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Document 52000DC0846

    Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo : il contributo delle finanze pubbliche alla crescita e all'occupazione: migliorare la qualità e la sostenibilità.

    52000DC0846




    COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO IL CONTRIBUTO DELLE FINANZE PUBBLICHE ALLA CRESCITA E ALL'OCCUPAZIONE: MIGLIORARE LA QUALITÀ E LA SOSTENIBILITÀ

    INDICE

    Sommario e principali conclusioni iii

    1. Introduzione

    2. In che modo le finanze pubbliche influiscono sulla crescita e sull'occupazione-

    2.1 Panorama delle finanze pubbliche nell'UE all'inizio del 21° secolo

    2.2 L'incidenza delle finanze pubbliche sulla crescita e sull'occupazione

    3. Mantenere finanze pubbliche sane nella terza fase dell'UEM

    3.1. Le nuove sfide in materia di bilancio

    3.2. Le prospettive per il futuro e la risposta degli Stati membri

    4. Verso sistemi fiscali e previdenziali più favorevoli all'occupazione

    4.1. La struttura dei sistemi fiscali e previdenziali nell'UE

    4.2. Le prospettive per il futuro e la risposta degli Stati membri

    5. Le finanze pubbliche al servizio dell'economia della conoscenza

    5.1. Confronto della struttura della spesa delle amministrazioni pubbliche

    5.2. Capitale fisico (infrastrutture)

    5.3. Gli investimenti in capitale umano

    5.4. Ricerca e sviluppo e innovazione

    6. Sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche

    6.1. Panoramica delle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione per il bilancio

    6.2. La via da seguire e la risposta degli Stati membri

    7. Allegato A: Riforme dei sistemi tributari

    8. Allegato B: Riforme dei sistemi di prestazioni

    9. Allegato C: Riforme dei sistemi di assistenza sanitaria

    10. Allegato D: Riforma dei sistemi pensionistici pubblici

    Sommario e principali conclusioni

    Premesse

    Il Consiglio europeo del 23-24 marzo 2000 ha chiesto al Consiglio e alla Commissione di presentare, entro la primavera del 2001, una relazione che valuti il contributo delle finanze pubbliche alla crescita e all'occupazione e che appuri, in base a dati e indicatori comparabili, se siano state prese adeguate misure concrete per:

    * allentare la pressione fiscale sul lavoro, in particolare quello scarsamente qualificato e a bassa retribuzione, migliorare gli effetti di incentivazione all'occupazione e alla formazione prodotti dai regimi fiscali e previdenziali;

    * riorientare la spesa pubblica al fine di accrescere l'importanza relativa dell'accumulazione di capitale - sia fisico che umano - e sostenere la ricerca e lo sviluppo, l'innovazione e le tecnologie dell'informazione;

    * garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, esaminandone i vari aspetti, incluso l'impatto dell'invecchiamento della popolazione, alla luce della relazione che dovrà essere elaborata dal Gruppo ad alto livello "Protezione sociale".

    La relazione della Commissione e del Consiglio contribuirà ad assicurare che le diverse misure individuate dal Consiglio europeo di Lisbona tengano pienamente conto delle loro conseguenze sotto il profilo delle finanze pubbliche.

    Il Consiglio ECOFIN ha esaminato nella riunione del 7 novembre 2000 una relazione interinale [1], per la quale ha espresso il suo apprezzamento, giudicandola una buona base per la relazione che dovrà essere presentata dalla Commissione e dal Consiglio al Consiglio europeo di Stoccolma.

    [1] ECFIN 586-00-EN.rev1

    Come le finanze pubbliche influenzano la crescita e l'occupazione

    La spesa pubblica e le entrate fiscali rappresentano una percentuale del PIL degli Stati membri che va dal 40% al 50%. L'impatto delle finanze pubbliche sulla crescita e sull'occupazione non è facile da descrivere. I governi possono perseguire obiettivi politici di varia natura (miglioramento dell'allocazione delle risorse, ridistribuzione, stabilizzazione) attraverso una vasta gamma di strumenti (regolamentari, di spesa, fiscali), il che implica inevitabilmente che l'impatto delle finanze pubbliche sull'economia reale assume forme molteplici e complesse. Tuttavia vi è un largo consenso sul fatto che esistono tre principali canali attraverso i quali le finanze pubbliche possono promuovere la crescita potenziale e l'occupazione, e cioè:

    * partecipando all'accumulazione dei fattori produttivi. Il settore pubblico contribuisce direttamente alla crescita e all'occupazione attraverso la sua partecipazione all'accumulazione dei fattori. Gli investimenti in capitale fisico (infrastrutture), capitale umano (istruzione e formazione professionale) e capitale conoscitivo (R&S ed innovazione) e, in minor misura, le spese sociali si riflettono sul prodotto e sul potenziale di crescita a lungo termine. Se l'aumento degli investimenti pubblici è finanziato attraverso un inasprimento di imposte aventi effetti distorsivi o a prezzo di un aumento del disavanzo e, di conseguenza, del debito pubblico, esso può però spiazzare gli investimenti privati.

    * offrendo gli opportuni incentivi attraverso i sistemi fiscali e previdenziali. Influenzando le decisioni delle famiglie e delle imprese in materia di lavoro, risparmio e investimenti, i sistemi fiscali e previdenziali incidono sul funzionamento dell'economia reale. I sistemi previdenziali svolgono un ruolo importante nel correggere le deficienze del mercato e nell'assicurare la coesione sociale e per queste vie contribuiscono anch'essi alla crescita e all'occupazione. Una protezione sociale efficiente può essere considerata come un fattore 'produttivo'. Tuttavia, è necessario far sì che i sistemi fiscali e previdenziali favoriscano tassi di partecipazione e di occupazione più elevati.

    * assicurando la stabilità del quadro macroeconomico. Finanze pubbliche sane contribuiscono alla stabilità macroeconomica e sostengono la politica monetaria nel suo compito di mantenere la stabilità dei prezzi a tassi d'interesse bassi. In entrambi i casi si ha un effetto di promozione degli investimenti e del risparmio privati. Una sana gestione delle finanze pubbliche, riducendo il debito pubblico e di conseguenza l'onere degli interessi, crea spazio per una riduzione delle imposte aventi effetti distorsivi e/o un aumento della spesa pubblica produttiva. Infine, una sana situazione delle finanze pubbliche favorirà anche la crescita e l'occupazione a lungo termine, aiutando i paesi a far fronte alla notevole pressione verso l'aumento della spesa pubblica, e specialmente delle spese pensionistiche e sanitarie, esercitata dall'invecchiamento della popolazione.

    Come mantenere finanze pubbliche sane nell'UEM

    L'evoluzione recente dei bilanci dimostra che l'UE è sulla strada giusta. L'obiettivo indicato nel Patto di crescita e stabilità, ossia saldi di bilancio prossimi al pareggio o in avanzo, è a portata di mano e il debito pubblico segue un andamento costantemente discendente. Nel contempo, si stanno attuando riforme per ridurre la pressione fiscale, che era giunta a livelli storicamente elevati. Si tratta di un notevole successo, se si considera che solo sette anni or sono il disavanzo per l'insieme dell'UE ammontava al 6% del PIL.

    Il quadro non è però del tutto favorevole. Anzitutto, si manifesta con sempre maggiore evidenza un allentamento prociclico della politica di bilancio proprio nel momento in cui il differenziale tra prodotto effettivo e potenziale sta diventando positivo nella maggior parte degli Stati membri. Il fatto che le proiezioni indichino che l'UE nel suo complesso avrà ancora un disavanzo strutturale nel 2001 suggerisce che in alcuni Stati membri si è verificato un rilassamento dello sforzo di risanamento del bilancio rispetto allo sforzo di aggiustamento 'reale' implicito nei loro programmi di stabilità e convergenza. Potrebbe essere necessario un ulteriore aggiustamento perché gli Stati membri riescano a rispettare il loro impegno a conseguire l'obiettivo del patto di stabilità e crescita in anticipo rispetto al termine previsto.

    Con l'avvicinamento all'obiettivo del patto di stabilità e crescita e il consolidarsi di un contesto economico favorevole, stanno venendo in primo piano nuove priorità di bilancio. Nella relazione si esamina, sulla base di una serie di criteri, se le recenti riforme fiscali sono tali da realizzare una riduzione sostenibile della pressione fiscale mantenendo fermo l'impegno alla disciplina di bilancio. Anche se sgravi fiscali sono opportuni nella maggior parte dei paesi dell'UE, sembrano essere necessari corrispondenti tagli della spesa pubblica per evitare un deterioramento dei saldi di bilancio strutturali. Inoltre, gli effetti sull'occupazione e sulla crescita di alcuni sgravi fiscali potrebbero essere accentuati dal loro inserimento in un pacchetto globale che comprenda misure mirate per ridurre le imposte aventi effetti distorsivi e opportune riforme dei sistemi previdenziali. La Commissione invita gli Stati membri a vagliare i criteri impiegati per determinare gli sgravi fiscali e il loro campo d'applicazione nell'ambito del processo di sorveglianza delle situazioni di bilancio a livello UE.

    Verso sistemi fiscali e previdenziali più favorevoli all'occupazione

    Negli ultimi tempi le riforme fiscali si sono concentrate sull'obiettivo della riduzione della tassazione del fattore lavoro, che è cresciuta di un terzo negli ultimi 30 anni. Globalmente, sono stati realizzati dei progressi nel rendere i sistemi fiscali più favorevoli all'occupazione, riducendo la pressione fiscale sul lavoro e abbassando le aliquote fiscali marginali. Tuttavia, se si opera un raffronto su scala internazionale, la tassazione complessiva del lavoro in molti Stati membri è tuttora assai elevata. Inoltre, gli interventi di riforma sono stati di intensità disuguale, con una strategia globale di riforma del sistema fiscale in alcuni paesi e misure frammentarie in altri.

    Molti paesi hanno preso provvedimenti per ridurre la pressione fiscale, e in particolare i contributi sociali a carico dei datori di lavoro, e più di recente l'imposta personale sul reddito, in particolare all'estremità inferiore della scala retributiva. Anche se la maggior parte delle riforme si è proposta una riduzione generalizzata della tassazione, in alcuni paesi gli sgravi sono stati chiaramente mirati alle famiglie a basso reddito con bambini.

    Le variazioni del tasso netto di sostituzione sono state relativamente modeste, mentre solo pochi Stati membri hanno introdotto benefici all'attività lavorativa per accrescere il reddito dei lavoratori a basso salario. La relazione tra gli incentivi fiscali e la disponibilità dei disoccupati a cercare e ad accettare un posto di lavoro dipende fortemente dalle condizioni alle quali è subordinata l'erogazione delle prestazioni sociali come pure dal modo in cui sono amministrati i relativi regimi. Si è osservata una certa tendenza a rendere più restrittive le condizioni di ammissione al beneficio delle prestazioni sociali, incentivando così la partecipazione a programmi di misure attive sul mercato del lavoro. Tuttavia, gli sforzi intesi a dare maggiore impulso alle politiche attive piuttosto che a quelle passive devono essere accelerati, potenziati e intensificati.

    Il contributo delle finanze pubbliche all'economia fondata sulla conoscenza

    Visto il dibattito in corso sulla "nuova economia", è questo il momento giusto per valutare il contributo delle finanze pubbliche all'economia fondata sulla conoscenza. Tuttavia, effettuare raffronti tra paesi per quanto riguarda la spesa pubblica è oltremodo difficile in quanto mancano i dati necessari sia per gli input del settore pubblico (ossia una classificazione funzionale comparabile delle spese) sia per gli output (ossia l'efficienza e i benefici economici delle spese stesse). A prescindere dalla disponibilità dei dati, i confronti dovrebbero tener conto delle differenze nella struttura degli incentivi per i soggetti privati, delle procedure di gara, degli appalti pubblici, dell'outsourcing e infine della tassazione. Purtroppo, vista la limitatezza dei dati disponibili, è stato possibile adempiere solo in parte al mandato del Consiglio di Lisbona.

    Sono indispensabili maggiori sforzi per accrescere gli investimenti necessari per agevolare lo sviluppo della società dell'informazione. I governi devono inoltre fare di più per l'istruzione e la formazione professionale, per dotare i cittadini europei delle qualifiche necessarie per la società dell'informazione, cercando nel contempo di associare il settore privato alle attività innovative e di R&S. Questi sforzi vanno compiuti nel quadro di politiche di bilancio sane, finanziando l'incremento dell'accumulazione di capitale attraverso una ridistribuzione delle spese e non attraverso un incremento della spesa pubblica complessiva. La ristrutturazione della spesa pubblica dovrebbe essere inoltre integrata da riforme istituzionali e strutturali che diano maggiore spazio ai meccanismi di mercato e introducano adeguati sistemi di incentivi per promuovere l'accumulazione di capitale fisico e umano nel settore privato.

    La sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche

    Nei prossimi decenni, si verificheranno mutamenti sostanziali per quanto riguarda le dimensioni ed il profilo d'età della popolazione degli Stati membri dell'UE. Le più recenti proiezioni sulla popolazione pubblicate da Eurostat indicano che la popolazione dell'UE in età lavorativa (ossia tra i 20 ed i 64 anni) rimarrà più o meno stabile, a circa 230 milioni di unità, fino al 2015, ma scenderà successivamente a 192 milioni entro il 2050. Al tempo stesso, il numero degli anziani (65 anni e più) salirà da 61 milioni nel 2000 a 103 milioni nel 2050. Ciò implica che il tasso di dipendenza per l'UE (definito come il rapporto tra le persone di 65 anni e più e la popolazione in età lavorativa) crescerà rapidamente, dal 27% nel 2000 al 53% nel 2050.

    L'invecchiamento della popolazione eserciterà una forte pressione all'aumento della spesa pensionistica pubblica. Le proiezioni a lungo termine elaborate dal gruppo di lavoro "invecchiamento della popolazione" del Comitato di politica economica indicano che l'invecchiamento della popolazione potrebbe provocare un aumento della spesa pensionistica di entità compresa tra 3 e 5 punti percentuali del PIL nella maggior parte degli Stati membri. Esse indicano che l'aumento prevedibile della spesa pubblica per le pensioni sarà più lento che l'incremento del tasso di dipendenza: ciò fa pensare che le riforme degli anni '90 sono riuscite a limitare in qualche misura l'aumento della spesa per le pensioni pubbliche dovuto all'invecchiamento della popolazione. Per quanto riguarda la spesa sanitaria, le stime disponibili quantificano in circa 3 punti percentuali del PIL il suo incremento a causa dell'invecchiamento della popolazione. Globalmente, l'invecchiamento della popolazione pone una sfida impegnativa alla sostenibilità delle finanze pubbliche; i problemi più gravi sono quelli che si presentano ai paesi gravati da uno stock di debito pubblico di notevole entità e che finanziano i sistemi pensionistici sulla base del principio di ripartizione.

    Il fenomeno ha dimensioni tali da rendere indispensabile un approccio globale per affrontare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui bilanci. In primo luogo, gli Stati membri dovrebbero risanare i loro bilanci e ridurre il livello del debito pubblico più rapidamente, riducendo così la spesa per interessi e compensando in questo modo una parte dell'incremento di spesa derivante dall'invecchiamento della popolazione. In secondo luogo, riforme del mercato del lavoro che portino ad un aumento del tasso di occupazione contribuirebbero a controbilanciare l'impatto negativo dell'evoluzione demografica sulle dimensioni delle forze di lavoro. Come sottolineato nella relazione del Gruppo di lavoro ad alto livello sulla protezione sociale, si deve dedicare particolare attenzione ad incrementare il tasso di partecipazione delle donne e dei lavoratori più anziani. Sono necessarie riforme per far sì che i sistemi fiscali e previdenziali offrano incentivi positivi a rimanere sul mercato del lavoro, per limitare il ricorso al pensionamento anticipato, per migliorare l'accesso alla formazione nel corso dell'intera vita lavorativa, per facilitare la conciliazione delle esigenze della vita professionale e della vita privata, per esempio mettendo a disposizione infrastrutture a prezzi accessibili che si prendano cura dei bambini. Infine, nonostante le misure già prese negli ultimi anni, sono necessarie ulteriori riforme dei sistemi pensionistici pubblici, intese ad accrescere il tasso di partecipazione dei lavoratori più anziani e delle donne, assicurare una maggiore equità attuariale collegando più strettamente contributi e prestazioni e instaurare un miglior equilibrio tra i diversi pilastri del sistema pensionistico. In molti Stati membri si dovrebbe attribuire un ruolo più importante ai sistemi pensionistici che funzionano secondo il principio di capitalizzazione. La politica da seguire dovrebbe essere decisa con un consistente anticipo rispetto all'incremento del tasso di dipendenza, in modo che i cittadini possano prendere le opportune disposizioni per assicurarsi un reddito sufficiente da anziani.

    L'UE può svolgere un ruolo costruttivo, aiutando gli Stati membri a far fronte alle ripercussioni dell'invecchiamento della popolazione sulle finanze pubbliche. La Commissione sosterrà i lavori intesi a estendere le proiezioni di spesa a lungo termine che tentano di delineare l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sulla spesa sanitaria e sull'assistenza a lungo termine agli anziani. Essa si adopererà inoltre per assicurare che la problematica della sostenibilità a lungo termine sia pienamente inserita nel quadro del Patto di stabilità e crescita; gli Stati membri, dal canto loro, dovrebbero prendere adeguatamente in considerazione questo aspetto nei loro programmi di stabilità e di convergenza. Infine, la Commissione prenderà in esame l'opportunità di condurre, in collaborazione con gli Stati membri, un'inchiesta europea longitudinale sull'invecchiamento, i cui risultati potrebbero essere utili per elaborare strategie politiche in grado di soddisfare le esigenze poste da una popolazione in via di invecchiamento.

    1. Introduzione

    Il mandato

    Il Consiglio europeo del 23-24 marzo 2000 ha chiesto al Consiglio e alla Commissione di presentare, entro la primavera del 2001, una relazione che valuti il contributo delle finanze pubbliche alla crescita e all'occupazione e che appuri, in base a dati e indicatori comparabili, se siano state prese adeguate misure concrete per:

    * allentare la pressione fiscale sul lavoro, in particolare quello scarsamente qualificato e a bassa retribuzione, migliorare gli effetti di incentivazione dell'occupazione e della formazione prodotti dai regimi fiscali e previdenziali;

    * riorientare la spesa pubblica al fine di accrescere l'importanza relativa dell'accumulazione di capitale - sia fisico che umano - e sostenere la ricerca e lo sviluppo, l'innovazione e le tecnologie dell'informazione;

    * garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, esaminandone i vari aspetti, incluso l'impatto dell'invecchiamento della popolazione, alla luce della relazione che dovrà essere elaborata dal Gruppo ad alto livello "Protezione sociale".

    Nel quadro della preparazione della relazione della Commissione e del Consiglio, il Consiglio ECOFIN del 7 novembre 2000 ha esaminato una relazione interinale [2] preparata dai servizi della Commissione, che si fonda sulla relazione della DG ECFIN Public finances in EMU-2000 [3]. Il Consiglio ECOFIN ha concluso che la suddetta relazione interinale costituisce una buona base per l'elaborazione della relazione della Commissione e del Consiglio che dovrà essere presentata al Consiglio europeo di Stoccolma nella primavera 2001.

    [2] ECFIN/586/00-EN.rev1.

    [3] ECFIN/339/00-EN, maggio 2000, pubblicata in European Economy, Reports and Studies, n. 3, 2000.

    Scopo della relazione della Commissione e del Consiglio al Consiglio europeo di Stoccolma

    Esistono già vari strumenti comunitari che contengono raccomandazioni su vari aspetti della finanza pubblica. Le tematiche macroeconomiche sono trattate nel quadro degli Indirizzi di massima per le politiche economiche e del Patto di stabilità e crescita (PSC). Gli aspetti strutturali della politica fiscale e della politica di spesa sono trattati negli Indirizzi di massima e negli Orientamenti in materia di occupazione, mentre le riforme dei mercati dei prodotti e dei fattori sono valutate nell'ambito del processo di Cardiff. La relazione della Commissione e del Consiglio punta l'attenzione sul contributo delle finanze pubbliche alla promozione della crescita e dell'occupazione, affinché possano svolgere pienamente il loro ruolo nel conseguimento dei nuovi obiettivi strategici dell'Unione.

    La relazione della Commissione e del Consiglio può contribuire ad assicurare che, nell'attuare l'insieme delle misure indicate dal Consiglio europeo di Lisbona per conseguire tali obiettivi, si tenga pienamente conto delle loro implicazioni per le finanze pubbliche. È indispensabile che nell'opera di riforma dei sistemi fiscali e previdenziali e nelle manovre intese a riorientare la spesa pubblica verso l'accumulazione di capitale fisico ed umano si tenga fermo, in modo credibile e in ogni momento, l'impegno a mantenere una situazione sana e sostenibile delle finanze pubbliche.

    Struttura della comunicazione

    La parte 2, dopo aver presentato alcuni fatti stilizzati sulle finanze pubbliche all'inizio del ventunesimo secolo, passa in rassegna le complesse interazioni tra finanza pubblica, da un lato, e crescita economica e occupazione, dall'altro, disegnando quindi il quadro analitico per il seguito della relazione.

    La parte 3 è imperniata sulla necessità di finanze pubbliche sane come condizione per la crescita e l'occupazione. Essa descrive le sfide cui devono far fronte gli Stati membri nel proseguire l'opera di risanamento dei bilanci nella terza fase dell'UEM ed esamina se le misure prese di recente siano atte ad ottenere una riduzione sostenibile della pressione fiscale complessiva, rispettando nel contempo l'impegno alla disciplina di bilancio.

    La parte 4 della relazione esamina i passi compiuti da ultimo per rendere i sistemi fiscali e previdenziali più favorevoli all'occupazione, per accertare se abbiano effettivamente migliorato gli incentivi a lavorare, risparmiare ed investire. Dopo aver passato in rassegna la struttura dei sistemi fiscali e previdenziali nell'UE, la parte 4 valuta l'incidenza delle riforme recentemente messe in atto dagli Stati membri specie per quanto riguarda i lavoratori non qualificati e a basso salario.

    La parte 5, dedicata al ruolo delle finanze pubbliche nella promozione di un'economia fondata sulla conoscenza, contiene valutazioni dettagliate degli investimenti pubblici in capitale fisico (infrastrutture), capitale umano, R&S ed innovazione.

    La parte 6 esamina la problematica della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche alla luce delle ripercussioni dell'invecchiamento della popolazione sui sistemi pensionistici e sanitari, fondandosi su proiezioni elaborate dal Gruppo di lavoro sull'invecchiamento della popolazione del Comitato di politica economica, esaminato dal Consiglio ECOFIN del 7 novembre 2000, e sui lavori del Gruppo di lavoro ad alto livello sulla protezione sociale. Vi si valuta se gli Stati membri stiano prendendo misure adeguate, in tutta una serie di settori, per far fronte alle implicazioni di bilancio dell'invecchiamento della popolazione.

    2. In che modo le finanze pubbliche influiscono sulla crescita e sull'occupazione-

    2.1. Panorama delle finanze pubbliche nell'UE all'inizio del 21° secolo

    Le dimensioni della sfida di Lisbona

    Il Consiglio europeo di Lisbona del 23-24 marzo 2000 ha fissato un nuovo obiettivo strategico per l'Unione, ossia "... diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale." Il Consiglio europeo ha chiesto in particolare all'UE di "...accrescere il tasso di occupazione dall'attuale media del 61% a una percentuale che si avvicini il più possibile al 70% entro il 2010." Essenzialmente, l'UE deve sfruttare pienamente il suo potenziale economico per migliorare il tenore di vita, a beneficio dei suoi cittadini.

    Si può avere un'idea delle dimensioni di questa sfida mettendo a confronto l'evoluzione del PIL pro capite nell'UE e negli USA. Dopo un periodo di riduzione delle distanze dagli anni '50 ai primi anni '80 il PIL pro capite dell'UE (misurato in parità di potere d'acquisto) è fluttuato intorno al 70% del livello degli USA fino al 1990 (cfr. grafico 2.1). Nel corso degli anni '90 il differenziale del PIL pro capite relativo è invece cresciuto e oggi il PIL pro capite dell'UE è pari soltanto al 65% di quello degli USA, circa 9 punti percentuali in meno del picco registrato all'inizio degli anni '80.

