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Document 62022CC0352

Conclusioni dell’avvocato generale J. Richard de la Tour, presentate il 19 ottobre 2023.


ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:794

Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 19 ottobre 2023 (1)

Causa C-352/22

A.

con l’intervento di

Generalstaatsanwaltschaft Hamm

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Oberlandesgericht Hamm (Tribunale superiore del Land, Hamm, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo – Decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro – Rifugiato soggiornante, dopo tale decisione, in un altro Stato membro – Domanda di estradizione emessa dal paese terzo di origine del rifugiato nei confronti dello Stato membro di residenza – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 21, paragrafo 1 – Direttiva 2013/32/UE – Articolo 9, paragrafi 2 e 3 – Effetto della decisione di riconoscimento dello status di rifugiato nell’ambito del procedimento di estradizione – Articolo 78, paragrafo 2, TFUE – Sistema europeo comune di asilo – Assenza di un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato – Articolo 18 e articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Protezione del rifugiato dall’estradizione – Principio di non‑refoulement»






I.      Introduzione

1.        È stato osservato che «[i]l diritto dei rifugiati e il diritto dell’estradizione intrattengono relazioni di lunga data, intense e complesse» (2). Tuttavia, tali due branche del diritto internazionale non vanno confuse, e ciascuna ha gradualmente acquisito «una propria autonomia normativa» (3), dovendo al contempo confrontarsi con il diritto internazionale dei diritti umani (4), che ha saldamente radicato il principio di non‑refoulement nel panorama giuridico(5) .

2.        Inoltre, come indicato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) (6), «[p]rotezione internazionale dei rifugiati e applicazione del diritto penale non si escludono a vicenda. La Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 (...) e il suo Protocollo del 1967 non proteggono i rifugiati o i richiedenti asilo che abbiano posto in essere condotte penalmente rilevanti dall’essere perseguiti per tali atti; allo stesso modo il diritto internazionale dei rifugiati non ne preclude l’estradizione in tutti i casi (...) Tuttavia, quando la persona di cui si chiede l’estradizione (...) è un rifugiato o un richiedente asilo, sarà necessario tenere in considerazione le sue speciali esigenze di protezione».

3.        La presente domanda di pronuncia pregiudiziale offre alla Corte l’opportunità di chiarire il rapporto tra le norme del diritto dell’Unione in materia di protezione internazionale e la competenza degli Stati membri in materia di estradizione, al fine di tenere conto delle speciali esigenze di protezione di un beneficiario dello status di rifugiato in uno Stato membro diverso da quello competente per l’esame di una domanda di estradizione che lo riguarda.

4.        Tale domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (7), e dell’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (8).

5.        Tale causa solleva la delicata questione se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro sia vincolante per gli altri Stati membri, nel senso che essi sono vincolati da tale decisione e non possono quindi discostarsene. Tale questione è di notevole importanza per il sistema europeo comune di asilo nel suo complesso. Essa è qui sollevata nel contesto di una domanda di estradizione presentata dalle autorità turche e indirizzata alle autorità tedesche ai fini dell’esercizio di un’azione penale nei confronti di un cittadino turco residente in Germania, al quale le autorità italiane avevano precedentemente riconosciuto lo status di rifugiato in ragione di un rischio di persecuzione politica in Turchia.

6.        Pertanto, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla questione se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro abbia, ai sensi del diritto dell’Unione, un effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro, nel senso che l’autorità competente per tale procedimento sarebbe obbligata a rifiutare l’estradizione fintantoché tale decisione sarà in vigore.

7.        Nelle presenti conclusioni, esporrò le ragioni per cui ritengo che, anche se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata in uno Stato membro non ha, allo stato attuale del diritto dell’Unione, effetto vincolante per l’autorità incaricata di esaminare una domanda di estradizione in un altro Stato membro, resta il fatto che il procedimento di estradizione deve svolgersi nel rispetto del diritto di asilo sancito dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (9) e, più in generale, del principio di non‑refoulement che è garantito, in quanto diritto fondamentale, da tale stesso articolo della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati (10), come integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati (11), (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (12).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto internazionale

1.      Convenzione di Ginevra

8.        L’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra dispone quanto segue:

«Nessuno Stato contraente potrà espellere o respingere, in nessun modo, un rifugiato verso le frontiere dei territori ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

2.      Convenzione europea di estradizione

9.        Le relazioni tra la Repubblica federale di Germania e la Repubblica di Turchia in materia di estradizione sono disciplinate dalla Convenzione europea di estradizione (13). L’articolo 3, paragrafi 1 e 2, di tale convenzione così prevede:

«1.      L’estradizione non sarà accordata se il reato per il quale è richiesta sia considerato dalla Parte richiesta come un reato politico o come fatto connesso a reato di tale natura.

2.      La stessa disposizione troverà applicazione qualora la Parte richiesta abbia seri motivi per ritenere che la domanda di estradizione, motivata da un reato di diritto comune, sia stata presentata allo scopo di perseguire o di punire una persona per considerazioni razziali, di religione, di nazionalità o di opinioni politiche, e che la situazione di detta persona rischi di essere aggravata da uno qualsiasi dei motivi suddetti».

B.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva 2011/95

10.      L’articolo 11 della direttiva 2011/95 stabilisce i casi in cui un cittadino di un paese terzo o un apolide cessa di essere un rifugiato. L’articolo 12 di tale direttiva riguarda le ipotesi di esclusione dallo status di rifugiato.

11.      Ai sensi dell’articolo 13 di tale direttiva, «[g]li Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III».

12.      L’articolo 14 della stessa direttiva riguarda la «[r]evoca, [la] cessazione o [il] rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato».

13.      L’articolo 21 della direttiva 2011/95, intitolato «Protezione dal respingimento», così dispone al suo paragrafo 1:

«Gli Stati membri rispettano il principio di “non refoulement” in conformità dei propri obblighi internazionali».

2.      Direttiva 2013/32

14.      L’articolo 9 della direttiva 2013/32, intitolato «Diritto di rimanere nello Stato membro durante l’esame della domanda», è così formulato:

«1.      I richiedenti sono autorizzati a rimanere nello Stato membro, ai fini esclusivi della procedura, fintantoché l’autorità accertante non abbia preso una decisione secondo le procedure di primo grado di cui al capo III. Il diritto a rimanere non dà diritto a un titolo di soggiorno.

2.      Gli Stati membri possono derogare a questa disposizione solo se l’interessato presenta una domanda reiterata ai sensi dell’articolo 41, o se essi intendono consegnare o estradare, ove opportuno, una persona in altro Stato membro in virtù degli obblighi previsti da un mandato di arresto europeo (…) o altro, o in un paese terzo, o presso un giudice o un tribunale penale internazionale.

3.      Gli Stati membri possono estradare un richiedente in un paese terzo ai sensi del paragrafo 2 soltanto se le autorità competenti hanno accertato che la decisione di estradizione non comporterà il “refoulement” diretto o indiretto, in violazione degli obblighi internazionali e dell’Unione di detto Stato membro».

C.      Diritto tedesco

15.      L’articolo 6, paragrafo 2, del Gesetz über die internationale Rechtshilfe in Strafsachen (legge sull’assistenza giudiziaria internazionale in materia penale), del 23 dicembre 1982 (14), nella sua versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: l’«IRG»), così dispone:

«L’estradizione non è consentita ove sussistano seri motivi per ritenere che, in caso di estradizione, l’individuo richiesto possa essere perseguito o punito per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche o che la sua condizione rischi di aggravarsi per uno di tali motivi».

16.      L’articolo 6 dell’Asylgesetz (legge in materia di asilo), del 26 giugno 1992 (15), nella sua versione pubblicata il 2 settembre 2008 (16), modificata da ultimo dalla legge del 9 luglio 2021 (17), prevede quanto segue:

«La decisione sulla domanda d’asilo è vincolante in tutte le questioni nelle quali sia giuridicamente rilevante il riconoscimento del diritto di asilo oppure di una protezione internazionale ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, punto 2. Tale disposizione non si applica alla procedura di estradizione, né alla procedura di cui all’articolo 58 a dell’Aufenthaltsgesetz (legge in materia di soggiorno) (18)».

III. Fatti della causa principale e questione pregiudiziale

17.      A. è un cittadino turco di etnia curda. Egli ha lasciato la Turchia nel corso del 2010.

18.      Con decisione definitiva del 19 maggio 2010, le autorità italiane hanno riconosciuto ad A. lo status di rifugiato in quanto a rischio di persecuzione politica da parte delle autorità turche a causa del suo sostegno al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Tale status è valido fino al 25 giugno 2030.

19.      Dal mese di luglio del 2019, A. risiede in Germania.

20.      Sulla base di un mandato d’arresto emesso il 3 giugno 2020 da un giudice turco, A. è stato segnalato all’Organizzazione internazionale della polizia criminale (Interpol) per ottenere il suo arresto e la sua estradizione ai fini dell’esercizio dell’azione penale per omicidio volontario. Egli è accusato di aver sparato, il 9 settembre 2009, un colpo di un fucile, che avrebbe colpito la madre, a Bingöl (Turchia), a seguito di uno scontro verbale con suo padre e suo fratello. La madre sarebbe deceduta in ospedale a causa delle ferite riportate.

21.      A. è stato arrestato in Germania il 18 novembre 2020 e dal 23 novembre 2020 fino al 14 aprile 2022 è stato sottoposto ad arresto provvisorio a fini estradizionali.

22.      Con ordinanza del 2 novembre 2021, l’Oberlandesgericht Hamm (Tribunale superiore del Land, Hamm, Germania), che è il giudice del rinvio nella presente causa, ha dichiarato ammissibile l’estradizione di A. verso la Turchia. Secondo tale giudice, non vi sarebbe alcun ostacolo all’estradizione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, dell’IRG e dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della Convenzione europea di estradizione. Infatti, a suo avviso, alla luce delle argomentazioni addotte da A. e dei documenti da lui forniti, nonché degli elementi trasmessi relativamente al procedimento di asilo in Italia, non vi sono seri motivi per ritenere che la richiesta di estradizione, motivata da un reato non politico, sia stata presentata allo scopo di perseguire o punire A. per le sue opinioni politiche o che, in caso di estradizione, la situazione di quest’ultimo rischi di aggravarsi per tali motivi.

23.      La decisione di riconoscimento dello status di rifugiato, adottata dalle autorità italiane, non osterebbe all’estradizione di A. verso la Turchia. Si tratterebbe, infatti, di due procedure distinte, suscettibili di dare luogo a decisioni divergenti. Ciò premesso, sebbene una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato non abbia, ai sensi del diritto tedesco, un effetto vincolante sul procedimento di estradizione, essa potrebbe avere un valore indiziario nell’ambito dell’esame autonomo delle condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 2, dell’IRG e all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della Convenzione europea di estradizione.

24.      Il giudice del rinvio ha quindi effettuato una propria valutazione del rischio di persecuzione politica nei confronti di A. alla luce della situazione in Turchia. Sulla base degli elementi in suo possesso, ha ritenuto valida la garanzia fornita dalle autorità turche che, in caso di estradizione di A. verso la Turchia, il procedimento a suo carico si sarebbe svolto nel rispetto del suo diritto a un equo processo. Inoltre, tale giudice ritiene che, in caso di estradizione di A. verso la Turchia, questi non correrebbe un rischio serio e concreto di essere ivi sottoposto a persecuzione politica, cosicché il principio di non‑refoulement di cui all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra non osterebbe, a sua volta, a tale estradizione.

