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Document 62022CJ0402

    Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 luglio 2023.
    Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid contro M.A.
    Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/ UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Revoca dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – Pericolo per la comunità – Controllo di proporzionalità.
    Causa C-402/22.

    Court reports – general

    ECLI identifier: ECLI:EU:C:2023:543

    Causa C‑402/22 P

    Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

    contro

    M.A.

    [domanda di pronuncia pregiudiziale
    proposta dal Raad van State (Paesi Bassi)]

    Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 6 luglio 2023

    «Rinvio pregiudiziale – Direttiva 2011/95/ UE – Norme relative ai presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status conferito dalla protezione sussidiaria – Articolo 14, paragrafo 4, lettera b) – Revoca dello status di rifugiato – Cittadino di un paese terzo condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – Pericolo per la comunità – Controllo di proporzionalità»

    1. Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato – Reato di particolare gravità – Nozione – Reato connotato da eccezionale gravità, appartenente ai reati che attentano maggiormente all’ordinamento giuridico della comunità interessata – Criteri di valutazione della gravità

      [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, considerando 12, e artt. 1, 12, § 2, b), 14, § 4, b), 17, § 1, b), e § 3 e 21, § 2, b)]

      (v. punti 24-26, 29, 31, 33-45, 48, disp. 1)

    2. Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato – Pericolo per la comunità dello Stato membro ospitante – Pericolo dimostrato dalla sola circostanza che la persona interessata è stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità – Inammissibilità

      [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, art. 14, § 4, b)]

      (v. punti 50-52, disp. 2)

    3. Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica d’asilo – Status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95 – Revoca, cessazione o rifiuto del rinnovo dello status di rifugiato – Presupposti d’applicazione – Pericolo per la comunità dello Stato membro ospitante – Pericolo che deve essere di natura reale, attuale e sufficientemente grave – Revoca dello status di rifugiato che deve costituire un provvedimento proporzionato al pericolo

      [Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2011/95, art. 14, § 4, b)]

      (v. punti 54-56, disp. 3)

    Sintesi

    Nell’ambito della causa Bundesamt für Fremdenwesen und Asyl (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (C‑663/21), nel dicembre 2015, ad AA è stato concesso lo status di rifugiato in Austria. Tra marzo 2018 e ottobre 2020 è stato condannato più volte a pene detentive per vari reati tra cui, in particolare minaccia grave, distruzione o danneggiamento di beni altrui, uso illegale di stupefacenti, traffico di stupefacenti, percosse e lesioni nonché comportamento aggressivo nei confronti di un agente incaricato della pubblica vigilanza.

    Con decisione adottata nel settembre 2019, l’autorità austriaca competente ha revocato ad AA lo status di rifugiato, ha adottato una decisione di rimpatrio accompagnata da un divieto di soggiorno nei suoi confronti e ha fissato un termine per la sua partenza volontaria, dichiarando al contempo che il suo allontanamento non era autorizzato.

    A seguito di un ricorso proposto da AA, con sentenza adottata nel maggio 2021, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria) ha annullato la decisione sopracitata del settembre 2019. Tale giudice ha constatato che AA era stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e che costituiva un pericolo per la comunità. Tuttavia, esso ha ritenuto che fosse necessario operare un bilanciamento tra gli interessi dello Stato membro ospitante e quelli dell’interessato a beneficiare della protezione internazionale, prendendo in considerazione i provvedimenti a cui quest’ultimo sarebbe stato esposto in caso di revoca di tale protezione. Orbene, poiché AA sarebbe stato esposto, in caso di ritorno nel suo paese di origine, a un rischio di tortura o di morte, detto giudice ha ritenuto che i suoi interessi prevalessero su quelli dell’Austria. L’autorità austriaca competente ha proposto un ricorso per cassazione (Revision) avverso tale sentenza dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria).

    Nell’ambito della causa Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides (Rifugiato che ha commesso un reato grave) (C‑8/22), nel febbraio 2007, a XXX è stato riconosciuto lo status di rifugiato in Belgio. Con sentenza pronunciata nel 2010, egli è stato condannato a una pena detentiva di 25 anni, in particolare, per rapina ai fini dell’impossessamento di diversi beni mobili e per omicidio doloso al fine di facilitare tale rapina o di procurarsi l’impunità.

