Choose the experimental features you want to try

This document is an excerpt from the EUR-Lex website

Document 32006R0553

Regolamento (CE) n. 553/2006 della Commissione, del 23 marzo 2006 , che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam

GU L 98 del 6.4.2006, p. 3–54 (ES, CS, DA, DE, ET, EL, EN, FR, IT, LV, LT, HU, NL, PL, PT, SK, SL, FI, SV)

Legal status of the document No longer in force, Date of end of validity: 06/10/2006

ELI: http://data.europa.eu/eli/reg/2006/553/oj

6.4.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

L 98/3


REGOLAMENTO (CE) N. 553/2006 DELLA COMMISSIONE

del 23 marzo 2006

che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam

LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea,

visto il regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea («regolamento di base») (1), in particolare l’articolo 7,

sentito il comitato consultivo,

considerando quanto segue:

1.   PROCEDIMENTO

1.1.   Avvio della procedura

(1)

Il 7 luglio 2005, con un avviso («avviso di apertura»), pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea  (2), la Commissione ha annunciato l’apertura di un procedimento antidumping relativo alle importazioni nella Comunità di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio originarie della Repubblica popolare cinese («RPC») e del Vietnam.

(2)

Il procedimento è stato avviato in seguito ad una denuncia presentata il 30 maggio 2005 dalla Confederazione europea dell’industria calzaturiera («CEC») per conto di produttori che rappresentano una porzione maggioritaria, in questo caso più del 40 %, della produzione comunitaria complessiva di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio.

1.2.   Parti interessate e visite di verifica

(3)

La Commissione ha ufficialmente informato dell’apertura del procedimento i produttori esportatori della RPC e del Vietnam, gli importatori/operatori commerciali notoriamente interessati, i rappresentanti dei paesi esportatori interessati, i produttori comunitari all’origine della denuncia e le loro associazioni. Le parti interessate hanno avuto la possibilità di comunicare le loro osservazioni per iscritto e di chiedere di essere sentite entro il termine fissato nell’avviso di apertura.

(4)

Tenuto conto del numero assai elevato di produttori esportatori cinesi e vietnamiti e di produttori comunitari, nell’avviso di apertura è stata prospettata la possibilità di ricorrere a tecniche di campionamento per la determinazione del dumping e del pregiudizio, a norma dell’articolo 17 del regolamento di base. Non si è invece proceduto al campionamento degli importatori e operatori commerciali della Comunità, i quali sono stati tutti invitati a cooperare.

(5)

Per consentire ai produttori esportatori della RPC e del Vietnam di presentare domanda per ottenere, qualora lo desiderassero, il trattamento riservato alle imprese operanti in condizioni di economia di mercato («TEM») o un trattamento individuale, i servizi della Commissione hanno inviato i relativi formulari ai produttori esportatori notoriamente interessati e alle autorità dei due paesi in questione.

(6)

Sono stati inviati questionari ai dieci produttori comunitari selezionati per il campione, ai produttori esportatori dei paesi interessati selezionati per il campione, a tutti gli importatori notoriamente interessati e a tutti gli importatori che si sono manifestati entro il termine indicato nell’avviso di apertura. Questionari sono stati inviati anche alle associazioni nazionali calzaturiere degli Stati membri dell’UE nelle quali sono concentrate le imprese di fabbricazione, allo scopo di ottenere informazioni generali sull’andamento della loro situazione, e infine ad una associazione di consumatori.

(7)

Sono state ricevute risposte al questionario da dodici dei produttori esportatori cinesi selezionati per il campione (un altro produttore esportatore cinese compreso nel campione ha deciso di non continuare la cooperazione), da quattro produttori esportatori cinesi che hanno chiesto un esame individuale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, dagli otto produttori esportatori vietnamiti selezionati per il campione e da altri quattro produttori esportatori vietnamiti che hanno chiesto un esame individuale ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base. Hanno risposto al questionario anche i dieci produttori comunitari compresi nel campione e 39 importatori indipendenti. Infine, sono state ricevute risposte anche da tre associazioni di importatori.

(8)

La Commissione ha raccolto e verificato tutte le informazioni ritenute necessarie ai fini di una determinazione provvisoria del dumping, del conseguente pregiudizio e dell’interesse della Comunità. Sono state effettuate visite di verifica presso le seguenti società o amministrazioni.

a)

Produttori comunitari

Visite di verifica sono state eseguite presso le sedi dei dieci produttori comunitari selezionati per il campione, che si trovano in cinque diversi Stati membri. I produttori comunitari compresi nel campione, come pure altri produttori comunitari che hanno cooperato all’inchiesta, hanno chiesto, con riferimento alle disposizioni dell’articolo 19 del regolamento di base, che la loro identità non fosse divulgata, sostenendo che avrebbero altrimenti rischiato di subire effetti negativi considerevoli.

In effetti, alcuni dei produttori comunitari all’origine della denuncia riforniscono clienti nella Comunità che acquistano i loro prodotti anche dalla RPC e dal Vietnam, traendo un beneficio diretto da tali importazioni. Detti produttori che fanno parte dei denuncianti si trovano pertanto in una posizione sensibile, poiché alcuni dei loro clienti possono non vedere di buon occhio il fatto che abbiano presentato o sostenuto una denuncia contro presunte pratiche di dumping pregiudizievole. Essi ritengono di correre il rischio di ritorsioni da parte di alcuni dei loro clienti, i quali potrebbero decidere di mettere fine alle loro relazioni commerciali. Poiché era sufficientemente giustificata, la richiesta è stata accolta.

I rappresentanti di taluni produttori esportatori e un importatore indipendente hanno asserito di non poter esercitare convenientemente i loro diritti di difesa poiché non era nota l’identità dei denuncianti. Secondo loro, in queste circostanze, non si poteva verificare se era assicurata la rappresentatività dei denuncianti. Si fa notare, tuttavia, che le parti interessate sono state informate dei volumi di produzione di ciascuna impresa denunciante, cosicché, anche se i nomi delle società interessate sono stati cancellati, la loro rappresentatività poteva essere verificata. L’argomentazione è stata quindi respinta.

b)

Importatori comunitari indipendenti

Adidas Salomon AG, Germania,

C&J Clark International Limited, Regno Unito,

George Clothing Ltd, Regno Unito,

Nike European Operations B.V., Paesi Bassi,

Puma AG Rudolf Dassler Sport, Germania,

Timberland Europe B.V., Paesi Bassi.

c)

Produttori esportatori della RPC

Apache Footwear Ltd («APE I»),

Apache Footwear Ltd («APE II»),

FED International Corp. («FED»),

FuGuiNiao Shoes Development Co. Ltd («FS»),

Golden Step Industrial Co. Ltd («GS»),

Growth-Link Overseas Co. Ltd («GLO»),

Heng Tai Hong Wei Shoes Co. Ltd («Heng Tai»),

Laikong Footwear Co. Ltd («Laikong»),

Laitin Footwear Co. Ltd («Laitin»),

Poong Won Chehwa Co. Ltd («PWC»),

Sun Sang Kong Yuen Shoes FTY (Hui Yang) Co. Ltd («SSKY»),

Yue Yuen Group («Yue Yuen»).

d)

Produttori esportatori del Vietnam

Pou Yuen Vietnam Enterprise Ltd Yuen Yuen,

Pou Chen Vietnam Enterprise Ltd Yuen Yuen,

Taekwang Vina Industrial Co. Ltd,

Haiphong Leather Products and Footwear Company,

Company No 32,

Dona Biti’s IMEX Corp. Pte. Ltd,

Binh Tien Imex Corp. Pte. Ltd,

Kai Nan Joint Venture Co. Ltd.

Vista l’esigenza di determinare, per i produttori esportatori della RPC e del Vietnam che avrebbero potuto non ottenere il TEM, il valore normale sulla base dei dati di un paese di riferimento, nella fattispecie il Brasile, è stata effettuata una visita di verifica presso la sede delle seguenti società:

Bison Indústria de Calçados Ltda,

Calçados Azaleia SA,

H. Bettarello Curtidora e Calçados Ltda.

1.3.   Periodo dell’inchiesta

(9)

L’inchiesta relativa al dumping e al pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o aprile 2004 e il 31 marzo 2005 («periodo dell’inchiesta» o «PI»). L’analisi delle tendenze necessaria a valutare il pregiudizio ha riguardato il periodo compreso tra il 1o gennaio 2001 e la fine del periodo dell’inchiesta («periodo considerato»).

2.   PRODOTTO IN ESAME E PRODOTTO SIMILE

2.1.   Osservazioni generali

(10)

Il prodotto oggetto dell’inchiesta è costituito da calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito («calzature con tomaie di cuoio») diverse dai seguenti prodotti:

calzature sportive ai sensi della nota di sottovoci 1 del capitolo 64 della nomenclatura combinata, ossia i) calzature appositamente ideate per la pratica di un’attività sportiva e che sono o possono essere munite di punte, ramponi, attacchi, barrette o accessori simili; e ii) calzature per il pattinaggio, lo sci, il surf da neve, la lotta, il pugilato e il ciclismo,

pantofole ed altre calzature da camera,

calzature con puntale protettivo.

(11)

Rientrano pertanto nella denominazione del prodotto in esame principalmente i sandali, gli stivali, le calzature urbane e le scarpe da città.

i)   Calzature sportive con tecnologie speciali

(12)

Numerosi produttori esportatori e importatori hanno affermato che dovevano essere esclusi dalla definizione del prodotto anche alcuni tipi particolari di calzature sportive non figuranti tra quelli sopra menzionati. Essi argomentano che, date le loro caratteristiche, questi tipi di calzature e quelli con la tomaia di cuoio non possono essere considerati come un unico e medesimo prodotto.

(13)

Più precisamente si faceva riferimento alle calzature utilizzate in attività sportive e contenenti una tecnologia speciale, la cosiddetta «STAF» (Special Technology Athletic Footwear). In questo contesto per calzature ad uso sportivo si dovrebbero intendere le scarpe da tennis, da pallacanestro, da ginnastica, da allenamento sportivo e simili. Esse sono attualmente classificabili ai seguenti codici NC: ex 6403 91 11, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 91, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 91, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98. Le affermazioni riguardanti le calzature STAF sono state analizzate nei dettagli. Innanzitutto si è constatato che le STAF sono calzature altamente sofisticate, aventi caratteristiche tecniche distintive e destinate specificamente ad essere utilizzate per attività sportive. Tra le caratteristiche principali vi sono una elaborata suola esterna intesa a proteggere una parte del tallone e dell’avampiede dell’atleta e una suola intermedia supplementare dotata di un’imbottitura speciale o di elementi stabilizzanti destinati ad attutire gli urti e/o a controllare i movimenti. Queste caratteristiche sono essenziali per migliorare le prestazioni ed evitare lesioni nella pratica di attività sportive.

(14)

Per ottenere calzature con queste caratteristiche sono necessari investimenti di ricerca e sviluppo nella forma del prodotto, nei materiali speciali in esso incorporati e nei test in situ. I costi supplementari che ne derivano fanno sì in generale che le calzature STAF siano importate a prezzi più elevati rispetto ad altri tipi di calzature.

(15)

In secondo luogo, l’inchiesta ha rivelato che le STAF si distinguono dagli altri tipi di calzature in quanto: i) sono vendute normalmente attraverso canali commerciali diversi; ii) sono destinate di solito ad un uso finale diverso e sono percepite diversamente dai consumatori; e iii) le importazioni di STAF hanno seguito un andamento diverso rispetto agli altri tipi di calzature. Queste differenze sono esposte con maggiore precisione di seguito.

(16)

Per quanto riguarda i canali di distribuzione, le STAF sono vendute in gran parte in negozi specializzati in equipaggiamento sportivo o, nel caso delle grandi catene di marca o di grandi magazzini, in reparti riservati specificamente agli articoli sportivi. Dall’altro lato, gli altri tipi di calzature sono commercializzati per lo più dai rivenditori di calzature, di marca o meno, o anche dai supermercati.

(17)

Il fatto che le STAF siano distribuite attraverso canali di vendita diversi indica anche che i consumatori le percepiscono in modo diverso dagli altri tipi di calzature. Più precisamente si ritiene anche che gli utilizzatori di equipaggiamento sportivo facciano una chiara distinzione tra le calzature specificamente destinate ad attività sportive e gli altri tipi di calzature, ivi comprese le scarpe pratiche dall’aspetto sportivo («calzature casual») che non possiedono però le caratteristiche delle STAF. Inoltre, mentre le STAF possono essere utilizzate per funzioni quotidiane non sportive, come gli altri tipi di calzature, questi ultimi sicuramente non sono adatti alle attività sportive. Ne consegue che il grado di interscambiabilità tra calzature STAF e non STAF è piuttosto limitato.

(18)

È inoltre emerso dall’inchiesta che le importazioni di STAF dai paesi in questione hanno seguito negli ultimi anni un andamento diverso da quello degli altri tipi di calzature. Infatti, il volume delle importazioni di STAF è diminuito del 5 % tra il 2003 e il PI, mentre le importazioni delle altre calzature sono aumentate di più del 50 % nello stesso periodo. In termini di prezzo, la flessione dei prezzi all’importazione delle STAF dai paesi in questione è stata indubbiamente meno marcata di quella degli altri tipi di calzature: tra il 2003 e il PI il prezzo medio delle STAF è diminuito del 6 %, mentre quello degli altri tipi di calzature è sceso del 12 %. Infine, il prezzo medio all’importazione delle STAF dai paesi in questione durante il PI era quasi del 40 % superiore a quello delle calzature non STAF.

(19)

Per i motivi sopra esposti, ossia per le differenze nelle caratteristiche fisiche e tecniche di base, nei canali di distribuzione, nell’uso finale e nella percezione dei consumatori, si conclude in via provvisoria che è opportuno escludere le calzature STAF dalla definizione del prodotto in esame e pertanto dall’ambito del presente procedimento.

(20)

L’industria calzaturiera della Comunità ha argomentato che le tendenze della moda hanno svolto negli ultimi anni un ruolo essenziale nell’introdurre le calzature sportive nel segmento di mercato delle calzature casual. Essa ha sostenuto inoltre che entrambi i tipi di calzature sono venduti attraverso gli stessi punti di distribuzione e che i consumatori acquistano e utilizzano spesso le STAF per usi diversi dall’attività sportiva. L’industria comunitaria è pertanto del parere che le STAF debbano essere incluse nella definizione del prodotto in esame.

(21)

A questo proposito si osserva che, anche se le tendenze della moda possono aver influito sulle scelte e le preferenze dei consumatori, esse non hanno di certo inciso sulle caratteristiche fisiche e tecniche essenziali di un prodotto; non vi è pertanto motivo di alterare le conclusioni sopra riportate.

(22)

Si ritiene inoltre che se le calzature casual hanno avuto un enorme successo negli ultimi anni, la tendenza riguarda le scarpe pratiche in generale, e più in particolare quelle che hanno l’aspetto di scarpe da sport, o anche le scarpe da sport ma prive delle caratteristiche delle STAF. Benché sia vero che le calzature STAF possono essere utilizzate, sulla scia della moda delle calzature casual, per scopi diversi da quelli per i quali sono state concepite, il fenomeno resta molto limitato e soprattutto non è dovuto alle caratteristiche specifiche ed uniche delle STAF, bensì al semplice fatto che queste hanno un aspetto simile alle calzature pseudosportive.

(23)

Inoltre, l’affermazione secondo cui le tendenze della moda avrebbero determinato un incremento delle vendite delle STAF sul mercato comunitario non è suffragata dai dati sulle importazioni. In realtà, come si è indicato sopra, le importazioni di STAF — e di conseguenza il loro uso, poiché questo tipo di calzatura è prodotto principalmente nei due paesi in questione e la sua produzione nella Comunità è di entità trascurabile — sono diminuite negli ultimi anni. Si rileva inoltre che l’argomento avanzato dall’industria comunitaria si riferiva a tutti i tipi di calzature sportive e non in special modo alle STAF, che, come si è detto, avendo un aspetto simile alle calzature pseudosportive, sono state toccate solo marginalmente dalla tendenza generale della moda.

(24)

Si riconosce tuttavia che le STAF possano occasionalmente essere vendute in negozi non specializzati in articoli sportivi e che vi possa essere una certa concorrenza tra i tipi STAF e non STAF delle calzature. Tuttavia, poiché il fenomeno mantiene dimensioni limitate, non è ritenuto sufficiente a far modificare le conclusioni esposte sopra.

(25)

Uno Stato membro si è opposto all’esclusione delle STAF dall’ambito di applicazione del procedimento adducendo che essa avrebbe comportato seri rischi di elusione delle misure. Questa posizione si appoggia alla presunzione che un semplice controllo fisico non sia sufficiente per distinguere tra i vari tipi di calzature e che una tale distinzione possa essere operata solo per mezzo di un’analisi chimica dei materiali e di test tecnici condotti sulle componenti meccaniche incorporate nelle calzature.

(26)

Benché non sia escluso in effetti che un semplice esame fisico non sia sempre sufficiente a far riconoscere i tipi di calzature, questo argomento non può essere considerato valido ai fini di una non esclusione delle STAF. Il fatto che possa talvolta essere difficile distinguere fisicamente vari tipi di calzature non cambia le suddette conclusioni secondo cui le STAF debbano essere considerate diverse dalle altre calzature in cuoio. Inoltre, in vari altri casi sono necessari controlli più profondi di un semplice esame fisico per stabilire se un prodotto ricada o meno nel campo di applicazione delle misure antidumping in vigore e questa circostanza non è mai stata considerata un elemento sufficiente ad escludere il prodotto dal campo di applicazione delle misure. L’argomentazione è stata quindi respinta.

(27)

Infine, alcune parti interessate hanno asserito che dovevano essere esclusi dal procedimento tutti i tipi di calzature sportive e non soltanto le STAF. Queste richieste si basavano sugli stessi argomenti addotti per l’esclusione delle STAF. L’inchiesta ha rivelato però che le conclusioni relative alle STAF non si applicano alle calzature sportive che non possiedono le caratteristiche delle STAF. Si è constatato al contrario che valgono anche per questi tipi di calzature le considerazioni esposte nei due precedenti considerando, ossia l’assenza di una chiara linea di demarcazione e la concorrenza diretta tra queste calzature e i restanti tipi di calzature. L’argomentazione è stata quindi respinta.

ii)   Calzature per bambini

(28)

Ai fini del presente procedimento si stabilisce in via provvisoria che per calzature per bambini si intendono le scarpe con suola interna di lunghezza inferiore a 24 cm e con una combinazione di suola e tallone di altezza pari o inferiore a 3 cm. Questi tipi di calzature sono classificati attualmente ai seguenti codici NC: ex 6403 20 00, ex 6403 30 00, 6403 51 11, 6403 51 91, 6403 59 31, 6403 59 91, 6403 91 11, 6403 91 91, 6403 99 31, 6403 99 91 e ex 6405 10 00. L’inchiesta dovrà determinare in seguito se tale definizione vada modificata in vista di eventuali misure definitive.

(29)

Si ricorda che in un precedente procedimento relativo alle calzature con tomaie di cuoio e di plastica (3) le calzature con suole interne di lunghezza inferiore a 24 cm non sono state incluse nella definizione del prodotto in esame. Date le loro specificità, infatti, le calzature per bambini e gli altri tipi di calzature con tomaie di cuoio non erano stati considerati all’epoca come un unico e medesimo prodotto. Nel corso dell’attuale inchiesta, pertanto, la Commissione ha esaminato se tali calzature rientrino nella definizione del prodotto in esame o se invece meritino un’inchiesta separata.

(30)

In primo luogo, le calzature per bambini presentano effettivamente alcune differenze fisiche e tecniche rispetto agli altri tipi di calzature. A causa delle loro piccole dimensioni, il processo di fabbricazione è alquanto diverso; per fabbricare scarpe piccole adatte alle caratteristiche fisiche particolari dei piedi dei bambini è necessaria una perizia specifica, specialmente per quelle destinate alla fase di sviluppo scheletro-muscolare dei primi anni.

(31)

In secondo luogo, le scarpe per bambini sono vendute spesso attraverso canali di vendita diversi da quelli delle altre calzature; si potrebbe pertanto pensare che sono percepite dai consumatori in modo diverso dalle altre calzature. Più precisamente, si ritiene che, di norma, i compratori di scarpe per bambini distinguano chiaramente tra le calzature concepite specificamente per i bambini e le altre calzature. Inoltre, rispetto alle scarpe per adulti, il mercato delle scarpe per bambini sembra dipendere meno dalle tendenze della moda o da altre considerazioni analoghe; l’attenzione sembra invece andare maggiormente al prezzo e alla qualità. Un altro elemento che influisce sulla percezione dei consumatori è certamente il fatto che il ricambio delle calzature per bambini è molto superiore a quello delle altre calzature, in ragione dello sviluppo fisico degli utilizzatori.

