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Document 51998AC0790

Parere del Comitato economico e sociale in merito alla «Comunicazione della Commissione: "Mercati europei dei capitali per le piccole e medie imprese: prospettive e ostacoli potenziali al progresso"»

GU C 235 del 27.7.1998, p. 13 (ES, DA, DE, EL, EN, FR, IT, NL, PT, FI, SV)

51998AC0790

Parere del Comitato economico e sociale in merito alla «Comunicazione della Commissione: "Mercati europei dei capitali per le piccole e medie imprese: prospettive e ostacoli potenziali al progresso"»

Gazzetta ufficiale n. C 235 del 27/07/1998 pag. 0013


Parere del Comitato economico e sociale in merito alla «Comunicazione della Commissione: "Mercati europei dei capitali per le piccole e medie imprese: prospettive e ostacoli potenziali al progresso"»

(98/C 235/04)

La Commissione, in data 13 maggio 1998, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 198 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla comunicazione di cui sopra.

La Sezione «Industria, commercio, artigianato e servizi», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere sulla base del rapporto introduttivo del relatore Pezzini, in data 6 maggio 1998.

Il Comitato economico e sociale ha adottato il 27 maggio 1998, nel corso della 355a sessione plenaria, con 101 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione, il seguente parere.

1. Osservazioni di carattere generale

1.1. Gli sforzi costruttivi e costanti della Commissione europea intesi a promuovere la creazione di mercati europei dei capitali adatti alle piccole e medie imprese (PMI) sono molto lodevoli. Le sue iniziative sono state descritte in una precedente comunicazione dal titolo «Relazione sulla fattibilità della creazione di un mercato europeo dei capitali per le giovani società in fase di rapida crescita gestite con spirito imprenditoriale» (), sulla quale il Comitato non ha espresso alcun parere. Così facendo la Commissione ha tenuto conto di una richiesta del Comitato affinché venisse effettuata «un'indagine sulla fattibilità di un mercato europeo riconosciuto che consenta all'imprenditoria europea, e principalmente alle PMI, l'accesso ai capitali (di rischio)».

1.2. Con la Comunicazione in esame, che ne costituisce il proseguimento, la Commissione ha prodotto un documento costruttivo. Ciò nonostante, alcuni punti, come ad esempio il funzionamento pratico della legislazione UE in materia di attività mobiliari, non hanno ricevuto, nei particolari, tutta la dovuta attenzione. Talvolta, invece, i fattori ritenuti importanti sono diversi da quelli messi in rilievo dalla Commissione.

1.3. Esiste infatti tutta una serie di altri fattori, oltre all'adeguata disponibilità di finanziamenti, che influiscono sulla possibilità per le imprese di raggiungere dimensioni di rilievo. Si è deciso che i più importanti di questi fattori andavano esaminati nel presente parere per consentire una migliore valutazione globale dei problemi in questo ambito. Varie raccomandazioni formulate scaturiscono da una missione di studio compiuta dal Comitato negli Stati Uniti nel novembre 1997. L'idea di tale visita è stata suggerita soprattutto dal riferimento ai mercati dei capitali statunitensi che figura nell'introduzione alla Comunicazione della Commissione e dall'incoraggiamento a esaminare la situazione statunitense contenuto nel discorso tenuto dal Presidente Santer al Comitato economico e sociale il 28 ottobre 1998. Ne consegue che il tema oggetto del presente parere è ben più ampio di quello trattato nella Comunicazione della Commissione, che si limita esclusivamente ai mercati dei capitali per le PMI.

1.4. Un ulteriore rilievo critico circa la Comunicazione è che i nuovi mercati europei dei capitali presentano interesse solo per le imprese che, pur configurandosi tecnicamente come PMI (meno di 250 dipendenti, cifra d'affari inferiore ai 40 milioni di ECU e un bilancio dell'ordine di 27 milioni di ECU), si presentano come nuove entità di dimensioni medie particolarmente innovative oppure come imprese caratterizzate da una particolare intensità di capitale.

1.5. Anche negli Stati Uniti le imprese che ottengono finanziamenti da investitori privati «informali» (i cosiddetti «Business Angels») o da fondi di capitali di rischio sono al massimo il 2 % del totale, benché con prospettive di crescita superiori alla media. Stando alle stime della Commissione, le imprese che a un certo punto potrebbero far negoziare in borsa le loro azioni sono al massimo 20 000 circa in tutta l'Unione europea. Al tempo stesso sono però quelle più promettenti sotto il profilo dei tassi di crescita e della creazione di un numero rilevante di nuovi posti di lavoro, ottime ragioni per le quali la Commissione ha rivolto tanta attenzione alle loro esigenze in materia di finanziamenti, di cui in passato l'Europa ha tenuto meno conto degli Stati Uniti.

2. Sintesi del documento della Commissione

2.1. Essenzialmente la Comunicazione si propone i seguenti obiettivi: esplorare i potenziali ostacoli che si frappongono all'ammissione delle azioni delle PMI alle contrattazioni sui mercati dei capitali; avviare un dibattito su scala europea sulle condizioni idonee all'acceso al capitale azionario; illustrare, e far presenti, i progressi compiuti da diverse iniziative per creare nuovi mercati finanziari nell'Unione europea, ad esempio l'«Easdaq» e l'«Euro-NM»; descrivere nelle grandi linee le iniziative che la Commissione sta adottando o si propone di intraprendere in avvenire per superare gli ostacoli allo sviluppo di mercati dei capitali orientati alle PMI e per assicurare l'agevole funzionamento di questi ultimi.

2.2. La Comunicazione individua due ambiti principali che creano ostacoli potenziali allo sviluppo di questi mercati dei capitali. Il primo riguarda gli atteggiamenti, le capacità e i vincoli connaturati alle stesse piccole e medie imprese. Si tratta in particolare dell'atteggiamento delle PMI riguardo al loro finanziamento, della loro competenza (o scarse conoscenze) in materia di gestione finanziaria, e degli oneri che dovrebbero sostenere in caso di accesso a un mercato azionario.

2.3. C'è poi un'altra serie di barriere: la contrattazione a livello transfrontaliero di azioni su mercati azionari paneuropei, problemi particolari di ordine monetario, disparità delle prassi tributarie e in materia di contabilità nazionale, il governo d'impresa e gli investimenti istituzionali. A giudizio della Commissione, in alcuni di questi ambiti sarebbe utile una spedita e piena applicazione della legislazione comunitaria in vigore. Infine, circa gli investimenti istituzionali e la libertà di circolazione dei capitali, la Commissione sostiene che la mancata rimozione delle restrizioni nazionali discriminatorie potrebbe imporre il ricorso a procedure d'infrazione.

3. Commenti specifici sulla Comunicazione

3.1. Introduzione

Il Comitato accetta le posizioni assunte nell'introduzione, fatto salvo quanto osservato nel punto 1 del presente parere.

3.2. Progressi nello sviluppo dei mercati di capitali per le PMI nell'Unione europea e loro prospettive

3.2.1. In Europa esistono attualmente alcuni mercati dei capitali che sono più sensibili alle esigenze delle imprese innovative e in rapida crescita di quanto non lo fossero i mercati azionari tradizionali. Due, l'Easdaq e l'Euro-NM, hanno ambizioni paneuropee. D'altro canto, il London AIM (Alternative Investment Market) sembra ora concentrarsi maggiormente sul Regno Unito.

