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Document 51998IE0976

    Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Sfruttamento dei minori e turismo sessuale»

    GU C 284 del 14.9.1998, p. 92 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

    51998IE0976

    Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Sfruttamento dei minori e turismo sessuale»

    Gazzetta ufficiale n. C 284 del 14/09/1998 pag. 0092


    Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Sfruttamento dei minori e turismo sessuale»

    (98/C 284/16)

    Il Comitato economico e sociale, in data 19 marzo 1997, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 11, quarto comma, e 19, primo comma, del Regolamento interno, di istituire il Sottocomitato «Lotta contro lo sfruttamento dei minori ed il turismo sessuale» incaricato di preparare i lavori sul tema di cui sopra.

    Il Sottocomitato ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Sklavounos, in data 8 giugno 1998.

    Il Comitato economico e sociale ha adottato il 2 luglio 1998, nel corso della 356a sessione plenaria, con 72 voti favorevoli e 3 astensioni, il seguente parere.

    SINTESI DELLE PRINCIPALI PROPOSTE

    Il Comitato economico e sociale ritiene che l'allarmante diffusione del fenomeno dei maltrattamenti, dello sfruttamento e degli abusi ai danni dei minori richieda da parte della società una nuova presa di posizione e una mobilitazione generale. Sarebbe opportuno andare oltre la semplice condanna pubblica del fenomeno, oltre le reazioni a suon di «decreti» o di politiche frammentarie volte a limitare i danni. La società deve prendere posizione di fronte alle cause primarie degli abusi ai danni dell'infanzia, invece di limitarsi ad arginarne le conseguenze. Il Comitato sollecita pertanto l'adozione di un approccio onnicomprensivo, preventivo e precorritore che metta al primo posto l'infanzia nella prassi politica quotidiana, nelle attività sociali e nello sviluppo culturale.

    A. Come affrontare a livello internazionale i fattori all'origine dei maltrattamenti, degli abusi e dello sfruttamento di minori

    A.1. L'Unione europea (UE) è in grado di guidare gli sforzi destinati ad aiutare le Nazioni Unite (ONU) ed altri organismi internazionali che si occupano di sviluppo ad assumere un ruolo efficace nella lotta contro la povertà e le forme più intollerabili di abuso e di sfruttamento dell'infanzia grazie a un impiego più efficace dei loro fondi, il ricorso a strumenti giuridici d'azione a livello comunitario e internazionale, e l'inserimento esplicito dei diritti dell'infanzia nella politica estera comunitaria.

    A.2. Tramite il proprio dialogo strutturato e la cooperazione con le controparti a livello nazionale e internazionale e i membri che lo compongono, il Comitato può adottare l'iniziativa di incoraggiare e agevolare la costituzione di enti in grado di attuare valide politiche precorritrici a favore dell'infanzia.

    B. Proposte per coordinare una politica efficace a livello europeo

    B.1. Le tradizionali misure di sostegno alla famiglia e ai figli, sotto forma di offerta di asili nido, congedo parentale e assegni familiari, devono essere accompagnate da e coordinate con nuove azioni in materia di urbanistica e di risanamento dei centri abitati che risultino più attente alle esigenze dell'infanzia.

    B.2. Il Comitato sarebbe anche favorevole a misure di risanamento della «città» come dimensione che presenta una valenza civica, sociale e di cultura della partecipazione. Propone in particolare una rete di città a misura di bambino, favorendo ad esempio le occasioni di reinserimento sociale degli anziani e di impiego delle loro capacità tramite azioni di volontariato in collaborazione con gli asili nido, le scuole, i parchi pubblici, ecc., le occasioni per gruppi di volontari anziani e più giovani di collaborare a «joint venture», scuole-laboratorio per apprendere le arti e le tecnologie divertendosi, un intervento sistematico volto a recuperare il concetto di «quartiere», conversione dei ghetti in luoghi di interazione culturale, collegamenti, sotto il profilo organizzativo, tra città e campagna, forme di turismo alternative, sistemi di trasporto pubblico che tengano conto delle esigenze dell'infanzia, spazi aperti e luoghi pubblici, stazioni, parchi e piazze sicuri, aree ricreative per i bambini e scuole di quartiere che offrano strutture ricreative con funzione educativa e istruttiva.

    B.3. L'UE dovrebbe incoraggiare tutte le parti interessate a considerare come prioritarie la questione della scuola nel XXI secolo e l'apertura della realtà scolastica alla società. La scuola nel XXI secolo dovrebbe in futuro costituire la forza in grado di organizzare e orientare le città europee, la vita sociale, l'inserimento e il reinserimento. Il Comitato, in collaborazione con i suoi omologhi a livello nazionale e regionale, può inoltre contribuire al dibattito sulla «scuola del futuro» con la partecipazione dei soggetti socioeconomici interessati, del mondo accademico, delle organizzazioni di genitori e delle autorità civili.

    C. Come incoraggiare i giovani e i cittadini a partecipare in prima persona alla vita civica, sociale e culturale a tutti i livelli

    C.1. Un'azione su scala europea dovrebbe dare nuovo impulso a una cultura della partecipazione tra le generazioni più giovani e le organizzazioni giovanili. In collaborazione con la Commissione europea, il Parlamento europeo, l'Unicef, il Comitato delle regioni e le organizzazioni che coordinano i movimenti giovanili a livello europeo, il Comitato può organizzare un Convegno paneuropeo sul tema della partecipazione dei giovani in Europa.

    C.2. Un programma dal titolo «Gioventù per l'Europa 2000+», possibilmente sotto l'egida di un nuovo Commissario europeo per la gioventù, potrebbe comprendere vari tipi d'azione e di progetti pilota quali, ad esempio, attività che stimolino la partecipazione dei giovani, forum permanenti transnazionali di dialogo culturale, tematico e interconfessionale, incentivi destinati ai mass media, un centro permanente per la diffusione delle prassi migliori, una Politica culturale europea per l'infanzia () che preveda le seguenti iniziative:

    - una Biblioteca europea per l'infanzia;

    - un festival annuale di spettacoli per bambini;

    - un'accademia musicale per i bambini d'Europa;

    - un festival del cinema e del teatro europeo per ragazzi;

    - una migliore applicazione delle direttive comunitarie in vigore che tutelano lo sviluppo fisico, intellettivo e morale dei minori nei programmi e nelle pubblicità televisive;

    - manifestazioni sportive per la gioventù a livello europeo e politiche concertate per lottare contro la violenza e il razzismo nello sport;

    - programmi comunitari positivi per i bambini con bisogni particolari, che considerino la disabilità come una potenziale fonte di competenze e sensibilità;

    - turismo culturale per la gioventù (scambi transnazionali tra famiglie, campi internazionali per i giovani e vacanze multiculturali «tutto compreso» per i più piccoli);

    - attenzione nei confronti delle esigenze dei bambini nelle iniziative previste per le «Capitali europee della cultura» e in manifestazioni analoghe;

    - estensione del Programma Raphael che mira a salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale in particolare in altri settori, quali i laboratori d'arte tradizionali, i musei del folklore o le scuole di musica popolare e tradizionale;

    - programmi volti a lottare contro l'indifferenza e la passività politica, incoraggiare la partecipazione alla vita politica e promuovere la tolleranza e la comprensione;

    - cooperazione più dinamica e maggiormente orientata verso l'infanzia, tale da coinvolgere genitori, enti pubblici, organizzazioni locali, ambienti economici, operatori socioprofessionali e scuole;

    - nuove disposizioni nell'ambito del Trattato.

    D. Mobilitazione generale della società e ruolo del Comitato

    D.1. A livello europeo, il Comitato può assumersi il compito di istituire un comitato permanente a cui affidare l'analisi e la presentazione di modelli, strumenti e metodi per sensibilizzare i cittadini e mobilitare i gruppi sociali, i gruppi d'interesse e le organizzazioni di volontariato nella lotta contro l'alienazione e lo sfruttamento dei minori, nella prospettiva di promuovere l'elaborazione di un «nuovo contratto sociale europeo per l'infanzia».

    E. Il problema dei maltrattamenti a sfondo sessuale dei minori e del turismo sessuale che coinvolge l'infanzia

    E.1. Gli abusi ai danni dell'infanzia hanno assunto oggigiorno una dimensione in Europa che non è solo attribuibile a situazioni di povertà e indigenza, ma è anche un sintomo di crisi sociale, di concezione materialistica dell'esistenza e di decadenza morale. Ad essere interessati, in Europa, sono in qualche misura la «cultura dell'erotismo», i valori e gli standard attualmente imperanti, nonché la condotta morale che è impossibile cambiare da un giorno all'altro o per decreto. Nonostante le indubbie difficoltà, l'elaborazione di una politica a livello regionale, nazionale e comunitario che metta fine alla prostituzione e agli abusi ai danni dei minori costituisce un'impresa a lungo termine di importanza fondamentale che coinvolge ovviamente i mass media e presuppone un sistema di valori che mette al primo posto l'integrità e la sacralità della natura umana da associare alla solidarietà intesa come gradita manifestazione d'interesse per gli altri e non come «obbligo politico».

    E.2 Il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia non è che un aspetto e al tempo stesso un sintomo della situazione generale, ma ha la caratteristica di poter essere affrontato più nell'immediato e in modo più specifico. Occorre formulare dei codici di condotta in tempi brevi così da smascherare gli operatori che offrono questa forma di servizi in Europa e inserire tale tematica tra i punti all'ordine del giorno del processo di ampliamento dell'UE ai paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO), dell'iniziativa Euromed e (come già avvenuto per la Conferenza ASEM di Londra) del dialogo con i paesi dell'Estremo Oriente.

    F. Il lavoro minorile

    F.1. Il Comitato sostiene le proposte generali elaborate in occasione della Conferenza dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) di Amsterdam sul tema del lavoro minorile e i preparativi per una nuova Convenzione sull'eliminazione delle forme più intollerabili di lavoro minorile. Il Comitato sottolinea in questo contesto la particolare vulnerabilità delle bambine e delle giovani. È indispensabile favorire un'azione concertata che veda coinvolti i governi, le parti sociali e le ONG.

    1. Introduzione

    1.1. In tutto il mondo si assiste alla continua violazione dei diritti dell'infanzia. Lo sfruttamento e il traffico di minori, gli abusi, il lavoro coatto ed altre forme di lavoro minorile, il turismo sessuale, la pornografia infantile, il traffico di droga, la guerra e le torture inflitte ai minori sono tutti fenomeni in rapida espansione. Essi non fanno distinzione tra paesi sviluppati o in via di sviluppo, né sono associati a tradizioni religiose o politiche particolari.

    1.2. Le forme di sfruttamento e di abuso dei minori - ivi comprese le modalità adottate per dissimularle - variano a seconda dello sviluppo economico e organizzativo della società. Nei paesi in via di sviluppo, ad esempio, il lavoro coatto e il turismo sessuale costituiscono i problemi maggiori, che invece, nei paesi sviluppati, sono la pornografia infantile e la richiesta strutturata di minori da sfruttare per il turismo sessuale. Nel Terzo Mondo i bambini sono impiegati per la produzione e lo spaccio delle droghe tradizionali, mentre nei paesi industrializzati sono sfruttati per il traffico di droghe non solo tradizionali, ma anche sintetiche.

    1.3. Nonostante gli sforzi compiuti finora dalle organizzazioni internazionali (ONU, Unesco, Unicef, Consiglio d'Europa, Consiglio ecumenico delle Chiese, OIL, movimenti sindacali internazionali e ONG, ecc.), la società non si è finora mobilitata a sufficienza - a livello non solo europeo, ma anche mondiale - di fronte al problema e si è mostrata più propensa ad optare per una limitazione dei danni che non per un'eliminazione delle cause primarie dello sfruttamento e degli abusi ai danni dei minori.

