2003.

    Di conseguenza, occorre distinguere fra tre ipotesi a seconda che, da un lato, il rischio sia localizzato o no in uno Stato membro, dall'altro, l'assicuratore sia o no stabilito nella Comunità.

    a) Il rischio è localizzato al di fuori del territorio dell'Unione: la legge applicabile è determinata dalle norme della convenzione, indipendentemente dal fatto che l'assicuratore sia o no stabilito nella Comunità; in applicazione delle norme generali della convenzione (articolo 4) in mancanza di scelta della legge, si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese nel quale è stabilito l'assicuratore.

    b) Il rischio è localizzato nell'Unione ed è assicurato da un prestatore ivi stabilito: la legge applicabile viene determinata secondo le norme delle direttive "assicurazione", le quali differiscono sensibilmente dalle soluzioni generali della convenzione. La direttiva 90/619 in materia di assicurazione vita prevede, quale norma di principio, la competenza della legge dello Stato di residenza abituale dell'assicurato, qualora quest'ultimo sia un privato. Questa soluzione, che colloca l'assicurato in una soluzione analoga a quella del consumatore, corrisponde a quella che vige altresì nella maggior parte dei paesi terzi.

    c) Il rischio, localizzato all'interno dell'Unione, è assicurato da un prestatore stabilito all'esterno: la legge applicabile è determinata secondo le norme nazionali di conflitto dei singoli Stati membri; non esiste una soluzione armonizzata a livello dell'Unione.

    3.2.2.2. Interrogativi sulla situazione attuale

    La situazione attuale è oggetto di critiche da parte degli specialisti di diritto internazionale privato, in particolare per la sua scarsa compatibilità con il principio di trasparenza sotteso al diritto comunitario; se gli specialisti di diritto assicurativo riescono a individuare le norme applicabili, non sempre ciò avviene per un pubblico più ampio.

    Ci si chiede quindi se la situazione di cui al punto a), che porta ad applicare la legge dell'assicuratore, sia conforme alla preoccupazione generale, espressa anche nel regolamento "Bruxelles I" [42], di garantire un elevato grado di protezione al privato cittadino assicurato.

    [42] Già la convenzione di Bruxelles del 1968 conteneva, nella sezione 3, norme speciali di competenza.

    Da ultimo, può sembrare sorprendente che non esistano norme di conflitto armonizzate per la situazione esposta al punto c) - ovvero in caso di rischio situato nell'Unione europea e assicurato da un prestatore non stabilito nella Comunità. Vari specialisti in materia assicurativa sottolineano tuttavia che, in pratica, non vi sarebbe motivo di preoccuparsi, in quanto le norme relative alla libera prestazione di servizi obbligano il prestatore non comunitario a eleggere domicilio nell'Unione, assoggettandolo in tal modo alla normativa europea.

    3.2.2.3. Soluzioni ipotizzabili

    La riflessione potrebbe strutturarsi attorno agli elementi seguenti.

    i) Le norme generali della convenzione, applicate all'ipotesi a) di cui sopra, tengono sufficientemente conto della peculiarità dei contratti assicurativi? Non sarebbe preferibile prevedere, sulla falsariga del regolamento "Bruxelles I", una norma speciale di conflitto in materia? Oppure la Comunità, analogamente alla massima parte dei paesi terzi, dovrebbe disinteressarsi dei rischi che non sono localizzati sul proprio territorio?

    ii) Per migliorare la trasparenza della legislazione comunitaria, si potrebbe pensare a integrare norme speciali in materia di assicurazione in un futuro strumento comunitario. Nell'ipotesi tuttavia in cui dovesse trattarsi di un regolamento, non è sicuro che le norme in materia di assicurazione siano compatibili con questa forma: in sede di elaborazione delle direttive "assicurazione", il legislatore comunitario voleva infatti lasciare un certo margine di manovra agli Stati membri, con riferimento ai criteri di connessione, per permettere l'applicazione della legge dell'assicurato, mentre questa libertà è poco compatibile con la forma di un regolamento. Per questo la massima parte degli Stati membri, nel quadro dei lavori della Commissione sul tema "assicurazione e commercio elettronico", ha espresso l'auspicio che le norme di conflitto non vengano integrate nella convenzione di Roma o nello strumento destinato a sostituirla.

    iii) Creare un allegato che riprenda le norme di conflitto contenute negli strumenti settoriali (si veda il punto 3.1.1.2.), da aggiornare regolarmente, permetterebbe di migliorare la leggibilità e la trasparenza delle norme applicabili in materia.

    Domanda 7 - Come valutate le attuali norme di conflitto in materia assicurativa? Ritenete che l'attuale trattamento delle ipotesi a) e c) risulti soddisfacente? Quale mezzo raccomandate per ovviare alle eventuali difficoltà incontrate?

    3.2.3. Libertà di scelta (articolo 3, paragrafo 1) - Interrogativi sulla scelta di norme non statuali

    In materia di commercio internazionale, sempre più spesso le parti fanno riferimento, non già alla legge di questo o quello Stato, ma direttamente alle norme di una convenzione internazionale come la convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980 sulla vendita internazionale di merci, alle consuetudini invalse nel commercio internazionale, ai principi generali del diritto, alla lex mercatoria o ancora a codici privati recenti come i principi UNIDROIT relativi ai contratti del commercio internazionale.

    Una scelta del genere, nello spirito degli estensori della convenzione, non sembrerebbe essere una scelta di legge ai sensi dell'articolo 3, il quale si riferirebbe soltanto alla scelta di una legge nazionale: i contratti che comportassero una scelta del genere sarebbero soggetti alla legge applicabile in assenza di scelta (articolo 4), e spetterebbe a tale legge definire il ruolo che può essere assegnato alle norme non statuali scelte dalle parti [43]. Tradizionalmente, la maggior parte degli autori si pronuncia contro una siffatta possibilità di scegliere norme non statuali, adducendo che esse non costituiscono ancora un corpus coerente e completo di norme.

    [43] Si veda al riguardo P. LAGARDE, Le nouveau droit international privé des contrats après l'entrée en vigueur de la Convention de Rome du 19 juin 1980, RCDIP, 1980.287.

    Altri auspicano invece che la scelta di norme non statuali possa costituire una scelta di legge ai sensi dell'articolo 3 della convenzione di Roma [44]. Uno dei motivi invocati a favore di una soluzione del genere è che non si giustificherebbe rifiutare che un tribunale nazionale possa accogliere questa prassi, dato che in molti paesi essa è ammessa per gli arbitri.

    [44] Si veda in particolare K. BOELE-WOELKI, Principles and Private International Law - The UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts and the Principles of European Contract Law : How to Apply them to International Contracts, Uniform Law Review, 1996.652.

    Per quanto attiene più specificatamente alla scelta, ad opera delle parti, delle norme della convenzione di Vienna dell'11 aprile 1980, la giurisprudenza olandese ha statuito a due riprese che le parti potevano designare la convenzione come legge applicabile al loro contratto, quantunque nella fattispecie si trattasse di situazioni in cui questa convenzione non era direttamente d'applicazione in virtù delle proprie norme [45]. Resta da stabilire quali effetti sortisca una designazione del genere. Sembra necessario distinguere tra contratti di tipo meramente interno e contratti internazionali. Per questi ultimi, la corte suprema olandese ha ammesso che scegliere la convenzione portava a disapplicare le norme imperative della legge applicabile in assenza di scelta [46]. Alla luce della giurisprudenza del Hoge Raad, sembra quindi che la scelta operata dalle parti costituisca a tutti gli effetti una scelta di legge ai sensi dell'articolo 3.

    [45] L'articolo 1, paragrafo 1 della convenzione precisa che essa è d'applicazione nei confronti dei "contratti di vendita di merci tra parti stabilite in paesi differenti: a) ove tali paesi siano stati contraenti; oppure b) ove le norme del diritto internazionale privato conducano ad applicare la legge di uno Stato contraente".

    [46] Hoge Raad, 26.5.1989, NJ 1992.105 e 5.1.2001, NJ 2001.391.

    Domanda 8 - Ritenete che le parti dovrebbero poter scegliere direttamente una convenzione internazionale, o addirittura principi generali del diritto? Quali argomenti depongono a favore o contro una soluzione del genere?

    3.2.4. Libertà di scelta - Definizione della tacita scelta (articolo 3, paragrafo 1)

    3.2.4.1. Intenzione del legislatore

    Non basta ammettere il principio della libertà di scelta, occorre altresì accertarsi che le parti abbiano effettivamente esercitato il diritto di scegliere la legge applicabile al loro contratto. A norma dell'articolo 3, paragrafo 1, secondo periodo, la scelta "deve risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze". In alcune versioni linguistiche, tale disposizione sembra però meno vincolante [47], ed è possibile che questa differenza sia all'origine di interpretazioni discordanti.

    [47] Nel testo francese, per esempio, si trova l'espressione "de façon certaine" (in modo certo); la formulazione in italiano di questo passo non differisce invece da quelle inglese ("with reasonable certainty") e tedesca ("mit hinreichender [sufficiente] Sicherheit").

    L'intenzione del legislatore era di ammettere una libera scelta, foss'anche tacita. Oltre al frequente inserimento nel contratto di una clausola esplicita, si potrà quindi esprimere la scelta della legge con altre disposizioni del contratto o con elementi del contesto contrattuale. Rientrerà per esempio nel primo caso l'accettazione di un contratto-tipo o di un contratto di adesione disciplinato da un sistema giuridico particolare, quand'anche non vi fosse alcuna precisazione esplicita in merito alla legge applicabile e il testo lasciasse al giudice il compito di verificare che la scelta, pur tacita, sia reale; rientra sempre nel primo caso un riferimento ad articoli di una legge determinata, anche se tale legge non è stata designata complessivamente. Per quel che riguarda le "circostanze", si può pensare a un contratto strettamente collegato a un contratto precedente per il quale era stata operata una scelta esplicita della legge, o ancora a un contratto facente parte di un complesso di operazioni, al cui interno la legge era stata scelta solo per il contratto di base, sul quale si fonda l'intera concatenazione [48].

    [48] Si vedano gli esempi forniti nel rapporto esplicativo sulla convenzione, stilato dai sigg. Giuliano e Lagarde, GUCE C 282, 31.10.1980.

    L'articolo 3, paragrafo 2 esclude invece la scelta meramente ipotetica inferita da clausole contrattuali troppo ambigue. Si ricade allora nell'ipotesi dell'assenza di scelta ad opera delle parti, e il giudice applicherà le presunzioni di cui all'articolo 4.

    3.2.4.2. Difficoltà incontrate

    Il confine tra scelta tacita e scelta meramente ipotetica è labile. Da un'analisi della giurisprudenza emerge una grande divergenza delle soluzioni al riguardo: i tribunali tedeschi e inglesi, indotti forse da una redazione lievemente più elastica e influenzati dalle loro soluzioni anteriori, ravvisano con maggiore facilità dei loro omologhi europei una scelta tacita.

    Una delle questioni ricorrenti è stabilire in quale misura, designando la giurisdizione o una corte di arbitrato di un paese, si scelga implicitamente la legge di quello stesso paese. Il problema sorge in particolare ove il giudice si trovi di fronte a una clausola del genere senza alcun altro argomento che suffraghi tale scelta. È emersa altresì una divergenza sul ruolo da attribuire al riferimento ad opera delle parti a norme tecniche o a concetti giuridici propri dell'ordinamento di un determinato paese.