In questa fase del procedimento l’esame degli argomenti a favore e contro l’inclusione delle scarpe per bambini nella definizione del prodotto in esame non consente di giungere ad una conclusione definitiva. La Commissione ha deciso pertanto provvisoriamente di trattare questo articolo come parte del prodotto in esame, in attesa dei futuri sviluppi dell’inchiesta e delle considerazioni elaborate nella fase definitiva del procedimento.

iii)   Altre osservazioni

(32)

È stato obiettato anche che la definizione del prodotto in esame è troppo ampia per riguardare un unico prodotto, poiché comprende numerosi stili, materiali e livelli di qualità diversi, e che tutti questi tipi di prodotto dovrebbero essere analizzati separatamente in altrettanti procedimenti. Questo argomento si basa sul fatto che la definizione del prodotto abbraccia 33 codici NC diversi, trasmettendo così l’impressione che siano interessati vari prodotti differenti e che i vari tipi di calzature abbiano caratteristiche, impieghi finali e processi di produzione distinti e siano venduti attraverso canali diversi.

(33)

Il numero di codici NC interessati dalla definizione del prodotto è anch’esso di per sé irrilevante al fine di stabilire se la definizione di un prodotto sia ampia o stretta. I criteri che si applicano per determinare se il prodotto oggetto di un’inchiesta possa essere considerato un prodotto unico, ossia le caratteristiche fisiche e tecniche di base, sono stati esposti sopra nei dettagli.

(34)

Anche se i vari tipi di calzature possono effettivamente presentare caratteristiche specifiche diverse, l’inchiesta ha messo in evidenza che, ad eccezione delle STAF, le loro caratteristiche di base sono comunque identiche. Inoltre, il fatto che il prodotto in esame possa essere fabbricato utilizzando processi diversi non è di per sé un criterio che porti alla distinzione tra due o più prodotti. Infine, è emerso dall’inchiesta che i vari tipi del prodotto in esame sono venduti in genere attraverso gli stessi canali di distribuzione. Per quanto alcuni negozi specializzati possano concentrarsi su certi tipi particolari di calzature, la grande maggioranza dei punti di vendita (negozi al dettaglio, grandi magazzini, supermercati) vende tutti i tipi di calzature per offrire un’ampia gamma di prodotti ai propri clienti.

(35)

Infine, taluni importatori hanno asserito che la definizione del prodotto riportata nell’avviso di apertura era persino più larga di quella fornita dallo stesso denunciante, che si limitava, secondo loro, a tre soli tipi di calzature.

(36)

A questo proposito si desidera sottolineare che la definizione del prodotto simile contenuta nell’avviso di apertura riprende esattamente quella fornita nella denuncia; i tre tipi di calzature cui si fa riferimento erano stati indicati unicamente a scopo illustrativo. La denuncia afferma chiaramente che questi tre tipi di prodotto rappresentano la grande maggioranza delle importazioni dai paesi in questione (più del 50 %). Questo particolare non può certamente essere inteso come una limitazione dell’ambito di applicazione del procedimento a detti tre tipi soltanto.

(37)

In considerazione degli elementi sopra esposti, l’asserzione secondo cui la definizione del prodotto è troppo ampia è stata respinta.

iv)   Conclusioni

(38)

Per tutti gli altri tipi di calzature, ossia tutte le calzature con tomaia di cuoio escluse le STAF, benché varino molto per stile e per tipo, le caratteristiche essenziali, l’uso finale e la percezione dei consumatori sono fondamentalmente gli stessi.

(39)

Oltre al fatto che condividono le stesse caratteristiche fisiche e tecniche di base, tutti questi stili e tipi diversi di calzature sono in concorrenza diretta tra loro e sono, in misura molto ampia, interscambiabili. Ciò è dimostrato chiaramente dal fatto che non esistono chiare linee di demarcazione tra i vari tipi e che in numerosi casi tipi di prodotto adiacenti si sovrappongono e si fanno concorrenza.

(40)

In conclusione, ai fini del presente procedimento e in conformità di una prassi costante della Comunità, si ritiene che tutti i tipi del prodotto sopra descritto, ad eccezione delle STAF, debbano essere considerati come un unico prodotto.

2.2.   Prodotto in esame

(41)

Il prodotto in esame è costituito dalle calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito sopra descritte originarie della RPC e del Vietnam.

(42)

Come si è illustrato sopra, è emerso dall’inchiesta che tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio hanno, a prescindere dalle differenze di tipo e di stile della calzatura, le stesse caratteristiche fisiche e tecniche di base, sono cioè calzature per l’esterno con tomaia di cuoio, utilizzate fondamentalmente allo stesso fine, e possono essere considerate come varianti dello stesso prodotto.

(43)

Pertanto, ai fini del presente procedimento, il prodotto in esame è costituito dalle calzature con tomaie di cuoio descritte nella parte «Osservazioni generali», originarie della RPC e del Vietnam («il prodotto in esame»). Tale prodotto è attualmente classificabile ai seguenti codici NC: 6403 20 00, ex 6403 30 00, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 11, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 11, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 e ex 6405 10 00.

(44)

Fino al 1o gennaio 2005 i prodotti originari della RPC di cui ai suddetti codici NC erano sottoposti ad un contingente quantitativo, fatta eccezione per i prodotti di cui ai codici 6403 20 00 e ex 6403 30 00 e per le calzature utilizzate per attività sportive e contenenti una tecnologia speciale.

(45)

Si conclude pertanto che, ai fini del presente procedimento antidumping, tutti i tipi del prodotto in esame sono considerati un unico e medesimo prodotto.

2.3.   Prodotto simile

(46)

L’inchiesta ha dimostrato che il prodotto in esame e le calzature con tomaie di cuoio fabbricate e vendute sul mercato interno della RPC e del Vietnam così come le calzature con tomaie di cuoio prodotte e vendute sul mercato della Comunità dall’industria comunitaria sono simili per quanto riguarda le loro caratteristiche fisiche e tecniche di base e sono percepite dagli utilizzatori come interscambiabili.

(47)

Alcune parti interessate hanno sostenuto che le calzature con tomaie di cuoio prodotte dall’industria comunitaria e vendute sul mercato della Comunità non sono simili al prodotto in esame, come dimostrerebbero in particolare le differenze esistenti tra i prodotti in termini di qualità, percezione dei consumatori, canali di vendita e segmentazione. Esse hanno affermato inoltre che i consumatori della Comunità considerano di solito il prodotto in esame come un articolo più economico che non può essere venduto ad un prezzo superiore perché non è di marca.

(48)

A questo proposito l’inchiesta ha messo in luce affermazioni contraddittorie da parte degli importatori. Infatti, mentre alcuni sostengono che il prodotto in esame è normalmente di bassa qualità e si situa in un segmento di prezzo diverso dai prodotti comunitari, altri asseriscono invece che le calzature di marca fabbricate nei paesi in questione sono importate a prezzi superiori a quelli dei prodotti, presumibilmente di bassa qualità, importati a prezzi estremamente bassi dagli stessi paesi. D’altra parte l’inchiesta ha confermato che nella Comunità sono fabbricate sia le calzature del segmento basso che quelle del segmento alto e che entrambe sono vendute attraverso gli stessi canali di distribuzione del prodotto in esame, ossia venditori al dettaglio indipendenti, supermercati non specializzati, grandi magazzini ecc.

(49)

Inoltre, sulle scarpe non è necessariamente indicato il paese di origine ed è perciò spesso molto difficile per il consumatore fare la distinzione tra le calzature fabbricate nei paesi in questione e quelle prodotte nella Comunità.

(50)

Per queste ragioni si ritiene che, indipendentemente dall’origine, le calzature prodotte nei paesi in questione e quelle fabbricate nella Comunità siano in concorrenza tra loro a tutti i livelli del mercato e non siano percepite diversamente dai consumatori. È possibile che vi siano piccole differenze tra il prodotto in esame e la produzione comunitaria, ma si ritiene che non incidano sulle caratteristiche, le proprietà e l’uso sostanziali di base del prodotto.

(51)

Analogamente, non sono state riscontrate grandi differenze tra il prodotto in esame e le calzature con tomaie di cuoio prodotte e vendute sia dai produttori esportatori in questione sui rispettivi mercati interni che dai produttori brasiliani in Brasile, paese che è servito da riferimento ai fini della determinazione del valore normale per le società cui non è stato concesso il trattamento riservato alle imprese operanti in economia di mercato.

(52)

In base alle considerazioni che precedono si conclude in via provvisoria che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, del regolamento di base e ai fini del presente procedimento, tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito prodotti e venduti nei paesi in questione e in Brasile, così come quelli prodotti e venduti dall’industria comunitaria sul mercato della Comunità, sono simili ai tipi esportati dai paesi in questione nella Comunità.

3.   CAMPIONAMENTO

3.1.   Campionamento dei produttori esportatori della RPC e del Vietnam

(53)

Considerato il numero elevato di produttori esportatori individuati nella RPC e in Vietnam, nell’avviso di apertura era stato previsto un campionamento per la determinazione del dumping, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base.

(54)

Per consentire alla Commissione di decidere se il campionamento fosse necessario e, in tal caso, di selezionare un campione, i produttori esportatori sono stati invitati a manifestarsi entro 15 giorni dalla data di inizio dell’inchiesta e a fornire una serie di informazioni di base circa le loro esportazioni e vendite sul mercato interno, l’esatta natura delle loro attività riguardanti la fabbricazione del prodotto in esame nonché la ragione sociale e le attività di tutte le loro società collegate coinvolte nella produzione e/o nella vendita del prodotto in esame. Sono state altresì consultate le autorità della RPC e del Vietnam.

3.1.1.   Preselezione dei produttori esportatori che hanno collaborato all’inchiesta

(55)

Si sono manifestate 163 società della RPC e 86 del Vietnam, che hanno fornito le informazioni richieste entro il termine previsto nell’avviso di apertura. Tuttavia, solo 154 dei produttori esportatori cinesi e 81 di quelli vietnamiti hanno dichiarato di aver effettuato esportazioni nella Comunità durante il periodo dell’inchiesta. Queste società che hanno esportato il prodotto in esame nella Comunità durante il PI e che hanno espresso il desiderio di essere incluse nel campione sono state inizialmente considerate società che hanno collaborato all’inchiesta e sono state prese in considerazione per la selezione del campione.

(56)

Quanto ai produttori esportatori che non si sono manifestati entro il termine summenzionato o non hanno fornito le informazioni richieste in tempo debito, si è considerato che essi non abbiano collaborato all’inchiesta.

3.1.2.   Selezione del campione

(57)

Nel caso della RPC si è ritenuto all’inizio che un campione formato dalle quattro maggiori imprese di produzione esportazione fosse conforme alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base. Si sarebbe così potuto limitare la portata dell’inchiesta pur assicurando un buon livello di rappresentatività. Tuttavia, nel corso delle consultazioni con le parti interessate, rappresentate nella fattispecie dalle autorità cinesi e dalla pertinente associazione cinese dei produttori, le autorità cinesi hanno insistito perché venissero aggiunte all’elenco più imprese, per aumentare la rappresentatività del campione. Di conseguenza, il campione è stato portato a tredici produttori esportatori cinesi, rappresentanti più del 20 % del volume delle esportazioni cinesi nella Comunità. Le autorità cinesi hanno approvato pienamente il campione selezionato.

(58)

Anche nel caso del Vietnam si è ritenuto all’inizio che un campione formato dalle quattro maggiori imprese di produzione esportazione fosse conforme alle disposizioni dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base. Tuttavia, in considerazione della richiesta cinese di elevare il livello di rappresentatività del campione di esportatori cinesi e per evitare di costituire campioni con un grado di rappresentatività sensibilmente diverso per i due paesi in questione, si è deciso di aumentare anche il campione vietnamita portandolo a otto imprese. Al termine delle discussioni con le autorità vietnamite, che erano in contatto con l’associazione vietnamita dei produttori, è stato raggiunto un accordo totale con tali autorità sul campione di otto imprese.

(59)

Il campione è stato selezionato, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 1, del regolamento di base, in base ai seguenti criteri:

dimensioni del produttore esportatore in termini di vendite all’esportazione nella Comunità,

dimensioni del produttore esportatore in termini di vendite sul mercato interno.

(60)

Per quanto riguarda il secondo criterio, si è ritenuto essenziale includere nel campione alcune società che vendono sul mercato interno, per disporre di una immagine più rappresentativa possibile dell’industria calzaturiera. Questo era necessario, in particolare, nell’eventualità che alcuni o tutti gli esportatori del campione soddisfacessero i criteri del TEM, per avere informazioni sui prezzi e sui costi connessi alla produzione e alla vendita del prodotto in esame sui mercati interni dei paesi in questione. Sono state selezionate pertanto solo le maggiori società di esportazione, che rappresentano anche una grande quota delle vendite sul mercato interno.

(61)

Le società selezionate rappresentavano rispettivamente il 25 % e il 22 % circa dei quantitativi esportati nella Comunità dai produttori esportatori cinesi e vietnamiti che hanno cooperato e il 42 % e il 50 % circa delle vendite sul mercato interno rispettivamente della RPC e del Vietnam indicate dagli esportatori che hanno cooperato. L’esclusione dei prodotti STAF non ha influito significativamente sulla rappresentatività dei campioni.

(62)

I produttori esportatori che hanno collaborato all’inchiesta e che sono stati esclusi dal campione sono stati informati tramite le autorità cinesi o vietnamite che l’eventuale dazio antidumping imposto sulle loro esportazioni sarebbe stato calcolato in conformità dell’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base.

(63)

Sono stati inviati questionari da compilare a tutte le società selezionate per i campioni e tutte eccetto una cinese hanno fatto pervenire la risposta entro il termine stabilito.

3.1.3.   Esame individuale

(64)

Quattro produttori esportatori cinesi e quattro vietnamiti che non sono stati inclusi nei campioni hanno chiesto un esame individuale del margine di dumping, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 6, e dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, fornendo le necessarie informazioni entro il termine stabilito. Tuttavia, date le dimensioni straordinarie dei campioni, che contavano venti società e numerose altre parti collegate, la Commissione è giunta alla conclusione che, ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 3, del regolamento di base, non poteva essere accordato un esame individuale ai produttori esportatori cinesi e vietnamiti, poiché esso sarebbe stato indebitamente gravoso e avrebbe impedito la tempestiva conclusione dell’inchiesta.

3.2.   Campionamento dei produttori comunitari

(65)

Per quanto riguarda i produttori comunitari, la Commissione ha selezionato un campione basato principalmente sulle dimensioni di tali produttori in termini di volume di produzione. Nel far ciò essa si è basata sulle informazioni fornite dagli stessi produttori e dalle loro associazioni nazionali. Si è tenuto conto anche dell’ubicazione geografica delle imprese di produzione, per ottenere un’immagine equilibrata dell’industria calzaturiera. In tal modo il campione, determinato in primo luogo dalle dimensioni e dall’importanza delle varie società di produzione, rispecchia anche la diffusione geografica dell’industria nella Comunità. I dieci produttori del campione rappresentano il 10 % circa della produzione dei produttori comunitari che hanno presentato la denuncia.

4.   DUMPING

4.1.   Trattamento riservato alle imprese operanti in condizioni di economia di mercato («TEM»)

(66)

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, nelle inchieste antidumping relative alle importazioni originarie della RPC e del Vietnam, il valore normale è determinato a norma dei paragrafi da 1 a 6 di detto articolo nel caso dei produttori esportatori per i quali sia accertata la rispondenza ai criteri stabiliti dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del medesimo regolamento, vale a dire quando tali produttori esportatori dimostrano la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile. Per comodità di riferimento si riportano di seguito tali criteri in forma sintetica:

1)

le decisioni delle imprese in materia di politica commerciale e di costi sono prese in risposta a tendenze del mercato e senza ingerenze di rilievo da parte dello Stato;

2)

i documenti contabili delle imprese sono soggetti a una revisione contabile indipendente, in linea con le norme internazionali in materia di contabilità («international accounting standards» o «principi IAS»), e sono di applicazione in ogni caso;

3)

non vi sono distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato;

4)

le leggi in materia fallimentare e di proprietà garantiscono la certezza del diritto e la stabilità;

5)

le conversioni del tasso di cambio vengono effettuate ai tassi di mercato.

(67)

Tutti i produttori cinesi e vietnamiti selezionati per i campioni hanno chiesto il TEM, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, e hanno compilato e rispedito entro il termine stabilito l’apposito formulario di richiesta destinato ai produttori esportatori. Un produttore cinese che aveva chiesto il TEM e la cui domanda era stata esaminata non ha però risposto al questionario. In questi casi è necessario determinare il margine di dumping sulla base dei dati disponibili. Di conseguenza, la richiesta di TEM del produttore in questione è nulla e non avvenuta e la Commissione ha continuato ad analizzare solo le 12 domande di TEM degli altri produttori esportatori cinesi inclusi nel campione.

(68)

Relativamente alle società incluse nei campioni, la Commissione ha cercato di ottenere tutte le informazioni che riteneva necessarie e ha verificato tutti i dati riportati nel modulo di richiesta del TEM presso le sedi di tali società.

4.1.1.   Decisione in merito alla concessione del TEM relativamente ai produttori esportatori della RPC

(69)

La tabella che segue riepiloga la situazione di ciascuna società rispetto ai cinque criteri stabiliti dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base.

Società

1

2

3

4

5

Conclusioni

Decisioni della società

Contabilità

Attività e incidenza del passato

Contesto giuridico

Operazioni di cambio

Società 1

No

No

No

TEM negato

Società 2

No

No

TEM negato

Società 3

No

TEM negato

Società 4

No

No

No

No

No

TEM negato

Società 5

No

TEM negato

Società 6

No

No

No

No

No

TEM negato

Società 7

No

No

No

No

No

TEM negato

Società 8

No

No

No

TEM negato

Società 9

No

No

No

TEM negato

Società 10

No

No

No

TEM negato

Società 11

No

TEM negato

Società 12

No

No

No

No

No

TEM negato

Fonte: Risposte al questionario, verificate, fornite dagli esportatori cinesi che hanno collaborato all’inchiesta.

(70)

Alle società interessate è stata data la possibilità di presentare osservazioni in merito alle suddette conclusioni. Le dodici società si sono opposte alle conclusioni, sostenendo di avere diritto al TEM.

(71)

Si osserva innanzitutto che, quattro dei produttori esportatori cinesi inclusi nel campione non soddisfacevano nessuno dei cinque criteri richiesti per poter beneficiare del TEM, poiché avevano fornito informazioni sostanzialmente incomplete che non consentivano di trarre alcuna conclusione sulla questione del rispetto dei criteri. Di conseguenza, si è considerato che tali criteri non fossero soddisfatti.

(72)

In secondo luogo, si ricorda che è prassi consolidata della Commissione, nel caso di una serie di società collegate, esaminare se l’intero gruppo soddisfa le condizioni per la concessione del TEM; pertanto nei casi in cui un’affiliata o altra società collegata alla società cinese che aveva chiesto il TEM produceva e/o vendeva il prodotto in esame, tale affiliata o collegata è stata invitata separatamente a compilare un modulo di domanda del TEM. Poiché nessuna delle quattro società di produzione ed esportazione selezionate per il campione menzionate al considerando 71 ha rispettato tale condizione, non si è potuto accertare se tali gruppi soddisfacessero in quanto tali a tutti i criteri del TEM.

(73)

Per quanto riguarda il criterio 1 («Le decisioni delle imprese in materia di politica commerciale sono prese in risposta a tendenze del mercato e senza ingerenze di rilievo da parte dello Stato e i costi riflettono i valori di mercato»), si è concluso che nessuno dei dodici produttori esportatori cinesi del campione ha dimostrato di soddisfarlo. Tra le ragioni del mancato rispetto di tale criterio vi sono l’esistenza di restrizioni delle vendite fissate nello statuto e/o nelle licenze commerciali delle società del campione o, in un caso, restrizioni di fatto delle vendite di una società, dovute ad interferenze statali. Le società del campione hanno replicato a tale conclusione della Commissione affermando che dette restrizioni sono irrilevanti in quanto ormai decadute e costituiscono semplici disposizioni non vincolanti interne alla società. Tuttavia, i documenti in questione fissano, tra l’altro, la base sulla quale la società svolge le sue attività commerciali. In realtà l’amministrazione cinese autorizza una società a svolgere un’attività solo sulla base del suo statuto e della sua licenza commerciale, che costituiscono il quadro giuridico specifico di ogni società.