    Grafico 2.1: PIL pro capite nell'UE rispetto agli USA 1970-2002

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: servizi della Commissione

    Questo andamento del tenore di vita relativo si spiega con una crescita meno dinamica e con una situazione dell'occupazione peggiore nell'UE che negli USA. Grosso modo, le dimensioni dell'economia dell'UE nel 2000 sono il doppio di quelle dell'inizio degli anni '70, mentre il PIL degli USA nel 2000 è pari ad oltre due volte e mezzo il livello del 1970. Si deve tuttavia tener presente che questo divario si è formato soprattutto nel corso degli anni '90 e potrebbe riflettere in una certa misura dei differenziali congiunturali. Ancora più netta della differenza tra le due economie in termini di crescita è la divaricazione in termini di creazione di posti di lavoro. Oggi la quota degli occupati nell'UE in percentuale della popolazione in età lavorativa è inferiore di 15 punti a quella degli USA, mentre nel 1970 si registravano valori simili sulle due sponde dell'Atlantico.

    Per invertire questo declino relativo, l'UE deve mobilitare tutte le risorse disponibili. Il Consiglio europeo di Lisbona ha riconosciuto che per conseguire il nuovo obiettivo strategico si dovrà fare affidamento soprattutto sul settore privato. Tuttavia, poiché la spesa pubblica e le tasse rappresentano una quota che va dal 40 al 50% del reddito nazionale negli Stati membri dell'UE, le finanze pubbliche hanno un ruolo centrale da svolgere per il conseguimento di questo obiettivo. Questo ruolo viene analizzato dettagliatamente nel seguito della presente relazione, dopo un esame della struttura complessiva delle finanze pubbliche nell'UE.

    Una panoramica delle finanze pubbliche nell'UE. Lo Stato interviene nell'economia per diversi scopi: per fornire beni pubblici e per supplire alle deficienze del mercato, per ridistribuire il reddito sotto il profilo territoriale e sociale e per stabilizzare il prodotto nell'arco del ciclo economico. Per tali obiettivi esso utilizza una vasta gamma di strumenti, in particolare la regolamentazione, la tassazione e la spesa pubblica. Influenzando le decisioni dei soggetti economici in materia di lavoro, di risparmio e di investimenti, le finanze pubbliche incidono sul funzionamento dell'economia reale. Per individuare la loro relazione con la crescita e l'occupazione, è utile passare in rassegna alcune delle caratteristiche fondamentali delle finanze pubbliche e dell'andamento dell'economia dell'UE all'inizio del ventunesimo secolo.

    Negli ultimi trent'anni si è assistito ad una straordinaria lievitazione delle dimensioni della spesa pubblica, che rappresenta oggi quasi la metà del PIL dell'UE (cfr. grafico 2.2). La spesa delle amministrazioni pubbliche ammontava al 35% del PIL nel 1970, ma è cresciuta costantemente fino a toccare un picco superiore al 50% del PIL nel 1993. Da allora la spesa totale delle amministrazioni pubbliche ha registrato un certo calo, per attestarsi al 46% circa del PIL nel 2000. Tuttavia nell'UE la quota del settore pubblico è ancora superiore rispettivamente di 13 e di 20 punti percentuali del PIL a quella degli USA e del Giappone, paesi nei quali essa è cresciuta, nell'arco dello stesso periodo di riferimento, di soli 4 punti percentuali del PIL.

    Grafico 2.2. Amministrazioni pubbliche: spesa, entrate e indebitamento nell'UE, 1970-2002

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: servizi della Commissione

    L'espansione delle dimensioni del settore pubblico fino all'inizio degli anni '90 ha avuto luogo in parallelo con l'emergere di ampi e persistenti disavanzi (corrispondenti alla zona ombreggiata nel grafico 2.2). Quasi senza eccezioni, il disavanzo pubblico medio nell'intera UE è rimasto attestato su valori superiori al 3% del PIL dal 1975 in poi, toccando un massimo storico del 6% del PIL nel 1993. Questa evoluzione si differenzia dagli andamenti degli USA e del Giappone, dove disavanzi di bilancio elevati e persistenti si sono registrati con frequenza assai minore.

    Di fronte a posizioni di bilancio avviate su un sentiero chiaramente insostenibile e per prepararsi all'UEM, che comportava la necessità di rispettare i criteri di convergenza di Maastricht, i responsabili delle politiche hanno avviato un'energica manovra di aggiustamento dei bilanci a partire dal 1992-93 (cfr. grafico 2.3). Il disavanzo delle amministrazioni pubbliche per l'intera UE è sceso di 5 punti percentuali del PIL tra il 1993 e il 1999. A livello degli Stati membri si sono verificate delle spettacolari inversioni di rotta della politica di bilancio, grazie alle quali alla fine del 1999 nessun paese dell'UE registrava un disavanzo eccessivo, vale a dire che i disavanzi erano tutti inferiori al valore di riferimento del 3% del PIL stabilito nel trattato di Maastricht.

    Grafico 2.3. Squilibri di bilancio nell'UE 1977-2002

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: servizi della Commissione

    Disavanzi elevati e persistenti avevano prodotto un rapido incremento del debito pubblico. Il rapporto tra debito pubblico e PIL per l'UE è salito da meno del 30% alla fine degli anni '70 ad un picco del 72% nel 1996 (cfr. grafico 2.3). Da allora la tendenza al rialzo è stata invertita. Tuttavia lo stock del debito pubblico è ancora troppo elevato, al 64% del PIL nel 2000, e rimane al di sopra del 100% del PIL in tre Stati membri (B, EL ed I).

    La tendenza a mettere in atto politiche di bilancio procicliche costituisce un'altra caratteristica della politica economica degli ultimi trent'anni. Invece di ridurre il disavanzo e il debito pubblico nei momenti in cui la situazione economica era più favorevole, i governi si sono dimostrati piuttosto inclini a procedere ad un allentamento discrezionale della politica di bilancio (cfr. le aree ombreggiate nel grafico 2.3, che corrispondono ai periodi in cui il tasso di crescita era superiore a quello tendenziale). Ne risultava la necessità di una stretta di bilancio durante le fasi discendenti del ciclo, per evitare che il disavanzo ed il debito precipitassero in una spirale che li rendesse non più controllabili. La politica di bilancio ha quindi amplificato gli effetti delle oscillazioni congiunturali, agendo in senso prociclico invece di produrre gli auspicabili effetti di stabilizzazione.

    Negli ultimi 30 anni, ogni componente della spesa pubblica, ad eccezione degli investimenti, ha fatto segnare un incremento. In particolare, la spesa per interessi in percentuale del PIL è salita da meno del 2% nel 1970 al 4% nel 2000. Al contrario, durante lo stesso periodo, la spesa pubblica per investimenti si è dimezzata, dal 4% del PIL nel 1970 al 2% nel 2000 [4] (cfr. grafico 2.4).

    [4] Le cifre citate si riferiscono unicamente alla spesa delle amministrazioni pubbliche. Tuttavia esiste una più ampia cerchia di imprese pubbliche, miste o private che provvedono a fornire e/o gestire infrastrutture organizzate a rete (trasporti, energia, telecomunicazioni, rifornimento idrico) e che possono beneficiare di diversi gradi e forme di sostegno finanziario da parte dell'amministrazione pubblica, o per gli investimenti (ad es. sovvenzioni per la costruzione di infrastrutture) o per il loro stesso funzionamento (ad es. compensazione degli obblighi di servizio pubblico).

    Grafico 2.4. Struttura della spesa pubblica nell'UE, 1970-2002

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: servizi della Commissione

    Parallelamente a questa evoluzione della spesa totale, la pressione fiscale è cresciuta costantemente negli ultimi trent'anni fino a raggiungere un picco storico del 46% circa del PIL nel 1999. Le proiezioni indicano che essa inizierà a scendere solo a partire dal 2000. In concomitanza con questo incremento della pressione fiscale, si è avuto uno spostamento del suo baricentro a danno del fattore lavoro (cfr. grafico 2.5). Le quote dei contributi sociali e delle imposte dirette nel totale delle entrate fiscali sono aumentate di 3 punti percentuali ciascuna rispetto al 1970. Nello stesso periodo, la quota delle imposte indirette nel totale delle entrate fiscali è scesa di 6 punti percentuali. Complessivamente, l'inasprimento della pressione fiscale sul lavoro ha costituito, nella maggioranza degli Stati membri, la principale componente dell'incremento della pressione fiscale complessiva.

    Grafico 2.5. Struttura delle entrate pubbliche nell'UE, 1970-2000

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: servizi della Commissione

    2.2. L'incidenza delle finanze pubbliche sulla crescita e sull'occupazione

    Questi fatti stilizzati inducono a pensare che la rapida crescita delle dimensioni del settore pubblico, i mutamenti della composizione delle entrate fiscali e della spesa pubblica e la persistenza di elevati disavanzi strutturali che hanno gonfiato il debito pubblico siano tutti fattori che spiegano i risultati poco soddisfacenti sotto il profilo della crescita e dell'occupazione registrati dall'UE negli ultimi decenni. Tuttavia l'impatto delle finanze pubbliche sulla crescita e sull'occupazione non è così lineare. Questo perché i governi perseguono contemporaneamente più obiettivi attraverso un'ampia gamma di misure, il che rende molteplici e complesse le ripercussioni della situazione delle finanze pubbliche sull'economia reale.

    Inoltre, la crescita e la creazione di posti di lavoro a lungo termine sono influenzate da una lunga serie di fattori diversi dalle finanze pubbliche. In particolare, il funzionamento dei mercati dei prodotti, dei capitali e del lavoro e l'evoluzione demografica svolgono anch'essi un ruolo fondamentale. Gli effetti delle finanze pubbliche sulla crescita e sull'occupazione dipendono dall'interazione tra le politiche di bilancio e l'assetto regolamentare generale come pure dalle reazioni del settore privato agli interventi pubblici. Inoltre, per quanto riguarda l'incidenza dell'entità della spesa sulla crescita e sull'occupazione, i confronti internazionali possono essere fuorvianti. Stabilire correlazioni dirette tra crescita e dimensioni del settore pubblico nei vari paesi può portare a conclusioni ambigue, mentre compiti svolti efficientemente dal settore pubblico in un paese possono essere demandati al settore privato in altri.

    Nonostante la complessità di questa interrelazione, nella letteratura economica il rapporto tra finanze pubbliche e crescita e occupazione è ampiamente documentato. Le finanze pubbliche possono promuovere la crescita potenziale e l'occupazione 1) contribuendo all'accumulazione di capitale fisico e umano, 2) distribuendo opportuni incentivi attraverso i sistemi fiscale e previdenziale e 3) assicurando la stabilità del contesto macroeconomico.

    L'accumulazione dei fattori produttivi. Lo Stato contribuisce direttamente all'accumulazione dei fattori investendo in capitale fisico (infrastrutture), umano (istruzione e formazione) e conoscitivo (R&S e innovazione). Anche la spesa sociale svolge un suo ruolo, in particolare sostenendo gli investimenti in capitale umano. Gli investimenti pubblici possono anche avere un effetto indiretto positivo sull'accumulazione dei fattori nel suo complesso se integrano gli investimenti privati. Per esempio, la messa a disposizione di infrastrutture efficienti (di trasporto, energetiche e di altro tipo) può accrescere la produttività degli investimenti del settore privato e attrarre investimenti supplementari. Questa complementarità può essere rafforzata attraverso partenariati tra settore pubblico e privato che accrescono l'efficienza degli investimenti pubblici, introducendo considerazioni attinenti al rapporto costi/benefici, e che, allo stesso tempo, garantiscono che valutazioni di utilità sociale vengano inglobate nelle decisioni d'investimento del settore privato.

    A priori, la spesa pubblica destinata all'accumulazione di capitale ha un effetto positivo sulla crescita e l'occupazione. Tuttavia, gli effetti potenzialmente favorevoli alla crescita degli investimenti pubblici possono essere vanificati dalla reazione degli operatori privati. Quel che conta, in definitiva, per la crescita economica non è l'accumulazione pubblica di fattori produttivi di per sé, bensì l'accumulazione totale (pubblica e privata) dei fattori. Un aumento degli investimenti pubblici avrà un effetto limitato o persino negativo sulla crescita se spiazza gli investimenti privati. Questi effetti di spiazzamento possono prodursi per diverse ragioni:

    * La fornitura di beni e servizi da parte del settore pubblico dovrebbe essere limitata ai settori nei quali vi sono evidenti ragioni che giustificano l'intervento pubblico e non dovrebbe inibire attività economiche che potrebbero essere svolte in modo più efficiente dal settore privato. Tutti avranno presenti i casi in cui l'intervento pubblico è stato associato a leggi che precludevano l'accesso al mercato e all'uso abusivo della concessione di diritti esclusivi, con l'effetto di impedire una partecipazione ottimale del settore privato. Il processo di liberalizzazione e privatizzazione degli ultimi anni ha trasformato una serie di settori nei quali l'intervento del settore pubblico era finora giustificato da una situazione di monopolio naturale. Molti dei settori dei prodotti e dei servizi recentemente liberalizzati sono all'avanguardia nell'adozione delle nuove tecnologie e nella creazione di posti di lavoro ad elevato valore aggiunto. Tuttavia, l'esigenza di un intervento pubblico non è venuta del tutto meno. In particolare attraverso l'opera di regolamentazione le autorità pubbliche svolgono una funzione fondamentale per assicurare l'efficiente funzionamento dei mercati interessati, evitando abusi di posizione dominante.

    * Il contributo degli investimenti pubblici alla crescita e all'occupazione dipende anche da come questi investimenti sono finanziati. In passato, una parte della spesa pubblica è stata finanziata attraverso disavanzi di bilancio che hanno portato all'accumulazione di un ingente stock di debito pubblico. I titoli del debito pubblico costituiscono un investimento relativamente privo di rischi e, per questa loro caratteristica, riducono l'appetibilità di investimenti privati più rischiosi. Inoltre, un elevato livello del debito esercita una pressione al rialzo dei tassi d'interesse che, aumentando il costo del capitale, diminuisce ulteriormente il numero dei progetti d'investimento privato redditizi. Di conseguenza un debito crescente può frenare l'accumulazione complessiva di capitale e impedire all'economia di incorporare le nuove tecnologie al ritmo necessario per mantenere la competitività e la creazione di posti di lavoro ad alta produttività.

    * Inoltre, i benefici della spesa pubblica possono essere vanificati se essi vengono finanziati attraverso imposte che producono distorsioni, scoraggiando gli investimenti e la creazione di occupazione (vedi sotto).

    Queste considerazioni sul potenziale effetto di spiazzamento degli investimenti privati evidenziano quanto sia importante accrescere l'accumulazione di capitale pubblico attraverso la ristrutturazione della spesa pubblica, come raccomandato dal Consiglio europeo di Lisbona.

    Offrire gli incentivi giusti attraverso i sistemi fiscali e previdenziali. Intervenendo sugli incentivi a lavorare, risparmiare e investire, i sistemi fiscali e previdenziali incidono sull'accumulazione dei fattori nel settore privato e, di conseguenza, sulla crescita e sull'occupazione. Il sistema di protezione sociale contribuisce a correggere le deficienze del mercato offrendo un'assicurazione contro la disoccupazione e la malattia e una rendita per gli anziani, e promuovendo così una più efficiente allocazione delle risorse. Un sistema di protezione ed assistenza sociale ben congegnato può incrementare l'efficienza economica. Prestazioni quali, per esempio, l'assicurazione contro la disoccupazione o gli assegni familiari, come anche le politiche di promozione dell'integrazione sociale, possono accrescere il tasso di partecipazione e l'offerta di lavoro, favorendo nel contempo l'accettazione sociale delle riforme strutturali.

    Tuttavia questi effetti positivi possono essere compensati da effetti negativi sull'offerta e sulla domanda di lavoro. Per esempio, prestazioni di disoccupazione generose e incondizionate ed erogabili per un periodo molto lungo, se non sono combinate con un sostegno al collocamento e con un controllo della disponibilità a lavorare, possono dar luogo a trappole di dipendenza dai benefici sociali e trappole di disoccupazione all'estremità inferiore della scala salariale. I regimi di prepensionamento, pur costituendo una rete di sicurezza per i lavoratori più anziani nei momenti di crisi, impediscono loro di rientrare nel mercato del lavoro nelle fasi di espansione o li incoraggiano ad abbandonare prematuramente il mercato del lavoro. Nell'insieme, le esperienze concrete accumulate in Europa e fuori supportano la tesi che le riforme dei sistemi fiscali e previdenziali, comprese quelle relative alle modalità di erogazione delle prestazioni, possono incrementare i tassi di partecipazione e di occupazione.

    Per quanto riguarda la tassazione, imposte elevate sul fattore lavoro all'estremità inferiore della scala salariale, combinate con sgravi fiscali rilevanti al di sotto di una certa soglia e il brusco ritiro di prestazioni al di sopra di un certo reddito, sono fonte di trappole della povertà e di una più bassa accumulazione del capitale umano. Se una riduzione della pressione fiscale complessiva può avere un impatto positivo sugli investimenti privati, essa può avere effetti più profondi se le riduzioni sono applicate a imposte aventi un elevato potere distorsivo (cfr. sotto, parte 4). Sgravi fiscali mirati all'estremo inferiore della scala di produttività farebbero crescere l'incentivo delle imprese ad assumere lavoratori non qualificati.

    Un approccio globale alla riforma dei sistemi fiscali e previdenziali costituisce un altro fattore decisivo per il miglioramento delle prospettive di crescita a lungo termine. Attuando le riforme secondo un piano globale gli Stati membri possono produrre effetti positivi sulla crescita e sfruttare le possibilità di interazione offerte dall'attuazione di strategie politiche coerenti nei diversi settori. Riforme di ampio respiro che incentivino la partecipazione della forza lavoro e la formazione di capitale umano possono anche promuovere il potenziale di innovazione dell'economia, promuovere lo spirito imprenditoriale e dare impulso agli investimenti e all'innovazione nel settore privato.

    Assicurare la stabilità del quadro macroeconomico. Per mantenere un quadro macroeconomico favorevole alla crescita e all'occupazione occorre una forte disciplina di bilancio, vale a dire bilanci che rimangano complessivamente in equilibrio nell'arco del ciclo economico e un debito pubblico basso o costantemente decrescente. Nel contesto dell'UE, ciò significa un rapporto debito/PIL nettamente al di sotto del valore di riferimento del 60%.

    La disciplina di bilancio influenza la crescita e l'occupazione attraverso vari canali, diretti e indiretti.

    Per quanto riguarda i canali diretti, una sana situazione delle finanze pubbliche, coadiuvando la politica monetaria nel suo compito di mantenere stabili i prezzi, può tradursi in tassi d'interesse più bassi, che a loro volta possono stimolare gli investimenti privati, portando ad una maggiore crescita dello stock di capitale nel medio e nel lungo periodo. In secondo luogo, la progressiva riduzione del debito pubblico abbasserà l'onere degli interessi, offrendo un margine per la riduzione di imposte distorsive e/o l'incremento della spesa pubblica produttiva: come illustrato sopra, questi due tipi di interventi possono agevolare l'accumulazione dei fattori. Un altro canale diretto è rappresentato dal risparmio aggregato, che è la somma del risparmio privato e di quello pubblico. Dato che l'aumento del risparmio pubblico accresce il risparmio nazionale aggregato, possono rendersi disponibili risorse aggiuntive per gli investimenti produttivi.

    La disciplina di bilancio incide anche indirettamente sulla crescita e sull'occupazione perché garantisce stabilità macroeconomica. Innanzitutto, può indurre aspettative di stabilizzazione dell'inflazione, riducendo le incertezze e rendendo più prevedibili le prospettive sulle quali risparmiatori ed investitori fondano i loro piani a lungo termine. In secondo luogo, la disciplina di bilancio permette ai governi di lasciare che gli stabilizzatori automatici operino pienamente nelle fasi negative del ciclo, riducendo l'ampiezza delle sue oscillazioni. La capacità di far fronte alle fasi discendenti del ciclo è particolarmente importante nell'ambito dell'UEM in quanto, data la perdita dell'autonomia monetaria nazionale, la politica di bilancio potrebbe dover svolgere un ruolo più importante nel contribuire ad attenuare le variazioni del ciclo economico. Infine, il conseguimento dell'equilibrio delle finanze pubbliche sarà utile per far fronte al problema di bilancio a lungo termine posto dall'invecchiamento della popolazione. Un più basso livello del debito pubblico ridurrà la spesa per interessi e compenserà quindi in parte l'aumento della spesa pubblica per le pensioni e per l'assistenza sanitaria. Se non si affronterà l'invecchiamento della popolazione partendo da una situazione sana delle finanze pubbliche, è possibile che ci si troverà costretti in futuro ad inasprire la pressione fiscale fino a livelli insostenibili, che ostacoleranno la crescita e la creazione di posti di lavoro.

    3. Mantenere finanze pubbliche sane nella terza fase dell'UEM

    3.1. Le nuove sfide in materia di bilancio

    Nella sezione precedente si è sottolineato il contributo che finanze pubbliche sane possono dare alla crescita e all'occupazione, sia direttamente (liberando risorse per un'ulteriore accumulazione di fattori produttivi da parte del settore pubblico e di quello privato), sia indirettamente (creando quella stabilità che attira risparmiatori e investitori e permettendo di fronteggiare meglio gli shock economici). Arrivare a bilanci con un saldo "prossimo al pareggio o positivo", come richiesto dal Patto di stabilità e crescita (PSC), è un prerequisito essenziale per creare le condizioni che consentano di realizzare gli obiettivi del Consiglio europeo di Lisbona.

    Il risanamento dei bilanci è proseguito nel corso della terza fase dell'UEM nel quadro del PSC. I risultati del 2000 hanno superato le aspettative e il disavanzo delle amministrazioni pubbliche nel complesso dell'UE è sceso dallo 0,7% del PIL del 1999 allo 0,1%. Sebbene si tratti di risultati positivi, la riduzione del disavanzo è attribuibile in buona parte all'aumento delle entrate dovuto alla ripresa economica, piuttosto che alla diminuzione della spesa. Per i prossimi anni si prevede un'ulteriore, seppure lenta, riduzione dei disavanzi di bilancio. In base ai programmi di stabilità e convergenza, l'attuale disavanzo nell'area dell'euro dovrebbe ridursi fino a raggiungere quasi il pareggio per l'insieme dell'UE entro il 2003. Questo significa che l'obiettivo a medio termine del PSC è alla portata di tutti gli Stati membri.

    La realizzazione ed il mantenimento dell'obiettivo del PSC di bilanci con un saldo prossimo al pareggio o positivo determineranno una rapida riduzione dello stock del debito pubblico. La diminuzione degli interessi sul debito pubblico creerà così un margine che consentirebbe di operare una riduzione delle imposte e potrebbe parzialmente compensare l'aumento della spesa futura per le pensioni e l'assistenza sanitaria dovuto all'invecchiamento della popolazione. Inoltre, la diminuzione del debito pubblico renderebbe le finanze pubbliche meno vulnerabili di fronte alle variazioni dei tassi d'interesse, fatto che riveste un'importanza particolare soprattutto nel caso degli Stati membri con un rapporto debito/PIL superiore al 100%. In diversi Stati membri, inoltre, il rapporto debito/PIL è ancora vicino al valore di riferimento del 60%, ben al di sopra quindi dei livelli registrati in passato.