3.2.2. I tassi di crescita delle imprese desiderose di accedere a questi mercati saranno probabilmente ben superiori al 10 % menzionato al secondo capoverso del capitolo II (pagina 2 della Comunicazione della Commissione). Un raffronto delle vendite nel 1996 e nel 1997 evidenzia che tre quarti delle società le cui azioni erano contrattate sul mercato Easdaq hanno registrato un incremento delle vendite superiore al 25 %. Inoltre, quasi un terzo delle società contrattate sullo stesso mercato hanno messo a segno un aumento del fatturato superiore al 100 %.

3.2.3. Tali mercati avranno successo a lungo temine se consentiranno l'accesso di un numero sufficiente di imprese innovative, perché sono queste a suscitare in genere l'interesse degli investitori. Qualsiasi iniziativa diretta ad accrescerne il numero, specie in campi quali la biotecnologia, non potrà che essere accolta positivamente. Purtroppo non esiste alcun sistema pienamente affidabile per determinare sin dalla fase iniziale quali imprese abbiano probabilità di crescere rapidamente e di dare risultati positivi a lungo termine. La loro capacità di attrarre investimenti esterni dipenderà dal valore che sarà attribuito al loro «management».

3.2.4. Occorre pertanto concentrare gli sforzi per promuovere la nascita di nuove imprese ed assicurarsi che possano accedere a finanziamenti e a una consulenza tempestiva, in modo da migliorare la qualità del management e da ridurre il cosiddetto «tasso di mortalità» delle imprese, che attualmente, stando all'Osservatorio europeo delle piccole e medie imprese, è elevato, con circa il 50 % durante i primi cinque anni di esistenza. Nell'UE funzionano già sistemi soddisfacenti atti a offrire indicazioni al momento della definizione delle politiche delle imprese. Ne è un esempio l'ente di finanziamenti italiano denominato «Artigiancassa».

3.2.4.1. Dato che la sottocapitalizzazione e l'incapacità di offrire garanzie per i prestiti sono due problemi comuni alle nuove imprese:

In tutti gli Stati membri dovrebbe essere reso disponibile un sistema di garanzia dei prestiti, con condizioni particolari per prestiti di entità assai modesta, o microprestiti. Le modalità di offerta (sistemi predisposti dallo stato o altri meccanismi come i sistemi di mutua garanzia) andrebbero decise in funzione delle realtà nazionali. Visto che le imprese molto piccole non si danno la forma di società per azioni, occorre prestare attenzione alle loro esigenze specifiche.

Non sarebbe forse necessario fissare un massimale così elevato come quello previsto dal sistema della Small Business Administration statunitense (1 milione di dollari di cui 750 000 coperti da garanzia), ma potrebbe essere adeguata una cifra pari ad almeno 250 000 ECU. Questi sistemi non dovrebbero costituire un onere eccessivo per le finanze pubbliche purché vengano gestiti correttamente. Attualmente le inadempienze in materia di prestiti negli Stati Uniti sono inferiori al 2,5 % del totale garantito e gli oneri a carico delle imprese per la concessione dei prestiti ne coprirebbero in parte le conseguenze. Stando all'esperienza dei sistemi di mutua garanzia, il cosiddetto «moltiplicatore», che accentua la capacità dei consorzi di fornire garanzie sui prestiti, presenta un moltiplicatore pari a 22. In pratica, con una garanzia del 50 % e un ipotetico fondo di capitali di rischio pari a 100 ECU sarebbe possibile garantire un prestito di 4 400 ECU. La cifra copre un tasso d'inadempienza del 4 % e il costo della verifica della solvibilità.

3.2.4.2. Uno dei motivi principali d'insuccesso negli affari è costituito dalla scarsa conoscenza del settore e dall'incompetenza in materia di gestione economica e finanziaria. Non vi è nulla di arcano in tutto ciò: nella maggioranza dei casi si tratta di conoscenze che possono essere trasmesse, a condizione però che il consulente disponga dell'esperienza necessaria nel settore e abbia effettivamente delle doti nel lavoro di consulenza. Purtroppo avviene che molti fra coloro che maggiormente necessitano di consigli raramente vi fanno appello.

Tutti gli Stati membri, con la cooperazione di opportune organizzazioni del settore privato, dovrebbero assicurare la disponibilità di una consulenza aziendale individuale a tariffe modiche per qualsiasi lavoratore autonomo e per qualsiasi proprietario o dirigente di PMI. Questi consulenti con funzione di mentore dovrebbero avere maturato un'esperienza nei problemi aziendali ed essere membri di un'organizzazione di categoria (che potrebbe includere le organizzazioni nazionali delle PMI e dell'artigianato) in grado di assicurare la loro formazione di base e un loro aggiornamento costante. Andrebbe contemplata la possibilità di condizionare la garanzia del prestito alla richiesta di questo tipo di assistenza.

Anche se la creazione di un tale sistema non comporterà necessariamente spese modiche come lo SCORE della Small Business Administration, i cui consulenti percepiscono unicamente un rimborso spese, non è detto che debba essere eccessivamente costosa. L'ultimo anno di funzionamento dello Small Firms Service britannico (1990), con 300 consulenti del settore, è costato appena 14 milioni di ECU circa. Promuovendo una riduzione degli insuccessi e frenando l'avvio di attività senza disporre delle conoscenze necessarie, la creazione di strutture del genere costituisce un ottimo investimento a livello nazionale. Si può ritenere che estendendo questo sistema si possa ridure notevolmente la percentuale degli insuccessi, raggiungendo anche punte dell'80 %.

3.2.4.3. Non tutte le imprese cessano le attività a causa di finanziamenti insufficienti o di cattiva gestione. Tantissime, infatti, non reggono sotto il fardello normativo. Molti potenziali imprenditori devono essere inoltre dissuasi dall'avviare un'attività a causa delle pastoie burocratiche che ciò comporterebbe. Per quanto la Commissione europea e gli Stati membri riconoscano questi problemi, è necessario accelerare le iniziative per porvi rimedio.

Negli Stati Uniti basta che le nuove imprese paghino i contributi sociali e presentino le necessarie dichiarazioni alle autorità tributarie. Gli Stati membri dovrebbero seguire questo esempio, riducendo le formalità imposte alle nuove imprese a ciò che essi considerano lo stretto indispensabile, tenendo conto nello stesso modo delle diverse strutture economiche e sociali. Dovrebbero inoltre contemplare l'innalzamento dei parametri relativi all'esenzione dalla registrazione IVA, come già consentito dalle direttive IVA, in modo da aiutare le imprese più piccole.

È una riforma che non comporterebbe costi per il bilancio, in quanto le spese amministrative per le imprese che pagano importi IVA contenuti superano il gettito conseguito. Darebbe inoltre un po' di respiro alle imprese per consentire loro di familiarizzarsi con quello che per molte è un sistema complesso, che impone di pagare una consulenza esterna per poter assolvere gli adempimenti previsti.