    1.4. Questo problema grave e complesso non getta soltanto discredito sulla nostra cultura moderna, ma costituisce anche un'accusa irrefutabile nei confronti delle generazioni del dopoguerra che non sono riuscite a gestire il capitale umano e sociale di cui disponevano e la cultura del vivere quotidiano.

    1.5. La politica delle grandi condanne pubbliche, e così pure l'approccio moralistico e legalistico nei confronti del problema, associato alla rigida applicazione delle norme vigenti, non hanno prodotto un maggior rispetto per la legge e l'ordine pubblico, né meccanismi tali da rendere possibili efficaci azioni e misure preventive.

    1.6. Il problema, oltre alla componente morale, presenta ben altri aspetti e riguarda la società europea e l'umanità intera senza distinzioni di classe, reddito o cultura.

    1.7. La natura e la portata del problema evidenziano un sempre maggiore disprezzo per l'integrità dell'essere umano e la sacralità della vita umana tramite una ignobile mercificazione del corpo umano e dei rapporti sessuali.

    1.8. Gli effetti di questi fenomeni e la graduale assuefazione della società alla loro presenza dilagante sottopongono a forti tensioni e a rischio i sistemi di valori e i principi fondamentali su cui si è formata la cultura europea e, più in generale, umana, con le relative conseguenze. La progressiva erosione di tali valori e codici di comportamento ha pervaso tutti i livelli della società. Prova ne siano alcuni esempi recenti in paesi europei, che testimoniano peraltro una sempre maggiore consapevolezza e reazione a tali fenomeni.

    1.9. Per quanto lodevole, la ratifica pressoché generalizzata della Convenzione dell'ONU sui diritti del fanciullo () non ha sfortunatamente debellato il problema su scala internazionale. La questione figurava nell'agenda politica dell'Unesco in occasione del Vertice di Parigi del 1994, del Consiglio d'Europa nelle successive risoluzioni adottate dai ministri e dall'Assemblea parlamentare, nonché del Parlamento europeo e dal Consiglio dei ministri dell'UE. Il Congresso mondiale sullo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali, tenutosi a Stoccolma nel 1997, e il Vertice sulle misure di lotta contro le forme più intollerabili di lavoro minorile, svoltosi a Amsterdam, costituiscono i tentativi più recenti di affrontare il problema di cui anche il Comitato ha evidenziato l'importanza (). Si auspica l'adozione e la ratifica in tempi brevi della nuova Convenzione OIL per la lotta contro le forme più intollerabili di lavoro minorile. Lo sfruttamento commerciale dei minori dovrebbe essere inserito tra le questioni all'esame dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

    2. Natura e portata del problema

    2.1. Lavoro minorile

    2.1.1. Secondo le cifre fornite dall'OIL e dalla Commissione, nel mondo lavorano 400 milioni di bambini tra i 10 e i 14 anni (le cifre sarebbero più elevate se si contassero anche le bambine impegnate nei lavori domestici). Si valuta che 80 milioni, dei 400 complessivi, si trovino a lavorare in condizioni di pericolo e di rischio, e che, di questi, 15 milioni siano impiegati nella produzione di beni destinati all'esportazione. Oltre 300 milioni di bambini non vanno a scuola. L'analfabetismo interessa quasi un miliardo di adulti - di cui 600 milioni donne. La percentuale di bambini che, pur in età scolare, non frequenta la scuola, diventando così potenziale forza lavoro, è così stimata: 47 % nell'Africa subsahariana, 16 % nel Medio Oriente e nel Nord Africa, 34 % nell'Asia meridionale, 6 % nell'Asia orientale e nel Pacifico, 12 % in America latina e nei Caraibi e 13 % nei PECO/CSI e nei paesi baltici (). Attualmente, in Europa lavorano almeno 5 milioni di minori.

    2.1.2. Il lavoro minorile è al tempo stesso causa ed effetto della povertà e di politiche dell'occupazione inadeguate. È uno dei peggiori esempi di «dumping sociale», in base al quale le attività lavorative vengono spostate, su scala internazionale, nei mercati che impiegano i bambini in nero e offrono loro condizioni di protezione minima, se non addirittura nulla, violando così la Convenzione n. 138 dell'OIL e pregiudicando le disposizioni del GATT. Il lavoro minorile e lo sfruttamento commerciale/sessuale dell'infanzia prosperano dove la povertà è più diffusa.

    2.1.3. Secondo l'Unicef («The state of the world's children», 1997/Unicef.), le proporzioni del lavoro minorile sono diminuite nel mondo occidentale grazie alla combinazione dei seguenti elementi: disposizioni legislative, introduzione dell'istruzione obbligatoria, incremento del reddito familiare e progressi tecnologici, che hanno reso l'impiego di minori meno interessante agli occhi dei datori di lavoro.

    2.2. I bambini di strada

    2.2.1. Secondo le cifre fornite dall'ONU e in base alla definizione di «bambino di strada» formulata dall'Unicef, attualmente, nel mondo, vivono per la strada circa 100 milioni di bambini, così distribuiti geograficamente:

    - America latina: 40 milioni;

    - Asia: 25-30 milioni;

    - Africa: 10 milioni.

    I restanti 20-25 milioni sono ripartiti tra Nord America e Europa.

    La stragrande maggioranza di questi bambini fa inoltre consumo di droga ed è vittima della prostituzione e di ambienti criminali.

    2.2.2. A questo proposito va sottolineato che è pressoché impossibile disporre di statistiche su sfruttamento, abusi, maltrattamento e abbandono di minori nell'UE, nonché sul numero di bambini che nell'UE vivono per strada o negli orfanotrofi, o che sono coinvolti nei giri della prostituzione. È deplorevole che le istituzioni europee documentino le dimensioni del problema su scala mondiale, tacendo invece della sua forte presenza nell'UE. L'opinione pubblica (e più in generale il mondo che ci mette a disposizione sue statistiche) ha il diritto di sapere quale sia la portata del problema in Europa. Pur in mancanza di precisi dati statistici provenienti da fonti affidabili come il Consiglio d'Europa o l'Unicef, le cifre disponibili confermano comunque che il problema in Europa è grave e per giunta destinato a peggiorare. I bambini che vivono in strada o si prostituiscono rappresentano dunque un fenomeno anche europeo.

    2.3. Prostituzione e pornografia infantile, traffico di minori e pedofilia

    2.3.1. Ogni anno, almeno un milione di bambini cade nella rete della prostituzione ().

    2.3.2. Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi - con tutti i sommovimenti economici e sociali che sono poi seguiti - il problema del traffico transnazionale di bambini in Europa (come dimostrano i tragici fatti avvenuti di recente in varie parti d'Europa) si è costantemente aggravato. Si ritiene che attualmente siano molti i bambini originari dei paesi dell'Est a vivere illegalmente nell'UE. Essi sono in grado di restare e di sopravvivere nell'UE per lo più grazie ai proventi della prostituzione o dell'«industria del sesso», con evidenti effetti diretti e indiretti sulla salute pubblica, la criminalità e il traffico di droga.

    2.4. La povertà e i bambini

    2.4.1. Secondo l'«Information Newsline» dell'Unicef del 18 aprile 1997 (che si basava su uno studio della Banca mondiale) oltre 650 milioni di bambini vivono con meno di un dollaro al giorno. Da uno studio condotto dalla Commissione emerge che ogni anno muoiono 14 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni di età ().

    2.4.2. Per il 2000, contrariamente alle tendenze rilevabili in Europa, il 50 % della popolazione mondiale avrà meno di 25 anni e la maggioranza vivrà al di sotto della soglia di povertà. Rispetto al 1980, nelle città vivranno 247 milioni in più di persone tra i 5 e i 19 anni d'età.

    2.4.3. Secondo le statistiche per l'anno 1993 relative agli allora 12 Stati membri della Comunità europea (cfr. Eurostat 1997/6), 13 milioni di persone con meno di 16 anni - vale a dire un minore su 5 - vivevano in condizioni di povertà nella sola Europa a 12. Particolari difficoltà incontrano i figli di famiglie monoparentali, di madri non sposate o minorenni e quelli appartenenti a minoranze etniche.

    2.5. Altre forme di abuso - alienazione sociale, paura, crimine e violenza

    2.5.1. Paure e pericoli nei centri città

    L'80 % della popolazione europea (pari a 263,3 milioni di abitanti) vive nei centri urbani. In molte parti d'Europa, la città non è più un luogo desiderabile dove far crescere i propri figli. Molti bambini in Europa vivono oggi temendo i luoghi pubblici e sono spaventati e minacciati dalla società, dalla città e dall'ambiente sociale in senso lato. Le loro paure e i rischi a cui vanno incontro nei luoghi pubblici fanno sì che la televisione e i videogiochi assumano un ruolo preponderante nella loro vita quotidiana. Sono sempre più numerosi i bambini europei che crescono senza disporre di occasioni sufficienti per una sana socializzazione. Questo fenomeno è aggravato dalla mancanza di spazi appropriati dove poter giocare, soprattutto nelle aree più depresse, e dal numero sempre crescente di famiglie monoparentali e di bambini che vivono soli, senza più illusioni e mezzi di sostentamento sufficienti, nelle città europee.

    2.5.2. Alienazione sociale (bande e gruppi di estremisti)

    Le bande locali sono oggigiorno un fenomeno diffuso - specie nelle aree urbane depresse - su tutto il territorio europeo. Aumentano i reati associati ad un comportamento criminale e antisociale, come il teppismo calcistico, il vandalismo, il furto, le percosse e gli scippi ai danni degli anziani. Il bisogno che i ragazzi avvertono, in Europa, di rapporti umani autentici, di contatti e di comunicazione, il loro senso d'isolamento e il loro desiderio di appartenenza trova uno sfogo nella banda del quartiere o nel gruppo estremista. Il problema si fa oggigiorno sempre più pressante soprattutto nelle aree depresse abitate dalle minoranze, che diventano terreno fertile per l'odio e il razzismo etnico e religioso. La naturale socialità dell'essere umano trova espressione in attività di gruppo antisociali. Si formano così legami formali tra le bande locali e il crimine organizzato, la ricettazione, il traffico, la prostituzione e lo sfruttamento, a fini politici, da parte di gruppi di fanatici fondamentalisti e razzisti.

    2.5.3. La famiglia e la scuola

    Allo stesso tempo, però, le cosiddette «istituzioni sociali», che avrebbero il compito di contrastare questo senso di alienazione e le attività antisociali, sono esse stesse interessate dai medesimi fenomeni cumulativi. La «famiglia», ad esempio, è il luogo per eccellenza dove il minore viene trascurato, subisce violenze e abusi sessuali. Le scuole, poi, stanno progressivamente degenerando in luoghi di alienazione sociale in cui la mancanza di disciplina e di rispetto, le assenze ingiustificate e la prepotenza costituiscono in alcuni casi la norma.

    3. Cause primarie

    Lo sfruttamento e gli abusi ai danni dell'infanzia non possono essere ricondotti a un singolo fattore o causa primaria in quanto assumono forme e portata diverse. Essi sono il risultato degli effetti cumulati e esponenziali di tutte le cause primarie illustrate finora in combinazione tra loro. Le tante cause primarie interagiscono tra di loro condizionando:

    - i genitori e la realtà familiare;

    - i figli e;

    - la società in senso lato.