    3.2.4.3. Soluzioni ipotizzabili

    Dato che l'intenzione del legislatore era di lasciare ampio margine di valutazione al giudice per interpretare la volontà delle parti, l'articolo 3 - una disposizione fondamentale della convenzione - è volutamente stilato in termini generali. Si tratta quindi di valutare con particolare circospezione il problema di una sua eventuale revisione.

    i) In caso di trasformazione della convenzione in strumento comunitario, la Corte verrebbe automaticamente investita della competenza per interpretare il testo. Certo, poiché le decisioni andrebbero prese caso per caso, il conferimento di competenza alla Corte di giustizia, che si pronuncia in diritto e non sui fatti, non permetterebbe di conoscere in anticipo la concreta soluzione adottata. Sembra tuttavia ragionevole ritenere che la Corte provvederebbe quanto meno a definire le principali linee interpretative dell'articolo 3, paragrafo 1, riducendo in tal modo le incertezze più flagranti [49].

    [49] Si può per esempio immaginare che la Corte preciserà che il semplice fatto di designare i tribunali di un paese non costituisce una scelta di legge, se tale scelta non è corroborata da alcun altro elemento.

    ii) Un futuro strumento potrebbe esso stesso fornire indicazioni più precise circa la definizione di tacita scelta e i requisiti minimi affinché essa consti.

    iii) Al fine di rafforzare l'applicazione uniforme della convenzione sembra preferibile unificare le varie versioni linguistiche.

    Domanda 9 - Ritenete che un futuro strumento "Roma I" dovrebbe contenere indicazioni più precise circa la definizione di tacita scelta della legge applicabile, oppure dare competenza alla Corte di giustizia, qualora si opti per una trasformazione in strumento comunitario è sufficiente per garantire la certezza del diritto?

    3.2.5. Qual è la forza della presunzione generale di cui all'articolo 4, paragrafo 2?

    3.2.5.1. Situazione attuale

    Quale legge applicare quando le parti non hanno fatto scelta alcuna, né espressa né tacita, circa la legge applicabile al loro contratto? La convenzione opta per il principio di prossimità: in base all'articolo 4, paragrafo 1 il contratto è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto. La formula è volutamente vaga e porta a valutare quali elementi permettano di determinare il "centro di gravità" del contratto. Si tratta di un compito difficile per il giudice, e la soluzione adottata rischia di non offrire certezze.

    Per rafforzare la certezza del diritto e aiutare il giudice a determinare la legge applicabile, l'articolo 4, paragrafo 2 stabilisce quindi un presunzione generale in base alla quale "si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte tenuta a fornire la prestazione caratteristica ha, all'atto della conclusione del contratto, la propria residenza abituale" [50]. La "prestazione caratteristica" è quella che costituisce il centro di gravità del contratto; in linea di principio è quella per la quale è dovuto il pagamento, vale a dire, a seconda delle varie categorie di contratto, l'obbligo di trasferire la proprietà nel contratto di vendita, quello di prestare un servizio nel contratto di servizio o di effettuare un trasporto nel contratto di trasporto, l'obbligo di assicurare nel contratto d'assicurazione, ecc. L'articolo 4 prevede dunque, in linea di massima, che venga applicata la legge del venditore o del prestatore.

    [50] Per alcuni tipi di contratto (beni immobili, trasporto di merci), la convenzione definisce quindi presunzioni speciali (articolo 4, paragrafi 3 e 4).

    Tuttavia, il giudice può disapplicare questa presunzione "quando dal complesso delle circostanze risulta che il contratto presenta un collegamento più stretto con un altro paese" (articolo 4, paragrafo 5). Si ritorna in tal caso alla norma generale consistente nel cercare la legge con cui il contratto presenta il collegamento più stretto. Questo meccanismo che permette di tornare alla norma generale è denominato "clausola d'eccezione".

    3.2.5.2. Difficoltà incontrate

    Nello spirito di numerosi commentatori della convenzione, la clausola d'eccezione di cui all'articolo 4, paragrafo 5 andava applicata solo a ragion veduta e il ricorso a essa doveva risultare estremamente raro, in quanto un'applicazione frequente avrebbe finito col reintrodurre l'imprevedibilità della legge applicabile, mentre la presunzione di cui all'articolo 4 mirava per l'appunto a ridurre questa imprevedibilità.

    Dall'analisi della giurisprudenza si evince che, in numerose decisioni, il giudice ha applicato ab initio la clausola d'eccezione, cercando subito la legge che risulta più conforme al criterio di prossimità, senza passare preventivamente per la presunzione di cui al paragrafo 2.

    3.2.5.3. Soluzione ipotizzabile

    La soluzione dipende strettamente dall'obiettivo che si vuole perseguire con la norma di conflitto: essa deve garantire la massima prossimità possibile - obiettivo che favorisce una clausola flessibile quale l'articolo 4, paragrafo 5 - oppure la maggiore certezza del diritto - che induce ad applicare rigorosamente la presunzione di cui all'articolo 4, paragrafo 2?

    Tenuto conto della lettera e dello spirito della convenzione, è ragionevole ritenere che il giudice, in un primo tempo e in via provvisoria, dovrebbe far intervenire la presunzione dell'articolo 4, paragrafo 2. Solo qualora la legge così determinata si rivelasse non appropriata, in quanto le altre circostanze depongono chiaramente a favore di una legge diversa, il giudice potrebbe ricorrere alla "clausola d'eccezione". È per l'appunto il principio sancito da una decisione del Hoge Raad olandese, che obbliga il giudice ad applicare in primo luogo la presunzione dell'articolo 4, paragrafo 2, e a disapplicare la legge così ottenuta solo ove risulti palesemente inidonea a regolare il caso di specie [51].

    [51] Nouvelles des Papeteries de l'Aa c/BV Machinenfabriek BOA, Hoge Raad, 25 settembre 1992: When the characteristic performance could be ascertained, 2 contained the main rule and the exception to that rule contained in 5 should therefore be interpreted restrictively. In other words, 2 should be disapplied only if, in the light of special factors, the country of habitual residence of the party carrying out the characteristic performance had "no real value as a connecting factor".

    Al fine di precisare il testo in tal senso, si potrebbe riscrivere l'articolo 4. Una possibilità sarebbe la soppressione pura e semplice del paragrafo 1, per sottolineare il carattere eccezionale del paragrafo 5. Un'altra soluzione consisterebbe nel modificare il paragrafo 5 medesimo. Il futuro strumento "Roma I" potrebbe ricalcare altresì il progetto preliminare di proposta di regolamento del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (progetto "Roma II"), nel quale la clausola d'eccezione di cui all'articolo 3, paragrafo 3 introduce due nuove condizioni rispetto alla convenzione di Roma: si esige che, da un lato il reato presenti connessioni "sostanzialmente" più strette con un'altra legge, dall'altro "non esista un nesso significativo fra tale reato e il paese la cui legge sarebbe applicabile ai sensi dei paragrafi 1 e 2".

    Domanda 10 -A vostro giudizio, è opportuno precisare la formulazione dell'articolo 4 per obbligare il giudice ad applicare in primo luogo la presunzione di cui al paragrafo 2, salvo disapplicare successivamente la legge così ottenuta, ove risulti palesemente inidonea a regolare il caso di specie? In caso affermativo, quale formulazione vi sembra più consona?

    3.2.6. Applicazione della presunzione speciale in fatto di beni immobili ai contratti d'affitto in località di villeggiatura (articolo 4, paragrafo 3)

    3.2.6.1. Soluzione attuale

    Qualora il contratto verta su un diritto reale o su un diritto d'uso per un bene immobile (per esempio contratto di vendita, di promessa di vendita o di locazione di un appartamento), si presume che esso presenti il collegamento più stretto con la legislazione del paese in cui l'immobile è situato (articolo 4, paragrafo 3). Questa norma si spiega con la tradizionale volontà degli Stati di veder applicata la propria legge agli immobili situati sul loro territorio, in particolare data l'importanza del settore immobiliare per l'organizzazione sociale ed economica del paese.

    3.2.6.2. Difficoltà incontrate

    La presunzione speciale in fatto di beni immobili riguarda altresì contratti di durata molto breve per trascorrere un periodo di vacanza. Si può per esempio immaginare il caso di un locatore tedesco, sia esso un privato o un'agenzia di viaggio, che possieda un'abitazione nel sud della Spagna e la dia in affitto a privati tedeschi. Non essendo soddisfatto dello stato in cui trova l'abitazione, l'affittuario potrebbe voler essere rimborsato di una parte dell'affitto. In applicazione dell'articolo 4, paragrafo 3, il contratto concluso tra due tedeschi risulterebbe disciplinato dal diritto spagnolo [52].

    [52] Se il proprietario è egli stesso un privato, l'articolo 5 relativo alla protezione del consumatore non è d'applicazione. Ove il proprietario sia un operatore turistico, l'articolo 5, paragrafo 4, lettera b) precisa che "i servizi dovuti al consumatore devono essere forniti esclusivamente in un paese diverso da quello in cui egli risiede abitualmente"; in linea di massima ciò esclude che si applichi la legge del paese comune di residenza.

    Come già suggerito nel commento esplicativo sulla convenzione, il giudice potrebbe in questo caso attivare la clausola d'eccezione di cui all'articolo 4, paragrafo 5, come è effettivamente avvenuto in un certo numero di decisioni [53].

    [53] BGH, 12 ottobre 1998, IPRAX 1990.318. Applicazione della legge tedesca a un contratto ai sensi del quale un'agenzia tedesca di viaggi metteva a disposizione della propria clientela tedesca alloggi di vacanza situati in Francia.

    Non è peraltro assodato che questa soluzione sia conforme al regolamento "Bruxelles I" il quale, contrariamente alla convenzione di Bruxelles del 1968, si riferisce specificatamente ai "contratti di locazione di immobili conclusi per uso personale temporaneo, della durata massima di sei mesi consecutivi" (articolo 22, paragrafo 1, secondo comma). In questo caso, e a determinate condizioni le parti possono derogare alla competenza esclusiva dei tribunali del luogo in cui è ubicato l'immobile e adire il giudice dello Stato membro nel quale il proprietario e il locatario sono domiciliati.

    3.2.6.3. Soluzione ipotizzabile

    Il Gruppo europeo di diritto internazionale privato suggerisce di inserire nell'articolo 4, paragrafo 3 una disposizione relativa ai contratti locativi per alloggi di vacanze, sulla falsariga di quanto prevede l'articolo 22, paragrafo 1 del regolamento "Bruxelles I" e che potrebbe essere formulata come segue: "Tuttavia, il contratto di locazione di un bene immobile concluso per uso personale temporaneo, di una durata massima di sei mesi consecutivi, è disciplinato dalla legge dello Stato nel quale il proprietario risiede abitualmente o è stabilito, qualora il locatario sia una persona fisica avente la propria residenza abituale nel medesimo Stato" [54]. Se all'articolo 4, paragrafo 3 verrà inserita una clausola del genere, il giudice potrebbe sempre avvalersi dell'articolo 4, paragrafo 5 per temperarne l'eccessiva rigidità.

    [54] Sarà tuttavia opportuno badare a che la terminologia giuridica del futuro strumento sia coerente, dato che l'articolo 22 del regolamento "Bruxelles I" introduce il concetto di "persona fisica", il quale potrebbe risultare meno restrittivo del concetto di "consumatore".