3.2.4.4. Negli Stati Uniti è facile fondare un'impresa e gestirla in casa, a condizione però che essa non sia fonte di rumore o di emissioni nocive. È lecito chiedersi se imprese come Microsoft e Dell Computers, nate entrambe in un garage, avrebbero mai potuto vedere la luce in taluni paesi d'Europa.

Per le autorizzazioni di nuove imprese è necessario che i pubblici poteri prestino attenzione più alla sostanza che alla forma e snelliscano le procedure di autorizzazione. È opportuno allentare le restrizioni all'avvio di attività imprenditoriali fra le pareti domestiche e al loro esercizio per un periodo di tempo limitato, a condizione che ciò non provochi né disagi agli altri, né inconvenienti o danni all'ambiente o ai dipendenti.

3.2.4.5. Se uno dei principali obiettivi che ci si propone è di promuovere la creazione di imprese innovative, occorrerà tener presente l'esperienza statunitense, secondo cui questo tipo d'imprese tende ad espandersi più facilmente intorno a centri di livello universitario o a centri di ricerca. Per quanto l'Europa conosca già centri del genere, essi non sono abbastanza numerosi, né presentano dimensioni sufficienti.

In via prioritaria vanno incoraggiati sia la creazione di un maggior numero di parchi di imprese a tecnologia avanzata nelle vicinanze di università e di altri centri di ricerca, sia il miglioramento della qualità complessiva di quelli esistenti, in modo da accrescere le possibilità di applicazioni commerciali delle scoperte scientifiche. È pure vitale assicurare l'esistenza di un supporto costituito da fondi di capitali di rischio in ciascuno dei casi.

È necessario che la Commissione europea esamini le migliori pratiche attualmente seguite negli Stati membri e ne diffonda i risultati per incoraggiare ulteriori sviluppi.

3.2.4.6. Gli studiosi statunitensi di livello universitario sono ben più disposti degli omologhi europei ad avviare imprese o a partecipare ad attività imprenditoriali. Ciò può essere dovuto sia alla maggiore disponibilità di finanziamenti per imprese nascenti o nella fase embrionale (lacuna di cui ci si sta ora occupando a seguito del Vertice straordinario dei Capi di Stato e di governo di Lussemburgo, che è stato dedicato all'occupazione), sia alla disponibilità di consulenza di esperti nei problemi aziendali. Un altro motivo può essere di ordine culturale, in quanto in Europa si annetterebbe un prestigio ben maggiore al successo in campo accademico che a quello nel campo degli affari.

È necessario studiare sistemi per sensibilizzare maggiormente gli studiosi sulla possibilità di trovare un'applicazione commerciale alle loro conoscenze teoriche, soprattutto in imprese in cui avrebbero una partecipazione. Può essere necessario prevedere incentivi, come ad esempio la disponibilità di maggiori fondi a favore della ricerca pura nei dipartimenti di studiosi universitari che mostrino interesse a iniziative del genere. Gli Stati membri dovrebbero altresì allentare le restrizioni tradizionali che impediscono agli studiosi di svolgere qualsiasi forma di attività commerciale.

Occorrerà superare problemi di ordine pratico, non da ultimo il riconoscimento della proprietà intellettuale, specie nei casi in cui i centri studi partecipanti siano interamente finanziati dallo Stato. L'esistenza di difficoltà non dovrebbe comunque servire da alibi per l'inerzia.

3.2.4.7. Un'altra ragione delle minori applicazioni commerciali della ricerca in Europa può consistere nel fatto che, apparentemente, è meno facile e più costoso far brevettare le scoperte rispetto agli Stati Uniti.

L'intento della Commissione di presentare sollecitamente progetti normativi intesi a creare un vero brevetto europeo è giudicato assai positivamente. Il Comitato sollecita il Consiglio e il Parlamento europeo ad esaminare e approvare speditamente tali normative al pari dell'importante progetto di direttiva sul modello di utilità.

3.2.4.8. Nelle zone degli Stati Uniti caratterizzate da una maggiore imprenditorialità si colpevolizzano meno gli imprenditori che falliscono. Le leggi degli Stati federati consentono infatti loro d'imparare dagli errori compiuti e di proseguire rimettendo in piedi la loro attività o avviandone una nuova.

Gli Stati membri dovrebbero vagliare le legislazioni nazionali in materia di fallimento e cercare d'introdurre modifiche in modo da limitare il numero dei fallimenti d'imprese non veramente necessari e offrire maggiori possibilità di ripartire daccapo a quanti non hanno avuto successo ma hanno agito in buona fede.

3.2.5. Un altro fattore che influirà in maniera determinante sul successo o meno di tali mercati è l'esistenza di interesse sufficiente da parte degli investitori. Se l'interesse sinora mostrato dagli investitori istituzionali sembra incoraggiante, altrettanto non si può dire per gli investitori privati. Una delle ragioni che spiegano la mancanza d'interesse degli investitori privati europei nelle azioni, cosa alla quale fa riferimento il settimo capoverso del capitolo II, è indubbiamente di origine culturale. L'Europa non ha la stessa cultura aziendale degli Stati Uniti. In tema di investimenti, si è tradizionalmente attribuita maggiore importanza alla sicurezza degli investimenti a tasso fisso rispetto alla possibilità offerta dagli investimenti azionari di ottenere guadagni più elevati. Si può prevedere che la creazione di una moneta unica europea tenderà a modificare il comportamento degli investitori. I rendimenti dei titoli di stato tenderanno a diminuire, al pari dell'entità delle emissioni. Ciò significa che gli investitori dovranno prendere in esame delle alternative.

3.2.6. Sembra che l'atteggiamento degli investitori stia già cambiando: l'apparente mancanza di interesse nelle azioni potrebbe essere stata imputabile anche alle scarse opportunità. Gli sviluppi recenti, fra cui il successo delle emissioni legate alle privatizzazioni, rivelerebbero la possibile esistenza di una domanda «repressa» superiore alle stime. In ogni caso, è probabile che la maggior parte dei piccoli investitori privati detengano le loro partecipazioni indirettamente, tramite investimenti collettivi e quelli compiuti da compagnie d'assicurazioni e fondi pensioni. È importante evitare che regole nazionali superate, che sempre meno avranno motivo di esistere in un'area caratterizzata dalla moneta unica (cfr. anche il punto 4.1.4), limitino le politiche d'investimento di questi investitori istituzionali.

3.2.7. Le imprese in espansione hanno forte necessità di capitali e spesso il loro tasso di crescita in Europa è ostacolato dall'assenza di fondi. È un problema che si pone meno negli Stati Uniti, dove esiste una più grande varietà di fonti. Ci sono i cosiddetti «Business Angels» (investitori privati informali), che spesso sono uomini d'affari di successo, i quali sono disposti a investire importi di denaro abbastanza ragguardevoli (stando alle fonti intorno ai 50 000-100 000 dollari) in imprese che promettono una crescita rapida. Per di più, si ritiene che i consigli e i contatti che possono procurare all'impresa presentino un'utilità almeno pari a quella dei fondi da essi investiti. Uno degli incentivi loro offerti è di poter compensare, a determinate condizioni, eventuali perdite con imposte dovute per altre attività. Sembra che investitori del genere esistano anche in Europa, ma si tratta di un fenomeno non generalizzato; inoltre i potenziali investitori si lamentano della difficoltà di individuare imprese adeguate. Di recente la Small Business Administration statunitense ha cercato di migliorare i collegamenti negli Stati Uniti creando una base dati nazionale per la promozione dei contatti.

