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Document 52001AG0032

    Posizione comune (CE) n. 32/2001, del 23 luglio 2001, definita dal Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 251 del trattato che istituisce la Comunità europea, in vista dell'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (Testo rilevante ai fini del SEE.)

    GU C 307 del 31.10.2001, p. 5–15 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

    52001AG0032

    Posizione comune (CE) n. 32/2001, del 23 luglio 2001, definita dal Consiglio, deliberando in conformità della procedura di cui all'articolo 251 del trattato che istituisce la Comunità europea, in vista dell'adozione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro (Testo rilevante ai fini del SEE.)

    Gazzetta ufficiale n. C 307 del 31/10/2001 pag. 0005 - 0015


    Posizione comune (CE) n. 32/2001

    definita dal Consiglio il 23 luglio 2001

    in vista dell'adozione della direttiva 2001/.../CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del ..., che modifica la direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro

    (Testo rilevante ai fini del SEE)

    (2001/C 307/02)

    IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

    visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 141, paragrafo 3,

    vista la proposta della Commissione(1),

    visto il parere del Comitato economico e sociale(2),

    agendo in conformità alla procedura di cui all'articolo 251 del trattato(3),

    considerando quanto segue:

    (1) A norma dell'articolo 6 del trattato dell'Unione europea, l'Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.

    (2) Il diritto all'eguaglianza dinanzi alla legge ed alla tutela contro la discriminazione per tutti gli individui costituisce un diritto universale riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dalla Convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, dai patti delle Nazioni Unite relative ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali, nonché dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di cui tutti gli Stati membri sono firmatari.

    (3) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti, in particolare, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

    (4) La parità fra uomini e donne è un principio fondamentale ai sensi dell'articolo 2 e dell'articolo 3, paragrafo 2, del trattato CE, nonché ai sensi della giurisprudenza della Corte di giustizia. Le suddette disposizioni del trattato sanciscono la parità fra uomini e donne quale "compito" cui la Comunità "mira" e che impone quale obbligo concreto da "promuovere" in tutte le sue attività.

    (5) L'articolo 141 del trattato, ed in particolare il paragrafo 3, affronta specificamente la parità di trattamento e di opportunità per uomini e donne in materia di occupazione e condizioni di lavoro.

    (6) La direttiva 76/207/CEE del Consiglio(4) non dà una definizione della nozione di discriminazione diretta o indiretta. Il Consiglio ha adottato, sulla base dell'articolo 13 del trattato, la direttiva 2000/43/CE, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica(5) e la direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro(6), in cui si dà una definizione di discriminazione diretta ed indiretta. È pertanto appropriato inserire definizioni coerenti con le suddette direttive in materia di genere.

    (7) La presente direttiva lascia impregiudicata la libertà di associazione tra cui il diritto di ogni individuo di fondare sindacati insieme con altri e di aderirvi per la difesa dei propri interessi. Misure ai sensi dell'articolo 141, paragrafo 4, del trattato possono includere l'adesione o la continuazione dell'attività di organizzazioni o sindacati il cui scopo principale sia la promozione, nella pratica, del principio della parità di trattamento fra uomini e donne.

    (8) Le molestie legate al sesso di una persona e le molestie sessuali sono contrarie al principio della parità di trattamento fra uomini e donne. È pertanto opportuno definire siffatte nozioni e vietare siffatte forme di discriminazione. A tal fine va sottolineato che queste forme di discriminazione non si producono soltanto sul posto di lavoro, ma anche nel quadro dell'accesso all'impiego ed alla formazione professionale, durante l'impiego e l'occupazione.

    (9) La valutazione dei fatti sulla base dei quali si può dedurre che ci sia stata discriminazione diretta o indiretta è una questione di competenza dell'organo giurisdizionale nazionale o di altro organo competente secondo norme del diritto o della prassi nazionale. Tali norme possono prevedere in particolare che la discriminazione indiretta sia accertata con qualsiasi mezzo, compresa l'evidenza statistica. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia(7) una discriminazione consiste nell'applicazione di norme diverse a situazioni comparabili o nell'applicazione della stessa norma a situazioni diverse.

