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Document 62017CJ0068

Sentenza della Corte (Grande Sezione) dell'11 settembre 2018.
IR contro JQ.
Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento – Attività professionali delle chiese o di altre organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali – Requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa – Atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti dell’etica della chiesa o dell’organizzazione – Nozione – Differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali – Licenziamento di un lavoratore di confessione cattolica, occupato in un ruolo direttivo, a causa di un secondo matrimonio civile contratto successivamente a divorzio.
Causa C-68/17.

Causa C‑68/17

IR

contro

JQ

(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesarbeitsgericht)

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento – Attività professionali delle chiese o di altre organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali – Requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa – Atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti dell’etica della chiesa o dell’organizzazione – Nozione – Differenza di trattamento basata sulla religione o sulle convinzioni personali – Licenziamento di un lavoratore di confessione cattolica, occupato in un ruolo direttivo, a causa di un secondo matrimonio civile contratto successivamente a divorzio»

Massime – Sentenza della Corte (Grande Sezione) dell’11 settembre 2018

  1. Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78 – Divieto di discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali – Nozione di requisito essenziale, legittimo e giustificato per lo svolgimento dell’attività lavorativa – Portata – Rispetto del principio di proporzionalità

    (Direttiva del Consiglio 2000/78, art. 4, § 2)

  2. Politica sociale – Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Direttiva 2000/78 – Divieto di discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali – Attività professionali delle chiese o di altre organizzazioni la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali – Dipendenti che occupano un ruolo direttivo – Possibilità di assoggettare tali dipendenti a requisiti che prevedono atteggiamenti di buona fede e di lealtà distinti in base alla loro confessione o al loro agnosticismo – Presupposto – Controllo giurisdizionale effettivo che garantisce l’osservanza dei criteri esposti nella direttiva 2000/78 – Ammissibilità di una differenza di trattamento – Presupposti – Verifica da parte del giudice nazionale

    (Art. 17 TFUE; direttiva del Consiglio 2000/78, art. 4, § 2)

  3. Diritto dell’Unione – Principi – Parità di trattamento – Divieto di discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali – Connessione con la direttiva 2000/78 e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Controversia tra due privati – Obblighi e poteri del giudice nazionale – Interpretazione della normativa nazionale conforme al diritto dell’Unione – Portata – Obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria al divieto di discriminazione basata sulla religione o sulle convinzioni personali

    (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 21; direttiva del Consiglio 2000/78, artt. 1 e 4, § 2)

  1.  V. il testo della decisione.

    (v. punti 50‑54)

  2.  L’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che:

    da un lato, una chiesa o un’altra organizzazione la cui etica sia fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, e che gestisce una struttura ospedaliera costituita in forma di società di capitali di diritto privato, non può decidere di sottoporre i suoi dipendenti operanti a livello direttivo a obblighi di atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti di tale etica diversi in funzione della confessione o agnosticismo di tali dipendenti, senza che tale decisione possa, se del caso, essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo al fine di assicurare che siano soddisfatti i criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva; e

    dall’altro, una differenza di trattamento, in termini di obblighi di atteggiamento di buona fede e di lealtà nei confronti di detta etica, tra dipendenti in posizioni direttive, in funzione della loro confessione o agnosticismo, è conforme alla suddetta direttiva solo se, tenuto conto della natura delle attività professionali interessate o del contesto in cui sono esercitate, la religione o le convinzioni personali costituiscono un requisito professionale essenziale, legittimo e giustificato rispetto all’etica della chiesa o dell’organizzazione in questione e conforme al principio di proporzionalità, il che spetta al giudice nazionale verificare.

    Infatti, tale secondo comma contiene, rispetto al primo comma del paragrafo 2 dell’articolo 4 di detta direttiva, la precisazione secondo la quale, tra i requisiti professionali che una chiesa o un’altra organizzazione pubblica o privata la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali possono esigere dalle persone che sono alle loro dipendenze, figura il requisito che tali persone abbiano un atteggiamento di buona fede e lealtà nei confronti dell’etica di tale chiesa o organizzazione. Come emerge, segnatamente, dall’inciso «[a] condizione che le sue disposizioni siano d’altra parte rispettate», tale facoltà deve tuttavia essere esercitata nel rispetto delle altre disposizioni della direttiva 2000/78, in particolare dei criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva, i quali devono, se del caso, poter essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo, come ricordato al punto 43 della presente sentenza.