Gli Stati membri dovrebbero studiare i modi per incoraggiare gli investimenti privati informali puntando su incentivi fiscali e sulla creazione di reti destinate ad agevolare i contatti là dove mancano.

3.2.7.1. Quando la partecipazione degli investitori privati informali non sia più sufficiente, in teoria i fondi di capitali di rischio dovrebbero intervenire efficacemente per le imprese con maggiori possibilità di crescita fino a quando non potranno essere ammesse in borsa. In pratica, anche negli Stati Uniti ciò avviene solo per un numero assai esiguo di imprese, con il graduale aumento dell'entità media degli investimenti. La Small Business Administration statunitense ha cercato di colmare parzialmente il vuoto offrendo garanzie per i piccoli investimenti di capitali di rischio.

Visto che il Consiglio ha dato atto dell'esistenza di un problema (punto 48 delle conclusioni di Lussemburgo), la Commissione ha reagito presentando una bozza di proposta concernente una decisione che permetterebbe la concessione di tali garanzie. Tale proposta formerà oggetto di un parere specifico del Comitato.

3.2.8. Una caratteristica degli Stati Uniti che merita attenzione è il numero di piccole imprese che crescono fino ad assumere proporzioni medie. Ciò può essere attribuibile all'imposizione sui capitali, che negli Stati Uniti è stata attenuata durante gli anni '80. I proprietari di un'impresa sono più disposti ad assumersi i rischi inerenti ad una rapida crescita se è loro consentito di tenere per sé una quota consistente dei risultati positivi conseguiti qualora decidano di far ammettere la società in borsa o di venderla. Ove non optino per nessuna delle due soluzioni, possono essere interessati a lasciare l'impresa a membri più giovani della famiglia senza dover pagare tasse di successione che privano l'impresa dei capitali necessari per funzionare e per finanziare l'ulteriore espansione.

Gli Stati membri dovrebbero esaminare gli effetti di disincentivo che le imposte sui capitali e le imposte di successione comportano per la crescita delle imprese PMI ed introdurre le riforme eventualmente necessarie. Si tratta di iniziative che il Comitato ha auspicato a più riprese ottenendo però, a livello nazionale, dei risultati deludenti se si considera l'importanza del problema.

Il Comitato osserva che, dopo tutto, ciò che dovrebbe contare per i governi è il gettito complessivo, e non già il livello delle aliquote di tali imposte.

3.2.9. È inoltre necessario fornire agli investitori informazioni di alta qualità, soprattutto sulle nuove emissioni azionarie. Nel caso di emissioni di notevole entità ciò è fattibile malgrado le complessità, mentre attualmente le offerte più contenute presentano, nel caso di emissioni transfrontaliere, difficoltà per due motivi. Anzitutto, manca una definizione comune di offerta pubblica nell'ambito dell'Unione europea; in secondo luogo gli Stati membri interpretano in maniera restrittiva le disposizioni di reciproco riconoscimento della direttiva sul prospetto (). Spesso essi chiedono la traduzione di grossi documenti, oltre ad una notevole quantità di informazioni aggiuntive e alla pubblicazione di annunci costosi sui quotidiani nazionali. Per quanto perfettamente legittimo, ciò costringe chi emette «azioni PMI» a limitare l'offerta iniziale di azioni al pubblico ad un unico Stato membro e a puntare altrove su investimenti privati in azioni da parte di investitori professionali. Inoltre, la forte disparità delle norme nazionali relative alla pubblicità finisce in pratica per escludere molti investitori privati, o per mancanza d'informazioni o perché nel loro Stato di residenza ha luogo solo un collocamento privato. Questi due fattori producono l'effetto negativo di restringere la liquidità nel mercato secondario e di comprimere le quotazioni delle azioni. Se queste difficoltà non verranno superate, sarà praticamente impossibile sfruttare le risorse disponibili e l'interesse nelle azioni di nuove PMI innovatrici potenzialmente esistenti in Europa. Né i mercati dei capitali per le PMI saranno in grado di fornire, malgrado il loro potenziale, finanziamenti per i futuri «campioni» europei in campo commerciale e industriale.

3.3. Ostacoli potenziali alla quotazione in borsa delle PMI

In questo capitolo della Comunicazione la Commissione pone cinque quesiti, che saranno affrontati nello stesso ordine.

3.3.1. Esiste in Europa un numero sufficiente di PMI adatte e mature per una quotazione in borsa, e, in caso affermativo, come possono essere individuate?

3.3.1.1. Dagli studi parziali sinora compiuti, e citati nella Comunicazione della Commissione, sembra che esista un numero sufficiente di imprese disponibili e potenzialmente in grado. Non è altrettanto certo che esse siano già pronte o addirittura consapevoli delle opportunità offerte dall'ammissione in borsa. Visto che le imprese tendono ad essere restie a svelare le proprie operazioni a estranei, e che rispetto agli Stati Uniti le informazioni sono disponibili al pubblico in misura molto inferiore, è difficile immaginare sistemi per individuarle. Forse consulenti professionali (bancari, legali, contabili) e organizzazioni (camere di commercio, ecc.) potrebbero essere indotti a contribuire all'individuazione di imprese potenzialmente candidate all'ammissione in borsa.

3.3.2. I proprietari delle PMI adatte a una quotazione sono disposti ad accettare la possibile riduzione di controllo che una emissione pubblica di azioni spesso comporta?

3.3.2.1. I proprietari di PMI non dovrebbero contemplare l'ammissione ai mercati azionari qualora non siano disposti ad accettare un dato di fatto, cioè che dovranno subire una riduzione del controllo sull'impresa e che dovranno rispondere del loro operato ad un maggior numero di persone. Man mano che coloro che avevano fondato imprese nel secondo dopoguerra si ritirano dalle attività, i loro successori sembrano molto più disposti a rinunciare ad una parte del loro controllo in cambio di finanziamenti esterni e delle maggiori opportunità di espansione che ne conseguono. Inoltre, coloro che hanno ricevuto capitale di rischio o hanno già attratto investimenti privati informali sono già abituati ad una valutazione esterna delle loro decisioni. L'idea della Commissione, secondo cui potrebbe candidarsi un maggior numero d'imprese se i pubblici poteri promuovessero campagne intese a sensibilizzare PMI idonee sui vantaggi dell'ammissione in borsa, merita di essere considerata con maggiore attenzione, per quanto la consulenza sul mercato più idoneo per l'impresa e su problemi analoghi rientrino chiaramente nelle competenze di un consulente professionista.

3.3.3. Le PMI sono disposte e hanno le capacità finanziarie necessarie a far fronte alle notevoli esigenze in fatto di informazione e trasparenza finanziaria che una quotazione in borsa implica?