    (10) Il numero delle attività professionali che gli Stati membri possono escludere dal campo di applicazione della direttiva 76/207/CEE dovrebbe essere ristretto a coloro che devono assumere una persona di un determinato sesso data la natura delle particolari attività lavorative in questione, purché l'obiettivo ricercato sia legittimo e soggetto al principio di proporzionalità come stabilisce la giurisprudenza della Corte di giustizia(8).

    (11) La Corte di giustizia ha coerentemente riconosciuto la legittimità, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, della protezione della condizione biologica della donna durante e dopo la maternità. Ha inoltre costantemente decretato che qualsiasi trattamento sfavorevole nei confronti delle donne in relazione alla gravidanza o alla maternità costituisce una discriminazione diretta fondata sul sesso. La presente direttiva non pregiudica pertanto la direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento(9) che intende garantire la protezione dello stato fisico e mentale delle donne gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. Alcuni considerando della direttiva 92/85/CEE affermano che la protezione della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere e in periodo di allattamento non dovrebbe svantaggiare le donne sul mercato del lavoro né pregiudicare le direttive in materia di uguaglianza di trattamento tra gli uomini e le donne. La Corte di giustizia ha riconosciuto la tutela dei diritti delle donne sul piano del lavoro, in particolare per quanto riguarda il loro diritto a riprendere lo stesso lavoro o un lavoro equivalente, con condizioni lavorative non meno favorevoli, nonché di beneficiare di qualsiasi miglioramento delle condizioni di lavoro alle quali avrebbero avuto diritto durante la loro assenza.

    (12) Nella risoluzione del Consiglio e dei ministri incaricati dell'occupazione e della politica sociale, riuniti in sede di Consiglio, del 29 giugno 2000, concernente la partecipazione equilibrata delle donne e degli uomini all'attività professionale e alla vita familiare(10), gli Stati membri sono incoraggiati a prendere in considerazione la possibilità che i rispettivi ordinamenti giuridici riconoscano ai lavoratori uomini un diritto individuale e non trasferibile al congedo di paternità, pur mantenendo i propri diritti inerenti al lavoro. In tale contesto, è importante sottolineare che spetta agli Stati membri determinare se concedere o meno un tale diritto e determinare inoltre tutte le condizioni, a parte il licenziamento e il ritorno al lavoro, che sono al di fuori del campo di applicazione di questa direttiva.

    (13) L'articolo 141, paragrafo 4, del trattato consente agli Stati membri di mantenere o di adottare misure che prevedono vantaggi specifici diretti a facilitare l'esercizio di un'attività professionale da parte del sesso sottorappresentato. Data la situazione attuale e tenendo presente la dichiarazione 28 allegata al trattato di Amsterdam, gli Stati membri dovrebbero, innanzitutto, mirare a migliorare la situazione delle donne nella vita lavorativa.

    (14) Il divieto di discriminazione non dovrebbe pregiudicare il mantenimento o l'adozione di misure volte a prevenire o compensare gli svantaggi incontrati da un gruppo di persone di uno dei due sessi. Tali misure autorizzano l'esistenza di organizzazioni di persone di tale sesso se il loro principale obiettivo è la promozione di necessità specifiche delle persone stesse e la promozione della parità tra donne e uomini.

    (15) Il principio della parità di retribuzione tra gli uomini e le donne è già fermamente stabilito dall'articolo 141 del trattato e dalla direttiva 75/117/CEE del Consiglio, del 10 febbraio 1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile(11) ed è costantemente sostenuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia: questo principio costituisce una parte essenziale e imprescindibile dell'acquis comunitario in materia di discriminazioni basate sul sesso.

    (16) La Corte di giustizia ha stabilito che, vista la natura fondamentale del diritto all'effettiva tutela giuridica, tale protezione debba tornare a vantaggio dei dipendenti anche dopo la fine del rapporto di lavoro(12).

    (17) La Corte di giustizia ha stabilito che, per essere efficace, il principio della parità di trattamento comporta, qualora sia disatteso, che l'indennizzo riconosciuto al dipendente discriminato debba essere adeguato al danno subito. Ha inoltre specificato che stabilire un massimale a priori può precludere un risarcimento efficace e che non è consentito escludere il riconoscimento di interessi per compensare la perdita subita(13).

    (18) Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, le norme nazionali relative ai termini per la proposta di azioni sono ammissibili, a condizione che esse non siano meno favorevoli di quelle relative ai termini previsti per analoghe azioni del sistema processuale nazionale e che non rendano in pratica impossibile l'esercizio di diritti riconosciuti dalla normativa comunitaria.