    Si ritiene che i principali fattori siano ():

    - sgretolamento della famiglia in quanto istituzione;

    - crisi della scuola;

    - crisi della realtà urbana e relativa disgregazione;

    - crisi culturale (che emerge evidente in questo clima sempre più marcato di consumismo individualistico);

    - inefficienza e crisi di credibilità delle istituzioni preposte al rispetto della legge e dell'ordine pubblico (magistratura, forze di polizia, ecc.);

    - perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni portatrici, per tradizione, di coesione sociale (chiesa, organizzazioni politiche e sociali, sindacati, ecc.);

    - disoccupazione, emarginazione sociale e povertà,

    - mancanza di volontà politica o di capacità di affrontare le cause primarie.

    Un riconoscimento di tutti i fattori appena elencati costituisce la chiave per sviluppare strategie in grado di fronteggiare con successo il problema.

    3.1. Crisi della famiglia in quanto istituzione e soluzioni possibili

    3.1.1. La crisi che investe la famiglia - la più antica istituzione della società umana - viene considerata una delle cause primarie dei problemi che i bambini d'Europa e del mondo si trovano oggi a dover affrontare.

    3.1.2. Quel che è successo alla famiglia in quanto istituzione è il prodotto di molti fattori - per lo più socioeconomici - che condizionano in termini organizzativi le attività produttive e lavorative, i luoghi in cui dimora il lavoratore, nonché i collegamenti tra posto di lavoro e domicilio.

    3.1.3. La predominanza del modello della fabbrica nell'organizzazione delle attività produttive e lavorative e della realtà abitativa (ivi compresi i rapporti familiari, vale a dire il tipo di regime familiare dettato da tale modello) sta finendo. Nuovi modi di organizzare la produzione, il lavoro e più in generale la società della «conoscenza» e dell'«informazione» condizionano ora la famiglia in quanto istituzione.

    3.1.4. La separazione tra posto di lavoro e domicilio, la segregazione per gruppi d'età, la perdita da parte della famiglia della funzione di aggregazione sociale e culturale non sono più un fatto ineluttabile ora che esistono altri modi di organizzare la produzione ed il lavoro. Grazie al ruolo innovatore delle piccole e medie imprese e al telelavoro, nuove prospettive si aprono per la famiglia.

    3.1.5. Nelle principali decisioni e strategie a livello comunitario a favore di uno sviluppo urbano e sociale sostenibile o nel quadro dell'iniziativa «Urban», ecc., devono figurare politiche atte a riconciliare il lavoro con la vita familiare, da non adottare isolatamente, ma secondo un approccio organico e onnicomprensivo.

    3.1.6. Le tradizionali misure di sostegno alla famiglia e ai figli, quali l'offerta di asili nido, il congedo parentale e gli assegni familiari, vanno ora accompagnate da nuove iniziative tra di loro coordinate in materia di urbanistica e risanamento dei centri abitati, fornendo aree dove i bambini possano giocare in condizioni di sicurezza e creando, più in generale, le condizioni necessarie a recuperare il concetto di «quartiere» come luogo e tessuto sociale in grado di contrastare il clima spesso prevalente di paura e insicurezza. Ciò comporta tra l'altro una riforma radicale della scuola in quanto istituzione, che tenga conto delle future esigenze - demografiche, educative, ecc. - e la creazione di istituti per l'apprendimento a distanza e l'avvio di una strategia per il reinserimento sociale degli anziani.

    3.1.7. Per strategia di reinserimento degli anziani non si intende soltanto una loro convivenza con i membri attivi della famiglia, che non è ovviamente di per sé necessario porre come obiettivo. Tale strategia potrebbe invece proporre l'alternativa di abitare nello stesso quartiere, ma non sotto lo stesso tetto, nel qual caso non vi sarebbe emarginazione a causa del fattore età.

    3.1.8. Un sostegno destinato a tutte le famiglie che consenta loro di risolvere il problema della dipendenza grazie alla riforma degli asili nido, della scuola materna e del sistema scolastico in modo da consentire ai genitori di conciliare il lavoro con le loro responsabilità parentali potrebbe anch'esso contribuire a togliere dalla strada un numero crescente di bambini.

    3.1.9. Tra le politiche atte a controbilanciare gli effetti prodotti dalla crisi della famiglia e dall'assenza dei genitori da casa devono anche figurare misure atte a migliorare la qualità dei programmi televisivi per bambini ed a fornire incentivi a livello europeo, nazionale e locale.

    3.1.10. Le misure atte ad offrire locali (dove svolgere le proprie attività) e sostegno alle PMI devono essere coerenti con gli interventi atti a promuovere sistemi di quartiere funzionanti.

    3.1.11. È particolarmente significativo che, nonostante o forse proprio a motivo della crisi che sta attraversando in Europa, la famiglia costituisca il valore più importante agli occhi dei giovani, che considerano la famiglia e l'amicizia i loro più grandi ideali, ponendo al terzo posto il lavoro.

    3.1.12. I rapporti in cui la comunicazione esiste davvero, i rapporti umani autentici nell'ambito dell'istituzione tradizionale della famiglia e dell'amicizia vengono favoriti da un ambiente urbano caratterizzato da stabilità e continuità. La crisi delle città, e quella della famiglia, l'esodo verso le periferie, la frammentazione delle città e la disgregazione dei quartieri si cumulano assieme a condizionare in varie forme la problematica esistenza di tanti bambini europei. Isolamento, disperazione, presenza eccessiva della televisione nella vita quotidiana e ricerca di rapporti umani soddisfacenti che induce poi a formare gruppi di estremisti, bande di quartiere e gruppi di consumo di droga sono tutti problemi non insormontabili, per i quali deve e può esservi una soluzione. Quel che occorre è ovviamente una nuova politica di coesione onnicomprensiva coerente che inserisca la crisi della famiglia nel contesto dello sviluppo urbano sostenibile.

    3.2. La crisi della scuola

    3.2.1. Al pari della famiglia, anche la scuola attraversa una crisi che contribuisce in modo sostanziale alla delinquenza e alla criminalità giovanile, nonché agli abusi e allo sfruttamento dei minori in Europa.

    3.2.2. La scuola in Europa sta attraversando serie difficoltà, che sembrerebbero una delle ragioni per cui sono tanti i minori che abbandonano gli studi, con conseguente alienazione, emarginazione, sfruttamento e abusi perpetrati ai loro danni.

    3.2.3. I problemi della scuola in Europa variano ovviamente a seconda del contesto sociale in cui è inquadrata la singola istituzione, ma si può affermare che, in diversa misura, taluni problemi siano comuni a tutte le scuole.

    3.2.4. Il disinteresse per il processo di apprendimento, il bambino che porta con sé in classe i problemi familiari, la cultura della televisione, la violenza a scuola, il rapporto insegnante-alunno e la mancanza di autodisciplina e di rispetto reciproco sono alcuni dei problemi principali della realtà scolastica in Europa.

    3.2.5. In linea di principio, la scuola come luogo e come sistema, il suo ruolo nel quartiere, le sue finalità, gli strumenti che utilizza e il suo collegamento con la società rientrano tra i punti all'ordine del giorno per la competitività e l'efficacia dell'istruzione e della scuola in Europa e per l'istruzione e per la formazione permanente.

    3.2.6. Se a forgiare l'Europa industriale è stata la fabbrica, allora devono essere l'istruzione, la formazione, l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e la scuola del XXI secolo, con tanto di supporto multimediale, ad orientare e a definire l'organizzazione delle città europee del futuro.

    3.2.7. Una scuola tagliata sulle esigenze della produzione di massa non è ovviamente adatta alla società della conoscenza e dell'informazione. Inoltre, la scuola del XXI secolo come strumento di apprendimento e di formazione lungo tutto l'arco della vita può e deve essere ovviamente all'insegna della coesione sociale, ristabilendo i contatti tra una generazione e l'altra e mettendo a frutto le capacità degli anziani, deve essere una scuola che offra amicizia e non coercizione sorveglianza ai bambini d'Europa, un luogo che associ l'offerta di istruzione, apprendimento, formazione, svago e nuovo impulso alla coesione intellettuale e culturale. È a scuola che lo «spirito di partecipazione» e la «virtù civica» della città europea - per il momento scomparsi - dovrebbero essere vivificati e recuperati. E l'Europa ha un ruolo da svolgere in questo senso.

    3.3. La crisi della città

    3.3.1. Nella Comunicazione dal titolo «La problematica urbana: orientamenti per un dibattito europeo» () la Commissione ritiene che il punto centrale nella discussione generale sulla crisi delle aree urbane in Europa sia il seguente:

    «In molte parti d'Europa, la città non è più un luogo desiderabile dove far crescere i propri figli, dove passare il tempo libero o in generale dove vivere. Questa erosione del ruolo della città è forse la più grave minaccia al modello europeo di sviluppo e di società, e senz'altro una questione che richiede un ampio dibattito.»

    3.3.2. Gli aspetti fondamentali della crisi sono: eccessiva concentrazione della popolazione, frammentazione delle aree urbane in base a coordinate economiche, politiche, religiose e etniche, emarginazione di alcuni gruppi di età (anziani e giovani), ghettizzazione, perdita di coesione sociale e di identità culturale e crisi delle istituzioni e dei processi democratici (enti locali, sindacati, partiti politici).

    3.3.3. Crisi ambientale: nel 1995 (secondo una relazione dell'Agenzia europea per l'ambiente) il 70-80 % circa delle città europee con più di 500 000 abitanti non soddisfaceva i requisiti fissati dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

    3.3.4. Congestione del traffico: un segno tipico di tale problema, riscontrato in città come Londra e Parigi, è il calo della velocità media dei veicoli per il trasporto di persone o merci fino ai livelli di inizio secolo. Nelle città europee, la mobilità e l'accessibilità sono diminuite, con conseguenze negative per il tragitto casa-lavoro, casa-scuola e casa-strutture per il tempo libero-nelle città in cui tali strutture esistono.

    3.3.5. Problemi politici: si è assistito ad un proliferare di movimenti dediti ad attività criminose di orientamento neofascista, razzista e xenofobo, in parallelo alla crescita, nei ghetti, di organizzazioni improntate al fanatismo e all'estremismo che coinvolgono soprattutto i minori, anche in tenera età.

    3.3.6. Deindustrializzazione, disoccupazione e povertà: le famiglie monoparentali, le madri non sposate e sole, le madri minorenni, e naturalmente i loro figli, sono particolarmente soggette a vivere in condizioni di povertà. I figli che sono per così dire «abbandonati» perché entrambi i genitori devono o scelgono di lavorare e preferiscono quindi dedicarsi alla loro carriera si trovano anch'essi in una situazione svantaggiata.

    3.3.7. Mancanza di aree ricreative destinate ai bambini: gli spazi sicuri dove i bambini possano giocare sono scarsi, e di ciò soffrono soprattutto i figli di famiglie monoparentali (in rapido aumento in Europa) o i ragazzi i cui genitori lavorano entrambi.

    3.3.8. Date le circostanze, emerge chiaramente che le condizioni specifiche sulla cui base si è formata la cultura urbana, sono state costruite le città e si sono evoluti i cittadini, in quanto elemento fondamentale di aggregazione della civiltà occidentale, corrono il rischio di scomparire dalle metropoli europee.

    3.3.9. Nelle metropoli europee sono ormai scomparse le caratteristiche proprie della città medievale che ha dato vita alle corporazioni, della città del Rinascimento e dell'Illuminismo, della città da cui è partita la rivoluzione industriale.

    3.3.10. Da espressione di sviluppo sociale, solidarietà, partecipazione democratica e interazione sociale nei luoghi pubblici, la città è invece degenerata diventando una realtà che induce a rinchiudersi nella propria sfera privata. Sempre più spesso i luoghi pubblici diventano zone pericolose.