3.3.3.1. Nel preparare un'ammissione la necessità di produrre molte informazioni finanziarie può ostacolare l'operazione. Occorre uno sforzo notevole oltre al costo rilevante dovuto al fatto che l'attenzione degli amministratori viene distolta dagli sforzi intesi a sviluppare l'impresa. Sono però requisiti inscindibili dalla trasparenza richiesta sia dagli investitori che dai regolatori del mercato. Difficilmente si vede come il problema possa essere risolto con il suggerimento della Commissione di far adottare standard simili di trasparenza finanziaria a società a responsabilità limitata. Ciò avrebbe unicamente il risultato di addossare un ulteriore fardello a imprese che non cercano, né mai si erano proposte di cercare, capitali di partecipazione esterna.

3.3.3.2. Per quanto riguarda l'altra proposta, cioè quella di fornire una formazione di tipo finanziario alle società che preparano un prospetto d'emissione, occorre rilevare che sono le società che promuovono l'emissione, e non le imprese interessate, a preparare il prospetto d'emissione, e sono i revisori contabili ad accertarsi dell'accuratezza e della presentazione delle cifre. È sperabile che le imprese che hanno raggiunto tale stadio abbiano già sviluppato un buon livello di competenze in campo finanziario. Altrimenti rischieranno di avere difficoltà negli adempimenti imposti ad una «public limited company» (corrispondente, in maniera approssimativa, a una società per azioni).

3.3.4. Le PMI hanno accesso alla necessaria consulenza specialistica e all'assistenza necessaria per preparare un'emissione pubblica iniziale?

3.3.4.1. Potenziali emissioni pubbliche iniziali inferiori ai 100 milioni di ECU incontreranno probabilmente difficoltà perché presentano poco interesse per le grandi banche d'investimento. In alcuni dei principali centri finanziari esistono sì imprese disposte ad occuparsi dell'ammissione per importi decisamente modesti, ma sono casi sporadici e potrebbero sorgere difficoltà nell'ottenere un'assistenza e un supporto adeguati. È un punto delicato in quanto il nome delle società che promuovono l'ammissione è importante per attrarre potenziali investitori. Sono esse infatti a fungere da filtro/selezionatore, a formare/preparare e ad assistere le PMI che accedono a un mercato azionario. Si confida che l'Unione economica e monetaria, con la crescente concorrenza sui mercati finanziari, veda sorgere un maggior numero di imprese disposte ad occuparsi di piccole emissioni, eventualmente anche in un paese diverso dalla loro sede principale.

3.3.5. Le PMI sono disposte e in grado di sopportare i costi elevati della procedura di quotazione in borsa, per quanto riguarda sia un'emissione iniziale sia i costi correnti di una quotazione?

3.3.5.1. I costi di un'emissione sono elevati, anche se la percentuale del 20 % del capitale raccolto citata nella comunicazione deve riferirsi ad un'emissione di entità decisamente ridotta. Nel NASDAQ i costi potrebbero aggirarsi intorno al 7-9 % del valore dell'emissione. Non sarebbe molto utile offrire aiuti speciali per sostenere i costi di un'offerta pubblica iniziale a PMI che effettuano emissioni per un importo decisamente modesto, visto che le commissioni vengono pagate solo dopo che il nuovo capitale è stato raccolto. In ogni caso, le borse non accolgono con entusiasmo questo tipo di emissioni, in quanto esse tendono a non essere liquide dopo l'ammissione, e difficilmente giustificano il livello di commissioni richiesto.

3.3.5.2. Si stanno facendo alcuni sforzi per far fronte alle esigenze delle PMI più piccole, di cui solo alcune si profilano come future società a tecnologia avanzata con ambizioni internazionali. Due iniziative sembrano degne di nota:

- l'Unione delle Camere di Commercio della Lombardia (Italia) ha appena creato un mercato di capitali secondario per le imprese che hanno un capitale minimo di 0,5 milioni di ECU;

- nel gennaio 1997 la borsa irlandese ha lanciato il suo «Developing Companies Market» (mercato per le imprese in crescita): è un mercato dei capitali con condizioni meno onerose rispetto a quelle che si applicano alle azioni del listino ufficiale, tra cui il requisito della contabilità per un solo anno anziché tre. Inoltre, è previsto che debba essere offerto al pubblico solo il 10 % delle azioni.

Sembrano necessarie ulteriori iniziative di questo tipo, capaci di creare mercati dei capitali per le imprese ai primi passi, e con costi di ammissione relativamente contenuti.

3.3.5.3. Esiste inoltre il mercato tedesco denominato «Freiverkehr», istituito da più tempo, sul quale vengono negoziati i titoli di circa 500 società non quotate in borsa.

3.3.5.4. Potrebbe essere utile incoraggiare la creazione di un mercato Internet soprattutto per le azioni delle PMI più piccole. Nel giugno 1997 la borsa australiana (AS: Australian Stock Exchange) ha annunciato l'intenzione di lanciare, nel febbraio 1998, un «mercato dei capitali alternativo» (Alternative Capital Market) sul quale le imprese non quotate di qualsiasi dimensione potranno cercare investimenti tramite annunci su Internet. La AS calcola che in Australia esiste circa un milione di PMI, delle quali il 10 % probabilmente dispone di un potenziale effettivo di crescita, ed il 2 % potrebbe essere interessato a reperire capitale azionario all'esterno. Le imprese che intendono entrare sul mercato dovranno avvalersi della consulenza di società esterne, con l'approvazione e la supervisione della AS, le quali dovranno poi verificare le informazioni inviate alle imprese, ai clienti via Internet. Alcune informazioni dovranno essere fornite obbligatoriamente, ma niente di così complesso come un prospetto di emissione.

3.3.5.5. Un prospetto deve essere compilato e trasmesso alla Securities and Exchange Commission, ma spetta alle società interessate determinare il prezzo delle azioni, il che provoca una scarsa trasparenza sul mercato secondario. Sembra che sinora la maggioranza delle azioni emesse in questo modo sia stata venduta a investitori nelle vicinanze della società.

3.3.5.6. Una nuova forma di emissione alquanto più evoluta, che si rivolge alle medie imprese, riguarda le cosiddette «Public Venture Offerings» e viene ora offerta negli Stati Uniti fra l'altro anche tramite Internet. In genere gli importi raccolti sono dell'ordine di 5-10 milioni di dollari. Alla Securities and Exchange Commission e alle autorità di regolazione di ciascuno stato in cui l'azione verrà offerta dovrà essere presentato un prospetto, dopo di che verrà meno qualsiasi restrizione alla pubblicità data all'offerta. Questa potrà essere sottoscritta da un massimo di cinque investitori istituzionali e da un numero illimitato di investitori privati. Le azioni non potranno essere negoziate per un periodo di 18 mesi dalla data dell'emissione. È una forma di finanziamento difficile da sfruttare, forse a causa della sua novità. Una sola società d'investimento ha accettato di lanciare le offerte di quattro imprese sulle 2000 interessate. Sembra comunque che questo strumento finanziario offra effettive possibilità.

