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Document 62019CJ0930

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 2 settembre 2021.
X contro Stato belga.
Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 13, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione – Matrimonio tra un cittadino dell’Unione e un cittadino di un paese terzo – Mantenimento, in caso di divorzio, del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge – Obbligo di dimostrare l’esistenza di risorse sufficienti – Assenza di tale obbligo nella direttiva 2003/86/CE – Validità – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 20 e 21 – Parità di trattamento – Differenza di trattamento a seconda che il richiedente il ricongiungimento sia cittadino dell’Unione o cittadino di un paese terzo – Non comparabilità delle situazioni.
Causa C-930/19.

Court reports – general

ECLI identifier: ECLI:EU:C:2021:657

Causa C‑930/19

X

contro

État belge

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri)]

Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 2 settembre 2021

«Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 13, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione – Matrimonio tra un cittadino dell’Unione e un cittadino di un paese terzo – Mantenimento, in caso di divorzio, del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge – Obbligo di dimostrare l’esistenza di risorse sufficienti – Assenza di tale obbligo nella direttiva 2003/86/CE – Validità – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 20 e 21 – Parità di trattamento – Differenza di trattamento a seconda che il richiedente il ricongiungimento sia cittadino dell’Unione o cittadino di un paese terzo – Non comparabilità delle situazioni»

  1. Cittadinanza dell’Unione – Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38 – Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio – Ambito di applicazione – Cittadino di un paese terzo che ha subito atti di violenza domestica durante il matrimonio e divorziato da un cittadino dell’Unione che ha lasciato lo Stato membro ospitante prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio – Inclusione – Presupposto

    [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38, art. 13, § 2, comma 1, c)]

    (v. punti 33-37, 40, 42-44)

  2. Cittadinanza dell’Unione – Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38 – Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio – Cittadino di un paese terzo che ha subito atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge, cittadino dell’Unione – Presupposti – Obbligo di disporre di risorse sufficienti – Assenza di un obbligo siffatto nella direttiva 2003/86 nel caso in cui anche il coniuge sia cittadino di un paese terzo – Situazioni non comparabili – Violazione del principio di parità di trattamento – Insussistenza

    (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 20; direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2004/38, artt. 13, §2, direttiva del Consiglio 2003/86, art. 15 § 3)

    (v. punti 57, 58, 70, 89, 90)

Sintesi

A giudizio della Corte, il cittadino di un paese terzo vittima di atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge, cittadino dell’Unione, non si trova in una situazione comparabile a quella del cittadino di un paese terzo, vittima di atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge, cittadino di un paese terzo

Ne consegue che un’eventuale differenza di trattamento derivante da queste due situazioni non viola l’uguaglianza davanti alla legge sancita dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

Nel 2012, X, cittadino algerino, ha raggiunto la moglie francese in Belgio, dove gli è stato rilasciato un permesso di soggiorno come familiare di un cittadino dell’Unione.

Nel 2015, egli è stato costretto a lasciare il domicilio coniugale a causa di atti di violenza domestica di cui era vittima da parte della moglie. Qualche mese più tardi, quest’ultima ha lasciato il Belgio per stabilirsi in Francia. Quasi tre anni dopo tale partenza, X ha presentato istanza di divorzio. Il divorzio è stato pronunciato il 24 luglio 2018.

Nel frattempo, lo Stato belga aveva posto fine al diritto di soggiorno di X, in quanto egli non aveva fornito la prova di disporre di risorse sufficienti per sopperire alle proprie necessità. Infatti, conformemente alla disposizione belga intesa a recepire l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 ( 1 ), in caso di divorzio o di cessazione della coabitazione dei coniugi, il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo che sia stato vittima di atti di violenza domestica commessi dal coniuge cittadino dell’Unione è subordinato a talune condizioni, tra cui, in particolare, quella di disporre di risorse sufficienti.

X ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), con la motivazione che esiste una differenza di trattamento ingiustificata tra il coniuge di un cittadino dell’Unione e quello di un cittadino di un paese terzo legalmente residente in Belgio. Infatti, la disposizione belga che ha recepito l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 ( 2 ) assoggetta, in caso di divorzio o di separazione, il mantenimento del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo, che ha beneficiato del diritto al ricongiungimento familiare con un altro cittadino di un paese terzo e che sia stato vittima di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo, unicamente alla prova dell’esistenza di tali atti.