    (19) Le vittime di discriminazioni fondate sul sesso dovrebbero disporre di mezzi adeguati di protezione legale. Al fine di assicurare un livello più efficace di protezione, anche alle associazioni, organizzazioni e altre persone giuridiche dovrebbe essere conferito il potere di avviare una procedura, secondo le modalità stabilite dagli Stati membri, per conto o a sostegno delle vittime, fatte salve norme procedurali nazionali relative alla rappresentanza e alla difesa in giustizia.

    (20) Gli Stati membri dovrebbero promuovere il dialogo fra le parti sociali, nel quadro della prassi nazionale e con organizzazioni non governative, al fine di affrontare e combattere varie forme di discriminazione fondate sul sesso nei luoghi di lavoro.

    (21) Gli Stati membri dovrebbero prevedere sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive in caso di mancata ottemperanza agli obblighi derivanti dalla direttiva 76/207/CEE.

    (22) Poiché gli obiettivi dell'azione proposta non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del trattato. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tali scopi in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.

    (23) La direttiva 76/207/CEE dovrebbe pertanto essere modificata in conformità,

    HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

    Articolo 1

    La direttiva 76/207/CE è modificata come segue:

    1) All'articolo 1 è inserito il seguente paragrafo:

    "1 bis. Gli Stati membri tengono conto dell'obiettivo della parità tra gli uomini e le donne nel formulare ed attuare leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività nei settori di cui al paragrafo 1";

    2) L'articolo 2 è modificato come segue:

    a) Al paragrafo 1 sono aggiunti i seguenti commi:

    "Ai sensi del primo comma:

    a) sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga;

    b) sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, rispetto a persone dell'altro sesso, a meno che detta disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.

    Le molestie sono considerate discriminazioni ai sensi del primo comma in presenza di un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona avente lo scopo o l'effetto di violare la dignità di tale persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo. Le molestie sessuali, che si manifestano attraverso un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, costituiscono una forma specifica di molestie.

    Il rifiuto di, o la sottomissione a, tali comportamenti da parte di una persona non possono essere utilizzati per prendere una decisione riguardo a detta persona.

    L'ordine di discriminare persone a motivo del sesso è da considerarsi una discriminazione ai sensi del primo comma";

    b) Il paragrafo 2 è sostituito dal seguente:

    "2. Per quanto riguarda l'accesso all'occupazione, inclusa la formazione preventiva, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica specifica di un sesso non costituisca discriminazione laddove, per la particolare natura delle attività lavorative di cui trattasi o per il contesto in cui esse vengono espletate, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché l'obiettivo sia legittimo e il requisito proporzionato";

    c) Al paragrafo 3 sono aggiunti i seguenti comma:

    "Alla fine del periodo di congedo per maternità, la puerpera ha diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza.

    La presente direttiva lascia altresì impregiudicate le disposizioni della direttiva 96/34/CE del Consiglio, del 3 giugno 1996, concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso all'Unice, dal CEEP e dalla CES(14), e della direttiva 92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1)(15) concernenti la tutela della maternità. La presente direttiva lascia altresì impregiudicata la facoltà degli Stati membri di riconoscere un diritto distinto di congedo di paternità. Gli Stati membri che riconoscono un siffatto diritto adottano le misure necessarie per tutelare i lavoratori uomini contro il licenziamento causato dalla fruizione di tale diritto e per garantire, che alla fine di tale periodo di congedo essi abbiano diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano per essi meno favorevoli.";

    d) Il paragrafo 4 è sostituito dal seguente:

    "4. Gli Stati membri possono mantenere o adottare misure ai sensi dell'articolo 141, paragrafo 4, del trattato volte ad assicurare nella pratica la piena parità tra gli uomini e le donne";

    3) L'articolo 3 è sostituito dal seguente:

    "Articolo 3

    1. L'applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne significa che non vi deve essere discriminazione diretta o indiretta in base al sesso nei settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto attiene:

    a) alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione;

    b) all'accesso a tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;

    c) all'occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione come previsto dalla direttiva 75/117/CEE;

    d) all'affiliazione e all'attività in un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.