    Domanda 11 - Ritenete opportuno prevedere un'apposita norma per i contratti locativi di breve durata per alloggi di vacanza o il meccanismo attuale risulta soddisfacente?

    3.2.7. Protezione insufficiente del "consumatore mobile" (articolo 5)

    3.2.7.1. Contenuto e campo d'applicazione delle norme di tutela previste dall'articolo 5

    Dagli anni Settanta in poi, si è notevolmente sviluppato un nuovo diritto speciale, quello dei consumi, per tener conto dello squilibrio tra consumatori e operatori. Nuove norme speciali - quali la nullità delle clausole abusive o la facoltà di rescindere unilateralmente un contratto entro un determinato lasso di tempo - mirano quindi a proteggere il consumatore da impegni incauti.

    Tuttavia, le norme di tutela vigenti nel paese della residenza abituale del consumatore, vale a dire quelle sulla cui protezione egli fa in linea di massima affidamento, risulterebbero svuotate di efficacia pratica nel commercio internazionale o intracomunitario se per eluderle bastasse scegliere una legge straniera. Per rassicurare i consumatori, cui spetta un ruolo fondamentale nel mercato interno, giacché il successo di quest'ultimo dipende dalla loro partecipazione attiva, la convenzione di Roma prevede norme speciali di conflitto.

    L'articolo 5 mira però altresì a salvaguardare un certo equilibrio tra le parti. Ecco perché esso enuncia con precisione le condizioni della sua applicazione.

    L'articolo 5 stabilisce una norma duplice: da un lato, in assenza di scelta, il contratto è disciplinato dalla legge del paese in cui il consumatore ha la propria residenza abituale (articolo 5, paragrafo 3), senza che questa legge possa essere elusa da una clausola d'eccezione; dall'altro, "la scelta ad opera delle parti della legge applicabile non può avere per risultato di privare il consumatore della protezione garantitagli dalle disposizioni imperative della legge del paese nel quale risiede abitualmente" (articolo 5, paragrafo 2). L'applicazione di quest'ultima disposizione porta a una situazione che si potrebbe definire frazionata, ovvero all'applicazione di due o più leggi a un medesimo contratto. Ecco che il contratto concluso tra un consumatore che risiede nel paese A e un operatore stabilito nel paese B comporterà molto spesso una clausola a favore dell'applicazione della legge del paese B; ove siano però riunite le condizioni previste dall'articolo 5, il giudice dovrà nondimeno applicare alcune disposizioni della legge del paese A, vale a dire quelle di ordine pubblico e di tutela del consumatore [55]. Il giudice dovrà pertanto applicare a un medesimo contratto due leggi distinte.

    [55] Si tratta in particolare del diritto del consumatore a recedere dal contratto e della protezione contro le cosiddette clausole "abusive", per esempio quelle che esonerano l'operatore da qualunque responsabilità in caso di danno.

    Quanto alle condizioni d'applicazione dell'articolo 5, l'applicabilità delle norme di tutela è limitata a determinati tipi di contratto [56] conclusi con consumatori, un concetto definito in termini rigorosi e in circostanze molto precise. Queste ultime sono tre, e si possono riassumere dicendo che, di massima e ad eccezione delle escursioni transfrontaliere organizzate dal venditore, il "consumatore mobile", in altri termini colui che si è recato in un paese diverso da quello nel quale risiede abitualmente, per effettuarvi un acquisto o ricorrere a un servizio, non gode di protezione [57]. Per il consumatore mobile, sono d'applicazione le norme generali di conflitto previste dagli articoli 3 e 4, che in genere conducono all'applicazione della legge del paese in cui sono domiciliati il venditore o il prestatore di servizi.

    [56] I contratti cui si applica l'articolo 5 sono quelli aventi a oggetto la fornitura di mobili materiali o di servizi, nonché quelli destinati al finanziamento di siffatta fornitura.

    [57] Il primo dei tre casi di specie è quello in cui la conclusione di un contratto sia stata preceduta, nel paese in cui il consumatore risiede abitualmente, da una proposta fatta in modo speciale (per esempio mediante l'invio di un catalogo o di un offerta di contratto) o da una pubblicità (alla radio, alla televisione, sulla stampa o mediante affissione), purché il consumatore abbia compiuto in quel paese gli atti necessari alla conclusione del contratto. La seconda ipotesi è quella di un operatore che abbia ricevuto un'ordinazione nel paese in cui il consumatore risiede abitualmente; la soluzione è giustificata dal fatto che il venditore o il suo rappresentante hanno effettuato uno spostamento. Il terzo caso di specie, più specifico, è quello di un venditore che abbia organizzato una "escursione transfrontaliera" nell'intento di incitare il consumatore a procedere a un acquisto.

    3.2.7.2. Difficoltà incontrate

    La soluzione dell'articolo 5, concepita in un momento in cui sia il diritto dei consumi che le tecniche di commercializzazione a distanza erano appena agli inizi, forma oggetto di un certo numero di critiche. L'Austria ha per esempio subordinato la sua adesione alla convenzione di Roma a una riflessione sulla nuova formulazione di questo articolo [58].

    [58] Si veda la nota 26.

    Una parte della dottrina reputa che l'articolo 5 non offra una protezione adeguata al cosiddetto consumatore "mobile". Da un'analisi della giurisprudenza si evince infatti che il contratto, non appena si discosti dai casi di specie contemplati dall'articolo, può essere disciplinato da una legge straniera che non prevede disposizioni di sorta a tutela del consumatore. La situazione di quest'ultimo si aggrava ulteriormente quando la giurisprudenza gli rifiuta anche il beneficio delle leggi di polizia e sicurezza, come è avvenuto in un'importante controversia tedesca [59].

    [59] Si veda la sentenza 19 marzo 1997 della Corte federale tedesca (BGH), citata più oltre nella nota 61. Più di recente, la Corte di cassazione francese ha invece assimilato a legge di polizia determinate disposizioni del codice francese dei consumi in materia di sovrindebitamento (Civ I, 10.7.2001; Boll. n. 210, N. 000-04-104).

    Certo, grazie alle direttive in materia di consumi, tutti i consumatori che risiedono nell'Unione europea beneficiano attualmente di una norma comunitaria di protezione minima [60]. Non va tuttavia dimenticato che queste direttive coprono solo alcuni aspetti del diritto dei consumi. Inoltre, possono continuare a esservi differenze da un paese all'altro, in particolare in caso di mancato recepimento di una direttiva ad opera di uno Stato membro: in assenza di effetto orizzontale diretto delle direttive, il consumatore non può invocare il beneficio di una disposizione non recepita in un ordinamento nazionale nelle sue relazioni con la controparte [61]. Da ultimo, le direttive in materia di consumi introducono solo una norma di tutela minima che resta al di qua della protezione riconosciuta al consumatore in determinati Stati membri.

    [60] Si veda il punto 3.1.2.

    [61] Proprio la mancata attuazione di una direttiva comunitaria è stata all'origine di due serie di cause "Gran Canaria" intentate dinanzi ai giudici tedeschi, che si sono concluse con una decisione della Corte federale. Nella prima serie di cause, turisti tedeschi in vacanza nell'isola spagnola della Gran Canaria furono vittime di un fabbricante tedesco di biancheria da letto. Quest'ultimo si era accordato con un'impresa spagnola che, sul posto, organizzava escursioni gratuite a bordo di autobus in una riserva ornitologica. Nel corso del viaggio essa reclamizzava i prodotti del fabbricante tedesco e consegnava ai turisti uno stampato di "contratto di vendita", che i turisti stessi firmavano senza pagare nulla immediatamente. Vi si precisava che il cliente avrebbe ricevuto al proprio ritorno in Germania una conferma dell'ordinazione da parte della società tedesca. Le controversie sono apparse quando, di ritorno in Germania, alcuni dei turisti hanno rifiutato di pagare il prezzo che veniva reclamato loro dall'impresa tedesca, e hanno preteso di avvalersi del proprio diritto di recesso, previsto dalla legislazione tedesca in applicazione della direttiva n. 85/577. Giuridicamente si trattava di stabilire se la legge applicabile a queste controversie fosse la legge tedesca, favorevole ai clienti, o quella spagnola, la cui applicazione era prevista dal contratto e che, per la mancata attuazione in Spagna della direttiva suddetta all'epoca dei fatti, non prevedeva un diritto di recesso. La seconda serie di cause è stata promossa da consumatori tedeschi in viaggio nelle isole Canarie, sottoposti a pressanti sedute di persuasione affinché firmassero un contratto per acquistare un diritto di godimento a tempo parziale di un alloggio di vacanza. I contratti - alcuni soggetti alla legislazione dell'Isola di Man, altri a quella spagnola - comportavano una clausola in base alla quale l'acquirente rinunciava a qualsiasi revoca del proprio assenso, che sarebbe invece stata possibile secondo il diritto tedesco e il diritto comunitario. Il problema era quindi stabilire se i consumatori potessero invocare l'applicazione della legge tedesca contro quella scelta nel contratto. La Corte federale ha condannato qualsiasi tentativo per giustificare l'applicazione della legge tedesca favorevole al consumatore, anche solo a titolo di legge di polizia e sicurezza del foro.

    L'articolo 5 è criticato anche per le condizioni in base alle quali distingue i consumatori meritevoli di una protezione particolare da quelli soggetti al regime generale degli articoli 3 e 4. Sono soprattutto i criteri d'applicazione dell'articolo 5 [62] a non sembrare più adeguati allo sviluppo di nuove tecniche di commercializzazione a distanza. Per determinare infatti se un contratto rientri o no nel campo d'applicazione dell'articolo 5, occorre sempre localizzare atti quali una pubblicità, la firma di un contratto, il ricevimento di un'ordinazione (articolo 5, paragrafo 2). Questa soluzione, inoltre, non è più in armonia con quella prevista dall'articolo 15 del regolamento "Bruxelles I" in base al quale, affinché si applichino al consumatore le disposizioni di tutela, un'impresa deve aver orientato le proprie attività verso lo Stato membro in cui il consumatore è domiciliato e il contratto deve essere stato concluso nell'ambito di tali attività, a prescindere dal modo di commercializzazione a distanza [63].

    [62] Si veda la nota 57.

    [63] Si veda la dichiarazione comune della Commissione e del Consiglio riguardante gli articoli 15 e 73 del regolamento "Bruxelles I", consultabile via Internet: http://europa.eu.int/comm/justice_home/unit/civil_it.htm.

    Infine, taluni sono perplessi di fronte all'idea di ricorrere al meccanismo di frazionamento. Oltre agli aspetti di ordine teorico [64], occorrerà valutare se la sua applicazione da parte del giudice ponga altresì difficoltà nella pratica.

    [64] Uno degli interrogativi posti dal meccanismo di frazionamento è in particolare come ci si debba regolare quando le disposizioni di tutela del consumatore sono più favorevoli nel paese B rispetto al paese A. Non è possibile rispondere a questa domanda senza prendere posizione sulla natura della protezione del consumatore: questa passa per l'applicazione di una legge nota al consumatore - che quindi tenga conto delle sue legittime aspettative - o per l'applicazione di una legge che gli sia oggettivamente più favorevole nel merito?