    3.3.11. In un ambiente simile, il processo di socializzazione del bambino non può ovviamente realizzarsi in modo sano. Considerando che l'80 % della popolazione d'Europa vive in un'area urbana, la crisi della città investe di conseguenza tutto il continente.

    3.3.12. La profondità o la portata della crisi e delle sue implicazioni hanno fatto sì che la Commissione riconoscesse la necessità di inserire la prospettiva urbana nella politica comunitaria:

    «La società urbana pagherà un prezzo elevato in termini di criminalità e comportamenti antisociali se lo sviluppo è accompagnato da grandi disuguaglianze nell'accesso ai vantaggi del progresso economico.» «L'Europa intera pagherà con l'estraniazione dei suoi cittadini e con la perdita del sostegno al modello europeo di società.» «Infine, l'economia europea soffrirà perché l'aggiustamento ad una rapida trasformazione, allo scopo di mantenere la competitività delle città europee, avrà possibilità di successo solo se otterrà il più ampio consenso. (1)

    (1) NdT.: traduzione non ufficiale.»3.3.13. Nel documento di lavoro dal titolo «Verso il Quinto programma quadro: gli obiettivi scientifici e tecnologici» () e nella «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al Quinto programma quadro delle azioni comunitarie di sviluppo tecnologico e di dimostrazione (1998-2002)» () la Commissione osserva:

    «Questa azione mira allo sviluppo armonioso della qualità della vita urbana dei cittadini ricorrendo a strategie globali ed innovative, più economiche, rispettose dell'ambiente e basate su modelli avanzati di organizzazione urbana, che conciliano in particolare il miglioramento della qualità della vita e il ripristino degli equilibri sociali con la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale.»

    3.3.14. Secondo la Commissione, il costo derivante dal degrado del solo patrimonio culturale (architettonico) sarebbe superiore a 14 miliardi di ECU l'anno.

    3.3.15. Il Comitato ritiene tuttavia necessario sottolineare che l'Agenda 2000 non dedica alle aree urbane tutta l'attenzione che meriterebbero data la percentuale della popolazione che abita in città, le difficoltà che essa incontra e l'entità della crisi urbana.

    3.4. La crisi culturale

    3.4.1. Il persistere di fenomeni come lo sfruttamento, il traffico, l'abuso e la prostituzione minorile, pur in presenza di leggi che, se rispettate, eviterebbero o preverrebbero il loro insorgere, serve a dimostrare che il problema non è dovuto a un vuoto normativo, ma alla mancata osservanza delle leggi e dei valori civili nella vita di ogni giorno.

    3.4.2. La tolleranza e l'accettazione, il silenzio della collusione e la partecipazione attiva al traffico di minori, la vendita di prodotti che sono il frutto del lavoro minorile proibito per legge, la prostituzione e la pornografia che coinvolgono l'infanzia, ci consentono e, al tempo stesso, ci costringono a riconoscere che tale problema presenta una dimensione anche culturale.

    3.4.3. I casi di sfruttamento dei minori, ormai sempre più diffusi in Europa, non sono soltanto dettati da povertà e disoccupazione, ma sono anche sintomo di indigenza, corruzione, decadenza e crisi tra ampi strati della popolazione.

    3.4.4. Da un punto di vista culturale, l'UE dovrebbe affrontare il problema su tre livelli.

    3.4.4.1. Per quanto concerne il mondo degli adulti, occorre stabilire quali sono i valori e gli standard morali attualmente prevalenti, il senso di responsabilità umana e sociale dei gruppi, nell'intrecciarsi delle economie ufficiali e di quelle parallele, e delle autorità competenti, che sono indifferenti, tollerano il problema o si mostrano «incapaci» di intervenire.

    3.4.4.2. Occorre considerare quali effetti derivano alla società in generale dall'esistenza e dall'assunzione di tali atteggiamenti, nonché dall'incapacità di contrastarli o dall'indifferenza nei loro confronti.

    3.4.4.3. Quanto ai minori, occorre esaminare i valori e gli standard attualmente prevalenti, il senso di responsabilità sociale che i bambini di strada acquisiscono e condividono con l'ambiente circostante, la questione dei minori che si guadagnano da vivere facendo merce del proprio corpo e di quelli coinvolti invece nel traffico di droga.

    3.4.5. Non saranno certo degli opuscoli informativi a cura dello Stato a cambiare la morale che prevale ora nella società, la gerarchia di valori, le preferenze estetiche e la «cultura dell'erotismo» in Europa, le quali non subiranno sicuramente una trasformazione repentina, essendo il frutto di processi articolati sviluppatisi nel corso di tanti anni.

    3.4.6. L'elaborazione, in questo contesto, di politiche per lo sviluppo culturale a livello regionale, nazionale e comunitario costituisce un compito, per quanto difficile, assolutamente fondamentale.

    3.4.7. Al tempo stesso, un'Europa libera da fenomeni come lo sfruttamento, il maltrattamento, il traffico e la prostituzione minorile, libera dall'offerta e dalla domanda di turismo sessuale che coinvolge l'infanzia, presuppone un sistema di valori caratterizzato dal rispetto per l'integrità della natura e della vita umana, nonché per la sacralità e l'inviolabilità dei diritti dell'uomo.

    3.4.8. Vogliamo un'Europa in cui i cittadini rispettino e osservino la legge, in cui le forze di polizia e la magistratura godano della fiducia e della stima della popolazione, fondamenta culturali che favoriscano la legalità, il rispetto della legge, del sistema politico e dei propri simili.

    3.4.9. Il problema dell'indifferenza e della tolleranza nei confronti del crimine può essere affrontato solo disponendo di un sistema di valori e di fondamenta culturali che incoraggiano la responsabilità sociale, la partecipazione, l'assunzione di responsabilità politiche nel senso più profondo del termine ed una cultura politica orientata verso valori di democrazia, libertà e legalità.

    3.4.10. Se si vuole che lo sviluppo sostenibile sia accettato e applicato come modello e che abbiano successo le strategie volte a promuovere lo sviluppo sostenibile della città, allora i cittadini devono avere un rapporto diverso, più responsabile e meno arbitrario con la natura, una diversa filosofia nella gestione delle risorse naturali e umane.

    3.4.11. I periodi di crisi e decadenza trovano di rado espressione (nella produzione) artistica.

    3.4.12. La decadenza culturale e l'abbrutimento sono invece fin troppo spesso documentati dai fatti di tutti i giorni: tra le quattro mura domestiche, nei divertimenti di massa (vedasi il calcio), sul posto di lavoro, a scuola, attraverso i mass media e altri canali che dettano e promuovono determinati modelli di vita, consumo e comportamento.

    3.4.13. Occorre promuovere l'adozione di politiche di sostegno attivo che favoriscano l'affermarsi delle caratteristiche culturali locali quale garanzia contro le ideologie astratte e un senso di identità di stampo sciovinistico. L'impegno assunto dall'Europa di preservare e rafforzare le culture nazionali, di sostenere un modello di sviluppo multiculturale, non deve arrestarsi di fronte all'incapacità di risolvere nei fatti le manifestazioni concrete della crisi. Il Comitato giudica inaccettabile lo scarso rilievo attribuito alla politica culturale per l'Europa che, tra l'altro, non compare tra le iniziative previste dall'Agenda 2000.

    3.4.14. Il Comitato ritiene necessario incoraggiare, rafforzare e favorire la partecipazione dei giovani europei alla «produzione» di cultura, nonché stimolare il loro coinvolgimento, assieme ad altri, nelle attività culturali a livello locale.

    3.4.15. Oltre a offrire un accesso all'arte e alla cultura, tali processi accelerano il recupero dello spirito e della partecipazione della collettività al sistema democratico a partire dalla base. Essi instillano nuova vita nel tessuto sociale, mentre la coesione sociale e la solidarietà vengono vissute direttamente come gradita espressione di socievolezza e non come «obbligo politico».

    3.5. Perché le bande locali attraggono i ragazzi europei?

    3.5.1. Talmente tanti sono i problemi che interessano oggigiorno l'Europa e il mondo intero, le aree urbane e rurali in Europa, che ai ragazzi si può offrire l'opportunità di contribuire a risolvere problemi e andare incontro a bisogni che attualmente trovano soddisfazione nei comportamenti antisociali adottati dalle bande di quartiere.

    3.5.2. Se si osservano i meccanismi di funzionamento delle bande di quartiere e si riconosce che esse appagano determinati bisogni sentiti dai giovanissimi in Europa, è possibile individuare le politiche da adottare al fine di ridurre l'alienazione diffusa tra questi ragazzi e di instaurare inoltre una comunicazione con chi si sta avviando nella direzione sbagliata o ha già optato per la strada.

    3.5.3. Le bande locali si sostituiscono in molti casi alla famiglia «assente». Esse colmano il bisogno di appartenenza ad una realtà più ampia, ma anche a un gruppo ben definito. Esse consentono di agire, di vivere avventure o emozioni forti, di sviluppare una certa fiducia in se stessi e di ottenere un riconoscimento non mediato all'interno del gruppo, nonché di comunicare in modo autentico, diretto e soddisfacente in termini emotivi, e di condividere il pericolo, l'eccitazione e il piacere. La banda di quartiere consente di fare una vera esperienza di partecipazione ad un gruppo. Si deve e si può fare in modo allora, a livello locale, nazionale e comunitario, che non siano solo le bande locali ad offrire ai giovani tali opportunità.

    3.5.4. A tal fine si possono mobilitare le organizzazioni non governative, i movimenti politici e le organizzazioni religiose giovanili, aumentandone la diffusione capillare e adeguandone di conseguenza l'organizzazione e le attività. È possibile incoraggiare i mass media a livello locale e nazionale a rivolgere particolare attenzione alla questione giovanile e a favorire iniziative che offrano ai giovani delle alternative, lungi dallo sterile moralismo del passato, o dall'atteggiamento di rinuncia o emarginazione da antieroe o di «emarginazione del criminale in quanto eroe».

    3.5.5. Ai giovani d'Europa è possibile offrire un'alternativa grazie a una nuova cultura dell'attivismo politico, della responsabilizzazione e della risposta partecipativa alle sfide in un clima di coinvolgimento democratico. Tale alternativa si può realizzare sviluppando le caratteristiche proprie delle culture e delle tradizioni locali e nazionali, per quanto concerne sia le diverse forme di organizzazione che i metodi e l'obiettivo dell'azione adottata, nonché tramite programmi d'azione comunitari come il Servizio volontario europeo per i giovani.

    3.6. Povertà e disoccupazione

    3.6.1. Come viene riconosciuto da più parti, la povertà di per sé non è (né mai è stata in passato) fonte di decadenza morale, che invece è prodotta, sì, dalla povertà senza speranza in un futuro migliore e associata all'incapacità di partecipare ai processi che modificano le condizioni di esistenza dell'individuo e della società, vale a dire la povertà insieme all'esclusione e all'emarginazione.

    3.6.2. Analogamente, non risulta più credibile l'impostazione tradizionale secondo cui la disoccupazione attirerebbe le persone che hanno una predisposizione naturale a ritrovarsi senza lavoro o i gruppi sociali che sono per «cultura» predisposti all'ozio e all'inattività e a chiedere sussidi di disoccupazione. Al contrario, la mancanza di una «figura di riferimento» occupata può a volte essere causa (per quanto ingiustamente) di imbarazzo, se non addirittura di vergogna tra le famiglie e i figli di disoccupati di lunga durata.