    2. A tal fine gli Stati membri prendono le misure necessarie per assicurare che:

    a) tutte le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento siano abrogate;

    b) tutte le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento contenute nei contratti di lavoro o nei contratti collettivi, nei regolamenti interni delle aziende o nelle regole che disciplinano il lavoro autonomo e le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro siano o possano essere dichiarate nulle e prive di effetto oppure siano modificate";

    4) Gli articoli 4 e 5 sono soppressi;

    5) L'articolo 6 è sostituito dal seguente:

    "Articolo 6

    1. Gli Stati membri provvedono affinché tutte le persone che si ritengono lese, in seguito alla mancata applicazione nei loro confronti del principio della parità di trattamento, possano accedere, anche dopo la cessazione del rapporto che si lamenta affetto da discriminazione, a procedure giurisdizionali e/o amministrative, comprese, ove lo ritengono opportuno, le procedure di conciliazione finalizzate al rispetto degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.

    2. Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali le misure necessarie per garantire un indennizzo o una riparazione reale ed effettiva che essi stessi stabiliscono per il danno subito da una persona lesa a causa di una discriminazione contraria all'articolo 3, in modo tale da risultare dissuasiva e proporzionata al danno subito.

    3. Gli Stati membri riconoscono alle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche che, conformemente ai criteri stabiliti dalle rispettive legislazioni nazionali, abbiano un legittimo interesse a garantire che le disposizioni della presente direttiva siano rispettate, il diritto di avviare, in via giurisdizionale o amministrativa, per conto o a sostegno della persona che si ritiene lesa e con il suo consenso, una procedura finalizzata all'esecuzione degli obblighi derivanti dalla presente direttiva.

    4. I paragrafi 1 e 3 lasciano impregiudicate le norme nazionali relative ai termini per la proposta di azioni relative al principio della parità di trattamento";

    6) L'articolo 7 è sostituito dal seguente:

    "Articolo 7

    Gli Stati membri introducono nei rispettivi ordinamenti giuridici le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori dal licenziamento o da altro trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro, quale reazione ad un reclamo all'interno dell'impresa o ad un'azione legale volta ad ottenere il rispetto del principio della parità di trattamento";

    7) Sono inseriti i seguenti articoli:

    "Articolo 8 bis

    1. Gli Stati membri designano uno o più organismi per la promozione della parità di trattamento di tutte le persone senza discriminazioni fondate sul sesso. Tali organismi fanno eventualmente parte di agenzie incaricate, a livello nazionale, della difesa dei diritti umani o della salvaguardia dei diritti individuali.

    2. Gli Stati membri assicurano che nella competenza di tali organismi rientrino:

    a) l'assistenza indipendente alle vittime di discriminazioni nel dare seguito alle denunce da essi inoltrate in materia di discriminazione, fatto salvo il diritto delle vittime e delle associazioni, organizzazioni o altre persone giuridiche di cui all'articolo 6, paragrafo 3;

    b) lo svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazione;

    c) la pubblicazione di relazioni indipendenti e la formulazione di raccomandazioni su questioni connesse con tali discriminazioni.

    Articolo 8 ter

    1. Gli Stati membri, conformemente alle tradizioni e prassi nazionali, prendono le misure adeguate per incoraggiare il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere il principio della parità di trattamento, fra l'altro attraverso il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, contratti collettivi, codici di comportamento, ricerche o scambi di esperienze e di buone pratiche.

    2. Laddove ciò sia conforme alle tradizioni e prassi nazionali, gli Stati membri incoraggiano le parti sociali, lasciando impregiudicata la loro autonomia, a promuovere la parità tra le donne e gli uomini e a concludere al livello appropriato accordi che fissino regole antidiscriminatorie negli ambiti di cui all'articolo 1 che rientrano nella sfera della contrattazione collettiva. Tali accordi rispettano i requisiti minimi fissati dalla presente direttiva e dalle relative misure nazionali di attuazione.

    Articolo 8 quater

    Al fine di promuovere il principio della parità di trattamento, gli Stati membri incoraggiano il dialogo con le competenti organizzazioni non governative che, conformemente alle rispettive legislazioni e prassi nazionali, hanno un legittimo interesse a contribuire alla lotta contro le discriminazioni fondate sul sesso.