    3.2.7.3. Soluzioni ipotizzabili

    Nel riflettere in merito alla revisione dell'articolo 5, occorre tenere a mente l'obiettivo generale che è, da un lato, la protezione del consumatore, in particolare ove tutti gli elementi di una situazione siano localizzati sul territorio dell'Unione; dall'altro, l'esigenza di salvaguardare l'equilibrio tra gli interessi delle parti. È inoltre preferibile che le future norme risultino chiare, generali e offrano la massima latitudine, affinché le parti siano in grado di conoscere con certezza e in anticipo il diritto applicabile alla loro relazione contrattuale.

    Occorrerà riflettere al tempo stesso sulla natura della protezione concessa al consumatore (applicazione di questa o quella legge) e sui criteri che consentono di individuare quali consumatori debbano effettivamente beneficiare delle disposizioni di tutela, vale a dire quali siano le loro condizioni d'applicazione.

    La discussione potrebbe ispirarsi a varie considerazioni.

    i) Mantenere la soluzione attuale, affiancandole una clausola generale atta a garantire l'applicazione della norma comunitaria di protezione minima (si veda il punto 3.1.1), In tal modo sarebbe possibile ovviare alle situazioni nelle quali è più flagrante l'assenza di protezione di un consumatore comunitario. Tuttavia, pur facendo obbligo di rispettare determinate disposizioni del diritto comunitario, una clausola del genere non per questo dovrebbe pronunciarsi sulla legge applicabile. Tale soluzione sarebbe quindi soggetta a un meccanismo molto diverso da quello sotteso alle altre norme di conflitto, ed è lecito pensare che esso dovrebbe avere un carattere di eccezionalità. Soprattutto non va dimenticato che le direttive comunitarie ancora non coprono tutti gli aspetti del diritto dei consumi, e che resta quindi importante la protezione garantita dal diritto nazionale.

    ii) Mantenere la soluzione attuale, modificandone le condizioni d'applicazione in modo da contemplare il consumatore mobile, nonché eventualmente i tipi di contratto attualmente esclusi. Si potrebbe ritenere che a livello di principio la soluzione attuale risulti soddisfacente e che basti ampliarne il campo d'applicazione (si veda più oltre il punto vi).

    iii) Generalizzare gli articoli 3 e 4 della convenzione, che portano ad applicare la legge dell'operatore, in cambio di un'applicazione generalizzata delle norme imperative dello Stato in cui il consumatore è domiciliato: il Gruppo europeo di diritto propone di applicare gli articoli 3 e 4 della convenzione ai contratti di consumo, e di estendere contestualmente l'attuale norma prevista dall'articolo 5, paragrafo 2. In pratica, ciò significa che il contratto di consumo sarebbe disciplinato dalla legge del paese in cui l'operatore è stabilito, sia essa stata o no scelta dalle parti, ma che il giudice applicherebbe in entrambi i casi le norme imperative di protezione previste dalla legge del paese in cui il consumatore è domiciliato. Questa soluzione presenterebbe il vantaggio di offrire al fornitore una maggiore prevedibilità del diritto applicabile. Per aumentare ulteriormente questo effetto, tale soluzione potrebbe essere completata da una disposizione in base alla quale l'applicazione delle norme imperative della legge del paese in cui il consumatore è domiciliato scatta purché il fornitore sia stato effettivamente in grado di conoscere il paese in questione (si veda più oltre il punto vii). Una soluzione del genere aumenterebbe invece i casi di frazionamento, e occorrerà valutare quali difficoltà comporti nella pratica questo modo di procedere.

    iv) Le soluzioni di cui ai punti ii) e iii) presuppongono che vengano individuate le "disposizioni imperative" della legge del paese in cui il consumatore abitualmente risiede. È stato proposto che, in materie armonizzate a livello comunitario, andrebbero applicate le norme di protezione del consumatore previste dalla legge scelta dalle parti (in genere quella del paese in cui è stabilito l'operatore); le "disposizioni imperative" della legge del paese di residenza del consumatore disattiverebbero la legge scelta soltanto ove non esista armonizzazione comunitaria.

    v) Applicare sistematicamente la legge del paese in cui il consumatore abitualmente risiede. Questa soluzione presenterebbe il vantaggio della chiarezza ed eviterebbe di dover frazionare le clausole del contratto. In tal modo essa contribuirebbe a una maggiore certezza del diritto e permetterebbe di accelerare eventuali procedimenti giudiziari, oltre a ridurne i costi, con evidenti vantaggi per entrambe le parti. Anche in questo caso, andrebbero studiate le condizioni d'applicazione della norma (si veda il punto vi).

    vi) Nel quadro delle ipotesi ii), iii), e v), resterà da riflettere sul criterio per distinguere i consumatori che beneficiano di una particolare protezione nelle transazioni transfrontaliere e quelli che ne sono esclusi [65]. L'impostazione tradizionale, adottata dalla convenzione di Bruxelles del 1968 e dalla convenzione di Roma, consisteva nel collocarsi dal punto di vista del consumatore, rifiutando la protezione a coloro che avevano consapevolmente assunto il "rischio del commercio estero". Si è già ricordato in precedenza che questo criterio, il quale presupporrebbe l'esatta localizzazione degli atti compiuti dalle parti, risulta poco consono all'era delle nuove tecniche di commercializzazione a distanza (televisione a pagamento, Internet). Un'altra soluzione potrebbe consistere nel passare ad analizzare il comportamento dell'operatore. Un futuro strumento "Roma I" potrebbe per esempio ispirarsi all'articolo 15 del regolamento "Bruxelles I" il quale, per stabilire se un consumatore possa beneficiare delle norme di tutela, stabilisce una condizione duplice: da un lato l'operatore deve aver orientato le proprie attività verso il paese in cui il consumatore è domiciliato, dall'altro un contratto deve essere stato concluso effettivamente a distanza, nell'ambito di tali attività [66]. Contestualmente, si potrebbe valutare l'opportunità di introdurre una definizione comunitaria dell'espressione "orientare le proprie attività" verso un altro Stato, definizione che potrebbe consistere, ad esempio, in una serie di indizi.

    [65] Esistono infatti ipotesi nelle quali ragionevolmente non si può immaginare di applicare la legge del paese del consumatore, come per esempio nel caso di un turista belga in viaggio, che acquisti in Portogallo una videocassetta difettosa.

    [66] Si veda la citata dichiarazione della Commissione e del Consiglio sull'articolo 15 del regolamento "Bruxelles I" http://europa.eu.int/comm/justice_home/unit/civil/justciv_conseil/justciv_it.pdf), la quale al riguardo precisa che, affinché le disposizioni di tutela del consumatore siano applicabili, non basta che un'impresa diriga le proprie attività verso lo Stato membro in cui il consumatore è domiciliato, ma occorre altresì che nell'ambito di tali attività sia stato concluso un contratto. "La semplice accessibilità di un sito Internet non è sufficiente a far scattare l'applicazione dell'articolo 15, occorre altresì che tale sito inviti a concludere contratti a distanza e che un contratto, qualunque sia il mezzo usato, sia stato effettivamente concluso. In proposito, la lingua o la valuta usate da un sito Internet non costituiscono un elemento pertinente." I siti cui questa dichiarazione si riferisce non necessariamente sono del tipo "interattivo": anche un sito che inviti a trasmettere un'ordinazione via fax mira a concludere contratti a distanza. Non persegue invece tale finalità un sito che, pur rivolgendosi ai consumatori del mondo intero nell'intento di fornire informazioni in merito a un prodotto, li rimandi successivamente a un distributore o agente locale per concludere un contratto.

    vii) Una variante della soluzione precedente (vi) potrebbe consistere nell'introdurre elementi relativi a situazioni apparenti, sempre al fine di precisare le condizioni d'applicazione delle disposizioni di tutela del consumatore. Un futuro strumento potrebbe per esempio prevedere che il fattore del luogo di residenza del consumatore venga ritenuto pertinente solo ove sia noto al fornitore, o dovrebbe esserlo tenuto conto dell'atteggiamento del consumatore. Il fornitore sarebbe quindi protetto dall'applicazione di una legge straniera se il consumatore non gli avesse fornito elementi che consentano di conoscere il paese di residenza di quest'ultimo - ma non necessariamente il suo indirizzo esatto, restando inteso che spetta al fornitore offrire tale possibilità al consumatore e accertarsi che le necessarie disposizioni siano state prese [67].

    [67] Per un contratto concluso via Internet, per esempio, spetta all'operatore accertarsi che il suo modulo standard gli consenta di individuare il luogo di residenza del consumatore.

    viii) Tutt'altra impostazione consisterebbe nel non chiedersi più se un consumatore meriti o no una protezione particolare, ma nell'istituire una norma unica per tutti i consumatori. Si potrebbe per esempio ammettere per tutti i contratti di consumo la scelta di una legge diversa da quella del paese in cui il consumatore abitualmente risiede. In cambio, le possibilità di scelta sarebbero estremamente ridotte, e l'alternativa si limiterebbe alla legge del paese in cui l'operatore è stabilito. Affinché tale scelta risulti valida, dovrebbe essere stata effettuata con cognizione di causa, e l'operatore sarebbe tenuto a fornire la prova che il consumatore è stato preventivamente informato di tutti i diritti e degli obblighi che derivano per lui dall'applicazione di tale legge (diritto di recesso, cambio del prodotto, durata e condizioni della garanzia, ecc.). Se tale prova non potesse essere fornita, il giudice applicherebbe la legge del consumatore o le disposizioni imperative che la stessa prevede. Una soluzione del genere, che trarrebbe la propria giustificazione dall'esistenza di una norma comunitaria di protezione minima del consumatore, ovviamente potrebbe applicarsi solo qualora l'operatore sia domiciliato in uno Stato membro. Nei confronti dell'operatore non comunitario, quale contropartita per la scelta di una legge diversa da quella del consumatore, continuerebbero a essere applicate le disposizioni imperative di detta legge, col relativo obbligo di accettare il frazionamento del contratto.

    A prescindere dalla soluzione adottata, è opportuno tener presente che controversie in materia di consumi raramente danno adito ad azioni giudiziarie, per l'esiguità degli importi in gioco. È quindi opportuno valutare il problema della legge applicabile al contratto di consumo nell'ambito delle attuali iniziative, a livello degli Stati membri non meno che della Commissione europea, per incentivare le procedure alternative di risoluzione delle controversie, compreso per via elettronica [68].

    [68] Si veda il libro verde relativo ai modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale, COM (2002) 196 def.

    Domanda 12 - Valutazione delle norme relative alla protezione del consumatore

    1) Quale valutazione date delle attuali norme relative alla protezione del consumatore? Vi sembrano tuttora adeguate, in particolare alla luce dello sviluppo del commercio elettronico?

    2) Disponete di informazioni relative all'incidenza dell'attuale disciplina a) sulle imprese in generale, b) sulle piccole e medie imprese nonché c) sui consumatori?

    3) Tra le soluzioni proposte, a quale va la vostra preferenza e per quali motivi? Sono ipotizzabili altre soluzioni?

    4) A vostro giudizio, quale sarebbe l'incidenza delle varie soluzioni prospettate a) sulle imprese in generale, b) sulle piccole e medie imprese nonché c) sui consumatori?