    Con il progressivo avvicinarsi dei vari paesi al pareggio di bilancio si potrebbe determinare un più ampio margine per un alleggerimento della pressione fiscale che, a sua volta, potrebbe contribuire notevolmente all'aumento del prodotto potenziale e dell'occupazione. Questo processo è già in corso. Per arrivare ad una riduzione permanente della pressione fiscale è tuttavia fondamentale trovare il giusto equilibrio tra riduzione delle imposte, investimenti nei servizi pubblici e sostegno al risanamento dei bilanci. Sarebbe infatti controproducente procedere ora a riduzioni delle imposte, salvo poi rendersi conto che esse non sono sostenibili nell'arco del ciclo economico o nel lungo termine e che un'eventuale recessione renderebbe necessaria un'inversione di tendenza.

    In una prospettiva più a lungo termine, gli Stati membri devono prepararsi alle implicazioni economiche e di bilancio dovute all'invecchiamento della popolazione. Come delineato nel capitolo 6, l'aumento della spesa per le pensioni pubbliche e per l'assistenza sanitaria legato all'invecchiamento della popolazione rappresenta, a lungo termine, un rischio notevole per la sostenibilità delle finanze pubbliche in molti Stati membri. Il concetto di finanze pubbliche sostenibili non è limitato alla capacità di finanziare l'accresciuta spesa legata all'evoluzione demografica senza provocare un aumento dei disavanzi e del debito pubblico. Esso include anche la necessità che i regimi pensionistici e i sistemi sanitari conducano ad un aumento dei tassi di occupazione come pure l'esigenza di una minore pressione fiscale in linea con gli obiettivi di Lisbona, di assicurare che non si produca uno spiazzamento di altre componenti fondamentali della spesa pubblica e di garantire l'equità, sia all'interno di una stessa generazione che tra generazioni. Per far fronte alle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sui bilanci pubblici è necessaria una strategia di riforma di ampia portata, che includa la riduzione del debito pubblico, riforme del mercato del lavoro volte ad aumentare l'occupazione e la riforma dei regimi pensionistici pubblici. Sembra esservi oggi la possibilità di procedere ad ulteriori riforme prima che si arrivi al pensionamento della generazione del baby-boom, a partire dal 2010.

    3.2. Le prospettive per il futuro e la risposta degli Stati membri

    Gli Indirizzi di massima per le politiche economiche del 2000 riconoscono le sfide a breve e medio termine individuate sopra in relazione alle finanze pubbliche, ed in particolare la necessità di procedere ad una ristrutturazione della spesa e ad un alleggerimento della pressione fiscale pur rafforzando l'impegno per il risanamento dei bilanci. La parte restante della presente sezione esamina se gli Stati membri sono sulla strada giusta per far fronte a questi impegni nei tempi previsti.

    Raggiungere l'obiettivo del PSC prima del termine fissato

    Ci si attende che gli Stati membri realizzino risultati migliori rispetto agli obiettivi fissati per il 2001 nei programmi di stabilità e convergenza. Le previsioni dell'autunno 2000 ipotizzano infatti per l'UE un bilancio in pareggio nel 2001, laddove gli aggiornamenti 1999/2000 dei programmi di stabilità e convergenza prevedevano un disavanzo dello 0,7% del PIL. Ciò non dovrebbe tuttavia indurre a concludere che gli Stati membri abbiano conseguito risultati migliori rispetto agli obiettivi del PSC. Infatti, se si considera che la situazione di partenza nel 1999 era migliore del previsto e che, sia nel 2000 che nel 2001, la crescita sarà superiore a quanto ipotizzato nei programmi, gli Stati membri dovrebbero in media essere in grado di superare gli obiettivi del PSC dello 0,9% del PIL senza la necessità di ulteriori aggiustamenti.

    Le previsioni d'autunno inducono pertanto a ritenere che in taluni Stati membri si sia avuto un rilassamento della politica di risanamento delle finanze pubbliche rispetto all'impegno 'effettivo' implicito nei loro programmi di stabilità e convergenza. Può essere quindi necessario un ulteriore sforzo di risanamento da parte degli Stati membri affinché vengano rispettati gli Indirizzi di massima per le politiche economiche che prevedono, qualora opportuno, un riequilibrio dei bilanci che vada oltre i requisiti minimi stabiliti dal Patto di stabilità e crescita.

    Le riduzioni delle imposte rispondono a criteri di prudenza e sostenibilità-

    Negli aggiornamenti 1999-2000 dei programmi di stabilità e convergenza, nonché in dichiarazioni specifiche in relazione ai progetti di bilancio per il 2001, gli Stati membri hanno delineato ulteriori piani per ridurre la pressione fiscale complessiva e riformare i loro sistemi fiscali (cfr. capitolo 4).

    La relazione della Commissione Le finanze pubbliche nell'UEM - 2000 ha individuato quattro criteri per stabilire se le riforme fiscali possono condurre ad una riduzione sostenibile della pressione fiscale mantenendo al tempo stesso l'impegno per la disciplina di bilancio. Si tratta dei seguenti criteri: 1) gli Stati membri devono rispettare l'obiettivo a medio termine di un saldo di bilancio 'prossimo al pareggio o positivo', o almeno registrare progressi in tal senso; 2) le riforme dovrebbero tenere conto della situazione congiunturale e non essere improntate ad un orientamento prociclico; 3) si devono prendere in considerazione il livello del debito pubblico e la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche; 4) le riduzioni delle imposte dovrebbero rientrare in un pacchetto di riforme di ampio respiro. Il rispetto di questi criteri contribuirebbe ad assicurare che le riforme fiscali abbiano ripercussioni durature e positive sulla crescita e l'occupazione.

    Il primo criterio implica che riduzioni fiscali non accompagnate da misure di compensazione sono possibili solo negli Stati membri che hanno già raggiunto l'obiettivo a medio termine di un saldo di bilancio 'prossimo al pareggio o positivo'. In caso contrario, le riduzioni delle imposte devono essere affiancate da riduzioni della spesa di valore equivalente o se possibile superiore, per poter continuare a fare passi avanti verso l'obiettivo del PSC. Sebbene notevoli progressi siano stati compiuti per quanto riguarda il rispetto della regola del saldo di bilancio 'prossimo al pareggio', taluni paesi hanno ancora molta strada da percorrere. In particolare, si prevede che nel 2001 i disavanzi depurati dagli effetti del ciclo rimangano ad un livello pari o superiore all'1% del PIL in sei Stati membri (D, F, I, A, P, EL).

    Il secondo criterio sottolinea l'importanza di evitare un indebito deterioramento strutturale delle finanze pubbliche che impedirebbe agli stabilizzatori automatici di attenuare le oscillazioni congiunturali. Come parametro di valutazione si possono prendere le variazioni registrate nel corso del ciclo dal saldo primario di bilancio depurato del ciclo. Tra il 2000 e il 2001 si prevede una riduzione dell'avanzo primario depurato del ciclo dal 3,5% al 3,1% nell'UE nel suo complesso. Questo dato potrebbe indurre a ritenere che vi sia un rilassamento della politica di bilancio in una fase in cui il differenziale tra prodotto effettivo e potenziale sta diventando positivo nella maggior parte degli Stati membri.

    Per evitare un simile allentamento prociclico, può rivelarsi necessario compensare le riduzioni delle imposte con corrispondenti riduzioni della spesa. Le situazioni economiche e di bilancio variano tuttavia da un paese all'altro e la portata, i tempi ed il ritmo di ulteriori aggiustamenti dovranno essere adattati alle specifiche realtà nazionali. Per i paesi che presentano disavanzi strutturali ed un elevato rapporto debito/PIL può essere necessario incentrare gli sforzi sul risanamento del bilancio, per altri Stati membri può essere invece più importante rimediare alla carenza di investimenti del settore pubblico. Ciascun paese deve determinare quale combinazione di investimenti nei servizi pubblici e di riforme fiscali risulterà più efficace per aumentare il prodotto potenziale e l'occupazione. È fondamentale trovare il giusto equilibrio, che tenga in debito conto la posizione nel ciclo economico e la situazione di partenza.

    Il terzo criterio richiede che si tenga conto del livello del debito pubblico e della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche. È chiaro che gli Stati membri con un debito vicino o superiore al 100% del PIL dovrebbero ritenere prioritaria la sua riduzione prima di prendere in considerazione significative diminuzioni delle imposte. Del resto, per gli Stati membri con livelli di debito pari o inferiori al valore di riferimento del 60%, l'accelerazione del ritmo di riduzione del debito potrebbe rientrare in una strategia globale di preparazione all'aumento dei costi legati all'invecchiamento della popolazione. Valutare le riduzioni delle imposte alla luce delle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione per i bilanci pubblici non è un'operazione semplice. Le stime disponibili (cfr. capitolo 6) mostrano che, ad eccezione di alcuni paesi, l'invecchiamento della popolazione potrebbe determinare un sensibile aumento della spesa pubblica. La fiducia nella sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche sarà compromessa se le riforme fiscali già annunciate non saranno accompagnate da un'analoga determinazione nell'affrontare gli squilibri strutturali relativi al finanziamento delle pensioni e dell'assistenza sanitaria.

    Il quarto criterio invita ad inserire le riforme fiscali in un pacchetto di riforme di più ampia portata. Le riduzioni delle imposte dovrebbero, ad esempio, essere indirizzate in prevalenza ai settori in cui producono effetti positivi sul piano dell'offerta ed essere accompagnate da riforme dei sistemi previdenziali per poter incentivare maggiormente l'occupazione e l'attività imprenditoriale.

    Valutazione generale

    Il recente andamento dei bilanci mostra chiaramente che l'UE è sulla strada giusta. L'obiettivo del PSC di un saldo di bilancio "prossimo al pareggio o positivo" sembra essere realizzabile e il debito pubblico continua a diminuire in maniera costante. Al tempo stesso, si stanno introducendo riforme per alleggerire la pressione fiscale rispetto ai suoi livelli attuali, vicini ai massimi storici. Tuttavia, taluni Stati membri devono compiere ulteriori progressi al fine di rispettare l'obiettivo del PSC di un saldo di bilancio "prossimo al pareggio", vi è il rischio di un orientamento fiscale prociclico ed il debito pubblico continua a restare a livelli elevati. Nel complesso, sulla base di quattro criteri obiettivi, anche negli Stati membri in cui le riduzioni delle imposte sono più opportune, sembra necessario accompagnarle con riduzioni della spesa pubblica. L'esperienza passata ha dimostrato che affinché le riduzioni delle imposte siano permanenti (e non vi sia quindi la necessità di un'inversione di tendenza in caso di rallentamento dell'economia), esse devono essere accompagnate da riforme della spesa che affrontino direttamente i problemi alla base dell'elevata pressione fiscale. Dopo aver dimostrato la capacità di procedere al risanamento dei loro bilanci in vista della realizzazione dell'UEM, in un contesto economico tutt'altro che favorevole, gli Stati membri devono ora dimostrare la loro immutata volontà di perseguire una politica di bilancio responsabile anche durante una fase economica positiva.

    4. Verso sistemi fiscali e previdenziali più favorevoli all'occupazione

    4.1. La struttura dei sistemi fiscali e previdenziali nell'UE

    L'interazione tra i sistemi fiscali e previdenziali ed il mercato del lavoro

    La ricerca di politiche in grado di migliorare il funzionamento del mercato del lavoro e l'attuale dibattito sulla revisione dello Stato sociale in Europa sono tra loro collegati. Il legame è costituito dalle ripercussioni sul comportamento dei soggetti economici degli effetti - incentivo dei sistemi fiscali e previdenziali. A livello politico è diffusa la convinzione che ridurre gli effetti disincentivanti dei sistemi fiscali e previdenziali sia della massima importanza per risolvere il problema dell'elevata disoccupazione strutturale. Si avverte l'esigenza di un migliore equilibrio tra gli obiettivi di equità e quelli di efficienza di tali sistemi. Nell'ambito dei primi rientra l'esigenza di assicurare, attraverso meccanismi di ridistribuzione finanziati con le imposte, un reddito adeguato per evitare il fenomeno dei "lavoratori poveri", nonché di ridurre le disuguaglianze dei redditi. I secondi si riferiscono alla necessità di incrementare gli incentivi volti a far sì che lavorare convenga.

    Le ripercussioni dei sistemi fiscali e previdenziali sull'offerta di lavoro si manifestano in particolare attraverso due canali. Un primo canale é rappresentato dal livello dei sussidi rispetto al reddito da lavoro, fattore che può influenzare la decisione di partecipare al mercato del lavoro e far scattare la cosiddetta "trappola della disoccupazione". Il secondo é legato all'aumento del reddito disponibile (tenuto conto dell'effetto combinato della maggiore imposizione fiscale e della soppressione di sussidi legati al reddito) a seguito di un incremento del reddito da lavoro, nonché il suo impatto sull'impegno lavorativo o sulle ore lavorate (la cosiddetta "trappola della povertà").

    Per quanto riguarda l'offerta, è difficile fornire una previsione esatta circa la portata e la direzione della reazione dell'offerta di lavoro in risposta alle variazioni delle imposte. Vi sono tuttavia prove sufficienti del fatto che le variazioni del livello impositivo sono importanti per determinati gruppi di persone, in particolare coppie in cui un coniuge non lavora (di solito le donne sposate), famiglie monoparentali e lavoratori poco qualificati.

    Per quanto concerne la domanda, le politiche fiscali che aumentano il costo del lavoro per i datori di lavoro tendono a diminuire la redditività e la competitività, riducendo in tal modo la domanda di lavoro e l'occupazione. Inoltre, le politiche fiscali che riducono i prezzi degli altri fattori produttivi diversi dal lavoro tendono a modificare l'intensità relativa di tali fattori a discapito del lavoro stesso. Ciò vale in particolare per la manodopera meno qualificata, per la quale il grado di sostituzione con il capitale è più elevato che per i lavoratori specializzati. Per tale ragione un'attenzione particolare va riservata al grado di imposizione fiscale sui lavoratori meno qualificati. Essi rappresentano infatti il segmento del mercato del lavoro maggiormente esposto al rischio delle trappole della "povertà" o della "disoccupazione" quando lavorare non conviene, nonché quello per il quale la domanda è più sensibile al costo.

    Panoramica dei sistemi fiscali e previdenziali

    Sulla base delle aliquote fiscali implicite [5] sul lavoro dipendente, negli ultimi trent'anni la pressione fiscale complessiva sul lavoro nell'UE ha registrato un aumento costante. Nel 1970, i contributi sociali e le imposte sul reddito delle persone fisiche rappresentavano poco meno del 30% del costo totale del lavoro. Dieci anni dopo, nel 1980, tale valore era pari al 35% e ha raggiunto un picco di circa il 42% nel 1996-97. Da allora, la pressione fiscale media sul lavoro nell'UE è in diminuzione e il valore previsto per il 2002 è pari al 40% (cfr. grafico 4.1). La pressione fiscale è rappresentata per quasi tre quarti da contributi sociali (CS) [6]. Negli USA, la pressione fiscale sul lavoro è pari al 25% ed è ripartita equamente tra contributi sociali ed imposte sul reddito delle persone fisiche. All'interno dell'UE, le aliquote fiscali implicite sono significativamente superiori alla media in S, B, DK, D e F, mentre aliquote piuttosto basse si registrano in IRL e UK.

    [5] L'aliquota fiscale implicita è data dal rapporto tra imposte sul lavoro dipendente (imposte sul reddito da lavoro delle persone fisiche e contributi sociali) e costo totale del lavoro.

    [6] In Europa, i contributi sociali sono determinati principalmente da principi assicurativi, in quanto generano diritti a prestazioni assicurative e previdenziali individuali. In alcuni paesi industrializzati, come gli USA, l'assicurazione sociale è in parte finanziata su base privatistica.

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Grafico 4.1. Aliquote fiscali implicite sul lavoro dipendente nell'UE e negli USA, 1980-2002

    Fonte: servizi della Commissione

    Anche la pressione fiscale sul lavoro scarsamente retribuito, una causa importante della disoccupazione dei lavoratori meno qualificati, è decisamente più elevata nell'UE che negli USA (cfr. Tabella 4.1). Solo in IRL, L e UK le aliquote fiscali medie sui salari bassi e medi sono simili o inferiori a quelle degli USA. In A, B, DK, D, FIN, F, I e S, i contributi sociali e le imposte sul reddito delle persone fisiche rappresentano il 40% o più del costo di un singolo lavoratore senza figli che percepisca il 67% del salario medio (SM). La maggior parte di questa elevata pressione fiscale sul lavoro scarsamente retribuito è determinata dai contributi sociali, mentre la parte imputabile alle imposte sul reddito delle persone fisiche è relativamente bassa.

    Tabella 4.1. La pressione fiscale sui salari bassi e medi

    (Imposte sui redditi e contributi sociali nel 1999 in percentuale sul costo del lavoro)

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Dal punto di vista degli incentivi volti ad aumentare l'offerta di lavoro, ed in particolare al fine di valutare i rischi della "trappola della povertà", le aliquote fiscali marginali [7] sono più importanti delle aliquote medie. Nel periodo 1997-99, la maggior parte degli Stati membri (ad eccezione di D, L e S) sono riusciti a ridurre le aliquote fiscali marginali sulle retribuzioni basse e medie. La riduzione maggiore si è avuta in E, IRL e NL. Ciò nonostante le aliquote marginali, comprese tra il 40% e il 50%, rimangono elevate e lo sono ancora di più in B, D, DK, FIN, NL. Nella maggioranza degli Stati membri, tuttavia, l'aliquota fiscale marginale è inferiore a quella degli USA.

    [7] L'OCSE calcola l'aliquota fiscale marginale come la maggiorazione delle imposte sul reddito delle persone fisiche e dei contributi sociali a carico del lavoratore in caso di aumento del salario lordo. Si tratta di un'aliquota marginale combinata (esplicita e implicita), in quanto prende in considerazione la soppressione degli assegni familiari e dei crediti d'imposta commisurati al reddito. Per informazioni più dettagliate su questo ed altri punti discussi nel presente capitolo, cfr. comunicazione al CPE "Reforms in tax benefit systems in order to create employment incentives" ("Riforme dei sistemi fiscali e previdenziali al fine di creare incentivi per l'occupazione"), ECFIN/0590/00-EN.

    Le distorsioni determinate dalle imposte dipendono in gran parte dalla loro interazione con i sistemi previdenziali. In molti paesi gli assegni familiari ed altri sussidi sono calcolati in relazione al reddito dei beneficiari. Pertanto, con l'aumento del reddito, i sussidi vengono gradualmente ridotti, il che equivale ad un'imposta addizionale che può far aumentare l'aliquota marginale a livelli estremamente elevati, scoraggiando in tal modo qualsiasi sforzo per lavorare di più.

    Per quanto concerne la spesa pubblica complessiva per la previdenza sociale, questa è diminuita in percentuale del PIL nella maggior parte degli Stati membri dal 1993, prevalentemente per via della contrazione della quota dei sussidi destinati alla popolazione in età lavorativa. Tale riduzione della spesa previdenziale può essere attribuita ad una serie di fattori, tra cui la normale evoluzione congiunturale della crescita economica e della disoccupazione e, in misura minore, le riforme dei sistemi previdenziali.

    Nel 1997, i trasferimenti totali sono ammontati a circa il 19% del PIL nell'UE nel suo complesso. Solo nei paesi con un livello di reddito più basso (EL, E, IRL, P) la quota dei trasferimenti complessivi in percentuale del PIL era sensibilmente inferiore alla media (cfr. tabella 4.2). Nel complesso, un quarto dei trasferimenti sociali è destinato a persone in età lavorativa, sotto forma di sussidi di invalidità, disoccupazione e assistenza sociale. Di queste tre voci, la terza è relativamente marginale. I sussidi di disoccupazione rappresentano più del 3% del PIL in B, DK, NL e FIN. Solo in NL e FIN i sussidi per invalidità sono superiori al 3% del PIL.

    Tabella 4.2. Trasferimenti sociali nell'UE, 1993-1997 (% PIL)

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Il livello e la durata dei sussidi di disoccupazione in relazione al reddito influiscono notevolmente sulla disponibilità ad accettare un impiego qualora chi è alla ricerca di un'occupazione abbia una possibilità di scelta. In taluni paesi (cfr. tabella 4.3) i tassi di sostituzione netti [8] per i lavoratori scarsamente retribuiti sono relativamente elevati e questo può far scattare la cosiddetta "trappola della disoccupazione" [9]. Nel caso di famiglie con figli, il reddito di un disoccupato nel primo mese è pari o superiore all'80% del reddito da lavoro in otto paesi (DK, FIN, NL, S, L, P, F e UK). Il tasso di sostituzione netto dopo cinque anni di disoccupazione rimane prossimo a quello del primo mese. In alcuni paesi (FIN, NL, S, L, UK e I), è addirittura superiore a quello del primo mese e solo in EL (e F) è decisamente inferiore. Per i lavoratori single, i tassi di sostituzione netti sono un po' più bassi rispetto a quelli per le famiglie con figli e tendono a diminuire più rapidamente con il protrarsi della disoccupazione.

    [8] Il tasso di sostituzione netto evidenzia il rapporto esistente tra il reddito di un lavoratore e il reddito di un disoccupato, tenendo conto dell'impatto delle prestazioni concesse in funzione del reddito e delle imposte pagate in ciascuna delle due condizioni. Esso viene dato dal rapporto tra reddito disponibile derivante da prestazioni sociali in caso di disoccupazione e reddito disponibile da lavoro.

    [9] Andrebbe ricordato che anche i costi legati ad un impiego (ad esempio le spese di trasporto o quelle per accudire i bambini) ed altri fattori, non inclusi nei tassi di sostituzione, riducono il salario netto e diminuiscono ulteriormente l'interesse ad accettare un lavoro.

    Gli incentivi economici ad accettare lavori scarsamente retribuiti o a tempo parziale sono piuttosto bassi nella maggior parte dei paesi. Nel 1997, la parte del reddito marginale assorbita dalle imposte quando un disoccupato cessava di percepire il relativo sussidio avendo accettato un lavoro a tempo parziale (40% dell'impegno lavorativo) era particolarmente elevata nella maggior parte dei paesi: più del 100% in metà dei paesi (L, P, A, FIN, D, B, EL) e 80-90% in quelli rimanenti (ad eccezione della Francia: 70%). Inoltre, gli effetti dei sistemi fiscali e previdenziali sul reddito di una famiglia dipendono dalle caratteristiche della famiglia stessa. Nella maggior parte dei paesi gli incentivi ad accettare un impiego per il secondo coniuge erano maggiori quando l'altro aveva già un impiego anziché percepire un sussidio di disoccupazione. Tuttavia, anche quando vi è già un membro della famiglia che lavora, le imposte assorbono circa il 50% dell'incremento di reddito della famiglia (B, DK e D).

    Tabella 4.3 Tassi di sostituzione netti dei disoccupati ad un livello salariale basso (67% del salario medio) nel 1997

    >SPAZIO PER TABELLA>

    4.2. Le prospettive per il futuro e la risposta degli Stati membri

    Raccomandazioni comunitarie

    Il problema della disoccupazione figura tra le priorità dell'agenda politica dell'UE già dall'adozione del Libro bianco su crescita, competitività e occupazione, nel 1993. Fin dal 1998, gli Indirizzi di massima per le politiche economiche esortano gli Stati membri a i) rivedere e adeguare i sistemi fiscali e previdenziali al fine di assicurare che essi sostengano attivamente la creazione di occupazione e ii) ridurre la pressione fiscale complessiva, ed in particolare quella sui bassi salari, continuando nel contempo il processo di risanamento dei bilanci, ad esempio attraverso una riduzione della spesa o uno spostamento dell'imposizione verso imposte ambientali, sull'energia o sui consumi. Queste raccomandazioni sono state incluse, dal 1998, anche negli orientamenti per l'occupazione, in particolare negli orientamenti 4 e 14. Anche la comunicazione Una strategia concertata per modernizzare la protezione sociale invita ad introdurre riforme volte a "rendere il lavoro conveniente".