Il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri) ritiene che, per quanto concerne le condizioni di mantenimento, in caso di divorzio, del diritto di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che siano stati vittime di atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge, il regime istituito dalla direttiva 2004/38 sia meno favorevole di quello istituito dalla direttiva 2003/86. Esso ha quindi invitato la Corte a pronunciarsi sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, segnatamente alla luce del principio della parità di trattamento previsto dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Nella sua sentenza, pronunciata in Grande Sezione, la Corte, in primo luogo, limita la portata della sua giurisprudenza riguardante l’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, in particolare della sentenza NA ( 3 ). In secondo luogo, essa non ravvisa alcun elemento atto ad inficiare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva alla luce dell’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali.

Giudizio della Corte

Prima di procedere all’esame di validità, la Corte chiarisce l’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, in forza del quale il diritto di soggiorno è mantenuto in caso di divorzio qualora situazioni particolarmente difficili lo richiedano, come il fatto di essere stati vittima di atti di violenza domestica durante il matrimonio. Si pone in particolare la questione se tale disposizione sia applicabile qualora, come nel procedimento principale, il procedimento giudiziario di divorzio sia stato avviato dopo la partenza del coniuge cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante considerato.

Contrariamente alla sentenza NA, la Corte reputa che, ai fini del mantenimento del diritto di soggiorno sulla base della disposizione di cui trattasi, il procedimento giudiziario di divorzio possa essere avviato dopo tale partenza. Tuttavia, al fine di garantire la certezza del diritto, un cittadino di un paese terzo, che sia stato vittima di atti di violenza domestica commessi dal proprio coniuge cittadino dell’Unione, il cui procedimento giudiziario di divorzio non sia stato avviato prima della partenza di quest’ultimo dallo Stato membro ospitante, può fare valere il mantenimento del suo diritto di soggiorno unicamente qualora detto procedimento sia avviato entro un termine ragionevole successivamente a tale partenza. Occorre, infatti, lasciare al cittadino considerato del paese terzo il tempo sufficiente per effettuare una scelta tra le due opzioni che la direttiva 2004/38 gli offre al fine di mantenere un diritto di soggiorno, che sono o l’avvio di un procedimento giudiziario di divorzio al fine di beneficiare di un diritto di soggiorno personale ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), o il suo stabilimento nello Stato membro in cui risiede il cittadino dell’Unione al fine di mantenere il suo diritto derivato di soggiorno.

Per quanto riguarda la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la Corte conclude che tale disposizione non comporta una discriminazione. Invero, sebbene l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 e l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 condividano l’obiettivo di garantire la protezione dei familiari vittime di violenza domestica, i regimi istituiti da tali direttive rientrano in settori diversi i cui principi, oggetto ed obiettivi sono anch’essi diversi. Inoltre, i beneficiari della direttiva 2004/38 godono di uno status diverso e di diritti di natura diversa da quelli di cui possono avvalersi i beneficiari della direttiva 2003/86 e il potere discrezionale riconosciuto agli Stati membri per applicare le condizioni fissate nelle suddette direttive non è lo stesso. Nel caso di specie, pertanto, è proprio una scelta operata dalle autorità belghe nell’ambito dell’esercizio dell’ampio potere discrezionale loro riconosciuto dall’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 2003/86 che ha condotto al trattamento diverso di cui si lamenta il ricorrente nel procedimento principale.

Di conseguenza, per quanto riguarda il mantenimento del loro diritto di soggiorno, i cittadini di paesi terzi, coniugi di un cittadino dell’Unione, che siano stati vittime di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo e che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38, da un lato, e i cittadini di paesi terzi, coniugi di un altro cittadino di un paese terzo, che siano stati vittime di atti di violenza domestica commessi da quest’ultimo e che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/86, dall’altro, non si trovano in una situazione comparabile ai fini dell’eventuale applicazione del principio di parità di trattamento garantito dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali.


( 1 ) Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2014, L 305, pag. 116).

( 2 ) Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12).

( 3 ) Sentenza del 30 giugno 2016, NA (C-115/15, EU:C:2016:487).

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