(74)

Per quanto riguarda il criterio 2 («Le imprese dispongono di una serie ben definita di documenti contabili di base soggetti a revisione contabile e sono di applicazione in ogni caso in linea con le norme internazionali in materia di contabilità»), sette società non sono riuscite a dimostrare che lo soddisfacevano. Di fatto, la loro contabilità presentava forti lacune. Ad esempio, nel caso di un esportatore il bilancio verificato dai revisori contabili non rifletteva costantemente il valore reale e equo delle attività e passività della società, poiché queste non venivano contabilizzate alla data della loro origine (all’acquisto), bensì alla data del pagamento. Siffatta violazione di uno dei principi contabili internazionali («IAS») fondamentali, quello della contabilità per competenza, non ha però suscitato commenti da parte dei revisori. Ne consegue che i registri contabili non sono stati controllati secondo i principi contabili internazionali. In un altro caso i registri contabili non erano chiari poiché alcune importanti quietanze non erano complete. Ancora una volta questa circostanza non era stata rilevata dai revisori contabili. Informate dell’esito negativo della loro domanda, le società non hanno fornito alcuna spiegazione convincente di tali inadempienze. Inoltre, due produttori esportatori del campione non hanno seguito le raccomandazioni dei loro revisori sulla contabilità per competenza, le rendite fondiarie, gli accantonamenti per i crediti inesigibili, il deprezzamento delle immobilizzazioni e delle azioni negli esercizi finanziari successivi alla verifica contabile, in modo da tenere una contabilità corretta.

(75)

Nove società non hanno dimostrato che soddisfano il criterio 3 («I costi di produzione e la situazione finanziaria non sono soggetti a distorsioni di rilievo derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato»). In questi casi si è constatato in particolare che i diritti di utilizzo dei terreni o i macchinari non erano stati trasferiti a condizioni di mercato agli esportatori in questione, una circostanza che determinava distorsioni dei costi e delle situazioni finanziarie derivanti dal precedente sistema ad economia non di mercato. Informati dell’esito negativo della loro domanda, alcuni produttori esportatori cinesi del campione hanno contestato queste conclusioni. Tuttavia, non hanno addotto argomenti adeguati a sostegno delle loro affermazioni di aver ottenuto a condizioni di mercato tali attività.

(76)

Per quanto riguarda il criterio 4 («Le imprese in questione sono soggette a leggi in materia fallimentare e di proprietà che garantiscono certezza del diritto e stabilità per la loro attività»), si è concluso, nei confronti dei quattro produttori che non hanno fornito informazioni sufficienti che, in mancanza di tali informazioni, non dimostravano di soddisfare tale criterio.

(77)

Infine, le stesse quattro società che non hanno fornito informazioni sufficienti, non sono state in grado, per le stesse ragioni, di dimostrare che soddisfacevano il criterio 5 («Le conversioni dei tassi di cambio sono effettuate ai tassi di mercato»).

4.1.2.   Decisione in merito alla concessione del TEM relativamente ai produttori esportatori del Vietnam

(78)

La tabella che segue riepiloga la situazione di ciascuna società rispetto ai cinque criteri stabiliti dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base.

Società

1

2

3

4

5

Conclusioni

Decisioni della società

Contabilità

Attività e incidenza del passato

Contesto giuridico

Operazioni di cambio

Società 1

No

No

No

TEM negato

Società 2

No

No

No

TEM negato

Società 3

No

No

No

TEM negato

Società 4

No

No

No

TEM negato

Società 5

No

No

TEM negato

Società 6

No

No

No

TEM negato

Società 7

No

No

TEM negato

Società 8

No

No

TEM negato

Fonte: Risposte al questionario, verificate, fornite dagli esportatori vietnamiti che hanno collaborato all’inchiesta.

(79)

Alle società interessate è stata data la possibilità di presentare osservazioni in merito alle suddette conclusioni. Tutte e otto le società si sono opposte alle conclusioni, sostenendo di avere diritto al TEM.

(80)

Per quanto riguarda il criterio 1, sei società non sono state in grado di dimostrare che le loro decisioni commerciali erano prese in risposta a tendenze del mercato, senza significative interferenze statali.

(81)

Quattro di esse sono soggette all’obbligo di esportare tutta la loro produzione o una sua quota significativa. Le società in questione hanno replicato che erano autorizzate a vendere sul loro mercato interno. Tuttavia, le loro osservazioni non contenevano argomenti contrari pertinenti. Le società si sono limitate ad affermare che erano libere di chiedere una modifica della loro licenza d’investimento se intendevano vendere sul mercato interno e/o che le restrizioni quantitative delle vendite avevano una ragione fiscale. A questo proposito i servizi della Commissione non possono far altro che prendere atto che le società sono apparentemente libere di eliminare tale restrizione dalla loro licenza d’investimento, ma che nessuna l’ha chiesto né durante il PI né dopo. Ciò significa che sono ancora soggette a obblighi relativi alle vendite e non sono in grado di prendere le loro decisioni commerciali in risposta a tendenze del mercato. Le obiezioni sono state pertanto respinte.

(82)

Per quanto riguarda le due restanti società, si è constatato che erano interamente di proprietà statale e le loro direzioni avevano collegamenti diretti con lo Stato. Entrambe le società hanno contestato l’esistenza di significative interferenze statali, ma non hanno addotto altri argomenti a sostegno delle loro affermazioni. Le obiezioni sono state pertanto respinte.

(83)

Per quanto riguarda il criterio 2, sette società non rispondevano ai criteri definiti nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base.

(84)

Tre società non sottoponevano a revisione la loro contabilità né pubblicavano il bilancio. Per altre tre società non si poteva garantire che i documenti contabili fossero applicati in ogni caso, in linea con i principi IAS, dal momento che i revisori avevano indicato espressamente nel bilancio pubblicato che tali documenti non erano intesi a presentare la posizione finanziaria della società, in conformità dei principi e della prassi contabili generalmente riconosciuti nei paesi e nelle giurisdizioni al di fuori del Vietnam. Questa dichiarazione è contraria ai principi IAS, i quali nel «Quadro sistematico per la redazione e la presentazione del bilancio» stabiliscono che l’obiettivo della pubblicazione del bilancio è di fornire informazioni sulla posizione finanziaria, sui risultati e sulle variazioni della posizione finanziaria di un’entità, che siano utili ad un ampio ventaglio di utilizzatori per l’adozione di decisioni economiche. Inoltre, il principio IAS 1 prevede che ogni entità il cui bilancio sia conforme agli IAS affermi tale conformità nelle note in modo esplicito e senza riserve; ora, le società in questione non hanno manifestamente fatto una tale dichiarazione.

(85)

Nel caso di due società i revisori contabili avevano sollevato seri problemi nella loro relazione e nel caso di una si è constatato che la verifica eseguita dai revisori era notevolmente insufficiente a garantire l’attendibilità dei conti.

(86)

I sette produttori esportatori in questione hanno contestato le conclusioni dei servizi della Commissione. Tuttavia, in considerazione: i) dell’assenza di una revisione dei conti nel caso di tre delle società; ii) dei problemi sostanziali sollevati dagli stessi revisori nella relazione riguardante altre due delle società; iii) delle osservazioni significative dei revisori delle ultime due società, che segnalavano la loro non conformità ai principi contabili generalmente riconosciuti, le osservazioni formulate dalle sette società non contenevano alcun elemento nuovo che consentisse ai servizi della Commissione di rivedere le loro conclusioni; le contestazioni sono state pertanto respinte.

(87)

Per quanto riguarda il criterio 3, poiché i diritti di utilizzo dei terreni non corrispondono alle condizioni di un’economia di mercato, bensì sono tuttora determinati dalle autorità centrali, in particolare riguardo alla fissazione dei prezzi e alla loro revisione, nessuna società è stata in grado di dimostrare che non vi erano distorsioni provenienti dal precedente sistema ad economia non di mercato. Inoltre, per tre delle società si è constatata l’esistenza di altre distorsioni provenienti dal precedente sistema riguardanti in particolare la valutazione degli attivi. Le società in questione hanno contestato le conclusioni dei servizi della Commissione, senza tuttavia fornire nuovi elementi per suffragare le loro affermazioni, che sono state pertanto respinte.

(88)

Tutte e otto le società soddisfacevano i criteri 4 e 5.

(89)

È prassi consolidata della Commissione, nel caso di un gruppo di società collegate, esaminare se la totalità del gruppo soddisfi le condizioni per poter beneficiare del TEM; pertanto nei casi in cui un’affiliata o altra società collegata alla società vietnamita che aveva chiesto il TEM produceva e/o vendeva il prodotto in esame, tale affiliata o collegata è stata invitata separatamente a compilare un modulo di domanda del TEM. Due società che si trovavano in questa situazione non hanno trasmesso il modulo di domanda del TEM per uno dei loro produttori vietnamiti collegati, cosicché non si è potuto stabilire se tutto il gruppo soddisfacesse le condizioni per beneficiare del TEM.

(90)

Di conseguenza, si è concluso che nessuna delle società in questione rispondeva ai criteri definiti nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera c), del regolamento di base.

4.2.   Trattamento individuale

(91)

Conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, per i paesi cui si applicano le disposizioni del medesimo articolo viene calcolato, se del caso, un dazio unico per l’intero paese, a meno che le imprese non possano dimostrare di rispondere a tutti i criteri stabiliti dall’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base.

(92)

Per quanto riguarda la RPC, i produttori esportatori che hanno chiesto il TEM hanno chiesto anche il trattamento individuale, qualora non venisse concesso loro il TEM.

(93)

Dalle informazioni disponibili è emerso che queste società non hanno dimostrato di soddisfare cumulativamente tutti i requisiti per la concessione del trattamento individuale di cui all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base.

(94)

In particolare, si è constatato che, poiché nessun produttore ha dimostrato che soddisfaceva il criterio 1 dell’analisi relativa al TEM di cui sopra essendo tutti tenuti, de iure o de facto, a rispettare l’obbligo di esportare in tutto o in parte la propria produzione, i quantitativi dei prodotti esportati dai produttori e le condizioni di vendita non erano determinati liberamente, bensì attraverso una procedura di autorizzazione amministrativa fissata nello statuto e/o nelle licenze commerciali dei produttori esportatori cinesi inclusi nel campione. Ne consegue che nessuno dei produttori esportatori cinesi del campione ha dimostrato di soddisfare i requisiti stabiliti all’articolo 9, paragrafo 5, lettera b), del regolamento di base, che prevede la libera determinazione, de iure e de facto, delle vendite all’esportazione. Si considera inoltre che le quattro società che non soddisfacevano il criterio 5 dell’analisi relativa al TEM non soddisfino ugualmente il criterio stabilito all’articolo 9, paragrafo 5, lettera d), del regolamento di base, relativo alle conversioni del tasso di cambio ai tassi di mercato.

(95)

Per quanto riguarda il Vietnam, i produttori esportatori che hanno chiesto il TEM hanno chiesto anche il trattamento individuale, qualora non venisse concesso loro il TEM.

(96)

Dalle informazioni disponibili è emerso che queste società non rispondevano a tutti i requisiti per la concessione del trattamento individuale di cui all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base.

(97)

In particolare, come già spiegato in precedenza nella valutazione ai fini del TEM, si è accertato che, nel caso di quattro società, i quantitativi delle esportazioni non erano decisi liberamente dalla società, ma venivano stabiliti nella licenza commerciale della società stessa. Per quanto riguarda le due società interamente detenute dallo Stato, si è ritenuto che non avessero dimostrato di aver adottato misure atte a prevenire l’interferenza statale. Riguardo alle restanti due società, si è constatato che erano collegate ad una terza che non soddisfaceva i requisiti per beneficiare del trattamento individuale di cui all’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, in quanto sottostava a restrizioni delle esportazioni e ad interferenze statali nella struttura interna e nel processo decisionale. Se nel quadro del presente procedimento fossero applicate a queste tre società collegate aliquote del dazio diverse, sussisterebbe un rischio di elusione delle misure; alle prime due società non ha potuto pertanto essere concesso il trattamento individuale.

4.3.   Valore normale

4.3.1.   Paese di riferimento

(98)

A norma dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, nel caso di importazioni da paesi non retti da un’economia di mercato e qualora non sia possibile concedere il TEM, per i paesi di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, il valore normale va determinato in base al prezzo o al valore costruito in un paese di riferimento.

(99)

Nell’avviso di apertura, la Commissione ha annunciato che intendeva scegliere il Brasile come paese di riferimento ai fini della determinazione del valore normale per la RPC e il Vietnam, invitando le parti interessate a pronunciarsi su tale scelta.

(100)

I produttori esportatori che hanno cooperato hanno reagito all’intenzione manifestata dalla Commissione proponendo di scegliere tra Tailandia, India e Indonesia, considerati paesi di riferimento più appropriati del Brasile. I principali argomenti addotti contro la scelta del Brasile erano che non presenta analogie con la RPC né con il Vietnam in termini di sviluppo socioeconomico e culturale o di PNL, che quasi non produce calzature STAF e si differenzia dalla Cina e dal Vietnam anche per quanto riguarda i costi della manodopera e le condizioni di accesso alle materie prime.

(101)

Alcune delle parti interessate che hanno proposto paesi di riferimento diversi dal Brasile hanno rilevato che in precedenti inchieste, relative alle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio o di plastica originarie della RPC, dell’Indonesia e della Tailandia (4), l’Indonesia era stata scelta come paese di riferimento; pertanto essa avrebbe dovuto essere scelta anche nel caso in questione.

(102)

La Commissione ha chiesto la cooperazione di esportatori in Brasile e in altri potenziali paesi di riferimento quali l’India, l’Indonesia e la Tailandia. Sono state inviate lettere a più di 50 società brasiliane, ad altrettante indiane e a più di 20 indonesiane. Inoltre, la Commissione ha preso contatto con l’associazione calzaturiera tailandese ottenendo la cooperazione di sei produttori esportatori tailandesi. Di tutte le società contattate negli altri paesi, hanno accettato di cooperare all’inchiesta un produttore esportatore indiano, due indonesiani e otto brasiliani.

(103)

Uno dei criteri più importanti per la selezione del paese di riferimento è la rappresentatività delle vendite del prodotto in esame sul mercato interno di tale paese rispetto alle esportazioni originarie del o dei paesi ad economia non di mercato oggetto del procedimento. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di base, che si applica anche al paese di riferimento, le vendite sul mercato interno del paese di riferimento sono di norma considerate rappresentative se il loro volume corrisponde ad almeno il 5 % dei quantitativi esportati nell’UE a partire dal paese ad economia non di mercato.

(104)

Per quanto riguarda l’Indonesia, i due produttori esportatori che hanno cooperato hanno dichiarato un volume di vendite sul mercato interno che non era sufficientemente rappresentativo rispetto alle esportazioni originarie dei paesi in questione.

(105)

Dall’India si è manifestato un unico esportatore disposto a cooperare. Le sue vendite sul mercato interno rappresentavano però meno del 5 % delle esportazioni vietnamite e non erano pertanto sufficientemente rappresentative rispetto alle esportazioni totali dai paesi in questione.

(106)

Dalla Tailandia si sono manifestati sei produttori esportatori che hanno cooperato rispondendo al questionario. Le loro vendite sul mercato interno rappresentavano però meno del 5 % delle esportazioni cinesi o vietnamite e non erano pertanto sufficientemente rappresentative rispetto alle esportazioni totali dai paesi in questione. Di conseguenza, la Tailandia non è stata considerata un paese di riferimento appropriato.

(107)

Invece, i tre maggiori produttori esportatori brasiliani degli otto che hanno collaborato effettuavano vendite sul mercato interno che rappresentavano rispettivamente più del 50 % delle loro esportazioni e il cui volume cumulato era pari o superiore al 5 % delle esportazioni dai due paesi in questione.

(108)

In base a quanto sopra esposto il Brasile è parso come la scelta più congrua sotto il profilo della rappresentatività delle vendite sul mercato interno, che consentiva di evitare la costruzione del valore normale e il calcolo di eventuali numerosi adeguamenti.

(109)

Anche sotto il profilo della concorrenza la scelta del Brasile è sembrata essere ragionevole, dal momento che presenta più di 7 000 produttori, una produzione totale nel 2004 superiore a 700 milioni di calzature e un consumo interno superiore a 500 milioni di calzature sempre nel 2004. Le esportazioni sono ammontate a 200 milioni di calzature nel 2004, più del 50 % delle quali erano costituite da scarpe con tomaia di cuoio. Il Brasile esporta principalmente nell’America del Nord (Stati Uniti, Canada), nell’America del Sud e in Europa. Il paese ha importato nel 2004 circa 9 milioni di calzature, provenienti per l’80 % dai paesi in questione.

(110)

In base ai dati del 2003, il Brasile risulta essere il paese con il maggiore consumo interno di calzature pro capite (2,7), superiore a quello della Tailandia (2,3), dell’Indonesia (1,7) e dell’India (0,6), considerati tutti i tipi di calzature.

(111)

Per quanto riguarda il fatto che il Brasile non produca quasi calzature STAF, la questione è stata considerata non pertinente, dato che si è deciso di escludere questo tipo di calzature dall’ambito di applicazione dell’inchiesta, come indicato al considerando 20.

(112)

Alcune delle parti hanno asserito che il Brasile è un paese troppo diverso dalla RPC e dal Vietnam in termini di sviluppo socioeconomico e culturale o di PNL pro capite.

(113)

Anzitutto, il diverso sviluppo culturale è irrilevante ai fini della scelta del paese di riferimento, dal momento che quest’ultimo deve riflettere le condizioni di un’economia di mercato e non tanto livelli comparabili di sviluppo culturale.

(114)

Per quanto riguarda l’uso di un paese con uno sviluppo economico diverso, va detto che, per definizione, un paese ad economia non di mercato o con un’economia in transizione non ha le stesse caratteristiche economiche di un paese ad economia di mercato. Non di rado si riscontrano differenze di sviluppo economico tra un paese di riferimento e un paese ad economia non di mercato o con un’economia in transizione. Ciò non impedisce tuttavia di scegliere il Brasile come paese di riferimento, se è ritenuto più appropriato relativamente ad altri fattori presi in considerazione.

(115)

Alla stessa conclusione si può giungere riguardo alle differenze nel reddito pro capite, che è un altro indicatore di sviluppo economico. Inoltre, è interessante notare che secondo il criterio principale di classificazione delle economie della Banca mondiale, che è il reddito nazionale lordo pro capite, il Brasile figura nella stessa categoria della RPC, della Tailandia e dell’Indonesia.

(116)

Varie parti interessate hanno sottolineato il fatto che il costo del lavoro è più elevato in Brasile che in Vietnam e in Cina e che sarebbe più appropriato scegliere come paese di riferimento l’India, l’Indonesia o la Tailandia, che presentano un costo del lavoro più prossimo.

(117)

Si ricorda a questo proposito che la scelta del paese di riferimento non deve necessariamente essere fatta tra paesi con gli stessi costi del lavoro o costi molto prossimi a quelli dei paesi oggetto del procedimento, poiché proprio i costi di questi ultimi sono considerati inattendibili trattandosi di economie non di mercato o in transizione. Come indicato nel precedente considerando 114, un paese con un diverso livello di sviluppo economico può essere scelto come paese analogo per un paese ad economia non di mercato o con un’economia in transizione. Allo stesso modo, il costo del lavoro, che riflette lo stato dello sviluppo economico di un paese, non costituisce di per sé un criterio valido.

(118)

Ad ogni modo, come si è detto, il livello di cooperazione dei produttori esportatori indiani, tailandesi e indonesiani non è stato tale da assicurare la rappresentatività delle loro vendite sul mercato interno. Adottare uno di questi paesi come paese di riferimento significherebbe ricorrere inutilmente alla costruzione del valore normale e a numerosi adeguamenti.

(119)

Le parti interessate hanno affermato anche che la struttura dei costi del Brasile era diversa da quella dei paesi in questione, dato che alcuni costi (ricerca e sviluppo, concezione ecc.), che nel caso degli esportatori cinesi e vietnamiti sono a carico dei clienti, i produttori brasiliani devono sostenerli e sono pertanto inclusi nei loro costi di produzione.

(120)

Si è constatato in effetti che in taluni casi gli esportatori dei paesi in questione vendevano i loro prodotti a ex produttori comunitari che continuano ad accollarsi le suddette componenti dei costi di produzione e rivendono il prodotto in esame con la loro denominazione. Tuttavia, questo non è un motivo per considerare il Brasile un paese di riferimento non appropriato, poiché per tali costi si può procedere ad un adeguamento nel determinare il valore normale.