    Tali raccomandazioni sono state ritenute necessarie per le ragioni seguenti:

    * il finanziamento di un'accresciuta spesa pubblica, ivi compresi quella previdenziale, hanno contribuito a rendere eccessiva la pressione fiscale, in particolare sul lavoro e quindi in ultima analisi a frenare la crescita e l'occupazione;

    * il livello notevolmente inferiore della pressione fiscale e dei contributi sociali in altri paesi, come gli USA (che riflette una spesa pubblica inferiore in percentuale del PIL e un aumento della spesa privata a fini previdenziali);

    * l'introduzione, in altri paesi, di riforme fiscali analoghe, che hanno innescato una concorrenza fiscale sia all'interno che all'esterno dell'UE;

    * lo spostamento della domanda e dell'offerta di lavoro verso l'economia sommersa, ad esempio, al fine di evitare la notevole pressione dovuta ad imposte e contributi sociali elevati;

    * la crescente consapevolezza del fatto che i sistemi fiscali e previdenziali dell'UE sembrano ridurre gli incentivi a lavorare per i soggetti con un basso potenziale di guadagno.

    In particolare quest'ultimo fattore, nonché il generale riconoscimento della necessità di far sì che "lavorare convenga", spiegano perché una delle caratteristiche delle riforme è stata (e dovrebbe continuare ad essere anche in futuro) la riduzione dell'imposizione sul lavoro, specialmente su quello meno qualificato. Si avverte inoltre sempre più l'esigenza, almeno nell'immediato futuro, di incentrare maggiormente le riforme fiscali sull'incentivazione di risposte positive in termini di offerta di lavoro; alla luce dell'invecchiamento della popolazione è infatti necessario un incremento sostanziale dei tassi di partecipazione e di occupazione. Al fine di evitare indebite distorsioni nei mercati dei prodotti e in particolare nel funzionamento del mercato interno, tali riforme devono essere attuate in conformità della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato.

    La riduzione della pressione fiscale sia sul capitale che sul lavoro dovrebbe aumentare l'accumulazione di capitale fisico e di risorse umane, incrementare la partecipazione alla forza lavoro e incentivare la domanda di lavoro. Le riduzioni generalizzate delle imposte sul reddito delle persone fisiche possono contribuire alla moderazione salariale diminuendo il cuneo fiscale sul lavoro. Inoltre, in numerosi Stati membri, le riforme volte a ridurre la progressività delle imposte sul reddito possono aumentare gli incentivi a partecipare al mercato del lavoro ai livelli più alti di reddito familiare. Questo potrebbe avere ripercussioni in particolare su quei lavoratori altamente qualificati la cui attività costituisce la seconda fonte di entrate in una famiglia - nella maggior parte dei casi, le donne. D'altro canto, le riduzioni delle imposte sulle retribuzioni più basse attenueranno i rischi delle trappole della disoccupazione e della povertà e determineranno effetti positivi sulla domanda di lavoratori a bassa produttività a condizione che tali riduzioni delle imposte siano effettivamente trasferite alle imprese. Inoltre, aumentando la retribuzione netta, la diminuzione delle imposte sul lavoro contribuirà a far sì che lavorare convenga.

    Per illustrare gli effetti potenziali di differenti riforme dei sistemi fiscali e previdenziali sull'economia, la relazione Finanze pubbliche nell'UEM - 2000 presentava una serie di simulazioni relative all'UE che utilizzavano il modello QUEST dei servizi della Commissione. Queste simulazioni sono riassunte nel riquadro 1. Nel complesso, le riduzioni delle imposte possono avere ripercussioni apprezzabili sulla produzione, gli investimenti e l'occupazione. Affinché abbiano un carattere duraturo, tuttavia, tali riduzioni devono essere accompagnate da riforme della spesa in grado di compensarle. È altresì importante che le riduzioni delle imposte siano inserite nell'ambito di riforme economiche di ampia portata per incrementare gli effetti positivi dello spostamento della pressione fiscale dal lavoro ad altre basi imponibili.

    Simulazione degli effetti a lungo termine delle riforme fiscali su PIL, occupazione e investimenti

    Secondo le analisi presentate nella relazione Finanze pubbliche nell'UEM - 2000, gli effetti delle riduzioni delle imposte dipendono dal fatto che queste siano o meno accompagnate da tagli alla spesa (cfr. tabella 4.4). Una riduzione delle imposte compensata integralmente da una riduzione della spesa pubblica può avere ripercussioni economiche positive a lungo termine. A seconda del tipo di riforma fiscale, una riduzione delle imposte dell'ordine dell'1% del PIL potrebbe determinare un aumento del PIL compreso tra lo 0,5% e lo 0,8% nell'arco di 10 anni. L'occupazione potrebbe aumentare dello 0,5%-1% e anche gli investimenti sarebbero stimolati. L'espansione economica porterebbe inoltre ad una riduzione del disavanzo pubblico pari a circa lo 0,5% del PIL dopo 10 anni. Una riduzione delle imposte non compensata da tagli alla spesa porterebbe invece ad un aumento del disavanzo di bilancio pari a circa lo 0,75% del PIL. Questo significa che le riforme fiscali possono autofinanziarsi solo per un quarto.

    Le ripercussioni sull'occupazione sarebbero maggiori se le riduzioni delle imposte fossero incentrate sul lavoro. Gli effetti a lungo termine sull'occupazione di una riduzione dell'1% del PIL della pressione fiscale sul reddito da lavoro compensata da una riduzione della spesa pubblica ammontano infatti all'1% (1,5 milioni di posti di lavoro), rispetto all'incremento dello 0,5% determinato da una riduzione generale delle imposte. Si tratta tuttavia di un risultato che va interpretato con cautela, in quanto dipende in misura notevole dal regime di sussidi ipotizzato. Nel complesso, gli effetti sull'occupazione sono maggiori quando il salario di riserva è costante in termini reali che non quando i sussidi di disoccupazione sono legati ai salari netti. Nel primo caso, la riduzione delle imposte è in parte trasferita alle imprese sotto forma di minori costi salariali. Di conseguenza, si registra un aumento dell'occupazione senza che vi sia una riduzione dei salari netti.

    Un'altra strategia per ridurre l'imposizione sul lavoro, in linea con gli orientamenti per l'occupazione, è uno spostamento dall'imposizione sul reddito da lavoro alle imposte indirette, come le imposte sui consumi, sull'energia e sulle attività inquinanti [10]. Le imposte sui consumi producono distorsioni minori rispetto alle imposte sul reddito da lavoro, in quanto colpiscono tutti i fattori produttivi e non solo il lavoro. Nel caso di un'imposta sui consumi di beni nocivi per l'ambiente, l'imposta contribuirà a ridurre una distorsione esistente. Gli effetti positivi non sono tuttavia immediati, poiché le ripercussioni di uno spostamento dell'imposizione dal lavoro ai consumi dipendono in misura notevole dal sistema previdenziale in vigore ed in particolare dalle politiche di accompagnamento nei confronti dei beneficiari di trasferimenti sociali e di sussidi di disoccupazione. Nel complesso, la questione fondamentale è se lo spostamento dell'imposizione è trasferito alle imprese e determina quindi una riduzione dei salari lordi. Questo elemento dipende a sua volta dal fatto che i sussidi vengano o meno adeguati per compensare l'impatto delle imposte sul valore aggiunto sui prezzi al consumo. Una riduzione delle imposte sul lavoro pari all'1% del PIL accompagnata da un aumento delle imposte sul valore aggiunto determinerebbe, a lungo termine, un aumento dell'occupazione pari a quasi lo 0,7% se i beneficiari dei trasferimenti non ricevono compensazioni per la perdita di reddito subita. Se tuttavia i beneficiari dei trasferimenti venissero compensati integralmente per gli aumenti delle imposte sul valore aggiunto, gli effetti sull'occupazione sarebbero dimezzati.

    [10] Si ritiene talvolta che uno spostamento dell'imposizione dal lavoro all'energia determini un "doppio beneficio", riducendo contemporaneamente l'inquinamento e la disoccupazione. Lo spostamento dell'imposizione verso i consumi dovrebbe produrre effetti positivi sull'occupazione.

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Le principali caratteristiche delle riforme fiscali negli Stati membri

    Negli aggiornamenti dei programmi di stabilità e convergenza, nei Piani di azione nazionali per l'occupazione, nonché in dichiarazioni più recenti relative ai progetti di bilancio per il 2001, gli Stati membri hanno ribadito la loro intenzione di ridurre la pressione fiscale complessiva e di riformare i loro sistemi fiscali. Queste proposte, insieme ad una serie di riforme già attuate negli ultimi tre anni, sono riassunte nell'allegato A. Sebbene le riforme si differenzino quanto a portata e profondità, la maggior parte degli Stati membri stanno riducendo la pressione fiscale complessiva prevalentemente alleggerendo l'imposizione diretta sul reddito delle persone fisiche e su quello delle società. Ciò nonostante, negli ultimi anni, diversi paesi hanno anche ridotto i contributi sociali.

    Dall'allegato A sembra che la tendenza generale delle politiche fiscali nell'UE vada verso una riduzione della pressione fiscale sul lavoro. Iniziative per una riduzione delle imposte sul reddito delle persone fisiche (riduzione delle aliquote marginali, aumento sia degli assegni familiari che del reddito minimo esente) e riduzioni dei contributi sociali, sia a carico dei datori di lavoro che dei lavoratori, sono già state introdotte nella maggior parte degli Stati membri ed annunciate in altri. In alcuni casi le misure di riduzione delle imposte hanno chiaramente carattere generale (D, ES, F, I, NL). Molte di queste consistono in una diminuzione delle aliquote fiscali marginali applicabili al vertice e alla base della scala retributiva (D, IRL), o talvolta a tutti gli scaglioni di reddito (NL, F, L, ES, ES, FIN, S, I). Le riforme prevedono inoltre un aumento degli assegni familiari e soglie di esenzione più elevate per le imposte sul reddito (UK, I, ES), affinché meno lavoratori salariati siano soggetti all'imposizione fiscale. In certi casi (UK, NL) gli assegni familiari sono stati trasformati in crediti d'imposta. In altri Stati membri, le misure di riduzione delle imposte sembrano essere più orientate ad un alleggerimento della pressione fiscale sui redditi medio-bassi (B, DK, EL, A, IRL e UK).

    Nella maggior parte degli Stati membri, le riduzioni dei contributi sociali sono dirette più a beneficio dei datori di lavoro che dei lavoratori (B, EL, ES, F, IRL, I, NL, FIN). Alcuni Stati membri stanno concedendo sgravi fiscali ai datori di lavoro che creano occupazione (I, P, EL), o più in particolare, che assumono giovani (B), disoccupati di lunga durata o lavoratori della fascia retributiva più bassa (FIN, NL, S). Nel Regno Unito vengono concessi sussidi ai datori di lavoro che assumono giovani in precedenza disoccupati.

    Le riforme delle imposte sul reddito delle persone fisiche contribuiscono ad alleggerire anche la pressione sul capitale, sebbene in misura minore rispetto a quella sul lavoro, poiché le imposte sul reddito delle persone fisiche gravano anche sui redditi da capitale. Inoltre, le misure messe in atto da numerosi Stati membri riguardano anche gli utili societari. Nella maggior parte degli Stati membri, la riduzione delle imposte sul capitale viene realizzata attraverso una diminuzione delle imposte sulle società e sulle plusvalenze [11]. In altri paesi, le riforme sono più limitate e sono rivolte perlopiù a migliorare il funzionamento dei mercati dei capitali e a creare incentivi in favore del capitale di rischio e degli investimenti immateriali.

    [11] Vale tuttavia la pena di ricordare che quest'anno la FIN ha aumentato le imposte sulle società.

    Sotto la crescente pressione della liberalizzazione dei mercati dei beni, dei servizi e dei capitali, gli Stati membri si trovano a far fronte ad una concorrenza fiscale sempre maggiore. Sebbene migliorare il funzionamento dei mercati dei capitali sembri essere uno degli obiettivi principali delle riforme, è possibile che anche la concorrenza fiscale abbia contribuito alla riduzione delle imposte sul capitale. In mancanza di un coordinamento in materia fiscale a livello europeo, i vincoli determinati da questa concorrenza possono continuare a costituire, a medio termine, un ostacolo che impedisce di indirizzare le riforme fiscali negli Stati membri verso quei settori in cui produrrebbero gli effetti più positivi sulla crescita e l'occupazione. L'adozione del pacchetto di misure fiscali proposto in relazione alla tassazione del risparmio e delle imprese contribuirà ad ampliare la base imponibile e consentirà riduzioni future delle aliquote d'imposta.

    Per quanto concerne le imposte indirette, le misure finora annunciate sono state piuttosto isolate. A prescindere da I e NL, dove sono stati annunciati aumenti generali delle aliquote IVA, in altri Stati membri le modifiche delle imposte indirette riguardano solo una parte modesta della base imponibile complessiva (ad esempio, una riduzione dell'IVA su taluni settori ad elevata intensità di lavoro). Pertanto, lo spostamento dell'imposizione dal lavoro ad altre basi imponibili, come i consumi, è stato un fenomeno molto limitato.

    Le principali caratteristiche delle riforme dei sistemi previdenziali negli Stati membri

    Le più recenti riforme dei sistemi previdenziali vengono presentate nell'allegato B. Per quanto concerne i regimi relativi ai sussidi di disoccupazione, le riforme hanno riguardato in particolare il controllo dei requisiti di ammissibilità ed il miglioramento della gestione dei sistemi previdenziali. Nessun paese ha recentemente proceduto a riduzioni dei livelli o della durata delle prestazioni previdenziali (un'eccezione è costituita dalla DK, dove la durata delle prestazioni continua pur sempre ad essere una delle più lunghe). Si è registrata inoltre una tendenza ad incrementare le prestazioni durante l'attività lavorativa o quelle legate all'occupazione, come sussidi salariali mirati, crediti d'imposta e/o trasferimenti di prestazioni ai datori di lavoro che assumano disoccupati. Queste riforme sembrano andare nel senso di programmi attivi sul mercato del lavoro. Tuttavia esse consistevano perlopiù in prestazioni supplementari concesse ai disoccupati che avessero deciso di accettare un lavoro o di partecipare ad un programma di formazione professionale. Tra le misure in questione figurano la possibilità che i lavoratori mantengano i sussidi di disoccupazione durante la formazione, piani per la reintegrazione nel mondo del lavoro ed il trasferimento delle prestazioni o la concessione di altri sussidi salariali al datore di lavoro che assuma un disoccupato (B, D, E, NL, P, FIN, S, UK). Taluni paesi (B, P, A, FIN) si sono inoltre impegnati ad incoraggiare il lavoro a tempo parziale come alternativa alla disoccupazione, soprattutto rendendo meno rigide le condizioni per beneficiare di sussidi di disoccupazione anche in caso di lavoro a tempo parziale.

    Sebbene si riscontri una certa tendenza a fare un maggiore ricorso alle prestazioni durante l'attività lavorativa o a quelle legate all'occupazione (B, F, IRL, UK), il passaggio da misure passive a misure attive è rimasto un fenomeno limitato. Le prestazioni "passive" continuano a rivestire una rilevante importanza ed in particolare non si è avuta un'introduzione su più vasta scala di sussidi durante l'attività lavorativa. Inoltre, molte riforme, in particolare quelle a favore dei disoccupati giovani e di lunga durata, sembrano offrire solo un aiuto temporaneo in termini di maggiori incentivi al lavoro. Resta da vedere se essi sono sufficienti a far sì che i soggetti in questione continuino a lavorare in maniera permanente, o quantomeno per un periodo significativamente superiore a quello durante il quale percepiscono le indennità supplementari.

    Dopo un lungo periodo durante il quale il prepensionamento rappresentava la norma, la maggior parte degli Stati membri (B, DK, D, F, I, NL, A, FIN, S, UK) ha deciso di introdurre riforme volte ad indurre i lavoratori più anziani a prolungare la loro attività lavorativa. Tra gli strumenti utilizzati a tal fine figurano anche l'inasprimento delle condizioni per l'ammissibilità alle prestazioni pensionistiche e misure volte a rendere il prepensionamento meno conveniente (B, DK, F, I).

    Nell'interpretare i cambiamenti descritti nell'allegato B, si deve tenere presente che la tabella non tiene conto delle situazioni di partenza dei vari paesi e di riforme meno direttamente legate al funzionamento del mercato del lavoro. Non è pertanto possibile trarre conclusioni univoche sui tentativi di riforma compiuti. Inoltre, l'attuazione di una strategia di riforma di ampio respiro richiede tempi lunghi ed i risultati sono visibili solo dopo un certo numero di anni. Le esperienze di alcuni Stati membri (ad esempio DK e NL) dimostrano che è possibile ridurre in maniera significativa la disoccupazione perseguendo una strategia di riforma a lungo termine.

    Valutazione generale

    Nel complesso, le riforme fiscali attuate negli ultimi tre anni costituiscono un passo avanti nella giusta direzione. Molti Stati membri hanno compiuto dei progressi rendendo i loro sistemi fiscali più favorevoli all'occupazione, alleggerendo la pressione fiscale sul lavoro e riducendo al tempo stesso le aliquote fiscali marginali. In numerosi Stati membri, le imposte sul lavoro rimangono tuttavia complessivamente molto elevate rispetto agli standard internazionali. Inoltre, non tutti gli Stati membri hanno profuso lo stesso impegno nelle riforme. Alcuni paesi hanno adottato un approccio di più ampio respiro, mentre in altri le riforme del sistema fiscale sono state meno sistematiche.

    Come dimostra il grafico 4.2, le riforme fiscali già attuate o programmate stanno riducendo la pressione fiscale sul lavoro nella maggior parte degli Stati membri. Sulla base delle previsioni della Commissione dell'autunno 2000, le aliquote fiscali implicite sul lavoro dipendente dovrebbero scendere di più di un punto percentuale nell'insieme dell'UE, nonché nell'area dell'euro. Riduzioni piuttosto sostanziali sono previste per D, IRL, L e NL [12]. Le riforme finora introdotte o annunciate riguardano in prevalenza le imposte dirette, che producono di norma gravi distorsioni.

    [12] Le modifiche riportate nel grafico dovrebbero essere interpretate con cautela, poiché è possibile che esse non riflettano semplicemente cambiamenti strutturali nella pressione fiscale sul lavoro, dovuti alle riforme fiscali, ma anche andamenti congiunturali indipendenti da tali riforme.

    Grafico 4.2. Modifiche delle aliquote fiscali implicite sul lavoro dipendente, 1998-2002 (SPA)

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: servizi della Commissione

    Per quanto concerne la pressione fiscale sui bassi salari, è già possibile osservare i primi effetti delle riforme sul suo andamento tra il 1997 ed il 1999 (grafico 4.3). Ad eccezione di B e NL, dove le imposte sulle retribuzioni medie e basse sono leggermente aumentate, si è avuto un alleggerimento della pressione fiscale un po' ovunque nell'UE. Particolarmente significative sono state le riduzioni osservate in IRL, I e E. Si prevedono inoltre ulteriori riduzioni, incentrate sui salari più bassi, a seguito delle più recenti misure di diminuzione delle imposte, specialmente in Francia, Germania, Italia e nei Paesi Bassi. Nel complesso, si può ancora affermare che nella maggior parte dei paesi le riduzioni delle imposte sul lavoro sono state più di carattere generale che mirate.

    Per quanto riguarda i sistemi previdenziali, gli sforzi volti ad aumentare gli incentivi al lavoro sono stati finora incentrati più sulle condizioni di ammissibilità alle prestazioni che sui tassi di sostituzione netti, per i quali le variazioni sono state relativamente contenute e non sembravano essere il frutto di interventi mirati. Nella maggior parte dei paesi i disoccupati hanno ancora pochi incentivi economici ad accettare un lavoro scarsamente retribuito. Si è registrata una certa tendenza ad incrementare le prestazioni legate all'occupazione, sostenendo in tal modo i programmi attivi sul mercato del lavoro. Come evidenziato nella relazione congiunta sull'occupazione è stata posta una maggiore enfasi sulle politiche del lavoro attive, tuttavia, gli sforzi intesi a spostare l'accento dalle politiche passive a quelle attive devono essere accelerati, potenziati e intensificati.

    Grafico 4.3. Variazioni delle aliquote fiscali medie sui salari più bassi, 1997-1999

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: OCSE, La tassazione dei salari 1998-1999

    5. Le finanze pubbliche al servizio dell'economia basata sulla conoscenza

    5.1. Confronto della struttura della spesa delle amministrazioni pubbliche degli Stati membri

    Differenze notevoli nella struttura della spesa pubblica degli Stati membri

    La spesa pubblica degli Stati membri assorbe una quota variabile tra il 40% e il 50% del loro PIL. L'incidenza totale della spesa pubblica sul PIL varia considerevolmente da uno Stato membro all'altro, dal 50% in B, DK, F, A e S a meno del 40% in IRL e UK. Negli Stati Uniti, tuttavia, le dimensioni del settore pubblico, che pesa per il 31% sul PIL, sono nettamente inferiori che negli Stati membri dell'Unione.

    Nella maggior parte degli Stati membri la spesa per consumi delle amministrazioni pubbliche rappresenta quasi la metà del totale della spesa pubblica, mentre le prestazioni sociali assorbono circa un quarto delle uscite (si veda il grafico 5.1). I vari paesi presentano differenze significative nelle rispettive quote di investimenti pubblici e di spese per interessi. L'incidenza degli investimenti pubblici sulla spesa complessiva si colloca ai livelli più elevati in EL, E, IRL, P e L. La quota degli interessi sul debito sul totale della spesa delle amministrazioni pubbliche è relativamente elevata in B, IRL e EL.

    Grafico 5.1 La struttura della spesa delle amministrazioni pubbliche per il 2000

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: i servizi della Commissione

    Tra il 1970 e il 2000 quasi ogni singola componente della spesa pubblica ha subito un incremento rispetto al PIL (si veda il grafico 5.2), ad eccezione degli investimenti pubblici. In molti paesi quasi la metà dell'aumento complessivo della spesa pubblica, registrato tra il 1970 e il 2000, si deve al pagamento degli interessi sul debito e ai trasferimenti sociali.

    Grafico 5.2. Evoluzione delle componenti della spesa delle amministrazioni pubbliche nel periodo 1970-2000 (% del PIL)

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: i servizi della Commissione

    Le difficoltà connesse al confronto della spesa pubblica degli Stati membri

    Il Consiglio europeo di Lisbona ha dato particolare risalto alle componenti della spesa pubblica che forniscono un più diretto contributo alla crescita e all'occupazione, in particolare quelle componenti che fanno da sostegno all'obiettivo strategico di incentivare l'economia basata sulla conoscenza. Il Consiglio europeo ha chiesto che si appuri, in base a dati e indicatori comparabili, se siano state prese misure concrete per riorientare la spesa pubblica al fine di accrescere l'importanza relativa dell'accumulazione di capitale - sia fisico che umano - e sostenere la ricerca e lo sviluppo, l'innovazione e le tecnologie dell'informazione.

    La restante parte del presente capitolo sarà pertanto dedicata all'esame degli sforzi degli Stati membri diretti a riorientare la spesa pubblica a favore dell'accumulazione di capitale, sia fisico che umano, nonché della ricerca e dello sviluppo, dell'innovazione e delle tecnologie dell'informazione. Il dibattito in corso sulla cosiddetta "nuova economia" rende tale esame quanto mai opportuno.

    La presentazione segue modalità analoghe a quella seguite negli altri capitoli della presente comunicazione. Ogni sezione si apre con l'illustrazione di alcuni fatti stilizzati attinenti alle pertinenti voci della spesa pubblica. Dove possibile, viene data una valutazione dell'impatto della spesa e viene indicato se sono state adottate misure per riorientare le risorse verso le aree prioritarie in oggetto.

    Tuttavia, il confronto tra i singoli paesi presenta notevoli difficoltà che impongono una doverosa cautela nell'interpretazione dei dati. Diversamente da quanto avviene per altri capitoli della presente comunicazione, si riscontra in quest'ambito un'acuta carenza di dati aggiornati sia in merito alle risorse pubbliche impiegate (vale a dire una comparabile classificazione funzionale della spesa) che in merito agli effetti prodotti (l'efficienza e i benefici economici delle spese attivate). Pari difficoltà si è riscontrata nell'ottenere informazioni dettagliate sulle recenti misure avviate dagli Stati membri. Di conseguenza la Commissione non è in grado, per il momento, di soddisfare appieno la richiesta del Consiglio europeo di Lisbona e un ulteriore lavoro di analisi si renderà necessario in futuro.