    3.2.8. Interrogativi in ordine alla definizione del termine "disposizioni imperative"

    3.2.8.1. Il concetto di "disposizione imperativa" copre una realtà multiforme

    La convenzione evoca l'applicabilità di "disposizioni imperative" all'articolo 3, paragrafo 3 e agli articoli 5, 6, 7 e 9. Di che si tratta? In diritto interno, esistono numerose disposizioni imperative che si prefiggono di garantire l'ordine sociale ed economico di un paese, denominate altresì "norme di ordine pubblico". Si tratta di norme alle quali le parti non possono derogare per contratto, in particolare ove tali norme mirino a proteggere una parte debole (consumatore, lavoratore, autore in un contratto di edizione, minorenne, agente commerciale) [69]. In un contratto soggetto a un diritto straniero, tuttavia, una parte debole non può automaticamente aspettarsi che siano d'applicazione le disposizioni di ordine pubblico del proprio paese - tranne ove le norme speciali della convenzione (articoli 5 e 6) lo prevedano.

    [69] In diritto del lavoro, per esempio, è questo il caso delle norme relative alla sicurezza e all'igiene sul posto di lavoro, alla retribuzione minima, alle ferie pagate o ai congedi per malattia.

    Le disposizioni imperative di cui all'articolo 7, dette altresì "leggi di polizia e sicurezza", assumono un carattere diverso e scattano solo in un contesto internazionale: si tratta di norme alle quali uno Stato riconosce un'importanza tale da esigerne l'applicazione non appena la situazione giuridica presenti un certo nesso col proprio territorio, a prescindere dalla legge applicabile al contratto. In forza delle leggi di polizia e sicurezza il giudice non applica neppure le proprie norme di conflitto per stabilire quale sarebbe la legge applicabile e per valutare se le sue disposizioni siano eventualmente in palese contrasto con i valori sottesi all'ordinamento giuridico del suo paese [70]; egli applica d'ufficio la propria regola di diritto. L'articolo 7 non enumera le leggi di polizia e sicurezza; ciascun giudice dovrà riferirsi al proprio sistema giuridico per stabilire se questa o quella disposizione costituisca una legge di polizia, e non sempre la risposta è evidente.

    [70] Si tratta del cosiddetto meccanismo dell'eccezione di ordine pubblico, di cui all'articolo 16 della convenzione.

    Per illustrare la differenza tra norme d'ordine pubblico interno a leggi di polizia, si può citare l'esempio del diritto francese in materia di licenziamenti. Le disposizioni che esso prevede sono di ordine pubblico interno, il che significa che qualsiasi contratto tra datore di lavoro e dipendente in base al quale quest'ultimo rinunciasse all'indennità di licenziamento o accettasse senza compensazione una riduzione del periodo di preavviso sarebbe nullo. La giurisprudenza francese ha deciso che non si tratta però di una legge di polizia e sicurezza applicabile comunque, a prescindere dal diritto che si applica al contratto [71]. Di conseguenza, un dipendente francese il cui contratto di lavoro sia valevolmente soggetto a un diritto straniero (al riguardo si veda più oltre il punto 3.2.9) non può sperare che la legislazione francese in materia di licenziamenti sia automaticamente d'applicazione.

    [71] Corte d'appello di Parigi, 22.3.1990, D. 1990, Somm., pag. 176.

    3.2.8.2. Difficoltà incontrate

    Secondo alcuni [72], potrebbe essere opinabile il modo di combinare le disposizioni imperative dell'articolo 5 e quelle dell'articolo 7: il primo non costituirebbe un'applicazione speciale dell'articolo 7, in quanto entrambi mirano a disapplicare la legge normalmente applicabile. Di conseguenza, ove vengano meno le condizioni dell'articolo 5, l'applicazione dell'articolo 7 verrebbe a cadere a sua volta. In base a questa interpretazione il consumatore mobile, già sprovvisto della protezione del disposto dell'articolo 5, verrebbe a perdere altresì il beneficio di quella valvola di sicurezza che sono le leggi di polizia e sicurezza. Benché la giurisprudenza tedesca vi abbia aderito [73], questa posizione è molto criticata dalla maggior parte della dottrina.

    [72] P. Lagarde, Le nouveau droit international privé des contrats après l'entrée en vigueur de la Convention de Rome du 19 juin 1980, RCDIP 1991.316.

    [73] BGH, 19 marzo 1997 (causa VIII ZR 316/96). Nel caso di specie, dei turisti tedeschi avevano firmato in Spagna - dove trascorrevano le vacanze -, in condizioni contestabili, contratti relativi a un diritto d'uso a tempo parziale per alloggi di vacanza. I contratti erano soggetti alla legislazione dell'Isola di Man o a quella spagnola e comportavano una clausola in base alla quale l'acquirente rinunciava a qualsiasi forma di recesso. Rientrati in Germania, alcuni turisti hanno tuttavia voluto beneficiare del diritto di recesso previsto dalla legislazione tedesca. Non potendo beneficiare, in quanto consumatori "mobili" delle disposizioni di tutela dell'articolo 5, i giudici in primo grado e in appello hanno fatto valere che il diritto di recesso previsto dalla legislazione tedesca costituiva una legge di polizia ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 2 della convenzione. Tale argomentazione è stata respinta dalla corte suprema in quanto la legge tedesca potrebbe trovare applicazione a norma dell'articolo 7 solo in presenza di un collegamento con il territorio di cui all'articolo 5, paragrafo 2, per i contratti disciplinati da quell'articolo. Vale la pena di rilevare che, rispetto ad allora, la protezione dei consumatori in un caso del genere è garantita da direttive comunitarie settoriali.

    In linea generale, sembra che l'uso di una stessa espressione per concetti affatto distinti generi una certa confusione circa la corretta interpretazione della convenzione.

    3.2.8.3. Soluzioni ipotizzabili

    Un futuro strumento "Roma I" potrebbe precisare che gli ambiti d'applicazione dei due articoli non sono identici. L'articolo 5 designa una legge oggettivamente applicabile (nelle circostanze che esso definisce), di cui vanno rispettate le disposizioni imperative di tutela ai sensi del diritto interno. Questo articolo non osta però all'applicazione di eventuali leggi di polizia e sicurezza, ai sensi dell'articolo 7, le cui disposizioni vengano interpretate come imperative nel diritto internazionale e siano in grado di offrire una protezione complementare, purché siano soddisfatte le loro condizioni di applicazione territoriale.

    Sarebbe quindi possibile proporre una definizione del concetto di legge di polizia e sicurezza, che ricalchi la giurisprudenza Arblade della Corte di giustizia [74], secondo la quale la legge di polizia e sicurezza è una "norma nazionale la cui osservanza è stata reputata cruciale per la salvaguardia dell'organizzazione politica, sociale o economica dello Stato membro interessato, al punto da imporne il rispetto a chiunque si trovi sul territorio nazionale di tale Stato membro o a qualunque rapporto giuridico localizzato sul suo territorio".

    [74] CGCE 23.11.1999, cause C-369/96 e C-376/96.

    In seguito alla giurisprudenza Ingmar GB Ltd contro Eaton Loenard Technologies Inc. della Corte [75], taluni suggeriscono altresì di precisare nel futuro strumento che non può darsi legge di polizia ove una norma miri soltanto a tutelare interessi meramente privati, a differenza di leggi che tutelano l'ordine politico, economico o sociale di uno Stato.

    [75] CGCE 9.11.2000, causa C-381/98.

    La giurisprudenza Ingmar precisa altresì che determinate disposizioni del diritto comunitario possono a loro volta avere carattere imperativo. Un richiamo in tal senso potrebbe risultare utile in un futuro strumento "Roma I", sulla falsariga dell'articolo 11, paragrafo 3 del progetto preliminare di proposta di regolamento del Consiglio relativo alla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali ("Roma II") [76].

    [76] Si veda la nota 5.

    Domanda 13 - È opportuno precisare il senso rispettivo delle "disposizioni imperative" di cui agli articoli 3, 5, 6 e 9, da un lato, e all'articolo 7, dall'altro?

    3.2.9. Incertezze in ordine all'interpretazione del termine "distacco temporaneo" del dipendente (articolo 6)

    3.2.9.1. Legge applicabile al contratto di lavoro

    Come nel caso del consumatore, l'intento di proteggere il lavoratore ha indotto gli estensori della convenzione a derogare alle norme generali degli articoli 3 e 4. L'articolo 6, paragrafo 1 è costruito sulla falsariga dell'articolo 5, paragrafo 2: la libertà di scelta non è abolita e questa circostanza è tutt'altro che trascurabile per contratti negoziati dai dirigenti. Tale libertà trova tuttavia un limite nel fatto che la scelta di una legge diversa da quella che in assenza di scelta sarebbe oggettivamente applicabile, non può privare il lavoratore della protezione che gli garantiscono le disposizioni imperative della legge oggettivamente applicabile.

    La determinazione della legge oggettivamente applicabile (articolo 6, paragrafo 2) discende invece da uno spirito diverso da quello sotteso all'articolo 5: mentre per quest'ultimo la legge applicabile è quella del domicilio del consumatore - legge che in generale il consumatore conosce e sulla cui protezione fa affidamento - l'articolo 6, paragrafo 2 cerca di determinare la legge con la quale il contratto presenta il collegamento più stretto. Esso opera una distinzione a seconda che il lavoratore, in esecuzione del contratto, svolga o no abitualmente il proprio lavoro in uno stesso paese.

    Nel primo caso, è d'applicazione la legge del paese nel quale il lavoratore svolge abitualmente il proprio lavoro. Il testo precisa che ciò vale altresì ove il lavoratore venga "distaccato in via temporanea in un altro paese": l'invio all'estero di un lavoratore per un determinato periodo o per le esigenze di uno specifico lavoro non modifica la legge applicabile al suo contratto, mentre l'invio definitivo all'estero porta con sé l'applicazione della legge del nuovo paese in cui da quel momento in poi il lavoratore svolgerà abitualmente il proprio lavoro.

    Qualora invece il lavoratore non svolga abitualmente il proprio lavoro in uno stesso paese [77], la legge applicabile è quella del paese "nel quale si trova l'impresa che ha assunto il lavoratore".

    [77] È per esempio il caso del lavoratore su un cantiere itinerante, o del rappresentante di commercio che opera in più Stati.

    In entrambi i casi, che il lavoratore svolga o no abitualmente il proprio lavoro in uno stesso paese, il collegamento oggettivo definito dalla convenzione può essere disapplicato mediante una clausola d'eccezione (articolo 6, paragrafo 2, in fine), la quale permette in tal modo di evitare le conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore di un rigido assoggettamento del contratto alla legge del luogo di esecuzione [78].

    [78] Si potrà per esempio considerare che un contratto concluso in Francia tra un datore di lavoro francese e un dipendente francese per un lavoro di due anni in un paese africano, eventualmente con la promessa di un nuovo impiego in Francia allo scadere del contratto, sarà disciplinato, non già dalla legge del paese africano del luogo di esecuzione, ma da quella francese con la quale esistono le connessioni più strette.

    3.2.9.2. Difficoltà incontrate

    In genere, stando ai giuristi e alla dottrina, le disposizioni dell'articolo 6 sembrano abbastanza ben formulate. Ecco perché l'analisi della giurisprudenza verte in primo luogo sulle circostanze del caso di specie, spesso complesse e soggette a interpretazione. Alcune difficoltà meritano tuttavia di essere segnalate. Si tratta anzitutto di quelle già evocate con riferimento agli articoli 3, 4 e 5, relative in particolare alla determinazione della scelta tacita, al frequente ricorso alla clausola d'eccezione, nonché all'interazione tra le disposizioni imperative ai sensi dell'articolo 6 e le leggi di polizia e sicurezza di cui all'articolo 7, sulle quali non torneremo in questa sede.