(121)

Le parti interessate hanno lamentato anche una differenza nell’accesso alle materie prime, in particolare al cuoio, tra il Brasile da un lato e la RPC e il Vietnam dall’altro. Si è constatato però che gli argomenti addotti erano contraddittori e non fornivano alcuna prova della maggiore appropriatezza di altri paesi. Ad esempio, alcune delle parti interessate hanno affermato che le materie prime sono disponibili in modo illimitato nei paesi in questione, mentre in Brasile sono disponibili solo le materie prime di base. Altre parti interessate hanno invece sostenuto che i paesi in questione devono importare pelli bovine e non hanno le stesse condizioni di accesso alle materie prime che ha il Brasile, il quale dispone di una produzione di pelli grezze ampia e ben affermata.

(122)

Alcune parti hanno confermato che il Brasile ha possibilità di accesso ai pellami più ampie dei paesi in questione. In particolare il Brasile dispone del patrimonio bovino commerciale più grande del mondo e conta centinaia di imprese specializzate nella concia e nella finitura delle pelli. L’industria brasiliana della concia produce ogni anno più di 30 milioni di pelli, di cui solo il 40 % è assorbito dal mercato interno (industrie delle calzature, dei pellami, dell’arredamento). Un tale patrimonio di conoscenze nella lavorazione delle pelli e una tale disponibilità di materia prima possono solo avere un effetto al ribasso sui costi di produzione delle imprese brasiliane. Di conseguenza, l’affermazione secondo cui il Brasile non rappresenterebbe una scelta appropriata a causa dell’accesso alle materie prime è stata respinta.

(123)

Le stesse parti hanno allora sostenuto che i paesi in questione utilizzano pelli di qualità inferiore a quella usata dai produttori brasiliani. A questo proposito l’inchiesta relativa ai produttori esportatori cinesi e vietnamiti inclusi nei campioni ha rivelato che la qualità delle pelli da questi utilizzate era superiore a quella delle pelli usate dai produttori brasiliani. Ad ogni modo, questo non è un motivo valido per non considerare appropriato il Brasile come paese di riferimento, poiché si può procedere ad un adeguamento per differenze nelle caratteristiche fisiche del prodotto in modo da tener conto della diversa qualità delle pelli.

(124)

Alla luce delle considerazioni che precedono, si è concluso che il Brasile rappresenta un paese di riferimento appropriato.

4.3.2.   Determinazione del valore normale nel paese di riferimento

(125)

Poiché quale paese di riferimento è stato scelto il Brasile, il valore normale è stato calcolato sulla base dei dati verificati presso le sedi dei tre principali produttori brasiliani che hanno collaborato all’inchiesta.

(126)

Le vendite sul mercato interno di calzature con tomaie di cuoio da parte dei tre produttori brasiliani sono risultate essere rappresentative rispetto al volume del prodotto in esame esportato nella Comunità dai produttori esportatori cinesi e vietnamiti.

(127)

È stato quindi valutato se le vendite interne potevano considerarsi realizzate nel corso di normali operazioni commerciali, stabilendo la percentuale delle vendite remunerative ad acquirenti indipendenti. Gli accertamenti eseguiti nelle sedi dei tre principali produttori hanno rivelato che il volume delle loro vendite effettuate ad un prezzo netto pari o superiore al costo unitario rappresentava più dell’80 % del volume totale delle vendite di ciascun produttore. Pertanto, il valore normale è stato determinato in base al prezzo effettivamente applicato sul mercato interno, calcolato come la media ponderata dei prezzi di tutte le vendite, remunerative o meno, di quel tipo di prodotto realizzate sul mercato interno durante il PI.

4.4.   Prezzo all’esportazione

(128)

I produttori esportatori esportavano nella Comunità direttamente ad acquirenti indipendenti oppure tramite società commerciali indipendenti situate al di fuori della Comunità.

(129)

Allorché le vendite per l’esportazione nella Comunità sono state effettuate direttamente ad acquirenti indipendenti, il prezzo all’esportazione è stato calcolato in base ai prezzi effettivamente pagati o pagabili per il prodotto in esame, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 8, del regolamento di base.

(130)

Allorché le vendite per l’esportazione nella Comunità sono state effettuate tramite società commerciali indipendenti, il prezzo all’esportazione è stato calcolato in base ai prezzi del prodotto venduto per l’esportazione alle società commerciali, ossia ad acquirenti indipendenti, dai produttori in questione, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 8, del regolamento di base.

4.5.   Confronto

(131)

Il confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione è stato effettuato allo stadio franco fabbrica.

(132)

Ai fini di un equo confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione, a norma dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, si è tenuto debitamente conto, in forma di adeguamenti, delle differenze che incidono sui prezzi e sulla loro comparabilità. Sono stati quindi concessi a tutti i produttori esportatori oggetto dell’inchiesta, ove opportuno e giustificato, adeguamenti per le differenze riguardanti le spese di trasporto, nolo marittimo, assicurazione, movimentazione, carico e spese accessorie, i costi di imballaggio, credito e garanzie e le commissioni. È stato fatto inoltre un adeguamento ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera a), del regolamento di base per tener conto della qualità delle pelli e un altro ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, lettera k), per tener conto dei costi di R&S e di concezione.

(133)

Per i tipi di prodotto esportati e non venduti sul mercato interno brasiliano, sono stati utilizzati per determinare il valore normale i prezzi dei tipi di prodotto simili venduti sul mercato interno, se del caso opportunamente adeguati.

4.6.   Margini di dumping

4.6.1.   Metodologia generale

(134)

In conformità dell’articolo 2, paragrafi 11 e 12, del regolamento di base, i margini di dumping sono stati calcolati in base al confronto tra la media ponderata dei valori normali, per tipo di prodotto, e la media ponderata dei prezzi all’esportazione, per tipo di prodotto, determinate come si è illustrato sopra. Poiché nessuno dei produttori esportatori inclusi nei campioni soddisfaceva i criteri per beneficiare del TEM o del trattamento individuale, è stato calcolato un margine di dumping medio ponderato per tutte le società incluse nel campione di esportatori cinesi e un altro per le società del campione di esportatori vietnamiti.

(135)

Per i produttori esportatori che hanno collaborato all’inchiesta e si sono manifestati entro il termine stabilito nell’avviso di apertura, ma che non figuravano nel campione e non sono stati sottoposti a un esame individuale, il margine di dumping è stato stabilito, a norma dell’articolo 9, paragrafo 6, del regolamento di base, in base alla media ponderata dei margini di dumping delle società incluse nel campione.

(136)

Per i produttori esportatori che non hanno risposto al questionario della Commissione e non si sono manifestati in altro modo, il margine di dumping è stato determinato in base ai dati disponibili, a norma dell’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento di base.

(137)

Per poter calcolare il margine di dumping per i produttori esportatori che non hanno collaborato all’inchiesta, si è determinato anzitutto il livello di omessa collaborazione. Per far ciò, si è effettuato un confronto tra il volume delle esportazioni nella Comunità indicato dai produttori esportatori che hanno collaborato all’inchiesta e le corrispondenti statistiche di Eurostat sulle importazioni.

(138)

Quando il livello di collaborazione era basso, cioè inferiore all’80 % delle esportazioni totali del prodotto in esame attribuite agli esportatori che hanno collaborato, si è ritenuto opportuno fissare il margine di dumping dei produttori esportatori che non hanno collaborato a un livello superiore al margine di dumping più elevato tra quelli calcolati per i produttori esportatori che hanno collaborato. In questi casi, pertanto, il margine di dumping è stato fissato a un livello corrispondente alla media ponderata dei margini di dumping calcolati per i tipi di prodotto più venduti dei produttori esportatori che hanno collaborato e che hanno registrato i margini di dumping più elevati.

(139)

Quando il livello di collaborazione era alto, cioè pari o superiore all’80 % delle esportazioni totali del prodotto in esame attribuite agli esportatori che hanno collaborato, si è ritenuto opportuno fissare il margine di dumping dei produttori esportatori che non hanno collaborato al livello del margine di dumping medio ponderato calcolato per i produttori esportatori del paese in questione che hanno collaborato.

(140)

È prassi costante della Commissione considerare i produttori esportatori collegati o quelli appartenenti allo stesso gruppo come un’entità unica ai fini della determinazione del margine di dumping, e, quindi, calcolare un margine di dumping unico per questi produttori. Questa prassi è dovuta, in particolare, al fatto che margini di dumping individuali potrebbero incoraggiare l’elusione delle misure antidumping, e renderle in tal modo inefficaci, consentendo ai produttori esportatori collegati di effettuare le loro esportazioni verso la Comunità tramite la società con il margine di dumping individuale più basso.

(141)

In base a questo metodo si è accertato che tre produttori esportatori vietnamiti indipendenti erano collegati ciascuno ad un altro produttore esportatore. Per questi produttori esportatori si è deciso di calcolare innanzitutto un margine di dumping per ciascuna società. È stata poi calcolata una media ponderata dei margini di dumping per ciascuno dei tre gruppi di società collegate in base ai margini di dumping delle due società del gruppo.

(142)

Il confronto tra i dati relativi alle esportazioni nella Comunità forniti dai produttori esportatori di ciascun paese e il volume totale delle importazioni originarie di ciascun paese ha rivelato che il livello di cooperazione era alto, poiché tali esportazioni rappresentavano più del 90 % delle importazioni totali nella Comunità da ciascuno dei paesi in questione durante il PI.

(143)

Pertanto, il margine di dumping medio al livello nazionale per ciascun paese esportatore è stato determinato in base alla media ponderata dei margini di dumping dei produttori esportatori che hanno cooperato, figuravano nel campione e le cui informazioni sui prezzi di esportazione potevano essere considerate attendibili. Va notato che i dati sui prezzi all’esportazione forniti da quattro dei produttori esportatori cinesi del campione non erano utilizzabili; gli elenchi delle transazioni trasmessi infatti non erano attendibili, in quanto, ad esempio, includevano dati non relativi al prodotto in esame o non concordavano con la documentazione originaria. Di conseguenza, a tutti gli altri produttori esportatori del rispettivo paese di esportazione è stato attribuito un margine di dumping unico per l’intero paese, espresso in percentuale del prezzo CIF franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto. Dato che, come si è spiegato al considerando 134, è stato determinato un unico margine di dumping per gli esportatori inclusi nel campione della RPC e uno per quelli del Vietnam, è opportuno attribuire ugualmente questi margini di dumping a tutti gli altri produttori esportatori dei paesi in questione.

4.6.2.   Margini di dumping

5.   PREGIUDIZIO

5.1.   Osservazioni generali

(144)

In considerazione delle conclusioni provvisorie sopra esposte cui si è giunti riguardo alla definizione del prodotto in esame, sono stati espunti dall’analisi che segue tutti i dati relativi alle calzature STAF.

(145)

Era stata fatta un’analisi provvisoria completa del pregiudizio per il prodotto in esame inclusivo delle calzature per bambini. Tuttavia, poiché si deve determinare in via provvisoria il pregiudizio materiale arrecato dalle importazioni nei confronti delle quali saranno istituite misure, l’analisi dettagliata che segue si riferisce alle importazioni del prodotto in esame escluse le calzature per bambini, dal momento che si prevede in via provvisoria di escludere queste ultime dall’applicazione delle misure, per salvaguardare l’interesse della Comunità. Si ritiene necessario far ciò perché l’analisi è connessa a misure che devono basarsi sui livelli di eliminazione del pregiudizio, i quali sono diversi se si escludono le calzature per bambini. Va notato comunque che l’esclusione di queste calzature non incide sulle conclusioni provvisorie generali relative al pregiudizio. Infatti, la tendenza di tutti i fattori di pregiudizio pertinenti resta la stessa, che le calzature per bambini siano o meno assoggettate a misure.

5.2.   Produzione comunitaria

(146)

Nella Comunità il prodotto in esame è fabbricato da più di ottomila produttori. L’80 % circa della produzione comunitaria è concentrata in Italia, Portogallo e Spagna. Le calzature sono però fabbricate, anche se in misura più ridotta, in quasi tutti gli altri Stati membri.

(147)

Talune parti hanno asserito che, pur non fabbricando il prodotto in esame nella Comunità, dovevano essere considerate produttori comunitari in quanto mantenevano le attività di concezione, valorizzazione del marchio, R&S, gestione e rivendita nella Comunità.

(148)

La prassi consolidata a questo proposito è che solo le imprese che producono nella Comunità possono essere considerate produttori comunitari. Nel caso dei produttori comunitari tradizionali tutte le attività di sviluppo, concezione e fabbricazione hanno luogo nella Comunità. Altri produttori comunitari possono acquistare parti delle calzature, solitamente le tomaie, da fonti non comunitarie, ma la fabbricazione della calzatura stessa avviene nella Comunità e il prodotto finale ha i requisiti necessari per mantenere l’origine CE, poiché le principali operazioni a valore aggiunto hanno luogo nella Comunità. Questa circostanza non è stata contestata da nessuna delle parti interessate. La situazione degli operatori di cui al precedente considerando è diversa nel senso che, anche se una parte della concezione e dello sviluppo ha luogo nella Comunità, le operazioni di produzione e lo sviluppo del prodotto al livello di fabbrica non sono eseguiti nella Comunità. I prodotti che ne derivano non assolvono le condizioni per avere l’origine CE e tali operatori della Comunità non possono essere considerati produttori comunitari. L’argomentazione è stata quindi respinta.

(149)

Si conclude che i produttori menzionati nel considerando 146 costituiscono la totalità della produzione comunitaria ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento di base.

5.3.   Definizione dell’industria comunitaria

(150)

La denuncia è stata presentata da o a nome di produttori comunitari che rappresentano un totale di 814 società. Si è accertato che questi produttori rappresentano una quota maggioritaria della produzione comunitaria totale del prodotto in esame, ossia nella fattispecie il 42 % circa.

(151)

Ai fini dell’analisi del pregiudizio e in considerazione del forte numero di produttori comunitari all’origine della denuncia, hanno dovuto essere applicate le disposizioni dell’articolo 17 del regolamento di base. È stato così selezionato un campione di dieci produttori. Queste società, rappresentanti poco più del 10 % della produzione dei denuncianti, hanno pienamente collaborato all’inchiesta.

(152)

In base a quanto precede, si considera che gli 814 produttori comunitari all’origine della denuncia, ossia quelli inclusi nel campione e gli altri che non ne hanno fatto parte, costituiscano l’industria comunitaria ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, e dell’articolo 5, paragrafo 4, del regolamento di base. Essi sono denominati di seguito «industria comunitaria».

5.4.   Consumo nella Comunità

(153)

Il consumo nella Comunità è stato determinato in base alle seguenti informazioni:

volume della produzione di tutti i produttori della Comunità,

esportazioni effettuate dai produttori della comunità,

volume totale delle importazioni nella Comunità.

(154)

Sulla base di tali dati, il consumo ha presentato il seguente andamento:

 

2001

2002

2003

2004

PI

Consumo (migliaia di paia)

586 280

530 130

550 028

577 573

591 053

Indice: 2001 = 100

100

90

94

99

101

Fonte: Eurostat, informazioni contenute nella denuncia.

(155)

Il consumo di calzature nella Comunità è prima diminuito del 10 % nel 2002, per poi riaumentare in seguito. Globalmente il consumo comunitario è aumentato dell’1 %. Nel periodo considerato il consumo di calzature pro capite nella Comunità è rimasto relativamente stabile.

5.5.   Importazioni dai paesi interessati

5.5.1.   Valutazione cumulativa degli effetti delle importazioni oggetto di dumping in esame

(156)

La Commissione ha esaminato l’opportunità di valutare cumulativamente gli effetti delle importazioni oggetto di dumping originarie dai paesi in questione, in base ai criteri di cui all’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento di base. Tale articolo prevede che gli effetti delle importazioni originarie di due o più paesi contemporaneamente oggetto della stessa inchiesta antidumping vengano valutati cumulativamente soltanto se a) il margine di dumping stabilito per le importazioni da ciascun paese è superiore a quello irrilevante definito all’articolo 9, paragrafo 3, del regolamento di base, e se b) è opportuna una valutazione cumulativa degli effetti delle importazioni alla luce delle condizioni di concorrenza tra i prodotti importati e le condizioni di concorrenza tra questi e il prodotto comunitario simile.

(157)

I margini di dumping riscontrati per tutti i paesi interessati sono risultati superiori al margine minimo. Inoltre, il volume delle importazioni in dumping dai paesi in questione non era da considerarsi trascurabile ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 7, del regolamento di base, bensì rappresentava, durante il PI, circa il 9 % del consumo comunitario nel caso della RPC e il 14 % nel caso del Vietnam.

(158)

Dall’inchiesta è emerso inoltre che le condizioni di concorrenza tra le importazioni in dumping e tra queste e il prodotto simile fabbricato nella Comunità erano analoghe. Si è constatato che, indipendentemente dalla loro origine, le calzature con tomaie di cuoio prodotte/vendute dai paesi in questione e quelle prodotte/vendute dall’industria comunitaria sono in concorrenza tra loro, poiché sono prodotti simili per caratteristiche di base, interscambiabili dal punto di vista del consumatore e distribuite attraverso gli stessi canali di vendita. Inoltre, l’inchiesta ha messo in luce che il volume delle importazioni dai due paesi si è sviluppato in parallelo: esso è aumentato in entrambi i casi di circa 40 milioni di paia tra il 2001 e il PI. I prezzi all’importazione dai due paesi in questione hanno a loro volta seguito una analoga tendenza al ribasso, scendendo del 39 % nel caso della RPC e del 22 % nel caso del Vietnam. Si è accertato che tali prezzi sottoquotavano i prezzi dell’industria comunitaria ad uno stadio commerciale comparabile.

(159)

Talune parti interessate hanno sostenuto che nella fattispecie non erano soddisfatte le condizioni per una valutazione cumulativa, poiché le quote di mercato delle importazioni dai paesi in questione avevano un andamento diverso e i loro livelli di prezzo non erano paragonabili.

(160)

La tabella che segue indica tuttavia che i volumi, le quote di mercato e i prezzi unitari medi delle importazioni da entrambi i paesi hanno registrato un andamento analogo nel periodo considerato.

Volume e quota di mercato delle importazioni

 

2001

2002

2003

2004

PI

RPC (migliaia di paia)

12 772

11 942

21 340

26 763

53 470

Indice: 2001 = 100

100

94

167

210

419

Quote di mercato

2,2 %

2,3 %

3,9 %

4,6 %

9,0 %

Vietnam (migliaia di paia)

41 241

47 542

64 666

81 042

81 477

Indice: 2001 = 100

100

115

157

197

198

Quote di mercato

7,0 %

9,0 %

11,8 %

14,0 %

13,8 %

Prezzi medi

 

2001

2002

2003

2004

PI

RPC EUR/paio

12,4

12,2

9,1

7,5

7,5

Indice: 2001 = 100

100

98

74

61

61

Vietnam EUR/paio

12,5

11,8

10,5

9,8

9,7

Indice: 2001 = 100

100

95

84

79

78

(161)

L’improvviso incremento delle importazioni dalla Cina durante il PI, periodo che coincide in gran parte con l’anno 2004, è con ogni probabilità dovuto alla soppressione dei contingenti dal gennaio 2005. È comunque prassi consolidata dei servizi della Commissione esaminare l’andamento del volume e dei prezzi delle importazioni dai paesi interessati dal procedimento lungo l’arco di alcuni anni, nella fattispecie dal 1o gennaio 2001 alla fine del PI. In questo quadro le importazioni cinesi e vietnamite hanno chiaramente seguito lo stesso andamento. La differenza in termini assoluti nel livello dei prezzi tra le importazioni dai due paesi non è pertinente nel contesto della valutazione cumulativa. Essa può infatti essere dovuta a vari elementi, ad esempio ad una diversa combinazione di prodotti. Ciò che importa sono le tendenze dei prezzi dei due paesi durante il periodo considerato ed esse sono effettivamente comparabili. Per tali ragioni, la richiesta non può essere accolta.

(162)

In considerazione di quanto precede, si conclude che sono soddisfatte tutte le condizioni relative al cumulo e che è pertanto opportuno valutare in maniera cumulata gli effetti delle importazioni in dumping originarie dei paesi in questione ai fini dell’analisi del pregiudizio.