    Il confronto della spesa pubblica dovrebbe altresì tener conto delle diversità istituzionali tra i paesi, ivi compresa la ripartizione dell'accumulazione totale dei fattori tra il settore pubblico e quello privato. In ultima analisi, fattore decisivo ai fini della crescita è l'accumulazione totale e non l'accumulazione pubblica considerata isolatamente. Per quanto riguarda gli incentivi a favore della "nuova economia", la capacità di predisporre un'adeguata struttura d'incentivazione degli operatori privati riveste un'importanza quanto meno altrettanto grande di quella dell'intervento diretto del settore pubblico [13]. A tale riguardo la spesa pubblica attuata in forma di aiuti di Stato deve essere sottoposta ad un attento controllo per evitare che gli aiuti ritardino la necessaria ristrutturazione o proteggano le imprese dall'impatto dell'evoluzione dei mercati. Va altresì data opportuna considerazione alle differenze esistenti tra gli Stati membri per quanto attiene alle procedure di gara, agli appalti pubblici, all'outsourcing e ai sistemi fiscali. Purtroppo i dati attualmente disponibili non consentono un'analisi approfondita di tali fattori.

    [13] Ciò sembra applicarsi soprattutto agli investimenti in infrastrutture fisse di telecomunicazione. Queste infrastrutture sono finanziate o interamente da operatori privati o da imprese di cui lo Stato conserva in parte la proprietà ma i cui investimenti sono classificati non come pubblici bensì come privati. In particolare, tutti gli investimenti nelle infrastrutture mobili sono investimenti privati. Inoltre, le licenze per gli operatori mobili della terza generazione si sono rivelate una fonte di introito per le finanze pubbliche.

    Malgrado tali limitazioni, si impone uno sforzo maggiore per accrescere gli investimenti nelle infrastrutture fisiche necessarie per promuovere lo sviluppo della società dell'informazione. I governi devono inoltre attribuire un più elevato grado di priorità all'istruzione e alla formazione al fine di fornire ai cittadini europei le competenze necessarie nella società dell'informazione, incentivando allo stesso tempo il coinvolgimento del settore privato nelle attività di innovazione e ricerca e sviluppo.

    Questi sforzi devono essere compiuti nel quadro di sane politiche di bilancio in modo da mantenere l'andamento decrescente della pressione fiscale e consentire ai paesi di prepararsi all'invecchiamento della popolazione. Per conseguire gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo di Lisbona, gli sforzi diretti a favorire l'accumulazione di capitale devono prevedere una ristrutturazione della spesa piuttosto che un suo aumento generalizzato. Inoltre, la ristrutturazione della spesa pubblica dovrebbe essere accompagnata da riforme istituzionali e strutturali che consentano di ottimizzare la spesa delle pubbliche amministrazioni, di accrescere il ruolo dei meccanismi di mercato e di introdurre opportuni incentivi all'accumulazione di capitale fisico e umano da parte dei privati. Il maggior grado di progresso tecnico raggiunto negli Stati Uniti è dovuto in parte ai più ingenti sforzi nel settore della ricerca e sviluppo compiuti dalle imprese statunitensi. È necessario analizzare se i sistemi fiscali in vigore nella UE siano sufficientemente favorevoli agli investimenti in capitale immateriale, in maniera tale da consentire all'Europa di competere con gli Stati Uniti nel settore delle tecnologie avanzate.

    Sarà grazie ad una combinazione equilibrata di misure di ristrutturazione della spesa pubblica, di politiche fiscali e di riforme strutturali che l'UE potrà affrontare la sfida posta dal nuovo contesto economico, tecnologico e istituzionale.

    5.2. Capitale fisico (infrastrutture)

    Malgrado il consistente aumento della spesa pubblica complessiva verificatosi nel corso degli ultimi 40 anni, la quota degli investimenti pubblici in rapporto al PIL è scesa da un livello superiore al 4%, negli anni '60 e primi anni '70, a meno del 2% negli ultimi anni '90. Nel 2000 si prevede che tale quota tocchi il suo valore più basso all'1,8% del PIL. Secondo le stime della Commissione la quota degli investimenti pubblici sul PIL si attesterà intorno al 2½% entro il 2002.

    I dati aggregati dell'UE celano alcune importanti differenze tra gli Stati membri. Nel corso degli ultimi trent'anni gli investimenti pubblici sono aumentati in misura significativa in L, P e EL, mentre hanno fatto registrare un consistente calo in B, D, A, DK, S e UK. Diversa la situazione negli Stati Uniti, dove la quota è rimasta stabile e, con un valore del 3% del PIL, continua a mantenersi a livelli superiori alla media UE (grafico 5.3). In E, F, L, NL, P e EL, la quota degli investimenti pubblici in rapporto al PIL è a livelli paragonabili se non superiori a quelli degli Stati Uniti, mentre in B, D, A, DK e soprattutto in UK, gli investimenti pubblici rappresentano meno del 2% del PIL.

    Grafico 5.3. Quota degli investimenti pubblici in rapporto al PIL per il 2000.

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: Servizi della Commissione

    Secondo le previsioni della Commissione, nel quadriennio 1999-2002 gli investimenti pubblici registreranno una dinamica contenuta (grafico 5.4). Una significativa eccezione è rappresentata da L. Altri incrementi consistenti sono previsti per UK e per i tre paesi in fase di riallineamento, P, EL e E (con percentuali vicine al 4% del PIL). Per A, D e B si prevede un calo degli investimenti pubblici, sebbene di portata ridotta, fino a raggiungere livelli relativamente bassi. Una riduzione della quota degli investimenti pubblici in rapporto al PIL è prevista inoltre in FIN, S e IRL, paesi in cui comunque rimarrà superiore alla media UE. Sia nell'area dell'euro che nell'UE nel suo complesso, la quota degli investimenti pubblici in rapporto al PIL farà registrare un leggero aumento fino a portarsi, nel 2002, rispettivamente al 2,6% e al 2,4% del PIL.

    Grafico 5.4. Previsto andamento degli investimenti pubblici nel periodo 1999-2002

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Nell'analisi delle variazioni degli investimenti pubblici si impone tuttavia una certa cautela. I nuovi approcci più orientati al mercato, seguiti dai governi nelle loro decisioni di investimento, potrebbero falsare sempre più la rilevazione dei dati sugli investimenti pubblici. Tali approcci sono stati adottati al fine di conseguire una maggiore efficienza e una migliore allocazione delle risorse finanziarie e hanno determinato un più marcato ricorso ai meccanismi di mercato nelle attività pubbliche, la privatizzazione dei servizi a valenza commerciale e un più diretto coinvolgimento del settore privato nella produzione e nell'erogazione di servizi pubblici.

    I governi hanno compiuto sforzi per accrescere l'efficienza e il controllo di gestione, introducendo meccanismi di mercato nelle loro procedure interne. Tra i metodi adottati vanno citate la fatturazione interna, la fissazione di obiettivi di bilancio e la determinazione delle tariffe sulla base dei prezzi di mercato. Si tratta di metodi utilizzati non soltanto nelle imprese pubbliche bensì, in generale, nella gestione degli organismi pubblici. Il fatto che a volte i grandi progetti infrastrutturali vengano gestiti facendo ricorso ad imprese in parte o totalmente di proprietà dello Stato o operanti secondo criteri commerciali è anch'esso indice di un approccio più orientato al mercato.

    Ulteriori incrementi di efficienza potrebbero essere ottenuti grazie all'applicazione efficiente delle norme comunitarie sugli appalti pubblici in modo che si giunga alla creazione di mercati degli appalti pubblici competitivi e di dimensioni europee. Nonostante la crescente pressione esercitata sugli Stati membri affinché liberalizzino i loro mercati degli appalti pubblici, gli attuali ridotti livelli di operazioni transnazionali all'interno dell'UE su tali mercati confermano la necessità di ulteriori sforzi in tale ambito. Malgrado l'andamento positivo fatto registrare nel corso degli anni '90, gli appalti pubblici pubblicati sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee equivalgono ad un valore inferiore al 2% del PIL [14]. L'apertura effettiva e completa di tali mercati contribuirebbe ad ottimizzare la spesa pubblica in infrastrutture.

    [14] Il dato è considerevolmente inferiore all'entità reale dei mercati degli appalti pubblici che ricomprendono non soltanto gli investimenti pubblici ma anche il grosso dei consumi pubblici.

    Elemento importante di cui tener conto nell'analizzare i dati dei conti nazionali relativi agli investimenti pubblici è il numero crescente di "partenariati pubblico-privato" (PPP). I PPP sono accordi istituzionali diretti ad appaltare l'erogazione di servizi pubblici, che consentono ai governi di concentrarsi maggiormente sugli aspetti qualitativi del servizio fornito. Sul piano contabile tale approccio ha l'effetto di ridurre l'investimento pubblico diretto operato all'inizio del periodo di riferimento, in quanto certi investimenti, che finora sarebbero stati registrati nella contabilità pubblica, vengono invece sostenuti acquistando servizi forniti dal settore privato. L'acquisto del servizio da parte delle pubbliche amministrazioni viene contabilizzato tra le spese correnti di modo che l'acquisto consecutivo di servizi per un periodo di diversi anni sostituisce la spesa pubblica per investimenti attuata all'inizio del periodo di riferimento.

    Infine, nel valutare e confrontare l'andamento della spesa pubblica, va tenuto conto del fatto che i crescenti investimenti pubblici in infrastrutture non sempre si traducono in uno stimolo alla crescita, dato che lo stock di infrastrutture può essere soggetto alla legge dei rendimenti decrescenti. Nelle economie più ricche gran parte delle esigenze d'investimento in settori tradizionali dell'attività pubblica sono state soddisfatte e ulteriori incrementi potrebbero rivelarsi superflui [15]. Ciò implica che la composizione settoriale e funzionale degli investimenti pubblici è un fattore importante da tenere in debita considerazione. Purtroppo i dati al riguardo sono quasi del tutto inesistenti e, qualora disponibili, si presentano frammentari e difficili da confrontare. Dovranno essere compiuti ulteriori sforzi per valutare in che misura gli Stati membri siano pronti a far fronte alle pressioni che si eserciteranno in futuro sull'investimento pubblico a seguito di:

    [15] Tuttavia, è probabile che l'obsolescenza e la necessità di mantenere funzionante lo stock di infrastrutture esistente richiedano cospicui investimenti pubblici. Inoltre, la crescita economica in sé potrebbe richiedere investimenti aggiuntivi anche nei paesi più ricchi al fine di prevenire strozzature che potrebbero porre un freno alla loro crescita.

    * una diffusa introduzione delle tecnologie dell'informazione che obbligherà ad attuare un'espansione della capacità delle reti;

    * l'integrazione delle considerazioni ambientali. Le infrastrutture dovranno conformarsi a nuovi requisiti, in particolare a quello relativo al minore consumo energetico, necessari per il conseguimento degli obiettivi di Kyoto: ciò richiederà maggiori investimenti in modalità di trasporto diverse dal trasporto stradale e aereo;

    * l'allargamento e l'esigenza di rafforzare le dimensioni est-ovest e nord-sud delle reti.

    5.3. Gli investimenti in capitale umano

    Nonostante sia classificata tra le spese correnti, la spesa per l'istruzione rappresenta un contributo diretto delle finanze pubbliche all'accumulazione di capitale umano. L'aumento dell'investimento in risorse umane si rivela strumento fondamentale anche al fine di consentire una regolare transizione verso l'economia e la società della conoscenza. È per questo che gli orientamenti in materia di occupazione attribuiscono grande priorità allo sviluppo delle risorse umane e pongono l'obiettivo di garantire a tutti l'accesso all'istruzione e alla formazione e di promuovere strategie di ampio respiro che favoriscano l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Il Consiglio europeo di Lisbona ha fissato obiettivi chiari nell'intento di accrescere l'investimento pro capite in risorse umane e gli Stati membri sono stati invitati a fissare obiettivi nazionali.

    L'analisi dettagliata dell'accumulazione pubblica di capitale umano dovrebbe essere compiuta sulla base di una classificazione funzionale della spesa pubblica che, come evidenziato in precedenza, non è facilmente disponibile.

    Nell'UE l'istruzione è tradizionalmente finanziata dallo Stato. Nel 1997 le risorse pubbliche destinate a finanziare i vari gradi dell'istruzione costituivano in media il 5% del PIL dell'UE (tabella 5.1). Sebbene nel periodo considerato [16] l'incidenza sul PIL del totale della spesa pubblica per l'istruzione tenda a rimanere approssimativamente stabile negli Stati membri, i dati evidenziano alcune rilevanti differenziazioni tra di essi. Nel 1997 DK e S presentano la quota più elevata mentre EL si colloca al limite inferiore. FIN e A presentano anch'esse valori nettamente sopra la media. I rimanenti Stati membri non si discostano significativamente dalla media UE, in particolare se si eccettua l'istruzione prescolastica.

    [16] I dati complessivi per il 1997 non sono interamente confrontabili con quelli relativi agli anni precedenti in quanto i dati relativi al PIL del 1997 sono stati redatti sulla base del SEC95. Inoltre i dati dell'OCSE evidenziano una diminuzione dell'incidenza della spesa per l'istruzione sul PIL nel periodo tra il 1990 e il 1996.

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Tabella 5.1. La spesa pubblica nel settore dell'istruzione (in % del PIL)*

    Analizzando i dati relativi ai vari gradi dell'istruzione emerge che nel 1997 la spesa pubblica nella UE è stata pari all'1% del PIL, sia per l'istruzione primaria che per quella post-secondaria, mentre la spesa per l'istruzione secondaria è risultata del 2,5% del PIL: come emerge dalla tabella 5.1, si registrano ampie variazioni tra gli Stati membri.

    I governi devono dare maggiore priorità all'istruzione e alla formazione al fine di fornire ai cittadini europei le conoscenze, le abilità e le competenze che consentiranno loro di adattarsi a modelli di vita, di apprendimento e di organizzazione del lavoro in rapido cambiamento. Tra le varie iniziative intraprese a questo scopo si annoverano gli orientamenti in materia di occupazione, il memorandum sull'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, i programmi di azione comunitari Leonardo e Socrates, le strategie per l'occupazione nella società dell'informazione. Gli Orientamenti in materia di occupazione (13, 14, e 16) invitano gli Stati membri a fissare obiettivi di incremento dell'investimento pro capite in risorse umane.

    La Commissione ha compiuto un importante passo in questa direzione varando nel 1999 l'iniziativa eEurope e nel 2000 l'iniziativa eLearning. Gli Stati membri hanno deciso di collaborare all'armonizzazione delle rispettive politiche in materia di strumenti tecnologici per l'apprendimento e di mettere in comune le esperienze acquisite. eLearning mira a sostenere e coordinare gli sforzi e ad accelerare l'adeguamento dei sistemi dell'istruzione e della formazione in Europa.

    Grafico 5.5: Tasso di occupazione (%) disaggregato per titolo di studio nel 1995 (fascia di età 30-59)

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Fonte: Labour Force Survey, Eurostat.

    I dati sui titoli di studio rivelano l'ampiezza degli sforzi compiuti dagli Stati membri, nel corso degli ultimi 25 anni, per accrescere lo stock di capitale umano. Nel 1996, la percentuale di cittadini dell'UE compresi nella fascia di età 30-34 che ha conseguito un diploma di scuola media superiore è stata pari al 44%, mentre tale percentuale è pari solo al 30% per le persone appartenenti alla fascia di età 55-59, che hanno frequentato la scuola 25 anni prima. Allo stesso modo, il 21% delle persone di età compresa tra i 30 e i 34 anni ha conseguito un diploma di istruzione post-secondaria rispetto ad una percentuale pari solo al 13% degli appartenenti alla fascia di età 55-59. Inoltre, nella fascia di età 30-34, il livello di istruzione raggiunto dalle donne è molto vicino a quello dei loro coetanei maschi, mentre è molto più basso nella fascia di età 55-59.

    L'accumulazione di capitale umano accresce considerevolmente le opportunità di lavoro. Più cresce il livello di alfabetizzazione e di istruzione, migliori sono le prospettive sul mercato del lavoro. Come illustrato nel grafico 5.5, sembrerebbe esistere una correlazione positiva tra livelli di istruzione e tassi di occupazione. Allo stesso modo è possibile dimostrare l'esistenza di una relazione diretta tra livelli stimati di alfabetizzazione e di istruzione da un lato e tassi di disoccupazione, vulnerabilità alla disoccupazione e reddito da lavoro dall'altro.

    Le sfide future richiedono un'analisi approfondita del ruolo dei governi nella promozione dell'accumulazione di capitale umano. Per quanto riguarda l'istruzione, sebbene nessuno metta in dubbio la necessità dell'intervento pubblico, si impone nondimeno una riflessione circa i limiti di tale intervento. Nel complesso, se da una parte sembra esistere un ampio consenso sull'esigenza di garantire un'istruzione primaria e secondaria gratuita e obbligatoria, l'erogazione diretta e gratuita dell'istruzione post-secondaria dovrebbe essere valutata alla luce di possibili asimmetrie tra i corsi di studio disponibili, le opportunità offerte dal mercato del lavoro e le preferenze degli studenti.

    La soluzione del problema delle asimmetrie non implica la rinuncia del settore pubblico o un suo minore impegno in termini di spesa, quanto piuttosto un cambiamento nel modo in cui il denaro pubblico viene speso e nelle modalità dell'intervento pubblico. Alcuni paesi hanno introdotto nuove forme di finanziamento: le tasse scolastiche e i prestiti hanno sostituito la gratuità degli studi o le borse di studio. Queste misure tentano, nello stesso tempo, di influire sul comportamento degli studenti al fine di ottimizzare le spese, senza però scoraggiare la partecipazione delle famiglie a basso reddito.

    L'istruzione non è comunque l'unico strumento per incrementare l'accumulazione di capitale umano. La formazione continua all'interno delle imprese costituisce uno degli elementi principali di sviluppo del capitale umano e riveste un'importanza fondamentale in tempi di rapidi progressi tecnici. Le informazioni sull'offerta formativa disponibile sul mercato del lavoro, costituita per lo più da formazione informale, è frammentaria e poco attendibile. Il sostegno pubblico viene fornito sia tramite il finanziamento diretto di azioni di istruzione e di formazione sia attraverso varie forme di incentivo, ivi compresi gli incentivi fiscali, diretti alle imprese e ai privati. È dai contributi delle imprese alla formazione aziendale che vengono le maggiori indicazioni sui finanziamenti privati destinati alle azioni di formazione nel quadro del mercato del lavoro. Secondo le stime relative al 1993, la spesa delle imprese per la formazione sarebbe stata pari solo all'1,6% del totale delle retribuzioni dei dodici Stati membri dell'Unione europea. Questo valore medio cela profonde differenze tra gli Stati membri - dallo 0,7% del Portogallo al 2,7% del Regno Unito - dovute alla disparità nell'intensità delle azioni di formazione e nei costi unitari.

    La maggior parte degli Stati membri ha da allora accresciuto i propri sforzi e la formazione è diventata un elemento chiave della strategia europea per l'occupazione, come stabilito negli orientamenti in materia di occupazione che indicano come obiettivi prioritari sia la formazione professionale che l'approccio di ampio respiro all'apprendimento lungo tutto il corso della vita. Tali sforzi sono ogni anno analizzati in una relazione comune sull'occupazione. Per quanto la transizione da politiche del lavoro passive verso politiche attive rappresenti ormai un fatto acquisito, ulteriori sforzi si rendono necessari sia a livello pubblico che privato per promuovere l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e l'aggiornamento costante delle competenze professionali.

    Tabella 5.2. Tassi di partecipazione alle attività di istruzione e formazione per la fascia di età 25-64 anni

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Secondo la relazione comune sull'occupazione 2000, nel 1999 la maggior parte degli Stati membri ha posto un più forte accento sulle politiche attive del lavoro, e nel frattempo si è registrata una diminuzione nel numero di disoccupati iscritti. A questo proposito, emerge dai piani di azione nazionali per l'occupazione che tutti gli Stati membri hanno dedicato un crescente spazio alla promozione delle attività di istruzione e di apprendimento lungo tutto l'arco della vita. Diversi Stati membri sottolineano le carenze in materia di istruzione e di formazione e riconoscono la necessità di adeguare l'offerta di formazione e di adottare specifiche misure per migliorare le competenze. I dati statistici disponibili sulla partecipazione alle attività di istruzione e di formazione nell'ambito del mercato del lavoro offrono un quadro piuttosto deludente. In particolare i tassi di partecipazione tra gli adulti (soggetti di età compresa tra i 25 e i 64 anni) rimangono molto bassi nella UE, nonostante un leggero miglioramento fatto registrare negli ultimi anni dal 6,5% nel 1997 all'8% nel 1999. I tassi di partecipazione più elevati si sono avuti in S, DK e UK dove hanno segnato una media del 20,8% nel 1999 (cfr. tabella 5.2). Questi dati confermano il fatto che alle azioni di formazione nel quadro del mercato del lavoro è stata destinata soltanto una quota limitata del PIL. Simili programmi sono più sviluppati nei paesi del Nord Europa dove, nel 1999, S e DK hanno stanziato rispettivamente il 2% e l'1,9% a tale scopo.

    Tabella 5.3. Totale delle spese per misure attive per il periodo 1990-1998

    >SPAZIO PER TABELLA>

    5.4. Ricerca e sviluppo e innovazione

    Non diversamente dalla spesa per l'istruzione, la spesa pubblica per la ricerca e sviluppo (R&S) viene classificata tra le spese correnti anche se in realtà essa contribuisce all'accumulazione del capitale conoscitivo, nonché allo sviluppo di processi produttivi e di prodotti.

    La tabella 5.4 riporta i dati relativi all'attività di R&S realizzata dal settore pubblico (colonna II) in rapporto al PIL e quelli della spesa pubblica per R&S in rapporto al totale della spesa pubblica (colonna III). In termini di quota percentuale della spesa per R&S sul totale della spesa pubblica, l'Europa si situa, con un valore pari all'1,7%, di gran lunga dietro gli Stati Uniti, la cui quota ammonta al 2,9%. Tuttavia, in rapporto al PIL, l'attività di R&S attuata dal settore pubblico presenta valori quasi analoghi, per quanto nell'ultimo decennio gli stanziamenti pubblici siano diminuiti in termini reali in maniera più marcata nella UE che negli Stati Uniti.

    Tabella 5.4 Spesa pubblica per R&S

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Fonte: Commissione europea, DG Ricerca "Verso uno spazio europeo della ricerca - Scienze, tecnologia e innovazione. Dati chiave per il 2000".

    Legenda: p = previsione, s = stima

    (1) 1993-1999; (2) 1991-1999; (3) 1992-1998; (4) 1995-1999; (5) spesa delle amministrazioni pubbliche per attività di R&S intramurale+spesa degli istituti di istruzione superiore in R&S; (6) stanziamenti di bilancio o spese per R&S in percentuale delle spese pubbliche complessive; (7) degli stanziamenti di bilancio o delle spese per R&S.

    Secondo la comunicazione della Commissione L'innovazione in un'economia fondata sulla conoscenza (COM(2000)567), le differenze in termini di spesa per R&S del settore privato sono molto più evidenti e presentano una maggiore rilevanza per lo sviluppo della "nuova economia". La ricerca industriale nell'UE raggiunge soltanto il 60% di quella degli Stati Uniti e i finanziamenti del governo federale sono pari al 13% delle spese di R&S delle imprese americane, mentre nell'Unione europea solo il 9% della spesa per R&S del settore privato è coperta da finanziamenti pubblici. La spesa totale per la ricerca negli Stati Uniti ammonta quasi al 3% del PIL, mentre il corrispondente dato per l'Europa è inferiore al 2%.

    Per quanto riguarda la situazione nei singoli Stati membri, solo in F, NL, FIN e S la spesa pubblica per R&S è superiore a quella statunitense. All'estremo opposto, in paesi come EL, E, IRL e P, la spesa pubblica per R&S è inferiore a mezzo punto percentuale del PIL.