    Articolo 8 quinquies

    Gli Stati membri stabiliscono le norme relative alle sanzioni da irrogare in caso di violazione delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva e prendono tutti i provvedimenti necessari per la loro applicazione.

    Le sanzioni, che possono prevedere un risarcimento dei danni, devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano le relative disposizioni alla Commissione entro(16) e provvedono poi a notificare immediatamente le eventuali modificazioni successive.

    Articolo 8 sexies

    1. Gli Stati membri possono introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle fissate nella presente direttiva.

    2. L'attuazione della presente direttiva non può in alcun caso costituire motivo di riduzione del livello di protezione contro la discriminazione già predisposto dagli Stati membri nei settori di applicazione della presente direttiva".

    Articolo 2

    1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro(17) o fanno sì che entro questa data i datori di lavoro e i lavoratori introducano le disposizioni richieste tramite accordi. Gli Stati membri adottano tutte le iniziative necessarie per essere in grado in ogni momento di garantire i risultati previsti dalla presente direttiva. Essi ne informano immediatamente la Commissione.

    Quando gli Stati membri adottano queste disposizioni, esse contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri.

    2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione entro tre anni dall'entrata in vigore della presente direttiva tutte le informazioni necessarie per consentire alla Commissione di redigere una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'applicazione della presente direttiva.

    3. Salvo il disposto del paragrafo 2, gli Stati membri comunicano ogni cinque anni alla Commissione il testo delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti eventuali misure adottate in base all'articolo 141, paragrafo 4, del trattato. Sulla base di tali informazioni, la Commissione adotta e pubblica ogni cinque anni una relazione di valutazione comparativa di tali eventuali misure.

    Articolo 3

    La presente direttiva entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

    Articolo 4

    Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva.

    Fatto a ...

    Per il Parlamento europeo

    La Presidente

    Per il Consiglio

    Il Presidente

    (1) GU C 337 E del 28.11.2000, pag. 204.

    (2) GU C 123 del 25.4.2001, pag. 81.

    (3) Parere del Parlamento europeo del 31 maggio 2001 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale), posizione comune del Consiglio del 23 luglio 2001 e decisione del Parlamento europeo del ... (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale).

    (4) GU L 39 del 14.2.1976, pag. 40.

    (5) GU L 180 del 19.7.2000, pag. 22.

    (6) GU L 303 del 2.12.2000, pag. 16.

    (7) Causa C-394/96 Brown, Racc. [1988], pag. I-4185 e causa C-342/93 Gillepsie, Racc. [1996], pag. I-475.

    (8) Causa C-222/84 Johnston, Racc. [1986], pag. 1651, causa C-273/97 Sirdar, Racc. [1999], pag. I-7403 e causa C-285/98 Kreil, Racc. [2000], pag. I-69.

    (9) GU L 348 del 28.11.1992, pag. 1.

    (10) GU C 218 del 31.7.2000, pag. 5.

    (11) GU L 45 del 19.2.1975, pag. 19.

    (12) Causa C-185/97 Coote, Racc. [1998], pag. I-5199.

    (13) Causa C-180/95 Draehmpaehl, Racc. [1997], pag. I-2195 e causa C-271/91 Marshall, Racc. [1993], pag. I-4367.

    (14) GU L 145 del 19.6.1996, pag. 4.

    (15) GU L 348 del 28.11.1992, pag. 1

    (16) 3 anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva

    (17) 3 anni dalla data di entrata in vigore della presente direttiva.

    MOTIVAZIONE DEL CONSIGLIO

    I. INTRODUZIONE

    1. Il 12 luglio 2000 la Commissione ha presentato al Consiglio, sulla base dell'articolo 141 del trattato che istituisce la Comunità europea, una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/207/CEE relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro.

    2. Deliberando conformemente all'articolo 251 del trattato, il Parlamento europeo ha espresso il suo parere in prima lettura il 31 maggio 2001.

    Il Comitato economico e sociale ha formulato il suo parere il 5 dicembre 2000.

    3. Con lettera in data 8 giugno 2001 la Commissione ha presentato al Consiglio una proposta modificata che accoglie taluni emendamenti del Parlamento europeo.