5.5.2.   Volume e quota di mercato delle importazioni oggetto di dumping in esame

(163)

Come si evince dalla tabella che precede, le importazioni nella Comunità del prodotto in esame originario dei paesi in questione sono più che raddoppiate durante il periodo considerato.

(164)

La quota di mercato delle importazioni dai paesi in questione è cresciuta enormemente nel periodo considerato, passando dal 9,2 % nel 2001 al 22,8 % durante il PI. Va considerato che contemporaneamente il consumo è rimasto relativamente stabile nella Comunità.

(165)

Alcune parti interessate hanno obiettato che l’espansione del volume delle importazioni dai paesi in questione era distorta dagli effetti della soppressione dei contingenti dal 1o gennaio 2005. Nel 2004, si è argomentato, certe società hanno rinviato all’inizio del 2005 le esportazioni che avrebbero normalmente effettuato alla fine dell’anno. A questo proposito va notato in primo luogo che, per quanto la cessazione del sistema dei contingenti possa aver effettivamente inciso sul volume delle importazioni nel primo trimestre del 2005, questo elemento riguarda solo uno dei due paesi in questione e non la totalità dei prodotti interessati dal presente procedimento. In secondo luogo, l’andamento delle importazioni è andato aumentando costantemente durante l’intero periodo considerato. Si ritiene pertanto che la soppressione dei contingenti non abbia avuto un’incidenza distortiva significativa ed essa certamente non altera la conclusione secondo cui le importazioni in dumping sono aumentate sensibilmente tra il 2001 e la fine del PI.

5.5.3.   Evoluzione dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping

(166)

I prezzi all’importazione sono fortemente diminuiti nel periodo considerato, passando da 12,4 EUR/paio nel 2001 a 8,9 EUR/paio. Questo andamento corrisponde ad una flessione globale del 30 % nel periodo considerato.

5.5.4.   Sottoquotazione

(167)

Per verificare se vi sia stata sottoquotazione dei prezzi, i prezzi all’importazione dei produttori esportatori del campione sono stati messi a confronto con i prezzi dell’industria comunitaria durante il PI, utilizzando le medie ponderate dei tipi di prodotto comparabili. I prezzi dell’industria comunitaria sono stati portati al livello franco fabbrica e confrontati ai prezzi all’importazione CIF franco frontiera comunitaria, dazio corrisposto. Il confronto tra i prezzi è stato effettuato tra operazioni allo stesso stadio commerciale, previa esecuzione, ove necessario, dei dovuti adeguamenti e deduzione di riduzioni e sconti. Ai fini di un equo confronto, sono stati effettuati adeguamenti per tener conto dei costi sostenuti dagli importatori nella Comunità per aspetti quali la concezione del prodotto, la selezione delle materie prime ecc., che non si rifletterebbero altrimenti nel prezzo di importazione. In effetti, poiché le calzature sono prodotte su ordinazione e quindi sulla base delle specifiche (materie prime, concezione ecc.) indicate dagli stessi importatori, i costi corrispondenti devono anch’essi essere inclusi nei prezzi delle calzature importate, perché sia possibile un equo confronto con i prezzi dell’industria comunitaria che comprendono anche questi elementi.

(168)

In base ai prezzi praticati dai produttori esportatori che hanno collaborato, i margini di sottoquotazione riscontrati, per paese, ed espressi in percentuale dei prezzi dell’industria comunitaria, sono i seguenti:

Paese

Sottoquotazioni

RPC

12,8 %

Vietnam

11,3 %

5.6.   Particolarità del settore delle calzature nella Comunità

(169)

L’industria calzaturiera della Comunità è caratterizzata da reti di microimprese (con meno di dieci dipendenti) e piccole imprese. Le grandi imprese con più di 500 dipendenti impiegano solo una parte limitata della loro forza lavoro globale in questo settore. Le microimprese e piccole imprese hanno il vantaggio di essere più flessibili e adattabili ai mutamenti della domanda sul mercato, ma d’altro lato sono anche finanziariamente più vulnerabili agli shock esterni.

(170)

Sotto la pressione della concorrenza internazionale le imprese più grandi hanno teso a scomparire, mentre le piccole e piccolissime, più flessibili e organizzate in piccoli gruppi, si sono dimostrate maggiormente in grado di conservare la propria posizione competitiva. Il numero di imprese del settore è progressivamente diminuito negli ultimi anni, cosicché solo i «sopravvissuti» hanno potuto partecipare alla denuncia antidumping. È anche probabile che molte microimprese non abbiano avuto sufficienti risorse per sostenere la denuncia antidumping. Per questi motivi si pensa che la semplice analisi della situazione dei «sopravvissuti», autori della denuncia, possa attenuare il livello del pregiudizio per l’intera produzione comunitaria del prodotto in esame.

(171)

Per questa ragione sono presentati di seguito alcuni macroindicatori forniti dalle federazioni nazionali delle industrie calzaturiere degli Stati membri che contano produttori comunitari autori della denuncia, ossia Italia, Spagna, Portogallo, Francia, Polonia e Grecia. I dati riguardano l’evoluzione della produzione, dell’occupazione e del numero di imprese attive nella fabbricazione del prodotto in esame nel periodo considerato. Nella misura del possibile i dati sono stati verificati.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Produzione (migliaia di paia)

538 910

446 917

408 559

370 143

349 222

Indice: 2001 = 100

100

83

76

69

65

Occupazione

238 018

226 126

215 426

201 174

194 579

Indice: 2001 = 100

100

95

91

85

82

Numero di società

10 728

10 684

10 447

10 044

9 579

Indice: 2001 = 100

100

100

97

94

89

(172)

La produzione di calzature con tomaie di cuoio negli Stati membri sopra indicati è diminuita del 35 % nel periodo considerato. Nello stesso periodo più di 1 000 imprese sono state costrette a cessare l’attività, con la conseguente perdita di più di 43 000 posti di lavoro, ossia una flessione del 20 % dell’occupazione rispetto al 2001. La riduzione del numero di imprese è stata particolarmente marcata durante il PI, un periodo che, come si è detto, coincide in gran parte con l’anno 2004. Ciò rivela quindi un’accelerazione dei fallimenti durante il primo trimestre del 2005.

(173)

I dati sopra riportati dimostrano chiaramente che il settore si è trovato ad affrontare sviluppi fortemente negativi negli ultimi anni e versa ora in una situazione critica.

5.7.   Situazione dell’industria comunitaria

5.7.1.   Osservazioni preliminari

(174)

In conformità dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento di base, la Commissione ha esaminato tutti i fattori e gli indicatori economici che potevano incidere sulla situazione dell’industria comunitaria. Si precisa tuttavia che non tutti i fattori enumerati nel regolamento di base rispecchiano la situazione dell’industria calzaturiera comunitaria ai fini della determinazione del pregiudizio. Ad esempio, poiché la produzione avviene su ordinazione, normalmente le imprese non mantengono scorte oppure queste consistono in ordinazioni effettuate ma non ancora consegnate/fatturate e sono risultate pertanto essere molto poco significative nel quadro dell’analisi del pregiudizio. Allo stesso modo, poiché il settore è relativamente a forte intensità di manodopera, la capacità di produzione non è limitata dal punto di vista tecnico e dipende principalmente dal numero di lavoratori impiegati dai produttori.

(175)

Come si è detto, dato il gran numero di produttori comunitari all’origine della denuncia, si sono dovute applicare le disposizioni sul campionamento. Ai fini dell’analisi del pregiudizio, sono stati stabiliti due livelli di indicatori:

gli elementi macroeconomici (produzione, volume delle vendite, quota di mercato, occupazione, produttività, crescita, entità dei margini di dumping e superamento delle conseguenze di precedenti pratiche di dumping) sono stati valutati al livello dell’intera industria comunitaria, sulla base delle informazioni raccolte presso i singoli produttori nella fase di presentazione della denuncia; questi fattori sono stati confrontati, ove possibile, con le informazioni generali fornite dalle associazioni di categoria di tutta la Comunità,

gli elementi microeconomici (scorte, prezzi, flusso di cassa, redditività, utile sul capitale investito, capacità di ottenere capitali, investimenti, occupazione e salari) sono stati valutati in riferimento alle singole società, ossia al livello dei produttori comunitari inclusi nel campione.

5.7.2.   Indicatori macroeconomici

 

2001

2002

2003

2004

PI

Produzione (migliaia di paia)

223 047

182 576

172 339

158 213

146 868

Indice: 2001 = 100

100

82

77

71

66

Fonte: Informazioni raccolte nella fase della denuncia.

(176)

Il volume della produzione dell’intera industria comunitaria è sceso da 223 milioni di paia nel 2001 a 146,9 milioni di paia nel periodo dell’inchiesta, con una flessione di più del 30 %.

(177)

Benché teoricamente uno stabilimento sia progettato per realizzare un determinato livello di produzione, tale livello dipende fortemente dal numero di lavoratori impiegati dallo stabilimento. Infatti, come si è detto, la maggior parte del processo di fabbricazione delle calzature richiede un numero elevato di addetti. In questa situazione, il modo migliore di misurare la capacità di un dato buon numero di società è esaminare il loro livello di occupati. Esso si può dedurre dalla tabella sull’occupazione riportata di seguito. Altrimenti, anche la variazione del numero di società attive nel settore rispecchia adeguatamente la capacità produttiva globale. Questo elemento è già stato esaminato e si ricorda che nel periodo considerato più di 1 000 società hanno dovuto cessare l’attività.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Vendite (migliaia di paia)

158 913

125 665

121 234

111 240

105 749

Indice: 2001 = 100

100

79

76

70

67

Quote di mercato

27,1 %

23,7 %

22,0 %

19,3 %

17,9 %

Fonte: Informazioni raccolte nella fase della denuncia.

(178)

Poiché la produzione avviene su ordinazione, il volume delle vendite dell’industria comunitaria ha seguito una tendenza al ribasso analoga a quella della produzione. Il numero di paia vendute sul mercato comunitario è diminuito di più di 50 milioni tra il 2001 e il PI, ossia del 33 %.

(179)

In termini di quote di mercato, ciò corrisponde ad una perdita superiore a 9 punti percentuali. La quota di mercato dell’industria comunitaria è passata dal 27,1 % nel 2001 al 17,9 % nel PI.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Numero totale di addetti

83 238

69 361

66 425

61 640

57 047

Indice: 2001 = 100

100

83

80

74

69

Fonte: Informazioni raccolte nella fase della denuncia.

(180)

L’occupazione ha subito una forte flessione durante l’intero periodo considerato. L’industria comunitaria ha perso più di 26 000 posti di lavoro, con un calo del 31 % tra il 2001 e il PI.

(181)

Si rinvia anche alla tabella precedente, relativa all’intera industria delle calzature di pelle, che mette in evidenza una diminuzione dell’occupazione in tutto il settore di più di 43 000 posti. La valenza di questo dato è accresciuta dal fatto che circa 700 società (si veda sopra) hanno cessato le attività tra il 2001 e il 2004, ossia prima che fosse presentata una denuncia antidumping, e non hanno pertanto partecipato all’attuale inchiesta.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Produttività

2 680

2 632

2 594

2 567

2 575

Indice: 2001 = 100

100

98

97

96

96

Fonte: Informazioni raccolte nella fase della denuncia.

(182)

La produttività è stata calcolata, in base ai dati riportati nelle precedenti tabelle, dividendo il volume della produzione per il numero di dipendenti dell’industria comunitaria. Si è così constatato che la produttività dell’industria comunitaria è rimasta relativamente stabile durante il periodo considerato.

(183)

Tra il 2001 e il PI, mentre il consumo rimaneva ampiamente costante nella Comunità, il volume delle vendite dell’industria comunitaria è sceso ben del 30 %. Data la situazione, l’industria comunitaria ha subito una perdita di quota di mercato di circa 9 punti percentuali. Si noti che, nello stesso periodo, i paesi oggetto del presente procedimento hanno più che raddoppiato le esportazioni verso la Comunità guadagnando circa 14 punti percentuali in termini di quota di mercato.

(184)

Quanto all’incidenza dell’entità del margine di dumping effettivo sull’industria comunitaria, questa non può considerarsi trascurabile, dati il volume ed i prezzi delle importazioni originarie dei paesi interessati.

(185)

Nel febbraio 1998 sono state istituite misure antidumping nei confronti di importazioni di taluni tipi di calzature con tomaie di cuoio o di plastica originarie della RPC, dell’Indonesia e della Tailandia. I prodotti oggetto di queste misure erano in parte gli stessi prodotti oggetto del presente procedimento. In seguito alla pubblicazione di un avviso di prossima scadenza di tali misure non sono state ricevute domande di riesame e le misure sono pertanto scadute nel marzo 2003. In assenza di una domanda di riesame, si presume che l’industria comunitaria si fosse all’epoca rimessa dagli effetti delle precedenti pratiche di dumping.

5.7.3.   Indicatori microeconomici

(186)

Si riportano nella tabella che segue i dati relativi alla produzione e al volume delle vendite dei produttori comunitari costituenti il campione, anche se questi due fattori non si possono considerare di per sé indicatori microeconomici. Si vuole in tal modo mostrare come è evoluta la situazione dei produttori comunitari costituenti il campione rispetto all’intera industria comunitaria.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Produzione (migliaia di paia)

17 743

18 828

16 507

12 902

12 129

Indice: 2001 = 100

100

106

93

73

68

Volume delle vendite nell’UE (migliaia di paia)

15 130

15 877

14 544

13 652

13 422

Indice: 2001 = 100

100

105

96

90

89

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

(187)

Dopo un incremento registrato nel 2002 rispetto al 2001, la produzione e il volume delle vendite nella Comunità delle società incluse nel campione hanno seguito un andamento analogo a quello relativo all’intera industria comunitaria. Nel periodo considerato il volume della produzione è diminuito di più del 30 % e il volume delle vendite di più del 10 %. Si ricorda che, nello stesso periodo, l’intera industria comunitaria ha registrato una flessione della produzione (– 34 %) e del volume delle vendite (– 33 %).

 

2001

2002

2003

2004

PI

Migliaia di paia

2 118

2 375

2 544

2 705

2 470

Indice: 2001 = 100

100

112

120

128

117

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

(188)

Come si è detto, si ritiene che le scorte siano poco significative per illustrare la situazione dell’industria calzaturiera della Comunità ai fini della determinazione del pregiudizio, dato che la produzione avviene su ordinazione. In teoria, non vengono costituite scorte e le giacenze sono rappresentate unicamente dagli ordinativi eseguiti e non ancora consegnati e/o fatturati. Il livello delle scorte così definite è prima aumentato del 28 % tra il 2001 e il 2004 e poi diminuito alla fine del PI. Questo calo durante il PI va visto nel contesto della stagionalità che caratterizza il settore; è previsto infatti che il livello delle scorte sia più alto a dicembre che alla fine del primo trimestre dell’anno, che coincide in questo caso con la fine del PI.

 

2001

2002

2003

2004

PI

EUR/paio

20,9

20,5

20,0

19,8

19,4

Indice: 2001 = 100

100

98

96

95

93

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

(189)

Il prezzo di vendita unitario medio è costantemente diminuito lungo il periodo considerato. In totale la diminuzione è stata del 7,2 %. La depressione dei prezzi dell’industria comunitaria può sembrare limitata, soprattutto a confronto con il calo del 30 % dei prezzi delle importazioni in dumping nell’arco del periodo considerato. Essa deve essere però considerata nel contesto di una produzione su ordinazione, nel quale i nuovi ordinativi sono normalmente soddisfatti solo se i livelli di prezzo corrispondenti assicurano almeno la copertura dei costi. A questo proposito si rinvia alla tabella successiva che indica come, nel PI, l’industria comunitaria non poteva abbassare ulteriormente i suoi prezzi senza subire perdite.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Flusso di cassa (migliaia di EUR)

13 497

10 991

8 147

10 754

5 706

Indice: 2001 = 100

100

81

60

80

42

Redditività espressa in percentuale del fatturato netto

1,6 %

2,1 %

0,1 %

2,3 %

1,1 %

Utile sul capitale investito

5,7 %

8,0 %

0,4 %

10,0 %

4,8 %

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

(190)

Gli indicatori di rendimento sopra riportati mostrano chiaramente un indebolimento della situazione finanziaria delle società nel periodo considerato. Va notato che le spese di ristrutturazione sostenute da uno dei produttori comunitari del campione ha inciso negativamente sulla redditività del 2003. Il deterioramento generale è stato particolarmente marcato durante il PI e rivela un significativo andamento negativo nel primo trimestre 2005, corrispondente all’ultimo trimestre del PI.

(191)

Particolarmente colpito è stato il flusso di cassa, che ha registrato un crollo del 60 % tra il 2001 e il PI. Il livello del flusso di cassa è particolarmente importante per le PMI, che non hanno sempre facile accesso a finanziamenti esterni, contrariamente alle società più grandi che possono procurarsi più agevolmente garanzie bancarie. Le PMI devono per lo più fare affidamento sulle proprie risorse per finanziare le loro attività. La redditività rispetto al fatturato è rimasta relativamente stabile attorno all’1,5 % tra il 2001 e il 2004 (con l’eccezione del 2003), ma è poi scesa verso il livello del pareggio durante il PI. L’utile sul capitale investito ha seguito lo stesso andamento.

(192)

Il livello generale degli utili è rimasto basso durante l’intero periodo considerato e sottolinea la vulnerabilità finanziaria delle PMI, che per loro natura sono particolarmente esposte agli shock esterni.

(193)

Dall’inchiesta è emerso che il fabbisogno di capitali di vari produttori comunitari ha subito le ripercussioni della loro difficile situazione finanziaria. Ciò è messo in evidenza dall’andamento del loro livello individuale di utili e specialmente dal deterioramento del loro flusso di cassa. Come si è detto, le PMI non sono sempre in grado di ottenere sufficienti garanzie bancarie e possono avere difficoltà a sostenere le notevoli spese derivanti da una situazione finanziaria precaria.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Migliaia di EUR

8 026

10 428

6 039

4 119

3 744

Indice: 2001 = 100

100

130

75

51

47

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

(194)

Gli investimenti effettuati dalle società sono diminuiti di più del 50 % tra il 2001 e il PI. Questa flessione deve essere vista in collegamento con il deterioramento della situazione finanziaria dei produttori comunitari inclusi nel campione.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Numero totale di addetti

4 705

4 088

3 470

2 861

2 754

Indice: 2001 = 100

100

87

74

61

59

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Massa salariale (Migliaia di EUR)

66 636

63 955

61 335

50 068

48 485

Indice: 2001 = 100

100

96

92

75

73

Salario medio (EUR)

14 163

15 645

17 676

17 500

17 605

Indice: 2001 = 100

100

110

125

124

124

Fonte: Risposte al questionario, verificate.

(195)

Il livello dell’occupazione presso i produttori comunitari inclusi nel campione si è notevolmente deteriorato nel periodo considerato, durante il quale sono stati perduti 20 000 posti di lavoro. Poiché le calzature sono fabbricate su ordinazione, qualsiasi diminuzione nel volume delle vendite si traduce immediatamente in un calo della produzione, il quale a sua volta determina una riduzione degli addetti in questo settore ad alta intensità di manodopera.

(196)

L’incremento del salario medio è dovuto ad un netto calo del numero di lavoratori — che ricevono un salario relativamente basso — a fronte della relativa stabilità del personale amministrativo e direttivo — che ha un livello retributivo più alto. Le perdite di posti di lavoro sono state infatti particolarmente marcate al livello della produzione. Benché sia anch’esso diminuito, il livello del personale amministrativo dipende meno dall’andamento delle attività delle società. L’evoluzione dei salari medi risulta distorta anche dal fatto che talvolta hanno dovuto essere pagate indennità di licenziamento alle persone escluse dall’organico delle società.

5.8.   Conclusioni in merito al pregiudizio

(197)

L’analisi degli indicatori macroeconomici, riguardante quindi l’intera industria comunitaria, ha rivelato che il pregiudizio si è concretizzato principalmente nella diminuzione del volume delle vendite e delle quote di mercato. Poiché le calzature sono fabbricate su ordinazione, questa diminuzione si è anche ripercossa direttamente sul livello della produzione e sull’occupazione nella Comunità. Nel periodo considerato il volume delle vendite dell’industria comunitaria sul mercato della Comunità ha registrato una flessione superiore al 30 %, la quota di mercato è scesa di 9 punti percentuali, la produzione è calata del 34 % e l’occupazione è stata ridotta del 31 %, con la perdita di 26 000 posti di lavoro.