25.      Tale ordinanza è stata annullata dal Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) su ricorso costituzionale proposto da A. Come risulta, in sostanza, dall’ordinanza sentenza di tale giudice del 30 marzo 2022, l’Oberlandesgericht Hamm (Tribunale superiore del Land di Hamm) avrebbe omesso di sottoporre alla Corte in via pregiudiziale la questione, rilevante ai fini della definizione della controversia nel procedimento principale e inedita, se, ai sensi del diritto dell’Unione, il riconoscimento dello status di rifugiato ad A. da parte delle autorità italiane sia vincolante rispetto al procedimento di estradizione condotto in Germania e quindi se esso osti necessariamente alla sua estradizione verso la Turchia (19).

26.      A seguito del rinvio della causa dinanzi all’Oberlandesgericht Hamm (Tribunale superiore del Land, Hamm), quest’ultimo deve pronunciarsi nuovamente sulla domanda di estradizione. Tale giudice sottolinea che la questione di cui al paragrafo precedente delle presenti conclusioni, su cui la Corte non si è ancora pronunciata, è controversa in dottrina.

27.      Infatti, una parte della dottrina sarebbe favorevole all’effetto vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato nell’ambito di un procedimento di estradizione. Dall’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32, che prevede la possibilità di estradare un richiedente protezione internazionale verso un paese terzo a condizione che le autorità competenti abbiano accertato che la decisione di estradizione non comporti il refoulement diretto o indiretto, si dedurrebbe che, una volta che uno Stato membro ha riconosciuto lo status di rifugiato, l’estradizione del beneficiario di tale status non sarebbe più autorizzata in base al diritto dell’Unione. L’articolo 6, seconda frase, della legge in materia di asilo dovrebbe quindi essere interpretato in conformità con il diritto dell’Unione. Inoltre, tale parte della dottrina sostiene che le direttive 2011/95 e 2013/32 stabiliscono norme specifiche per la cessazione, l’esclusione o la revoca dello status di rifugiato (20). Se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato non avesse effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione e fosse quindi possibile rispondere favorevolmente a una domanda di estradizione di un rifugiato riconosciuto come tale dalle autorità di un altro Stato membro, tali norme verrebbero eluse.

28.      Secondo un’altra parte della dottrina, invece, il legislatore dell’Unione avrebbe ritenuto le procedure di asilo e di estradizione indipendenti l’una dall’altra, il che significa che una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato non può produrre un effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione. Infatti, tra la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato e l’avvio del procedimento di estradizione potrebbe essere trascorso un lungo lasso di tempo, di modo che la situazione potrebbe essere cambiata in maniera sostanziale. Tale procedimento potrebbe presentarsi come la prima occasione per esaminare i motivi di esclusione dallo status di rifugiato, che potrebbero giustificare una revoca di tale status. Se si ammettesse un effetto vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato nell’ambito di un procedimento di estradizione, dovrebbe prima essere avviata una procedura di revoca, il che non è richiesto dalla direttiva 2011/95. Sarebbe tuttavia necessario garantire il rispetto del principio di non‑refoulement, ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95.

29.      Il giudice del rinvio concorda con quest’ultima interpretazione e conferma, inoltre, le valutazioni già effettuate nella sua ordinanza del 2 novembre 2021.

30.      Esso sottolinea che le procedure di asilo e di estradizione sono indipendenti l’una dall’altra. Le direttive 2011/95 e 2013/32 non conterrebbero alcuna disposizione esplicita che conferisca effetto vincolante a una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato nell’ambito di un procedimento di estradizione.

31.      Inoltre, il riconoscimento di un tale effetto comporterebbe che, qualora nel corso del procedimento di estradizione emergessero nuovi elementi che giustifichino una diversa valutazione del rischio di persecuzione politica cui sarebbe esposto l’individuo richiesto, sarebbe necessario attendere che l’autorità dello Stato membro in cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato lo revochi, ove necessario. Ciò prolungherebbe il procedimento di estradizione, il che sarebbe incompatibile con il principio di celerità, applicabile in particolare quando l’interessato è posto in stato di arresto provvisorio a fini estradizionali.

32.      Inoltre, il giudice del rinvio sottolinea che è coerente con il legittimo obiettivo di evitare l’impunità, riconosciuto dalla Corte (21), ritenere che, nonostante il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro, l’estradizione della persona richiesta verso il suo paese terzo di origine sia possibile, nella misura in cui tale estradizione non sia contraria al diritto internazionale né al diritto dell’Unione, in particolare all’articolo 18 e all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Al riguardo, sebbene il diritto tedesco consenta, in teoria, di avviare un procedimento penale nei confronti della persona richiesta in assenza di estradizione, tale procedimento non sarebbe, in pratica, possibile a causa della mancanza di prove disponibili, trattandosi di fatti avvenuti in Turchia, il che potrebbe condurre all’impunità della persona richiesta.

33.      In tali circostanze, l’Oberlandesgericht Hamm (Tribunale superiore del Land, Hamm) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della [direttiva 2013/32], in combinato disposto con l’articolo 21, paragrafo 1, della [direttiva 2011/95], debba essere interpretato nel senso che il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato di una persona ai sensi della [Convenzione di Ginevra] in un altro Stato membro (…) sia vincolante, con riguardo alla procedura di estradizione nello Stato membro richiesto dell’estradizione di detta persona, in ragione dell’obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale stabilito dal diritto dell’Unione (articolo 288, terzo comma, TFUE e articolo 4, paragrafo 3, TUE), con la conseguenza che l’estradizione di tale persona nel paese terzo o paese di origine è necessariamente esclusa fino alla revoca o alla scadenza dello status di rifugiato».

34.      Osservazioni scritte sono state presentate da A., dai governi tedesco e italiano nonché dalla Commissione europea.

35.      Il 12 giugno 2023 si è tenuta un’udienza di discussione alla presenza di A., dei governi tedesco e italiano nonché della Commissione.

IV.    Analisi

36.      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di chiarire il rapporto tra le norme del diritto dell’Unione in materia di protezione internazionale e la competenza degli Stati membri in materia di estradizione. Più precisamente, si tratta di definire l’effetto di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro a favore di una persona su un procedimento di estradizione in un altro Stato membro nei confronti di tale persona, qualora la domanda di estradizione provenga dal paese terzo da cui tale persona è fuggita. Si tratta di un effetto vincolante per l’autorità dello Stato membro destinataria della domanda di estradizione, cosicché tale autorità sarebbe vincolata nella sua valutazione da una tale decisione, o se quest’ultima costituisca semplicemente un elemento di cui detta autorità deve tenere conto? Una risposta favorevole alla domanda di estradizione implica che lo status di rifugiato debba prima essere revocato? Tale giudice fa riferimento, al riguardo, all’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32 e all’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, ai quali ritengo opportuno aggiungere l’articolo 78, paragrafo 2, TFUE nonché l’articolo 18 e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta.

37.      In via preliminare, ricordo che, in assenza di una convenzione internazionale in merito tra l’Unione e lo Stato terzo interessato, nel caso di specie la Turchia, le norme in materia di estradizione rientrano nella competenza degli Stati membri, ma questi stessi Stati membri sono tenuti ad esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione (22).

38.      Inoltre, nella misura in cui A. ha ottenuto lo status di rifugiato in Italia in conformità con le norme del diritto derivato dell’Unione in materia di protezione internazionale e ha successivamente esercitato il suo diritto di circolare e soggiornare in uno Stato membro diverso da quello che gli ha riconosciuto lo status di rifugiato (23), la situazione oggetto del procedimento principale rientra nell’ambito del diritto dell’Unione. Ne consegue che le disposizioni della Carta, in particolare l’articolo 18 e l’articolo 19, paragrafo 2, sono applicabili nell’ambito dell’esame della domanda di estradizione oggetto del procedimento principale.

39.      Come risulta dall’articolo 6 della legge in materia di asilo, la decisione italiana che riconosce ad A. lo status di rifugiato non produce effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in Germania e non deve quindi comportare automaticamente un rifiuto di estradizione. Lo stesso varrebbe d’altronde se la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato fosse stata presa da un’autorità tedesca.

40.      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di indicargli se il diritto dell’Unione imponga diversamente. In altri termini, se si debba ritenere che il diritto dell’Unione imponga a uno Stato membro di rifiutare l’estradizione di una persona fintantoché questa benefici dello status di rifugiato riconosciuto da un altro Stato membro.

41.      Le parti e gli altri interessati nelal presente procedimento concordano sul fatto che l’esistenza di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato in uno Stato membro debba avere un rilievo significativo nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro. Il disaccordo riguarda solo l’esatta portata degli effetti da attribuire a una tale decisione.

42.      Per rispondere alla questione se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro abbia effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro, è necessario precisare gli obblighi di quest’ultimo Stato membro in una situazione disciplinata dal diritto dell’Unione.

43.      Come ho indicato in precedenza, l’articolo 18 e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta sono applicabili nell’ambito dell’esame della domanda di estradizione oggetto del procedimento principale. Di conseguenza, spetta allo Stato membro richiesto verificare che l’estradizione non pregiudichi i diritti fondamentali della persona richiesta, in particolare quelli menzionati in tali disposizioni.

44.      Ai sensi dell’articolo 18 della Carta, «[i]l diritto d’asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla [Convenzione di Ginevra] e a norma [dei trattati]». Inoltre, ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, «[n]essuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».

45.      Il diritto di asilo è garantito sulla base del principio di non‑refoulement sancito dall’articolo 33, paragrafo 1, della Convenzione di Ginevra. Nel diritto dell’Unione, tale principio è garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 di tale convenzione, nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (24). Gli Stati membri sono inoltre tenuti a rispettare tale principio ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95. Come afferma l’UNHCR, «[i]l principio di nonrefoulement, che vieta l’allontanamento forzato di una rifugiata o un rifugiato verso un rischio di persecuzione, rappresenta la pietra miliare del regime internazionale di protezione dei rifugiati» (25).

46.      Secondo la costante giurisprudenza della Corte, a partire dalla sua sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin (26), nell’ipotesi in cui, su domanda di un paese terzo, lo Stato membro richiesto intenda estradare una persona a cui si applichi il diritto dell’Unione, tale Stato membro è tenuto a verificare che l’estradizione non pregiudichi i diritti garantiti dalla Carta, in particolare dal suo articolo 19, paragrafo 2 (27). Infatti, gli Stati membri non possono allontanare, espellere o estradare uno straniero quando esistono seri e comprovati motivi di ritenere che, nel paese di destinazione, egli vada incontro a un rischio reale di subire trattamenti vietati dall’articolo 4 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, che vietano in termini perentori la tortura nonché le pene e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dal comportamento dell’interessato, così come l’allontanamento verso uno Stato in cui esista un rischio serio di essere sottoposto a trattamenti del genere (28). Al riguardo, il diritto dell’Unione prevede una protezione internazionale dei rifugiati più ampia di quella garantita dalla Convenzione di Ginevra, che consente, per parte sua, nei casi di cui al suo articolo 33, paragrafo 2, il respingimento di un rifugiato verso un paese in cui la sua vita o la sua libertà sia minacciata (29).