    Il Consiglio europeo di Lisbona ha evidenziato in termini espliciti l'importanza dell'innovazione e della R&S quale strumento per rispondere alla sfida della globalizzazione e dell'economia della conoscenza.

    Nel gennaio 2000 la Commissione ha proposto la creazione di uno Spazio europeo di ricerca (COM(2000) 6). La Commissione ha ribadito l'importanza che riveste la continuità dell'attività di ricerca e sviluppo tecnologico per la crescita, la competitività e l'occupazione in quanto consentono lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e mercati e la modernizzazione delle imprese europee.

    Concepite come contributo alla creazione di un più stretto partenariato tra gli Stati membri e tra questi e l'Unione, gli orientamenti per l'attuazione dello Spazio europeo di ricerca, (COM(2000) 612), presentati dalla Commissione all'inizio dell'ottobre 2000, prevedono in particolare quanto segue: l'uso di nuovi strumenti, quali ad esempio la partecipazione dell'Unione ai programmi di ricerca nazionali realizzati in comune, nonché reti di eccellenza e grandi progetti di ricerca orientata che consentano di costituire una massa critica di competenze; l'ampliamento e la diversificazione delle azioni a livello europeo nel settore delle infrastrutture, della mobilità e dell'interfaccia tra ricerca e innovazione; la concentrazione degli sforzi dell'Unione su specifici temi prioritari e in settori che presentino un chiaro valore aggiunto europeo.

    La comunicazione della Commissione L'innovazione in un'economia fondata sulla conoscenza sottopone ad approfondita analisi le tendenze nella politica europea in materia di innovazione e fissa le linee politiche generali per la promozione dell'innovazione nell'Unione.

    Per creare un ambiente favorevole all'innovazione, la Commissione ha sottolineato la rilevanza che il quadro regolamentare, amministrativo e finanziario riveste per la ricerca e l'innovazione e ha messo l'accento sulla necessità di migliorare le interfacce del sistema della ricerca e dell'innovazione. Ciò consentirà alle imprese di avere accesso alle conoscenze, alle competenze, ai finanziamenti bancari, alle fonti di consulenza e alle informazioni di mercato.

    Una simile strategia politica riconosce esplicitamente che il problema maggiore è costituito dall'assetto istituzionale e regolamentare che non fornisce al settore privato opportuni incentivi all'innovazione e all'investimento in R&S. In alcuni Stati membri si verifica pertanto, come illustrato in precedenza, che gli stanziamenti pubblici per R&S sono molto limitati e che il coinvolgimento del settore privato non è per nulla ottimale se misurato in base agli standard internazionali. Inoltre, nella maggior parte dei paesi gli interventi pubblici e privati vanno di pari passo. Pertanto, queste riforme istituzionali e strutturali dovrebbero essere accompagnate da una rafforzata collaborazione tra il settore pubblico e quello privato per accrescere lo sforzo complessivo di spesa per la R&S. È necessario analizzare se i sistemi fiscali in vigore nella UE siano favorevoli agli investimenti in capitale immateriale, in maniera tale da consentire all'Europa di competere con gli Stati Uniti nel settore delle tecnologie avanzate.

    6. Sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche

    6.1. Panoramica delle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione per il bilancio

    Molti fattori influenzeranno la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche

    Il Consiglio europeo di Lisbona ha invitato a presentare una relazione che valuti quale sia il contributo delle finanze pubbliche alla crescita e all'occupazione e se siano state prese misure concrete per "... garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, esaminandone i vari aspetti, incluso l'impatto dell'invecchiamento della popolazione, alla luce della relazione che dovrà essere elaborata dal Gruppo ad Alto livello sulla "Protezione sociale". [17]

    [17] Nel quadro dell'obiettivo di modernizzazione della protezione sociale, il Consiglio europeo di Lisbona ha incaricato "...il Gruppo ad alto livello « Protezione sociale » di fornire un supporto a tale cooperazione tenendo conto dei lavori attualmente svolti dal Comitato di politica economica e, in via prioritaria, di preparare, sulla base di una comunicazione della Commissione, uno studio sulla futura evoluzione della protezione sociale in un'ottica di lungo periodo, ponendo in particolare risalto la sostenibilità dei sistemi pensionistici in contesti temporali diversi sino al 2020 e oltre, se necessario". Una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori dovrebbe essere presentata entro il dicembre 2000. Il Gruppo ad alto livello "Protezione sociale" ha elaborato una relazione intermedia sull'Evoluzione futura della protezione sociale - pensioni per il Consiglio europeo di Nizza nel dicembre 2000 (documento del Consiglio 2949/00 del 6.11.2000). Questa relazione intermedia è stata preparata in base ad una comunicazione recente della Commissione intitolata La futura evoluzione della protezione sociale nel lungo periodo: pensioni sicure e sostenibili (COM(2000) 622 def.).

    Il mandato riconosce che fattori diversi dall'invecchiamento della popolazione influenzano la sostenibilità di lungo termine delle finanze pubbliche. Ad esempio, anche l'evoluzione della struttura delle famiglie e l'aumento del tasso di attività delle donne influenzeranno la spesa pubblica e il sistema tributario. Peraltro, con il rafforzamento dell'integrazione economica, i governi avranno probabilmente difficoltà sempre maggiori ad aumentare il gettito fiscale per via della mobilità della base imponibile dovuta alla concorrenza fiscale,. La presente comunicazione si limita ad esaminare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione per il bilancio, in particolare per le pensioni pubbliche e, in misura minore, per la spesa sanitaria. Essa non tratta quindi altre implicazioni politiche altrettanto importanti, ad esempio le conseguenze per l'adeguatezza dei sistemi di protezione sociale, che sono attualmente esaminate dal Gruppo ad alto livello per la protezione sociale.

    Evoluzione demografica

    Nel corso dei prossimi decenni, la popolazione degli Stati membri dell'UE continuerà a subire modifiche sostanziali dovute principalmente, da un lato, al perdurare di tassi di fecondità troppo bassi per consentire la sostituzione naturale della popolazione e, dall'altro, all'allungamento dell'aspettativa di vita. Un fattore particolarmente importante per l'equilibrio tra persone attive e pensionati sarà il fatto che le numerose persone nate dopo la seconda guerra mondiale giungeranno all'età della pensione. Le proiezioni aggiornate di Eurostat riguardanti la popolazione per il periodo 2000-2005 dimostrano che la popolazione dell'UE in età lavorativa (persone di età compresa tra 20 e 64 anni) si manterrà stabile attorno ai 230 milioni di persone fino al 2015. Scenderà in seguito a 224 milioni entro il 2025 e a 192 milioni entro il 2050. Nel contempo il numero di persone di età pari e superiore ai 65 anni passerà da 61 milioni nel 2000 a 86 milioni nel 2025 e a 103 milioni entro il 2050. L'aumento più consistente riguarderà le persone molto anziane (85 anni ed oltre), il cui numero quasi triplicherà passando da 7 milioni nel 2000 a 19 milioni nel 2050.

    Globalmente la popolazione totale dovrebbe cominciare a diminuire dopo il 2020 (cfr. tabella 6.1). La popolazione totale dell'UE dovrebbe, secondo le stime, salire da 376 milioni di persone nel 2000 a 386 milioni nel 2020, per scendere progressivamente a 364 milioni entro il 2050. Si prevedono tuttavia notevoli differenze da Stato membro a Stato membro. Riduzioni consistenti della popolazione sono previste per I, D e E, mentre si prevede un aumento per F, UK, NL, IRL e P.

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Fonte: Eurostat, scenario di base

    L'indice di dipendenza degli anziani (rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione in età lavorativa, ovvero compresa nella fascia di età 20-64) crescerà rapidamente passando dal 27% nel 2000 al 39% nel 2025 e al 53% nel 2050 per l'UE (cfr. grafico 6.1). Una più forte immigrazione potrebbe stabilizzare la popolazione totale ma, per frenare in parte la progressione dell'indice di dipendenza degli anziani, dovrebbe raggiungere livelli superiori a quelli finora registrati (e forse inaccettabili sotto il profilo politico) per mantenere gli indici ai loro livelli attuali o a livelli prossimi a questi ultimi.

    Anche in questo caso si osservano differenze rilevanti da Stato membro a Stato membro. Se si prende il suo punto di partenza nel 2000, si vede che l'Irlanda ha l'indice di dipendenza degli anziani più basso, pari al 19%, rispetto a tassi prossimi al 30% per B, EL, I e S. Varia anche il momento in cui intervengono le modifiche demografiche. È dopo il 2005 che si cominciano ad osservare forti progressioni dell'indice di dipendenza degli anziani in D, EL, I, NL e A, mentre questo fenomeno si verifica un po' più tardi, attorno al 2010, per B, E, F, FIN e S. Nella maggior parte degli Stati membri l'indice di dipendenza degli anziani si stabilizzerà attorno al 2040, mentre i livelli più elevati vengono raggiunti nelle stime per il 2050 in EL, E e I. L'ampiezza dei cambiamenti è impressionante, in quanto i tassi di dipendenza degli anziani aumentano di quasi 40 punti percentuali per I e E.

    Grafico 6.1 Indice di dipendenza degli anziani 2000-2050*

    >RIFERIMENTO A UN GRAFICO>

    Le proiezioni demografiche a lungo termine sono incerte. Per contro le proiezioni a medio termine sono in genere affidabili per quanto concerne le persone già nate, ad esempio i pensionati per i prossimi 30-40 anni. Dal punto di vista della finanza pubblica, esistono in particolare due rischi di sottovalutazione. In primo luogo è possibile che il previsto aumento dei tassi di fecondità rispetto agli attuali minimi storici non si realizzi, il che significherebbe meno ingressi nel mercato del lavoro nel corso dei prossimi decenni. In secondo luogo, un aumento significativo dell'aspettativa di vita, superiore a quello previsto attualmente, dovuto ad esempio a progressi in materia di tecnologie mediche o medicinali potrebbe accrescere ulteriormente gli indici di dipendenza degli anziani ed aumentare la pressione esercitata sulle pensioni e la sanità pubbliche. Questi rischi dimostrano che è necessario monitorare attentamente l'evoluzione demografica e le sue implicazioni per la finanza pubblica.

    In che modo l'invecchiamento delle popolazioni influenza le finanze pubbliche

    Pensioni [18]: l'invecchiamento della popolazione provocherà un forte calo del rapporto tra contribuenti e pensionati di qui al 2050. Negli Stati membri la maggior parte dei redditi che i pensionati percepiscono provengono da enti previdenziali pubblici. Si osservano tuttavia differenze considerevoli tra gli Stati membri per quanto riguarda la natura e il finanziamento delle pensioni pubbliche (cfr. tabella 6.2). Le pensioni pubbliche sono finanziate normalmente in base al sistema a ripartizione, ovvero sono pagate direttamente con i contributi versati dalla popolazione attiva e dai datori di lavoro. In taluni Stati membri i regimi a ripartizione forniscono solo una pensione minima, destinata a coprire le esigenze di base. Le parti sociali o i singoli datori di lavoro e dipendenti possono completarla con pensioni aziendali o private basate in genere su regimi a capitalizzazione. In altri Stati membri i regimi a ripartizione funzionano sulla base di un'assicurazione e vi è un collegamento tra pensioni e salari pagati.

    [18] Il trattato contiene alcune disposizioni di garanzia che vietano il trasferimento delle passività di uno Stato membro ad altri paesi UE. In particolare l'articolo 103 contiene una norma che stabilisce che "La Comunità non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro...".

    Il volume della spesa pubblica corrente destinata alle pensioni varia notevolmente. È più elevata per A e I in quanto rappresenta circa il 15% del PIL, mentre raggiunge solo il 5% del PIL in IRL, NL e UK. Negli altri Stati membri, queste spese sono dell'ordine del 10% del PIL. Si osservano inoltre differenze marcate per quanto riguarda l'entità dei patrimoni dei fondi pensione a seconda dei paesi. È più elevata per NL (87% del PIL), UK (75%), DK (75%) et IRL (45%). Per contro, il livello dei patrimoni dei fondi pensione è basso, nettamente al di sotto del 10% del PIL, nella maggior parte degli Stati membri, comprese le quattro maggiori economie dell'area dell'euro.

    L'elaborazione di proiezioni di bilancio di lungo termine richiede un certo numero di ipotesi su variabili quali i tassi di interesse, la crescita della produttività e l'evoluzione del mercato del lavoro. Sebbene queste proiezioni siano teoricamente in grado individuare gravi squilibri di bilancio, i risultati devono essere interpretati con prudenza. Un'altra difficoltà riguarda il fatto che in linea di massima le proiezioni nazionali non sono comparabili, in quanto utilizzano ipotesi demografiche ed economiche diverse ed anche le specificazioni dei modelli e le definizioni differiscono. Le organizzazioni internazionali hanno superato taluni di questi problemi utilizzando ipotesi demografiche ed economiche standard, ma accontentandosi di una modellizzazione meno esatta delle modalità istituzionali dei regimi nazionali di pensioni e sicurezza sociale.

    Tabella 6.2: Panoramica dei sistemi pensionistici negli Stati membri dell'UE

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Fonte: Relazione del gruppo di lavoro del CPE sull'invecchiamento della popolazione

    Note (1) Le definizioni di spesa pubblica non sono identiche e pertanto non propriamente comparabili. Per l'Irlanda, i dati indicati sono quelli dei contributi sociali. (2) Fonte OCSE salvo per la Danimarca, i cui dati emanano da autorità nazionali. In alcuni paesi questi fondi non fanno parte in generale del sistema di pensioni pubbliche. (3) Sarà elevata a 65 a partire dal 2005: (4) Regime legale generale e regime speciale per la funzione pubblica: (5) Settore pubblico: il regime è identico per le donne: (6) L'età di pensionamento è 61 e può essere rinviata liberamente fino a 65 anni. Si tratta di un sistema contributivo, cosicché ogni anno di lavoro supplementare aumenta di conseguenza le prestazioni pensionistiche. Per la pensione "di garanzia" l'età minima obbligatoria è 65 anni: (7) Formula basata sulla crescita nominale del PIL: (8) 65 a partire dal 2004.

    Questo compromesso tra comparabilità e trasparenza ha spinto il Comitato di politica economica ad adottare un nuovo approccio contenuto in un rapporto sull'impatto dell'invecchiamento della popolazione sui bilanci pubblici esaminato dal Consiglio Ecofin il 7 novembre 2000. [19] Le autorità nazionali sono state invitate a far funzionare i loro modelli nazionali utilizzando le ipotesi demografiche ed economiche standard di EUROSTAT, che offrono il grado di flessibilità necessario per tenere conto delle specificità nazionali. [20] I risultati presentati di seguito non sono propriamente comparabili, ma rappresentano comunque un progresso importante, in quanto consentono di ottenere stime quasi comparabili delle proiezioni a lungo termine in materia di pensioni.

    [19] Report of the impact of ageing populations on public pension systems, EPC/ECFIN/581/00-EN. I lavori del CPE proseguono parallelamente a quelli in corso in sede OCSE (gruppo di lavoro 1). Per garantire la coerenza nei lavori dei due organismi, le ipotesi demografiche ed economiche sono state elaborate in collaborazione con il segretariato dell'OCSE.

    [20] Ad esempio, i tassi di partecipazione sono basati sulle proiezioni del BIT, ma gli adeguamenti apportati fino al 2010 possono riflettere le differenze tra paesi a livello delle riforme della politica del mercato del lavoro e delle riforme delle istituzioni sociali. La disoccupazione, secondo la definizione dell'OCSE, dovrebbe scendere al suo livello strutturale entro il 2005 e in seguito stabilizzarsi fino al 2050. Tuttavia questo livello potrebbe essere corretto per tenere conto delle riforme del mercato del lavoro già adottate, a condizione che l'aggiustamento non superi un terzo del tasso strutturale stimato di disoccupazione per il 2005. La produttività del lavoro dovrebbe convergere verso l'1,75% su base annua tra il 2020 e il 2030.

    Il punto di partenza è stato lo scenario basato sulle politiche esistenti, che mira a prevedere l'evoluzione della spesa pensionistica sulla base delle legislazioni vigenti. Sono state effettuati anche diversi test di sensibilità e simulazioni di politiche, descritti nel dettaglio nella relazione del CPE.

    Tabella 6.3 Proiezioni delle spese pensionistiche per il periodo 2000-2050 (in % del PIL, al lordo delle imposte) [21]

    [21] Per Grecia e Lussemburgo le autorità nazionali forniranno stime nel gennaio 2001.

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Fonte: Relazione del gruppo di lavoro del CPE sull'invecchiamento della popolazione

    Le simulazioni indicano che la spesa per le pensioni pubbliche, in percentuale del PIL, dovrebbe aumentare in modo sostanziale in tutti gli Stati membri, nel corso dei prossimi decenni, salvo nel Regno Unito. Tuttavia l'ordine di grandezza di questi aumenti ed il momento in cui si producono variano a seconda degli Stati membri. Secondo le proiezioni, solo due Stati membri, I e S, avranno aumentato la loro spesa pensionistica di meno del 2% del PIL nel periodo 2000-2050.

    Nella maggioranza dei casi gli effetti dell'invecchiamento aggiungeranno da 3 a 5 punti percentuali del PIL alla spesa per le pensioni: B (3,7%), DK (4,5%), D (4,3%), F (3,9%), IRL (4,4%), A (3,1%) e FIN (4,7%).

    Pressioni al rialzo ancora più forti della spesa per le pensioni pubbliche sono previste per P, per NL (6,2% del PIL) e per E, dove è previsto l'aumento più consistente (+ 8,2% del PIL sul periodo di previsione). Per quanto riguarda le scadenze temporali, la spesa per pensioni pubbliche di DK, F, I, A, P e S dovrebbe culminare attorno al 2030. Il culmine sarà raggiunto attorno al 2040 per B, NL e FIN, e negli altri paesi verso il 2050. In linea di massima occorre anche osservare che sebbene l'aumento previsto della spesa pubblica sia assai rilevante, esso resta comunque inferiore all'innalzamento previsto dell'indice di dipendenza degli anziani, il che fa supporre che le riforme intraprese negli anni 90 hanno consentito in certa misura di ammortizzare gli effetti dell'invecchiamento della popolazione sui regimi pensionistici pubblici.

    A parte l'ampiezza dell'aumento della spesa per le pensioni pubbliche, si debbono prendere in considerazione altri fattori. Occorre tenere conto del livello di partenza di questa spesa che, nel 2000, varia dal 5% del PIL per IRL e UK, ad oltre il 14% per I e A. Si devono inoltre prendere in considerazione le imposte prelevate sui redditi da pensione, per appurare l'importo netto della spesa pubblica per pensioni. Un altro elemento importante è che i contributi ai regimi pensionistici basati sulla capitalizzazione (ad esempio nei Paesi Bassi) sono in genere deducibili dalle imposte, ovvero la tassazione è differita fino al versamento delle prestazioni. Ciò significa che in questi paesi l'aumento della spesa per pensioni pubbliche sarà compensato da un aumento del gettito fiscale sui redditi da pensioni provenienti da regimi a capitalizzazione.

    Sanità: in media la spesa pubblica per la sanità nell'UE si situa appena al di sopra del 6% del PIL, il che rappresenta approssimativamente i tre quarti dell'insieme delle spese sanitarie. Questa spesa è una componente consistente della spesa pubblica globale ed occupa una posizione centrale nel dibattito sulle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione per il bilancio.

    Gli studi riguardanti la struttura della spesa sanitaria per i diversi gruppi d'età indicano che via via che invecchiano, le persone hanno in genere la tendenza a spendere sempre più per le cure sanitarie. In effetti il profilo delle spese sanitarie medie per le persone dei diversi gruppi d'età tende ad avere la forma di una U, con l'infanzia e la vecchiaia caratterizzate da livelli di spesa elevati. Il previsto aumento del numero di anziani alimenta pertanto i timori di un incremento della spesa sanitaria.

    Tuttavia misurare l'impatto dei cambiamenti demografici sulla spesa sanitaria globale non è così semplice come si potrebbe credere a prima vista. Taluni studi recenti sembrano dimostrare che con l'aumento dell'aspettativa di vita (nonché del numero di persone anziane), le persone potranno vivere un numero maggiore di anni in buona salute rispetto alle generazioni precedenti. Ciò significa che anche se vi saranno più persone anziane in futuro, non necessariamente vi sarà un aumento proporzionale della spesa sanitaria. Inoltre una quota elevata dei servizi connessi alle cure sanitarie è consumata nel corso degli ultimi mesi di vita e non è dunque collegata direttamente all'età.

    Nel corso dei tre ultimi decenni, l'invecchiamento non è stato un fattore determinante nell'aumento della spesa sanitaria negli Stati membri. Come emerge dall'allegato C, gli studi dell'OCSE sull'evoluzione della spesa sanitaria tra gli anni '60 e gli anni '90 sembrano indicare che i fattori seguenti hanno svolto un ruolo più importante: maggiore copertura dell'offerta pubblica di cure sanitarie o dell'assicurazione malattia, aumento della domanda (del consumo) di cure sanitarie derivante dall'incremento della prosperità e diversi fattori a livello dell'offerta come il maggiore ricorso a tecnologie nuove e più onerose ed un rialzo dei prezzi nel settore medico superiore all'inflazione generale. Sul fatto se questi fattori continueranno o meno a svolgere un ruolo importante in futuro, i pareri sono diversi. Altri elementi, come ad esempio la maggiore frammentazione delle famiglie per via dell'aumento del tasso di partecipazione delle donne alle forze di lavoro, potrebbero anche cominciare a contribuire all'aumento della domanda di cure sanitarie. D'altro canto, una maggiore sensibilizzazione al legame tra il comportamento degli individui ed il loro stato di salute o, ancora di più, l'effetto delle riforme adottate in passato nel settore della sanità potrebbero consentire di contenere la pressione all'aumento della spesa sanitaria.

    Il fatto che siano numerosi i fattori all'origine dell'incremento della spesa sanitaria complica considerevolmente la proiezione delle tendenze future e la possibilità di prevedere il ruolo particolare dei cambiamenti demografici. Inoltre la natura dei sistemi sanitari complica ulteriormente la preparazione di proiezioni delle spese sanitarie per più paesi. Questi sistemi sono estremamente complessi e la loro struttura può variare considerevolmente a seconda del paese. Tuttavia la struttura organizzativa dei sistemi sanitari e gli incentivi creati per i diversi tipi di agenti possono svolgere un ruolo estremamente importante nel determinare le pressioni esercitate sulla spesa a livello di offerta e di domanda. Di conseguenza è possibile che tendenze analoghe sul piano delle tecnologie mediche o dei prezzi dei medicinali abbiano implicazioni molto diverse per l'evoluzione della spesa sanitaria nei diversi Stati membri.

    Nonostante queste difficoltà, vi sono già stati taluni tentativi di effettuare proiezioni delle spese sanitarie. L'OCSE ritiene che l'effetto diretto dell'invecchiamento sulla spesa sanitaria pubblica sarà un aumento pari al 3% nell'UE e in Giappone e di 2 punti negli Stati Uniti. Parecchi Stati membri hanno tentato di quantificare il futuro aumento della spesa sanitaria pubblica collegato all'invecchiamento della popolazione. Da questi studi emerge che l'aumento della spesa pubblica sarà dell'ordine di 2-3 punti percentuali del PIL. Tutto considerato, si è d'accordo nel riconoscere che la spesa sanitaria aumenterà, ma i pareri divergono quanto all'ampiezza di tale aumento. Tutto ciò sottolinea la necessità di disporre di misure efficaci di contenimento dei costi, di cui l'allegato C presenta una sintesi.

    Nell'esame delle conseguenze dell'invecchiamento per il bilancio, una questione importante è quella delle cure di lunga durata agli anziani. Questo tipo di spesa sarà una delle principali cause dell'aumento della spesa pubblica dovuto all'invecchiamento. Tuttavia in molti Stati membri le cure di lunga durata non fanno più parte formalmente del settore sanitario e sono coperte sovente dai bilanci di assistenza sociale. È probabile che le proiezioni della spesa sanitaria che escludono questo tipo di cure sottostimino notevolmente l'incidenza dell'invecchiamento della popolazione sulla spesa pubblica globale.