(198)

La struttura dei costi dell’industria calzaturiera è tale che le imprese non efficienti sotto il profilo economico-finanziario devono cessare le attività. Infatti, dovendo contare con spese dirette — principalmente per manodopera e materie prime — che vanno fino all’80 % dei costi di produzione, le calzature sono fabbricate su ordinazione solo se il calcolo dei costi diretti indica un livello sufficiente di utili per ciascun ordinativo.

(199)

L’analisi degli elementi microeconomici ha rivelato che le singole società incluse nel campione hanno raggiunto il livello di utili più basso possibile durante il periodo dell’inchiesta. Il livello degli utili durante il PI si è mantenuto vicino al pareggio e il flusso di cassa ha seguito una pericolosa tendenza al ribasso. L’analisi della loro situazione ha rivelato che le società del campione non erano più in grado, durante il PI, di abbassare ulteriormente i loro prezzi senza entrare in perdita, situazione che, nel caso delle PMI, non può essere sostenuta per più di qualche mese, pena la chiusura degli impianti.

(200)

Su questo sfondo risultano particolarmente significative le informazioni fornite dalla associazioni nazionali di categoria riguardo al numero di chiusure di imprese. Tra il 2001 e il periodo dell’inchiesta queste hanno registrato più di mille chiusure.

(201)

Alla luce delle considerazioni che precedono si conclude che l’industria comunitaria ha subito un pregiudizio notevole ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, del regolamento di base.

6.   CAUSE DEL PREGIUDIZIO

6.1.   Introduzione

(202)

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, la Commissione ha esaminato se il pregiudizio notevole subito dall’industria comunitaria sia stato causato dalle importazioni oggetto di dumping del prodotto in esame originarie dei paesi in questione. Sono stati esaminati anche fattori noti diversi dalle importazioni oggetto di dumping che avrebbero potuto arrecare nello stesso periodo pregiudizio all’industria comunitaria, per garantire che l’eventuale pregiudizio provocato da detti altri fattori non venga attribuito alle importazioni oggetto di dumping.

6.2.   Effetti delle importazioni in dumping

(203)

Si ricorda innanzitutto che, in base alle risultanze dell’inchiesta, le calzature importate dai paesi in questione competono a tutti i livelli, ossia in tutte le gamme e per tutti i tipi, con le calzature prodotte e vendute dall’industria comunitaria e che i loro canali di vendita sono nel complesso identici.

(204)

Il significativo incremento di volume delle importazioni in dumping, che sono più che raddoppiate nel periodo considerato, ha coinciso con il deterioramento della situazione economica dell’industria comunitaria. Questo deterioramento si è concretizzato, tra l’altro, in un crollo della produzione e del volume delle vendite del 30 % circa nello stesso periodo.

(205)

L’impennata delle importazioni in dumping è stata contemporanea ad un sensibile calo dei loro prezzi medi, che nel periodo dell’inchiesta sono diminuiti in media del 30 %.

(206)

In un mercato relativamente trasparente e molto sensibile ai prezzi, nel quale il prodotto è fabbricato su ordinazione, ciò ha determinato un duplice impatto negativo sulla situazione dell’industria comunitaria. In primo luogo ha provocato una depressione dei suoi prezzi, che sono diminuiti dell’8 % circa nel periodo considerato. Ma ciò che più conta è che le importazioni a basso prezzo dai paesi in questione hanno inciso fortemente sugli ordinativi dell’industria comunitaria, con effetti negativi sulla produzione, sul volume delle vendite e sull’occupazione.

(207)

L’andamento delle quote di mercato rispettivamente dell’industria comunitaria e dei paesi in questione è molto significativo in proposito. Esso è illustrato nella seguente tabella.

 

2001

2002

2003

2004

PI

Paesi in questione

9,2 %

11,2 %

15,6 %

18,7 %

22,8 %

Industria comunitaria

27,1 %

23,7 %

22,0 %

19,3 %

17,9 %

(208)

Mentre l’industria comunitaria ha visto la propria quota di mercato ridursi di circa 9 punti percentuali tra il 2001 e il PI, i paesi in questione hanno accresciuto la loro di circa 14 punti percentuali, in presenza di un consumo relativamente stabile.

(209)

Considerata la contemporaneità evidente tra l’aumento delle importazioni oggetto di dumping a prezzi sempre più bassi e la perdita di volume delle vendite e della produzione dell’industria comunitaria, il calo della sua quota di mercato e dei suoi occupati, nonché la depressione dei prezzi, la Commissione ha concluso che le importazioni oggetto di dumping hanno svolto un ruolo determinante nella situazione pregiudizievole dell’industria comunitaria.

6.3.   Effetto di altri fattori

6.3.1.   Risultati degli altri produttori comunitari

(210)

La tabella che precede indica che le vendite degli altri produttori comunitari sul mercato della Comunità sono diminuite di più di 70 milioni di paia nel periodo considerato, il che rappresenta un calo superiore al 30 %. La loro quota di mercato è anch’essa scesa dal 38,1 % nel 2000 al 25,3 % nel PI. Sulla base delle informazioni disponibili, la Commissione conclude pertanto che gli altri produttori comunitari si sono trovati in un situazione simile a quella dell’industria comunitaria e non hanno causato alcun pregiudizio all’industria comunitaria.

6.3.2.   Andamento delle esportazioni dell’industria comunitaria

(211)

Talune parti interessate hanno affermato che la cattiva situazione economica dell’industria comunitaria delle calzature era dovuta al deterioramento dei risultati delle sue esportazioni. Questa affermazione si basa su una relazione pubblicata dall’industria comunitaria delle calzature, nella quale si asserisce che l’accesso ai mercati di esportazione rappresenta un grande problema per il settore e che sussistono tuttora vari ostacoli tariffari e non tariffari che impediscono ai produttori comunitari di sfruttare il loro potenziale di esportazione.

(212)

A questo proposito va notato prima di tutto che l’analisi del pregiudizio verte sulla situazione dell’industria comunitaria sul mercato della Comunità. Di conseguenza, un deterioramento dei risultati delle esportazioni, se esiste, non ha alcuna incidenza sulla maggior parte degli indicatori sopra analizzati, quali il volume delle vendite, la quota di mercato e i prezzi. Per quanto riguarda il volume di produzione globale, per il quale la distinzione tra mercato comunitario e mercato extracomunitario non si può fare, poiché le calzature sono fabbricate su ordinazione, un calo delle vendite sul mercato comunitario si tradurrà necessariamente in una flessione della produzione. Anche ammettendo che le vendite all’esportazione siano diminuite nel periodo considerato, dato che la grande maggioranza della produzione è destinata alla vendita sul mercato della Comunità, la flessione della produzione è connessa per la maggior parte al pregiudizio subito dall’industria comunitaria sul mercato della Comunità e non alla diminuzione delle esportazioni. Infine, l’asserzione dei produttori comunitari si riferisce di fatto all’impossibilità di sfruttare il proprio potenziale di esportazione e va pertanto considerata come un’incapacità a compensare la diminuzione delle vendite sul mercato comunitario, sul quale si sta subendo un pregiudizio, con un’espansione delle esportazioni.

(213)

L’argomento è stato pertanto respinto e si conclude che i risultati delle esportazioni dell’industria comunitaria non hanno causato alcun pregiudizio grave.

6.3.3.   Importazioni da altri paesi terzi

(214)

Sono state esaminate anche le importazioni provenienti da altri paesi terzi. Le seguenti tabelle indicano l’andamento delle quote di mercato e dei prezzi medi dei paesi terzi che rappresentavano ciascuno più del 2 % delle importazioni totali nella Comunità nel PI.

Quote di mercato

2001

2002

2003

2004

PI

Variazione 2001/PI (p.p.)

Romania

6,4 %

8,0 %

8,4 %

7,8 %

7,7 %

+1,3 %

India

3,9 %

5,0 %

5,4 %

6,4 %

6,2 %

+2,3 %

Indonesia

2,0 %

1,9 %

1,6 %

1,6 %

1,6 %

–0,4 %

Brasile

1,4 %

1,6 %

1,9 %

2,5 %

2,9 %

+1,5 %

Macao

1,4 %

1,9 %

2,4 %

3,3 %

2,5 %

+1,1 %

Tailandia

0,9 %

0,9 %

1,0 %

1,2 %

1,2 %

+0,3 %

Prezzi medi (EUR/paio)

2001

2002

2003

2004

PI

Variazione 2001/PI

Romania

14,0

14,9

15,1

15,3

15,3

9 %

India

11,7

11,6

10,5

10,4

10,5

–10 %

Indonesia

12,4

11,6

11,2

9,6

9,6

–23 %

Brasile

16,9

15,8

13,7

13,2

12,6

–25 %

Macao

13,1

11,7

11,0

10,9

11,0

–16 %

Tailandia

15,4

14,0

13,2

12,3

12,2

–21 %

(215)

Singolarmente nessuno dei paesi sopra elencati ha incrementato sensibilmente la propria quota di mercato nel periodo considerato. Il valore assoluto delle loro quote di mercato è rimasto molto inferiore a quello dei paesi in questione ed esse hanno avuto anche un andamento diverso. Si ricorda che la quota di mercato cumulata dei paesi in questione è aumentata dal 9,2 % nel 2001 al 22,8 % nel PI.

(216)

Fatta eccezione per un paese, i prezzi medi unitari degli altri paesi terzi sono diminuiti nel periodo considerato. Tuttavia, essi sono diminuiti in misura inferiore ai prezzi dei paesi in questione; in particolare, il valore assoluto dei loro prezzi durante tutto il periodo considerato è rimasto in media, con un’eccezione, molto al di sopra del livello dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping. Nel caso delle importazioni dall’Indonesia, nel PI i prezzi erano più bassi di quelli delle importazioni dal Vietnam; ma questo dato va messo a confronto con la quota di mercato in diminuzione delle importazioni dall’Indonesia, mentre quella delle importazioni dal Vietnam è cresciuta fortemente. Durante il PI i prezzi all’importazione dai paesi sopra elencati erano in media superiori del 30 % ai prezzi all’importazione dai paesi in questione. Inoltre, considerate individualmente le quote di mercato degli altri paesi terzi non sono aumentate come quelle dei paesi in questione. Si può pertanto ritenere persino che gli altri paesi terzi dovessero seguire le tendenze al ribasso dei prezzi dei paesi in questione, per mantenere il loro livello di quote di mercato.

(217)

Per le ragioni sopra esposte, si conclude che le importazioni dagli altri paesi terzi non hanno inciso in modo notevole sulla situazione dell’industria comunitaria.

6.3.4.   Cambiamento dei modelli di consumo e flessione della domanda

(218)

Alcuni importatori hanno sostenuto che il pregiudizio subito dai produttori comunitari di calzature era causato da una contrazione della domanda nel segmento di mercato nel quale si sono specializzati i produttori comunitari tradizionali. Analogamente taluni produttori esportatori hanno affermato che, in seguito ai cambiamenti della moda, i consumatori cercano ormai calzature di bassa qualità, rinnovabili rapidamente e commercializzate in grandi quantità.

(219)

A questo proposito si rinvia alla sezione 2, nella quale si è giunti alla conclusione che tutti i tipi del prodotto in esame e del prodotto analogo sono da considerarsi un prodotto unico e che le calzature fabbricate nei paesi in questione e nella Comunità sono in concorrenza tra loro a tutti i livelli del mercato. Qualsiasi argomento relativo a determinati tipi è pertanto non pertinente; l’analisi deve essere eseguita al livello del prodotto in esame e del prodotto analogo, ossia per tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio descritte sopra al corrispondente paragrafo. Quanto al consumo totale comunitario di calzature con tomaie di cuoio, esso si è mantenuto relativamente stabile durante il periodo considerato. Gli argomenti sono stati pertanto respinti e si conclude che il pregiudizio non è stato causato da una flessione della domanda.

6.3.5.   Fluttuazioni dei tassi di cambio

(220)

Vari produttori esportatori e importatori hanno sostenuto che il pregiudizio subito dall’industria comunitaria è stato causato dall’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro statunitense, che avrebbe determinato un consistente abbassamento dei prezzi delle importazioni, poiché gran parte delle vendite effettuate dagli operatori cinesi e vietnamiti sarebbero negoziate in USD.

(221)

Si ricorda che compito dell’inchiesta è stabilire se le importazioni oggetto di dumping (in termini di prezzi e volumi) hanno causato un pregiudizio grave all’industria comunitaria oppure se tale pregiudizio grave è stato determinato da altri fattori. A questo proposito l’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base fa riferimento alla necessità di dimostrare che il livello dei prezzi delle importazioni in dumping causa pregiudizio. Esso menziona pertanto solo la differenza tra i prezzi e non esige un’analisi dei fattori che incidono sul loro livello.

(222)

Sul piano pratico, gli effetti delle importazioni in dumping sui prezzi dell’industria comunitaria sono esaminati essenzialmente accertando l’esistenza di una sottoquotazione, depressione e contenimento dei prezzi. A tal fine vengono messi a confronto i prezzi delle esportazioni in dumping e i prezzi dell’industria comunitaria; i prezzi delle esportazioni utilizzati per calcolare il pregiudizio devono talvolta essere convertiti in un’altra valuta per essere comparabili. Di conseguenza, il ricorso a tassi di cambio in questo contesto assicura semplicemente che la differenza di prezzo sia determinata su una base comparabile. È perciò evidente che il tasso di cambio non può, per principio, costituire un altro fattore del pregiudizio.

(223)

Quanto esposto sopra è confermato dal testo dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, che menziona altri fattori noti diversi dalle importazioni in dumping. Nell’elenco degli altri fattori noti non figura alcun fattore di incidenza sul livello dei prezzi delle importazioni in dumping. Se insomma le esportazioni sono oggetto di dumping, anche se hanno beneficiato di un andamento favorevole dei tassi di cambio, non si capisce in che modo tale evoluzione dei tassi di cambio possa costituire un altro fattore di pregiudizio.

(224)

L’analisi dei fattori che incidono sul livello dei prezzi delle importazioni oggetto di dumping, che si tratti di fluttuazioni dei tassi di cambio o di qualcos’altro, non porta ad alcun risultato e va oltre le disposizioni del regolamento di base.

(225)

Ad ogni modo e fermi restando gli argomenti di cui sopra, anche se le fluttuazioni dei tassi di cambio avessero influito sui prezzi all’importazione, sarebbe impossibile distinguere e misurare tale incidenza, poiché non è noto con precisione in che misura le importazioni dai paesi in questione siano state negoziate in USD. Inoltre, i maggiori importatori proteggono le proprie operazioni finanziarie in USD contro i rischi ed è pertanto molto difficile stabilire quale sarebbe il tasso di cambio pertinente da esaminare.

6.3.6.   Soppressione dei contingenti

(226)

Talune parti hanno argomentato che anche la soppressione dei contingenti all’importazione all’inizio del 2005 aveva danneggiato l’industria comunitaria. A questo proposito si ricorda che i contingenti interessavano solo uno dei due paesi in questione e non tutti i prodotti oggetto del presente procedimento. Inoltre, l’analisi del pregiudizio è stata condotta su un periodo più lungo, ossia tra il 2001 e la fine del PI, e non si riferisce pertanto solo al periodo successivo alla soppressione dei contingenti, ossia al primo trimestre del 2005. L’argomentazione è stata quindi respinta.

6.3.7.   Le società all’origine della denuncia non hanno ammodernato, sono estremamente frammentate e hanno un alto costo del lavoro

(227)

Talune parti hanno sostenuto che la cattiva situazione economica dei denuncianti è connessa al fatto che non hanno ammodernato i loro impianti e metodi di produzione e che il pregiudizio era dovuto all’estrema frammentazione del settore e alla sua mancanza di competitività rispetto alle importazioni da paesi a basso costo di manodopera.

(228)

È vero che l’industria europea delle calzature è molto frammentata e che il costo del lavoro nella Comunità è più alto che nei paesi in questione. Il grado di frammentazione dell’industria e il costo del lavoro non sono però aumentati nella Comunità nel periodo considerato. In queste circostanze, non si può stabilire un nesso causale tra questi fattori e il deterioramento della situazione dell’industria comunitaria nel periodo considerato.

(229)

Le affermazioni di queste parti interessate sono state pertanto respinte.

6.3.8.   Trasferimento della produzione delle imprese calzaturiere comunitarie

(230)

L’associazione degli importatori ha sostenuto che il trasferimento delle unità produttive delle imprese comunitarie in paesi a basso costo di manodopera aveva contribuito al pregiudizio subito dall’industria comunitaria. Tale trasferimento avrebbe determinato un abbassamento della produzione e delle vendite nella Comunità e comportato notevoli costi di ristrutturazione, incidendo così sulla situazione finanziaria di queste imprese.

(231)

Va ricordato però che l’analisi del pregiudizio è incentrata specificamente sull’andamento della situazione economica dell’industria comunitaria. Dato che, come si è già detto, i produttori che hanno delocalizzato la produzione non sono stati nemmeno considerati produttori comunitari ai fini del presente procedimento, e quindi non appartengono all’industria comunitaria, non si è tenuto conto della loro situazione nell’analisi del pregiudizio. Si è tuttavia tenuto conto delle importazioni delle società che hanno delocalizzato la produzione nell’esaminare le importazioni dai paesi in questione o da altri paesi terzi.

6.4.   Conclusioni in merito al nesso causale

(232)

In conclusione, la Commissione conferma che il pregiudizio notevole subito dall’industria comunitaria, caratterizzato soprattutto dalla diminuzione del volume delle vendite, della quota di mercato e del prezzo di vendita unitario, con conseguente deterioramento degli indicatori di redditività, è stato causato dalle importazioni oggetto di dumping in esame. Infatti, gli effetti degli altri fattori esaminati sono praticamente inesistenti e non possono pertanto annullare il nesso causale tra le importazioni in dumping e la situazione pregiudizievole dell’industria comunitaria.

(233)

Alla luce di quest’analisi, nella quale si è provveduto alle opportune separazioni e distinzioni tra gli effetti di tutti gli altri fattori noti e gli effetti pregiudizievoli delle importazioni oggetto di dumping sulla situazione dell’industria comunitaria, si conferma che detti altri fattori non sono di per sé sufficienti a invalidare il fatto che il grave pregiudizio accertato debba essere attribuito a tali importazioni in dumping.

(234)

Si conclude pertanto in via provvisoria che le importazioni in dumping originarie dei paesi interessati hanno arrecato un notevole pregiudizio all’industria comunitaria ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 6, del regolamento di base.

7.   INTERESSE DELLA COMUNITÀ

(235)

È stato esaminato se l’interesse della Comunità richiedeva un intervento per impedire il dumping pregiudizievole accertato.

7.1.   Interesse dell’industria comunitaria

(236)

L’analisi che precede ha chiaramente dimostrato che le importazioni oggetto di dumping hanno causato un pregiudizio all’industria calzaturiera della Comunità. L’enorme afflusso di importazioni in dumping negli ultimi anni ha provocato una forte depressione dei prezzi sul mercato comunitario delle calzature, al livello delle vendite all’ingrosso, che è quello al quale competono le calzature importate e quelle fabbricate nella Comunità. In generale l’industria comunitaria non è più in grado di assicurarsi ordinazioni ad un prezzo soddisfacente, come dimostra la situazione dei produttori comunitari del campione, che non hanno quasi realizzato utili durante il PI. Inoltre, in molti casi l’industria comunitaria non è più in grado di accettare nuove ordinazioni, poiché, ai prezzi attuali, ciò significherebbe che deve vendere a prezzi inferiori ai costi di produzione. L’industria comunitaria sta pertanto attraversando difficoltà connesse ai prezzi di vendita e al volume delle vendite.

(237)

In questa situazione, in assenza di misure la posizione dell’industria comunitaria subirà chiaramente un ulteriore deterioramento, con la conseguente chiusura di altri stabilimenti e la perdita di altri posti di lavoro. I produttori tendono a concentrarsi geograficamente in alcuni Stati membri e gli ordinativi vengono talvolta esternalizzati ad altri stabilimenti locali, cosicché la scomparsa di un fabbricante può avere un sensibile effetto domino su altre imprese locali Ciò vale anche per i fornitori locali di materie prime, con un’incidenza notevole sull’insieme delle attività. L’istituzione di misure avrebbe vari effetti positivi per l’industria comunitaria. Eviterebbe un ulteriore incremento sostanziale delle importazioni in dumping dai paesi in questione, consentendo all’industria comunitaria almeno di mantenere la sua attuale posizione sul mercato. I dati relativi alle importazioni mostrano infatti che qualsiasi aumento della quota di mercato dei paesi in questione avverrebbe a spese dell’industria comunitaria delle calzature.