    3.6.3. Il Vertice di Amsterdam ha finalmente posto le fondamenta per una serie di misure concrete che consentano di introdurre una strategia europea comune in materia di occupazione. Il Trattato ha inserito in modo esplicito l'occupazione tra le priorità di interesse comune. Il nuovo capitolo sull'occupazione rafforza il coordinamento delle politiche in materia grazie all'introduzione di orientamenti comuni. Tale capitolo stabilisce esplicitamente che la Comunità deve contribuire «ad un elevato livello di occupazione promuovendo la cooperazione tra gli Stati membri nonché sostenendone e, se necessario, integrandone l'azione». Gli Stati membri, da parte loro, si sono tutti impegnati a inserire l'obiettivo dell'«elevato livello di occupazione» nella formulazione e nell'attuazione di tutte le politiche comunitarie.

    3.6.4. Il Consiglio europeo straordinario sull'occupazione tenutosi lo scorso novembre a Lussemburgo ha deciso a ragion veduta di far entrare subito in vigore le nuove disposizioni del Trattato in materia di occupazione e così pure di applicare in anticipo le disposizioni sul coordinamento delle politiche degli Stati membri in tale settore, vale a dire a partire dal 1998; l'idea è di adottare tanto per l'occupazione quanto per la politica economica la stessa volontà di convergere verso obiettivi definiti congiuntamente, verificabili e aggiornati ad intervalli regolari.

    3.6.5. Detto ciò, come il Comitato ha spesso ribadito esplicitamente non vi è certo da illudersi che i posti di lavoro si possano creare con un semplice «decreto». Per ottenere un incremento del livello di occupazione occorre sviluppare in modo costante una politica macroeconomica sana e coordinata, sostenuta da un mercato interno efficiente, che getti le basi per una crescita sostenibile, per un dinamismo nuovo ed un clima di fiducia tale da rilanciare l'occupazione. Come precisato nelle conclusioni del Vertice di Lussemburgo, l'obiettivo è quello di contribuire a realizzare le potenzialità, in termini di dinamismo e di imprenditorialità, che l'economia europea possiede.

    3.6.6. Tuttavia, se un clima economico favorevole fondato su una situazione finanziaria sana, attento alle esigenze del mercato e della riforma strutturale e capace di contrastare con successo le speculazioni valutarie condotte senza esclusione di colpi, dovrebbe portare ad una crescita e a un'occupazione stabile, esso non sarà comunque in grado da solo di promuovere e sostenere attivamente l'occupazione e le competenze che necessariamente la accompagnano. Se i posti di lavoro non cadono dal cielo a suon di «decreti», così essi non spuntano, come per miracolo, se ci si affida ciecamente al «mercato». Non sono certo il «dirigismo», né tanto meno il «laissez-faire» a offrire il «rimedio miracoloso». Occorre una combinazione complessa di politiche per favorire l'occupazione e la crescita sostenibile, che comportino alcune forme di partecipazione tra settore pubblico e privato, flessibilità e sicurezza, mobilitazione degli attori socioeconomici a tutti i livelli ed un senso di solidarietà che trova adeguata espressione nella locuzione: modello sociale europeo. Viene riconosciuto che la coerenza e i progetti concreti necessari ad attivare questo scenario di crescita-occupazione sostenibile dovrebbero trovare un sostegno e un denominatore comune nei valori fondamentali che caratterizzano e uniscono le nostre democrazie. Questa è la sfida che l'Europa deve affrontare: come imbrigliare tutte le risorse disponibili per lottare contro la disoccupazione e ottenere risultati tangibili e concreti in termini di posti di lavoro e impiegabilità.

    4. Valutazione delle politiche esistenti

    4.1. Il Comitato osserva che gli sforzi politici compiuti finora per affrontare tale enorme problema sono stati inadeguati e inefficaci, con il risultato che la situazione si è ulteriormente aggravata e ha raggiunto dimensioni minacciose a livello globale.

    4.2. Le dichiarazioni, le conferenze, le campagne e i movimenti, che si sono succeduti a livello europeo e internazionale, hanno dimostrato la gravità e le dimensioni tragiche del problema, ma non sono stati accompagnati da misure concrete e da una prevenzione e un controllo efficaci ed hanno perciò un impatto negativo sull'opinione pubblica.

    4.3. Vi è il pericolo che l'opinione pubblica si abitui all'esistenza del problema e si rassegni a convivere con esso, oppure che concluda che la società non è in grado di affrontarlo.

    4.3.1. Il cittadino europeo medio, rispetto a temi quali il traffico di bambini, la pornografia infantile su larga scala e il traffico di stupefacenti, ha interesse a capire se la nostra società è veramente in grado di fornire le garanzie e i meccanismi di protezione necessari o se l'inefficacia dimostrata dai dirigenti è stata tale da rendere vano ogni tentativo reale di prevenzione o controllo.

    4.4. Viene messa in dubbio la credibilità delle autorità e delle istituzioni; il ritorno al privato, rispetto alla partecipazione attiva alle questioni di pubblico interesse, sta diventando predominante in tutta Europa.

    4.5. Le politiche e le misure adottate finora sono state incentrate principalmente sul controllo delle manifestazioni esteriori del problema tramite il contenimento dei suoi effetti negativi (limitazione dei danni). Anche gli sforzi compiuti per modificare gli approcci politici rispetto all'assistenza delle vittime e alle sanzioni per gli autori dei crimini si sono dimostrati inadeguati.

    4.6. L'impostazione metodologica principale è stata ampiamente basata sulla logica del vigilare e ovviare ai problemi fornendo servizi sanitari e di assistenza pubblica e privata. Il quadro operativo è costituito da «vittime» e «colpevoli». Quando qualcuno infrange la legge, vengono compiuti degli sforzi per individuare la parte colpevole e, se possibile, per risarcire la vittima. In una società sana, vi sono persone e gruppi che non lo sono e, benché la salute di un individuo rientri nelle sue personali responsabilità, la società si adopera per dare sostegno. Dal punto di vista politico, la questione e le argomentazioni sono state tradizionalmente formulate in termini di contrapposizione tra:

    - maggiore o minore intervento;

    - maggiore o minore tolleranza;

    - maggiore o minore tutela delle vittime.

    4.7. Non vi è dubbio che i tre approcci di cui sopra, o la migliore combinazione possibile di essi in ogni singolo caso, non riescono a fare una politica di prevenzione. Essi non formano parte di una strategia mirata ad affrontare le cause sottostanti e le cause primarie del problema, ma restano incentrati sulla limitazione dei suoi effetti negativi (limitazione dei danni).

    4.8. Benché all'interno della comunità internazionale vi sia accordo sulle cause che sono alla base del problema, si evince chiaramente, sia dalle politiche adottate che dai risultati di esse, che tali cause non vengono affrontate.

    4.9. I costi diretti, indiretti e globali (economici e sociali) derivanti da tale problema sono in costante aumento.

    4.10. La società e lo stato hanno la tendenza a trasferire le responsabilità, chiedendo alle organizzazioni non governative di trovare soluzioni a tale problema, che è principalmente di carattere sociale.

    4.11. L'emarginazione sociale e l'inerzia, nonché lo sviluppo di nuovi enti burocratici (e, nella maggior parte dei casi, non regolamentati) finanziati dallo Stato, con legami internazionali, non sembrerebbe costituire l'approccio migliore per affrontare i problemi suddetti o altri ad essi correlati.

    4.12. Il fatto che interi settori dell'economia siano alimentati dall'esistenza del crimine o dalla paura di esso (ad es., forze di polizia private, la sorveglianza e la registrazione elettronica di spazi privati e pubblici, di negozi, ecc.) è un fattore di costo notevole e non produttivo, oltre che una causa, come pure una conseguenza, di divisioni sociali.

    5. Un nuovo contratto sociale per l'infanzia

    5.1. Principi fondamentali

    5.1.1. La natura, le manifestazioni e la portata del problema, e le relative conseguenze, incidono naturalmente sulle politiche scelte per affrontarlo.

    5.1.2. La strategia e le scelte politiche devono essere coerenti con gli obiettivi più generali perseguiti dall'UE.

    5.1.3. Le politiche comunitarie concernenti lo sviluppo sostenibile, la strategia urbana, l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e quelle intese a promuovere il miglioramento delle scuole in Europa, oltre ad essere tutte pertinenti, devono tener conto l'una dell'altra ed essere coerenti tra di loro, favorendo lo sviluppo sostenibile del capitale umano e sociale.

    5.1.3.1. Senza uno sviluppo sostenibile del capitale umano e sociale, la società e l'economia europea non saranno in grado di mantenere la quota della ricchezza e del know-how mondiali che detengono attualmente né di affrontare su un piano di parità le emergenti potenze asiatiche.

    5.1.4. È estremamente importante, sia direttamente che indirettamente, che l'Europa affronti il problema in maniera decisa ed efficace all'interno dei propri confini, e che intervenga quale forza-trainante morale, politica ed organizzativa nell'affrontare il problema sul piano internazionale.

    5.1.5. Il problema demografico in Europa, ovvero l'invecchiamento della popolazione europea, nonché il rischio immediato dell'emarginazione al quale è esposto il 30 % dei giovani (cioè quelli coinvolti nella delinquenza giovanile e nel traffico e consumo di stupefacenti), costituisce una minaccia attualmente assai grave per la coesione sociale e per la competitività economica e sociale dell'Europa.

    5.1.6. Le iniziative volte a contenere le attività antisociali e criminali tra i minori abbandonati e l'onere sociale derivante dai minori impiegati dalla criminalità organizzata, oltre a imporre un peso economico per la società europea ed a esercitare pressioni sulle risorse disponibili in ciascun paese, provocano danni economici enormi.

    5.1.6.1. D'altronde è chiaro che investire nella prevenzione e nello sviluppo delle risorse umane, del capitale umano e sociale e della coesione sociale costituisce una soluzione più efficace e, nel medio periodo, più economica.

    5.1.7. Per affrontare il problema a livello regionale, nazionale ed internazionale occorre mettere a punto un quadro giuridico ed istituzionale che consenta di formulare e perseguire una politica e di applicare misure, sulla base di norme internazionalmente accettate, corredate di sanzioni internazionalmente riconosciute:

    - nella lotta contro le ormai intollerabili forme di lavoro minorile, ad esempio, occorre determinare a chi spetti prendere le decisioni e quali criteri oggettivi vadano adottati nel definire le priorità di intervento nei diversi paesi;

    - nel caso di un'azione contro il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia, bisogna stabilire se la priorità vada data ai paesi da cui proviene la «domanda» oppure a quelli che forniscono l'«offerta»; occorre inoltre determinare chi prenderà le decisioni, con quale autorità e con quale approvazione e sostegno internazionale.

    Il problema va affrontato con il supporto di programmi specifici coordinati e di una cooperazione organizzata contraddistinta da chiare priorità in termini di paesi ed obiettivi.

    5.1.8. Affinché l'azione sia efficace occorre adottare programmi integrati e coordinati.

    5.1.8.1. La designazione di osservatori indipendenti incaricati di controllare il lavoro minorile illegale, ad esempio, non sarà efficace se non sarà accompagnata da meccanismi equi ed oggettivi per l'imposizione delle sanzioni a livello nazionale, nonché da un sistema giudiziario indipendente e da forze di polizia imparziali.

    5.2. Nuovo quadro di riferimento a livello internazionale

    5.2.1. In base ai nuovi obiettivi UE definiti dall'Agenda 2000 (), il Comitato può prendere iniziative specifiche per coordinare gli sforzi e le azioni volti ad affrontare le ragioni sottostanti e le cause primarie dello sfruttamento dei minori (in tutte le sue forme):

    - a livello di Unione europea;

    - a livello paneuropeo;

    - a livello globale.