    4. L'11 giugno 2001 il Consiglio ha espresso il suo accordo politico unanime su un progetto di posizione comune.

    5. Il 23 luglio 2001 il Consiglio ha adottato una posizione comune conformemente all'articolo 250 del trattato CE.

    II. OBIETTIVO

    La proposta in esame è intesa a modernizzare le disposizioni del testo esistente, che risale a 25 anni fa.

    III. ANALISI DELLA POSIZIONE COMUNE

    1. OSSERVAZIONI GENERALI

    Nella sua proposta iniziale la Commissione ha inteso tener conto di un'abbondante giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, che si è arricchita di una quarantina di sentenze dall'entrata in vigore della direttiva 76/207/CEE, e delle modifiche apportate al trattato in materia di parità di trattamento tra uomini e donne.

    Nell'esaminare la proposta iniziale della Commissione, il Consiglio ha parimenti tenuto conto delle due direttive da esso adottate nel giugno e nel novembre 2000 sulla base dell'articolo 13 del trattato relativo alla non discriminazione (direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE). Il Consiglio è stato quindi lieto di constatare che il Parlamento europeo proponeva un certo numero di emendamenti in tal senso, ripresi dalla Commissione nella sua proposta modificata.

    A più riprese il Consiglio è stato animato dalla volontà di disporre di un insieme coerente di strumenti per lottare contro tutte le forme di discriminazione contemplate dall'articolo 13 del trattato e per promuovere il principio della parità di trattamento ai sensi dell'articolo 141 del trattato.

    2. EMENDAMENTI APPORTATI DAL PARLAMENTO EUROPEO

    Il Parlamento europeo ha adottato 46 emendamenti.

    2.1. Emendamenti del Parlamento europeo non accolti dalla Commissione

    La Commissione non ha accolto, nella sua proposta modificata, 8 degli emendamenti del Parlamento. Si tratta degli emendamenti nn. 4, 16, 23, 27, 36, 44, 45 e 48.

    2.2. Emendamenti del Parlamento europeo accolti dalla Commissione

    Nella sua proposta modificata, la Commissione ha ripreso integralmente 18 degli emendamenti del Parlamento. Si tratta degli emendamenti nn. 12, 13, 14, 18, 20, 22, 24, 26, 29, 31, 32, 34, 35, 38, 41, 47, 58 e 66.

    Inoltre, la Commissione ha accolto 20 emendamenti in parte o nello spirito. Si tratta degli emendamenti nn. 2, 3, 5, 7, 8, 10, 11, 15, 17, 19, 30, 33, 37, 39, 40, 59, 65, 67, 68 e 70.

    2.3. Emendamenti non accolti dalla Commissione e ripresi dal Consiglio nella posizione comune

    Il Consiglio ha ripreso in parte l'emendamento n. 7, che fa riferimento alle situazioni analoghe, e l'emendamento n. 45, che prevede una data di entrata in vigore della direttiva più tardiva di quella contemplata dalla Commissione: 1o gennaio 2002.

    3. MODIFICHE APPORTATE DAL CONSIGLIO ALLA PROPOSTA MODIFICATA DELLA COMMISSIONE

    (Salvo indicazione contraria, la numerazione dei considerando e dei paragrafi alla quale si fa riferimento è quella della posizione comune).

    Il Consiglio ha ripreso integralmente 18 dei 38 emendamenti integrati, completamente o parzialmente, dalla Commissione nella sua proposta modificata, se non sempre letteralmente, almeno nello spirito. Si tratta degli emendamenti nn. 2, 3, 5, 8, 10, 11, 13, 15, 20, 29, 30, 37, 38, 40, 47, 59, 67 e 70.

    Il Consiglio, invece, non ha ritenuto opportuno riprendere gli emendamenti nn. 12, 14, 17, 18, 19, 22, 24, 26, 31, 33, 34, 35, 39, 58, 65, 66 e 68, ossia 17 emendamenti, per i motivi indicati in appresso.

    3.1. Considerando 9: tutela giuridica (emendamento n. 12)

    Il Consiglio ha mantenuto il riferimento alla giurisprudenza della Corte di giustizia, con la menzione della sentenza in questione nella nota in calce, ma non ha ritenuto opportuno citare i dettagli della sentenza nel considerando. Inoltre, l'articolo 7 prevede già la protezione delle persone contro le rappresaglie (licenziamento o altro) da parte del datore di lavoro, analogamente alle direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE.