    Vale invece la pena di interessarsi più da vicino all'espressione "distacco temporaneo". Non solo l'analisi della giurisprudenza rivela che la definizione del carattere "temporaneo" di un distacco solleva interrogativi sotto il profilo del diritto internazionale privato, ma occorre tener conto altresì della definizione del termine "distacco" quale compare nella direttiva 1996/71/CE del 16 dicembre 1996.

    Sotto il mero profilo del diritto internazionale privato, la convenzione affida al giudice il compito di stabilire oltre quale durata il distacco cessi di essere temporaneo. Le soluzioni sono quindi poco prevedibili e possono differire da un paese all'altro. Il fatto tuttavia che la legge applicabile non venga individuata in modo rigido, permette altresì al giudice di tener meglio conto delle circostanze del caso di specie, in quanto il "distacco" copre effettivamente situazioni molto diverse. Un caso che solleva ad esempio vari interrogativi è quello del distacco all'interno delle società di un gruppo. Come regolarsi quando il dipendente viene inviato in una società dello stesso gruppo, con la quale conclude un contratto di lavoro locale? A volte le società di un gruppo godono di un'autentica autonomia ed è possibile che il trasferimento corrisponda veramente a un nuovo contratto. In altre situazioni, invece, il lavoratore viene assunto dalla direzione del gruppo prima di essere trasferito con decisione della stessa direzione; in tal caso la conclusione di un nuovo contratto corrisponde solo a esigenze amministrative (per esempio la necessità di ottenere un permesso di lavoro).

    Quanto poi al collegamento con la direttiva "distacco dei lavoratori" [79], l'articolo 6 impone di tornare nuovamente sul problema dell'interazione fra le norme di conflitto generale della convenzione di Roma e le norme contenute nelle direttive settoriali, che presentino un'incidenza sulla legge applicabile. Oltre a difettare di leggibilità in ordine alle norme applicabili per gli stessi giuristi, i due strumenti non usano il termine "distacco" nella stessa accezione.

    [79] Direttiva 96/71 (CE) del 16 dicembre 1996, GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1.

    Nel caso del distacco di un lavoratore dipendente, la direttiva 96/71 si prefigge l'applicazione di determinate disposizioni imperative dello Stato membro verso il quale avviene il distacco. Si tratta in particolare della normativa nello Stato ospite in materia di salario minimo, ma anche delle norme di sicurezza e di igiene. Una lettura frettolosa potrebbe quindi dare l'impressione che la direttiva non segua la stessa logica della convenzione: l'articolo 6 di quest'ultima prevede infatti che lo status del lavoratore dipendente non debba risultare modificato da un distacco temporaneo. Un'analisi più approfondita rivela tuttavia che i due strumenti si conciliano perfettamente. In caso di distacco, infatti, la direttiva non mira in alcun modo a modificare la legge applicabile al contratto di lavoro, ma solo a fissare uno "zoccolo duro" di norme imperative da rispettare durante il periodo di distacco in un altro Stato membro, "qualunque sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro". La direttiva va pertanto vista come un prolungamento dell'articolo 7 della convenzione, relativo alle leggi di polizia e sicurezza. Lo strumento mira quindi a creare condizioni eque di competitività sul mercato del lavoro nell'Unione, garantendo nel contempo il rispetto del diritto dei lavoratori [80].

    [80] Vale la pena di rammentare che le norme della direttiva si applicano allo stesso modo ai lavoratori o datori di lavoro non comunitari, cosicché non vi è differenza di trattamento a seconda che l'impresa che distacca un lavoratore sia o no stabilita in uno Stato membro. Il testo precisa infatti che le imprese stabilite in un paese terzo non possono ottenere un trattamento più favorevole di quelle stabilite in uno Stato membro. Di conseguenza, le legislazioni degli Stati membri che recepiscono la direttiva si applicano indistintamente ai lavoratori distaccati sul loro territorio, qualunque sia il paese d'origine del lavoratore o del datore di lavoro.

    Potrebbe tuttavia sorgere una certa confusione, in quanto i due strumenti non danno la stessa definizione del termine "distacco".

    L'articolo 1, paragrafo 3 della direttiva 96/71 precisa che le sue norme sono d'applicazione sempre che esista un rapporto di lavoro tra l'impresa che provvede a inviare del personale e il lavoratore distaccato. Se però con l'impresa di "arrivo" viene concluso un nuovo contratto di lavoro, ai sensi della direttiva non si è più in una situazione di distacco. La convenzione ammette invece che possa esservi distacco anche se il lavoratore conclude un nuovo contratto nel paese ospite, per esempio all'interno di un gruppo di società, per mere questioni amministrative e senza che ciò rispecchi la realtà economica. Nel quadro della convenzione, il criterio in base al quale la giurisprudenza e la dottrina stabiliscono se un distacco sia o no temporaneo è la durata, mentre questo criterio non rileva ai sensi della direttiva.

    Trattandosi di due testi con finalità diverse, si può perfettamente concepire che ciascuno adotti una propria definizione del termine "distacco". Per contro, questo dato di fatto non contribuisce a migliorare la leggibilità della legislazione comunitaria.

    3.2.9.3. Soluzioni ipotizzabili

    Per evitare che, ai fini dell'articolo 6 della convenzione di Roma, la durata del distacco venga valutata solo caso per caso, creando in tal modo una soluzione non prevedibile, si possono prospettare varie soluzioni.

    i) Valutare il carattere temporaneo del distacco alla luce dell'intenzione delle parti, nel senso che sarebbe temporaneo un distacco previsto per una durata determinata o per una missione delimitata. Questa soluzione, che presupporrebbe una valutazione ex ante della durata del distacco, è stata proposta dal Gruppo europeo di diritto internazionale privato.

    ii) Un'altra soluzione consisterebbe nell'affidare al giudice la valutazione ex post della durata del distacco, che avverrebbe quindi in funzione della durata effettiva fino alla cessazione del distacco, caso per caso, eventualmente in base a una durata fissata da un futuro strumento. Il Gruppo europeo di diritto internazionale privato sottolinea tuttavia che questa impostazione, pur presentando il vantaggio della prevedibilità, sarebbe necessariamente arbitraria e rischierebbe di rivelarsi troppo rigida di fronte alla grande varietà di situazioni.

    iii) La convenzione potrebbe inoltre precisare che un nuovo contratto concluso con un datore di lavoro dello stesso gruppo non esclude che si tratti di un distacco.

    Domanda 14 - È opportuno introdurre nell'articolo 6 precisazioni circa la definizione del concetto di "distacco temporaneo"? In caso affermativo, di che tipo?

    3.2.10. Altri interrogativi riguardo all'articolo 6

    La convenzione non precisa quale sia la situazione del personale che svolge un lavoro in un luogo non soggetto a sovranità nazionale (marinai in alto mare, piloti d'aviazione). La giurisprudenza, anziché localizzare in modo un po' artificiale in un paese o in un altro il luogo in cui il lavoro viene svolto, tende ad applicare la legislazione del luogo in cui il lavoratore è stato assunto.

    In alcuni Stati membri vigono norme speciali, a volte di tipo unilaterale, che nuocciono quindi all'uniformità delle soluzioni (per esempio una norma di conflitto che designa la legge del paese di cui la nave batte bandiera, per i marinai a bordo).

    Per quel che riguarda infine il telelavoro internazionale, ci si può chiedere quanto sia pertinente stabilire una connessione fra il contratto di lavoro e il luogo di esecuzione abituale, giacché in determinate circostanze il collegamento col luogo in cui sono concentrati gli interessi dell'impresa o in cui il lavoro viene preso in consegna potrebbero offrire al lavoratore una protezione maggiore [81]. L'ultimo paragrafo dell'articolo 6 sembra autorizzare un collegamento del genere, seppure alcuni ritengano opportuno che il concetto di "collegamento più stretto" venga precisato, per permettere un riferimento esplicito alla casistica del telelavoro internazionale.

    [81] Ciò vale, ad esempio, per l'applicazione della legislazione nazionale in materia di licenziamenti collettivi, che salvaguarda i diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese o di insolvenza del datore di lavoro.

    Domanda 15 - Ritenente che l'articolo 6 dovrebbe subire altre modifiche?

    3.2.11. Applicazione delle leggi di polizia e sicurezza straniere (articolo 7, paragrafo 1)

    Oltre all'applicazione delle proprie leggi di polizia, dette leggi di polizia e sicurezza del foro (si veda il punto 3.2.8), in determinate circostanze la convenzione autorizza il giudice competente ad applicare norme imperative di altri paesi coi quali la situazione presenti uno stretto collegamento, comprese quelle di paesi non membri dell'Unione europea. Si tratta di una disposizione molto innovatrice, che traduce la preoccupazione degli Stati membri di rispettare in una certa misura la politica legislativa di altri paesi, compresi i paesi terzi. Le leggi di polizia straniere possono intervenire nelle situazioni più varie. A mo' d'esempio, si può citare una decisione della Camera dei Lord del 1958, la quale ha tenuto conto della legge indiana che vietava le esportazioni di juta in Sudafrica, con riferimento a un contratto soggetto peraltro al diritto inglese [82].

    [82] Causa Ragazzoni c/Sethia, 1958 [A.C.] 301. A rigor di termini, non si tratta di una decisione nella quale il giudice inglese sia effettivamente ricorso al concetto di legge di polizia straniera, in quanto essa è intervenuta molto prima dell'entrata in vigore della convenzione di Roma; si tratta però pur sempre di una situazione analoga a quella prevista dall'articolo 7, paragrafo 1.

    A tutt'oggi, la giurisprudenza relativa all'articolo 7, paragrafo 1 è estremamente ridotta.

    L'articolo 22, paragrafo 1 della convenzione prevede che l'articolo 7, paragrafo 1, relativo alle disposizioni imperative straniere, potrebbe formare oggetto di una riserva da parte degli Stati membri che non intendono adottarlo, e Regno Unito, Lussemburgo e Germania hanno effettivamente optato per questa scelta. Questo non vieta però ai giudici di quei paesi di tenere eventualmente conto di una legge di polizia e sicurezza, ma in tal caso ciò esulerebbe dal quadro della convenzione e delle precisazioni supplementari che vi figurano.

    Qualora la convenzione di Roma venisse trasformata in strumento comunitario, o addirittura in regolamento, non compatibile con eventuali riserve, ci si dovrà chiedere cosa fare di questo articolo.

    Domanda 16 - Vi sembra necessaria una norma relativa alle disposizioni imperative straniere? Sarebbe auspicabile prevedere indicazioni più precise circa le loro condizioni d'applicazione?

    3.2.12. Legge applicabile alla forma del contratto (articolo 9)

    3.2.12.1. Soluzione attuale

    Per contratto si intende qualsiasi comportamento esterno imposto dalla legge all'autore di un atto giuridico, per esempio l'esigenza di uno scritto, di un'indicazione manoscritta o di un atto notarile. Per favorire la validità del contratto quanto alla forma, la convenzione offre un'alternativa: è sufficiente che l'atto sia valido secondo la legge che regola la sostanza del contratto o la legge del luogo in cui esso è stato concluso. Qualora si tratti di un contratto concluso a distanza (per esempio via fax, per posta o posta elettronica), esiste un luogo di conclusione per ciascuna delle parti, il che moltiplica ulteriormente le possibilità di un contratto valido quanto alla forma. Questa soluzione ha permesso di non doversi pronunciare sulla localizzazione più o meno artificiale del contratto tra assenti.