    Con decisione adottata nel 2016, l’autorità belga competente generale gli ha revocato lo status di rifugiato. XXX ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio), che è stato respinto con sentenza pronunciata nell’agosto 2019. Tale giudice ha ritenuto che il pericolo rappresentato da XXX per la comunità derivasse dalla sua condanna per un reato di particolare gravità, cosicché non sarebbe spettato a detta autorità dimostrare che costui costituisse un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave per la comunità. Al contrario, sarebbe spettato a quest’ultimo dimostrare di non costituire più un simile pericolo, nonostante tale condanna. XXX ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio).

    Nell’ambito della causa Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Reato di particolare gravità) (C‑402/22), nel luglio 2018, M.A. ha presentato una domanda di protezione internazionale nei Paesi Bassi. L’autorità dei Paesi Bassi competente ha respinto tale domanda nel giugno 2020, con la motivazione che il richiedente era stato condannato, nel 2018, a una pena detentiva di 24 mesi per aver commesso, nella stessa sera, tre violenze sessuali, un tentativo di violenza sessuale e il furto di un telefono cellulare.

    A seguito di un ricorso proposto da M.A, la decisione del giugno 2020 è stata annullata da un giudice di primo grado per insufficienza di motivazione. L’autorità dei Paesi Bassi competente ha impugnato tale sentenza dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi). Essa sostiene, da un lato, che i fatti addebitati a M.A devono essere considerati come un unico illecito configurante un reato di particolare gravità e, dall’altro, che la condanna per un reato di particolare gravità dimostra, in linea di principio, che M.A. rappresenta un pericolo per la comunità.

    In queste tre cause i giudici del rinvio interrogano la Corte, in sostanza, su quali siano le condizioni a cui è subordinata la revoca dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 ( 1 ), nonché sul bilanciamento, in tale contesto, degli interessi dello Stato membro ospitante e di quelli dell’interessato a beneficiare della protezione internazionale.

    Con queste tre sentenze pronunciate lo stesso giorno, la Corte risponde a tali interrogativi precisando, da un lato, le nozioni di «reato di particolare gravità» e di «pericolo per la comunità», nonché, dall’altro, la portata del controllo di proporzionalità da effettuare in tale ambito. Essa spiega altresì la relazione tra la revoca dello status di rifugiato e l’adozione della decisione di rimpatrio.

    Giudizio della Corte

    La Corte rileva, anzitutto, che l’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 è subordinata al ricorrere di due condizioni cumulative distinte, relative, da un lato, alla circostanza che il cittadino di un paese terzo sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità e, dall’altro, che sia stato dimostrato che tale cittadino di un paese terzo costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova. Di conseguenza, non si può ritenere che la circostanza che la prima delle due condizioni è soddisfatta sia sufficiente a dimostrare che lo sia anche la seconda. Una tale interpretazione di detta disposizione risulta dalla sua formulazione nonché del suo raffronto con quelle dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b) ( 2 ) e dell’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 ( 3 ).

    Per quanto riguarda la prima di tali condizioni, in assenza di un rinvio espresso al diritto degli Stati membri al fine di determinare il senso e la portata della disposizione stessa, la nozione di «reato di particolare gravità» di solito deve ricevere, in tutta l’Unione, un’interpretazione autonoma e uniforme. Da un lato, conformemente al suo senso abituale, il termine «reato» caratterizza, in tale ambito, un atto o un’omissione che costituisce una grave violazione dell’ordinamento giuridico della comunità interessata e che, per tale motivo, è sanzionato penalmente di per sé in seno a detta comunità Dall’altro, l’espressione «di particolare gravità», poiché aggiunge due qualificazioni a tale nozione di «reato», rinvia a un reato caratterizzato da un livello di gravità eccezionale.

    Per quanto riguarda il contesto nel quale sono utilizzati i termini «reato di particolare gravità», da un lato, si deve tenere conto della giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95, che si riferisce a un «reato grave di diritto comune», e all’articolo 17, paragrafo 1, lettera b), di tale direttiva, che si riferisce a un «reato grave», poiché tali articoli hanno altresì lo scopo di privare della protezione internazionale un cittadino di un paese terzo che ha commesso un reato connotato da un livello eccezionale di gravità. Dall’altro, dal raffronto tra gli articoli 12, 14, 17 e 21 della direttiva 2011/95 deriva che il legislatore dell’Unione ha imposto requisiti diversi relativi alla gravità dei reati che possono essere invocati per giustificare l’applicazione di una causa di esclusione o di revoca della protezione internazionale o il respingimento di un rifugiato. Infatti, l’articolo 17, paragrafo 3 della direttiva 2011/95 menziona la commissione di «uno o più reati», e l’articolo 12, paragrafo 2, lettera b) e l’articolo 17, paragrafo 1, lettera b) di tale direttiva si riferiscono alla commissione di un «reato grave». Ne deriva che l’utilizzo, all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, dell’espressione «reato di particolare gravità», evidenzia la scelta del legislatore dell’Unione di subordinare l’applicazione di tale disposizione al soddisfacimento, segnatamente, di un requisito particolarmente rigoroso, relativo all’esistenza di una condanna con sentenza passata in giudicato per un reato connotato da gravità eccezionale, superiore a quella dei reati che possono giustificare l’applicazione delle precitate disposizioni di tale direttiva.