47.      Spetta inoltre allo Stato membro richiesto garantire il godimento effettivo del diritto sancito dall’articolo 18 della Carta (30). Fintanto che la persona richiesta può avvalersi della qualità di rifugiato, che la Corte distingue dallo status di rifugiato (31), tale articolo osta alla sua estradizione verso un paese in cui rischi di essere perseguitata.

48.      Pertanto, il principio di non‑refoulement osta a che uno Stato membro proceda all’estradizione di un cittadino di un paese terzo che ha ottenuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro verso un paese in cui esistono seri e comprovati motivi per ritenere che, in caso di estradizione, tale cittadino sarebbe esposto a un rischio reale di trattamenti contrari all’articolo 18 o all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (32).

49.      Nell’ambito del suo esame volto ad accertare il rispetto del principio di non‑refoulement, lo Stato membro richiesto è vincolato da una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro, cosicché sarebbe obbligato a rifiutare l’estradizione della persona in questione fintanto che questa beneficerà di tale status?

50.      Ritengo di no per due motivi principali.

51.      In primo luogo, nella misura in cui il diritto dell’Unione, allo stato attuale del suo sviluppo, non prevede il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato, mi sembra escluso che una decisione del genere adottata da uno Stato membro possa avere effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro (sezione A).

52.      In secondo luogo, la procedura di estradizione e la procedura di revoca dello status di rifugiato sono due procedure distinte, cosicché un’estradizione non può essere subordinata alla previa revoca dello status di rifugiato della persona richiesta, ma è soggetta ad un esame autonomo e aggiornato da parte dell’autorità competente in materia di estradizione relativo al rispetto del principio di non‑refoulement (sezione B).

53.      Tuttavia, la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro costituisce un elemento particolarmente serio che deve essere preso in considerazione nell’ambito del procedimento di estradizione in un altro Stato membro (sezione C). Ritengo inoltre che tale procedimento debba svolgersi nel rispetto del principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, al fine di garantire la coerenza delle decisioni adottate dagli Stati membri nell’ambito dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia (in prosieguo: l’«SLSG»), il che presuppone uno scambio di informazioni tra le autorità competenti in materia di estradizione e di asilo (sezione D).

A.      Sull’assenza di un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato

54.      La questione se la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro abbia effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro è strettamente legata alla questione dell’esistenza o meno di un principio del reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato.

55.      Oltre alla presente causa, la Corte dovrà pronunciarsi su tale questione nel contesto di altre tre cause attualmente pendenti (33). Sebbene, rispetto a tali tre cause, la presente causa si inscriva in un contesto diverso, ovvero quello dell’estradizione, tutte e quattro sollevano la questione, sulla base del principio del reciproco riconoscimento, dell’eventuale effetto vincolante in uno Stato membro di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata in un altro Stato membro. In tali cause la Corte è quindi chiamata a chiarire il margine di manovra di cui dispone un’autorità incaricata di esaminare una domanda di protezione internazionale o un’autorità incaricata di esaminare una domanda di estradizione, in presenza di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato precedentemente adottata da un altro Stato membro.

56.      Nel corso dell’udienza, le parti e gli altri interessati nel procedimento sono stati invitati dalla Corte a prendere posizione su tale delicata questione.

57.      Come il governo tedesco e la Commissione, ritengo che il diritto dell’Unione non preveda, allo stato attuale del suo sviluppo, un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato (34).

58.      Certamente, come ritiene in sostanza il governo italiano, che è favorevole al riconoscimento reciproco di tali decisioni, si potrebbe ritenere che lo spirito del sistema europeo comune di asilo deponga a favore di un tale riconoscimento, il che implicherebbe che una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro dovrebbe essere vincolante per le autorità degli altri Stati membri.

59.      In effetti, l’articolo 78, paragrafo 2, lettera a), TFUE prevede l’adozione di misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione. Come conferma il considerando 3 della direttiva 2011/95, tale sistema, di cui fanno parte sia tale direttiva sia la direttiva 2013/32, è fondato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra, e sulla garanzia che nessuno sia nuovamente esposto alla persecuzione (35).

60.      Inoltre, il sistema europeo comune di asilo si basa sul principio della fiducia reciproca (36), che costituisce a sua volta il fondamento e la condizione del principio del reciproco riconoscimento. Secondo la Corte, il principio della fiducia reciproca impone a ciascuno Stato membro di ritenere, tranne che in circostanze eccezionali, che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, più in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultimo (37).

61.      Di conseguenza, nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, si deve presumere che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme a quanto prescritto dalla Carta, dalla Convenzione di Ginevra e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (38). È quanto vale, segnatamente, allorché si applica l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 (39), che, nel quadro della procedura comune di asilo istituita da tale direttiva, costituisce un’espressione del principio della fiducia reciproca (40).

62.      Inoltre, in conformità con le norme stabilite dal regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (41), un solo Stato membro decide su una tale domanda. Inoltre, il sistema europeo comune di asilo prevede l’applicazione, in ampia misura, delle stesse norme per l’esame delle domande, indipendentemente da quale sia lo Stato membro competente per tale esame (42). Occorre inoltre rilevare che l’obiettivo principale della direttiva 2011/95, come risulta dall’articolo 1 di tale direttiva e dal suo considerando 12, è quello di assicurare che tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri (43).

63.      Tale applicazione di norme e criteri comuni potrebbe comportare, come naturale conseguenza, l’esistenza di un principio del reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato, il che significherebbe che siffatte decisioni sarebbero vincolanti per le autorità di tutti quegli Stati. Ciò potrebbe quindi avere come effetto quello di impedire a un’autorità accertante di discostarsi dalla conclusione raggiunta dall’autorità che ha precedentemente accordato a una persona lo status di rifugiato in un altro Stato membro. Ciò potrebbe inoltre avere l’effetto di impedire a un’autorità destinataria di una domanda di estradizione di rispondervi favorevolmente, poiché l’idea di fondo è che, accettando l’estradizione di una persona a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro, tale autorità la priverebbe de facto di tale status.

64.      Orbene, è giocoforza constatare che il legislatore dell’Unione non ha ancora pienamente realizzato, mediante la previsione di un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni che accordano lo status di rifugiato e la precisazione delle modalità di attuazione di tale principio, l’obiettivo a cui tende l’articolo 78, paragrafo 2, lettera a), TFUE, ovvero uno status uniforme in materia di asilo a favore di cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione. Il diritto primario dell’Unione prevede infatti l’istituzione graduale del sistema europeo comune di asilo, da realizzarsi in più fasi, per giungere infine a uno status uniforme di asilo valido in tutta l’Unione (44). Come hanno sostenuto il governo tedesco e la Commissione, il sistema europeo comune di asilo viene costruito gradualmente e spetta unicamente al legislatore dell’Unione decidere, ove necessario, di attribuire un effetto transfrontaliero vincolante alle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato.

65.      A tale proposito, occorre sottolineare che, sebbene la fiducia reciproca sia la base necessaria per il reciproco riconoscimento delle decisioni adottate dalle autorità competenti degli Stati membri nel contesto dell’SLSG, tale fiducia non è però sufficiente se non è accompagnata da una disposizione esplicita nel diritto primario o da una espressa volontà del legislatore dell’Unione di imporre un tale riconoscimento agli Stati membri. Al riguardo, nelle direttive 2011/95 e 2013/32 non rilevo alcun espresso riferimento a un principio di reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento di una protezione internazionale. Osservo inoltre che, laddove il legislatore intende sancire un tale principio in un settore che rientra nell’SLSG, lo fa espressamente (45).

66.      Noto, inoltre, che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo riconosce la natura non automatica del riconoscimento reciproco delle decisioni in materia di asilo (46).

67.      Dai precedenti elementi consegue, a mio avviso, che un’autorità accertante di uno Stato membro, che è stata investita di una domanda di protezione internazionale e che sceglie di non avvalersi della facoltà accordatale dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 di giudicare una tale domanda inammissibile se un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale (47), non è vincolata da una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro. Tale autorità deve allora esaminare la domanda nel merito, conformemente alle disposizioni delle direttive 2011/95 e 2013/32, e verificare se il richiedente soddisfi le condizioni materiali per il riconoscimento di tale protezione effettuando un esame autonomo, il cui esito non può essere predeterminato dalla decisione di riconoscimento dello status di rifugiato precedentemente adottata da un altro Stato membro. Infatti, nessuna disposizione della direttiva 2011/95 o della direttiva 2013/32 obbliga gli Stati membri ad accordare a una persona lo status di rifugiato per il solo motivo che un altro Stato membro le ha già riconosciuto tale status.

68.      La medesima conclusione deve essere tratta, a mio avviso, nel caso in cui uno Stato membro si trovi nell’impossibilità, in virtù della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (48), di avvalersi della facoltà prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 di giudicare inammissibile una domanda di protezione internazionale (49). A tale proposito, osservo che né tale direttiva né la direttiva 2011/95 prevedono alcuna deroga all’obbligo di uno Stato membro di esaminare una domanda di protezione internazionale per il fatto che un altro Stato membro ha riconosciuto a una persona lo status di rifugiato, qualora tale domanda non possa essere considerata inammissibile.

69.      Tale soluzione è conforme alla disposizione ai sensi della quale lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria è accordato sulla base di un esame individuale, completo e aggiornato della necessità di protezione internazionale. Infatti, dall’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva 2011/95 e dall’articolo 10, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32 si evince che, in cooperazione con il richiedente, lo Stato membro deve effettuare un congruo esame della domanda, in modo individuale, obiettivo e imparziale, sulla base di informazioni precise e aggiornate. Se da tale esame risulta che il richiedente soddisfa le norme minime stabilite dal diritto dell’Unione per beneficiare dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, in quanto rispetta i requisiti previsti, rispettivamente, ai capi II e III o ai capi II e V della direttiva 2011/95, gli Stati membri sono tenuti, alla luce degli articoli 13 e 18 di tale direttiva e fatte salve le cause di esclusione previste dalla stessa, a riconoscere la protezione internazionale richiesta. Essi non dispongono di alcun potere discrezionale al riguardo (50). Inoltre, in base a quanto indicato dal considerando 12 della direttiva 2011/95, lo status di rifugiato è destinato alle persone che «hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale».

70.      Da quanto precede risulta che le autorità dello Stato membro in cui viene presentata una domanda di protezione internazionale non sono tenute a riconoscere al richiedente lo status di rifugiato senza esaminare nel merito tale domanda al fine di verificare se siano soddisfatti i requisiti materiali per il riconoscimento della protezione internazionale previsti dalla direttiva 2011/95.

71.      Tale interpretazione è corroborata dall’obiettivo di limitare i movimenti secondari (51), che potrebbero essere incoraggiati se i beneficiari di protezione internazionale in uno Stato membro potessero contare sul fatto che la decisione che riconosce loro tale protezione è vincolante anche per le autorità degli altri Stati membri.