    3.2.12.2. Difficoltà incontrate

    L'articolo 9 è stato concepito prima che si generalizzassero i contratti conclusi per via elettronica. Come determinare però per ciascuna parte il luogo di conclusione dell'atto, che costituisce uno dei due corni dell'alternativa proposta, quando l'offerta o l'accettazione avvengono per semplice scambio di posta elettronica?

    3.2.12.3. Soluzioni ipotizzabili

    Si può immaginare di stabilire una norma sussidiaria qualora non fosse possibile determinare il luogo di espressione della volontà. La norma alternativa prevista dall'articolo 9, per esempio, potrebbe comportare un corno supplementare aggiungendo alla legge che disciplina nel merito la dichiarazione di volontà e a quella del luogo in cui essa è stata espressa, la legge della residenza abituale di colui che ne è l'autore. Basterà quindi che la dichiarazione soddisfi i requisiti formali di una delle tre leggi per essere valida quanto alla forma. Questa norma si applicherà indistintamente ai contratti conclusi per via elettronica e agli altri contratti conclusi a distanza.

    Domanda 17 - È opportuno modernizzare la norma di conflitto in materia di forma dei contratti?

    3.2.13. Legge applicabile all'opponibilità della cessione del credito a terzi (articolo 12)

    3.2.13.1. Soluzione attuale

    La cessione del credito è un meccanismo molto utilizzato, in particolare nella prassi bancaria, per realizzare varie operazioni di credito oppure operazioni di factoring. Si tratta di una convenzione in base alla quale un creditore, detto cedente, trasferisce il credito di cui dispone nei confronti del proprio debitore, detto debitore ceduto, a un intermediario detto cessionario. Si può per esempio immaginare il caso di un fornitore di ricambi (il "cedente") che detiene crediti nei confronti di costruttori di automobili suoi clienti (i "debitori ceduti"). Anziché attendere che i costruttori lo paghino, il fornitore cede questi crediti alla propria banca (il "cessionario"), per ottenere immediatamente le somme corrispondenti agli importi delle fatture.

    Come qualunque operazione a tre, la cessione del credito solleva numerosi interrogativi sotto il profilo del diritto internazionale privato, in quanto ci si trova di fronte a tre relazioni giuridiche differenti, ciascuna delle quali può essere soggetta a una propria legge specifica. Nell'esempio citato, il primo legame contrattuale nel tempo è quello tra il fornitore e i costruttori di automobili. È su questo credito - detto anche "credito originario" - che, in un secondo tempo, verterà l'operazione di cessione. Essa è soggetta alla propria legge, determinata in base agli articoli 3 (libertà di scelta) e 4 (collegamento più stretto) della convenzione.

    Interviene quindi il "contratto di cessione" o "contratto di trasferimento" tra il cedente, nel nostro esempio il fornitore di ricambi, e il cessionario - in questo caso la banca. Ai sensi dell'articolo 12, paragrafo 1 della convenzione, la legge applicabile è determinata ancora una volta in base alle norme generali della convenzione (articoli 3 e 4). In assenza di scelta [83], la legge applicabile è quindi spesso quella del cessionario, chiamato a fornire la prestazione caratteristica [84]. La terza connessione giuridica è poi quella che interviene tra il debitore ceduto, nel nostro esempio il costruttore di automobili, e la banca cessionaria. In base alla convenzione, questo contratto è disciplinato dalla stessa legge applicabile al credito originario. La convenzione mira quindi a tutelare il debitore ceduto, facendo in modo che le sue obbligazioni restino sempre soggette alla medesima legge, l'unica di cui doveva ragionevolmente tener conto, e che egli non debba alla banca più di quanto non dovesse al fornitore.

    [83] Secondo alcuni autori, un contratto di cessione dovrebbe comportare una scelta tacita a favore della legge che regola il credito ceduto. È una soluzione che presenta il vantaggio di assoggettare alla stessa legge il credito ceduto e il contratto di trasferimento. In caso però di cessione di crediti multipli, questa soluzione rischia di assoggettare a leggi diverse i contratti di trasferimento tra il cedente e il cessionario, mentre sotto il profilo economico essi costituiscono un'unica operazione.

    [84] In alcune operazioni complesse, ad esempio per un credito ingente, la prestazione caratteristica potrebbe anche essere quella del cessionario. La convenzione lascia quindi un certo margine di manovra al giudice per tener conto di situazioni particolari.

    3.2.13.2. Difficoltà incontrate

    La convenzione di Roma non tratta esplicitamente del problema dell'opponibilità della cessione del credito a terzi. Si tratta però di una questione fondamentale, in quanto essa determina l'efficacia della cessione e del trasferimento di proprietà. È per esempio possibile che il fornitore di ricambi non abbia pagato il proprio creditore, e che quest'ultimo attivi un sequestro sui beni e sui crediti del fornitore, compresi quelli che hanno formato oggetto di cessione alla banca. In tal caso occorre determinare se il proprietario dei crediti controversi sia il nuovo creditore o la banca. Si può immaginare altresì che il fornitore abbia ceduto i propri crediti a due banche diverse, per ottenere fraudolentemente un credito più elevato. Si tratta allora di determinare quale delle due banche detenga la proprietà dei crediti [85]. Non tutti gli Stati membri rispondono allo stesso modo a questi interrogativi, anche se l'applicazione della medesima legge permetterebbe di evitare pratiche di forum shopping.

    [85] In termini più tecnici, ciò equivale a chiedersi se la convenzione copra solo gli aspetti di diritto contrattuale o se rientrino nella sua sfera anche gli aspetti inerenti al diritto di proprietà (quale legge permette di stabilire se le misure di formazione del debitore servono unicamente a proteggere quest'ultimo o anche a rendere effettivo il trasferimento di proprietà?).

    Dato che però né la convenzione né il regolamento "fallimenti" [86] formulano norme di conflitto di leggi con esplicito riferimento al problema dell'opponibilità della cessione del credito a terzi, ciascuno Stato membro applica al riguardo le proprie norme, col risultato di soluzioni notevolmente diverse a seconda del tribunale adito. Queste disparità sono tanto più grandi, in quanto i tribunali di certi Stati membri ritengono che la convenzione, pur non trattando esplicitamente questo aspetto, comporti pur sempre norme implicite.

    [86] Regolamento CE n. 1346/2000, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza, entrato in vigore il 31 maggio 2002. Seppure questo regolamento non prevede una norma di conflitto, l'articolo 5 stabilisce pur sempre che la procedura di insolvenza avviata in uno Stato membro lascia impregiudicati i diritti effettivi sui beni ubicati in altri Stati membri. Fra questi figura "il diritto esclusivo di recuperare il credito" (articolo 5, paragrafo 2, lettera b). Va precisato che, a norma dell'articolo 2, lettera g) di detto regolamento, un credito è ubicato "nello Stato membro sul cui territorio si trova il centro degli interessi principali del terzo debitore".

    3.2.13.3. Soluzioni ipotizzabili

    Il futuro strumento potrebbe precisare la legge applicabile all'opponibilità della cessione a terzi, e le possibilità sono molteplici.

    i) Applicare l'articolo 12, paragrafo 1 (applicazione della stesse legge applicabile al contratto di trasferimento): si tratta della soluzione per la quale ha optato la giurisprudenza olandese [87]. Essa presenta indubbi vantaggi in sistemi giuridici che non hanno l'abitudine di stabilire distinzioni tra la validità del contratto di trasferimento e l'efficacia del trasferimento di titolarità del credito.

    [87] Hoge Raad, 16 maggio 1997, Nederlands Internationaal Privatrecht 1997, n. 209.

    ii) Applicare l'articolo 12, paragrafo 2 (stessa legge applicabile al credito originario): questa soluzione figurava nel progetto preliminare di convenzione, ma non era poi stata accolta nel testo definitivo. È la soluzione per la quale ha optato la giurisprudenza tedesca [88]. Una scelta del genere equivale a considerare che non sia ragionevole dissociare il destino dei terzi in generale, per esempio quello di un creditore del cedente o di un secondo cessionario dello stesso credito, da quello del debitore ceduto; la legge applicabile all'opponibilità del contratto sarebbe la stessa in entrambi i casi, il che garantirebbe una certa coerenza al trattamento dell'operazione complessiva di cessione.

    [88] Bundesgerichtshof, 8 dicembre 1998, XI ZR 302/97, IPRAX, 2000, pag. 124.

    iii) Applicare la legge del domicilio del debitore ceduto: nella misura in cui i creditori del cedente non sempre sono in grado di conoscere la legge applicabile al credito originario, alcuni propongono di assoggettare l'opponibilità della cessione alla legge del domicilio del debitore ceduto. Seppure tale legge presenta il vantaggio di poter essere facilmente conosciuta da terzi, la soluzione renderebbe più problematico cedere crediti professionali multipli ove i debitori siano domiciliati all'estero giacché questa operazione, unica sotto il profilo economico, è soggetta a varie leggi.

    iv) Applicare la legge del domicilio del cedente: si tratta della soluzione che meglio permette di soddisfare il criterio di prevedibilità da parte di terzi. È la soluzione per la quale ha optato la convenzione delle Nazioni Unite sulla cessione di crediti nel commercio internazionale [89].

    [89] Adottata dall'assemblea generale il 31 gennaio 2002. A tutt'oggi, la convenzione non è stata firmata e ratificata da alcuno Stato membro. Essa infatti non prevede alcun meccanismo di "opting out" per l'articolo 22, relativo all'opponibilità della cessione a terzi, contrariamente alle altre norme di conflitto di leggi contenute nel testo.

    v) Tutte le soluzioni, tranne quella illustrata al punto ii), presentano l'inconveniente di assoggettare a leggi diverse l'opponibilità al debitore ceduto e quella agli altri terzi, il che in determinate circostanze rischia di condurre in un vicolo cieco. Per questo motivo è stato suggerito di prevedere una norma sostanziale, che dia la priorità a colui che agisce per primo, pur prendendo in considerazione la buona fede o la malafede dei creditori in concorrenza.

    Domanda 18 - Vi sembra opportuno precisare in un futuro strumento quale legge si applichi all'opponibilità della cessione del credito? In caso affermativo, per quale norma di conflitto ritenete si debba optare?

    3.2.14. Campi d'applicazione rispettivi degli articoli 12 e 13, relativi alla cessione del credito e alla surrogazione

    3.2.14.1. Meccanismo della surrogazione nella convenzione di Roma

    Non tutti gli Stati membri conoscono questo meccanismo. Come per la cessione del credito, si tratta di un'operazione a tre che consente di trasferire un'obbligazione. Si dà surrogazione ove colui che paga un creditore è sostituito nei suoi diritti, e diventa al suo posto creditore del debitore. La surrogazione può risultare da un contratto tra le parti o da una disposizione legale che la collega di pieno diritto a determinati atti. La convenzione di Roma non contempla le liberalità, ma solo i pagamenti surrogatori effettuati da un terzo in forza di un'obbligazione. Di massima, è la stessa legge che regola tale obbligazione (articolo 13) a determinare se il terzo in questione subentri successivamente nei diritti del creditore [90].