    L’articolo 17 TFUE non è tale da inficiare detta conclusione. Infatti, da un lato, la formulazione di tale disposizione corrisponde, in sostanza, a quella della dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali, allegata all’atto finale del Trattato di Amsterdam. Orbene, il fatto che tale dichiarazione sia esplicitamente citata al considerando 24 della direttiva 2000/78 mette in risalto che il legislatore dell’Unione ha necessariamente tenuto conto di detta dichiarazione al momento di adottare la suddetta direttiva, in particolare il suo articolo 4, paragrafo 2, dal momento che tale disposizione rinvia proprio alle legislazioni e alle prassi nazionali vigenti alla data d’adozione della direttiva medesima. Dall’altro, l’articolo 17 TFUE esprime, certo, la neutralità dell’Unione nei confronti dell’organizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti con le chiese e le associazioni o comunità religiose, ma non è tale da sottrarre a un controllo giurisdizionale effettivo il rispetto dei criteri enunciati all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78 (v., in tal senso, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, С‑414/16, EU:C:2018:257, punti da 56 a 58).

    (v. punti 46, 48, 61, dispositivo 1)

  3.  Un giudice nazionale investito di una controversia tra due privati è tenuto, qualora non gli sia possibile interpretare il diritto nazionale applicabile in modo conforme all’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2000/78, ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giuridica spettante ai soggetti dell’ordinamento derivante dai principi generali del diritto dell’Unione, come il principio di non discriminazione sulla base della religione o delle convinzioni personali, ora sancito dall’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, e a garantire la piena efficacia dei diritti che ne derivano, disapplicando all’occorrenza qualsiasi disposizione nazionale contraria.

    La Corte ha peraltro dichiarato che il dovere di interpretazione conforme include l’obbligo, per i giudici nazionali, di modificare, se del caso, una giurisprudenza consolidata se questa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con gli scopi di una direttiva (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 72 e giurisprudenza ivi citata).

    Nel caso in cui gli fosse impossibile procedere a una siffatta interpretazione conforme della disposizione nazionale di cui al procedimento principale, occorre ricordare, da un lato, che la direttiva 2000/78 non sancisce essa stessa il principio della parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il quale trova la sua fonte in diversi atti internazionali e nelle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ma ha il solo obiettivo di stabilire, in queste stesse materie, un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate su diversi motivi, tra i quali la religione o le convinzioni personali, come risulta dal titolo e dall’articolo 1 della medesima (sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 75 e giurisprudenza ivi citata).

    Dall’altro lato, un giudice nazionale che si trovi nella situazione descritta al punto precedente ha l’obbligo di assicurare, nell’ambito delle sue competenze, ai soggetti dell’ordinamento la tutela giurisdizionale derivante dal diritto dell’Unione e di garantirne la piena efficacia disapplicando, ove necessario, qualsiasi disposizione della normativa nazionale contraria al divieto di discriminazione sulla base della religione o delle convinzioni personali (v., per quanto riguarda il divieto di discriminazione fondata sull’età, sentenza del 19 aprile 2016, DI, C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 35).

    Infatti, prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha conferito alla Carta lo stesso valore giuridico dei trattati, tale principio derivava dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Il divieto di qualsiasi discriminazione fondata sulla religione o sulle convinzioni personali riveste carattere imperativo in quanto principio generale del diritto dell’Unione ora sancito dall’articolo 21 della Carta, ed è di per sé sufficiente a conferire agli individui un diritto invocabile come tale nell’ambito di una controversia che li veda contrapposti in un settore disciplinato dal diritto dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, С‑414/16, EU:C:2018:257, punto 76).

    (v. punti 64, 67‑69, 71, dispositivo 2)

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