72.      Aggiungo che la possibilità, prevista dall’articolo 3 della direttiva 2011/95, per gli Stati membri di esaminare le domande di protezione internazionale e di accordare lo status di rifugiato a condizioni più favorevoli di quelle previste da tale direttiva può apparire incompatibile con l’esistenza di un reciproco riconoscimento delle decisioni di riconoscimento di tale status (52). Come ha sottolineato il governo tedesco in udienza, qualora si ammettesse che una decisione positiva in materia di asilo debba essere riconosciuta anche dagli altri Stati membri, quello che ha adottato tale decisione potrebbe imporre le proprie disposizioni più favorevoli a tali Stati membri.

73.      Nel loro insieme, tali elementi mi inducono quindi a ritenere che, allo stato attuale del suo sviluppo, il diritto dell’Unione non preveda il reciproco riconoscimento tra gli Stati membri delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato. Ne consegue che una tale decisione adottata da uno Stato membro non può avere effetto vincolante per le autorità accertanti di un altro Stato membro.

74.      Orbene, a mio avviso, se un’autorità di uno Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale relativa ad una persona cha ha già ottenuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro non è vincolata dalla valutazione effettuata da quest’ultimo, in ragione della mancanza di effetto vincolante della decisione di riconoscimento di tale status, lo stesso deve valere, ai sensi del diritto dell’Unione, nel caso di un’autorità competente per l’esame di una domanda di estradizione. Né, allo stato attuale del diritto dell’Unione, esiste un automatismo che vieti a uno Stato membro di estradare un cittadino di un paese terzo verso il suo paese di origine per il solo motivo che a tale cittadino è stato riconosciuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro.

75.      Per quanto riguarda, più specificamente, la questione se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro abbia effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro, le disposizioni di diritto derivato dell’Unione richiamate dal giudice del rinvio nella sua questione pregiudiziale non consentono, a mio avviso, di adottare una posizione diversa. Infatti, nessuna di tali disposizioni stabilisce o esclude esplicitamente un tale effetto.

76.      Tale giudice fa infatti riferimento all’articolo 9 della direttiva 2013/32, il cui paragrafo 1 riconosce al richiedente protezione internazionale il diritto di rimanere nello Stato membro durante il procedimento di esame della sua domanda. L’articolo 9, paragrafo 2, di tale direttiva autorizza gli Stati membri a derogare a tale diritto nei casi ivi previsti, tra cui, in particolare, quello di un’estradizione del richiedente verso un paese terzo. In tal caso, una tale estradizione è soggetta, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3, di detta direttiva, alla condizione che le autorità dello Stato membro interessato accertino che la decisione di estradizione non comporterà il refoulement diretto o indiretto, in violazione degli obblighi internazionali e dell’Unione di detto Stato membro.

77.      Vorrei sottolineare che tali disposizioni si riferiscono solo al caso di un’estradizione nel corso del procedimento di esame di una domanda di protezione internazionale, e non disciplinano il caso di un’estradizione dopo che uno Stato membro ha riconosciuto tale protezione. A mio avviso, quindi, non si può trarre alcuna conclusione a favore o contro l’effetto vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato nell’ambito di un procedimento di estradizione. L’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32 prevede una deroga al diritto di rimanere in uno Stato membro durante l’esame di una domanda di protezione internazionale, a condizione che sia rispettato il principio di non‑refoulement. Ciò non deve essere interpretato come un’impossibilità di estradare una volta accordata la protezione internazionale. In altri termini, come sottolinea giustamente il governo tedesco, dall’esplicita possibilità di procedere a un’estradizione nel corso di un procedimento di asilo non si può dedurre che non vi si possa procedere una volta adottata una decisione di riconoscimento di una protezione internazionale. Inoltre, il fatto che il legislatore dell’Unione non abbia affrontato tale questione in occasione della rifusione della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (53), operata dalla direttiva 2013/32, lascia presumere che esso non intendesse disciplinare, per quanto riguarda l’estradizione, il periodo successivo alla conclusione del procedimento di asilo.

78.      La lettura combinata dei paragrafi 2 e 3 dell’articolo 9 di tale direttiva porta a concludere che l’estradizione verso il paese di origine di un richiedente protezione internazionale non possa avvenire senza un preventivo esame di merito (54). L’unico elemento utile ai fini del presente procedimento che si può trarre da tali disposizioni – che nel caso di specie si limitano a specificare un obbligo già desumibile dagli articoli 18 e 19, paragrafo 2, della Carta – è, quindi, che un’estradizione è subordinata innanzitutto al rispetto del principio di non‑refoulement.

79.      Tale principio è peraltro sancito anche dall’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, anch’esso richiamato dal giudice del rinvio nella sua questione pregiudiziale. Orbene, neanche tale disposizione indica espressamente che una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro abbia effetto vincolante nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro.

80.      Inoltre, si rileva che le direttive 2011/95 e 2013/32 non contengono alcun meccanismo di riammissione nello Stato membro che ha accordato una protezione internazionale, quale quello previsto all’articolo 12, paragrafi 3 bis e 3 ter, della direttiva 2003/109, nel caso in cui un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo in uno Stato membro diverso da quello che gli ha accordato tale protezione sia oggetto di un provvedimento di allontanamento. Tali disposizioni, il cui scopo è, secondo il considerando 10 di tale direttiva, quello di proteggere dal respingimento un beneficiario di protezione internazionale che ha acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo in uno Stato membro, qualora questa sia oggetto di un provvedimento di allontanamento per un motivo previsto da tale direttiva, non sono destinate a disciplinare la situazione particolare costituita da una domanda di estradizione. Pertanto, esse non possono essere invocate a supporto della tesi secondo cui il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato membro a un cittadino di un paese terzo dovrebbe, in linea di principio, ostare a una risposta positiva di un altro Stato membro a una domanda di estradizione di tale cittadino verso tale paese terzo, fintanto che la persona richiesta gode di tale status.

81.      La natura non vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro nell’ambito di un procedimento di estradizione in un altro Stato membro è corroborata dalla constatazione che tale procedura e la procedura di revoca dello status di rifugiato costituiscono due procedure distinte, cosicché un’estradizione non può essere subordinata alla previa revoca dello status di rifugiato della persona richiesta.

B.      La procedura di estradizione e la procedura di revoca dello status di rifugiato costituiscono due procedure distinte: l’estradizione non è quindi subordinata alla previa revoca dello status di rifugiato

82.      Il governo italiano afferma, in sostanza, che l’estradizione da parte di uno Stato membro di una persona che ha ottenuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro costituirebbe una revoca di fatto di tale status e un’elusione delle norme stabilite al riguardo dalla direttiva 2011/95. Una tale estradizione sarebbe pertanto subordinata alla previa revoca di tale status.

83.      Gli articoli 11, 12 e 14 della direttiva 2011/95 disciplinano la cessazione, l’esclusione nonché la revoca dello status di rifugiato o il rifiuto di rinnovarlo da parte dello Stato membro che lo ha riconosciuto. Secondo la tesi avanzata da tale governo, si potrebbe ritenere che l’estradizione di un rifugiato implichi, di fatto, una cessazione della protezione inerente a tale status. Se l’autorità competente di uno Stato membro potesse autorizzare l’estradizione di un rifugiato riconosciuto come tale in un altro Stato membro in quanto non correrebbe o non correrebbe più il rischio di persecuzioni nello Stato terzo d’origine, essa si sostituirebbe di fatto alle autorità competenti di tale altro Stato membro.

84.      Ne consegue che l’autorità che decide sulla domanda di estradizione non potrebbe rispondere favorevolmente a tale domanda finché non abbia ottenuto dall’autorità competente dello Stato membro che ha riconosciuto la protezione internazionale la revoca di tale protezione.

85.      Dinanzi alla Corte, tanto il governo tedesco quanto la Commissione hanno, da parte loro e a mio avviso giustamente, sottolineato la distinzione tra la qualità e lo status di rifugiato. In particolare, essi hanno evidenziato che la perdita dello status di rifugiato non comporta necessariamente quella della qualità di rifugiato.

86.      Al riguardo, va sottolineato che il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della direttiva 2011/95 ha, come si evince dal considerando 21 della stessa, natura ricognitiva e non costitutiva della qualità di rifugiato (55). Pertanto, nel sistema istituito dalla direttiva 2011/95, un cittadino di un paese terzo o un apolide che soddisfi le condizioni materiali contenute nel capo III di detta direttiva dispone, per questo solo fatto, della qualità di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), di detta direttiva e dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra (56). La qualità di «rifugiato», ai sensi di tali disposizioni, non dipende quindi dal riconoscimento formale di tale qualità mediante la concessione dello «status di rifugiato», ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2011/95, letto in combinato disposto con l’articolo 13 di quest’ultima (57).

87.      Una conseguenza di tale distinzione tra lo status e la qualità di rifugiato è che la circostanza che l’interessato rientri in una delle ipotesi previste dall’articolo 14, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2011/95, nelle quali gli Stati membri possono procedere alla revoca o al rifiuto del riconoscimento dello status di rifugiato, non significa, per ciò solo, che quest’ultimo cessi di rispondere ai requisiti materiali da cui dipende la qualità di rifugiato, relativi all’esistenza di un fondato timore di persecuzioni nel suo paese d’origine (58). Di conseguenza, la revoca o il diniego di concessione dello status di rifugiato non ha l’effetto di privare il cittadino di un paese terzo o l’apolide interessato, il quale soddisfi i requisiti materiali di cui all’articolo 2, lettera d), di tale direttiva, letto in combinato disposto con le norme di cui al capo III di quest’ultima, della qualità di rifugiato, ai sensi dell’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, e pertanto di escluderlo dalla protezione internazionale che l’articolo 18 della Carta impone di garantirgli nel rispetto di tale convenzione (59).

88.      Occorre inoltre distinguere chiaramente tra il procedimento che può condurre uno Stato membro a revocare lo status di rifugiato e quello consistente nella valutazione del rispetto del principio di non‑refoulement nell’ambito di un procedimento di allontanamento. In tal senso, conformemente al diritto dell’Unione, l’autorità competente può essere legittimata a revocare lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo, senza tuttavia essere necessariamente autorizzata ad allontanarlo verso il suo paese di origine (60). Secondo la Corte, non si può, quindi, ritenere che la revoca dello status di rifugiato, in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, implichi una presa di posizione riguardo alla diversa questione se tale persona possa essere allontanata verso il suo paese di origine (61). Pertanto, le conseguenze, per il cittadino interessato di un paese terzo, di un suo eventuale rimpatrio nel paese di origine sono destinate ad essere prese in considerazione non già al momento dell’adozione della decisione di revoca dello status di rifugiato, bensì, eventualmente, qualora l’autorità competente preveda di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di tale cittadino di un paese terzo (62).

89.      Quanto statuito dalla Corte in relazione al caso di revoca dello status di rifugiato previsto dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 e ad una decisione di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (63), può, a mio avviso, essere esteso ad altri casi di revoca di tale status, come quello previsto dall’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, la cui lettera a) riguarda specificamente l’ipotesi in cui il rifugiato è o avrebbe dovuto essere escluso dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12 di tale direttiva, nonché all’ambito dell’estradizione.

90.      La distinzione da tracciare tra il procedimento che può portare alla revoca dello status di rifugiato, da un lato, e il procedimento diretto ad esaminare la compatibilità di un’estradizione con il principio di non‑refoulement, dall’altro, implica, a mio avviso, che una risposta favorevole a una domanda di estradizione non possa essere subordinata alla previa revoca dello status di rifugiato di cui beneficia la persona richiesta. Inoltre, le domande di estradizione devono essere esaminate con celerità, il che può sembrare incompatibile con l’avvio di un procedimento di revoca preventiva dello status di rifugiato (64).