    Per quanto riguarda la valutazione del livello di gravità di un reato alla luce dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, è pur vero che essa deve essere effettuata sulla base di uno standard e di criteri comuni. Tuttavia, poiché il diritto penale degli Stati membri non è oggetto di provvedimenti generali di armonizzazione, essa deve essere effettuata tenendo conto delle scelte operate, nell’ambito del sistema penale dello Stato membro interessato, relativamente all’identificazione dei reati, che, in considerazione delle loro caratteristiche specifiche, siano connotati da eccezionale gravità, in quanto pregiudicano maggiormente l’ordinamento giuridico della comunità.

    In ogni caso, poiché tale disposizione si riferisce a una condanna passata in giudicato per un «reato di particolare gravità» al singolare, il livello di gravità di un reato non può essere raggiunto da un cumulo di infrazioni diverse di cui nessuna, in quanto tale, costituisce un reato di particolare gravità.

    Da ultimo, al fine di valutare il livello di gravità di un tale reato, devono essere valutate tutte le circostanze proprie del caso controverso. Al riguardo, hanno una rilevanza significativa, in particolare, i motivi della decisione di condanna, la natura e il quantum della pena prevista, e della pena inflitta, la natura del reato commesso, l’insieme delle circostanze proprie della commissione del reato, l’intenzionalità o no del reato nonché la natura e l’entità dei danni da esso causati.

    Per quanto riguarda la seconda condizione, relativa a che sia stato dimostrato che un cittadino di un paese terzo costituisce un pericolo per la comunità dello Stato membro ospitante, la Corte rileva, in primo luogo, che un provvedimento previsto dall’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95 può essere adottato solo qualora il cittadino di un paese terzo costituisca un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della comunità di tale Stato membro. A tale proposito, la Corte precisa, in particolare, che dalla formulazione stessa di tale disposizione emerge che essa è applicabile solo qualora tale cittadino «costituisca» un pericolo per la comunità, il che suggerisce che tale pericolo deve essere reale e attuale. Pertanto, quanto più una decisione ai sensi di tale disposizione è adottata in un momento temporale distante rispetto alla condanna definitiva per un reato di particolare gravità, tanto più spetta all’autorità competente prendere in considerazione, in particolare, gli sviluppi successivi alla commissione di un simile reato, al fine di determinare se sussista un pericolo reale e sufficientemente grave nel giorno in cui essa dovrà decidere sull’eventuale revoca dello status di rifugiato. La Corte si fonda, altresì, al riguardo, sul fatto che da un confronto di varie disposizioni della direttiva 2011/95 con l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della stessa si evince che l’applicazione di quest’ultima disposizione è subordinata a condizioni rigorose.

    In secondo luogo, per quanto riguarda i rispettivi ruoli dell’autorità competente e del cittadino interessato di un paese terzo nell’ambito della valutazione della sussistenza di un pericolo, spetta all’autorità competente in sede di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, procedere, per ciascun caso individuale, a una valutazione di tutte le circostanze specifiche dello stesso. In tale contesto, tale autorità deve disporre di tutte le informazioni rilevanti e procedere alla propria valutazione di tali circostanze, al fine di determinare il senso della propria decisione e di motivarla in maniera completa.

    In ultimo luogo, la facoltà dello Stato membro di adottare il provvedimento previsto all’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, deve essere esercitata nel rispetto, in particolare, del principio di proporzionalità, il quale implica un bilanciamento tra, da un lato, il pericolo che il cittadino interessato di un paese terzo costituisce per la comunità dello Stato membro in cui si trova e, dall’altro, i diritti che devono essere garantiti alle persone che soddisfano le condizioni sostanziali dell’articolo 2, lettera d), di tale direttiva. Nell’ambito di tale valutazione, l’autorità competente deve anche tener conto dei diritti fondamentali garantiti dal diritto dell’Unione e, segnatamente, verificare la possibilità di adottare altri provvedimenti meno lesivi dei diritti garantiti ai rifugiati e dei diritti fondamentali che siano altrettanto efficaci per assicurare la protezione della comunità dello Stato membro ospitante.