3.3.5.7. Un problema che andrà affrontato se si vogliono incoraggiare tali sviluppi in Europa è quello di una regolamentazione e di un controllo adeguati e dei modi per impedire le frodi. Nemmeno la Securities and Exchange Commission negli Stati Uniti è ancora in grado di disporre un insieme di regole. Ciò implica che potrebbe essere proprio la Commissione europea a doversi occupare di tutta questa problematica in maniera esauriente, prevedendo possibilmente un quadro normativo che consenta lo sviluppo di un mercato azionario delle PMI che sia valido, trasparente ed impostato su criteri di equità.

Il Comitato riconosce e appoggia gli sforzi costruttivi compiuti dalla Commissione europea nell'ambito delle contrattazioni elettroniche. Invita la Commissione stessa e gli Stati membri ad avviare consultazioni su tale base, mantenendo per quanto possibile i contatti con la Securities and Exchange Commission statunitense per mettere a punto un complesso di regole adeguate, che possano essere applicate ai titoli offerti agli investitori per il tramite di Internet.

3.4. Barriere potenziali agli scambi transfrontalieri di azioni sui mercati europei dei capitali per le PMI

3.4.1. Punti evidenziati dalla Commissione

3.4.1.1. Problemi monetari

Il Comitato conviene con l'idea della Commissione secondo la quale i problemi monetari possono essere risolti soltanto con l'introduzione dell'euro e grazie al conseguente impulso agli scambi transfrontalieri in titoli. Ciò dipenderà ovviamente dal numero degli Stati membri che parteciperanno sin dall'inizio e non può essere visto a prescindere dai risultati dell'economia dell'UE.

3.4.1.2. La regolamentazione degli scambi di valori mobiliari a livello europeo

3.4.1.2.1. L'Unione europea conta circa diciotto mercati di titoli e diciotto organizzazioni di vigilanza. Negli Stati Uniti i mercati azionari principali o «nazionali» sono tre, tutti caratterizzati da una notevole efficienza e capaci di funzionare in maniera soddisfacente per gli investitori e per le imprese. Da quando, nel 1996, il Congresso ha emanato disposizioni di legge che avevano la preminenza sulle legislazioni degli Stati federati nei casi in cui le azioni erano negoziate su tali mercati, l'autorità di regolazione è unica, cioè la Securities and Exchange Commission. Oggi la struttura regolamentare frammentaria esistente in Europa, insieme alle società d'investimento che vi operano, non riesce a competere efficacemente con il modello statunitense.

3.4.1.2.2. Attualmente la legislazione comunitaria sui servizi finanziari consente la libera circolazione dei capitali e riconosce il diritto di stabilimento. Manca però una qualsiasi interpretazione uniforme delle disposizioni da parte degli enti nazionali di regolazione. Oltre al fatto che le possibilità offerte dalle legislazioni sui servizi finanziari sono state sfruttate nelle maniere più svariate a livello nazionale, questi sono forse i problemi essenziali rimasti per quanto riguarda l'organizzazione e il funzionamento dei mercati azionari nell'Unione europea. La soluzione non verrà solamente dalla moneta unica anche se ciò ne rappresenta la premessa. In effetti il settore dei servizi finanziari non beneficerà pienamente dei vantaggi che essa comporta fintanto che permarrà l'attuale regime legislativo e regolamentare.

3.4.1.2.3. Le disposizioni della direttiva sul prospetto presentano problemi particolari per le imprese di uno Stato membro che chiedono di essere ammesse ad un mercato di un altro Stato membro. Questa direttiva non prevede il reciproco riconoscimento automatico di un prospetto preparato a norma dell'artiolo 12 per ottenere l'ammissione a un mercato regolamentato, nonostante la verifica da parte di un organismo competente. Alcuni di questi organismi sono disposti ad emettere un certificato attestante che hanno verificato un prospetto, ma altri no. In effetti, la varietà delle regolamentazioni adottate a livello nazionale, dovuta ai modi diversi in cui talune delle opzioni contenute nella direttiva sul prospetto sono state trasposte, in maniera del tutto legale, nelle legislazioni nazionali, impedisce di realizzare con la dovuta facilità il reciproco riconoscimento previsto dall'artiolo 21, pararafo 1, di tale direttiva.

3.4.1.2.4. Come già si è rilevato al punto 3.2.9, notevoli difficoltà provengono dal fatto che alcune autorità richiedono la traduzione del prospetto ed esigono informazioni supplementari, previste dal loro Stato membro, riguardo al regime fiscale sui redditi applicato sul posto, agli organismi finanziari che assicurano il servizio finanziario dell'emittente nello Stato membro in questione, e le modalità di pubblicazione degli avvisi destinati agli investitori. In pratica accollano ai piccoli emittenti un fardello pressoché insostenibile.

3.4.1.2.5. Consentendo che tali anomalie permangano si comprometteranno alcuni dei vantaggi derivanti dall'esistenza di una moneta unica europea e si creerà una situazione di svantaggio per i mercati dei capitali europei rispetto a quelli statunitensi. Questi ultimi non solo sono efficienti, ma anche offrono una scelta alle società e ampliano le opportunità degli investitori. Ciò sembra dipendere essenzialmente dal contesto regolamentare, che assicura la trasparenza e promuove la concorrenza. A sua volta ciò accresce le dimensioni del mercato e riduce i costi sia per gli investitori che per le imprese che raccolgono capitali. Anche se attualmente l'Unione europea dispone di un quadro globale di regole che disciplinano i mercati e i servizi finanziari, esse sono estremamente complesse, sono complicate da disposizioni nazionali supplementari e sono soggette al controllo delle autorità di regolazione nazionali.

È necessario che la Commissione europea e gli Stati membri studino se l'attuale regime legislativo e regolamentare incoraggia quel perfezionamento dei mercati dei capitali che è ora essenziale e prendano le necessarie iniziative per apportarvi i correttivi indispensabili, con particolare riferimento alla direttiva sul prospetto. Affinché quest'ultima si trasformi in uno strumento efficace non occorrerebbero modifiche di rilievo: sarebbe comunque necessario che alcuni Stati membri rinunciassero a talune opzioni legislative di cui beneficiano, e che erano state previste in un periodo in cui i mercati finanziari presentavano un carattere ben più nazionale di adesso. Fermo restando che è improbabile che si arrivi, nel prossimo futuro, alla creazione di un organo di regolazione europeo sul modello della Securities and Exchange Commission, occorre compiere maggiori sforzi per assicurare che l'attuazione a livello nazionale sia più coerente di quanto non lo sia attualmente.

3.4.1.3. Differenze delle leggi e delle pratiche nazionali

3.4.1.3.1. Fiscalità

Per quanto la Commissione abbia ragione nel ritenere che nella maggior parte dei casi esistono regimi di doppia tassazione, questo non vale per tutti gli Stati membri. Sotto questo aspetto mostrano due problemi particolari. Ciò nonostante, sembra che a causare le difficoltà sia la mancanza d'informazioni sulle diverse caratteristiche nazionali, piuttosto che le differenze stesse.

È una lacuna che la Commissione potrebbe cercare di colmare predisponendo direttamente una guida esauriente in materia o incoraggiandone la produzione.