    Istruzione: la riduzione della spesa pubblica per l'istruzione derivante dalla diminuzione del numero di giovani sarà verosimilmente modesta e probabilmente nettamente inferiore all'aumento della spesa per pensioni e cure sanitarie. Potrebbe essere necessario un aumento della spesa pro capite per incrementare l'investimento in capitale umano e promuovere la formazione permanente che consente ai lavoratori anziani di ritornare sul mercato del lavoro o di restarvi.

    Valutazione generale delle conseguenze per le finanze pubbliche

    Se è vero che occorre interpretare con prudenza le proiezioni sopra esposte, è altrettanto vero che in assenza di nuove riforme l'impatto globale dell'invecchiamento della popolazione per i regimi pubblici di pensione e sanità dovrebbe dar luogo, nella maggior parte degli Stati membri, ad un aumento della spesa pubblica compreso tra 5 e 8 punti percentuali del PIL o addirittura di più in caso di scenari meno favorevoli. Anche se questa pressione emergerà nel corso di diversi decenni, costituisce comunque un rischio consistente per la sostenibilità delle finanze pubbliche. La sfida dell'invecchiamento della popolazione sarà più difficile da affrontare nei paesi che hanno un debito pubblico rilevante e regimi pensionistici fondati sulla ripartizione.

    È evidente che aumenti della spesa così rilevanti non potrebbero essere finanziati con l'accumulo di disavanzi strutturali consistenti ed un debito pubblico sempre più elevato. Il ritorno a disavanzi strutturali consistenti minerebbe tutti gli sforzi di risanamento finanziario intrapresi in vista dell'attuazione dell'UEM e sarebbe contraria al patto di stabilità e di crescita. Un deterioramento insostenibile della finanza pubblica complicherebbe l'attuazione della politica monetaria unica da parte della BCE e pregiudicherebbe la fiducia nel processo dell'UEM, il che provocherebbe di per sé un rialzo dei tassi di interesse.

    Rispondere a questa sfida limitandosi a procurarsi risorse supplementari per finanziare un supplemento di spesa pensionistica e sanitaria potrebbe andare contro le conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona. Ad esempio, l'innalzamento delle aliquote di contribuzione ai regimi pensionistici pubblici (che sono già molto elevate in numerosi Stati membri) accentuerebbe il differenziale tra costo del lavoro e salari netti (cuneo fiscale) e disincentiverebbe l'assunzione di lavoratori e la partecipazione al mercato del lavoro. Questa misura accentuerebbe inoltre gli squilibri tra generazioni. Analogamente, un aumento della pressione fiscale globale potrebbe accrescere i disincentivi all'occupazione e all'investimento, il che potrebbe nel tempo aggravare anziché migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche. Infine, tagliare altre voci di spesa pubblica essenziali quali le infrastrutture, l'istruzione e la formazione, le tecnologie dell'informazione e la R&S potrebbe essere controproducente in quanto queste spese contribuiscono a rafforzare il potenziale di produzione dell'UE.

    Parallelamente alla crescita della pressione fiscale per un aumento della spesa collegata all'età, le basi imponibili mobili potrebbero essere erose dall'integrazione economica (concorrenza fiscale). Potrebbe diventare sempre più difficile per i governi sostenere un rafforzamento della pressione fiscale per finanziare l'aumento delle spese collegate all'invecchiamento. Oppure questi governi potrebbero trovarsi costretti a spostare l'onere fiscale gravante su basi mobili (ad esempio il capitale) verso basi non mobili (ad esempio il lavoro), un'evoluzione che potrebbe falsare il funzionamento del mercato del lavoro.

    6.2. La via da seguire e la risposta degli Stati membri

    Queste sfide richiedono riforme di ampio respiro. Tra di esse dovrebbero figurare: misure destinate a rafforzare il risanamento delle finanze pubbliche prima del 2010, data in cui comincerà ad avvertirsi l'impatto dell'invecchiamento; misure riguardanti il mercato del lavoro destinate a rafforzare il tasso di occupazione e di partecipazione, in particolare dei lavoratori più anziani; e riforme destinate a garantire la solidità finanziaria dei regimi pensionistici pubblici. Le misure correttive dovrebbero essere decise ben prima che gli indici di dipendenza degli anziani aumentino, cosicché le persone possano adottare i provvedimenti necessari per garantirsi un certo livello di prestazioni al momento della vecchiaia.

    Rafforzare il risanamento delle finanze pubbliche

    Gli Stati membri dovrebbero approfittare dell'attuale congiuntura favorevole per proseguire i loro sforzi di risanamento finanziario e ridurre più rapidamente il livello del loro debito pubblico. Ciò consentirà loro di affrontare l'evoluzione demografica con un debito pubblico alleggerito e un servizio del debito meno oneroso. I calcoli presentati alla tabella 6.4 a titolo esemplificativo indicano quale sarebbe la situazione del debito pubblico nel 2010 e nel 2020 se gli Stati membri rispettassero rigorosamente gli obiettivi di medio termine per il 2003 fissati nel loro programma di stabilità e di convergenza del 1999/2000. [22] Questa tabella dimostra chiaramente che il rispetto rigoroso dell'obiettivo di medio termine consentirebbe ai paesi di ridurre considerevolmente l'ammontare del debito e di alleggerire l'onere degli interessi: ciò consentirebbe di coprire in parte le spese di bilancio supplementari derivanti dall'invecchiamento della loro popolazione. Questo effetto è particolarmente marcato per i paesi con debito elevato. Il mantenimento delle posizioni di bilancio al livello previsto per il 2003 comporterebbe una riduzione delle loro spese per interessi entro il 2020 di circa 3 punti percentuali del PIL.

    [22] Parecchi Stati membri hanno già presentato il loro programma aggiornato di stabilità e di convergenza per il 2000/2001. Tuttavia gli obiettivi di medio termine indicati nella tabella non sono stati modificati di conseguenza. Sarà possibile includere una tabella rivista nella relazione Commissione-Consiglio che riprenda gli obiettivi contenuti nei programmi 2000/2001 di tutti i paesi. Questi calcoli si fondano sull'ipotesi di uno scarto di circa il 2,25% tra tasso di crescita e tasso di interesse, che è prossima alla soluzione a lungo termine del modello QUEST della Commissione.

    Un ulteriore duraturo miglioramento del saldo strutturale dell'ordine di un punto percentuale del PIL oltre questi obiettivi comporterebbe una nuova riduzione del debito pubblico di circa 12 punti percentuali del PIL per il 2010 e 2020 nella maggior parte degli Stati membri. Tutti i paesi si troverebbero al di sotto del massimale del 60% definito a Maastricht e, nel caso dei paesi nordici, il debito scomparirebbe completamente lasciando il posto ad un attivo. I nuovi livelli del debito implicano una diminuzione supplementare della spesa per interessi di 0,4 punti percentuali del PIL per il 2010 e di 0,6 punti per il 2020. La diminuzione della spesa per interessi sarebbe superiore ad un punto percentuale del PIL rispetto al livello del 2000 in tutti gli Stati membri e a 3 punti del PIL in otto Stati membri. L'importanza di questi risparmi sottolinea il contributo che una rigorosa disciplina finanziaria può dare nella prevenzione degli effetti dell'invecchiamento della popolazione sui bilanci pubblici. Tuttavia, alla luce delle proiezioni appena menzionate, è poco probabile che il risparmio potenziale sia sufficiente a compensare integralmente il supplemento di spesa provocato dall'invecchiamento.

    Tabella 6.4. Prevenire l'effetto dell'invecchiamento: riduzione del servizio del debito (% del PIL)

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Riforme volte ad innalzare i livelli di occupazione

    Un aumento dei tassi di occupazione contribuirebbe a controbilanciare l'impatto negativo dell'evoluzione demografica sulle dimensioni della forza lavoro. Dal punto di vista delle finanze pubbliche, tale aumento provocherebbe un incremento del gettito dell'imposta sul reddito e dei contributi ai sistemi pensionistici a ripartizione, un calo della spesa per le pensioni pubbliche ed altri diritti a prestazioni e rafforzerebbe il livello globale della produzione. Sono queste le ragioni per cui la recente comunicazione della Commissione su pensioni sicure e sostenibili e la relazione del Gruppo ad alto livello sulla protezione sociale hanno attirato l'attenzione sulla necessità di rafforzare il tasso di occupazione globale ed in particolare quello dei lavoratori più anziani, in quanto questo rafforzamento costituisce un elemento essenziale della strategia da attuare per far fronte all'invecchiamento della popolazione. La relazione invita ad una mobilitazione di tutte le risorse della società, come proposto dal Consiglio europeo di Lisbona, il che implica riforme vigorose a livello delle politiche economiche e sociali e delle politiche del lavoro.

    Il prepensionamento dei lavoratori più anziani è una questione essenziale per l'equilibrio finanziario dei sistemi pensionistici. Attualmente, nella maggior parte degli Stati membri, l'età effettiva del pensionamento è di gran lunga inferiore al limite minimo previsto dai regimi obbligatori. Questa situazione provoca un rapido calo dei tassi di occupazione a partire dall'età di 55 anni nella maggior parte degli Stati membri (cfr. tabella 6.5). Questa tendenza è dovuta essenzialmente a cattive pratiche di gestione sul mercato del lavoro, dove i prepensionamenti sono stati utilizzati per ridurre gli organici. È evidente che negli Stati membri dell'UE gli incentivi contenuti nei sistemi pensionistici e i dispositivi di prepensionamento (cfr. capitolo 4.1) hanno contribuito a far scendere l'età effettiva del pensionamento ben al di sotto del limite obbligatorio. Sono pertanto indispensabili riforme per ristabilire la neutralità a livello degli incentivi al pensionamento.

    Tabella 6.5: Tassi di occupazione per classi d'età nel 1999

    >SPAZIO PER TABELLA>

    Fonte: Inchiesta sulle forze lavoro - Eurostat, riprodotto dalla relazione del Gruppo ad alto livello sulla protezione sociale

    Se si vuole ritardare l'età effettiva del pensionamento per rafforzare i tassi di occupazione dei lavoratori più anziani, sono indispensabili diversi provvedimenti. Sarà necessario, a tal fine, scoraggiare i prepensionamenti (salvo, ad esempio, in caso di lavori pericolosi o usuranti) e migliorare le opportunità di lavoro per i lavoratori più anziani. Occorre, da un lato, sopprimere gli ostacoli e i disincentivi a lavorare più a lungo. D'altra parte è necessario che i lavoratori più anziani possano accedere come gli altri alla formazione permanente e migliorare le loro qualifiche; devono inoltre poter conservare condizioni di lavoro interessanti ed avere accesso a provvedimenti mirati di promozione dell'occupazione sul mercato del lavoro in generale. Per fare in modo che i sistemi pensionistici favoriscano maggiormente l'occupazione, occorre limitare l'accesso ai prepensionamenti, instaurare regole più flessibili per la transizione verso il pensionamento e vigilare affinché le politiche del mercato del lavoro nei confronti dei lavoratori più anziani diventino realmente attive. Le risorse che sono state utilizzate per far uscire i lavoratori dal mercato del lavoro dovrebbero invece essere destinate al loro mantenimento o alla loro reintegrazione in un posto di lavoro.

    In molti Stati membri, una più forte partecipazione delle donne al mercato del lavoro costituisce un'altra via per migliorare il rapporto dipendenti/pensionati. A tal fine, è tuttavia necessario facilitare la conciliazione tra vita professionale e vita familiare, prevedendo in particolare l'offerta di strutture a costi accessibili per la custodia dei bambini. La mancanza di servizi di sostegno per le famiglie agisce da freno per le donne che restano sul mercato del lavoro e può anche condurre ad una diminuzione dei tassi di fecondità che nel lungo termine aggrava il problema dell'invecchiamento.

    La relazione del Gruppo di lavoro del CPE sull'invecchiamento della popolazione fornisce la prova della necessità di aumentare il tasso di occupazione per rimediare all'impatto dell'invecchiamento sul bilancio. Le proiezioni della spesa pensionistica sono state effettuate sulla base di uno scenario macroeconomico coerente con le conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona che invitava l'UE ad ".. accrescere il tasso di occupazione dall'attuale media del 61% a una percentuale che si avvicini il più possibile al 70% entro il 2010 e nell'aumentare il numero delle donne occupate dall'attuale media del 51% a una media superiore al 60% entro il 2010" [23]. I risultati delle proiezioni del cosiddetto "scenario di Lisbona" dimostrano che in taluni paesi (P, DK, UK, S, F) le spese pensionistiche sarebbero inferiori a quelle indicate nella tabella 6.3 derivante da uno scenario costruito sulla base delle politiche attuali. Il rafforzamento del tasso di occupazione presuppone l'adozione di misure appropriate, ma da solo non sarà sufficiente a compensare integralmente le conseguenze economiche e di bilancio dell'invecchiamento della popolazione. In molti Stati membri occorrerà probabilmente apportare taluni aggiustamenti al rapporto prestazioni/contributi nei sistemi pensionistici pubblici.

    [23] Tra le ipotesi figurano quelle di una convergenza progressiva verso l'83% dei tassi di partecipazione degli uomini e delle donne entro il 2045 e verso il 4% dei tassi di disoccupazione degli uomini e delle donne entro il 2045 (le proiezioni riguardanti la popolazione attiva sono tratte dallo scenario "alto" fornito da EUROSTAT), quella di una convergenza tra I paesi europei dei livelli di produttività e di crescita della produttività e verso i livelli degli Stati Uniti entro il 2050.

    Riforma dei regimi pensionistici pubblici

    Riforme sono in via di attuazione in parecchi Stati membri da un certo numero di anni. Esse hanno avuto per oggetto essenzialmente la modifica delle regole applicabili in materia di accesso, di contributi e di diritti a prestazioni. Ciò ha lasciato più spazio alle pensioni private, il cui sviluppo è stato incoraggiato da misure politiche quali l'esenzione fiscale dei contributi, l'obbligo di ricorrere alla previdenza privata e l'invito alle parti sociali a concludere accordi sulle pensioni aziendali. L'allegato D fornisce una sintesi delle riforme attualmente in corso a livello degli Stati membri. I progressi sono disuguali e in parecchi paesi i negoziati si trovano in una fase chiave. Tutte queste riforme comportano tuttavia un certo numero di caratteristiche comuni:

    * la maggior parte degli Stati membri sta progressivamente allineando l'età del pensionamento per gli uomini e le donne e ha in taluni casi innalzato l'età di pensionamento obbligatoria, pur non essendo riusciti ad elevare l'età effettiva del pensionamento;

    * in taluni paesi le prestazioni pensionistiche globali sono state ridotte tramite l'aumento del numero di anni presi in considerazione ai fini del calcolo dell'importo dei diritti maturati sulla base dei contributi versati da un individuo (ad esempio pensione calcolata sulla base degli stipendi percepiti durante tutta la vita attiva piuttosto che sull'ultimo stipendio), la modifica del coefficiente di accumulazione, l'aumento del numero di anni di lavoro richiesti per percepire la pensione massima, l'agganciamento delle prestazioni pensionistiche all'inflazione piuttosto che ai salari netti;

    * modifiche sono state apportate anche per migliorare l'equità attuariale delle pensioni, cioè per rafforzare il legame tra contributi e prestazioni;

    * in taluni Stati membri (UK, NL, IRL, DK) i sistemi pensionistici a capitalizzazione costituiscono una parte relativamente importante dei redditi versati alle persone anziane. Altri paesi stanno valutando di adottare misure destinate ad incoraggiare lo sviluppo di pensioni private.

    Non vi è dubbio che queste riforme hanno reso più sostenibili i regimi pensionistici pubblici. Tuttavia, come indicato in precedenza, in molti Stati membri la spesa per pensioni dovrebbe comunque aumentare in modo significativo nel corso dei prossimi decenni cosicché saranno necessarie nuove riforme. Queste riforme devono tener conto delle aspettative delle persone che hanno già versato contributi per parecchi decenni e richiedono un ampio consenso se si vuole evitare che i governi futuri ritornino sulle riforme realizzate dai loro predecessori.

    Questo ampio consenso esiste sulla necessità di ricorrere ad un approccio globale in materia di pensioni. La responsabilità dei politici non si limita ai regimi basati sulla ripartizione (primo pilastro). L'intervento pubblico influisce anche sullo sviluppo dei sistemi aziendali (secondo pilastro), che assicurano un legame con gli stipendi percepiti durante la vita attiva, e sul risparmio privato (terzo pilastro). Occorre tuttavia ricordarsi che la qualità della vita degli anziani è determinata anche dalle politiche realizzate in altri settori quali l'edilizia, la sanità e le cure di lungo termine o la prestazione di servizi gratuiti o sovvenzionati (trasporto, cultura, ecc.).

    In molti Stati membri ci si aspetta che la capitalizzazione sia chiamata a svolgere un ruolo più importante per via dell'invecchiamento della popolazione. Vista la necessità di frenare la crescita della spesa pensionistica pubblica, l'incoraggiamento delle pensioni aziendali e personali può contribuire a garantire un reddito adeguato dopo il pensionamento. Un maggiore ricorso alla capitalizzazione può migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche a lungo termine ed apportare un contributo importante allo sviluppo dei mercati dei capitali nell'UE. Per questa ragione è importante istituire un quadro legislativo che garantisca standard elevati cosicché i regimi pensionistici integrativi siano ampiamente accessibili e ben adattati alle esigenze di una forza lavoro sempre più mobile. L'UE sta partecipando a questo processo con l'adozione nell'ottobre del 2000 di una proposta di direttiva relativa alle attività di enti pensionistici per lavoratori autonomi o subordinati [24]. Ulteriori provvedimenti sono necessari per coordinare le regole nazionali riguardanti la tassazione delle pensioni integrative. Il Forum europeo delle pensioni sta attualmente esaminando gli ostacoli alla mobilità dei lavoratori derivanti dai regimi di pensione integrativa.

    [24] COM(2000)507 dell'11 ottobre 2000.

    Il contributo a livello UE

    L'invecchiamento delle popolazioni pone un gran numero di sfide di ordine sociale, economico e finanziario. Il presente capitolo ha esaminato in particolare l'impatto dell'invecchiamento della popolazione sulle pensioni pubbliche e, in misura minore, sulla spesa sanitaria. Le misure destinate a rispondere ai problemi della sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche devono far parte di un pacchetto di riforme conforme agli orientamenti proposti dal Consiglio europeo di Lisbona.

    In primo luogo, il Consiglio ECOFIN ha invitato il gruppo di lavoro del CPE ad estendere la sua analisi alle conseguenze dell'invecchiamento per il sistema sanitario. La Commissione parteciperà attivamente a questi lavori. Parallelamente continueranno i lavori del Gruppo ad alto livello sulla protezione sociale lungo le linee proposte nella comunicazione della Commissione e nella relazione intermedia presentata dal Gruppo al Consiglio europeo di Nizza.

    In secondo luogo, i lavori del CPE illustrano la diversità degli approcci possibili quando si tratta di analizzare le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione. Esiste un'ampia varietà di modelli (ad esempio i modelli CGE, la contabilità generazionale) e di indicatori e le proiezioni non coprono il medesimo orizzonte temporale. Taluni Stati membri elaborano regolarmente relazioni sulla spesa pensionistica e le presentano ad organismi legislativi, mentre altri lo fanno solo ad hoc. La Commissione propone di incoraggiare uno scambio di vedute sui metodi utilizzati per simulare l'evoluzione futura delle pensioni e delle altre spese legate all'invecchiamento.

    In terzo luogo, come proposto nella comunicazione della Commissione dell'11 ottobre 2000 sulle pensioni sostenibili, sarebbe possibile utilizzare studi statistici europei per farsi un'idea della misura in cui il pubblico è sensibilizzato alla modernizzazione dei sistemi di protezione sociale e delle attese che nutre sotto questo profilo.

    In quarto luogo, l'analisi che precede ha posto in evidenza il ruolo sempre più importante che i sistemi pensionistici integrativi saranno chiamati a svolgere nel contesto dell'adeguamento dei regimi pensionistici pubblici reso necessario dalle conseguenze finanziarie dell'invecchiamento della popolazione. Ciò dimostra chiaramente la necessità di adottare rapidamente la proposta di direttiva relativa alle attività degli enti pensionistici.

    Si dovrebbe inoltre esaminare come fare per integrare la sostenibilità nel Patto di stabilità e di crescita. Gli indirizzi di massima per le politiche economiche ed i pareri del Consiglio sui programmi di stabilità e di convergenza già contengono raccomandazioni generali sulla necessità di prepararsi agli oneri di bilancio futuri derivanti dall'evoluzione demografica. Tuttavia l'ampiezza delle sfide poste in evidenza e le ricadute transfrontaliere potenzialmente importanti nell'UEM sembrano indicare che le conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sulla finanze pubbliche devono essere affrontate in modo più sistematico a livello europeo. Nella sua relazione al Consiglio europeo di Helsinki sul coordinamento delle politiche europee, il Consiglio ECOFIN raccomandava "che le questioni di finanza pubblica assumano maggiore importanza nei programmi di stabilità e di convergenza e che l'accento sia posto maggiormente sui problemi di sostenibilità a medio e lungo termine." È arrivato il momento di porre in atto questa conclusione. Gli Stati membri hanno concordato di provvedere affinché i futuri programmi di stabilità e di convergenza contengano un capitolo sulla sostenibilità a lungo termine della finanza pubblica. Questo capitolo dovrebbe descrivere la strategia generale adottata dal governo per affrontare il problema delle conseguenze dell'invecchiamento della popolazione sul bilancio e presentare proiezioni di bilancio a lungo termine.

    Infine la Commissione esaminerà la possibilità di avviare, in collaborazione con gli Stati membri, un'inchiesta europea longitudinale sull'invecchiamento delle popolazioni. [25] Si disporrebbe così di dati essenziali per concepire politiche efficaci in settori quali la sanità e la protezione sociale che sono chiamati a rispondere alle diverse esigenze derivanti dall'invecchiamento della popolazione. L'utilità di questo tipo di inchieste è stata dimostrata dalla Health and Retirement Survey realizzata negli USA e dall'inglese Longitudinal Ageing Survey (ELSA). L'organizzazione a livello europeo di un'inchiesta longitudinale sull'invecchiamento presenterebbe vantaggi importanti, in termini di risparmio di costi, ma anche in quanto consentirebbe di garantire dati di elevata qualità e la comparabilità tra i paesi. Peraltro costituirebbe una tappa importante verso l'introduzione di un metodo di coordinamento aperto, fondato su dati ed indicatori comparabili, come raccomandato dal Consiglio europeo di Lisbona.

    [25] Questa inchiesta riguarderebbe un campione rappresentativo di persone anziane, ad esempio ultracinquantenni, e comprenderebbe dati sulla salute, la situazione economica (reddito, istruzione, occupazione, diritti a pensione, ecc.) nonché informazioni sull'assistenza sociale (aiuto in seno alle famiglie, trasferimento di attività, ecc.).

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    . Allegato B: Riforme dei sistemi di prestazioni

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    Fonti: Relazione congiunta sull'occupazione nel 2000 (28 luglio 2000); MISSOC INFO: Evoluzione della protezione sociale negli Stati membri dell'Unione europea (II/99, II/2000); DG EMPL: Piani nazionali d'azione a favore dell'occupazione, 1998, 1999 e 2000

    9. Allegato C: Riforme dei sistemi di assistenza sanitaria

    Introduzione

    Nell'analizzare l'andamento generale delle pubbliche spese e nel valutarne la qualità e il contributo alla crescita è essenziale tener conto del settore dell'assistenza sanitaria. Oltre a provvedere un servizio pubblico essenziale, l'assistenza sanitaria prestata negli Stati membri è importante in una visuale economica. Secondo i dati dell'OCSE, nel 1998 il totale delle spese per l'assistenza sanitaria si situava negli Stati membri dell'UE tra il 5,9% e il 10,6% del PIL. Negli anni '90 la percentuale del PIL degli Stati membri assorbita dalla spese sanitarie è stata in media di circa l'8%, e le spese pubbliche per la sanità hanno costituito una delle voci principali di spesa per i pubblici bilanci: la percentuale media di tali spese pubbliche rispetto al PIL è di circa il 6%. Inoltre, in genere i settori sanitari degli Stati membri sono importanti fonti di occupazione.