    5.2.2. L'UE può guidare gli sforzi della comunità mondiale volti a sviluppare programmi specifici ed adeguati che continuino a promuovere lo sviluppo economico delle regioni meno favorite del mondo (in America latina, Africa ed Asia).

    5.2.3. Il Comitato ritiene che l'UE possa e debba prendere iniziative intese a:

    - ammodernare le Nazioni Unite ed i rispettivi organismi affinché possano svolgere un ruolo efficace nella lotta contro la povertà nella prima metà del 21° secolo;

    - dotare a tal fine le Nazioni Unite ed i suoi organismi specializzati (PNUS,OIL, Unicef, Unesco, OMS, FAO) di risorse adeguate;

    - ammodernare le istituzioni finanziarie internazionali (la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, ad esempio) affinché le loro politiche ed i loro programmi tengano conto dell'occupazione e dei bisogni sociali nonché delle esigenze in materia di istruzione e di sanità;

    - consolidare nuovi processi di sviluppo nelle relazioni Nord-Sud;

    - sostenere le decisioni del Vertice mondiale per lo sviluppo sociale e contribuire attivamente alla loro attuazione universale;

    - promuovere la dimensione sociale negli accordi commerciali internazionali.

    5.2.4. Gli Stati membri dovrebbero continuare a contribuire con maggiore impegno ai programmi IPEC e, assieme alle parti sociali, partecipare attivamente alla progettazione ed adozione di una nuova e globale Convenzione OIL contro le forme più intollerabili di sfruttamento minorile. Dovrebbero inoltre contribuire ulteriormente a promuovere la ratifica universale ed attuazione effettiva di tale Convenzione, contemplando forme adeguate di sostegno ai paesi in via di sviluppo disposti ad applicare le convenzioni OIL relative alla protezione dei minori dallo sfruttamento.

    5.2.5. L'UE dovrebbe cercare quanto prima di assicurare gli strumenti giuridici essenziali ai propri interventi, nel contesto dell'UE o come gruppo di delegazioni nazionali che collaborano all'interno dell'ONU.

    5.2.6. È necessaria un'iniziativa europea che garantisca non solo un impiego trasparente ed efficace delle risorse messe a disposizione dall'ONU e dagli organismi internazionali, ma anche la fornitura di risorse adeguate ed un'efficace cooperazione tra gli Stati membri e gli organismi ONU.

    5.2.7. Sul piano internazionale e del coordinamento delle azioni, il Comitato ed i rispettivi membri possono prendere l'iniziativa di promuovere ed agevolare:

    - l'istituzione di un organismo di coordinamento per le politiche concernenti i minori nell'Europa orientale ed occidentale, in cooperazione con le organizzazioni con cui collabora e tenendo conto del processo di ampliamento, e, se del caso, in cooperazione con il Consiglio d'Europa, l'OIL, l'Organizzazione mondiale del commercio, l'Unicef, il Consiglio ecumenico delle Chiese ed organizzazioni analoghe;

    - la creazione di organismi di coordinamento regionale per l'Africa, l'America e l'Asia nel contesto del dialogo con gli ambienti socioeconomici;

    - l'assunzione dell'impegno di catalogazione delle attività delle organizzazioni internazionali a favore dello sviluppo e della valutazione biennale dell'efficacia delle misure intraprese per combattere la povertà.

    5.2.7.1. Il Comitato reputa inoltre tempestive le proprie proposte in materia di diritti umani nel quadro della politica estera dell'UE.

    5.2.7.2. Secondo il Comitato, occorre consolidare la cooperazione tra Interpol, Europol e le forze di polizia degli Stati membri.

    5.3. A livello europeo

    5.3.1. Per formulare ed attuare efficacemente una politica a livello europeo occorre:

    - coordinare l'opera dei politici e di altri gruppi competenti negli Stati membri;

    - coordinare gli sforzi nell'ambito dell'Unione europea e nel resto dell'Europa.

    5.3.2. A livello europeo il Comitato può assumersi il compito di creare un comitato permanente responsabile dell'analisi e della presentazione di modelli, mezzi e metodi destinati a sensibilizzare la società in generale e a mobilitare gli ambienti socioeconomici a favore della lotta contro lo sfruttamento dei minori.

    5.3.3. La necessità di un tale coordinamento assumerà una diversa dimensione quando la questione non sarà più considerata un problema economico o giuridico o legato alla sicurezza sociale.

    5.3.4. Se la questione viene vista come un problema di sviluppo sociale, una questione di salvaguardia di un capitale umano e sociale a rischio, e se si adottano politiche intese ad affrontare le cause sottostanti e non solamente ad arginare le conseguenze del problema, allora vi è bisogno di un coordinamento attivo e determinato a livello nazionale tra autorità, istituzioni, governi ed organizzazioni non governative che si occupano di:

    - istruzione prescolare e scolare e la relativa programmazione a lungo termine;

    - apprendimento e formazione lungo tutto l'arco della vita;

    - consulenza per l'orientamento professionale e l'occupazione;

    - cultura, sport e tempo libero;

    - pianificazione urbanistica, rinnovamento urbano, creazione di aree sicure in cui i bambini possano giocare nei quartieri del centro urbano in cui vivono, giochi infantili;

    - compatibilità tra la vita familiare e quella professionale;

    - nuova impostazione del rapporto tra casa e lavoro;

    - cooperazione tra settore pubblico e privato nei seguenti ambiti:

    attività ricreative per ragazzi (attività individuali e di gruppo);

    spettacoli destinati ai ragazzi;

    televisione per i ragazzi;

    libri per ragazzi;

    forme tradizionali di progetti sociali, enti di beneficienza, chiese, organizzazioni professionali, associazioni;

    giustizia, polizia e servizi sociali;

    enti locali.

    6. Proposte

    6.1. Politiche urbane

    6.1.1. Il Comitato ritiene che lo sviluppo di politiche urbane a misura di bambino non rappresenti un aumento delle spese per la politica sociale, bensì un investimento nella valorizzazione delle risorse umane, nello sviluppo sostenibile del capitale umano e sociale e nel continuo miglioramento della competitività delle città europee.

    6.1.2. In un gran numero di documenti comunitari viene riconosciuta l'esigenza di adottare una politica urbana che affronti i problemi enormi delle città europee. Uno sforzo ulteriore per sviluppare approcci integrati e politiche coerenti e complementari, che rispondano alle esigenze dei bambini europei, va considerato come un piccolo investimento che si rivelerà estremamente proficuo e vantaggioso.

    6.2. Una rete di città a misura di bambino

    6.2.1. La creazione di una rete di città a misura di bambino potrebbe fungere da catalizzatore per l'adozione di una politica a lungo termine che preveda l'impiego di metodi efficaci e sperimentati a beneficio del grande pubblico (pianificazione urbana, risanamento urbano, restauro dei centri storici delle città).

    6.2.2. La pianificazione del sistema dei trasporti pubblici, come pure la progettazione e la ristrutturazione delle stazioni dei bus e ferroviarie, possono e devono rispondere alle esigenze dei bambini.

    6.2.3. Gli spazi aperti e i luoghi pubblici, le stazioni, i parchi e le piazze devono essere multifunzionali in modo tale da risultare intrinsecamente più sicuri.

    6.2.4. Allestire un numero sufficiente di aree ricreative per i bambini ed incoraggiare, da parte dei centri di doposcuola e delle scuole di quartiere, l'offerta di strutture ricreative che siano educative e istruttive, sono misure nell'interesse dei bambini, dei genitori in generale e delle famiglie monoparentali in particolare.

    6.2.5. Si possono creare delle opportunità per il reinserimento degli anziani nella vita sociale e per l'impiego delle loro capacità tramite progetti di carattere volontario da attuare in collaborazione con gli asili nido, le scuole, i parchi pubblici, ecc.

    6.2.6. Gli edifici scolastici che non sono più utilizzati in Europa a causa del calo della popolazione infantile possono essere impiegati per diverse attività, come, ad esempio, dei laboratori nei quali i cittadini possano essere introdotti in modo gradevole all'arte e alla tecnologia.

    6.2.7. Altre misure potrebbero prevedere la trasformazione sistematica dei ghetti in luoghi di interazione culturale, che comprendano, ad esempio, uffici turistici, ambasciate, centri per l'organizzazione di mostre e centri per l'istruzione e la formazione professionale.

    6.2.8. Si dovrebbe compiere uno sforzo sistematico per far rivivere «il quartiere», con l'aiuto delle chiese, delle scuole, delle imprese e dei loro rappresentanti, delle associazioni, dei sindacati e dei partiti politici del luogo.

    6.2.9. Si può intervenire per instaurare collegamenti organizzativi tra la città e la campagna (ad es., tramite le associazioni dei produttori e dei consumatori e le organizzazioni ambientaliste).

    6.2.10. Si potrebbero sviluppare delle politiche intese ad offrire viaggi di istruzione (a basso costo) nelle zone di elevato valore paesaggistico d'Europa, abbinati a programmi di educazione ambientale e alla creazione di opportunità per sviluppare forme di turismo alternativo, ad esempio storico e culturale, basato su reti di città, come le città della Rivoluzione industriale, le città della Riforma e le città europee di importanza storica e culturale.

    6.3. Mobilitazione generale della società

    6.3.1. Il Comitato e i suoi membri costitutivi, che comprendono datori di lavoro, sindacati e interessi socio-economici diversi, possono avviare talune iniziative per contribuire a promuovere una mobilitazione generale della società, finalizzata a contrastare lo sfruttamento, l'abuso e la distruzione dell'enorme capitale umano e sociale dell'Unione in tutte le sue forme.

    6.3.2. Il Comitato ritiene che, per instaurare un clima di generale mobilitazione sociale che inverta la tendenza al ritorno al privato e il senso di rassegnazione e di inerzia predominante in ampi strati della società, occorre adottare nuove impostazioni e forme di intervento molto più integrate e coerenti rispetto alle tradizionali campagne di sensibilizzazione.

    6.3.3. Le parti sociali e il dialogo europeo, nel senso più ampio del termine, possono svolgere un ruolo estremamente costruttivo nell'ambito di uno sforzo di questo tipo.

    PER LA CONTINUAZIONE DEL TESTO VEDI SOTTO NUMERO: 598IC0976.1

    6.3.4. È necessario anche che vengano avviati altri tipi di azione, sia da parte dei protagonisti tradizionali della coesione sociale che da parte di nuovi attori e istituzioni, quali le organizzazioni non governative, le amministrazioni territoriali, ecc. Le organizzazioni non governative devono adeguare le loro attività, altrimenti verrà a crearsi una nuova generazione di ONG. La maggior parte delle azioni intraprese finora dalle ONG sono state compiute tramite e per la società. Le nuove tipologie di ONG proposte non avranno il compito di affrontare i problemi sociali e non si sostituiranno alla società e allo Stato. Al contrario, il loro obiettivo sarà quello di migliorare la capacità della società di dare una risposta strutturata ai problemi, quello di aiutare le comunità locali ad effettuare dei cambiamenti e ad acquisire, a partire dai problemi esistenti, le capacità organizzative e la conoscenza delle risorse necessarie a risolverli. Esse non sostituiranno le istituzioni sociali tradizionali, ma le aiuteranno ad ammodernare i loro mezzi e metodi di azione e di intervento sociale. Per la natura dei loro obiettivi, tali ONG saranno piccole, flessibili e con modesta capacità di spesa; si svilupperanno in una successione ordinata, sotto forma di reti, in modo tale da divenire solidamente radicate e rispondere prontamente alle particolarità locali, mantenendo così le distanze dal modello multinazionale gerarchico e burocratico. Tali sforzi possono essere incoraggiati maggiormente a livello europeo e degli Stati membri.