3.4.1.3.2. Norme di contabilità

Si conviene con l'idea della Commissione secondo cui esse non pongono alcun problema di rilievo; tuttavia, per gli analisti, che sono la fonte di numerose informazioni «pubbliche» sulle società, sarebbe utile che la contabilità venisse effettuata più di frequente in conformità delle norme contabili internazionali. È un aspetto di cui dovranno occuparsi le borse, mediante regole interne, e non già la Commissione europea. Perché ciò funzioni occorrerà però che alcuni Stati membri, come convenuto in linea di principio, modifichino le legislazioni nazionali per consentire alle imprese di applicare le norme internazionali. Risulta che essi si siano impegnati a farlo, e sono invitati a procedere speditamente.

3.4.1.3.3. Governo d'impresa

3.4.1.3.3.1. Sembra utile un dibattito su un piano europeo circa il necessario livello degli standard inerenti al governo d'impresa. È tuttavia lecito dubitare delle soluzioni basate sulle disposizioni giuridiche, soprattutto in considerazione della difficoltà di definire una direttiva capace di ottenere il consenso del Consiglio, o, in alternativa, norme nazionali coerenti.

3.4.1.3.3.2. Una prima difficoltà sta nel dare una definizione adeguata al governo d'impresa. La definizione adottata dalla Ernst & Young in una relazione elaborata per la Commissione (tutte le regole di funzionamento e controllo che disciplinano la vita delle imprese in un dato contesto storico e geografico) è estremamente ampia. Tentare di tradurla in legislazione, soprattutto a livello europeo, dato che in alcuni Stati membri non sono ben sviluppati neanche i concetti più elementari di governo d'impresa, potrebbe risultare estremamente complicato. Uno dei rischi è che la necessità di una gestione flessibile, in un ambiente operativo in rapida evoluzione, ne risulti inutilmente penalizzata, recando all'Europa ulteriori svantaggi nel suo sforzo di competere con il resto del mondo.

3.4.1.3.3.3. Anche i codici di comportamento devono comportare un elemento di flessibilità, per evitare di diventare eccessivamente onerosi per le società più piccole. Un mercato azionario europeo già stabilisce alcuni principi di base del governo d'impresa, che le imprese le cui azioni sono ammesse alle negoziazioni devono soddisfare e continuano a soddisfare:

- il consiglio di amministrazione deve includere almeno due membri indipendenti (cosa che esclude tutti i dirigenti e i dipendenti della società o delle imprese collegate, gli azionisti che godano di diritti beneficiari superiori al 20 % e chiunque abbia una qualsiasi relazione che possa influenzare la sua autonomia di giudizio);

- occorre creare un comitato degli emolumenti, interamente composto di dirigenti indipendenti, che operi in linea con le migliori prassi internazionali nello stabilire le remunerazioni e gli incentivi per gli amministratori e i dirigenti;

- occorre creare e mantenere un Comitato di revisione, composto per la maggior parte di dirigenti indipendenti;

- occorre rivedere regolarmente tutte le operazioni connesse, facendo ricorso ad un organo con maggioranza indipendente, come il comitato di revisione, che dovrebbe anche verificare le situazioni dove potrebbero insorgere conflitti d'interesse.

3.4.1.3.3.4. Se altre borse europee adottassero regole vincolanti analoghe, i problemi del governo d'impresa legati alle cosiddette «public limited companies» (un tipo di società per azioni esistente nel Regno Unito), almeno per quanto riguarda il comportamento generale dei membri del consiglio d'amministrazione che hanno responsabilità nella gestione dell'azienda, sarebbero per la maggior parte superati. Altri problemi possono sorgere in avvenire. Data la relativa novità di questo ambito, potrebbe essere utile adottare un approccio graduale, cercando soltanto di occuparsi di eventuali abusi quando si profilano, di preferenza ricorrendo a strumenti diversi dalla legislazione.

3.4.1.3.4. L'investimento istituzionale

Due ragioni fondamentali del minor volume dei finanziamenti disponibili per investimenti di capitali di rischio in Europa è che esiste un minor numero di fondi pensione basati sul sistema della capitalizzazione, e che, anche là dove esistono, in alcuni Stati membri le loro politiche d'investimento sono soggette a vincoli notevoli. Dati i problemi demografici che si profilano per l'Europa nel prossimo secolo, è lecito ritenere che sarà assolutamente indispensabile crearne di più. Inoltre, per ottenere risultati quanto maggiori possibile, tali fondi dovranno essere capaci di spuntare i rendimenti superiori consentiti da investimenti di rilievo in capitali di rischio. Il Comitato conviene con la Commissione sulla grande importanza degli investimenti istituzionali per il successo di tali mercati e sulla necessità di eliminare restrizioni superate e inutili sugli investimenti da parte dei fondi pensione.

Ferma restando la necessità di garanzie adeguate soggette a controlli rigorosi, i fondi pensione dovrebbero avere la facoltà di mettere a punto le strategie d'investimento più rispondenti agli interessi dei loro membri.

4. Altri aspetti importanti da prendere in considerazione

4.1. La portata restrittiva del concetto di «mercato regolamentato»

4.1.1. Il concetto giuridico di «mercato regolamentato» si applica soltanto alla direttiva sui servizi d'investimento ed alla direttiva sull'adeguatezza patrimoniale, e a nessun'altra delle direttive UE sui servizi finanziari. Ciò può avere varie conseguenze:

i) sembrerebbe che in realtà le azioni ammesse alla negoziazione potrebbero, in alcuni casi, essere classificate come valori mobiliari non quotati anche se devono soddisfare criteri di controllo e trasparenza pari a quelli imposti da una borsa ufficiale, se non ancor più rigorosi;

ii) nel caso in cui si applicasse la classificazione di «valori mobiliari non quotati», le società di servizi finanziari dovrebbero accordare loro una ponderazione nulla nel calcolare i coefficienti di solvibilità, limitando così gli investimenti istituzionali;

iii) le società di investimento che operano in OICVM, (Organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari) possono, ai sensi della legislazione nazionale derivante dalla Direttiva 85/611/CEE, essere soggette all'obbligo di procedere ad una verifica prudenziale del mercato regolamentato in questione prima di effettuare qualsiasi investimento in azioni negoziate su di esso;

iv) non è applicabile la Direttiva 88/627/CEE relativa alle informazioni da pubblicare al momento dell'acquisto o della cessione di una partecipazione importante in una società quotata in borsa. Questo potrebbe portare ad una situazione in cui in una società negoziata su questi mercati potrebbe costituirsi una partecipazione consistente senza che l'acquirente sia in alcun modo tenuto ad informare né la società né il mercato interessati.

4.1.2. Si presume che la Commissione ritenga che la definizione «mercato regolamentato» implichi la garanzia dell'affidabilità di tale mercato. Se a questo si aggiungono le severe regole imposte alle imprese le cui azioni sono negoziate su tale mercato, è evidentemente inopportuno che si applichino, o che si ritenga che valgano, regole più rigide di quelle applicate alle «borse ufficiali». Si potrebbe chiedere alla Commissione di esaminare come porre rimedio a questa anomalia.