91.      Ne consegue che non è lo status di rifugiato in quanto tale a proteggere il beneficiario dall’estradizione, ma il principio di non‑refoulement, sancito in varie forme dall’articolo 18 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta.

92.      In tal senso, è possibile che l’autorità di uno Stato membro competente in materia di estradizione decida di adottare una decisione di estradizione della persona richiesta, ancorché lo status di rifugiato di cui beneficia tale persona in un altro Stato membro non sia stato revocato dall’autorità che l’ha accordato. Nella misura in cui viene rispettato il principio di non‑refoulement, il mantenimento di tale status non può, allo stato attuale del diritto dell’Unione, avere come effetto quello di impedire a un’autorità di estradare la persona in questione, se non in violazione degli obblighi ad essa incombenti in virtù della Convenzione europea di estradizione.

93.      Contrariamente a quanto sostenuto dal governo italiano nell’ambito del presente procedimento, allorché decide di rispondere favorevolmente a una domanda di estradizione relativa a una persona che ha ottenuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro, in particolare laddove essa ritenga che l’estradizione di tale persona non violi il principio di non‑refoulement, l’autorità dello Stato membro richiesto non si sostituisce all’autorità competente per la revoca di tale status nell’altro Stato membro. Infatti, solo quest’ultima ha il potere di decidere, se del caso, sulla cessazione o sulla revoca dello status di rifugiato ai sensi degli articoli 11, 12 e 14 della direttiva 2011/95. È quindi appunto lo Stato membro che ha riconosciuto lo status di rifugiato a dover trarre le conseguenze sul mantenimento o meno di tale status dagli elementi emersi dalla domanda estradizione e da quelli raccolti nell’ambito del procedimento di estradizione.

94.      Pertanto, non sussiste alcun rischio di elusione delle norme stabilite in tali articoli poiché, come hanno giustamente sottolineato il governo tedesco e la Commissione, le procedure di asilo e di estradizione sono indipendenti e distinte l’una dall’altra. Esse perseguono scopi diversi e sono condotte all’interno degli Stati membri da autorità diverse. Nell’ambito del procedimento di estradizione, l’autorità competente non si pronuncia sul riconoscimento o sulla revoca dello status di rifugiato. Essa valuta, in un quadro procedurale distinto, se esistano ostacoli all’estradizione, come un rischio che una domanda di estradizione motivata da un reato di diritto comune sia stata presentata allo scopo di perseguire o di punire un individuo in considerazione, segnatamente, di opinioni politiche, o che la situazione di tale individuo rischi di aggravarsi per tale ragione.

95.      In tale quadro procedurale distinto, l’autorità competente in materia di estradizione deve effettuare un esame autonomo e aggiornato del rispetto del principio di non‑refoulement. Infatti, anche se una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro non ha effetto vincolante per l’autorità incaricata dell’esame di una domanda di estradizione in un altro Stato membro, resta il fatto che il procedimento di estradizione deve svolgersi nel rispetto del diritto di asilo sancito dall’articolo 18 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta. Al riguardo, le garanzie giuridiche di cui dispone la persona richiesta nel procedimento principale, ai sensi tanto dell’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della Convenzione europea di estradizione, quanto dell’articolo 6, paragrafo 2, dell’IRG, sono strettamente connesse al principio di non‑refoulement (65). L’estradizione può quindi essere disposta solo se è venuta meno la necessità di protezione internazionale. Garantendo una protezione della persona richiesta contro il respingimento, il diritto dell’estradizione non è solo un «diritto della repressione» (66), ma anche, come nel diritto dei rifugiati, un «diritto della protezione».

96.      Pertanto, il fatto che lo status di rifugiato precedentemente riconosciuto sia o meno ancora in vigore al momento della decisione su una domanda di estradizione non modifica l’obbligo incombente all’autorità competente di decidere su tale domanda, ovvero quello di verificare se il principio di non‑refoulement osti o meno all’estradizione della persona richiesta. In altri termini, la verifica del rispetto di tale principio ha un carattere autonomo e rientra nella competenza dell’autorità incaricata di pronunciarsi sulla domanda di estradizione, senza che essa possa rinunciarvi, anche in caso di previa revoca dello status di rifugiato (67).

97.      Aggiungo che, nella misura in cui l’autorità di uno Stato membro competente a pronunciarsi su una domanda di estradizione è tenuta a svolgere un esame autonomo e aggiornato del rispetto del principio di non‑refoulement, ciò mi sembra incompatibile con un effetto vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un’autorità di un altro Stato membro. Infatti, un tale effetto vincolante eliminerebbe il potere discrezionale di cui deve disporre l’autorità competente in materia di estradizione. Inoltre, una valutazione aggiornata del rispetto del principio di non‑refoulement sarebbe impossibile se tale autorità fosse vincolata dalla valutazione effettuata in precedenza, a volte addirittura diversi anni prima, da un’autorità competente in materia di asilo in un altro Stato membro. Occorre inoltre tenere presente che una domanda di estradizione può portare alla luce nuovi elementi che possono giustificare una diversa valutazione del rischio di persecuzione cui è esposta la persona richiesta.

98.      Ciò premesso, esiste indubbiamente un legame tra, da un lato, il procedimento di estradizione, nell’ambito del quale occorre verificare se l’articolo 18 e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta non ostino all’estradizione della persona richiesta verso il suo paese di origine e, dall’altro, il procedimento che ha precedentemente portato al riconoscimento dello status di rifugiato a tale persona. Di conseguenza, ancorché, per le ragioni che ho esposto, la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro non sia vincolante per l’autorità di un altro Stato membro che deve pronunciarsi su una domanda di estradizione, una tale decisione deve comunque essere tenuta in debita considerazione da tale autorità nell’ambito del suo esame relativo al rispetto del principio di non‑refoulement.

C.      La decisione di riconoscimento dello status di rifugiato costituisce un elemento particolarmente serio di cui l’autorità competente in materia di estradizione deve tenere conto

99.      La questione relativa alla considerazione di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato nell’ambito di un procedimento di estradizione è già stata affrontata dalla Corte in una causa precedente, che sollevava una questione relativa all’estradizione, da parte di uno Stato membro verso la Federazione russa, di un cittadino russo‑islandese a cui era stato concesso asilo in Islanda prima di acquisire la cittadinanza di tale Stato. Si tratta della causa che ha dato origine alla sentenza Ruska Federacija.

100. In tale sentenza, la Corte ha dichiarato, in particolare, che lo Stato membro richiesto doveva valutare se l’estradizione fosse compatibile con l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, letto in combinato disposto con l’articolo 4 della stessa, in quanto il cittadino islandese sosteneva che vi fosse un rischio serio di trattamenti inumani o degradanti in caso di estradizione (68). La Corte ha ricordato che, a tal fine, tale Stato membro, conformemente all’articolo 4 della Carta che vieta le pene o i trattamenti inumani o degradanti, non può limitarsi a prendere in considerazione le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l’accettazione, da parte di quest’ultimo, di trattati internazionali che garantiscono, in via di principio, il rispetto dei diritti fondamentali. L’autorità competente dello Stato membro richiesto deve fondarsi, ai fini di tale verifica, su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, elementi che possono risultare, in particolare, da decisioni giudiziarie internazionali, quali sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, da decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente, nonché da decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite (69).

101. La Corte ha altresì osservato che la circostanza che alla persona richiesta fosse stato concesso, dalla Repubblica d’Islanda, l’asilo per il motivo che la stessa correva un rischio di subire trattamenti inumani o degradanti nel suo paese di origine costituiva un elemento particolarmente serio di cui l’autorità competente dello Stato membro richiesto doveva tenere conto ai fini della verifica che l’estradizione non violasse i diritti garantiti dalla Carta, in particolare il suo articolo 19, paragrafo 2 (70).

102. La Corte ha poi precisato le conseguenze che l’autorità competente dello Stato membro richiesto doveva trarre da una decisione delle autorità islandesi che concedeva l’asilo alla persona richiesta.

103. Pertanto, secondo la Corte, in assenza di circostanze specifiche, tra cui, in particolare, un’evoluzione significativa della situazione nello Stato terzo richiedente oppure elementi seri e attendibili diretti a dimostrare che la persona di cui si chiede l’estradizione aveva ottenuto l’asilo celando il fatto di essere sottoposta a un procedimento penale nel suo paese di origine, l’esistenza di una tale decisione deve portare l’autorità competente dello Stato membro richiesto, a rifiutare l’estradizione, in applicazione dell’articolo 19, paragrafo 2, della Carta (71).

104. Rilevo che la presente causa si inscrive in un contesto fattuale e giuridico diverso, cosicché è necessario valutare se debba essere applicata la stessa soluzione, consistente nell’attribuire, nell’ambito di un procedimento di estradizione, un valore elevato, quale indice di un rischio di violazione del principio di non‑refoulement, alla decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata dall’autorità competente di un altro Stato membro.

105. Infatti, nella causa che ha dato origine alla sentenza Ruska Federacija, l’asilo era stato concesso dalla Repubblica d’Islanda. Orbene, sebbene questa partecipi al sistema di «Dublino» per quanto riguarda i criteri e i meccanismi per determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo (72), essa non applica le direttive 2011/95 e 2013/32 oggetto della questione sollevata nella presente causa (73).

106. Nel caso di specie, si tratta di determinare l’effetto che produce, in conformità con il diritto dell’Unione, nell’ambito di un procedimento di estradizione in uno Stato membro, una decisione con cui le autorità competenti di un altro Stato membro hanno riconosciuto lo status di rifugiato ai sensi delle norme e dei criteri comuni del diritto dell’Unione in materia di protezione internazionale. A mio avviso, il fatto che tale questione si ponga tra due Stati membri, che sono tenuti ad attuare il diritto derivato dell’Unione in materia di protezione internazionale e, quindi, a rispettare le norme e i criteri comuni stabiliti da tale diritto, deve portare a ritenere che la soluzione adottata dalla Corte nella sua sentenza Ruska Federacija sia tanto più valida in un tale contesto. In altri termini, se la Corte ha riconosciuto l’importanza di tenere conto, nel procedimento di estradizione condotto in uno Stato membro, della decisione di concedere asilo adottata dalla Repubblica d’Islanda, lo stesso deve valere a maggior ragione per la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro.

107. Inoltre, rilevo che se, per le ragioni che ho esposto in precedenza, un’autorità di uno Stato membro competente a decidere su una domanda di estradizione non può essere vincolata da una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro, sarebbe certamente contrario al processo di costruzione di un sistema europeo comune di asilo, come previsto dall’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, ritenere che uno Stato membro possa ignorare, nell’ambito di un procedimento di estradizione, una decisione di un altro Stato membro di riconoscimento dello status di rifugiato alla persona richiesta. Al contrario, dovrebbe prevalere lo spirito di cooperazione e di fiducia reciproca tra le autorità degli Stati membri (74), nella misura in cui il riconoscimento di una protezione internazionale da parte di uno Stato membro alla persona richiesta costituisce un importante indizio del fatto che si tratti di un perseguitato politico (75) e il procedimento di estradizione deve svolgersi nel rispetto del diritto di asilo sancito dall’articolo 18 della Carta.