    I sistemi nazionali di assistenza sanitaria: analogie e differenze

    I sistemi di assistenza sanitaria degli Stati membri differiscono in misura considerevole per quanto riguarda i metodi di prestazione dei servizi, i mezzi per finanziare il sistema nel suo complesso, i sistemi di pagamento degli ospedali e dei medici. Altre differenze che non vengono trattate nel presente Allegato riguardano il numero di medici, le cure non ospedaliere ed odontoiatriche, l'ampiezza della scelta di cui dispongono i pazienti ed i regimi normativi.

    Sistemi di finanziamento [26]: Sono essenzialmente due le impostazioni di base per il finanziamento e la prestazione dell'assistenza sanitaria. Un gruppo di paesi ha optato per l'imposizione fiscale generale come fonte principale di finanziamento, mentre qualche altro paese si basa a titolo primario sulle assicurazioni sociali. Inoltre, in tutti gli Stati UE sono previsti sistemi supplementari di finanziamento, quali le assicurazioni malattia su base volontaria e gli oneri a carico dei pazienti.

    [26] Fonte: Mossialos e Le Grand (1999)

    Il gettito fiscale generale è la fonte principale di finanziamento in otto paesi (DK, UK, S, IRL, I, FIN, E, P); un'imposta destinata specificamente a tale scopo costituisce una quota rilevante del finanziamento soltanto in Italia. Altri Stati membri si basano in misura maggiore sulle assicurazioni: si tratta in particolare di F, NL, D, A, L, nei quali l'affiliazione ai sistemi di assicurazione sociale è obbligatoria, con l'eccezione dei Paesi Bassi, dove è prevista una combinazione di assicurazioni sociali e di assicurazioni private. In Belgio le imposte e le assicurazioni sociali hanno pari importanza quali fonti di finanziamento, mentre in Grecia la maggior parte del settore è finanziata dagli oneri a carico dei pazienti e il resto dal gettito fiscale generale e dalle assicurazioni sociali.

    Negli ultimi 15 anni vi sono state alcuni rilevanti modifiche nei sistemi di finanziamento: in Spagna il gettito fiscale generale ha sostituito le assicurazioni sociali come fonte dominante di finanziamento, mentre nella massima parte dei paesi si è accresciuto in certa misura il ruolo delle assicurazioni malattia su base volontaria e in molti paesi (B, FIN, S, P) sono aumentati in misura considerevole gli oneri a carico dei pazienti.

    Prestazione dei servizi: In passato, nei sistemi finanziati mediante il gettito fiscale la tendenza era che i prestatori di servizi fossero perlopiù pubblici dipendenti. In genere, nei paesi in cui vige tale regime il settore pubblico funge tuttora da agente principale per la prestazione dei servizi in alcuni settori, quali gli ospedali, i centri di assistenza sanitaria fondamentale e gli ambulatori. Tuttavia molti di questi paesi, soprattutto il Regno Unito, hanno introdotto e continuano a sperimentare regimi di servizi convenzionati, il che implica la separazione tra acquirenti e prestatori di servizi, e quindi maggiore indipendenza dei pubblici prestatori e maggiore ricorso ai prestatori privati e ai prestatori senza scopo di lucro operanti sul mercato. In tal senso, il regime di prestazione dei servizi si sta avvicinando a quello dei sistemi basati sulle assicurazioni.

    Sistemi di pagamento: Negli ultimi 15 anni si sono avuti considerevoli cambiamenti nei sistemi di finanziamento degli ospedali negli Stati membri: si sta passando dal finanziamento illimitato a posteriori delle attività ospedaliere all'introduzione di bilanci di previsione e di convenzioni tra acquirente e prestatore. I tipi principali di finanziamento degli ospedali sono i bilanci di previsione basati principalmente sulle spese registrate in passato (DK, EL, F); i bilanci di previsione basati sulle attività o funzioni ospedaliere (D, IRL, L, NL, P); i bilanci di previsione combinati con pagamenti in funzione delle attività (B, E, A); i pagamenti in funzione delle attività combinati con pagamenti basati sulla varietà dei casi (S, I) e l'acquisto di pacchetti di servizi ospedalieri (UK, FIN). Diversi sono pure i metodi di pagamento dei medici: la capitazione, ossia il pagamento in funzione del numero di pazienti (IRL, I, UK); la retribuzione fissa (EL, P, FIN, S); e/o l'onorario per ogni servizio prestato (B, D, F, L). In qualche paese il pagamento dei servizi dei medici è caratterizzato da una combinazione dei tre suddetti sistemi di pagamento. I sistemi di pagamento possono applicarsi secondo modalità diverse per i medici generici e gli specialisti: la capitazione o la retribuzione fissa è prevista più spesso per i medici generici, mentre per gli specialisti vige più spesso il sistema dell'onorario per servizio prestato.

    Tendenze nelle spese per la sanità

    Dal 1960 le spese per la sanità negli Stati membri hanno mostrato in generale una continua tendenza all'incremento: come percentuale del PIL, nel periodo 1960-1990 si sono pressoché raddoppiate. Inoltre, le spese pubbliche per la sanità si sono accresciute a un ritmo ancora più rapido, come risultato dell'incremento numerico degli affiliati alle assicurazioni sociali.

    I dati più recenti relativi agli anni '90 mostrano che negli Stati membri il totale delle spese per la sanità come percentuale del PIL ha registrato in generale un continuo aumento sino alla metà degli anni '90, anche se a un ritmo più lento che negli anni precedenti. Nella seconda metà degli anni '90, invece, le spese per la sanità come percentuale del PIL si sono o stabilizzate o ridotte (vedasi la Tabella C.1.). Purtroppo, dal 1999 non si dispone di dati comparabili e quindi non è possibile constatare se vi siano stati mutamenti in sede politica in seguito alla ripresa economica degli ultimi tempi.

    Tabella C.1: Totale delle spese per la sanità come percentuale del PIL

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    Anche la spesa nominale pro capite per la sanità (in standard di potere d'acquisto SPA-euro, vedasi la Tabella C.2) mostra una tendenza all'aumento per gli anni '90. Tra il 1990 e il 1998 la spesa nominale pro capite è aumentata in tutti i paesi, secondo tassi compresi tra il 2,1% e il 9,2%. In Svezia e Finlandia le spese registrano una tendenza un po' diversa rispetto agli altri Stati membri: infatti nei primi anni '90 si è avuto in questi due paesi un certo calo delle spese sanitarie pro capite in termini nominali.

    Tabella C.2: Totale delle spese per la sanità pro capite in SPA-euro (prezzi nominali)

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    Tabella C.3: Spese pubbliche per la sanità come percentuale del PIL

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    Nella Tabella C.3 figurano i dati sulle pubbliche spese per l'assistenza sanitaria come percentuale del PIL negli anni '90, mentre nella Tabella C.4 sono riportati i dati sulla quota di spese pubbliche rispetto al totale delle spese. La quota delle spese sanitarie a carico del settore pubblico è andata diminuendo negli anni '90 nella maggior parte dei paesi, nella massima misura in Italia, dove si è avuto un calo del 10,1% tra il 1991 e il 1998. In alcuni paesi, invece, la quota pubblica delle spese sanitarie è aumentata: in particolare in Irlanda, dove tra il 1991 e il 1998 si è accresciuta del 4,1%.

    Tabella C.4: Spese pubbliche per la sanità come percentuale delle spese totali

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    Fattori che incidono sull'andamento delle spese sanitarie

    Vari fattori differenti, relativi alla domanda e all'offerta, hanno portato all'aumento delle spese sanitarie pro capite negli ultimi anni, ma non si sa se questi stessi fattori potranno continuare a esercitare il medesimo effetto in futuro.

    Per quanto riguarda la domanda, numerosi fattori hanno influito sull'andamento delle spese per l'assistenza sanitaria:

    * Incremento dei livelli di reddito: con l'aumento dei livelli di reddito, cresce la domanda di assistenza sanitaria da parte dei consumatori. L'analisi empirica mostra che in vari paesi il livello di reddito è un elemento importante per determinare il livello generale di spese sanitarie pro capite, anche se non vi è parere unanime sul valore dell'elasticità del reddito in relazione alle spese sanitarie: secondo alcuni studi è superiore a uno, secondo altri è inferiore.

    * Estensione dell'assistenza sanitaria: negli ultimi decenni l'assicurazione obbligatoria si è estesa in grande misura. A fine secolo, in pressoché tutti gli Stati membri si è raggiunta in pratica la copertura dell'intera popolazione. Tuttavia, alcuni di tipi di cure restano generalmente esclusi.

    * Invecchiamento demografico: invecchiando, si tende a ricorrere in misura maggiore alle cure sanitarie. Gli studi su questo tipo di spese registrate in passato mostrano che l'invecchiamento non incideva in grande misura sull'aumento delle spese nel XX secolo, ma le proiezioni demografiche suggeriscono un possibile cambiamento nella prima metà del XXI secolo. Nondimeno, non è del tutto chiaro quanto l'invecchiamento demografico possa incidere sulle spese sanitarie, poiché secondo alcune fonti con l'aumento della vita media ci si può aspettare di vivere un numero maggiore di anni in buona salute. L'incidenza globale dell'invecchiamento demografico sulle spese pubbliche dipenderà principalmente dalla politiche relative all'assistenza medica a lungo termine degli anziani.

    Per quanto riguarda l'offerta, vari fattori influiscono sull'andamento delle spese per l'assistenza sanitaria:

    * Mutamenti tecnologici: in generale, i progressi nelle tecnologie mediche registrati nel settore dei prodotti farmaceutici, delle attrezzature e delle procedure mediche hanno portato a un aumento dei costi medici. Alcuni progressi hanno consentito un risparmio dei costi, ma altri hanno introdotto tecnologie più costose (di solito a maggior vantaggio dei pazienti) o hanno consentito il trattamento di casi prima incurabili.

    * Domanda indotta dall'offerta: in molti sistemi sanitari degli Stati membri si è riscontrata un'eccedenza di offerta di capitale fisico, per esempio in posti letto. Questa situazione, associata a inadeguati sistemi di pagamento, può certamente condurre a un utilizzo delle infrastrutture indotto dall'offerta (per esempio degenze ospedaliere più lunghe).

    * Grave inflazione dei costi sanitari: in molti paesi i costi sanitari hanno registrato un'inflazione molto superiore all'inflazione generale dei prezzi, con conseguente aumento della quota delle spese sanitarie in rapporto al PIL. Alti livelli d'inflazione dei prezzi sanitari riflettono in genere un basso livello di concorrenza nella prestazione di assistenza sanitaria.

    Riforme intese a contenere i costi [27]

    [27] Le informazioni sulle riforme riportate più oltre sono attinte da E. Mossialos e J. Le Grand (a cura di, 1999): "Health Care and Cost Containment in the European Union" (L'assistenza sanitaria e il contenimento dei costi nell'Unione europea), London School of Economics and Political Science.

    Contenere i costi è un tema dominante della politica sanitaria nella maggior parte degli Stati membri sin dalla metà degli anni '70. Da allora, quasi tutti gli Stati membri hanno introdotto provvedimenti intesi a contenere direttamente o indirettamente le pubbliche spese per l'assistenza sanitaria, ma il fulcro di tali riforme è cambiato di molto nel corso del tempo: dalla metà degli anni '70 alla metà degli anni '80 si è ricorso soprattutto ai controlli diretti e indiretti sulle spese sanitarie, comprendenti controlli delle infrastrutture, quali i posti letto e il personale, controlli sulle decisioni d'investimenti in capitali e in tecnologia e controlli sull'accesso agli studi di medicina.

    Tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90 l'attenzione principale è stata rivolta a provvedimenti d'imputazione in bilancio, comprendenti in un primo tempo massimali e obiettivi di bilancio, ma con un'evoluzione successiva verso la determinazione di bilanci per i singoli prestatori, spesso in combinazione con pagamenti in funzione delle attività. Si sono modificati spesso anche i sistemi di pagamento dei medici.

    In questo periodo sono proseguite le misure di controllo diretto e indiretto, evolvendosi tuttavia in controlli dei prezzi (prodotti farmaceutici, sistemi di prezzi di riferimento, schemi alternativi per il rimborso delle spese per prodotti farmaceutici) e in incentivi ad avvalersi di cure alternative a quelle ospedaliere.

    Dagli anni '80, gli Stati membri ricorrono anche a trasferimenti di bilancio, consistenti soprattutto in un maggiore partecipazione ai costi (per esempio gli oneri a carico dei pazienti) e nell'assicurazione sanitaria su base volontaria. Inoltre, si sono introdotte restrizioni relative alle cure (stabilendo priorità e limitando il rimborso per alcuni tipi di servizi, come le cure odontoiatriche) e al rimborso per certi tipi di medicinali. Alcuni paesi, non molti, hanno anche modificato il sistema di trasferimenti all'interno del bilancio pubblico, perlopiù trasferendo al bilancio dei servizi sociali i costi delle cure a lungo termine degli anziani.

    Dalla metà degli anni '90, gli elementi principali delle riforme dell'assistenza sanitaria consistono in trasferimenti di bilancio, nel razionamento e nelle decisioni di acquisto basate su fabbisogno comprovato. Negli anni '90 si è fatto anche crescente ricorso a dispositivi di controllo indiretto, quali la valutazione della tecnologia sanitaria, e all'introduzione di sistemi di gestione e d'informazione. Le riforme attuate tra gli anni '70 ed i primi anni '90 [28] hanno avuto un certo successo nel contenere il totale dei costi, ma le informazioni disponibili non sono sufficienti per valutare gli effetti a lungo termine dei provvedimenti adottati. In particolare, macromisure intese a contenere i costi spesso possono avere considerevoli ripercussioni sull'efficienza al microlivello delle prestazioni di assistenza sanitaria. Non è neanche possibile distinguere gli effetti dei singoli provvedimenti, o perché nuove misure sono seguite in tempi brevi a quelle precedenti o perché numerosi paesi hanno attuato pacchetti di riforme comprendenti vari provvedimenti distinti.

    [28] Sulle riforme più recenti vi sono scarse informazioni. La Commissione ha chiesto agli Stati membri d'informarla al riguardo.

    In termini di risultati, sembra che i provvedimenti relativi all'imputazione in bilancio siano stati il mezzo più efficace per controllare le pubbliche spese nell'assistenza sanitaria. In particolare, questi provvedimenti hanno avuto il massimo successo nei paesi nei quali l'assistenza sanitaria è finanziata principalmente mediante il gettito fiscale e nei quali vi è una situazione di monopsonio degli acquirenti unici di assistenza sanitaria. D'altro canto, i sistemi basati sulle assicurazioni di solito sono stati più efficaci nel controllare i costi, regolamentando gli onorari dei medici e attuando controlli diretti, ma i loro risultati complessivi sembrano meno uniformi e meno positivi rispetto a quelli dei paesi i cui sistemi sono finanziati mediante il gettito fiscale.

    Quadro generale delle riforme dei sistemi sanitari

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    Fonte: E. Mossialos e J. Le Grand: "Health Care and Cost Containment in the European Union" (L'assistenza sanitaria e il contenimento dei costi nell'Unione europea), London School of Economics, 1999

    10. Allegato D: Riforma dei sistemi pensionistici pubblici [29]

    [29] Base della seguente tabella è la relazione sull'attuazione degli Indirizzi di massima per le politiche economiche. La tabella non è ancora completamente aggiornata.

    B //

    In seguito alle grandi riforme introdotte nel 1997 per i dipendenti del settore privato, in collaborazione con le parti sociali il Governo sta prospettando altre riforme per i pubblici dipendenti e per i lavoratori autonomi. È in progetto anche di promuovere i fondi pensionistici privati.

    DK //

    Da qualche anno è in atto la trasformazione dell'attuale sistema pensionistico, che si basa in ampia misura sulla ripartizione, con un sistema basato in misura molto sulla capitalizzazione. Nel 1999 è stato reso permanente il contributo temporaneo al regime di pensione complementare per i lavoratori (ATP), pari all'1% del salario medio, e si sono rese più severe le norme sul pensionamento anticipato.

    D //

    La riforma delle pensioni è tuttora un punto prioritario del programma politico. È stato approvato un pacchetto di riforme fiscali grazie al quale la maggiorazione del gettito derivante dalle imposte sull'energia compensa parzialmente la riduzione delle aliquote contributive previdenziali a carico dei lavoratori e dei datori di lavoro. Per il 2000 e il 2001 si sono approvate modifiche che vincolano gli aumenti delle pensioni pubbliche all'inflazione piuttosto che all'aumento dei salari netti. Tuttavia, nei dibattiti in corso sulla riforma delle pensioni, il Governo federale ha offerto di tornare a vincolare gli aumenti delle pensioni pubbliche previsti per il 1° luglio 2001 ai salari netti (aggiustamento per tener conto dell'aumento dei salari netti in seguito alla riforma dell'imposta sul reddito). Con la programmata riforma delle pensioni ci si prefigge di ridurre l'aumento degli oneri sociali dovuto ai mutamenti demografici, così da assicurare per le pensioni un livello adeguato sino al 2030 e oltre. È in esame un sistema di pensione complementare finanziato mediante capitalizzazione. In attesa di tali riforme, si applicheranno quelle approvate nel 1998 dal Governo precedente e sospese dal suo successore.

    EL //

    Nel 1998 è stata annunciata una strategia di riforma in due fasi: la prima è di natura ampiamente organizzativa, comprendente per esempio l'introduzione di un numero unico di assicurazione sociale, mentre la seconda richiederà una profonda revisione delle pensioni pubbliche e potrebbe comprendere l'uniformazione dell'età pensionabile nei vari sistemi pensionistici, aggiustamenti a livelli sostenibili dei tassi dei contributi e delle prestazioni pensionistico e l'introduzione di un regime pensionistico professionale obbligatorio. Si è ancora in attesa dell'annuncio del passaggio alla seconda fase.

    E //

    Nel 1997 si sono introdotte grandi riforme (basate sul "Pacto de Toledo" del 1995) per conferire alle pensioni pubbliche una base più sostenibile. Per il 2000 sono previste altre riforme, comprendenti misure per rialzare l'età pensionabile effettiva e per scoraggiare il pensionamento anticipato e riguardanti anche i sistemi pensionistici speciali (per esempio per i lavoratori autonomi, per gli agricoltori). Nel 1999 si è manifestato un disaccordo tra il Governo centrale e le regioni circa l'eventualità di aumentare in misura superiore al tasso d'inflazione le pensioni regionali non alimentate da contributi. Nel 2000, per affrontare il problema dell'invecchiamento demografico si è istituita una riserva del fondo per la sicurezza sociale. Lo stanziamento iniziale ammonta allo 0,1% del PIL. Nel programma aggiornato di stabilità la Spagna si è impegnata ad incrementare tale riserva.

    F //

    Dopo aver posposto le riforme adottate nel 1997, è stata presentata nel 1999 una relazione che deve servire da base per il dialogo ora in corso tra le autorità e le parti sociali. Nel marzo 2000 il capo del Governo ha annunciato a grandi linee gli orientamenti per la riforma, comprendenti l'incremento degli stanziamenti del fondo di riserva per le pensioni, l'istituzione di un organo di controllo sulle pensioni ("Conseil d'Orientation des Retraites") e, per i pubblici dipendenti, la possibile estensione del periodo contributivo minimo necessario per aver diritto alla pensione integrale.

    IRL //

    Nel maggio 1998 il Governo ha presentato piani per istituire un sistema pensionistico ben strutturato. In base a una decisione governativa del luglio 1999, viene accantonata una provvigione annuale pari all'1% del PNL per prefinanziare i costi futuri delle pensioni pubbliche. Inoltre, parte dei proventi della privatizzazione della telecom statale sarà versata nel fondo nazionale di riserva per le pensioni (da istituire nel 2000: si attende la legge al riguardo), mentre un'altra parte di tali proventi è stata utilizzata per riscattare gli obblighi statali futuri relativi alle pensioni maturate dal personale della telecom prima della privatizzazione.

    I //

    Negli anni '90, da ultimo nel 1997, si è intrapresa una serie di riforme grazie alle quali si è potuto ridurre il tasso di crescita delle spese per le pensioni in rapporto al PIL rispetto alla situazione precedente. Tuttavia, le spese per le pensioni pubbliche restano elevate e potrebbero minare la sostenibilità a lungo termine delle pubbliche finanze. Le principali manchevolezze del sistema attuale sono l'eccessiva lunghezza del periodo di transizione e l'entità piuttosto generosa delle prestazioni, sotto il profilo attuariale. Inoltre, vi è tuttora molta incertezza sulle future riforme. Nel 1999 e nel 2000 non si è apportata al sistema nessuna modifica. Per l'inizio del 2001 è prevista una revisione dei parametri del sistema.

    L //

    Nel 1998 si sono introdotte riforme per equiparare al sistema pensionistico del settore privato il sistema per i pubblici dipendenti di nuova assunzione.

    Poiché un'ampia percentuale delle pensioni è già finanziata mediante capitalizzazione, si stanno affrontando gli effetti dell'invecchiamento demografico riducendo il debito pubblico e adottando misure per accrescere il tasso di occupazione.

    A //

    Nel 1993 e più di recente nel 1998 si sono adottati grossi pacchetti di riforme. L'ultima riforma prevede incentivi per il pensionamento anticipato e norme più rigorose per la concessione della pensione d'invalidità ed ha equiparato al sistema generale il sistema pensionistico per i pubblici dipendenti. Inoltre è stata introdotta una formula di adeguamento annuale per far fronte all'incidenza finanziaria dell'aumento della vita media. Tuttavia, questo provvedimento è stato sospeso nel 1998 e nel 1999 e sarà riesaminato nel 2000.

    P //

    In seguito a un Libro bianco presentato nel 1998, il Parlamento ha approvato nel luglio 2000 una nuova legge quadro, che si dovrebbe attuare nel prossimo futuro. Le novità sono maggiore flessibilità dell'età pensionabile e modifica del calcolo della pensione (invece che dei 10 anni migliori sugli ultimi 15, si terrà conto di tutto il periodo contributivo), il che renderà il sistema molto meno generoso. Inoltre, il fondo di stabilizzazione sarà incrementato sino a raggiungere l'equivalente di quasi il 50% delle attuali prestazioni annuali per le pensioni del settore privato. A fine 1999, gli attivi accumulati di questo fondo erano pari a circa il 3% del PIL.

    FIN //

    Nel 1999 le organizzazioni del mercato del lavoro hanno raggiunto l'accordo su provvedimenti intesi a posporre il pensionamento e ad estendere la partecipazione attiva. Grazie anche a un cospicuo saldo primario del bilancio, sarà così più agevole affrontare nei prossimi anni l'aumento delle spese dovuto all'invecchiamento demografico. Tuttavia, permangono interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine dei sistemi attuali di pensioni pubbliche; inoltre, potrebbero essere necessarie altre riforme per porre rimedio a squilibri alla fonte.

    S //

    Si stanno introducendo le riforme adottate nel 1998, che prevedono un aumento del sistema di capitalizzazione delle pensioni e stabiliscono un più stretto nesso tra i contributi versati e le prestazioni che si ricevono, tenendo conto quindi dell'intera carriera lavorativa. Si sono modificate le clausole d'indicizzazione.

    Secondo le stime pubblicate nel 1999, gli oneri che l'invecchiamento demografico comporta per le pubbliche finanze si prospettano relativamente poco gravosi. Le vaste riforme proposte a fine 1998 e adottate nel 1999 prevedono la "garanzia di reddito minimo" e la sostituzione del regime di pensioni statali correlato ai redditi (SERPS) con una seconda pensione forfetaria.

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