(238)

Inoltre, con l’istituzione di dazi antidumping sulle importazioni di calzature dai paesi in questione sarebbe molto più probabile che grossisti e importatori passassero a rifornirsi, almeno in parte, dall’industria comunitaria. Se verranno istituite misure riportando i prezzi delle importazioni ad un livello non di dumping, l’industria comunitaria potrà competere in condizioni di commercio leale sulla base di veri vantaggi comparativi e sarà in grado di ricevere un volume soddisfacente di nuovi ordinativi a prezzi che le assicureranno un livello di utili normale. Un certo aumento dei prezzi è effettivamente necessario per eliminare il pregiudizio.

(239)

Istituire misure è quindi chiaramente nell’interesse dell’industria comunitaria, ossia dei produttori che sostengono attivamente la denuncia, ma anche nell’interesse degli altri produttori comunitari che non l’hanno sostenuta attivamente o non hanno potuto farlo.

(240)

Talune parti interessate hanno argomentato che l’istituzione di misure non ripristinerebbe una situazione equa per l’industria comunitaria, poiché gli importatori passerebbero a rifornirsi presso altri paesi non soggetti alle misure. In base a questa considerazione esse affermano che qualsiasi misura sarebbe contraria all’interesse dell’industria comunitaria.

(241)

Questa argomentazione è stata tuttavia respinta. Il fatto che gli importatori possano indirizzarsi verso altri paesi fornitori non è certamente un motivo valido per non adottare, nella fattispecie, misure contro un dumping pregiudizievole. È infatti impossibile stabilire in anticipo le dimensioni di un tale spostamento; inoltre anche queste importazioni potrebbero essere oggetto di dumping, con la conseguenza che un’azione potrebbe essere avviata anche contro di esse.

(242)

In conclusione, l’istituzione delle misure antidumping consentirà all’industria comunitaria di riprendersi dagli effetti del dumping pregiudizievole accertato.

7.2.   Interesse degli altri operatori economici

7.2.1.   Interesse dei consumatori

(243)

Non sono state ricevute osservazioni da parte delle organizzazioni di consumatori in seguito alla pubblicazione dell’avviso di apertura del presente procedimento. Alcune parti hanno tuttavia sostenuto che istituire misure sulle importazioni del prodotto in esame sarebbe contrario all’interesse dei consumatori. Si è argomentato in primo luogo che, qualora venisse limitato l’accesso al mercato comunitario per i prodotti cinesi e vietnamiti, la scelta dei consumatori verrebbe molto ridotta, soprattutto nel segmento del fast fashion (moda veloce), rifornito principalmente dagli esportatori cinesi e vietnamiti. In secondo luogo, si è osservato che le misure aumenterebbero i costi del consumatore medio in termini di prezzo e, infine, che l’industria comunitaria non sarebbe in grado di soddisfare l’intera domanda di calzature.

(244)

Gli argomenti relativi all’impatto negativo di eventuali misure sui consumatori sono stati esaminati nei particolari. Per valutare tale impatto sono stati considerati i seguenti elementi.

Circa due terzi del settore calzaturiero generale non sono interessati dalle misure istituite nel quadro del presente regolamento. Infatti, le calzature con tomaie di cuoio oggetto del presente procedimento rappresentano meno del 35 % del settore, mentre nel 2001 costituivano ancora il 46 %.

Non tutti i tipi di calzature con tomaie di cuoio saranno interessati dalle misure proposte. L’inchiesta ha stabilito infatti che taluni tipi di calzature (si vedano le conclusioni sulle STAF) non saranno oggetto di misure; ciò riduce ulteriormente la portata delle misure rispetto all’intero mercato comunitario delle calzature. A questo proposito si ricorda che, durante il PI, le calzature STAF rappresentavano quasi il 20 % delle importazioni di calzature con tomaie di cuoio dai paesi in questione.

Una quota significativa del mercato comunitario delle calzature con tomaie di cuoio è costituita da forniture provenienti da paesi diversi dalla Cina e dal Vietnam, ossia da fonti che non saranno soggette a misure. Gli altri paesi terzi, che rappresentano il 30 % circa delle importazioni, continueranno a competere senza essere soggetti a misure. Allo stesso modo, le misure antidumping non si applicheranno alle vendite dei produttori comunitari, che rappresentano tuttora la metà delle forniture di calzature di cuoio.

Normalmente la distribuzione ai consumatori avviene attraverso importatori/grossisti e distributori/dettaglianti. Ad entrambi i livelli viene applicata una maggiorazione o un margine, inteso a coprire i costi degli operatori e ad assicurare loro un certo utile. L’entità di tale margine può variare sensibilmente tra un operatore e l’altro, ma è in media relativamente consistente; ad esempio, durante il PI, la maggiorazione applicata dagli importatori che hanno collaborato ai prezzi di vendita ai dettaglianti era in media del 125 % e variava tra il 20 % e il 200 %. Vi è pertanto un divario considerevole tra i prezzi all’importazione e i prezzi di rivendita. Per quanto riguarda l’affermazione secondo cui misure antidumping potrebbero ridurre la scelta di calzature, si nota che esse assicurerebbero solo l’eliminazione delle pratiche di dumping dei prezzi. Non vi saranno pertanto restrizioni dei volumi delle importazioni, poiché la maggior parte del mercato comunitario continuerà ad essere rifornito da fonti non direttamente interessate dalla misure.

(245)

Ad ogni modo, un’eventuale diminuzione del volume delle importazioni dai paesi in questione potrà essere compensata, almeno a medio termine, da un incremento delle forniture da parte dell’industria comunitaria e dei paesi non oggetto di misure, benché questo cambiamento possa richiedere un certo tempo.

(246)

Riguardo alla gamma dei prodotti, si noti che i paesi in questione non fabbricano solo fast fashion e/o calzature a basso prezzo. La Cina e il Vietnam producono anche calzature di marca di gamma medio-alta. D’altra parte l’inchiesta ha rivelato che l’industria comunitaria fabbrica calzature di tutte le gamme e non solo, come si sostiene spesso, scarpe da città eleganti e di gamma alta. In considerazione di quanto sopra esposto, l’affermazione secondo cui l’istituzione di misure porterebbe ad una riduzione della scelta di calzature, in generale e per determinati articoli di moda, avrebbe almeno bisogno di essere suffragata da ulteriori elementi di prova.

(247)

Per quanto riguarda gli effetti delle misure sui prezzi al consumo, occorre tener conto del fatto che esistono notevoli differenze tra i prezzi all’importazione cui si applicano le misure e i prezzi di vendita ai consumatori. I prezzi all’importazione sono talmente più bassi che l’incidenza delle misure sui prezzi al consumo assai più alti sarà necessariamente molto limitata. Il fatto che vi siano almeno due operatori economici intermedi tra l’importazione e la vendita al consumo limiterà l’impatto sui consumatori.

(248)

Infine, i dati provvisori disponibili sui prezzi al consumo indicano che i consumatori della Comunità in generale non hanno tratto beneficio dalla depressione dei prezzi delle calzature verificatasi al livello dei prezzi all’ingrosso. In effetti, i prezzi medi all’importazione di tutte le calzature sono scesi di più del 20 % nel periodo tra il 2001 e il PI, mentre i prezzi al consumo sono leggermente saliti nello stesso arco di tempo. Questo aspetto dovrà essere esaminato in modo particolare per il prodotto in esame in vista delle risultanze definitive.

(249)

Si ritiene poco probabile che i consumatori siano destinati a sopportare tutto il peso di eventuali misure, data la forte concorrenza esistente a questo livello. Si è calcolato che, se i costi delle misure saranno ripartiti equamente tra le tre principali categorie di operatori economici, l’aumento di prezzo per i consumatori si aggirerà in media attorno al 2 %, ossia 1 EUR/paio.

(250)

Le parti interessate hanno argomentato che applicare misure antidumping sulle calzature per bambini comporterebbe costi sensibilmente più alti che per le altre calzature oggetto dell’inchiesta. Ciò è dovuto al fatto che le scarpe per bambini devono essere sostituite notevolmente più spesso di quelle per adulti (da tre a quattro volte più spesso per i bambini piccoli). Pertanto, gli effetti delle misure antidumping sulle calzature per bambini sarebbero sostanzialmente (da tre a quattro volte) superiori agli effetti delle misure su calzature normali, poiché i consumatori dovrebbero spendere sensibilmente di più, in termini relativi e cumulati, per l’acquisto di scarpe per bambini che per l’acquisto di scarpe per adulti. I costi supplementari causati dall’istituzione di misure ai consumatori di calzature per bambini potrebbero anche incidere notevolmente sulla situazione finanziaria delle famiglie medie europee e dissuadere i genitori dall’acquistare a intervalli regolari scarpe di qualità per i figli.

(251)

Poiché le conclusioni provvisorie indicano che le scarpe per bambini devono essere sostituite da tre a quattro volte più spesso delle altre calzature, è giusto ritenere che anche i loro costi assoluti per i consumatori saranno sostanzialmente superiori a quelli delle altre calzature interessate dal presente procedimento. Le misure provvisorie potrebbero perciò costituire un peso molto forte per le famiglie con bambini piccoli. Vi è anzi il rischio che l’istituzione di misure su queste calzature determini costi superiori ai benefici previsti.

(252)

Per queste ragioni e nell’attuale fase provvisoria, si conclude che i benefici ottenuti dall’eliminazione del pregiudizio per il restante periodo dell’inchiesta attraverso l’istituzione di misure provvisorie sulle importazioni di calzature per bambini sono annullati dai potenziali effetti delle misure negativi sui consumatori. Si conclude pertanto in via provvisoria che istituire misure sulle calzature per bambini sarebbe contrario all’interesse della Comunità. Esse dovrebbero perciò essere escluse provvisoriamente dal campo di applicazione delle misure antidumping provvisorie; la questione sarà riesaminata in profondità prima dell’istituzione di eventuali misure definitive.

7.2.2.   Interesse dei distributori/dettaglianti

(253)

Pochi distributori/dettaglianti e loro organizzazioni si sono manifestati entro il termine previsto. In effetti, si è espresso solo un consorzio di dettaglianti di uno Stato membro e hanno risposto al questionario solo tre importatori dello stesso Stato membro, che dispongono di una propria rete di distribuzione, tra cui due catene di supermercati. Queste società hanno importato circa il 15 % del prodotto in esame originario della Cina e del Vietnam durante il PI.

(254)

Queste parti hanno sostenuto che il settore delle vendite al dettaglio conta molti addetti e soffrirebbe dell’istituzione di dazi antidumping. Esse hanno argomentato che i dettaglianti potrebbero trasferire sui consumatori solo una parte dell’aumento di costi derivante dall’istituzione di dazi e che pertanto la loro situazione finanziaria, che risente già della cattiva situazione economica, subirebbe un ulteriore peggioramento, causando probabilmente perdite di posti di lavoro.

(255)

Benché le osservazioni ricevute dal settore delle vendite al dettaglio entro il quadro giuridico dell’inchiesta fossero limitate e si riferissero ad un unico Stato membro, la Commissione ha deciso di svolgere un’analisi particolareggiata riguardante tutta la Comunità. Sono stati accertati i seguenti elementi.

(256)

Innanzitutto, va sottolineato che il settore della vendita al dettaglio di calzature è interessato dalle vendite di tutti i tipi di calzature, ossia da un numero di tipi sostanzialmente più alto di quelli oggetto del presente procedimento. Inoltre, i distributori/dettaglianti vendono spesso anche altri prodotti, come è il caso, ad esempio, dei supermercati non specializzati, per i quali la vendita di calzature rappresenta solo una piccola quota del fatturato totale. Il numero di posti di lavoro del settore al dettaglio non può quindi semplicemente essere paragonato al numero di persone occupate nelle attività di produzione di calzature.

(257)

In secondo luogo, si considera che il settore delle vendite al dettaglio subirebbe effetti negativi solo se l’istituzione di misure antidumping facesse diminuire il consumo di calzature nella Comunità, ossia se i dettaglianti subissero una significativa diminuzione del fatturato. In realtà, anche se i loro prezzi di acquisto aumentassero in seguito all’istituzione di misure, i dettaglianti sarebbero ancora in grado di trasferire, almeno in parte, tale aumento sui consumatori, per mantenere un congruo margine di utile. Infatti, nelle loro osservazioni i dettaglianti ammettono che sarebbero in grado di assorbire parzialmente un aumento dei costi. Di conseguenza, essi subirebbero effetti negativi solo se gli aumenti dei prezzi provocassero un crollo del numero di calzature acquistate dai consumatori. Tuttavia, in considerazione delle conclusioni cui si è giunti sopra riguardo ai prezzi, non si ritiene probabile il verificarsi di una diminuzione sostanziale del consumo.

(258)

L’opinione secondo cui l’impatto delle misure sui distributori/dettaglianti sarà limitato è rafforzata dal fatto che questi operatori vendono di solito tutti i tipi di calzature, e non soltanto quelli oggetto del presente procedimento, di origine cinese o vietnamita. L’istituzione di misure antidumping interesserebbe perciò solo una porzione limitata dei loro prezzi di vendita, che sarebbe relativamente modesta rispetto alle spese totali.

(259)

Inoltre, nella Comunità le calzature sono distribuite principalmente dai seguenti tre canali di vendita: dettaglianti indipendenti, catene di marca e supermercati non specializzati. Esistono anche altri canali (ad esempio, società di vendita per corrispondenza), ma sono piuttosto limitati.

(260)

I rivenditori al dettaglio indipendenti rappresentano il canale di distribuzione più tradizionale. Nella Comunità essi sono solitamente riforniti dai grossisti e, poiché devono sostenere costi di funzionamento elevati (affitto, stipendi del personale ecc.), applicano maggiorazioni significative del prezzo. I rivenditori indipendenti vendono tutti i tipi di calzature, con o senza tomaie di cuoio e di tutte le origini, cosicché si suppone che le forniture del prodotto in esame siano relativamente limitate, alla luce della quota di tale prodotto sul totale delle calzature vendute. Di conseguenza, l’istituzione di misure dovrebbe avere su di loro un’incidenza molto limitata o nulla. Poiché essi si riforniscono normalmente da grossisti, si può presumere anche che una parte dell’incidenza dei dazi sarà assorbita a tale livello.

(261)

Le catene di marca acquistano i prodotti a livello centrale e li vendono nei loro negozi situati in varie città e talvolta in paesi diversi. Nessuna di queste catene ha collaborato all’inchiesta, elemento che può già far pensare che non temono eventuali effetti negativi derivanti dall’istituzione di misure. Ciononostante è opportuno tener presenti i seguenti elementi. Le catene di marca acquistano in grandi quantità, hanno costi di funzionamento limitati e talvolta importano direttamente i prodotti, possono perciò in generale permettersi di vendere a prezzi ridotti. Essi operano infatti spesso sotto forma di negozi discount situati fuori città e con un personale limitato. Poiché puntano a offrire calzature a prezzi relativamente moderati, i loro acquisti dai paesi in questione possono essere più importanti che nel caso dei dettaglianti indipendenti. Esse vendono comunque tutti i tipi di calzature, non solo quelli oggetto del presente procedimento, e una parte del loro fatturato consiste nella vendita di prodotti diversi dalle calzature. Inoltre, in considerazione del loro forte potere di acquisto, si presume che siano capaci di cambiare le loro fonti di approvvigionamento, almeno in una certa misura, e che trasferiscano solo in parte gli aumenti dei prezzi sui consumatori. Pertanto, come per i dettaglianti indipendenti, esse sarebbero minacciate seriamente solo se i loro volumi di vendita venissero sostanzialmente ridotti in seguito all’istituzione di dazi, il che, come si è concluso sopra, è improbabile.

(262)

I supermercati non specializzati sono un importante canale di vendita in termini di volume, ma non altrettanto in termini di valore. Essi si concentrano maggiormente sul segmento più economico del mercato, con l’obiettivo di vendere volumi consistenti. Talvolta essi importano direttamente le calzature, ma per lo più operano tramite agenti, della Comunità o del paese di origine dei prodotti. Le calzature rappresentano di solito una piccola quota del fatturato totale dei supermercati ed essi sono certamente molto flessibili nella scelta dei fornitori, cosicché possono facilmente cambiare fonti di approvvigionamento o aumentare la quota delle calzature acquistate presso i produttori comunitari. Per questi motivi si prevede che le misure non avranno significativi effetti negativi sulla situazione finanziaria di tale canale di vendita.

(263)

Più in generale si può dire, in base ai dati forniti dagli importatori che hanno collaborato, che i distributori/dettaglianti non hanno tratto beneficio dalla riduzione dei prezzi all’importazione verificatasi negli ultimi anni. Infatti, mentre gli importatori che hanno collaborato hanno beneficiato di prezzi all’importazione ridotti in media del 30 % circa nel periodo tra il 2001 e il PI, il livello dei loro prezzi di rivendita è rimasto in media relativamente costante.

(264)

In base alle risultanze sopra descritte si conclude che l’incidenza delle misure proposte sui distributori/dettaglianti dovrebbe restare limitata. Inoltre, poiché la maggior parte delle calzature con tomaie di cuoio vendute nella Comunità proviene tuttora dai produttori comunitari, che sono ancora in grado di offrire una grande varietà di tipi di calzature a tempi di consegna relativamente brevi rispetto ai prodotti importati, è anche nell’interesse dei distributori/dettaglianti che la produzione comunitaria sia mantenuta.

7.2.3.   Interesse degli importatori indipendenti nella Comunità

(265)

Hanno risposto al questionario 33 importatori, che rappresentavano, durante il PI, il 25 % circa delle importazioni comunitarie del prodotto in esame. L’analisi si è basata pertanto sulla situazione degli importatori che hanno fornito dati attendibili entro i termini stabiliti.

(266)

Globalmente gli importatori che hanno collaborato acquistavano il 70 % delle forniture dai paesi in questione. Durante il periodo dell’inchiesta il prezzo al quale importavano le calzature era in media pari a 9 EUR/paio. Si noti che, mentre il prezzo d’importazione medio è diminuito nel periodo tra il 2001 e il PI, in linea con la tendenza indicata dai dati Eurostat, ossia del 30 % circa, i prezzi di rivendita medi applicati dagli importatori sono rimasti relativamente stabili nello stesso periodo.

(267)

Le società che hanno collaborato hanno dichiarato un utile netto (medio ponderato) del 12 % del fatturato e i dati da esse forniti indicano che hanno applicato in media una maggiorazione del 125 %. Il livello della maggiorazione varia tuttavia sensibilmente tra una società e l’altra, andando dal 20 % a più del 200 %.

(268)

Inoltre, gli importatori che hanno collaborato possono essere distinti in due categorie: quelli presenti nel segmento medio/alto del mercato e quelli attivi nel segmento più basso.

(269)

La prima categoria consiste principalmente dei produttori comunitari che hanno delocalizzato la fabbricazione in paesi terzi e in particolare nei paesi in questione. Normalmente queste società mantengono una parte significativa delle attività nella Comunità, come ad esempio concezione, ricerca e sviluppo, acquisto delle materie prime, e talvolta hanno una catena di distribuzione propria. Per queste ragioni esse contano di solito un numero relativamente elevato di dipendenti, soprattutto se confrontate con la seconda categoria. Questi importatori vendono solitamente calzature di marca, di un livello di prezzo chiaramente superiore a quello della seconda categoria. Le loro calzature sono distribuite in prevalenza da dettaglianti indipendenti, ma talvolta anche da catene di marca o da distributori ad esse collegati.

(270)

Poiché queste società sono presenti nel segmento medio/alto del mercato, anche il loro prezzo di importazione è più elevato di quello degli importatori attivi nel segmento basso del mercato. Gli importatori del segmento medio/alto che hanno collaborato hanno dichiarato un prezzo di acquisto medio di circa 11 EUR/paio. Va notato che la maggiorazione da essi applicata è molto forte e si aggira in media attorno al 200 %. In altre parole i loro prezzi di rivendita ammontano in media a 30 EUR/paio. Un tale livello di maggiorazione è giustificato dal valore aggiunto generato nella Comunità (costi specifici connessi alla concezione, alle materie prime, alla R&S ecc.), ma anche dalle notevoli spese di commercializzazione e valorizzazione del marchio. In media queste società hanno dichiarato di realizzare un margine di utile del 10 % circa del fatturato.

(271)

La seconda categoria di importatori privilegia maggiormente il volume e consiste prevalentemente di grossisti, ma talvolta anche di supermercati non specializzati. L’esame delle risposte degli importatori del segmento inferiore ha rivelato che il loro prezzo di importazione era in media di 6 EUR/paio. Secondo l’inchiesta essi applicavano una maggiorazione del 75 % durante il PI e hanno realizzato un margine di utile medio del 17 % del fatturato. Ciò è giustificato da costi strutturali limitati e un basso valore aggiunto nella Comunità, ma anche da spese di vendita più contenute. Queste società impiegano inoltre pochi dipendenti, ossia in media meno di 10 ciascuna, secondo le dichiarazioni di quelle che hanno collaborato.