    3.2. Considerando 11 (numerazione della Commissione) e articolo 8 ter: obbligo imposto ai datori di lavoro (emendamenti nn. 14 e 66)

    Il Consiglio, preferendo porre in rilievo il dialogo sociale e l'autonomia delle parti sociali, non ha voluto far ricadere sui datori di lavoro la responsabilità della promozione della parità tra uomini e donne sul luogo di lavoro, segnatamente prevedendo l'elaborazione di relazioni annuali sulla parità. Oltre tutto, un siffatto obbligo potrebbe risultare assai gravoso per le piccole e medie imprese, il che nuocerebbe peraltro all'efficacia della misura. Inoltre, il Consiglio desidera sottolineare che la sua posizione comune contiene una disposizione relativa al dialogo sociale distinta da quella relativa al dialogo con le ONG, contrariamente alla proposta modificata della Commissione che pare amalgamare i due tipi di dialogo.

    3.3. Articolo 1: rapporto di lavoro (emendamento n. 17)

    Il Consiglio non ha ritenuto opportuno modificare l'articolo 1 della direttiva esistente, segnatamente introducendo un riferimento alla "natura giuridica del rapporto ai termini del quale la persona interessata svolge un'occupazione o un impiego", al fine di garantire il parallelismo con la direttiva 2000/78/CE.

    3.4. Articolo 1, paragrafo 2: disposizioni relative alla sicurezza sociale (emendamento n. 18)

    Il Consiglio non ha voluto sopprimere il riferimento alla sicurezza sociale né eliminando il paragrafo 2 dell'articolo 1 della direttiva esistente né omettendo il riferimento al paragrafo 1 dell'articolo 1.

    3.5. Articolo 1, paragrafo 1 bis (numerazione della Commissione): integrazione ("Mainstreaming") (emendamento n. 19)

    Il Consiglio ha ripreso l'obbligo imposto agli Stati membri di attuare il principio di integrazione ("mainstreaming") all'atto dell'adozione e dell'attuazione delle leggi, politiche, ecc., tenendo conto attivamente dell'obiettivo della parità tra donne e uomini, con una formulazione lievemente diversa da quelle proposte tanto dal Parlamento europeo quanto dalla Commissione.

    3.6. Considerando 4 bis e Articolo 1 ter: sistemi di consiglieri confidenziali (emendamenti nn. 58 e 22) (numerazione della Commissione)

    Il Consiglio non ha voluto riprendere una disposizione intesa ad istituire sul luogo di lavoro un sistema di consulenti confidenziali o altre misure intese a prevenire le molestie sessuali sul luogo di lavoro, in quanto ritiene che si tratti di una misura eccessivamente dettagliata, destinata in realtà ai datori di lavoro piuttosto che agli Stati membri o alle parti sociali. Inoltre, anche in questo caso il Consiglio si è preoccupato di garantire il parallelismo con le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE. Orbene, poiché le molestie sessuali sono un tipo di molestie, piuttosto che un fenomeno totalmente distinto, non è parso opportuno al Consiglio istituire un meccanismo specifico di tal genere.

    3.7. Articolo 2, paragrafo 4: esclusione di persone appartenenti ad un determinato sesso da talune professioni (emendamento n. 24)

    Il Consiglio non ha voluto riprendere la parte dell'emendamento n. 24 che prevede che qualsiasi esclusione o restrizione nei confronti di un sesso nell'accesso a qualsiasi tipo di attività professionale costituisca una discriminazione, in quanto tale clausola è in contrasto con le restanti parti della disposizione, secondo cui alcune caratteristiche specifiche di un sesso possono giustificare una disparità di trattamento. Inoltre, occorre rilevare che questa disposizione è identica a quella contenuta nelle direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE ed il Consiglio è desideroso di adottare, per quanto possibile, la stessa formulazione per disposizioni identiche nei tre testi.

    3.8. Articolo 2, paragrafo 4: riferimento alle misure previste all'articolo 141, paragrafo 4, del trattato (emendamento n. 26)

    Il Consiglio ha ripreso nel dispositivo una disposizione relativa alle azioni di cui all'articolo 141, paragrafo 4, del trattato. Inoltre, il Consiglio ha previsto, all'articolo 2, l'obbligo di presentare relazioni quinquennali in quanto l'obbligo di presentare relazioni biennali, come previsto dalla Commissione nella sua proposta modificata, porrebbe problemi di ordine logistico ad un certo numero di Stati membri.