    [90] Il pagamento effettuato tramite una cauzione costituisce il caso tipico di un pagamento surrogatorio del genere, ed è quindi la legge del contratto di cauzione a disciplinare la surrogazione.

    3.2.14.2. Difficoltà incontrate

    Esiste un meccanismo giuridico importante nel mondo degli affari, vale a dire il factoring, assimilato in alcuni paesi a surrogazione convenzionale, in altri a cessione del credito. Date queste definizioni confliggenti, l'applicazione della convenzione potrebbe non risultare uniforme. Secondo alcuni autori, inoltre, l'articolo 13 si applicherebbe solo alla surrogazione prevista dalla legge, mentre la surrogazione convenzionale rientrerebbe nella sfera d'applicazione dell'articolo 12.

    Considerata l'estrema contiguità delle disposizioni dell'articolo 12 con quelle dell'articolo 13, non è pacifico che un conflitto di definizione del genere abbia una reale incidenza pratica. Ci si può tuttavia chiedere se siffatte disposizioni siano trasparenti e di facile applicazione ad opera dei giuristi.

    Da ultimo, alcuni auspicano l'integrazione dei pagamenti surrogatori effettuati senza obbligo nel campo d'applicazione della convenzione.

    3.2.14.3. Soluzioni ipotizzabili

    Si potrebbe precisare il rispettivo campo d'applicazione degli articoli 12 e 13. Un'altra soluzione consisterebbe nel fondere questi due articoli. In assenza di maggiori precisazioni, spetterà alla Corte pronunciarsi su questo problema.

    Domanda 19 - Sarebbe utile precisare il campo d'applicazione rispettivo degli articoli 12 e 13? A vostro giudizio, è opportuno prevedere una norma di conflitto per pagamenti surrogatori effettuati senza obbligazione?

    3.2.15. Assenza di regola di conflitto relativa alla compensazione legale

    3.2.15.1. Presentazione del meccanismo della compensazione

    Quando due parti sono reciprocamente creditrici e debitrici l'una verso l'altra, grazie al meccanismo della compensazione legale i loro debiti rispettivi si estinguono a concorrenza del debito minore. Se Paolo deve per esempio a Piero 20 EUR e quest'ultimo deve 10 EUR a Paolo, il meccanismo della compensazione affranca automaticamente Piero dal proprio debito, mentre Paolo deve ancora 10 EUR a Piero. Si tratta quindi di un meccanismo di estinzione delle obbligazioni, che nella prassi quotidiana in campo economico assume estrema rilevanza.

    La compensazione può intervenire per effetto della legge (compensazione legale), ove siano riunite determinate condizioni, o per volontà delle parti (compensazione convenzionale) [91].

    [91] Per la compensazione convenzionale, ove si tratti di contratti, la legge applicabile è determinata in conformità delle norme generali della convenzione (articoli 3 e 4).

    3.2.15.2. Difficoltà incontrate

    A norma dell'articolo 10, lettera d) della convenzione che i vari modi di estinzione delle obbligazioni, tra i quali figura la compensazione, sono regolati dalla stessa legge applicabile all'obbligazione in causa. Questo testo non tiene però conto delle difficoltà inerenti al meccanismo della compensazione legale applicata a due obbligazioni regolate da leggi diverse. In un'eventualità del genere, ciascuno Stato membro sarebbe indotto ad applicare la propria norma di conflitto. Se queste norme divergono, si determina un'incertezza giuridica.

    3.2.15.3. Soluzioni ipotizzabili

    La convenzione potrebbe specificare la legge applicabile alla compensazione legale.

    i) Applicazione cumulativa delle due leggi in presenza: questa norma, pur tutelando gli interessi delle parti, è in realtà assai restrittiva.

    ii) Applicazione della legge che regola il credito al quale la compensazione corrisponde.

    Benché il regolamento "fallimento" [92], entrato in vigore il 31 maggio 2000, non contenga norme di conflitto relative alla compensazione vera e propria, le sue disposizioni non sono del tutto prive di incidenza sulla questione. L'articolo 6 prevede per la compensazione un trattamento analogo a quello fissato dall'articolo 5 per le cessioni di crediti: qualora, in forza delle norme di conflitto solitamente applicabili, il diritto alla compensazione discenda da una legge nazionale diversa da quella applicabile alla procedura di insolvenza, l'articolo 6 permette al creditore di mantenere questa facoltà quale diritto acquisito di fronte alla procedura di insolvenza. La convenzione riconosce tuttavia questa possibilità solo qualora la compensazione sia consentita dalla legge applicabile al credito del debitore insolvente (credito passivo), optando in tal modo per la seconda delle soluzioni qui enunciate (ii).

    [92] Regolamento CE n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza.

    Va da sé che queste norme si applicano solo in caso di compensazioni invocate nel quadro di una procedura di insolvenza e lasciano impregiudicata la legge applicabile in altre circostanze.

    Domanda 20 - A vostro giudizio, occorre specificare la legge applicabile alla compensazione legale? In caso affermativo, quale norma di conflitto proponete di adottare?

    Allegato 1

    Glossario di diritto internazionale privato

    Competenza internazionale // Qualora una controversia presenti un carattere internazionale (ad esempio perché le parti sono di diversa nazionalità o non risiedono nello stesso paese) per giudicare il caso potrebbero essere competenti più tribunali. Le norme di competenza internazionale fissano dei criteri per determinare il paese i cui tribunali sono competenti per giudicare in merito a una determinata controversia.

    Diritto sostanziale // Il diritto sostanziale si contrappone al diritto internazionale privato di uno Stato. Esso comprende tutte le norme nazionali che determinano diritti e obblighi di una persona in una data situazione giuridica (per esempio, la norma in base alla quale non può darsi contratto ove sia stato viziato il consenso di una delle parti).

    Disposizione imperativa // Nella convenzione di Roma, il termine "disposizione imperativa" si riferisce a una realtà molteplice: essa designa al tempo stesso le leggi di polizia e sicurezza*, concetto specifico nel diritto internazionale privato, e le norme di diritto interno in materia di ordine pubblico*.

    Foro/tribunale del foro // Si tratta del tribunale investito di una controversia internazionale.

    Forum shopping // Con questo termine si designa l'atteggiamento di una persona coinvolta in una controversia internazionale, la quale decida di adire un determinato tribunale (nell'uno o nell'altro paese) non già perché si tratti di quello più idoneo per conoscere della controversia, ma solo perché quel tribunale, in applicazione delle proprie norme di conflitto di leggi*, applicherebbe la legge che per tale persona produrrebbe l'effetto più vantaggioso.

    Frazionamento // Situazione nella quale i vari elementi di un contratto di carattere internazionale sono regolati dalle leggi di diversi Stati (per esempio, nella pratica può darsi il caso di un contratto di vendita soggetto al diritto tedesco, tranne con riferimento alla clausola di garanzia, soggetta al diritto inglese).

    Legge applicabile/lex causae // Ove una relazione giuridica tra persone private presenti un carattere internazionale (ad esempio, perché sono di diversa nazionalità, non risiedono nello stesso paese, partecipano a una transazione commerciale internazionale, ecc.) occorre determinare quale delle leggi in presenza regoli la situazione. La legge applicabile è determinata in base alle cosiddette norme di conflitto di leggi*.

    Legge di polizia e sicurezza // Concetto di diritto internazionale privato che designa le norme alle quali uno Stato riconosce una rilevanza tale da esigerne l'applicazione non appena la situazione giuridica presenti un collegamento con il proprio territorio, a prescindere dalla legge applicabile alla situazione. Contrariamente al meccanismo dell'eccezione di ordine pubblico internazionale*, il giudice non disattiva la legge designata dalle proprie norme di conflitto*, in quanto incomparabile con l'ordine pubblico, ma applica d'ufficio le proprie norme.

    Libertà di scelta // In diritto internazionale privato, questo concetto designa il diritto, per le persone private, di scegliere la legge applicabile alla loro situazione giuridica.

    Norme di conflitto di leggi // Ove una relazione giuridica tra persone private presenti un carattere internazionale, le leggi di più paesi possono trovarsi in concorrenza per regolare la situazione. Al fine di decidere quale di esse si applichi alla situazione specifica, il giudice applica le cosiddette norme di conflitto di leggi.

    Norme di conflitto bilaterale // La maggior parte delle norme di conflitto di leggi è di natura bilaterale, il che significa che esse possono designare indifferentemente una legge straniera o la legge del foro. A mo' d'esempio, si può citare la norma francese secondo cui il giudice, per determinare la nazionalità del bambino, deve applicare la legge della nazionalità della madre. Se la madre è francese, il giudica francese applicherà la legge francese; se essa è italiana, egli applicherà la legge italiana. Le norme di conflitto bilaterali si contrappongono a quelle di natura unilaterale.

    Norme di conflitto unilaterale // In base al metodo unilateralista, ciascuno Stato si limita a determinare i casi nei quali è applicabile la propria legge. Al giorno d'oggi, comunque, norme del genere hanno un carattere eccezionale. A mo' d'esempio, si può citare l'articolo 3, terzo comma del codice civile francese: "Ai francesi, anche residenti all'estero, si applicano le leggi relative allo stato e alla capacità delle persone" (norma di cui peraltro la giurisprudenza dà un'interpretazione bilaterale).

    Ordine pubblico internazionale // Dopo aver determinato la legge applicabile a una data situazione giuridica in conformità delle proprie norme di conflitto*, può accadere che il giudice consideri che la concreta applicazione di tale legge induca un risultato poco compatibile con il sistema di valori del foro. Di conseguenza, egli disapplica la legge straniera che sarebbe normalmente d'applicazione e applica la propria legge.

    Ordine pubblico interno // Si tratta del complesso di norme nazionali di natura imperativa intese a garantire l'ordine sociale ed economico di uno Stato. Sono regole alle quali le parti non possono derogare per contratto, come quelle volte a tutelare una cosiddetta parte "debole" (consumatore, lavoratore, minore, ecc.).

    Allegato 2

    Norme di conflitto di leggi

    e disposizioni che hanno un'incidenza sulla legge applicabile in materia contrattuale [93]

    [93] Si tratta delle norme di conflitto vere e proprie e delle norme che definiscono la sfera territoriale d'applicazione del diritto comunitario; si vedano altresì le note 31 e 32.

    contenute in strumenti settoriali di diritto derivato

    * Direttiva sulla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (93/7/CEE del 15 marzo 1993)

    * Direttiva "clausole abusive" (93/13/CEE del 5 aprile 1993)

    * Direttiva "diritto di godimento a tempo parziale" (94/47/CE del 26 ottobre 1994)

    * Direttiva "distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi" (96/71/CE del 16 dicembre 1996)

    * Direttiva 97/7/CE, del 20 maggio 1997, sulla protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza

    * Direttiva 1999/44/CE, del 25 maggio 1999, su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo

    * Seconda direttiva "assicurazione non vita" (88/357/CEE del 22 giugno 1988), quale completata e modificata dalle direttive 92/49/CEE e 2002/13/CE

    * Seconda direttiva "assicurazione vita" (90/619/CEE dell'8 novembre 1990), quale completata e modificata dalle direttive 92/96/CEE e 2002/12/CE

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