4.2. L'esperienza statunitense

4.2.1. Malgrado le forti differenze economiche e sociali fra gli Stati Uniti e l'Unione europea, sembra che dai primi sia possibile trarre degli insegnamenti per migliorare la situazione delle PMI, in particolare sotto il profilo finanziario, e anche sul piano della consulenza aziendale, contribuendo alla creazione di un maggior numero di nuove imprese e quindi di posti di lavoro.

4.2.2. Adottare nuove iniziative o adattare strutture esistenti alla luce delle loro esperienze non significherebbe che l'intera Europa beneficerebbe ovunque di attività imprenditoriali. Ciò non avviene infatti in tutti gli Stati Uniti. L'espansione dei settori innovativi e dei servizi (la delimitazione fra i due è sempre più difficile) sembra concentrarsi in centri di eccellenza, intorno a istituti di livello universitario o in zone come la parte occidentale di Washington DC.

4.2.3. Il numero proporzionalmente elevato di nuove imprese create negli Stati Uniti è attribuibile in parte a motivi culturali, in quanto l'imprenditorialità, l'indipendenza e la flessibilità sono più diffuse nella popolazione. Cercare, come sembra intenzionata a fare la Commissione, di promuovere una maggiore imprenditorialità attraverso il sistema scolastico richiederà tempo: almeno una generazione e comunque rischia probabilmente di non raggiungere mai i livelli degli Stati Uniti, che hanno una società molto più giovane, ancora in formazione.

4.2.4. È pertanto necessario che la politica dei pubblici poteri in Europa sia deve essere diretta ad agevolare la creazione di nuove imprese e ad evitare che il tasso di mortalità delle imprese durante i primi cinque anni di vita sia superiore a quello statunitense, e che si offra ad un maggior numero di imprese l'opportunità di raggiungere proporzioni intermedie.

4.2.5. L'obiettivo che ci si deve proporre è quello di offrire alle PMI, e soprattutto a quelle nuove, accesso alla consulenza. Spetterà agli Stati membri scegliere da chi essa debba essere fornita, da enti governativi, commissionata a terzi o altro, di preferenza dopo aver consultato gli interlocutori sociali. Dovrebbero in ogni caso assicurare che l'effetto di «espulsione» sia ridotto al minimo, evitando cioè che l'assistenza sia fornita in modo da procurare un vantaggio competitivo sleale nel breve termine.

5. Analisi delle conclusioni della Commissione

5.1. È impossibile mettere in discussione le conclusioni che la Commissione espone nella Comunicazione, per quanto si possa dire che il cammino verso il conseguimento dell'obiettivo di una vera cultura dell'azionariato per le PMI in Europa potrebbe essere lungo. Le prospettive non sono proprio così fosche, visto il nuovo e positivo impegno da parte dei legislatori e degli enti nazionali di regolazione a ridurre le barriere superflue. In particolare è essenziale che l'innovazione sul mercato mobiliare non venga ritardata, o addirittura soffocata, da problemi di regolamentazione. Si deve sempre ricordare che gli obiettivi principali delle leggi sui valori mobiliari e quello dei legislatori sono i seguenti:

- disciplinare i rapporti tra l'operatore azionario e il cliente, in modo che quest'ultimo non venga trattato in maniera iniqua né esposto al rischio di frode;

- proteggere gli investitori, a livello più generale, dalla frode e dalle manipolazioni del mercato.

5.2. Ciò non significa cercare di tutelare gli investitori dal rischio di mercato o di proteggere gli interessi specifici nazionali di mercato: ciò risulterà in ogni caso sempre più difficile sui mercati finanziari globali di oggi.

5.3. Il ruolo economico fondamentale dei mercati azionari è quello di canalizzare il risparmio passivo in investimenti produttivi. Ciò che le società di investimento attualmente non possono fare è garantire il livello ottimale di liquidità sul mercato, a causa dell'atteggiamento restrittivo degli organi di regolazione e dei legislatori nazionali sull'approvazione dei prospetti d'emissione, sulla definizione di offerta pubblica e su quali valori mobiliari possono essere definiti «euro-valori mobiliari» [cfr. Articolo 3, lettera f), della direttiva sul prospetto (89/298/CEE)]. La Commissione dovrebbe assicurare che questo articolo della direttiva sia applicato correttamente a livello nazionale.

5.4. Per massimizzare la creazione di imprese e di posti di lavoro, con il supporto di mercati finanziari efficienti quanto quelli statunitensi, e mantenendo in ogni caso la sua identità sociale specifica, l'Europa deve:

- far sì che un maggior numero di società valide chieda l'ammissione ai mercati azionari. Ciò implica: aumentare il numero complessivo delle imprese, evitare che siano afflitte dalla scarsità dei finanziamenti, consentire loro l'accesso a una consulenza aziendale da parte di persone competenti, evitare che i loro progressi siano ritardati da vincoli regolamentari superflui e permettere loro una più agevole tutela delle loro innovazioni;

- promuovere maggiori investimenti nei capitali azionari in ogni fase dello sviluppo dell'impresa;

- assicurare la disponibilità di mercati azionari per le imprese nascenti, probabilmente a livello regionale, che le imprese potranno poi lasciare per passare a mercati più grandi, nazionali e paneuropei, una volta raggiunta una fase adeguata di sviluppo; assicurare altresì lo sfruttamento delle possibilità offerte da Internet; e infine

- riformare la legislazione europea riguardante i titoli per favorire una maggiore trasparenza e concorrenza e consentire l'efficace funzionamento di un settore dei servizi finanziari veramente europeo.

5.5. Il Comitato riconosce che nei vari casi alcuni degli Stati membri possono già disporre di meccanismi perfettamente adeguati per affrontare il problema e che altri dispositivi saranno probabilmente introdotti a seguito del Consiglio europeo straordinario sull'occupazione tenuto nel novembre 1997. Le raccomandazioni in oggetto si propongono d'incoraggiare lo sviluppo di un quadro globale atto ad agevolare lo sviluppo delle PMI e la creazione di nuovi posti di lavoro nell'intera Unione europea, colmando le lacune che tuttora permangono nel quadro di sostegno attuale. Ciò avrà a sua volta ricadute positive sui livelli globali di prosperità economica nell'Unione europea, visto che la maggioranza delle imprese è costituita da PMI. I provvedimenti saranno modulati in funzione delle tradizioni e delle strutture dei vari Stati membri.

6. Postilla

6.1. Il Comitato si compiace degli sviluppi positivi delle politiche delineati nella Comunicazione della Commissione riguardante i capitali di rischio come condizione fondamentale per la creazione di posti di lavoro nell'Unione europea (). Il Comitato constata inoltre che la grande maggioranza delle iniziative suggerite adotta lo stesso approccio seguito nel presente parere. Sottoscrive i punti di vista formulati nel documento in parola e chiede di essere consultato sui futuri sviluppi della politica in questo campo.

Bruxelles, 27 maggio 1998.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale

Tom JENKINS

() COM(95) 498 def. del 25.10.1995.

() 89/298/CEE (Direttiva del Consiglio per il coordinamento delle condizioni di redazione, controllo e diffusione del prospetto da pubblicare per l'offerta pubblica di valori mobiliari).

() SEC(98) 522 def.

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