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Document 62012CJ0580

Guardian Industries e Guardian Europe / Commissione

Causa C‑580/12 P

Guardian Industries Corp.

e

Guardian Europe Sàrl

contro

Commissione europea

«Impugnazione — Intese — Mercato del vetro piano nello Spazio economico europeo (SEE) — Fissazione dei prezzi — Calcolo dell’importo dell’ammenda — Considerazione delle vendite interne delle imprese — Termine ragionevole — Ricevibilità dei documenti prodotti ai fini dell’udienza dinanzi al Tribunale»

Massime – Sentenza della Corte (Terza Sezione) del 12 novembre 2014

  1. Procedimento giurisdizionale — Durata del procedimento dinanzi al Tribunale — Termine ragionevole — Lite vertente sulla sussistenza di un’infrazione delle regole di concorrenza — Inosservanza del termine ragionevole — Conseguenze — Responsabilità extracontrattuale — Domanda basata su un’eccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale — Composizione del collegio giudicante

    (Art. 256, § 1, TFUE; Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 47, comma 2)

  2. Diritto dell’Unione europea — Principi — Diritti della difesa — Principio della parità delle armi — Osservanza nel contesto di un procedimento giurisdizionale — Portata — Produzione di un nuovo documento l’ultimo giorno feriale prima dell’udienza — Ricevibilità — Presupposti

    (Istruzioni al cancelliere del Tribunale, art. 11, § 3)

  3. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Potere discrezionale della Commissione — Limiti — Rispetto del principio di parità di trattamento — Calcolo dell’importo di base dell’ammenda — Metodo di calcolo definito dagli orientamenti adottati dalla Commissione — Vendite cui l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce — Fatturato preso in considerazione — Esclusione del fatturato interno al gruppo di imprese — Discriminazione delle imprese non integrate verticalmente — Violazione del principio di parità di trattamento

    (Art. 81, § 1, CE; regolamento del Consiglio n. 1/2003, art. 23, §§ 2 e 3; comunicazione della Commissione 2006/C 210/02, punto 13)

  4. Concorrenza — Ammende — Importo — Determinazione — Sindacato giurisdizionale — Competenza estesa al merito del giudice dell’Unione — Portata — Limite — Rispetto del principio di non discriminazione — Decisione della Commissione viziata da una violazione del principio di parità di trattamento — Conseguenze — Riduzione dell’importo dell’ammenda a vantaggio dell’impresa discriminata

    (Regolamento del Consiglio n. 1/2003, artt. 23, §§ 2 e 3, e 31)

  1.  La violazione, da parte di un organo giurisdizionale dell’Unione europea, del proprio obbligo, derivante dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, di decidere le controversie ad esso sottoposte entro un termine ragionevole dev’essere sanzionata nell’ambito di un ricorso per risarcimento danni presentato dinanzi al Tribunale, ricorso che costituisce un rimedio effettivo.

    Ne consegue che una domanda intesa ad ottenere il risarcimento del danno causato dalla violazione, da parte del Tribunale, del termine ragionevole del procedimento non può essere presentata direttamente alla Corte nel contesto di un’impugnazione, ma dev’essere proposta dinanzi al Tribunale stesso.

    A tale riguardo, spetta al Tribunale, competente a norma dell’articolo 256, paragrafo 1, TFUE, pronunciarsi, eventualmente, su tali domande di risarcimento, ove la decisione dovrà essere pronunciata da un collegio composto diversamente da quello che ha conosciuto della controversia oggetto del procedimento la cui durata è contestata, applicando i criteri definiti ai punti da 91 a 95 della sentenza Gascogne Sack Deutschland/Commissione (EU:C:2013:768).

    (v. punti 17‑19)

  2.  Il principio del rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione. Costituirebbe violazione di tale principio fondare una decisione giurisdizionale su fatti e documenti di cui le parti stesse o una di esse non abbiano potuto avere conoscenza e in merito alle quali non abbiano quindi avuto modo di esprimersi. Il principio di parità delle armi, che costituisce un corollario della nozione stessa di equo processo ed è volto a garantire l’equilibrio tra le parti del giudizio, garantendo così che qualsiasi documento prodotto dinanzi al giudice possa essere esaminato e contestato da ciascuna di esse, implica l’obbligo di fornire a ciascuna delle parti la ragionevole possibilità di poter agire in giudizio e produrre prove, in condizioni che non le penalizzino nettamente rispetto ai propri avversari.

    A tale riguardo, non costituisce una violazione dei diritti della difesa il fatto di considerare ricevibile un documento presentato da una delle parti qualora, da un lato, la controparte abbia potuto disporre di tre giorni per prendere conoscenza del suo contenuto prima dell’udienza, termine che, in considerazione della natura e del contenuto di tale documento e indipendentemente dal rispetto dell’articolo 11, paragrafo 3, delle istruzioni al cancelliere del Tribunale, non può essere considerato esageratamente breve, e, dall’altro, detta controparte non abbia chiesto di potere commentare il documento per iscritto né abbia richiesto un rinvio dell’udienza.