    6.3.5. Gli obiettivi della mobilitazione sociale generale non devono essere limitati ai gruppi cosiddetti «ad alto rischio», oppure alle persone più direttamente interessate dal problema.

    6.3.5.1. Destinataria di tale mobilitazione può e deve essere la più vasta «zona grigia» degli strati sociali e dei giovani che subiscono la pressione dei problemi all'interno della famiglia, nella città, nelle situazioni di disoccupazione ecc.

    6.3.5.2. In tale contesto si possono attuare interventi indiretti, ma allo stesso tempo complementari e coerenti, ad esempio uno sforzo radicale e continuo a livello europeo volto a rafforzare, promuovere e valorizzare la posizione delle associazioni giovanili non politiche (ad. es. gli scout e le guide) e allo sviluppo di organizzazioni giovanili politiche di ogni orientamento, all'interno di una campagna di portata europea intesa a riportare in vita tra le nuove generazioni una cultura della partecipazione chiara, in opposizione alla rassegnazione, al ritorno al privato e all'estremismo odierni.

    6.3.5.3. Occorre compiere degli sforzi per garantire che le organizzazioni giovanili, politiche e non, non diventino eccessivamente professionalizzate e burocratizzate ed è necessario incoraggiarne l'apertura nei confronti delle società.

    6.3.5.4. Tutti gli orientamenti politici del Parlamento europeo possono e devono prendere parte a tale sforzo.

    6.3.5.5. Il Consiglio ecumenico delle chiese può avviare una propria campagna per ripristinare e rilanciare il ruolo dei movimenti giovanili religiosi, valorizzando così la propria posizione. Il recente raduno di giovani cattolici a Parigi ha dimostrato anche che i giovani rispondono, quando vengono chiamati a partecipare.

    6.3.5.6. Si dovrebbero introdurre riconoscimenti e premi a livello europeo per programmi e azioni avviati da organizzazioni giovanili che si prefiggono di affrontare problemi sociali.

    6.3.5.7. Tali premi possono essere istituzionalizzati dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione nel quadro delle politiche giovanili e promossi dai parlamenti e dalle chiese nazionali (il Consiglio ecumenico delle Chiese e le chiese locali).

    6.3.5.8. In collaborazione con i servizi competenti della Commissione, con l'Unicef, con il Comitato delle regioni e le organizzazioni giovanili che raggruppano le organizzazioni giovanili nazionali, il Comitato può organizzare un convegno paneuropeo sul tema della partecipazione tra i giovani d'Europa.

    6.3.5.9. Un programma «Gioventù per l'Europa 2000+», possibilmente guidato da un nuovo Commissario europeo per la gioventù, potrebbe prevedere diversi tipi di progetti pilota, di analisi comparativa («benchmarking») dinamica e di azioni dimostrative sulle questioni riguardanti la gioventù, per uno sviluppo appropriato, dal punto di vista fisico, psicologico e culturale, delle nuove generazioni europee, ad esempio:

    - un turismo «impegnativo» per i giovani, un'educazione ecologica interculturale e programmi di comunicazione intorno ai principali bacini fluviali o ai fiumi di interesse storico in Europa; ad esempio, potrebbe essere organizzata una serie di campeggi sul Danubio e un programma multilaterale tra i paesi attraversati dal Danubio intitolato «Viaggio attraverso le culture del Danubio»;

    - programmi analoghi potrebbero essere organizzati nelle regioni alpine o tra i paesi che si affacciano sui mari Adriatico e Ionio;

    - ad esempio, gli istituti di Belle Arti a livello universitario in Europa potrebbero costituire un forum permanente per il dialogo culturale, da situare in una città europea e organizzato da due o tre università nel contesto di un programma multilaterale;

    - si potrebbe organizzare un forum permanente per il dialogo interconfessionale come parte di un programma multinazionale, al quale prendano parte scuole di teologia e rappresentanti delle diverse chiese, con l'obiettivo di promuovere una cultura di solidarietà, tolleranza e, perché no, anche di cooperazione tra i giovani di differenti chiese e fedi, nello sforzo di affrontare i loro problemi.

    6.3.5.10. Si dovrebbe intervenire per convincere le amministrazioni locali e gli Stati membri a fornire incentivi ai mass media per la produzione di programmi che incoraggino una cultura responsabile della partecipazione e della democrazia in cui regni l'uguaglianza tra i diversi popoli e culture, programmi che promuovano modelli di azione giovanile, modalità di organizzazione per i giovani, stili di vita sani e forme democratiche di interazione sociale, mobilitazione ed effettiva occupazione per i giovani.

    6.3.5.11. Dovrebbe essere creato un centro permanente con la funzione di diffondere le pratiche migliori all'interno di programmi di azioni delle organizzazioni giovanili a livello locale ed europeo.

    6.3.5.12. Il Comitato ritiene che le premesse necessarie per mobilitare la società, per aumentarne il coinvolgimento nell'affrontare i problemi e nella lotta contro le attività illecite che danneggiano i minori, siano le seguenti:

    - una campagna a livello europeo intesa a ripristinare l'autorità e l'efficacia del sistema giudiziario;

    - una campagna a livello europeo avviata dagli Stati membri con l'obiettivo di porre termine alla corruzione nelle forze dell'ordine;

    - una campagna a livello europeo avviata dagli Stati membri al fine di liberare e mantenere esenti i sistemi carcerari dalle attività criminali;

    - una questione che pone particolari preoccupazioni e riguardo alla quale è necessario intervenire a livello europeo e nazionale, sia nell'Europa occidentale che orientale, riguarda gli orfanotrofi. Il Comitato ritiene che tale problematica richieda la formulazione di uno specifico supplemento di parere.

    6.3.5.13. È assolutamente indispensabile che l'Europa vada oltre gli scambi culturali che coinvolgono un numero esiguo di giovani, creando organismi permanenti di interazione e comunicazione, nonché delle procedure volte ad affrontare i problemi comuni e a mobilitare ampi settori della gioventù europea. Il risultato sarà l'instaurazione di legami duraturi e la creazione di una comunanza di interessi tra i giovani d'Europa.

    6.3.5.14. Aumentare la spesa nella lotta contro manifestazioni di razzismo, xenofobia, violenza a sfondo razzista e criminalità giovanile può divenire un investimento nella coesione sociale, tramite una nuova politica per la gioventù d'Europa che rispecchi il retaggio e le aspirazioni delle popolazioni europee.

    6.4. Disoccupazione e povertà

    6.4.1. Il Comitato ha rigorosamente incentrato i lavori sulla questione prioritaria dell'occupazione come parte di un modello di sviluppo economico e sociale sostenibile, attribuendo grande importanza al raggiungimento dell'unione economica e monetaria in programma, al fine di stimolare la fiducia e l'occupazione. Ha sostenuto l'idea di introdurre criteri comparativi di risultati in materia di occupazione e di avviare un piano pluriennale che preveda misure specifiche e un calendario vincolante, come pure strumenti e meccanismi di monitoraggio che gli Stati membri si impegnano ad applicare. Ha incoraggiato l'adozione di misure dinamiche di «benchmarking», compreso un «controllo dell'impatto occupazionale» europeo. Ha costantemente esortato la Commissione a promuovere lo sviluppo di strategie quadro per la crescita e l'occupazione, specifiche per i diversi settori o comparti, che prevedano una cooperazione specifica e un impegno delle parti interessate da entrambi i lati. Ha richiesto una modifica radicale dei fondi strutturali a favore di posti di lavoro «supplementari» a lungo termine. Ha appoggiato, in particolare, l'obiettivo di una garanzia a livello europeo di cui possano usufruire tutti i giovani, entro un anno dal completamento degli studi, per avere accesso ad un posto di lavoro, ad un'esperienza lavorativa o ad una formazione ulteriore e ha richiesto la definizione di obiettivi di istruzione e formazione più marcati, dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Il Comitato ha anche suggerito che la politica fiscale europea venga riesaminata dal punto di vista dell'impatto sull'occupazione e che una strategia fiscale coordinata europea porterebbe a riduzioni negoziate e generalizzate dei costi indiretti del lavoro. Ha richiesto anche una riduzione dell'IVA per i prodotti e i servizi a largo impiego di manodopera che offrono maggiori opportunità per la creazione di posti di lavoro. Ha espresso forte sostegno all'imprenditoria e agli investimenti in PMI e in microimprese che creino posti di lavoro. Ha accolto con favore il Programma d'azione speciale di Amsterdam, avviato dalla Banca europea per gli investimenti e ha invitato quest'ultima ad adottare un atteggiamento più coraggioso ed un approccio maggiormente incentrato su progetti che possano aumentare l'intensità dell'occupazione e la qualità dei posti di lavoro, con la dovuta considerazione della loro redditività economica. Il Comitato ha suggerito anche una riorganizzazione negoziata e la riduzione dell'orario di lavoro, che, combinata con la flessibilità funzionale, con opportunità interessanti di lavoro part-time e orari più lunghi di esercizio e di apertura, può avere effetti positivi sull'occupazione, nel quadro dei contratti collettivi.

    6.4.2. Povertà ed emarginazione sociale

    6.4.3. Il Comitato ha regolarmente proposto l'introduzione di sostegni al reddito e l'adozione di politiche di prevenzione della povertà rispondenti al modello sociale europeo.

    7. Affrontare il problema del turismo sessuale che coinvolge l'infanzia

    Comunicazione della Commissione del 27 novembre 1996 ().

    7.1. Osservazioni di carattere generale

    7.1.1. La Comunicazione della Commissione intende contribuire allo sforzo più ampio dell'Unione di combattere l'abuso e lo sfruttamento sessuale dell'infanzia.

    7.1.2. La Comunicazione tiene conto delle conclusioni del Congresso mondiale di Stoccolma dell'agosto 1996 contro lo sfruttamento sessuale dei minori a fini commerciali, e, in particolare, del programma d'azione che ne è seguito.

    7.1.3. La Comunicazione in esame può essere considerata un approccio, fondamentalmente equilibrato, per affrontare i problemi posti sia dalla domanda di turismo sessuale di questo tipo, sia dall'offerta corrispondente.

    7.1.4. Le proposte fondamentali della Commissione sono basate su un approccio tripartito:

    - dissuadere e sanzionare chi commette abusi sessuali su minori;

    - frenare sia la domanda che l'offerta di turismo sessuale che coinvolge l'infanzia;

    - esortare gli Stati membri a fare fronte comune contro questo flagello.

    Dissuadere e sanzionare chi commette abusi sessuali su minori

    7.1.5. La Commissione riconosce che, per raggiungere il primo obiettivo, occorre rafforzare la cooperazione giudiziaria e l'armonizzazione legislativa. Non vi è dubbio che il processo di armonizzazione della legislazione, dalle definizioni alle sanzioni, debba essere accelerato.

    7.1.6. Nella misura in cui sono noti i paesi e le regioni di destinazione del turismo sessuale che coinvolge l'infanzia, la dissuasione nei confronti di coloro che commettono tali abusi potrebbe essere resa più efficace creando dei centri di monitoraggio, con un organico adeguato di personale qualificato e proveniente dai paesi di origine e di destinazione dei turisti di tale tipo, con il compito di registrare, rivelare e divulgare i casi di abuso sessuale di minori.

    7.1.7. Il rischio della divulgazione di tali comportamenti nel paese d'origine può costituire uno dei deterrenti più efficaci.

    7.1.8. Si dovrebbe inoltre agire risolutamente per assicurare che non vi siano agenzie organizzate nel fornire tali servizi nei paesi da cui proviene la domanda. L'imposizione di sanzioni alle imprese che pubblicizzano, organizzano o promuovono il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia e la pubblicazione dei nomi dei loro direttori e dei loro impiegati agirebbero come forti deterrenti.