    Tuttavia, quando adotta un tale provvedimento, detta autorità non è tenuta, inoltre, a verificare che l’interesse pubblico connesso al rimpatrio del cittadino di un paese terzo nel suo paese di origine prevalga sull’interesse del medesimo cittadino al mantenimento della protezione internazionale, in considerazione della portata e della natura dei provvedimenti ai quali quest’ultimo sarebbe esposto in caso di rimpatrio nel suo paese di origine. Infatti, le conseguenze, per il cittadino interessato di un paese terzo o per la comunità dello Stato membro in cui tale cittadino di un paese terzo si trova, di un eventuale rimpatrio di quest’ultimo nel suo paese di origine sono destinate ad essere prese in considerazione non già al momento dell’adozione della decisione di revoca dello status di rifugiato, bensì, eventualmente, qualora l’autorità competente preveda di adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di detto cittadino di un paese terzo.

    A tale proposito, la Corte precisa che l’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, corrisponde in parte alle cause di esclusione di cui all’articolo 33 della convenzione di Ginevra ( 4 ). Ciò posto, nei limiti in cui la prima di tali disposizioni prevede, nelle ipotesi ivi previste, la possibilità per gli Stati membri di revocare lo status di rifugiato, mentre la seconda consente il respingimento del rifugiato che si trovi in una di tali ipotesi verso un paese in cui la sua vita o la sua libertà siano minacciate, il diritto dell’Unione prevede una protezione internazionale dei rifugiati interessati più ampia di quella garantita dalla convenzione di Ginevra. Di conseguenza, conformemente al diritto dell’Unione, l’autorità competente può essere legittimata a revocare, in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), della direttiva 2011/95, lo status di rifugiato riconosciuto a un cittadino di un paese terzo, senza tuttavia essere necessariamente autorizzata ad allontanarlo verso il suo paese di origine. Inoltre, sul piano procedurale, un siffatto allontanamento presupporrebbe l’adozione di una decisione di rimpatrio, nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali previste dalla direttiva 2008/115 ( 5 ), la quale prevede, in particolare, al suo articolo 5, che gli Stati membri siano tenuti. nell’attuazione di tale direttiva, a rispettare il principio del non respingimento. Non si può, quindi, ritenere che la revoca dello status di rifugiato, in applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, implichi una presa di posizione riguardo alla diversa questione se tale persona possa essere allontanata verso il suo paese di origine. In tale contesto, la Corte precisa inoltre che l’articolo 5 della direttiva 2008/115 osta all’adozione di una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo qualora sia accertato che un allontanamento di quest’ultimo verso il paese di destinazione previsto, in forza del principio del non respingimento, è escluso a tempo indeterminato.


    ( 1 ) Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU L 337, pag. 9). L’articolo 14, paragrafo 4, lettera b), di tale direttiva enuncia che «[g]li Stati membri hanno la facoltà di revocare, di cessare o di rifiutare di rinnovare lo status riconosciuto a un rifugiato da un organismo statale, amministrativo, giudiziario o quasi giudiziario quando (...) la persona in questione, essendo stata condannata con sentenza passata in giudicato per un reato di particolare gravità, costituisce un pericolo per la comunità di tale Stato membro».

    ( 2 ) L’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/95 prevede espressamente che il cittadino di un paese terzo debba essere escluso dallo status di rifugiato qualora abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, senza esigere in alcun modo che questi rappresenti un pericolo per la comunità dello Stato membro in cui si trova.

    ( 3 ) L’articolo 17, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, riguardante il riconoscimento della protezione sussidiaria, la quale può offrire una tutela più limitata rispetto allo status di rifugiato, fa riferimento, alla sua lettera b), alla commissione di un reato grave e, alla sua lettera d), alla sussistenza di un pericolo per la comunità, elementi questi che sono esplicitamente presentati come condizioni alternative, implicanti, ciascuna di esse, considerata isolatamente, l’esclusione dal beneficio della protezione sussidiaria.

    ( 4 ) L’articolo 33 della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei trattai delle Nazioni unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954, completata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), così prevede: «1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. 2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese».

    ( 5 ) Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).

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