108. Da quanto precede risulta che, per verificare se l’estradizione non violi il principio di non‑refoulement, l’autorità competente dello Stato membro richiesto deve tenere conto della decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro, che costituisce un elemento particolarmente serio ai fini di tale verifica (76). Pertanto, sebbene tale autorità, nel procedimento principale, conservi il proprio potere discrezionale nell’ambito dell’esame autonomo e aggiornato delle condizioni di cui all’articolo 6, paragrafo 2, dell’IRG e all’articolo 3, paragrafi 1 e 2, della Convenzione europea di estradizione che è tenuta a svolgere, essa deve stabilire le circostanze specifiche che la indurrebbero a discostarsi dalla valutazione effettuata dall’autorità italiana che ha precedentemente riconosciuto lo status di rifugiato alla persona richiesta.

109. L’obiettivo cui deve tendere il sistema europeo comune di asilo, ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, depone quindi a favore di un obbligo per l’autorità dello Stato membro richiesto di tenere in debito conto la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro e di discostarsene solo in presenza di circostanze specifiche. Infatti, in presenza di tali circostanze, il principio di non‑refoulement non viene violato, poiché la persona in questione non può più avvalersi della qualità di rifugiato.

110. L’interpretazione che suggerisco alla Corte di adottare, in linea con la sentenza Ruska Federacija, mi sembra coerente con il modo in cui dovrebbe essere considerato l’effetto extraterritoriale della Convenzione di Ginevra. Dalla nota di orientamento dell’UNHCR si evince infatti che «[lo] status [di rifugiato della persona richiesta che è stato riconosciuto in un paese diverso dallo Stato richiesto] diventa un elemento importante che le autorità dello Stato richiesto incaricate di decidere sull’estradizione della persona richiesta dovranno tenere in considerazione nel valutare la compatibilità dell’estradizione con il principio di non‑refoulement» (77). L’UNHCR sembra intendere l’effetto extraterritoriale dello status di rifugiato nel senso che tale status riconosciuto da uno Stato parte a tale convenzione «può essere mess[o] in discussione da un altro Stato contraente solo in casi eccezionali, in cui emerga in modo manifesto che la persona coinvolta non soddisfa i criteri previsti da [tale convenzione]. Ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, se si viene a sapere che le dichiarazioni rese precedentemente erano fraudolente o che la persona in questione rientra nelle condizioni di esclusione previste dalla [medesima convenzione]» (78).

111. Tenuto conto dell’importanza che lo Stato membro richiesto deve attribuire, nell’ambito del suo esame autonomo e aggiornato del rispetto del principio di non‑refoulement, alla decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro, è necessario uno scambio di informazioni tra le autorità competenti di tali due Stati membri (79). Tale scambio di informazioni, richiesto dal principio di leale cooperazione tra gli Stati membri, è anche in grado di garantire la coerenza delle decisioni all’interno dell’SLSG.

D.      L’esame da parte dell’autorità competente dello Stato membro richiesto del rispetto del principio di nonrefoulement deve essere effettuato nel rispetto del principio di leale cooperazione e del requisito di coerenza delle decisioni all’interno dell’SLSG

112. L’effetto probatorio che occorre attribuire ad una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro diverso da quello che deve esaminare una domanda di estradizione implica che, seppur in assenza di una natura giuridicamente vincolante di una tale decisione, l’autorità competente per valutare se accogliere una tale domanda è tenuta a svolgere tutte le indagini necessarie al fine di determinare se la persona richiesta corra un rischio di persecuzione nello Stato richiedente, cosicché questa possa ancora avvalersi della sua qualità di rifugiato, e se altri diritti fondamentali di tale persona siano minacciati (80). Ne consegue che l’autorità competente in materia di estradizione deve contattare l’autorità che ha riconosciuto lo status di rifugiato alla persona richiesta al fine di ottenere da quest’ultima autorità le informazioni necessarie in suo possesso. Inoltre, poiché la fase relativa al procedimento di asilo è gestita da personale specializzato dotato di una conoscenza approfondita della materia, è importante che l’autorità competente per l’estradizione chieda il parere dell’autorità che ha adottato la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato.

113. Aggiungo che l’esame relativo al rispetto del principio di specialità non esime l’autorità competente per l’estradizione dal verificare, attraverso la presa di conoscenza del fascicolo d’asilo e l’avvio di un dialogo con l’autorità che ha riconosciuto lo status di rifugiato, se la persona richiesta possa ancora avvalersi della qualità di rifugiato. L’autorità competente in materia di estradizione nel procedimento principale deve quindi, in un primo tempo, esaminare in modo approfondito l’esistenza di una minaccia di persecuzione, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 2, dell’IRG, e, in un secondo momento, verificare se il principio di specialità o eventuali garanzie siano in grado di rimediare efficacemente a una tale minaccia (81). A tal fine, gli elementi di fatto raccolti nell’ambito del procedimento di asilo devono essere presi in considerazione da tale autorità nel suo esame della domanda di estradizione. Al riguardo, il contenuto di un fascicolo d’asilo può fornire un’indicazione del grado di credibilità delle garanzie fornite dallo Stato richiedente, ad esempio rivelando elementi tali da suggerire che non si possa contare in casi individuali sul rispetto delle garanzie fornite (82).

114. Nell’ambito di un esame rigoroso delle garanzie fornite dallo Stato richiedente, lo Stato richiesto deve accertare, come ho precedente indicato, che, con il pretesto di perseguire un reato di diritto comune, lo Stato richiedente non intenda in realtà perseguire un reato politico o perseguitare la persona richiesta per motivi politici. A tale proposito, il fatto che la domanda di estradizione provenga dallo Stato di origine della persona richiesta, nei confronti del quale è stata ritenuta necessaria la protezione in sede di riconoscimento a tale persona dello status di rifugiato, richiede una particolare vigilanza. Ciò presuppone che lo Stato richiedente fornisca garanzie rigorose e solide che il rischio non si sia aggravato, come richiesto dall’articolo 3, paragrafo 2, della Convenzione europea di estradizione.

115. La necessità di garantire la coerenza delle decisioni adottate all’interno dell’SLSG richiede anche che vi sia uno scambio di informazioni tra l’autorità competente per l’estradizione e l’autorità che ha riconosciuto lo status di rifugiato alla persona richiesta, in conformità con il principio di leale cooperazione (83).

116. Un tale scambio di informazioni può essere utile in particolare quando gli elementi rivelati da una domanda di estradizione possono indurre l’autorità che ha riconosciuto lo status di rifugiato a revocare tale status alla persona richiesta, ad esempio quando tali elementi rivelano l’esistenza di un caso di esclusione da tale status (84). La comunicazione a tale autorità, da parte dell’autorità competente per l’esame della domanda di estradizione, di tutte le informazioni necessarie si rivela quindi tanto più necessaria in quanto l’articolo 45, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 stabilisce che la decisione dell’autorità competente di revocare la protezione internazionale deve indicare i motivi de jure e de facto su cui si basa tale decisione. Tale autorità deve quindi disporre di tutte le informazioni rilevanti per poter procedere, alla luce di tali informazioni, alla propria valutazione di tutte le circostanze specifiche del caso in questione, al fine di determinare il senso della propria decisione nonché di motivare quest’ultima in maniera completa (85).

V.      Conclusione

117. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale posta dall’Oberlandesgericht Hamm (Tribunale superiore del Land, Hamm, Germania) come segue:

L’articolo 78, paragrafo 2, TFUE nonché l’articolo 21, paragrafo 1, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, e l’articolo 9, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale,

devono essere interpretati nel senso che:

qualora un cittadino di un paese terzo a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato in uno Stato membro sia oggetto, in un altro Stato membro in cui risiede, di una domanda di estradizione proveniente dal suo paese terzo di origine, lo Stato membro richiesto non è vincolato, in sede di esame di tale domanda, dalla decisione di riconoscimento di tale status che è stata adottata dal primo Stato membro, cosicché non è tenuto a rifiutare l’estradizione di tale persona finché tale decisione sarà in vigore.

Tuttavia, il principio di non‑refoulement, che è garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, come integrata dal Protocollo sullo status dei rifugiati, nonché dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali, impone allo Stato membro richiesto di negare l’estradizione della persona richiesta qualora, a seguito di un esame autonomo e aggiornato del rispetto di tale principio, tale Stato membro reputi che vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che tale persona vada incontro nel paese di destinazione a un rischio reale di subire trattamenti vietati da tali disposizioni della Carta dei diritti fondamentali.

Nell’ambito di tale esame, la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro costituisce un elemento particolarmente serio di cui lo Stato membro richiesto deve tenere conto per verificare che l’estradizione non pregiudicherà i diritti garantiti dall’articolo 18 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali. A tal fine, e al fine di garantire la coerenza delle decisioni adottate nell’ambito dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia, deve avvenire uno scambio di informazioni tra le autorità competenti di tali Stati membri, conformemente al principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, TUE.


1      Lingua originale: il francese.


2      V. Chetail, V., «Les relations entre le droit de l’extradition et le droit des réfugiés: étude de l’article 1F(B) de la convention de Genève du 28 juillet 1951», in Chetail, V., e Laly-Chevalier, C., Asile et extradition – Théorie et pratique de l’exclusion du statut de réfugié, Bruylant, Bruxelles, 2014, pagg. da 65 a 91, in particolare pag. 65. Tale autore spiega che, «[d]a un punto di vista storico, il diritto dell’estradizione ha plasmato le categorie giuridiche del diritto dei rifugiati alla fine di un lungo processo normativo che ha raggiunto il suo apogeo nel XIX° secolo (...) Tanto in fatto quanto in diritto, l’asilo è stato a lungo concepito nelle relazioni interstatali come un’eccezione alla regola dell’estradizione. Il principio di non estradizione dei criminali politici era al tempo la manifestazione più visibile dell’asilo, in quanto il rifiuto di estradare esprimeva la protezione conferita al rifugiato dal suo Stato ospitante». Pertanto, «[i]l principio di non estradizione per reati politici rappresenta per molti aspetti la matrice concettuale e normativa di quello che sarebbe poi diventato il diritto internazionale dei rifugiati. Il suo contributo è duplice. Si riferisce ai due concetti fondanti del diritto dei rifugiati contemporaneo, ovvero la definizione di rifugiato e il principio di non‑refoulement». (Traduzione libera).


3      V. Chetail, V., op. cit., pag. 66. Tali due branche del diritto «hanno ora fondamenti giuridici distinti, procedure specifiche e un oggetto ad esse proprio». (Traduzione libera).


4      Sulla tutela dei diritti fondamentali in materia di estradizione, v. Costa, M. J., «Human Rights», Extradition Law: Reviewing Grounds for Refusal from the Classic Paradigm to Mutual Recognition and Beyond, Brill Nijhoff, Leiden, 2019, pagg. da 73 a 114.


5      V. Chetail, V., op. cit., pag. 89.


6      V. nota di orientamento sull’estradizione e la protezione internazionale dei rifugiati, aprile 2008; in prosieguo: la «nota di orientamento dell’UNHCR» (punto 2).


7      GU 2013, L 180, pag. 60.


8      GU 2011, L 337, pag. 9.


9      In prosieguo: la «Carta».


10      Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.