    3.9. Articolo 3, paragrafo 2: riferimento alle disposizioni dell'articolo 141, paragrafo 4, del trattato (emendamento n. 31)

    Il Consiglio ha ripreso in parte questo emendamento del Parlamento, quale integrato nella proposta modificata della Commissione, non avendo ritenuto utile riprendere la parte di frase "fatte salve le disposizioni dell'articolo 141, paragrafo 4, del trattato" in quanto l'articolo 2, paragrafo 4, della posizione comune del Consiglio contiene già un riferimento alla possibilità, concessa agli Stati membri, di adottare o mantenere siffatte misure.

    3.10. Articolo 3, paragrafo 2: parità di trattamento tra uomini e donne (emendamento n. 33)

    Poiché la direttiva in generale concerne l'applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne, il Consiglio non ha giudicato utile ripetere che il principio della parità di trattamento in questione è quello della parità di trattamento tra uomini e donne. Analogamente, le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE facevano riferimento al principio della parità di trattamento senza precisare i gruppi posti a raffronto.

    3.11. Articoli 4 e 5 della direttiva 76/207/CE: divieto di disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento (emendamenti nn. 34 e 35)

    Poiché il Consiglio ha riunito gli articoli 3, 4 e 5 in un unico articolo, sopprimendo gli articoli 4 e 5 della direttiva esistente, non è stato più necessario riprendere gli emendamenti nn. 34 e 35 nella posizione comune del Consiglio.

    3.12. Articolo 8 bis: funzioni degli organismi incaricati della promozione della parità di trattamento (emendamenti nn. 39 e 68)

    Il Consiglio ritiene che la promozione del principio della parità di trattamento senza discriminazioni fondate sul sesso, che deve costituire la principale funzione degli organismi incaricati della promozione della parità di trattamento, sia una formulazione più ambiziosa di quella proposta sia dal Parlamento, che parla di applicare il principio, sia dalla Commissione, che fa riferimento all'attuazione di tale principio.

    Inoltre, il Consiglio non ha voluto limitare i poteri di tali organismi ai settori che rientrano nel campo di applicazione della presente direttiva e delle direttive 75/117/CEE, 79/7/CEE, 86/378/CEE, 92/85/CE, 96/34/CE e 97/80/CE, in quanto esso non esclude l'adozione di nuovi testi legislativi relativi al principio della parità di trattamento, segnatamente in base all'articolo 13 del trattato. Il Consiglio ha inoltre voluto utilizzare la stessa formulazione adottata per la direttiva 2000/43/CE a fini di coerenza tra i diversi testi, come sopra indicato. Il desiderio di garantire il parallelismo si applica anche alla modifica proposta per il paragrafo 2 dell'articolo in questione, che prevede che tali organismi possano ricevere ricorsi di gruppi od organizzazioni ed esaminarli, in quanto né nella direttiva 2000/43/CE né nella presente direttiva il Consiglio ha ritenuto opportuno conferire a tali organismi un ruolo giudiziario o paragiudiziario. Per contro, questi organismi possono assistere le vittime di discriminazioni nell'inoltro di una denuncia in materia di discriminazione.

    Inoltre il concetto di "gruppi", non avendo valore giuridico nella maggior parte degli Stati, è stato scartato nel contesto della presente direttiva, analogamente a quanto era avvenuto per le direttive 2000/43/CE e 2000/78/CE.

    3.13. Articolo 8 quater: sanzioni (emendamento n. 65)

    Il Consiglio ha ritenuto sufficiente prevedere che gli Stati membri "prendono tutti i provvedimenti necessari per l'applicazione delle sanzioni" in quanto a suo avviso non è possibile che gli Stati membri prendano provvedimenti volti a garantire un'applicazione non efficace di tali sanzioni.

    4. CONCLUSIONI

    Il Consiglio ritiene che le rispettive posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio divergano in realtà solo di poco e spera che sia possibile alle due istituzioni adempiere il mandato conferito loro dal Consiglio europeo di Stoccolma, del 23 e 24 marzo 2001, e consistente nel completare entro la fine del 2001 l'aggiornamento della direttiva 76/207/CEE.

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