    7.2. Arginare il flusso dei turisti del sesso proveniente dagli Stati membri

    7.2.1. In questa sezione, la Commissione sottolinea l'importanza delle politiche finalizzate alla sensibilizzazione dell'opinione pubblica e all'elaborazione di codici di condotta.

    7.2.2. Le proposte intese alla sensibilizzazione sono importanti, a condizione di evitare che tali campagne generino assuefazione nell'opinione pubblica riguardo all'esistenza e alle dimensioni del problema e producano indifferenza o tolleranza nei suoi confronti.

    7.2.3. Per quanto concerne la promozione di codici di condotta e di meccanismi di autoregolamentazione nel settore del turismo, il Comitato ritiene necessario: elaborare senza indugio i codici di condotta e incoraggiarne il rispetto e l'osservanza da parte della popolazione, introducendo delle segnalazioni di merito a livello locale, nazionale ed europeo, di cui gli operatori turistici possano servirsi a scopi pubblicitari.

    7.2.4. Il Comitato ritiene che il problema sia così ampio e di tale gravità da richiedere l'adozione di una politica globale di dissuasione, che preveda sanzioni per il marketing in tutti i paesi da cui proviene la domanda, nonché l'imposizione di sanzioni per il traffico di minori e l'offerta di servizi di turismo sessuale che coinvolgano l'infanzia.

    7.2.5. L'approvazione delle dichiarazioni non equivale ad avere una politica di dissuasione.

    7.2.6. Le agenzie di viaggi tedesche rappresentano un buon esempio di autoregolamentazione, dimostrando il ruolo decisivo che spetta alle agenzie di viaggi nell'intero settore del turismo e quindi la necessità di adottare una politica non ambigua, intesa a regolamentare le loro attività ad ogni livello, a partire dai codici di condotta fino alle misure repressive.

    7.2.7. Per compiere un passo decisivo nella giusta direzione, sarebbe opportuno esaminare la possibilità o l'utilità di costituire delle unità specializzate di polizia turistica negli Stati membri che non ne dispongono e coordinare le attività di tali forze tramite l'Europol e l'Interpol, potenziandole e dotandole delle infrastrutture essenziali.

    7.3. Contribuire alla lotta contro il turismo sessuale nei paesi terzi

    7.3.1. Le proposte della Commissione contribuiscono in misura rilevante ad affrontare il problema.

    7.3.1.1. Il Comitato ritiene che i paesi terzi non costituiscano un'area unica e omogenea. Le differenze politiche, economiche, religiose e culturali richiedono e consentono lo sviluppo di politiche, misure e sforzi di collaborazione diversi.

    7.3.2. Il Comitato propone che tale tema venga inserito nell'ordine del giorno del dialogo con i paesi dell'Europa centrale e orientale, del dialogo euromediterraneo e del dialogo con i paesi dell'ASEAN.

    7.3.3. È necessario fare particolare attenzione, nel contesto del dialogo per l'ampliamento dell'Unione, a rendere chiaro, da ogni punto di vista, che il rispetto dei diritti dell'uomo e, in particolare, dei diritti del bambino, e l'armonizzazione (come pure il rispetto) delle leggi in materia di traffico di minori a scopo di turismo sessuale sono questioni di primaria importanza per l'Unione.

    7.4. Ruolo del Comitato

    7.4.1. Il Comitato può prendere l'iniziativa e assumersi la responsabilità di servirsi del dialogo che intrattiene con le sue controparti, in ogni gruppo di paesi che rientra in una particolare categoria nelle regioni in questione, al fine di sollevare e affrontare il problema.

    7.5. Politiche più generali

    7.5.1. Il Comitato ritiene che l'Unione, in virtù della funzione che svolge a livello internazionale, possa mettere in risalto l'importanza prioritaria della questione per la comunità internazionale.

    7.5.2. Nel dialogo con le organizzazioni internazionali quali l'ONU, l'Unesco e l'Unicef, nel dialogo Nord-Sud, all'interno dell'OMC, ecc., l'Unione deve promuovere politiche con scadenze ed obiettivi geografici definiti, prefiggendosi chiaramente l'obiettivo di combattere le cause specifiche che sono alla base del problema.

    7.5.3. Le proposte del Comitato su come affrontare il problema dello sfruttamento dei minori a livello internazionale ed europeo sono ovviamente applicabili anche alle cause soggiacenti al turismo sessuale che coinvolge l'infanzia.

    7.5.4. La proposta di creare degli organismi di coordinamento regionale per affrontare il problema dello sfruttamento dei minori (su iniziativa del Comitato) vale naturalmente anche per il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia.

    Bruxelles, 2 luglio 1998.

    Il Presidente del Comitato economico e sociale

    Tom JENKINS

    () Cfr. Parere del CES 250/96 - GU C 153 del 28.05.1996.

    () «Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e qualsiasi tipo di lavoro rischioso o che interferisca con la sua educazione o che sia nocivo per la sua salute per il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale.»

    () Cfr. Parere del CES dal titolo «Politica culturale europea per l'infanzia», op. cit.

    () «The state of the world's children», 1997/Unicef.

    () COM(96) 547 def.

    () «The future of North-South Relations: towards sustainable economic and social development», «Cahiers of the Forwards Studies Unit, 1997, n. 1».

    ()Unesco, Unicef, Conseil oecuménique des Églises, Consiglio d'Europa e ONG.

    () COM(97) 197 def. del 6.6.1997, pag. 8.

    () COM(97) 47 def. del 10.2.1997.

    () COM(97) 142 def. del 30.4.1997.

    () Trasformare l'Unione europea in un attore globale, garantire la complementarità tra politiche interne ed esterne, sviluppare una strategia in materia di risorse umane.

    () COM(96) 547 def.

    ALLEGATO I al parere del Comitato economico e sociale

    La necessità di una terminologia comune

    La precisazione del significato dei termini costituisce un utile strumento per garantire una comunicazione efficace, per l'elaborazione della politica, l'attuazione delle linee guida e l'armonizzazione delle politiche.

    Poiché una gran numero di ONG internazionali si occupa della questione, occorre stabilire e utilizzare una terminologia comune.

    Termini e definizioni fondamentali

    Che cosa si intende con il termine «bambino»?

    Secondo la Dichiarazione ONU dei diritti del fanciullo, il termine «fanciullo» si riferisce a ciascun individuo fino all'età di 18 anni.

    La Convenzione OIL n. 138 fissa a 15 anni l'età minima legale per lavorare, calcolata sulla base dell'età minima prevista per il completamento dell'istruzione obbligatoria (6 + 9 = 15).

    Sistemi legali diversi configurano in modo diverso la possibilità di lavorare per i ragazzi tra i 15 e i 18 anni di età. La legge tedesca sulla tutela del lavoro minorile e sull'assistenza ai bambini e agli adolescenti definisce «bambino» un giovane sotto i 14 anni o per cui valga la legislazione sull'istruzione obbligatoria, vale a dire fino ai 15 anni di età. I giovani tra i 14 e i 18 anni che non rientrino nel campo di applicazione della legislazione sull'istruzione obbligatoria vengono considerati adolescenti.

    L'istruzione è obbligatoria fino all'età di 15 anni in Germania e in Austria, fino a 16 anni in Francia, Regno Unito e Paesi Bassi.

    L'età minima legale per lavorare coincide normalmente con il termine dell'istruzione obbligatoria.

    Età legale per l'esercizio del consenso

    Il Comitato ritiene che la possibilità di armonizzare le normative che stabiliscono l'età per l'esercizio del consenso all'interno dell'Unione dovrebbe essere presa in esame dalle idonee autorità competenti.

    Sfruttamento dei minori

    Con il termine «sfruttamento dei minori» si intende:

    a) l'impiego di minori da parte di qualsiasi terzo per il proprio interesse, in ogni modo o per qualsiasi scopo che sia nocivo al loro benessere fisico, psicologico o mentale;

    b) ogni violazione dei diritti del fanciullo, stabiliti nella Dichiarazione dell'ONU;

    c) qualsiasi violazione delle norme morali della società dell'autore del reato o della vittima.

    Abuso di minori

    Il Comitato ritiene che in tale definizione rientrino tutti i tipi di violenza fisica, psicologica o mentale inflitta ai minori.

    Infliggere delle violenze ai minori per proprio interesse o soddisfazione è definito «abuso». Costringere dei minori, direttamente o indirettamente, ad agire per la soddisfazione di terzi costituisce un abuso e un maltrattamento. Sottoporre dei minori a violenze psicologiche, mentali o fisiche, nell'interesse «sociale», «familiare» o «nazionale» è anch'esso considerato abuso. Anche l'impiego di minori per la soddisfazione erotico/sessuale ed il piacere degli adulti si configura come abuso (fisico, psicologico, mentale) e sfruttamento di minori.

    Negligenza e maltrattamento

    La negligenza delle esigenze fisiche, psicologiche e mentali e il maltrattamento dei minori rappresentano fenomeni la cui definizione può presentare delle differenze, a seconda della morale predominante nei diversi gruppi sociali o società. Tuttavia, esiste ovunque la possibilità di porre dei limiti a ciò che è tollerabile, superati i quali è previsto l'intervento dello Stato.

    La categoria in esame include un gran numero di minori che sono vicini o sono giunti al punto di dover vivere in strada o rimanere in casa in condizioni difficili, ed esige quindi un'attenzione particolare. I minori che fanno parte di tale categoria sono anche quelli maggiormente a rischio di entrare a far parte dell'esercito dei «bambini di strada». A tale riguardo, l'intervento sociale o ufficiale risulta per certi aspetti impossibile. Tuttavia, rispetto a tale categoria, la prevenzione può produrre effetti positivi.

    Abbandono

    Abbandono dei minori

    Il Comitato definisce «abbandono di minori» l'interruzione di ogni interesse, assistenza o contatto nei confronti del minore da parte dei genitori o familiari.

    Abbandono della casa e della famiglia da parte dei minori

    L'abbandono della casa e della famiglia da parte dei minori (temporaneo, ripetuto o definitivo) è il termine impiegato per definire l'allontanamento, da parte del bambino, dalla casa e dalla famiglia.

    Dalle definizioni sopra riportate si evince chiaramente che lo sfruttamento e il maltrattamento dei minori sono processi dinamici, stratificati, complessi e in continua trasformazione. Trattare tale problema come un insieme di singoli reati non consente di individuare e di affrontare le cause profonde del fenomeno.

    Lo sfruttamento dei minori, in ogni forma e grado, rappresenta, in primo luogo, un problema sociale, il sintomo di una patologia sociale. È anche un reato che, quando viene perpetrato, rende manifesto il problema sociale esemplificato dall'autore del crimine e dalla vittima. La riduzione di un problema sociale ad un atto criminale determina le politiche che saranno adottate per affrontare l'uno e l'altro.

    Il turismo sessuale che coinvolge l'infanzia

    Si definisce «turismo sessuale che coinvolge l'infanzia» il turismo organizzato il cui scopo principale è di fornire ai clienti «servizi» sessuali che coinvolgano dei minori, oppure viaggi che prevedano una prestazione organizzata di tali servizi o l'inserimento in «reti» che rispondano a questo tipo di domanda.

    Il Comitato condivide il profilo e la definizione delle specifiche tipologie di turisti che commettono atti di questo tipo, esposti nella Comunicazione della Commissione ().

    () COM(96) 547 def.

    ALLEGATO II al parere del Comitato economico e sociale

    Misure proposte dalla Commissione per affrontare il problema dello sfruttamento dei minori ().

    () SEC(97) 1265 del 24.6.1997.

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