11      Concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967.


12      V., in particolare, sentenza del 6 luglio 2023, Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) [C‑663/21; in prosieguo: la «sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave»), EU:C:2023:540, punto 49 e giurisprudenza ivi citata].


13      Firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 (Série des traités du Conseil de l’Europe, n. 24).


14      BGBl. 1982 I, pag. 2071.


15      BGBl. 1992 I, pag. 1126.


16      BGBl. 2008 I, pag. 1798.


17      BGBl. 2021 I, pag. 2467.


18      BGBl. 2008 I, pag. 162.


19      Il giudice del rinvio precisa che, in caso di risposta positiva a tale questione, posto che occorrerebbe quindi considerare A. a rischio di persecuzione politica, sussisterebbe un ostacolo all’estradizione ai sensi del combinato disposto dell’articolo 6, paragrafo 2, dell’IRG e dell’articolo 3, paragrafo 2, della Convenzione europea di estradizione. L’estradizione andrebbe quindi rifiutata.


20      Al riguardo, il giudice del rinvio cita gli articoli 11, 12 e 14 della direttiva 2011/95 nonché gli articoli 44 e 45 della direttiva 2013/32.


21      Tale Corte fa riferimento alla sentenza del 2 aprile 2020, Ruska Federacija (C‑897/19 PPU; in prosieguo: la «sentenza Ruska Federacija», EU:C:2020:262, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).


22      V. sentenza Ruska Federacija (punto 48).


23      In base alle informazioni fornite dal governo tedesco all’udienza pare trattarsi di un soggiorno di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2003, L 16, pag. 44), come modificata dalla direttiva 2011/51/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2011 (GU 2011, L 132, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva 2003/109»). Quest’ultima direttiva ha esteso l’ambito di applicazione della direttiva 2003/109 ai beneficiari di una protezione internazionale.


24      V., in particolare, sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 49 e giurisprudenza ivi citata).


25      V. nota di orientamento dell’UNHCR (punto 8).


26      C‑182/15, EU:C:2016:630.


27      V. sentenze del 6 settembre 2016, Petruhhin (C‑182/15, EU:C:2016:630, punto 60); del 13 novembre 2018, Raugevicius (C‑247/17, EU:C:2018:898, punto 49); Ruska Federacija (punti 63 e 64); del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina) (C‑398/19, EU:C:2020:1032, punto 45), nonché del 22 dicembre 2022, Generalstaatsanwaltschaft München (Domanda di estradizione verso la BosniaErzegovina) (C‑237/21, EU:C:2022:1017, punto 55).


28      V., in particolare, sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


29      V., in particolare, sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 38 e giurisprudenza ivi citata).


30      V., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2023, Commissione/Ungheria (Dichiarazione di intenti precedente ad una domanda di asilo) (C‑823/21, EU:C:2023:504, punto 52).


31      V. sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17; in prosieguo: la «sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato)», EU:C:2019:403). Tornerò su tale aspetto nel prosieguo.


32      V., per analogia, sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 50 e giurisprudenza ivi citata). Nell’ambito di un procedimento di estradizione, la verifica del rispetto del principio di non‑refoulement è giustificata dal fatto che la persona di cui si chiede l’estradizione per un reato di diritto comune può essere perseguitata politicamente, ad esempio se l’azione penale è solo un motivo o un pretesto per perseguitarla a causa di caratteristiche rilevanti ai fini dell’asilo.


33      Si tratta delle cause Bundesrepublik Deutschland (Effetto di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato) (C‑753/22), El Baheer (C‑288/23) e Cassen (C‑551/23). Tali tre cause traggono origine da domande di protezione internazionale presentate da cittadini di paesi terzi o da apolidi, ai quali è stato riconosciuto lo status di rifugiato in un altro Stato membro, ovvero la Repubblica ellenica. In una tale situazione, lo Stato membro a cui viene presentata la nuova domanda potrebbe avvalersi della facoltà, prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, di dichiarare tale domanda inammissibile a causa del riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’altro Stato membro. Tuttavia, una tale possibilità deve essere esclusa, conformemente alla giurisprudenza della Corte, qualora l’interessato corra un serio rischio di essere sottoposto, in tale altro Stato membro, a trattamenti inumani e degradanti contrari all’articolo 4 della Carta, in ragione delle prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe [v. sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punti da 83 a 94), nonché ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar (C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964, punti da 34 a 36)]. Pertanto, l’autorità competente dello Stato membro a cui viene presentata la nuova domanda non può invocare l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 per respingerla in quanto inammissibile. Tale autorità deve quindi considerare tale domanda ammissibile e pronunciarsi sul merito della stessa. In ciascuna di tali cause, il giudice del rinvio chiede quindi alla Corte se, in base alle norme del sistema europeo comune di asilo, detta autorità debba procedere a un esame autonomo della nuova domanda o se sia obbligata a riconoscere al richiedente lo status di rifugiato senza verificare le condizioni sostanziali di tale protezione, per il solo fatto che un altro Stato membro ha già riconosciuto tale status a tale richiedente.


34      V., in particolare, al riguardo, risoluzione del Parlamento europeo, del 12 aprile 2016, sulla situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione [2015/2095(INI)], punto 39. V., a favore di un’evoluzione del diritto dell’Unione in materia, European Council on Refugees and Exiles, Protected across borders: Mutual recognition of asylum decisions in the EU – ECRE’s assessment of legal provisions and practice on mutual recognition, and its recommendations for reforms to create a status «valid throughout the Union», 2016. V. anche Rasche, L., «Un nouveau départ dans la politique d’asile de l’UE», disponibile al seguente indirizzo https://institutdelors.eu/wp-content/uploads/2020/10/7-MIGRATION-Rasche-FR.pdf, pag. 5. Il reciproco riconoscimento delle decisioni di riconoscimento dello status di rifugiato è certamente inscindibile da una maggiore armonizzazione delle condizioni e delle procedure in materia: v., al riguardo, proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, presentata il 13 luglio 2016, recante norme sull’attribuzione a cittadini di paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria e sul contenuto della protezione riconosciuta, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo [COM(2016) 466 final].


35      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 80 e giurisprudenza ivi citata).


36      V. sentenza del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2022:103, punto 37).


37      V., in particolare, sentenza del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2022:103, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


38      Firmata a Roma il 4 novembre 1950.


39      Ricordo che, ai sensi di tale disposizione, uno Stato membro può giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile se un altro Stato membro ha concesso una tale protezione.


40      V., in particolare, sentenza del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2022:103, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


41      GU 2013, L 180, pag. 31.


42      V., in tal senso, sentenza del 10 dicembre 2013, Abdullahi (C‑394/12, EU:C:2013:813, punti 54 e 55). Come dichiarato dalla Corte in tale sentenza, «le norme applicabili alle domande d’asilo sono state, in larga misura, armonizzate a livello dell’Unione, in particolare, da ultimo, ad opera delle direttive 2011/95 e 2013/32» (punto 54). Ne consegue, secondo la Corte, che «la domanda di un richiedente asilo verrà esaminata, in ampia misura, in base alle stesse norme, indipendentemente da quale sia lo Stato membro competente per l’esame di tale domanda» (punto 55).


43      V. sentenze del 6 luglio 2023, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Reato di particolare gravità) (C‑402/22, EU:C:2023:543, punto 36), nonché del 6 luglio 2023, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (C‑8/22, EU:C:2023:542, punto 42).


44      V., in particolare, considerando 6 del regolamento n. 604/2013, considerando 7 e da 9 a 11 della direttiva 2011/95, nonché considerando 4 e 12 della direttiva 2013/32.


45      V., ad esempio, la direttiva 2001/40/CE del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi (GU 2001, L 149, pag. 34), il cui obiettivo è, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, «consentire il riconoscimento di una decisione di allontanamento adottata da un’autorità competente di uno Stato membro (...) nei confronti di un cittadino di un paese terzo che si trovi nel territorio di un altro Stato membro». Inoltre, in materia penale, la norma ai sensi della quale gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del reciproco riconoscimento non solo è dedotta dal principio della fiducia reciproca, ma è espressamente menzionata all’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (GU 2002, L 190, pag. 1).


46      Così, ad esempio, nella sua sentenza del 10 dicembre 2020, Shiksaitov c. Slovacchia (CE:CEDU:2020:1210JUD005675116, §§ da 68 a 75), tale Corte risponde all’argomentazione del ricorrente secondo cui la sua detenzione sarebbe illegittima in quanto, in considerazione del suo status di rifugiato ottenuto in Svezia, non avrebbe potuto essere sottoposto ad una misura di estradizione da parte delle autorità slovacche, che tali ultime non erano vincolate dal riconoscimento di tale status, che esse potevano segnatamente riesaminare in relazione all’eventuale applicabilità di una clausola di esclusione.


47      Letto in combinato disposto con il considerando 43 della direttiva 2013/32, secondo cui gli Stati membri devono, in linea di principio, esaminare tutte le domande nel merito, l’articolo 33, paragrafo 1, di tale direttiva prevede una deroga che si traduce in un elenco esaustivo di motivi di inammissibilità contenuto nell’articolo 33, paragrafo 2, della stessa direttiva: v. Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA), Un’analisi giuridica: Procedure di asilo e il principio di non-refoulement, 2018, pag. 113. Secondo la Corte, la possibilità di dichiarare una domanda inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 si spiega, in particolare, con l’importanza del principio di fiducia reciproca, di cui tale disposizione costituisce un’espressione: v. sentenze del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2022:103, punti 29 e 37), nonché del 1° agosto 2022, Bundesrepublik Deutschland (Figlio di rifugiati, nato fuori dallo Stato ospitante) (C‑720/20, EU:C:2022:603, punto 50). Si tratta di una deroga all’obbligo degli Stati membri di esaminare nel merito tutte le domande di protezione internazionale: v., al riguardo, sentenza del 22 febbraio 2022, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2022:103, punti 24 e 25), nonché conclusioni dell’avvocato generale Pikamäe nella causa Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2021:780, paragrafo 63).


48      C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punti da 83 a 94.


49      V. conclusioni dell’avvocato generale Pikamäe nella causa del Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Unità familiare – Protezione già accordata) (C‑483/20, EU:C:2021:780, paragrafo 64). Ritengo tuttavia, come esporrò nel prosieguo in riferimento ad un procedimento di estradizione, che una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro in applicazione dei criteri comuni costituisca un indizio particolarmente serio di un rischio di persecuzione e debba quindi, per tale motivo e in uno spirito di fiducia reciproca, essere presa in considerazione dall’autorità nuovamente adita.


50      V., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 50).


51      V. considerando 13 della direttiva 2011/95 e considerando 13 della direttiva 2013/32. V., in particolare, con riferimento a tale obiettivo, sentenza del 10 dicembre 2020, Minister for Justice and Equality (Domanda di protezione internazionale in Irlanda) (C‑616/19, EU:C:2020:1010, punti 51 e 52).


52      Al riguardo, ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 2011/95, «[g]li Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva». Inoltre, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2013/32, «[g]li Stati membri possono introdurre o mantenere in vigore criteri più favorevoli in ordine alle procedure di riconoscimento e revoca dello status di protezione internazionale, purché tali criteri siano compatibili con la presente direttiva».