(272)

Data la loro diversa situazione, si prevede che le misure, in forma di dazi ad valorem, incideranno in maniera diversa sulle due categorie di importatori. Nel caso della prima categoria, poiché il dazio sarà applicato ad un prezzo di importazione superiore, il valore assoluto delle misure sarà corrispondentemente più elevato. L’impatto va tuttavia considerato alla luce del livello del prezzo di rivendita dell’importatore; si ricorda infatti che queste società applicano in media una maggiorazione del 200 %. Pertanto, anche nell’ipotesi di un trasferimento totale dell’aumento del prezzo ai loro acquirenti, per lo più dettaglianti e distributori, si tratterebbe, in termini assoluti, solo di un aumento moderato del prezzo di rivendita. Esso non inciderebbe probabilmente in maniera significativa sul volume delle loro vendite, poiché questi importatori privilegiano i prodotti della gamma medio/alta. È comunque probabile che una parte dell’aumento del prezzo di importazione debba essere assorbita da queste società, che dovranno diminuire i loro costi di vendita o accettare una riduzione del loro margine di utile. Esse potranno perciò subire alcuni effetti negativi a breve termine, specialmente per quanto riguarda gli ordinativi già trasmessi ad un prezzo concordato prima dell’entrata in vigore delle misure provvisorie. Questo aspetto è esaminato nei dettagli ai considerando da 286 a 290.

(273)

Nel caso della seconda categoria di importatori, un dazio ad valorem determinerebbe un moderato aumento del prezzo in termini assoluti, essendo il loro prezzo di importazione relativamente basso. Queste società contano però su un livello di utile relativamente confortevole, pari in media (ponderata) al 17 % durante il PI per quelle che hanno collaborato; si prevede pertanto che le misure non incideranno seriamente sulla loro situazione finanziaria. Tenuto conto del fatto che questi importatori privilegiano il volume, è probabile che gli importatori che non hanno collaborato appartengano a questa categoria e la prevedibile assenza di un impatto negativo sensibile sulla loro situazione finanziaria spiega forse la mancata collaborazione. Tuttavia, come nel caso della prima categoria di importatori e come indicato ai considerando da 286 a 290, l’incidenza delle misure provvisorie può essere significativa, soprattutto in considerazione del fatto che questi importatori privilegiano il volume.

(274)

È comunque importante sottolineare che l’analisi che precede si basa sui dati medi degli importatori che hanno collaborato. Di conseguenza, gli importatori possono ovviamente essere colpiti in maniera diversa dalle misure, a seconda dei risultati individuali da essi realizzati rispetto a tali dati. Inoltre, gli importatori stabiliscono di solito rapporti a lungo termine con i loro fornitori, talvolta persino partenariati, e sono spesso impegnati in contratti a lunga scadenza in base ai quali le ordinazioni avvengono mesi prima della consegna effettiva. Pertanto, cambiare fornitori, o addirittura paese di origine, non solo richiede tempo, ma comporta anche spese supplementari. Inoltre, gli importatori possono trovarsi anche nella situazione in cui hanno già stabilito di rivendere ad un prezzo determinato gli ordinativi trasmessi ai paesi in questione, che saranno consegnati solo in un secondo tempo. Essi possono pertanto non essere in grado di trasferire, anche solo in parte, il dazio supplementare, che in tal caso inciderebbe probabilmente in modo negativo sulle loro finanze. Non si può escludere che alcuni importatori siano incapaci di assorbire senza problemi lo shock finanziario.

(275)

Per i motivi sopra esposti, si conclude che l’istituzione di misure può effettivamente avere ripercussioni negative sulla situazione finanziaria di taluni importatori. In media, tuttavia, non si ritiene che tali ripercussioni avranno un impatto finanziario significativo sulla situazione generale degli importatori. Ciò si può affermare con certezza per la categoria attiva nel segmento inferiore del mercato, che beneficia attualmente di una situazione finanziaria più flessibile. Probabilmente questi importatori acquistano una quota significativa delle calzature con tomaie di cuoio originarie dei paesi in questione.

7.3.   Conclusioni in merito all’interesse della Comunità

(276)

L’analisi che precede ha mostrato che è nell’interesse dell’industria comunitaria istituire misure, poiché queste prevedibilmente conterranno almeno il forte afflusso di importazioni a prezzi di dumping, che hanno dimostrato di essere notevolmente pregiudizievoli per la situazione finanziaria dell’industria comunitaria. Anche gli altri produttori comunitari dovrebbero trarre beneficio da tali misure.

(277)

L’analisi ha evidenziato inoltre che i consumatori non subiranno gli effetti delle misure antidumping o, tutt’al più, solo in misura molto marginale.

(278)

I distributori e i dettaglianti potranno essere confrontati con un aumento dei prezzi di acquisto del prodotto in esame, ma, tenendo conto dei loro costi globali e della loro situazione generale, probabilmente non risentiranno molto delle misure.

(279)

In media, gli importatori dovrebbero essere in grado di sostenere l’impatto delle misure, benché taluni, a seconda della loro situazione specifica, possano effettivamente andare incontro a certe difficoltà. La ragione principale è costituita dal fatto che essi operano spesso in base a contratti a lungo termine con i fornitori e talvolta hanno persino già fissato i prezzi di rivendita.

(280)

Nel complesso si ritiene, tuttavia, che l’istituzione di misure, ossia la rimozione del dumping pregiudizievole, consentirà all’industria comunitaria di mantenere le sue attività e porre fine alla serie di chiusure e licenziamenti che essa ha dovuto affrontare negli ultimi anni e che gli effetti negativi che le misure possono avere su altri operatori economici della Comunità non saranno sproporzionati rispetto a quelli benefici per l’industria comunitaria.

(281)

Ciò non vale però per le calzature per bambini, le quali devono pertanto essere escluse provvisoriamente dal campo di applicazione delle misure. La questione sarà riesaminata in profondità prima dell’istituzione di eventuali misure definitive.

8.   MISURE ANTIDUMPING PROVVISORIE

(282)

Alla luce delle conclusioni raggiunte in materia di dumping, pregiudizio e interesse della Comunità, è necessario istituire misure provvisorie sulle importazioni del prodotto in esame originario della RPC e del Vietnam.

8.1.   Livello di eliminazione del pregiudizio

(283)

Il livello delle misure antidumping definitive dovrebbe essere sufficiente ad eliminare il pregiudizio causato all’industria comunitaria dalle importazioni oggetto di dumping e non dovrebbe essere superiore ai margini di dumping rilevati. Al momento del calcolo dell’entità del dazio necessario ad eliminare gli effetti del dumping pregiudizievole, la Commissione ha considerato che le misure dovessero essere tali da consentire all’industria comunitaria di coprire i propri costi e ottenere un profitto al lordo delle imposte pari a quello che potrebbe essere ragionevolmente ottenuto in normali condizioni di concorrenza, cioè in assenza di importazioni oggetto di dumping.

(284)

Pertanto, sulla base delle informazioni disponibili, è stato accertato che un margine di utile del 2 % sul fatturato poteva essere considerato un livello adeguato che l’industria comunitaria poteva prevedere di ottenere in assenza di pratiche di dumping pregiudizievoli. Questo margine corrisponde al più alto livello di utile conseguito dall’industria comunitaria nel corso del periodo considerato e in particolare nel 2002, quando le quote di mercato dei paesi in questione erano relativamente limitate rispetto al loro livello durante il PI.

(285)

Il livello dell’aumento dei prezzi necessario è stato quindi determinato in base ad un confronto, allo stesso stadio commerciale, tra la media ponderata dei prezzi all’importazione, utilizzata per calcolare la sottoquotazione dei prezzi, e i prezzi non pregiudizievoli dei prodotti venduti dall’industria comunitaria sul mercato comunitario. Il prezzo non pregiudizievole è stato ottenuto adeguando il prezzo di vendita applicato da ciascuna società dell’industria comunitaria in funzione del punto di pareggio e aggiungendo il suddetto margine di utile. Le differenze risultanti da tale confronto sono state espresse in percentuale del valore totale all’importazione CIF.

8.2.   Dazi provvisori

(286)

Alla luce di quanto precede, a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento di base, si ritiene che nei confronti delle importazioni originarie della RPC e del Vietnam debbano essere istituite misure antidumping provvisorie al livello dei margini di dumping e di pregiudizio più bassi, conformemente al principio del dazio inferiore.

(287)

Su questa base, il livello dei dazi provvisori, basato sui margini di pregiudizio, è il seguente:

Paese

Società

Dazio antidumping

RPC

Tutte le società

19,4 %

Vietnam

Tutte le società

16,8 %

(288)

Date le circostanze eccezionali del presente procedimento, in particolare il fatto che riguardi un prodotto di consumo di base non durevole, sensibile alle tendenze della moda e la cui commercializzazione presenta caratteristiche uniche, si considera appropriato introdurre le misure antidumping provvisorie in modo graduale. Poiché l’industria comunitaria ha subito un pregiudizio dovuto alle pratiche commerciali sleali dei paesi in questione soprattutto nell’ultima parte del PI, le sua capacità di produzione sono state considerevolmente ridotte e, di conseguenza, i produttori comunitari non sarebbero in grado nell’immediato di fornire le necessarie quantità del prodotto in esame, qualora i livelli di importazione dovessero cadere in seguito all’introduzione delle misure. Come indicato al considerando 176, prima delle pratiche di dumping pregiudizievole oggetto dell’inchiesta, i livelli di produzione dell’industria comunitaria erano considerevolmente più alti. Applicare progressivamente il dazio antidumping consentirà all’industria comunitaria un breve periodo di grazia per ritornare ai precedenti livelli di produzione. Inoltre, lasciando all’industria comunitaria tempo sufficiente per accrescere i suoi livelli di produzione, il prodotto in esame resterà disponibile in misura ragionevole per soddisfare la domanda dei consumatori.

(289)

Inoltre, il prodotto in esame è costituito da un bene di consumo dipendente dalla moda, normalmente acquistato da importatori e dettaglianti in base a contratti a medio termine, per il quale il prezzo di rivendita è spesso già stabilito al momento dell’ordinazione. Pertanto, cambiare fornitori, o addirittura paese di origine, non solo richiede tempo, ma comporta anche spese supplementari. Inoltre, gli importatori possono trovarsi anche nella situazione in cui hanno già stabilito di rivendere ad un prezzo determinato gli ordinativi trasmessi ai paesi in questione, che saranno consegnati solo in un secondo tempo. D’altra parte, per le merci la cui consegna è imminente o molto prossima, non sarà possibile ottenere fonti di approvvigionamento alternative, semplicemente a causa del tempo di produzione necessario.

(290)

Questi lunghi tempi di fabbricazione sono connessi in particolare al fatto che le calzature, dipendono non solo dalla moda, ma anche dalle stagioni. In effetti, prima dell’inizio della stagione, occorre concepire le calzature, scegliere le materie prime, selezionare gli opportuni fornitori e fabbricare in anticipo taluni strumenti di produzione (forme) e prototipi. Tutte queste particolarità commerciali del settore calzaturiero comportano lunghi tempi di attesa tra l’ordinazione e la consegna, il che significa che gli importatori devono programmare in anticipo e che un cambiamento delle loro condizioni commerciali può provocare forti perturbazioni. Si considera pertanto nell’interesse del commercio in generale evitare situazioni nelle quali gli operatori siano obbligati a sostenere dazi supplementari su prodotti acquistati e contabilizzati mesi prima.

(291)

Insomma, in una siffatta situazione i probabili benefici per l’industria comunitaria di applicare immediatamente e interamente le misure verrebbero superati dall’impatto negativo sul commercio.

(292)

Si ritiene pertanto nell’interesse della Comunità introdurre gradualmente il dazio in quattro fasi successive, per assicurare che siano eliminate le pratiche commerciali sleali del dumping e le parti possano adattarsi alla nuova situazione, preservando allo stesso tempo l’apertura del mercato comunitario, i flussi commerciali tradizionali e la disponibilità dell’offerta per soddisfare la domanda. I dazi saranno introdotti per gradi del 25 %. Dato che la fase di adattamento è necessariamente breve, ossia sei mesi, si è considerato opportuno istituire l’intero importo del dazio quanto più possibile verso la scadenza delle misure provvisorie, introducendo l’importo totale del dazio antidumping provvisorio il più tardi possibile, per rendere l’istituzione del dazio meno problematica possibile. Si sottolinea che questa impostazione viene seguita in questo caso a causa del carattere eccezionale dell’industria calzaturiera e che essa è chiaramente limitata alle conclusioni provvisorie dell’inchiesta.

(293)

È opportuno pertanto fissare le seguenti aliquote del dazio antidumping provvisorio.

i)

Dall’entrata in vigore del presente regolamento al 1o giugno 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

4,8 %

Vietnam

4,2 %

ii)

Dal 2 giugno 2006 al 13 luglio 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

9,7 %

Vietnam

8,4 %

iii)

Dal 14 luglio 2006 al 14 settembre 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

14,5 %

Vietnam

12,6 %

iv)

A partire dal 15 settembre 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

19,4 %

Vietnam

16,8 %

(294)

Per ridurre al minimo ogni rischio di false dichiarazioni o elusione delle misure, un sistema amministrativo rafforzato di sorveglianza delle importazioni, basato sull’articolo 308, lettera d) del regolamento (CEE) n. 2454/1993 della Commissione (5), consentirà di ottenere in anticipo informazioni sulle tendenze pertinenti delle importazioni. Se saranno individuati elementi indicanti una variazione significativa di queste tendenze, la Commissione procederà ad un’inchiesta d’urgenza.

9.   DISPOSIZIONI FINALI

(295)

Ai fini di una buona gestione, occorre fissare un periodo entro il quale le parti interessate che si sono manifestate entro il termine stabilito nell’avviso di apertura possano comunicare le loro osservazioni per iscritto e chiedere di essere sentite. Va inoltre precisato che tutte le risultanze riguardanti l’istituzione dei dazi ed elaborate ai fini del presente regolamento sono provvisorie e possono essere riesaminate ai fini dell’adozione di eventuali dazi definitivi,

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:

Articolo 1

1.   È istituito un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di alcuni tipi di calzature con tomaie di cuoio naturale o ricostituito, ad esclusione delle calzature che contengono una tecnologia speciale, delle calzature per bambini e delle calzature con puntale protettivo, originarie della Repubblica popolare cinese e del Vietnam, classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 20 00, ex 6403 30 00, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 11, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 11, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 e ex 6405 10 00 (6) (codici TARIC 6403200090, 6403300029, 6403300099, 6403511590, 6403511990, 6403519590, 6403519990, 6403591190, 6403593590, 6403593990, 6403599590, 6403599990, 6403911399, 6403911699, 6403911899, 6403919399, 6403919699, 6403919899, 6403991190, 6403993390, 6403993690, 6403993890, 6403999329, 6403999399, 6403999629, 6403999699, 6403999829, 6403999899 e 6405100090).

2.   Ai fini del presente regolamento si applicano le seguenti definizioni:

a)

per «calzature contenenti una tecnologia speciale» si intendono le calzature che hanno un prezzo CIF uguale o superiore a 9 EUR/paio, destinate all’attività sportiva, con suola stampata, non per iniezione, a uno o più strati, fabbricata con materiali sintetici appositamente progettati per attutire gli urti dovuti ai movimenti verticali o laterali e con caratteristiche tecniche quali cuscinetti ermetici contenenti gas o fluidi, componenti meccaniche che attutiscono o neutralizzano gli urti o materiali come i polimeri a bassa densità, classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 (codici TARIC 6403911310, 6403911610, 6403911810, 6403919310, 6403919610, 6403919810, 6403999311, 6403999611, 6403999811);

b)

per «calzature per bambini» si intendono le calzature con una combinazione di suola e tacco di altezza pari o inferiore a 3 cm:

con suole interne di lunghezza inferiore a 24 cm, o

senza suola interna e di lunghezza interna inferiore a 24 cm dalla punta al tacco,

e classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 20 00, ex 6403 30 00 e ex 6405 10 00 (codici TARIC 6403200010, 6403300021, 6403300091 e 6405100010);

c)

per «calzature con puntale protettivo» si intendono le calzature munite di un puntale protettivo e una resistenza all’impatto di almeno 100 joule (7), classificate ai seguenti codici NC: ex 6403 30 00, ex 6403 51 15, ex 6403 51 19, ex 6403 51 95, ex 6403 51 99, ex 6403 59 11, ex 6403 59 35, ex 6403 59 39, ex 6403 59 95, ex 6403 59 99, ex 6403 91 13, ex 6403 91 16, ex 6403 91 18, ex 6403 91 93, ex 6403 91 96, ex 6403 91 98, ex 6403 99 11, ex 6403 99 33, ex 6403 99 36, ex 6403 99 38, ex 6403 99 93, ex 6403 99 96, ex 6403 99 98 e ex 6405 10 00 (codici TARIC 6403300021, 6403300091, 6403511510, 6403511910, 6403519510, 6403519910, 6403591110, 6403593510, 6403593910, 6403599510, 6403599910, 6403911391, 6403911691, 6403911891, 6403919391, 6403919691, 6403919891, 6403991110, 6403993310, 6403993610, 6403993810, 6403999321, 6403999391, 6403999621, 6403999691, 6403999821, 6403999891 e 6405100010).

3.   Le aliquote del dazio antidumping provvisorio applicabile al prezzo netto, franco frontiera comunitaria, dazio non corrisposto, del prodotto di cui al paragrafo 1 sono le seguenti.

i)

Dall’entrata in vigore del presente regolamento, ossia dal 7 aprile 2006, al 1o giugno 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

4,8 %

Vietnam

4,2 %

ii)

Dal 2 giugno 2006 al 13 luglio 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

9,7 %

Vietnam

8,4 %

iii)

Dal 14 luglio 2006 al 14 settembre 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

14,5 %

Vietnam

12,6 %

iv)

A partire dal 15 settembre 2006:

Paese

Dazio antidumping

Repubblica popolare cinese

19,4 %

Vietnam

16,8 %

4.   L’immissione in libera pratica nella Comunità del prodotto di cui al paragrafo 1 è subordinata alla costituzione di una garanzia, pari all’importo del dazio provvisorio.

5.   Salvo diversa disposizione, si applicano le norme vigenti in materia di dazi doganali.

6.   Gli Stati membri e la Commissione collaborano strettamente per garantire il rispetto del presente regolamento, tra l’altro per quanto riguarda un sistema di sorveglianza.

Articolo 2

Fatte salve le disposizioni dell’articolo 20 del regolamento (CE) n. 384/96, le parti interessate possono chiedere di essere informate dei principali fatti e considerazioni sulla base dei quali è stato adottato il presente regolamento, presentare le loro osservazioni per iscritto e chiedere di essere sentite dalla Commissione entro un mese dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.

Ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 384/96, le parti interessate possono comunicare osservazioni sull’applicazione del presente regolamento entro un mese a decorrere della sua entrata in vigore.

Articolo 3

1.   Il presente regolamento entra in vigore il 7 aprile 2006.

2.   Gli articoli 1 e 2 del presente regolamento si applicano per un periodo di sei mesi.

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, il 23 marzo 2006.

Per la Commissione

Peter MANDELSON

Membro della Commissione


(1)  GU L 56 del 6.3.1996, pag. 1. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2117/2005 (GU L 340 del 23.12.2005, pag. 17).

(2)  GU C 166 del 7.7.2005, pag. 14.

(3)  Regolamento (CE) n. 467/98 del Consiglio (GU L 60 del 28.2.1998, pag. 1).

(4)  Cfr. nota 3.

(5)  Regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU L 253 dell’11.10.1993, pag. 1). Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 2286/2003 (GU L 343 del 31.12.2003, pag. 1).

(6)  Si veda la definizione contenuta nel regolamento (CE) n. 1719/2005 della Commissione, del 27 ottobre 2005, che modifica l’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio relativo alla nomenclatura tariffaria e statistica ed alla tariffa doganale comune (GU L 286 del 28.10.2005, pag. 1). Il prodotto interessato è determinato combinando la descrizione del prodotto di cui all’articolo 1, paragrafo 1, e la corrispondente designazione del prodotto dei codici NC.

(7)  La resistenza all’impatto è misurata in conformità delle norme europee EN 345 o EN 346.


Top