    (v. punti 30, 31, 33, 34)

  3.  In materia di diritto della concorrenza, anche se la Commissione dispone di un potere discrezionale quanto al calcolo dell’importo dell’ammenda, l’esercizio di tale potere è limitato, tra l’altro, dalle regole di condotta che la Commissione si è essa stessa imposta, segnatamente con gli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 1/2003.

    A termini del punto 13 di tali orientamenti, al fine di determinare l’importo di base dell’ammenda da infliggere, la Commissione utilizzerà il valore delle vendite di beni o servizi, ai quali l’infrazione direttamente o indirettamente si riferisce, realizzate dall’impresa nell’area geografica interessata all’interno dello Spazio economico europeo. Detto punto 13 mira ad assumere, quale base iniziale ai fini del calcolo dell’ammenda inflitta ad un’impresa, un importo che rifletta l’importanza economica dell’infrazione ed il peso relativo dell’impresa interessata nell’infrazione medesima. A tale riguardo, se la nozione di valore delle vendite di cui al punto 13 non può, certamente, estendersi sino a ricomprendere le vendite realizzate dall’impresa interessata non ricomprese nella sfera di applicazione dell’intesa contestata, l’obiettivo perseguito da tale disposizione risulterebbe tuttavia pregiudicato se tale nozione dovesse essere letta nel senso che ricomprenda unicamente il fatturato realizzato con le sole vendite per le quali risulti accertata la loro effettiva connessione con l’intesa stessa. Tale limitazione produrrebbe, inoltre, l’effetto di minimizzare artificialmente la rilevanza economica dell’infrazione commessa da una determinata impresa, considerato che la mera circostanza di aver reperito un numero limitato di prove dirette di vendite realmente interessate dall’intesa si risolverebbe nell’infliggere, in definitiva, un’ammenda priva di alcuna reale relazione con la sfera di applicazione dell’intesa medesima. Una siffatta ricompensa del segreto pregiudicherebbe parimenti l’obiettivo di repressione e di efficace sanzione delle infrazioni all’articolo 81 CE e, quindi, non può essere ammessa. Inoltre, la quota del volume di affari proveniente dalla vendita dei prodotti oggetto dell’infrazione costituisce l’elemento più idoneo per riflettere l’importanza economica dell’infrazione stessa.

    Non occorre, quindi, operare una distinzione tra tali vendite a seconda che siano state effettuate nei confronti di terzi indipendenti o di entità appartenenti ad una stessa impresa. Non tener conto del valore delle vendite afferenti quest’ultima categoria significherebbe necessariamente avvantaggiare, ingiustificatamente, le società integrate verticalmente, consentendo loro di sfuggire ad una sanzione proporzionata alla loro importanza sul mercato dei prodotti oggetto dell’infrazione. Infatti, oltre al vantaggio che può scaturire da un accordo di fissazione orizzontale dei prezzi nell’ambito di vendite a terzi indipendenti, le imprese integrate verticalmente possono parimenti trarre beneficio da un accordo di tal genere sul mercato a valle dei prodotti trasformati nella composizione dei quali rientrino prodotti oggetto dell’infrazione, e ciò per un duplice ordine di motivi.

    Non potendo essere operata, per effetto dell’applicazione di metodi di calcolo differenti, una discriminazione tra le imprese che hanno partecipato ad una stessa infrazione all’articolo 81 CE, ne consegue che, ai fini della determinazione di detto volume di affari, le imprese verticalmente integrate si trovano in una situazione comparabile a quella dei produttori non integrati verticalmente. Dato che il principio della parità di trattamento esige che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera identica, a meno che un trattamento siffatto non sia obiettivamente giustificato, questi due tipi di imprese devono essere quindi trattati in maniera uguale. Escludere le vendite interne dal fatturato pertinente si risolverebbe nel favorire le prime, riducendo il loro peso relativo nell’infrazione a danno delle altre.

    (v. punti 51, 55‑60, 62, 63)

  4.  In caso di fondatezza di un motivo diretto a ottenere la riduzione dell’importo di un’ammenda inflitta per infrazione delle regole di concorrenza, spetta alla Corte, nell’ambito della propria competenza estesa al merito, procedere essa stessa alla valutazione delle circostanze nella specie e del tipo di infrazione di cui trattasi al fine di determinare l’importo dell’ammenda.

    Nel caso di un’ammenda di cui la Commissione ha determinato l’importo secondo un metodo che viola il principio della parità di trattamento, la Corte può, in particolare, ridurre tale ammenda, purché sia evitata qualsiasi discriminazione tra le imprese che hanno partecipato all’infrazione.

    (v. punti 69, 72, 75, 78)

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