53      GU 2005, L 326, pag. 13.


54      V. EUAA, Un’analisi giuridica: Procedure di asilo e il principio di non-refoulement, op. cit., pag. 82.


55      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 85).


56      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 86).


57      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 92).


58      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 98).


59      V. sentenza M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (punto 100).


60      V., per quanto riguarda la revoca dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 39).


61      V., in particolare, per quanto riguarda la revoca dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


62      V. sentenza Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (punto 42).


63      GU 2008, L 348, pag. 98.


64      V. Forteau, M., e Laly‑Chevalier, C., «Les problèmes d’articulation des procédures d’asile, d’extradition et d’entraide judiciaire pénale», in Chetail, V., e Laly‑Chevalier, C., Asile et extradition – Théorie et pratique de l’exclusion du statut de réfugié, op. cit., pagg. da 145 a 203, in particolare pag. 162, che citano, a titolo esemplificativo, una sentenza della Corte Suprema del Canada, Németh c. Canada, 2010 SCC 56, § 30. Non può quindi essere accolta l’interpretazione sostenuta dal governo italiano, secondo cui, sulla base del principio di leale cooperazione, l’autorità che decide sulla domanda di estradizione dovrebbe informare l’autorità competente dello Stato membro che ha riconosciuto lo status di rifugiato di tale domanda e accordare a quest’ultima un termine ragionevole per determinare se vi siano o meno motivi per revocare lo status di rifugiato.


65      V. nota di orientamento dell’UNHCR (punto 5). Come osserva l’UNHCR, «[n]ei casi di estradizione riguardanti una persona rifugiata o richiedente asilo, alcuni principi e disposizioni del diritto estradizionale offrono una serie di garanzie giuridiche alla persona coinvolta. Ad esempio, la persona richiesta può beneficiare dell’applicazione del principio di specialità; di limitazioni circa la riestradizione dallo Stato richiedente ad un terzo Stato; della possibilità che l’estradizione sia concessa a condizione che la persona richiesta possa ritornare nello Stato richiesto a conclusione del procedimento penale o della espiazione della pena; il divieto di estradizione per reati politici; o altri tradizionali motivi di rifiuto di estradizione, quali quelli relativi alla pena di morte e a questioni di giustizia e equità. Le cosiddette “clausole di non-discriminazione”, secondo cui l’estradizione può o deve essere rifiutata quando richiesta per motivi politici o con intenti persecutori o discriminatori, sono frutto dell’evoluzione più recente del diritto in tema di estradizione» (punto 5). V. anche Forteau, M., e Laly‑Chevalier, C., op. cit., nella nota a pag. 46, che indicano che, secondo il Tribunale federale svizzero e la Corte Suprema del Canada, l’articolo 3, paragrafo 2, della Convenzione europea di estradizione costituisce l’espressione concreta del principio di non‑refoulement inscritto nel diritto dei rifugiati nel contesto del diritto dell’estradizione. V., nello stesso senso, Chetail, V., op. cit., che osserva che «[n]on si può fare a meno di notare il parallelismo tra tale disposizione e la definizione di rifugiato contenuta nell’articolo 1A(2) della Convenzione di Ginevra. Tuttavia, tale articolo differisce da [tale convenzione] sotto due aspetti. La Convenzione europea [di estradizione] non include il concetto di “appartenenza a un determinato gruppo sociale”, considerato troppo vago. Fatta salva tale riserva, l’articolo 3, paragrafo 2, è invece più ampio della definizione di rifugiato, in quanto non esclude gli autori di un reato grave di diritto comune e protegge l’individuo richiesto, allorché la sua situazione rischi di aggravarsi per uno dei motivi summenzionati e non solo quando esiste un rischio di persecuzione» (pag. 79). (Traduzione libera).


66      Per riprendere i termini utilizzati da Chetail, V., op. cit., pag. 66.


67      Più in generale, si sta sviluppando una “autonomizzazione” dell’esame del rispetto del principio di non‑refoulement. V., al riguardo, Chetail, V., op. cit., che sottolinea come, laddove sussista un rischio reale di tortura o di trattamenti inumani o degradanti nello Stato di destinazione, «[il] principio di non‑refoulement non (...) si limita a precludere l’estradizione in presenza di un tale rischio nello Stato richiedente. Esso neutralizza anche le conseguenze dell’esclusione dallo status di rifugiato, che non è più sinonimo di espulsione verso il paese di origine» (pag. 90). Traduzione libera.


68      V. sentenza Ruska Federacija (punti 64 e 65).


69      V. sentenza Ruska Federacija (punto 65 e giurisprudenza ivi citata).


70      V. sentenza Ruska Federacija (punto 66). Secondo la Corte, un elemento di questo tipo è particolarmente importante ai fini della suddetta verifica quando la concessione dell’asilo è stata fondata proprio sul procedimento penale cui la persona interessata è sottoposta nel suo paese di origine e che ha portato all’emissione da parte di quest’ultimo di una domanda di estradizione nei confronti di tale persona (punto 67).


71      V. sentenza Ruska Federacija (punto 68).


72      V. accordo tra la Comunità europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia relativo ai criteri e meccanismi per determinare lo Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno Stato membro oppure in Islanda o in Norvegia (GU 2001, L 93, pag. 40).


73      V., per quanto riguarda il Regno di Norvegia, sentenza del 20 maggio 2021, L.R. (Domanda di asilo respinta dalla Norvegia) (C‑8/20, EU:C:2021:404, punti 39 e 45).


74      V., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020 Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale) (C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punti 164 e 182).


75      V. Schierholt, C. e Zimmermann, F., «§ 6 Politische Straftaten, politische Verfolgung», in Schomburg, W., e Lagodny, O., lnternationale Rechtshilfe in Strafsachen, 6ª ed., C. H. Beck, Monaco di Baviera, 2020, pag. 130.


76      V. Forteau, M., e Laly‑Chevalier, C., op. cit., che osservano che «le informazioni rivelate nell’ambito del procedimento di estradizione possono avere un impatto sulla decisione sulla domanda di asilo e in particolare sull’applicazione delle clausole di esclusione, mentre, al contrario, l’esito del procedimento di asilo costituirà un elemento essenziale di cui lo Stato richiesto dovrà tenere conto quando cercherà di stabilire se la persona richiesta possa o meno essere legittimamente estradata» (pag. 162). (Traduzione libera).


77      V. nota di orientamento dell’UNHCR (punto 55).


78      V. nota di orientamento dell’UNHCR (punto 55). V., al riguardo, Forteau, M., e Laly‑Chevalier, C., op. cit. Tali autori deducono da tali elementi che «[i]l tenore delle eccezioni che l’UNHCR ammette relativamente [all’effetto extraterritoriale della Convenzione di Ginevra] rivela (...) che in realtà l’autorità del foro dispone sempre di un potere di riesame del fascicolo e di verifica della fondatezza della valutazione dell’autorità straniera». A loro avviso, «[n]on sembra quindi sussistere, a rigore, un “effetto extraterritoriale” quale quello che vi sarebbe nel contesto di un meccanismo di reciproco riconoscimento – un meccanismo che, peraltro, la [Convenzione di Ginevra] non prevede. Per “effetto extraterritoriale”, l’UNHCR sembra in definitiva riferirsi all’effetto probatorio e non all’effetto esecutivo della decisione emessa dall’autorità straniera» (pagg. 186 e 187). Traduzione libera.


79      Mi sembra, a tale proposito, pertinente tracciare un parallelo con la situazione cui ho fatto riferimento in precedenza, nella quale, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32, che costituisce un’espressione del principio di fiducia reciproca, gli Stati membri hanno la facoltà di giudicare inammissibile una nuova domanda di protezione internazionale se un altro Stato membro ha già concesso una tale protezione. Infatti, tanto tale principio, quanto il principio di leale cooperazione implicano inoltre, a mio avviso, che l’autorità accertante di uno Stato membro che decida – o vi sia obbligata, nell’ipotesi evidenziata nella sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219) – di effettuare un proprio esame di una tale domanda, non possa ignorare la decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da un altro Stato membro. Tale autorità deve quindi tenere conto di tale decisione dopo uno scambio di informazioni con l’autorità che l’ha adottata, pur potendo discostarsene se scopre circostanze specifiche tali da motivare l’adozione di una decisione che vada in una direzione diversa. Al riguardo, ancorché l’esistenza di criteri armonizzati dal legislatore dell’Unione implichi che le valutazioni effettuate dalle autorità successivamente adite dovrebbero, in linea di principio, convergere, non si può, tuttavia, escludere che la nuova autorità adita possa giungere ad una conclusione diversa da quella precedentemente raggiunta da un’altra autorità. Ciò può accadere se si verifica un cambiamento di circostanze o anche se viene alla luce un nuovo elemento che era sconosciuto allo Stato membro che aveva riconosciuto lo status di rifugiato. La nuova domanda potrebbe allora essere respinta.


80      V. Schierholt, C., e Zimmermann, F., op. cit., pag. 129.


81      V. Schierholt, C., e Zimmermann, F., op. cit., pag. 129.


82      V. Marx, R., AsylG – Kommentar zum Asylgesetz, 10ª ed., Luchterhand, Colonia, 2019, pag. 275, § 10. Al riguardo, richiamo i requisiti relativi alle garanzie da fornire stabiliti dalla Corte nella sua sentenza Ruska Federacija (punto 65).


83      V. Forteau, M., e Laly‑Chevalier, C., op. cit., che dichiarano che «[l]e procedure di asilo e di estradizione devono essere coordinate in modo da garantire che gli imperativi di ciascuna siano presi in considerazione nell’ambito dell’attuazione dell’altra», pur osservando che «[n]on si tratta in alcun modo di far prevalere una procedura rispetto all’altra» (pag. 153). Il rapporto tra le due procedure non deve quindi essere visto dal punto di vista di un «conflitto normativo», ma cercando «un’applicazione o un’interpretazione conforme», di modo che «le due branche del diritto possano perfettamente coesistere» (pag. 155). In altri termini, non si tratta di far prevalere il diritto dell’estradizione sul diritto dei rifugiati o viceversa, ma di «garantire l’applicazione concomitante dei due» (pag. 156). Pertanto, «i due corpi normativi obbediscono ad una complessa dinamica di conciliazione o di coordinamento e non a un semplicistico principio di gerarchia» (pag. 158). Inoltre, secondo tali autori «[l]a cooperazione tra autorità competenti in materia di asilo e di estradizione può rivelarsi molto utile (...) promuovendo un processo decisionale più rapido e meglio informato grazie ad una condivisione più fluida delle informazioni» (pag. 162). (Traduzione libera).


84      Al riguardo, ricordo che, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2011/95, «[g]li Stati membri revocano, cessano o rifiutano di rinnovare lo status di rifugiato di un cittadino di un paese terzo o di un apolide qualora, successivamente al riconoscimento dello status di rifugiato, lo Stato membro interessato abbia stabilito che (...) la persona in questione avrebbe dovuto essere esclusa o è esclusa dallo status di rifugiato ai sensi dell’articolo 12 [di tale direttiva]». Quest’ultima disposizione prevede, al suo paragrafo 2, lettera b), che «[u]n cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che (...) abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato».


85      V., in particolare, sentenza del 6 luglio 2023, Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (C‑8/22, EU:C:2023:542, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

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